Ricerca per Volume

PRIMA SERIE

AVVERTENZA

l. Il volume X della prima serie dei Documenti Diplomatici Italiani abbraccia il periodo dal 24 dicembre 1867 al 31 dicembre 1868. Pur senza essere esclusivamente caratterizzato da una sola questione internazionale, anzi rappresentando esso la documentazione di una fase di passaggio e di aggiustamenti della politica estera italiana dopo la crisi di Mentana e le sue ripercussioni, il volume contiene una serie di testi importanti per lo sviluppo di alcuni temi allora affioranti o già nettamente delineati nella vita internazionale del tempo. Appare dominante la questione dell'acuirsi della tensione franco-prussiana, punteggiato dalle innumerevoli speculazioni che gli ambienti diplomatici svolgevano sulle intenzioni dell'imperatore francese o sui progetti del Bismarck. In questo ambito, acquista rilievo in generale, per la questione tedesca, la documentazione relativa all'atteggiamento delle Corti minori di Germania e, per quanto più direttamente riguarda l'Italia, sia lo sviluppo di una linea ufficiale di politica neutralistica, sia il negoziato segreto voluto da Vittorio Emanuele II per cercare la stipulazione di una triplice alleanza austrofranco-italiana, dalla quale potessero uscire risultati diretti per l'Italia (nel Trentina o forse anche a Roma e persino in Svizzera).

Altre questioni incominciavano a delinearsi, come il problema della successione al trono di Spagna; il continuo evolvere della situazione balcanica in forme e problemi sempre nuovi; l'affiorare della controversia itala-francese rispetto alla Tunisia; il senso e la direzione che le manifestazioni irredentistiche acquistavano per la politica estera del governo di Firenze. Nell'insieme dunque il quadro appare quello offerto da un periodo di transizione tempestosa, verso vicende che avrebbero mutato poco dopo i caratteri fondamentali della vita diplomatica europea.

2. Il volume si basa principalmente, come i precedenti, sulla documentazione conservata nell'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri nelle serie seguenti:

I. Gabinetto e Segretariato Generale: a) istruzioni per missioni all'estero; b) corrispondenza telegrafica; c) carteggio confidenziale e riservato.

II. Divisione «Politica »: a) registri copialettere in partenza; b) rapporti in arrivo.

III. Carte delle Ambasciate a Berlino, Londra, Parigi e Vienna.

IV. -Carte Blanc. V. -Eredità Nigra.

Numerosi documenti di notevole interesse sono tratti dall'Archivio di Casa Reale ed alcuni dall'Archivio Visconti Venosta di Santena.

3. Data l'importanza del periodo varii documenti erano già editi, integralmente o parzialmente, nelle seguenti pubblicazioni (tra parentesi l'abbreviazione usata nel testo):

Libro Verde n. 14, Documenti Diplomatici concernenti gli affari di Roma presentati dal Ministro degli Affari Esteri (Menabrea) nella tornata del 20 marzo 1869 (LV 14);

Libro Verde n. 21, Documenti Diplomatici concernenti la riforma giudiziaria in Egitto presentati dal Ministro degli Affari Esteri (Visconti Venosta) nella tornata del 26 gennaio 1875 (LV 21);

H. BASTGEN, Die Romische Frage, vol. II, Freiburg im Breisgau, 1918 CBASTGEN);

Les Origines Diplomatiques de la guerre de 1870-1871, vol. XX, Paris 1927, vol. XXII, Paris, 1928 (Origines diplomatiques);

P. PIRRI, Pio IX e Vittorio Emanuele Il dal loro Carteggio Privato, Roma, 1944-1961 (PIRRI);

N. MrKo, Das Ende des Kirchenstates, Wien-Miinchen, 1964 (MIKO);

Le lettere di Vittorio Emanuele Il, raccolte da F. COGNAsso, vol. II, Torino, 1966 (Lettere Vittorio Emanuele Il) ;

R. MoRI, Il tramonto del potere temporale 1866-1870, Roma, 1967 (MORI).

4. Alla preparazione di questo volume hanno collaborato la dott. Emma Moscati Ghisalberti per le ricerche e l'allestimento del volume per la stampa, il dott. Andrea Edoardo Visone per l'apparato critico, la dott. Alessandra Raffa per la compilazione dell'indice dei nomi, la signora Fiorella Giordano e le dott. Luana Micheli, Antonella Grossi e Fmncesca Grispo per la correzione delle bozze. A ,essi va il mio più vivo e cordiale ringraziamento, per la competenza e la solerzia con cui hanno svolto il loro lavoro, che rappresenta la base indispensabile per la preparazione di ciascuno di questi volumi.

ENNIO DI NOLFO

Hl

5 6

7 8

IO

12 13

15 16

Provenienza

e data

Venezia 24 dicembre 1867

Firenze 25 dicembre

Parigi 25 dicembre

Costantinopoli 25 dicembre

Vienna 25 dicembre

Vienna 25 dicembre

Firenze 26 dicembre

Parigi 26 dicembre

. Berlino 26 dicembre

Parigi 27 dicembre

Firenze 27 dicembre

Firenze 27 dicembre

Parigi 27 dicembre

Parigi 27 dicembre

Madrid 28 dicembre

Madrid 31 dicembre


DOCUMENTI
1

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MILITARE PER LA DELIMITAZIONE DELLA FRONTIERA FRA IL REGNO E L'IMPERO AUSTRIACO, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 127/40. Venezia, 24 dicembre 1867.

Sottoponendo col mio Rapporto N. 108/34 del 2 novembre scorso (l) all'approvazione dell'E. V. lo schema di Atto finale della Commissione, quale era risultato dalle sue deliberazioni, ho dovuto restringermi a schiarirne essenzialmente il testo e le principali disposizioni, porgendo ad un tempo tutte le nozioni indispensabili alla sua completa intelligenza, ma senza alcun ricorso o veduta retrospettiva sui negoziati che vi avevano condotto. Nell'atto però che la Commissione, posto termine al proprio compito, sta per isciogliersi, non credo disutile di riparare alla lacuna in allora lasciata, ed a senso anche della riserva fatta, riassumere in una compendiosa relazione le principali fasi dei negoziati, le difficoltà a volta incontrate, e i tentativi fatti per ottenere un qualche miglioramento alle condizioni, per molti riguardi assai sfavorevoli, dei confini delle Province venute ultime a far parte del Regno.

Il mandato della Commissione e l'indole del lavoro affidatole, tutto inteso allo svolgimento ed alla attuazione dell'Articolo IV del trattato del 3 ottobre 1866, per forza del quale ella trovavasi riunita, non davano certamente ad alcuna delle Parti fondamento a pretese o reclami su territori i quali si trovassero posti oltre la circoscrizione tassativamente indicata nell'Articolo stesso. Soltanto da liberi accordi formati sulla base di comuni vedute e reciproche convenienze, poteva sperarsi di ottenere un qualche miglioramento nella frontiera per massima stabilita. Che questa poi fosse a nostro avviso sconveniente e nociva, non solo agl'interessi italiani, ma a quelli pure dell'Austria, e che qualunque opportunità di variarla, con liberi accordi, si sarebbe da noi tosto abbracciata, era noto universalmente, né dal Governo austriaco ignorato. L'attuale frontiera fra il Veneto e l'Austria non soddisfa ad alcuna delle condizioni che si ricercano ordinariamente nelle linee di confine: non risponde alle condizioni etnografiche dei due paesi, non alle condizioni geografiche, non alle esigenze della difesa militare, né pure, per gran parte del suo sviluppo, vi si trovano soddisfatti i bisogni più ovvii e più comuni della vita economica dello stato. La Repubblica veneta che tali inconvenienti ebbe a sentire per lunga pezza, sebbene men gravi per le scorporazioni solamente più tardi avvenute, e scemati dalla continuità sul litorale adriatico de' suoi possedimenti lungo mare,

non trascurò mai occasione per dare alla propria frontiera regolare e conveniente assetto; e se i negoziati a tale uopo ed a parecchie riprese aperti col Governo austriaco si abbandonarono sempre prima che riuscissero ad alcun utile componimento, non è da ascriversi a ciò che da questi si disconoscesse l'utilità grande di una rettificazione del confine, ma sibbene da attribuirsi alla difficoltà di convenire sui territori che costituir dovevano oggetto di scambio. Ed il Governo italiano appena venuto in possesso del Veneto, non mancò a sua volta di fare insistenza su di questo argomento; del che porgono ampia testimonianza i documenti diplomatici pubblicati intorno alle trattative che precedettero la pace di Vienna. Ai Commissari incaricati ora di attuare la confinazione convenuta col trattato del 3 ottobre 1866, non potevano al certo sfuggire gli inconvenienti d'ogni natura rilevati già dal Plenipotenziario del loro Governo a Vienna; ché anzi la minuta disamina della frontiera, propria del lavoro loro affidato, ed il più particolareggiato apprezzamento delle condizioni locali, che scaturiva dalle operazioni che si andavano compiendo, non poteva a meno di confermare in essi la persuasione della gravità dei lamentati inconvenienti, e fortificarli nel desiderio di porvi, quando risultasse possibile, riparo.

Senonché, presupposta pure nel Governo austriaco la maggiore arrendevolezza nel dare il proprio concorso al rimaneggiamento della frontiera secondo le nostre vedute, era però pur sempre manifesto che, eziandio nella migliore ipotesi, non a tutti ma ad alcuni solamente dei rilevati difetti era lecito sperarè di poter recare rimedio. Onde è che i Commissari italiani dovettero tosto preoccuparsi di indagare dove, occorrendo, avrebbero convenuto di riportare le proprie dimande, affinché, circoscritto in breve spazio, potessero con maggiore probabilità lusingarsi di approdare ad un efficace risultato. Ora a chi ben consideri la linea del confine fra gli estremi suoi punti dalla sponda orientale del lago di Garda alla marina dell'Adriatico, appare tosto come le principali difettuosità si riscontrino quasi esclusivamente nelle due tratte estreme, confinanti rispettivamente al Tirolo ed ai paesi del litorale, laddove la parte centrale, che contermina colla Carinzia, va di esse difettuosità quasi per intero netta. Diffatti, codesta ultima porzione di frontiera, che prossimamente può considerarsi come limitata dalle due grandi strade scavalcanti l'Alpe ai passi di Toblach e di Tarvis, ha, alquanto in fuori di codesti due punti, la sua traccia chiaramente e giustamente segnata pel crinale che determina la partizione dei due opposti acquapendenti della vallata tedesca di Drava a nord, e dei versanti italici a sud. Onde di questa parte di frontiera si ha cagione di essere soddisfatti, qualunque sia il riguardo sotto cui si consideri. La porzione poi più occidentale, che si disse conterminar col Tirolo, è cosi arbitrariamente condotta in tutto il suo sviluppo, e per vasta estensione di territorio così dissona dalle più ovvie condizioni geografiche, etnografiche, linguistiche e strategiche, proprie di ogni ben costituito confine, che un parziale miglioramento non vi farebbe alcun frutto, quando non si risalga al radicale partito di isterilire il male al suo fonte, unendo all'Italia quel tanto di popolazioni italiane che abitano le gemine valli del Sarca e dell'Adige. Ma codesto ultimo modo non poteva manifestamente essere nelle attribuzioni della Commissione; né l'altro dei parziali ammeglioramenti sembrava prudente adottare, sia per l'inanità del guadagno che poteva sperarsi, come anche per non dare, dirò cosi, consacrazione

2 coll'apparenza di accontentarsene, ad uno stato di cose che noi possiamo osservare come dipendenza di trattati, ma non mai ritenercene per soddisfatti.

Per contro, nell'ultima porzione di frontiera confinante ai paesi del Litorale, appariva spontanea una mutazione la quale, pur non risultando di eccessivo aggravio all'Austria, avrebbe valso a far tornare alla patria un'eletta di popolazioni indubbiamente italiane, ed a toglier di mezzo il deplorevole sconcio che proviene dal trovarsi lvi una lunga distesa di meglio che venti chilometri di frontiera condotta senza stabile traccia di confine naturale, ma soltanto artifizialmente e per soli stipiti di pietra segnata. Tale ultima mutazione di confine, già fatta valere dal Plenipotenziario di Sua Maestà in Vienna, e che avrebbe contribuito a ridare alla porzione italiana del Friuli qualche maggiore condizione di economica prosperità, avrebbe condotto ad assumere per linea di separazione dei due Stati il thalweg del fiume Isonzo dalla sua foce nell'Adriatico sino al suo incontro col Toce, questo poscia risalito sino allo sbocco del torrente Iudrio, il quale dal citato punto avrebbe fatto frontiera sino a raggiungere l'attuale andamento di essa. Pareva ai Commissari italiani che il sacrificio della porzione di territorio che si sarebbe chiesto all'Austria, non dovesse a codesta Potenza riuscir troppo grave, spezialmente se mitigato da un qualche compenso; né le popolazioni sembravano dover far ostacolo, perché, come si disse, indubbiamente italiane, e la maggioranza appartenuta sempre da rimato tempo alla Repubblica e piena tuttora delle gloriose memorie di essa.

Pur convenendo però nelle delineate vedute, i Commissari italiani si riserbavano di farle valere allora solamente che una qualche favorevole occasione si fosse loro offerta: non sembrando ad essi né conveniente, né degno del loro Governo, né conforme alle Istruzioni avute lo avventurarsi in proposte che nessuna probabilità sostenesse di approdare ad alcun utile risultato. Confidavano che il processo dei negoziati avrebbe loro somministrata la opportunità di farlo con qualche speranza di favorevole esito.

La E. V. conosce come codesta opportunità presentavasi, e con apparenze tali, da indurre in noi la fondata lusinga che non troverebbesi soverchia resistenza ad un componimento su di questo argomento. I Commissari austriaci ci espressero il desiderio che, nel regolamento del confine, fossero restituiti all'Austria tre bracci di territorio compresi nella circoscrizione amministrativa del Veneto, e che tornavano per essa di speciale convenienza. Senza entrare in minuti particolari ben cogniti al Ministero dalle mie precedenti comunicazioni, ricorderò ora sommariamente come da parte nostra non si potessero opporre grandi difficoltà alla condizionata cessione di codesti territori, non aventi una stabile popolazione, e per giunta separati dai bacini idrografici ed etnografici del Regno. Che se da parte di chi chiedeva essi territori appariva manifesto il disegno di giovarsene per afforzare le naturali difese dell'Austria contro di noi, e farle ancora più potenti, codesto svantaggio, qualunque si fosse, non ci sarebbe parso soverchio se per esso fossimo stati condotti ad una nuova affermazione ed esplicazione dei principii sui quali si fonda la nostra unione nazionale. Noi annunciammo adunque che eravamo disposti a cedere i terreni che ci venivano chiesti; ma ponemmo la condizione che in compenso sarebbero uniti all'Italia i territori del basso Friuli che si trovano fra l'attuale confine e la linea fluviatile più sopra descritta, pur mostrandoci disposti a discutere quelle

5 --Docunw11 ti lliJllornalil'i -Serle T -Vol. X

altre condizioni che si volessero proporre all'uopo di assidere il divisato scambio su basi ugualmente accette ad ambe le Parti.

La E. V. conosce l'ulteriore andamento di codeste trattative, e quale si fosse su di esse la finale decisione dell'Austria contraria ad ogni scambio, come ad ogni benché minima mutazione del disagiato confine nostro. Non ometterò di notare ancora l'altra domanda nostra a riguardo di Palmanova. Questa fortezza, posta appunto all'estremo lembo del territorio che da noi si chiedeva di estendere sino alla più prossima linea fluviale, ha il confine in tanta vicinanza de' suoi spalti, che non pure il raggio suo di difesa, ma le zone sue stesse di servitù attive si estendono per la maggior parte sul territorio illirico. Sebbene nessuna ragione, derivata dal trattato del 3 ottobre 1866, ci assistesse per ottenere un miglioramento delle condizioni di difesa di questa Piazza, così evidentemente pregiudicate dall'attuale confinazione, pur tuttavia volemmo credere che l'apprezzamento dei motivi pe' quali il Governo austriaco nell'anno 1859 si era condotto a domandare ed a stipulare un notevole allontanamento del confine dalle difese di Peschiera, potesse tanto, nelle presenti relazioni dei due Governi, da appoggiare presso quello d'Austria l'analoga domanda che ora si faceva per la Piazza di Palmanova; tanto più che noi ci mostravamo disposti a convenire di opportuni compensi pe' terreni che ci venissero ceduti.

Ma è da credersi che il Governo austriaco, mosso forse da ragioni di varia natura e che sarebbe qui inutile lo indagare, si decidesse allora appunto a non ammettere alcuna mutazione allo stato di cose derivante dal trattato del 3 ottobre 1866. Onde la Commissione si vide d'allora in poi costretta a restringere la cerchia delle sue discussioni e delle sue operazioni allo svolgimento ed all'applicazione dell'Articolo IV del trattato stesso, in forza del quale ella era, come si disse più sopra, riunita. Nell'adempimento del quale più ristretto suo compito, non v'ha cosa di speciale importanza attinente a qualsiasi particolare questione, che io non abbia a suo tempo sottoposta al Governo, e fatta risolvere conformemente al nostro preciso diritto ed alle ricevute Istruzioni. Onde ometterei di qui rivenire su di codesto argomento, se non mi sembrasse utile di porre in rilievo la principale difficoltà che, in tutto il giro delle operazioni della Commissione, attraversò mai sempre l'opera lunga e faticosa del riconoscimento e dell'accertamento del confine, e la rese talvolta su di determinati punti, difficile ed incerta. La quale avvertenza mi sembra tanto più opportuno di esporre, quanto questioni della natura di quelle dovutesi risolvere dalla Commissione, potranno per avventura ripresentarsi più tardi sebbene da parte nostra siasi data diligente opera a torre di mezzo tutte quelle che, durante la permanenza della Commissione, vennero presentate. Il trattato del 3 ottobre nel porre per termine del territorio ceduto la circoscrizione amministrativa delle Province venete, considerate nel loro complesso di regione a parte e distinta nell'assieme della Monarchia austriaca, intese evidentemente di riferirsi a quell'unione di pratiche e di discipline, varie nei loro oggetti e negli scopi, ma collimanti ad un medesimo fine, e che col loro aggregato servano a dar norma alla vita economica o amministrativa che vogliasi di uno Stato. La finanza, la giustizia, i lavori in prò del pubblico, l'interna gestione sono elementi tutti ai quali la designazione tassativamente indicata come amministrativa, si riferisee necessariamente, e dal cui assieme quest'ultima piglia consistenza, forma e valore. Ma

sebbene le Province venete avessero in genere un regime distinto ed una propria amministrazione, separati da quelli delle attigue Province, pur tuttavia

la distinzione non era in tutti i rami della pubblica gestione così netta e così circostanziata, perché potesse dirsi che tutte le pratiche che vi si riferiscono cessassero di contro ad un solo ed identico confine per ripigliare oltre di questo con nuove od identiche forme; condizione questa che di necessità avrebbe dovuto essere soddisfatta perché nello svolgimento dell'Articolo IV del trattato non vi fosse mai divergenza di vedute tra le due Parti della Commissione. Se pertanto non poteva nascer dubbio circa la precisa traccia del confine nei punti in cui erano termini o segnali di confinazione, non poteva dirsi altrettanto di molti fra quelli altri tratti nei quali i predetti segni non esistessero, o pur sussistendo, fossero da una o da entrambe le Parti contestati. Ad avere, anche per questo secondo caso, una norma stabile e sicura per l'assegnamento ad uno Stato od all'altro dei terreni su cui sortisse contestazione, i Commissari italiani avrebbero desiderato che fossero state senz'altro considerate buone e valevoli le indicazioni fornite dal Catasto stabile delle proprietà fondiarie del Veneto, e regolata quindi in dipendenza di esse indicazioni la posizione degli appezzamenti contrastati. Che codesta risoluzione fosse conforme allo spirito del trattato di pace, e che i giudicati da trarsene sarebbero in ogni caso fondati su diritti reali ed effettivi, apparisce tosto quando si consideri essere la partizione fondiaria cardine e regola d'ogni pratica amministrativa, specialmente nei paesi nostri dove la produzione agricola ha la somma dell'importanza, si aggiunga che, a ragione appunto di codesta importanza, il Catasto veneto, prima provvisorio, poi stabile, era stato con ogni diligenza stabilito, e dal Governo austriaco prescrittane e curata sempre la revisione ad epoche regolari e determinate. Ma i Commissari austriaci non credettero poter così assolutamente e su di questo solo elemento fondare la soluzione di ogni vertenza; e sulla formale interpellanza loro fatta, presentarono una dichiarazione che, a loro parere, poteva servire di conveniente guida in simili emergenze. La dichiarazione risulta dal Protocollo n. 3 della Commissione, che essi chiesero ed ottennero fosse unita all'Atto finale. Per parte nosua non avevasl né ad accettarla né a respingerla. Da poi che era manifesta l'impossibilità di convenire in un principio unico, solo regolatore di tutte le insorgenti differenze, e che tutti gli elementi, di necessità anche dissoni, dovevano venir di conserva assunti alla risoluzione di ciascuna di esse, si faceva pure evidente che in cadun caso particolare la soluzione da adottarsi, meglio che di un accertamento di diritto, avrebbe rivestita la forma di una libera transazione intesa su termini ugualmente accetti alle due Parti. Tale è effettivamente la sostanza di tutti i componimenti adottati; ed a questo modo di procedimento ancora vuolsi ascrivere se, a riguardo della vertenza insorta circa la precisa traccia del confine lungo l'ultima parte del corso del fiumicello dell'Aussa, non poté venirsi ad alcuna conclusione: non essendovi qui possibilità di transazione, ragion voleva che la Commissione tenesse codesta vertenza per sospesa e ne riserbasse la soluzione ad un accordo fra i due Governi.

(l) Non pubblicato.

2

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 522. Firenze, 25 dicembre 1867, ore 17,30.

M. Malaret m'a dit aujourd'hui avoir reçu de M. de Moustier une dépeche dont il n'a pas donné lecture et d'après laquelle le Gouvernement français s'étonerrait de la mauvaise part dans laquelle nous avons pris les paroles de M. Rouher sur le Roi. Je présume que ce n'est pas la réponse qui nous a été annoncée, mais je vous en préviens afin que vous fassiez en sorte qu'il nous en arrive une convenable. Je vous le recommande d'une manière expresse d'autant plus que les paroles de M. Rouher ont produit une facheuse impression meme à l'étranger (1).

3

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 923. i'artgt, 25 dicembre 1867, ore 21,39 (per. ore 23,45).

Je ferai demain nouve!le démarche auprès de Moustier pour qu'il envoie réponse plus satisfaisante sur les paroles de Rouher mais je crois de mon devoir de vous prévenir que Rouher s'oppose à toute rectification de ce qu'il appelle une appréciation historique et que l'Empereur n'est pas disposé à le désavouer. Je crams que cette questlon prenne une tournure facheuse, dans cet état de choses il serait peut etre sage de considérer la question comme étant vidée par ma dépeche (2) qui a été lue et approuvée par Moustier. La situation est bien tendue et le moindre incident peut la rendre irrémédiable. Si Moustier répond à ma nouvelle demande par un refus d'écrire une nouvelle dépeche il faudra en venir à une rupture. Cependant je ferai une nouvelle démarche si vous ne me donnerez pas contre-ordre.

4

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 69. Costantinopoli, 25 dicembre 1867 (per. il1° gennaio 1868).

V. E. sarà già stata informata dal Consolato del Re in Albania della controversia sorta qualche tempo fa tra il Principe del Montenegro ed 11 Governatore di Scutari in seguito ad una violazione del territorio montenegrino per opera degli abitanti di Cucci villaggio albanese.

Il principe profittando di questa circostanza domandò in termini categorici che venissero di nuovo fissate a suo vantaggio le frontiere che lo dividono dall'Impero Ottomano; in caso negativo avrebbe incominciate le ostilità.

Il Console di Francia, interpostosi con un linguaggio conciliativo, ottenne dal Principe che sospendesse ogni deliberazione e che inviasse a Costantinopoli dei plenipotenziarii incaricati di presentare le proposte del Montenegro e di trattarne l'accettazione per parte della Sublime Porta. Dietro quanto affermavasi queste proposte dovevano aggirarsi sui tre punti seguenti:

2°) Accesso al mare dalla parte di Spitza.

3°) Cessione di quattro distretti dell'Erzegovina.

Il signor Plamenatz senatore, ed il signor Radonich ajutante di campo del Principe latori di dette domande sono qui giunti da alcuni giorni.

Nella visita che mi fecero l'altro jeri, questi signori mi dissero che, venendo a trattare col Governo Ottomano, essi contavano sull'appoggio delle Grandi Potenze e dell'Italia in particolare, la quale si era sempre mostrata benevola verso il Governo del Montenegro. Soggiunsero che le domande formulate dal Principe non implicavano alcuna idea di minaccia contro l'Impero, trattandosi di alcuni tratti di terreno in pianura, che in caso di conflitto le truppe Ottomane potrebbero con la massima facilità rioccupare. Queste domande essere fatte solo nell'intento di aprire uno sfogo alla crescente popolazione del Principato costretta a vivere stentatamente fra le giogaie dei monti.

Io risposi loro in modo assai evasivo; dissi che non potevo intromettermi in simile questione senza previa autorizzaziO"ne del mio Governo; che però avrei desiderato innanzitutto conoscere in modo preciso il tenore delle proposte che essi erano incaricati di presentare alla Sublime Porta, e che in ogni caso il mio concorso non potrebbe essere che nel senso della conciliazione.

Nel prendere commiato da me i signori Plamenatz e Radonich mi promisero di comunicarmi al più presto il testo delle loro credenziali.

Volendo io conoscere la opinioni dei miei colleghi su questo grave argomento mi recai tosto da loro a vederli. Il Barone Prokesch mi disse che a suo credere i confini della Tzernagora essendo già stati fissati dal Trattato del 1858, una modificazione di essi potrebbe avvenire senza il consenso delle Potenze Garanti e che il Montenegro essendo considerato come Stato indipendente un accrescimento di territorio in di lui favore non potrebbe effettuarsi senza toccare all'integrità dell'Impero garantita dalle Grandi Potenze.

L'Ambasciatore d'Inghilterra mi disse esser egli contrario a qualunque concessione che dia in mano al Montenegro punti fortificati dell'Impero.

Secondo l'avviso del Generale Ignatiew, i plenipotenziarii montenegrini sono troppo esigenti, e corrono rischio di non ottenere nulla. Però egli mi si mostrò disposto di appoggiare la domanda di un porto sull'Adriatico.

L'Ambasciatore di Francia respinge invece l'idea di un porto e la cessione dei distretti dell'Erzegovina, secondo lui domandati al solo scopo di mettere il Montenegro in contatto diretto colla Serbia. Appoggerà un accrescimento di territorio dalla parte di Scutari, purché non vengano con ciò aumentate le forze aggressive del Montenegro o diminuiti i mezzi difensivi della Turchia.

(l) -Per la risposta cfr. n. 3. (2) -Cfr. serie I, vol. IX, n. 660.

l 0 ) Prendere il thalweg della Moratcha a confine dalla parte di Scutari.

5

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 202. Vienna, 25 dicembre 1867.

Le projet d'une conférence ou mème d'une réunion préparatoire des représentants des grandes puissances, en vue de traiter la question romaine, est regardé par ce Cabine t camme abandonné en fait; et quoique à Paris on en parle encore, ici on ne s'en occupe plus. Cette renonciation à traiter encore une question qui a été préjugée à Paris était devenue ici inévitable, camme j'ai eu occasion de l'écrire naguère à V. E., dès le lendemain du discours de M. Rouher.

Dans une conversation confidentielle que j'ai eue avec le Chef du Ministère hongrois, j'ai pu m'assurer qu'il considère le Baron de Beust camme ayant, autant qu'il l'a lui-mème, la conviction qu'il est très fàcheux pour l'Autriche au point de vue de ses intérèts dans la question d'Orient, que la France se soit, du mème coup, créé à Rome un grand embarras et aliéné l'amitié de l'ltalie. Le Comte Andrassy parait d'avis que ce Cabinet des Affaires Etrangères pourrait utilement établir, par quelque démonstration, quoique avec toute la mesure nécessaire, qu'il regarde ses bonnes relations avec nous come indépendantes de nos propres relations plus ou moins refroidies avec la France. Mais malgré l'entente complète qui existe entre les deux Ministres dirigeants sur le caractère fàcheux de la situation amenée entre la France et nous par les affaires de Rome, le Baron de Beust continue à garder, à cet égard une réserve qui s'explique par les ralsons que ma correspondance avec V. E. a plusieurs fois exposées. J'ai su tout récemment à ce propos d'une source parfaitement autorisée que ce Cabinet, mettant à profit l'occasion offerte par le fait de l'occupation française, fait exercer par le Cabinet des Tuileries une assez forte pr.ession sur la Cour de Rome pour qu'elle consente aux modifications jugées ici indispensables dans le régime du Concordat. M. de Beust se servirait alors de ce consentement camme d'une puissante arme défensive vis-à-vis de la coalition des féodaux, des fédéralistes et du parti clérical.

J'ai eu occasion de faire remarquer au Chancelier de l'Empire dans

quelle discrétion absolue le Gouvernement du Roi s'est renfermé dans le Livre

Vert à l'égard des déclarations qu'il a bien voulu me faire plusieurs fois

touchant les affaires de Rome, et dont nous ne pouvions certainement oublier

la valeur. Il m'a fait des compliments à l'adresse de V. E. sur cette publi

cation et a ajouté qu'il ne verrait aucun inconvénient à ce que l'on publiàt

sa Note que M. de Kubeck a lue à V. E. relative au point de vue où l'Autriche s'est placée vis-à-vis des affaires de Rome et qui, m'a-t-il dit, tout en appuyant la proposition française d'une conférence, témoigne des bonnes dispositions de l'Autriche envers nous.

Le Baron de Beust m'a parlé incidemment dans cette conversation d'un manifeste en sens insurrectionnel provenant de Naples adressé au Baron de Kubeck et que ce dernier a reçu de M. de Beust lui méme par télégraphe l'ordre tout nature! de renvoyer à V. E.

6

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 203. Vienna, 25 dicembre 1867.

Le Chancelier de l'Empire s'est montré avec moi très-satisfait des dernières publications faites à Pétersbourg en ce qu'elles témoignent enfin que le Gouvernement Russe n'attend plus de complaisances de la France. «II était vraiment par trop anormal (ce sont les paroles de M. de Beust) que la Russie continuàt à se prévaloir en Orient de la coopération de la France tandis que celle-ci avait pris envers nous à Salzbourg des engagements tout différents. Les perspectives sont assombries et pour ma parte je n'ai pas de confiance dans la situation politique; mais j'en ai dans les ressources diplomatiques. Avec du coup-d'oeil et de la sagesse, bien des maux peuvent, j'en suis convaincu, étre encore évités ».

8

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 523. Firenze, 26 dicembre 1867, ore 11.

M. Rouher est libre de faire ses appréciations historiques (l) mais il n'est pas libre de manquer aux convenances de Iangage lorsqu'il parle d'un souverain ami et allié; je ne comprends pas comment le Gouvernement français peut se refuser à donner une explication satisfaisante au sujet du mot chatiment qu'il a lancé dans son discours -qui dit chàtiment dit coupable, et le coupable ici serait le Roi. Si l'on ne veut pas mieux s'expliquer là dessus, il y a évidemment parti pris de maintenir une parole offensante. Nous désirons infiniment éviter toute complication avec la France. Mais il y a un point sur lequel on ne peut transiger, c'est le respect de sa propre dignité. J'ai parlé en ce sens à Malaret. Agissez de votre còté pour arranger cette affaire; ni le tact ni la prudence ne vous manquent pour réussir, en conséquence je compte sur vous (2).

B.

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E l\UNISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 925. Parigi, 26 dicembre 1867, ore 18,15 (per. ore 21,15).

J'ai été chez Moustier et je lui ai dit que la communication verbale de Ma1a1et n'avait pas été trouvée suffisante. J'ai insistè pour que l'on envoie à Malaret des explications satisfaisantes. Moustier m'a répondu qu'il allait envoyer à Malaret l'ordre de vous donner lecture de sa dépéche et de l'accompagner verbalement d'explications convenables. Moustier m'a déclaré de nouveau qu'il n'admet pas qu'un membre du Gouvernement impérial ait eu l'intention de manquer de respect au Roi. Quant au chàtiment, il m'a dit, d'abord qu'il avait été prononcé d'une forme dubitative; ensuite qu'il ne devait signifier autre chose que conséquence fàcheuse et nullement punition; enfin que toute la phrase n'était pas applicable au Roi, mais au système, au pays, à l'état. Il a fini en disant qu'il regrette de nouveau qu'on ait pu donner à ces mots une interprétation contraire aux sentiments et aux intentions du Gouvernement français envers Sa Majesté.

(l) -Cfr. n. 3. (2) -Per la risposta cfr. n. 8,
9

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 129. Berlino, 26 dicembre 1867 (per. il 31).

J'ai reçu les trois télégrammes relatifs à la crise ministérielle (l), ensuite du vote à la Chambre des Députés.

Je ne dissimulerai pas la pénible impression causée par ces fréquents changements de Cabinet, et cela précisément parceque ce Gouvernement nous porte un vif et sincère intéret. Il voit avec regret que nous fournissions par là un prétexte à nos ennemis, de conclure de l'instabilité des Ministres à l'instabilité meme des choses. Il serait d'ailleurs assez malaisé, dans ces circonstances, d'entamer le cas échéant des négociations sérieuses avec nous. Ce n'est pas qu'on ait la moindre appréhension de voir arriver au pouvoir des hommes d'Etat exclusivement dévoués à la France. Chacun comprend ici qu'il n'y a de piace chez nous, que pour une politique essentiellement italienne. Les derniers incidents, et le langage de V. E. chargée de former une nouvelle administration, sont venus fortifier cette conviction. Mais, je le répète, cette instabilité nuit beaucoup à notre diplomatie, qui plus que jamais a besoin de conserver du prestige.

J'ai vu aujourd'hui le Sous-Secrétaire d'Etat, le Comte de Bismarck s'est absenté jusqu'au 1er Janvier. Le Comte de Goltz venait de transmettre son rapport sur un entretien qu'il avait eu tout récemment avec le Marquis de Moustier.

lO

Le Ministre Impérial des Affaires Etrangères ne lui avait fait qu'une réponse assez vague à la demande d'explications sur la portée que le Gouvernement Français entendrait donner à une acceptation de pourparlers préliminaires sur la question de Rome. Mais on tenait toujours à Paris au projet de conférence, sans vouloir toutefois en indiquer une époque rapprochée. Il faudrait en tout cas attendre que notre Ministère, en train de se reformer, se mit en mesure de gouverner avec une majorité, majorité facile à obtenir! Le Roi Notre Auguste Souverain aurait entre les mains le moyen d'y parvenir, en se rendant à Naples. Sa présence dans cette ville contribuerait beaucoup à ramener le calme dans les esprits. Pour le moment, lors mème qu'on ne se fùt pas rangé à l'avis du Baron de Budberg, d'ajourner indéfiniment la réunion de la conférence, on ne songeait point à la convoquer à une date prochaine, mais il s'agissait de soumettre incessamment à l'Empereur un projet de circulaire à transmettre à ses Représentants près des Grandes Puissances. Ce document aurait pour but de les mettre à mème de s'expliquer sur le véritable sens des déclarations faites à la tribune, le 5 Décembre par

M. Rouher. Dans cet entretien, le Marquis de Moustier avait, à plusieurs reprises, manifesté des idées favorables à l'unité de l'Italie.

Le Sous-Secrétaire d'Etat observait avec raison que, si les déclarations précitées exigeaient un commentaire, il paraissait assez étrange qu'on les différat à un mois de date. En outre, il semblait se ranger à mon opinion, que M. Rouher n'avait pu recueillir que ce qu'il avait semé par son discours, où la légèreté le disputait à l'inconvenance. Au reste M. de Thile se montrait, sinon alarmé, du moins assez sceptique, au point de vue du maintien de la paix. «Ce ne sont plus seulement des points noirs, mais des gros nuages à l'horizon ». La guerre -il ne voulait émettre qu'un avis tout à fait personnel -lui semblait presque inévitable au printemps prochain, époque où, selon les assurances fournies par le Maréchal Niel, les armements seront terminés en France. Il est de fait qu'on sent la poudre à canon, quand on lit le discours prononcé, à la séance du Corps législatif du 21 Décembre par M. Geissier, le rapporteur de la loi sur la réorganisation de l'Armée. Ses raisonnements ont pu etre atténués par M. Rouher, mais ils n'ont pas effacé l'impression produite par Ies aveux d'un véritable enfant terrible. Toutefois, l'Allemagne se trouve dans des conditions qui lui permettent d'envisager avec le calme de la force une semblable éventualité.

L'espèce de conseil diplomatique, que le Gouvernement russe réunit en ce moment à Saint Pétersbourg, semble prouver que le Cabinet du Tsar prévoit, lui aussi, de graves complications en Occident, bien faites à son avis pour dégager la situation en Orient. La publicité donnée par le Prince Gortchacow à plusieurs documents émanés de sa Chancellerie, démontre assez que la Russie prend dès aujourd'hui une position qui tend à s'écarter du système de recueillement dans lequel elle s'était renfermée depuis la campagne de Crimée.

A ces symptòmes menaçants vient se joindre la tension des rapports entre l'Italie et la France. Tant que l'Empereur Napoléon ne réussira pas à faire rentrer dans ses anciennes digues le courant qui a entrainé son Gouvernement dans le camp de nos adversaires, nous n'avons qu'à nous tenir sur nos gardes contre des projets de démembrement. Je ne dis pas que telles soient hic et nunc les arrière-pensées du Cabinet des Tuileries, mais il est tout au moins sur la voie de donner raison à ceux qui voudraient attenter à notre intégrité, à notre indépendance. D'ailleurs, les marches et contre-marches de sa politique, ses fluctuations et ses allures contradictoires, ne sauraient inspirer confiance. Raison de plus pour ne pas tarder d'une minute à mettre bon ordre dans notre propre maison, afin d'étre à meme de parer aux complications extérieures.

(l) Cfr. serie I, vol. IX, nn. 699 e 701 e !l t. 521 del 25 dicembre, non pubblicato.

10

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 926. Parigi, 27 dicembre 1867, ore 15,10 (per. ore 17).

Moustier m'a dit qu'il a envoyé une circulaire à toutes les Puissances relativement à la conférence. Dans ce document le Gouvernement impérial maintient la conférence en principe, tout en laissant comprendre que la réunion s'en trouve ajournée (1).

11

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 524. Firenze, 27 dicembre 1867, ore 17.

Le bruit court fortement que l'Empereur aurait fait visite à Paris au comte d'Aquila qui est en ce moment à la téte du mouvement bourbonien. On nous parle également des armements qui se font en France contre l'Italie. Les lettres particulières sont pleines de détails à ce sujet. Nous envoyons en conséquence vérifier ces faits. Veuillez me procurer des informations précises sur le comte d'Aquila et sur les armements (2). Je vous préviens que la maison de Canofari est le point de réunion conjurés bourboniens.

12

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 525. Firenze, 27 dicembre 1867, ore 21.

Je dois vous informer des motifs qui ont engagé le Ministère à suspendre pour le moment le payement des sémestres de la dette pontificale. Les

jurisconsultes considèrent la Convention de 1864 comme suspendue par l'effet de la permanence de l'occupation française. lls ne croyent pas en conséquence que le Ministère soit autorisé à payer. C'est donc une question de droit à décider que je soumets au conseil du contentieux diplomatique. Ceci pour votre information personnelle (l).

(l) -In BASTGEN, vol. II, p, 571 è edito un telegramma dal contenuto analogo ma diverso nella forma. (2) -Per la risposta cfr. n. 13.
13

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 928. Parigi, 27 dicembre 1867, ore 21,20 (per. ore 24).

Je n'ai pas entendu parler de visite de l'Empereur au comte d'Aquila (2). Quant aux armements, ils continuent sur le méme pied depuis plusieurs mois, et ils avaient commencé avant les événements d'Italie. Je vérifierai ces faits. Empereur s'inquiète de son còté de nos armements, bien que j'aie donné à ce sujet les renseignements que vous m'avez envoyés dans le temps. Il s'inquiète également des démarches qu'on nous attribue auprès de la· Cour de Berlin. Je vous écrirai demain à ce sujet. Veuillez me répéter les dix derniers chiffres de votre télégramme (2), que je n'ai pu déchiff•rer.

14

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA (3)

L. P. Parigi, 27 dicembre 1867.

Je viens vous rendre compte d'une communication qui me fit ces joursci M. Rouher. Mais auparavant je dois vous faire part d'une observation qui me fut adressée par le marquis de Moustier, lorsque, en m'inspirant de l'une de vos dernières dépéches, je lui disais que si les déclarations récentes de

M. Rouher au Corps legislatif étaient le dernier mot de la politique française sur la question romaine, l'Italie n'avait plus qu'à se recueillir et à attendre. Le Marquis de Moustier me dit à cette occasion que si par cette phrase le gouvernement du Roi entendait renoncer à soulever des complications au

sujet de la question romaine ou sur d'autres questions étrangères, pour ne s'occuper que de ses finances et de son administration intérieure, le gouvernement français ne pouvait qu'applaudir à une telle conduite politique. Mais que si le gouvernement du Roi avait l'intention de se recueillir dans le but de se préparer pour tomber sur Rome et pour créer à la France des embarras dans la politique extérieure, le gouvernement français se serait crfr dans le devoir d'aviser à ses intérets.

M. Rouher, dans la conversation que j'ai eue avec lui, ne s'en tint pas à ces généralités. Il aborda la question sans ambages, sans precautions oratoires ou diplomatiques. Le Ministre d'Etat proposa un traité secret d'alliance offensive et défensive et de garantie de l'unité italienne. Répondant à une pensée qu'il ne me laissa pas meme le temps d'exprimer, il ajouta: «Ne croyez pas que nous voullons la guerre avec la Prusse. L'Empereur ne la désire pas, et moi, j'y suis personnellement contraire. L'alliance de la France et de l'Italie est considérée par nous comme un moyen du maintien de la paix. C'est l'inquiétude qui règne en France au sujet de votre conduite, c'est l'espoir que la Prusse peut nourrir d'avoir votre concours qui constituent le danger d'une guerre».

« Alors, pourquoi une alliance offensive»? lui dis-je à mon tour. «Eh bien! répliqua M. Rouher, nous nous contentons au besoin d'une alliance défensive ».

En présence d'une telle ouverture, je n'avais qu'à garder une réserve absolue et de nature à ne compromettre en rien les résolutions du gouvernement du Roi. Je me bornai à quelques observations. Je dis au Ministre d'Etat qu·une alliance qui pouvait, quoiqu'on pfrt dire, nous engager tòt ou tard dans une grosse guerre européenne, pouvait sembler à l'Italie de nature à ne pas offrir une compensation suffisante dans la garantie de l'unité italienne. Cette unité, lui fis-je observer, est désormais irrévocable et indestructible. Le jour où elle serait menacée il y aurait dans toute la Péninsule une réaction irrésistible en sa faveur. S'il y a maintenant en Italie quelques rares personnes qui n'apprécient pas les bienfaits de l'unité, il n'y en aurait plus une seule de cette opinion si cette unité venait à etre mise en question par l'intervention étrangère. Je ne dis pas que la France, seule ou avec d'autres puissances ne puisse pas occuper tel ou tel autre point de la Péninsule, mais ce qui est certain c'est que rien ne peut remplacer ce qui existe en Italie, sauf l'occupation permanente d'une forte armée étrangère, et encore.

M. Rouher me dit alors qu'on pourrait peut etre s'entendre pour l'établissement à une échéance donnée, d'une garnison Italienne dans tous les Etats Pontificaux, à l'exception de la ville de Rome qui continuerait à etre la résidence du Pape investi de tous les attributs de la souveraineté, mais qui serait gouvernée par un Magistrat municipal, et aurait une garnison de troupes municipales, uniquement destinées au maintien de l'orde public. Quant à l'échéance, il est évident que ce système, d'après M. Rouher, ne saurait etre applicable qu'à la mort du Pape actuel; mais comme on ne peut pas speculer sur une telle éventualité, on devrait convenir d'une époque à fixer.

Cette ouverture qui, ainsi que je viens de le dire, n'a rien d'officiel, contient deux parties distinctes savoir, le traité de alliance et de garantie; et l'arrangement éventuel sur la question romaine. Quant à la première partie, je crois qu'elle est bien conforme aux idées de l'Empereur, et je ne m'étonnerais pas si une proposition dans ce sens nous était faite d'une manière formelle. Quant à la seconde partie, je doute que l'Empereur veuille prendre, dès à present, cet engagement avec nous.

Il résulterait de tout ceci, que l'Empereur ne veut pas la guerre avec la Prusse, mais que pour l'éviter, il veut étre bien armé et s'assurer que l'Italie ne tombera pas sur Rome et ne tournera pas ses armées contre la France.

Je soumets ces renseignements à votre prudence, à votre perspicacité, à votre patriotisme.

(l) -Nigra comunicò con t. 929 del 28 dicembre: «Jusqu'ici Gouvernement impérial ne m'a pas dlt mot, touchant la dette pontifica.le ». (2) -Cfr. n. 11.

(3) Da Ereditd Nigra.

15

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 27. Madrid, 28 dicembre 1867 (per. il 1° gennaio 1868).

Ieri S. M. la Regina procedette in persona all'apertura della sessione legislativa. L'articolo del discorso che riguarda la politica estera è concepito ne' termini seguenti: «Ci fu facile mantenere e stringere vieppiù le buone relazioni che ci uniscono a tutte le Potenze amiche. Quanto agli ultimi e per vero tristi avvenimenti d'Italia, che hanno minacciato per alcuni giorni la sicurezza dei dominj e perfino la persona del Santo Padre, la Spagna ha potuto, come in altre occasioni, assumere rispetto al Pontificato la iniziativa, e l'attitudine che si convengono ad una nazione eminentemente Cattolica, offrendo all'Imperatore dei Francesi, nostro amico ed alleato, i mezzi della nostra cooperazione morale, nonché il concorso delle nostre forze pel caso che giudicasse necessario d'impiegarle nella difesa dei legittimi diritti della Santa Sede. Invitati a riunirei ad una Conferenza Europea affine di garantire in modo stabile siffatta legittimità, il mio Governo, interpretando fedelmente i più radicati sentimenti della nazione, non ha esitato a prestarsi ad una proposta tanto soddisfacente».

Sua Maestà lesse queste parole con un vigore marcato e non senza una certa emozione. Ed esse sono le sole che furono seguite da applausi moderati per parte dell'Assemblea. Sembrandomi che esse potessero interessare l'E. V. mi feci premura di mandargliene un cenno telegrafico (1). Unisco al presente il testo del discorso (2).

Il Presidente della Camera dei Deputati sarà decisamente il Conte di San Luis, ultimamente Ambasciatore a Roma.

(l) -Cfr. t. 927, pari data, non pubblicato. (2) -Non si pubblica.
16 IL MINISTRO A MADRID, CORTI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 28. Madrid, 31 dicembre 1867 (per. il 6 gennaio 1868).

Affine di mettere l'E. V. in grado d'apprezzare le gravi parole pronunziate da S. M. la Regina nel discorso della Corona (l) è mestieri che io Le esponga in quale stato trovansi le relazioni fra l'Italia e la Spagna in faccia a questi partiti politici.

V. E. conosce le circostanze nelle quali seguì la riconoscenza del Regno d'Italia. O' Donnell stava al potere alla testa della Unione liberale. Sentendosi debole volle fare alcuni atti che fossero per conciliargli l'appoggio del partito progressista. E fra gli altri mise innanzi la riconoscenza del Regno d'Italia. La Regina resistette quanto poté, i neo-cattolici strepitarono, il partito moderato s'oppose gagliardamente, e la proposta non passò che per pochi voti al Senato. Questa ric6tloscenza non si effettuò adunque che per una manovra parlamentare del Maresciallo O' Donnell, e a dispetto della Corona e di tutti i partiti presenti. O' Donnell non riesci ad attirare i progressisti, cadde, e poco appresso passò al riposo eterno. Narvaez gli succedette col partito moderato e si consolidò al potere coll'energia ne' pericoli e la moderazione nel trionfo. Ora !"Unione liberale è in istato di dissoluzione. I progressisti sono profughi ed assenti. II Ministero non si trova adunque in presenza che dei neo-cattolici i quali d'altra parte possiedono tutte le simpatie della Corte, e non nascondono le loro speranze di assumere in un avvenire non lontano le redini dello Stato. Il Ministero volle adunque, vestendo i panni dei neo-cattolici, rendersi più accetto alla Corona. Ma v'ha di più. Questa solenne manifestazione in favore della Santa Sede non portava alcun pregiudizio agl'interessi materiali dello Stato. La Spagna aveva messo alla disposizione dell'Imperatore di Francia tutte le sue forze per la difesa del Santo Padre. Però la Francia, divenuta ad un tratto sua alleata ed amica, l'aveva declinate, e gli ultimi fatti avevan pel momento posto fine a quella lotta. Perché adunque non darsi la soddisfazione di proclamare al mondo questo atto d'energia e di divozione al Capo della Religione Cattolica? Ed il Ministero introdusse nel discorso quelle parole che furono lette dalla Maestà della Regina con tanta emozione, e che furono accolte con applausi dai neo-cattolici.

Io non saprei dunque scorgere in quelle parole una prova di recrudescenza dei sentimenti ostili verso l'Italia, ma piuttosto il risultato della situazione presente de' partiti e del desiderio del Ministero di conciliarsi l'animo della Regina profondamente commosso dai recenti avvenimenti d'Italia.

Aggiungerò alcune parole sull'accoglienza che l'opinione pubblica fece al discorso. Alcuni deplorarono il paragrafo relativo alla questione Romana, trovandolo soprattutto eminentemente inopportuno, e questi sono soprattutto gli uomini assennati, i quali comprendono quanti interessi morali e materiali uni

scono l'Italia e la Spagna. Molti biasimarono severamente le tendenze clericali dominanti in tutte le sue parti, poiché vi si professa apertamente il progetto di aumentare l'influenza del clero nelle cose civili. Avrà egli consolidato la posizione del Ministero? Sarebbe presuntuoso da parte mia di pronunziare un giudizio sopra un problema che in !spagna è sempre avvolto nel mistero, e riceve le soluzioni più imprevedute. Però ho voluto sottomettere all'E. V. le impressioni che ho raccolte da conversazioni avute in questi giorni con persone versatissime in queste materie, ed Ella ne farà, nella sua saggezza quel caso che giudicherà opportuno.

Ieri ho ricevuto il dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore di rivolgermi il 22 del presente (Politico n. 8) Cl), relativo alla residenza del Generale Prim nel Regno. Non mancherò di far valere a tempo opportuno la prova per esso fornita del desiderio del Governo del Re di coltivare buone relazioni con quello di S. M. Cattolica.

(l) Cfr. n. 15.

17

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 532. Firenze, 1° gennaio 1868, ore 13,15.

J'ai soumis vorte dépèche particulière à Sa Majesté (2). J'y répondrai incessamment.

Tout ce que je vous dis pour le moment c'est que le Gouvernement français est dans une complète erreur à notre égard. Il ne doit attribuer qu'à son attitude envers nous le sentiment de défiance que l'opinion publique en Italie semble manifester envers la France.

J'attends toujours la communication officielle, comme vous me l'avez annoncée, que Malaret doit me faire en termes satisfaisants au sujet du discours de M. Rouher.

18

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 18. Pietroburgo, 1° gennaio 1868 (per. il 9).

Malgrado le difficoltà che il Governo Francese ha incontrato per la realizzazione del suo progetto di conferenza sulle cose di Roma, e malgrado la fredda accoglienza che le principali potenze hanno fatto a tale proposizione, sembra che non si sia dismessa a Parigi l'idea di potere in un tempo più o meno breve arrivare allo scopo prefisso. Una circolare infatti diretta il 24 dicembre dal

Marchese di Moustier agli Inviati di Francia presso le grandi potenze ritorna su tale argomento dicendo in sostanza come il Governo delle Tuileries sia grato a quei Gabinetti che si adoperano affinché la sua proposta potesse mettersi ad effetto ed in quanto al programma che dovrebbe servire di base alla discussione ripete il già detto altra volta che cioè il compito delle potenze dovrebbe essere quello di trovare un accomodamento tale da permettere la coesistenza dell'unità Italiana, alla quale la Francia si dichiara favorevole, e della sovranità del Papa che gli è necessaria per l'esercizio della sua autorità spirituale giacchè chi non è sovrano è suddito. Il Ministro degli Affari Esteri di Francia continua dicendo che la conferenza sarebbe pur utile si riunisse affine di porre colle sue deliberazioni un freno al partito rivoluzionario che coll'agitarsi che fa in Italia mette a repentaglio la pace d'Europa, e permettere così al partito conservatore, che così numeroso esiste negli Stati di S. M. il Re, di esercitare la sua azione liberamente con interesse di tutti. Nulla si dice circa il tempo in cui si vorrebbe vedere riunita la conferenza o si vorrebbero vedere iniziate le preliminari trattative, volendosi lasciare una tale decisione all'epoca in cui gli avvenimenti avranno preso un indirizzo tale da fare presagire che il convegno possa aver luogo con buona speranza di successo.

Tale sarebbe, secondo quanto mi diceva il Cancelliere dell'Impero, il sunto della circolare Francese della quale il Barone di Talleyrand gli dava lettura ieri. Il Principe Gortchacow ripetè all'Ambasciatore francese quello che già più volte gli aveva detto che cioè non sembravagli che l'Europa riunita in congresso sarebbe riuscita a fare opera seria e di esecuzione possibile atteso il divario enorme che passa fra le idee manifestate a Roma e quelle che ancora una volta, nella recente discussione parlamentare si erano, con forme è vero differenti, palesate esistere nelle menti della quasi unanimità degli Italiani. Se il Governo Russo non volesse consultare che il suo proprio interesse di potenza non cattolica dovrebbe certamente vedere con piacere che il Papa continui a godere della potestà temporale giacchè questa anzi che giovargli per l'autorità spirituale serve, al contrario, a diminuirne il prestigio specie quando lo si vede costretto a ricorrere, per sostenersi, all'aiuto straniero, e finirà molto probabilmente per recare gran danno al cattolicismo; d'altro canto però la stessa sua posizione di potenza non cattolica impone alla Russia il dovere di andare guardinga nel discutere questioni che non la interessano così da vicino come altre potenze e ciò potrebbe fare solo quando si avesse la speranza di poter giungere ad un componimento accettabile da ambo le parti contendenti il che non è il caso presente. In quanto poi a quello che il Marchese dì Moustier dice intorno alla necessità di contenere il partito rivoluzionario non poteva a meno il Principe Gortchacow di fare osservare al Barone di Talleyrand che la condotta della Francia in questi ultimi tempi lunghi dall'essere tale quale sarebbe necessaria per ottenere un simile scopo, aveva avuto risultato affatto opposto servendo piuttosto a spingere una gran parte del partito moderato Italiano piuttosto verso le idee di coloro che desiderano il compimento della unità nazionale con i mezzi violenti anzi che a rafforzare il partito dell'ordine e della conciliazione il quale non aveva potuto quasi mantenersi al potere quantunque esso pure dichiarasse serbare intatto il programma nazionale e solo volesse pel compimento di esso aspettare occasione propizia e valersi di mezzi legali.

In una parola l'opinione del Gabinetto di Pietroburgo non è affatto cam

biata, come l'E. V. potrà accorgersene da per sé, ed il Cancelliere dell'Impero,

malgrado questo nuovo tentativo del Governo di Francia ritiene la conferenza

essere impossibile perché inutile e la considera come un progetto appartenente

al dominio della storia e di cui non debbasi più parlare.

L'Ambasciatore di Francia si mostra, come è naturale, poco soddisfatto della accoglienza fatta dal Principe alla Circolare del Suo Governo e senza entrare in molti particolari sulla risposta, si limita a dire che gli fu ripetuto ciò che già molte volte eragli stato detto e che appunto per ciò non vale nemmeno la pena che sia riferito al Governo della Tuileries. Aggiunge il Barone di Talleyrand che ciò è tanto più spiacevole in quanto che le disposizioni del Governo Inglese sono ora tali da fare sperare che esso accetterebbe la conferenza proposta. I dati mi mancano per verificare se tale asserzione abbia un qualche fondamento, o non sia piuttosto uno di quei maneggi che abbiamo veduto ripetersi, sebbene infruttuosamente, così soventi in questi ultimi tempi, allo scopo di tentare di indurre le varie potenze ad accettare la conferenza.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 14.
19

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 31. Madrid, 3 gennaio 1868 (per. l'B).

La camera dei deputati ieri presentò uno spettacolo edificante di unione e di pietà. L'ordine del giorno portava la discussione dell'indirizzo in risposta al discorso della Corona. Il Signor Nocedal s'alzò pel primo a parlare in nome suo e del partito neo-cattolico di cui è capo, e disse esservi una quistione immensa, che abbraccia tutto il mondo, in paragon della quale tutte l'altre scompaiono, la quistione di Roma e d'Italia, d'essa sola parlerebbe, e pel resto riserverebbe la sua libertà d'azione. Egli dichiarò riconoscere il Sommo Pontefice come norma suprema delle cose di questa terra, tenere scolpite nel cuore le massime del Sillabo, rallegrarsi che il congresso sia per dare una prova unanime di rispetto e d'obbedienza alla Santa Sede che rappresenta il diritto contro la forza, la giustizia contro l'iniquità, la legittimità contro l'usurpazione, l'autorità contro la rivoluzione epperò esprimere la sua profonda gratitudine per le magnifiche parole pronunziate da S. M. la Regina, ed al Governo per averle inspirate, ed approvare completamente il progetto di risposta.

Il Signor Catalina, che gli succedette, si limitò a rivendicare pel partito moderato tutti gli atti più cospicui occorsi in Spagna in favore del potere temporale della Santa Sede.

Il regolamento non permette nella discussione dell'indirizzo che un discorso in favore ed uno contro. Due discorsi essendo stati pronunziati, sebbene entrambi in favore, essa era dunque esaurita. Il Signor Gonzales Bravo prese allora la parola e fece un'eco eloquente alla fervide espressioni del Signor Nocedal in favore del Santo Padre, aggiungendo rendergli in nome suo e di tutta la Spagna vive grazie d'aver dimenticato tutte le altre quistioni onde unirsi in questa

6 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

altissima che a tutte l'altre sovrasta, e rallegrarsi che la tanto calunniata Spagna fornisca al mondo la prova che nel grandi pericoli havvi una santa ispirazione, un grande scopo nei quali tutti i suoi figli si trovano uniti.

Il Signor Nocedal replicò poche parole di riconoscenza per le dichiarazioni del Governo e si passò alla votazione. 161 Deputati votarono in favore, 3 contro, e questi sono il Marchese Sardoal, noto Carlista, e due sconosciuti.

Lascio all'E. V. di apprezzare questa seduta che è senza dubbio caratteristica della posizione politica di Spagna in questo momento ...

20

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. 43. Firenze, 4 gennaio 1868.

Rendo infinite grazie alla S. V. delle relazioni fattemi circa la quistione del Montenegro (1), quistione fra tutte le altre pericolosissima come quella che potrebbe essere scintilla che accenda un vasto e spaventoso incendio nel continente ottomano europeo.

Contemporaneamente alle di Lei lettere, ho ricevuto altre relazioni sullo stesso argomento tanto da Scutari che da Zara. Confermano quelle notizie ciò ch'Ella mi ha riferito sulle dimande sporte dal Principe Nicola; ed i ragguagli contenuti in quei rapporti rappresentano lo stato attuale della vertenza come assai grave, dappoichè, non astante le istanze del Console francese di Scutari e del Governatore Generale della Dalmazia, l'uno e l'altro appositamente recatisi a Cettinje, il Principe avea ricusato di recedere dalle sue prime pretese.

È gran tempo, com'Ella sa, che il Montenegro aspira ad a vere libero uno

sbocco al mare. Le sofferenze di quel paese negli anni di carestia e quando alla

Porta piace d'impedire il libero transito dei grani diretti alla Tchernagora,

non sono fatti ipotetici, bensì tristi realtà delle quali s'ebbero parecchi dolorosi

esempi. Le necessità imperiose della vita spinsero il più delle volte gli abitanti

della montagna a scendere a guerreggiare per procacciarsi i1 necessario sosten

tamento; e queste guerre che sinora non furono che l'effetto di moti parziali e

limitati potrebbero più tardi essere cagione o pretesto di più gravi avvenimenti.

Pare certo che anche coi Montenegrini la Porta dovrebbe seguire il partito

più conciliativo, togliendo di mezzo il pericolo di più o meno prossimi conflitti.

Così operando il Governo del Sultano dimostrerebbe di saper fare un giusto

apprezzamento delle critiche circostanze presenti le quali, in ragione delle diffi

coltà che si affacciano, debbono consigliare la maggiore arrendevolezza possi

bile al Divano Imperiale.

Questi sentimenti io Le esprimo non perchè creda conveniente che la S. V.

si adoperi attivamente nel senso di appoggiare ·con qualche pratica diretta

le pretese del Principe Nicola, ma perchè Ella sappia quali sarebbero gl'inten

dimenti del Governo del Re qualora dovesse emettere una sua opinione al riguardo.

Dopo gli ultimi atti diplomatici fatti dalle Potenze, non è presumibile si voglia in questa circostanza tentare alcun'azione collettiva; non reputo quindi necessario prevedere simile caso. Ritengo però che ove una siffatta eventualità dovesse verificarsi, Ella non ometterà d'informarmi diligentemente d'ogni cosa, affinchè io possa esaminare sino a qual punto gli atti che si vorrebbero tentare, non sono in opposiziOne coi termini della dichiarazione che unitamente alla Francia, alla Prussia ed alla Russia abbiamo presentato recen~ temente alla Porta.

(l) Cfr. n. 4.

21

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. CIFRATO 44. Firenze, 4 gennaio 1868.

Les rapports que j'ai reçus récemment du littoral autrichien contiennent des nouvelles fort inquiétantes.

L'envoi en mission à Cettinje du Gouverneur Général de la Dalmatie est un indice de quelque importance dans les circonstances actuelles. Vous savez qu'on attribue à l'Autriche l'idée de s'emparer du Monténégro qui est une des clefs des provinces Slaves de la Turquie. On fait très positivement des armements le long du littoral autrichien, et de nombreux officiers de l'Armée autrichienne sont envoyés en mission soit en Bosnie, soit en Herzégovine. On me cite le nom d'un de ces officiers appartenant à l'état major qui serait parti de Zara avec un passeport du consulat ottoman.

Quand on connait toutes les difficultés que l'on rencontre à voyager dans les provinces turques indiquées ci-dessus, pendant cette rude saison, on ne peut qu'attacher quelque importance à ce que je viens de vous signaler.

22

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 32. Madrid, 4 gennaio 1868 (per. il 9).

Ieri il Signor Benavides diede le~tura al Senato del progetto d'indirizzo in risposta al discorso della Corona. Siccome già ebbi l'onore di far presentire all'E. V. esso è concepito in termini assai più liberali di quello dei Deputati, ed il paragrafo relativo alla Questione Romana dice come segue:

«Che se i tristi avvenimenti d'Italia, sebben previsti, hanno aumentate le tribolazioni del Santo Padre, il Senato, O Signora, ha piena confidenza nelle parole pronunziate dalla Maestà Vostra, ed è convinto che il suo Governo, d'accordo ed unitamente con quello di Francia, sarà per dare l'appoggio morale e la più efficace cooperazione alla Santa Causa del Pontificato tanto combattuta nei tempi attuali».

Del resto l'importanza di questi indirizzi è minima in paragone delle gravissime parole pronunziate dal Trono, e sulle quali sto aspettando le apprezziazioni dell'E. V., nonché le istruzioni che credesse per avventura di darmi in proposito.

Unisco al presente il testo del progetto d'indirizzo del Senato nonché il resoconto della discussione della Camera dei Deputati... (l).

23

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 207. Vienna, 5 gennaio 1868 (per. il 9).

La promulgation des lois organiques de l'Empire et la formation du Ministère cis-leithanien viennent de mettre le sceau à la première partie de l'oeuvre de réorganisation que cette monarchie a dù entreprendre, après la déroute complète subie au dehors et au dedans par l'ancien parti clérical, féodal et militaire qui avait si longtemps et si malheureusement dirigé ses destinées.

L'édifice de l'Autriche nouvelle n'est pas achevé, mais les assises en sont jetées, et cela sur des bases qui ne sont autres que la libre volonté des populations, soit allemandes soit hongroises. Les deux races les plus libérales et les plus puissantes par leur cohésion qui existent dans la monarchie sont satisfaites et réconciliées, pour la première fois dans ce siècle, et les expressions variées de ce contentement sont aussi vives que possible. Sans doute, les principes seuls sont posés, et les applications entraineront des difficultés considérables, mais ce n'en est pas moins un fait d'une grande conséquence pour la situation extérieure de l'Autriche, que la confiance dans l'avenir et la conscience d'avoir à remplir une carrière nouvelle soient devenues générales dans les deux grandes moitiés de l'Etat.

Il est impossible de ne pas rendre justice au libéralisme sincère, à la fermeté patiente, à l'intrépide et allègre franchise d'allures par lesquelles M. de Beust a mérité son succès actuel. Pendant les premiers mois de son administration, on a pu croire que la réconciliation de la Hongrie n'était recherchée par le Gouvernement Impérial que comme un moyen, peut etre transitoire d'arriver à disposer avec sécurité des ressources de la Hongrie, en danger d'étre paralysées par les menées solidaires de la Prusse et du parti Kossuth, et à les employer pour une revanche contre la Prusse. Le langage des hommes de la vieille Autriche, quelques paroles échappées au ressentiment encore tout palpitant de la famille Impériale, les assertions enfin de l'Ambassade de France pouvaient faire craindre que ce Gouvernement-ci devint tout simplement un compagnon d'aventures pour la France dans les projets belliqueux qu'on prete universellement à celle-ci.

Le Gouvernement du Roi a reçu en effet cette impression par les dépeches où le Comte de Barrai reproduisait avec sa parfaite fidélité les doutes ayant cours sur le caractère pacifique de la politique autrichienne et sur la valeur intrinsèque des réformes entreprises à l'intérieur. J'ai moi-meme entendu des personnages ayant appartenu aux anciennes administrations et le Due de Gramont surtout parler du dualisme, comme d'un expédient momentané, sans autre valeur pratique que celle d'une tentation de nature à durer juste assez pour franchir une période de paix européenne qui ne pouvait à leurs yeux qu'etre très courte. Or les faits ont prouvé que c'était mal juger la reconstitution des deux grandes moitiés de la monarchie. Il est vrai qu'une grande incertitude pèse toujours sur le maintien de la paix en Europe et que MM. de Beust et Andrassy ont dù faire dans leurs actes, nommément à Salzbourg et à Paris, une part à des prévisions de guerre trop naturelles; mais il est certain que les populations allemandes et hongroises appelées à vivre de leur vie propre, et à exercer sur les décisions du Gouvernement la pression puissante de l'opinion publique légalement représentée, ne pourront plus, sans des crises mortelles pour l'empire, etre ramenées aux anciennes combinaisons despotiques et ne se laisseront pas, dans l'état de liberté qu'elles ont conquis, entrainer aisément à une politique d'aventures surtout avec une puissance qui entrerait en lutte contre la nation allemande. Le besoin de paix qu'éprouvent les populations de l'Empire depuis Sadowa, s'est imposé de plus en plus à la politique de ce Gouvernement à mesure que le courant norma! des opinions et des tendances publiques est venu animer le nouvel organisme de la monarchie, qui n'avait vécu, depuis sa transformation au lendemain d'Austerlitz que de théories de cabinet appuyées par la force militaire, la bureaucratie et l'antagonisme systématiquement entretenu des races. Aujourd'hui ce sont les hommes de 1848, les illustrations des barricades de Vienne et de l'insurrection hongroise qui sont au pouvoir à Vienne et à Pesth, sincèrement acceptés du souverain instruit par de rudes leçons, et forts de l'appui intelligent des grandes majorités modérées et libérales. La monarchie est devenue plus solide, car il s'y est formé, chose sans précédent pour elìe, un esprit public qui soutient et vivifie le mécanisme de ses institutlons; et en meme temps qu'elle s'est faite plus forte, elle est devenue plus pacifique.

J'ai assez touché, dans ma correspondance, aux difficultés administratives et financières que les lois organiques actuelles laissent à résoudre, et aux complications qui peuvent naitre de ce que la part de la race slave n'est pas encore faite dans le systhème nouveau, pour que V. E. ne me soupçonne pas d'optimisme. Je persiste à penser, avec des hommes compétents, que la Hongrie ayant irrévocablement limité ce qui doit lui revenir des charges de la dette de l'Empire, et la part de cette dette affectée à la partie cis-leithanienne étant exorbitante en égard surtout à l'impossibilité reconnue d'accroitre encore les impòts, l'Autriche devra, en eXJpiation de ses erreurs passées, subir la honte de manquer en partie à ses engagements envers ses créanciers. Il n'est d'autre part que trop évident que si les slaves de la Bohème isolés de leurs frères, sans instruction, sans richesse, disséminés au milieu d'une population allemande qui a pour elle toutes les forces de civilisation depuis les universités jusqu'aux usines, n'ont guère d'autres puissance d'opposition que celle que leur prete le parti clerical et féodal qui les exploite, il en est tout autrement des ruthènes de la Gallicie et des slaves des provinces de la Couronne de St. Etienne, plus compacts, voisins des slaves soit de la Russie soit de la Turquie et en communication immédiate avec eux, et travaillés par la double influence des propagandes russes et des mécontentements serbes, bosniaques etc. Quant aux polonais de la Gallicie, ils peuvent etre un embarras parlementaire dans quelques cas à cause de leurs tendances cléricales, mais ils ne sont point des ennemis politiques intérieurs, sachant bien que si la Pologne a encore un espoir, c'est dans l'Autriche. La question des slaves de l'Est et du Sud, tel est donc l'unique danger sérieux de l'Autriche à I'intérieur.

Si je résume ici ces faits qui ne peuvent rien contenir de nouveau pour V. E. c'est que la politique extérieure de M. de Beust en découle tout naturellement. Tandis qu'au point de vue organique et administratif intérieur, les hongrois travaillent avec la haute coopération du Chancelier de l'Empire, à un accord avec la Croatie (le comte Andrassy me disait récemment qu'il compte sur deux tiers de vois favorables dans la diète d'Agram), l'action de la diplomatie autrichienne continue à etre dirigée principalment sur l'Orient dans un but de conservation et de défense. A cet égard comme en ce qui concerne l'attitude diplomatique de ce Gouvernement envers la France et la Prusse, je dois confirmer entièrement a V. E. le contenu de la dépeche politique N. 163 (l) où j'exposais, sur sa bienveillante invitation, les chances de paix et de guerre, telles qu'elles se présentent d'ici à mes observations. La situation est demeurée la meme.

(l) Non sl pubbllcano.

24

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 208. Vienna, 5 gennaio 1868 (per. il 9).

Il Barone di Beust mi disse oggi essere state fatte di recente al Governo Serbo dall'Inghilterra e dalla Francia del1e esortazioni e delle rimostranze per indurlo, nel proprio interesse, a contribuire sinceramente al mantenimento della tranquillità nel suo territorio e sulle frontiere di esso.

L'Inghilterra, a quanto mi disse il Cancelliere dell'Impero, fece in tale occorrenza una dichiarazione opportunissima, e dalla quale l'Austria si era astenuta solo per non dare nuovi pretesti alle accuse che le si dirigono d'agire nelle cose d'Oriente con mire ambiziose. Questa dichiarazione fu, che la Serbia doveva rammentarsi che la sola guarentigia della propria esistenza come Stato autonomo consiste precisamente nella guarentigia europea della integrità della Turchia; e che ove essa rompesse i legami che la fanno tutt'ora partecipare a tale integrità, non potrebbe più imputare se non a se stessa le conseguenze che ne potrebbero derivare a danno della sua indipendenza.

(l) Non pubblicato.

25 L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 211. Vienna, 5 gennaio 1868 (per. il 9).

Il Signor Bratiano, inviato in missione dal Governo Rumeno, venne ieri da me e mi annunziò che egli si recherà fra poco a Firenze. Uno degli scopi principali della sua missione è di far prevalere l'idea dell'abolizione della giurisdizione Consolare nei Principati (l).

Sono in grado di far noto a V. E. che questo Governo Imperiale è di parere in tal argomento che i Governi Europei, pei quali quella giurisdizione è un onere più che un privilegio, vi rinunzieranno di buon grado quando i Principati avranno saputo organizzare ordini giudiziari tali da ispirare fiducia e da somministrare sufficienti guarentigie (2), ma che nell'attuale condizione di cose quella fiducia e quelle guarantigie non esistendo è forza che continui l'esercizio della giurisdizione Consolare (3). Tuttavia il Governo Austriaco è disposto a recare nella presente competenza della giurisdizione Consolare qualche modificazione atta ad incoraggiare il Governo Rumeno nelle sue riforme ed a dargli una prova del buon volere dell'Austria. Egli, per esempio, mantenendo come è naturale la competenza del Console nelle vertenze che interessano i soli suoi Nazionali, ammetterebbe che i Tribunali locali giudicassero delle cause miste, pendenti cioè tra un Rumeno ed uno straniero, purchè un Delegato del Consolato intervenga nel processo con attribuzioni e prerogative da determinarsi.

* (4) La stessa questione della giurisdizione Consolare essendo sorta in Egitto, come V. E. ben volle farmi noto con interessanti estratti di Dispacci di cui a debito tempo Le segnai ricevuta, fu proposto di tenere a Parigi una conferenza per studiare un progetto d'istituzione di Tribunali locali composti di Europei. Il Barone di Beust ed il Sotto-Segretario di Stato mi dissero ambedue che siccome i Consoli in Alessandria dovrebbero naturalmente essere designati per rappresentare i loro Governi in quella Conferenza, così proposero di tenerla a Parigi perchè questo riuscirebbe loro più aggradevole, ma che sarebbe assai più naturale che la Conferenza avesse luogo in Alessandria ove gli elementi degli opportuni studi sarebbero ad immediata disposizione di essa. Avendo chiesto se si ammetterebbe che una nazionalità, per esempio la Francese, dovesse somministrare una parte sproporzionata del personale di quei futuri Tribunali (5), mi si rispose che vi si dovrebbe assicurare una rappresentanza proporzionata e numericamente equa delle nazionalità interessate; ma che in generale si hanno tuttora qui gravi dubbi sull'opportunità di una simile innovazione.*

(-4) Il brano fra asterischi è edito in LV 21, p. 15.
(l) -Annotazione a margine: «MI pare che la cosa si tratti più direttamente dal Gabinetto». (2) -Annotazione a margine: «Sicuro». (3) -Annotazione a margine: «Benissimo». (5) -In LV 21 questo periodo è così modificato: «Avendo chiesto se l'Austria ammetterebbe un sistema in cui alcune nazionalità fossero rappresentate nel futuri trlbunall In proporzione delle altre ... ».
26

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 535. Firenze, 6 gennaio 1868, ore 11.

Je vous prie d'insister de nouveau sur les explications que doit me donner

M. de Malaret au sujet du discours de M. Rouher, relatif au Roi. Si je reviens si souvent sur cet incident, c'est qu'il peut avoir des conséquences plus graves que vous ne l'imaginez (1).

27

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 949. Parigi, 6 gennaio 1868, ore 16,10 (per. ore 17,40).

J'ai été de nouveau chez Rouher et chez Moustier.

J'ai vivement insisté au sujet des explications que d'après la promesse faite Malaret doit vous donner. Moustier vient de me dire à l'instant qu'il va télégraphier à Malaret pour qu'il vous donne explications promises. Je ne me dissimule pas gravité de l'incident et je pense comme je vous ai déjà écrit, qu'il peut conduire à une rupture. J'attends vox instructions à ce sujet et je suis prèt à Ies exécuter complètement et immédiatement.

28

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE 51. Firenze, 6 gennaio 1868.

Poichè il Gabinetto fu testé ricostituito, credo utile di farle brevemente conoscere le fasi e l'andamento della crisi ministeriale per tal guisa superata.

Ella conosce, Signore, la situazione creata dal voto emesso, nella seduta del 22 Dicembre, dalla Camera dei Deputati. Quel voto aveva fornito ai partiti la occasione di nettamente disegnarsi, e le spiegazioni, che dalle varie frazioni della rappresentanza nazionale se ne erano anticipatamente date, riuscirono a dimostrare che il gruppo più considerevole del Parlamento era appunto quello che aveva riunito attorno ad un programma ben determinato, i 199 voti francamente e senza restrizione favorevoli al Ministero. Gli altri gruppi invece, la cui somma oltrepassò di due voti soltanto quella che a mala pena potrebbe dirsi minoranza, riconobbero essi stessi l'inferiorità numerica delle frazioni di oppo

ste tendenze che si erano momentaneamente combinate in una manifestazione negativa, e la deficienza assoluta di omogeneità nella maggioranza, più fittizia che reale, la quale ne era risultata. E sarebbe invero difficile attribuire al ritiro successivo dei varii ordini del giorno, proposti e sviluppati dai partiti in varia misura avversi al Ministero, altro significato all'infuori della coscienza che di gran lunga minore era il numero dei voti che ciascuno di quegli ordini del gorno aveva probabilità di raccogliere.

Intanto il Ministero aveva creduto, in seguito al voto del 22 dicembre, di rassegnare le proprie dimissioni. Nondimeno la Corona, volendo provvedere a codesta condizione di cose, stimò che la somma del potere dovesse tuttavia rimanere nelle mani di quel partito il quale era rappresentato, nella Camera, dalla frazione più considerevole, e nel Senato dalla quasi unanimità dei suffragi. Epperò, ossequiente ai cenni del Re e devoto agli interessi del paese, accettai l'onorevole ma difficile incarico che era piaciuto alla Maestà Sua di riconfermarmi nell'attuale congiuntura.

A fronte delle gravi difficoltà, cosi interne come esterne, che ci si affacciavano, parve a me ed agli uomini che mi prestarono efficace sussidio, che si dovesse mantenere inalterato l'indirizzo del Governo, ma che nel tempo stesso si dovesse rafforzare il potere tentando di ravvicinargli alcuno fra i partiti parlamentari. Tra i varii gruppi di cui ebbe a risultare la maggioranza che vinse il voto del 22 Dicembre, quello in cui comprendevasi la parte maggiore della deputazione piemontese sembrò a noi che porgesse miglior probabilità di successo per un tentativo di conciliazione. Quel gruppo conta infatti nel suo seno buon numero di quegli uomini che ebbero parte rilevante nell'opera del nostro rinascimento nazionale; il programma di quel partito, essenzialmente liberale e conservatore ad un tempo, non differisce per nulla da quello che è proprio della parte parlamentare la quale si pregia di continuare le tradizioni per cui s'è costituita l'Italia; all'infuori di pochissimi punti di dissenso, i quali riflettono piuttosto giudizii intorno ad atti passati anziché l'indirizzo futuro del Governo, la deputazione piemontese divide appieno gli intendimenti nostri circa il pronto assetto che vuolsi dare alle pubbliche finanze, e la riorganizzazione più semplice, e quindi più economica e più spedita, delle varie amministrazioni. Codeste ,considerazioni mi indussero a caldamente adoprarmi allo scopo di effettuare una combinazione la quale avesse per risultato di associare all'opera del Governo l'influenza e la pratica capacità di taluno fra i membri più cospicui di quel partito. Malgrado le fondate speranze che eransi in sul principio concepite in ordine a siffatta combinazione, alla riuscita della quale cosi i miei antichi colleghi come io stesso sa,remmo stati lieti, all'uopo, di contribuire togliendo di mezzo le nostre persone, ove fossero state d'ostacolo, il tentativo fallì a cagione degli scrupoli suscitati da impegni dai quali il partito cui ci eravamo rivolti non estimò di poter prescindere.

Si fu allora che, volendo continuare nella linea che, per necessità costituzionale, io aveva dovuto prefiggermi, e persistendo d'altra parte, i Ministri Gualterio, Mari e Provana nel proposito di rittrarsi dal posto che avevano accettato volonterosi in gravi frangenti, io mi diressi, per averne il concorso, a quello stesso partito che aveva validamente appoggiato e fatta sua la politica del Ministero. Sua Maestà degnassi, sulla mia proposta, di nominare rispettivamente a Ministri dell'Interno, di Grazia e Giustizia e della Marina, il Senatore Carlo Cadorna, il Cavaliere De Filippo ed il Contro-Ammiraglio Riboty.

La modificazione parziale subita dal Ministero, cui ho l'onore di presiedere, non ne muta punto l'indirizzo quale io ebbi l'occasione di ripetutamente traeciarlo in pubblica occasione. Havvi però un argomento speciale sul quale stimo dover richiamare fin d'ora l'attenzione di Lei.

La circostanza del non essersi peranco votato il bilancio, pel quale l'esercizio provvisorio scade con tutto il mese corrente, pone il Governo in una situazione anormale. Epperò, all'oggetto di ristabilire nel loro assetto gli ordini governativi, è anzitutto necessario che, mediante la votazione dei bilanci, la quale deve avere la precedenza sopra ogni altro oggetto, si porga all'Amministrazione il modo di regolarmente funzionare. Tale è la preoccupazione precipua del Ministero, e tale è il sistema che noi intendiamo di risolutamente propugnare innanzi alle Camere. Noi pur confidiamo che il Parlamento saprà comprendere la gravissima responsabilità di una qualsiasi deliberazione la quale togliesse l'efficacia legislativa alla riscossione dei pubblici tributi. Il patriottismo dei rappresentanti della nazione è, agli occhi nostri, una guarentigia che non si vorrà certo porre a repentaglio, in momenti difficili, la sicurezza stessa dello Stato con una risoluzione la quale riuscirebbe un fatto senza precedenti negli annali parlamentari dei paesi retti, come noi, a forme costituzionali. La calma e la tranquillità, in cui il paese si rimase malgrado recenti eccitamenti, durante la crisi testé attraversata, ci porgono fiducia che, con tali intendimenti, noi interpretiamo giustamente l'immensa maggioranza della pubblica opinione, la quale aomanda un governo forte ed mdinato.

(l) Per la risposta cfr. n. 27.

29

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A :MADRID, CORTI (l)

D. 9. Firenze, 6 gennaio 1868.

Il discorso pronunziato da S. M. la Regina di Spagna, il 27 dicembre u.s. in occasione dell'apertura del congresso legislativo spagnuolo, conteneva le seguenti frasi: «Ci fu facile mantenere e stringere vieppiù le buone relazioni che ci uniscono a tutte le Potenze amiche. Quanto agli ultimi e per vero tristi avvenimenti d'Italia, che hanno minacciato per alcuni giorni la sicurezza dei domini pontifici e perfino la persona del S. Padre, la Spagna ha potuto, come in altre occasioni, assumere rispetto al Pontificato l'iniziativa e l'attitudine che si convengono ad una Potenza eminentemente cattolica, offrendo all'Imperatore de' Francesi, nostro amico ed alleato, *i mezzi della nostra cooperazione morale, nonché* (2) il concorso delle nostre forze pel caso che giudicasse opportuno d'impiegarle nella difesa dei legittimi diritti della S. Sede. Invitati a riunirei ad

una conferenza europea affine di garantire in modo stabile siffatta legittimità, il mio Governo, interpretaado fedelmente i più radicati sentimenti della nazione, non ha esitato a prestarsi ad una proposizione tanto soddisfacente~

vdue precedenti istruzioni a Lei conferite sulla condotta che noi intendiamo serbare nelle nostre relazioni con le Potenze estere circa la questione romana, Ella avrà potuto ben comprendere come l'annunzio di una offerta fatta dal Governo della Regina nello scopo di cooperare colle forze di S. M. l'Imperatore de' Francesi alla protezione del territorio Pontificio, dovea riuscire sommamente penoso al Governo del Re.

Le spiegazioni spontanee e concilianti che furono date a V. S. Illustrissima dal Signor Ministro di Stato, allorché trattassi dell'invio d'una nave da guerra spagnuola nelle acque di Civitavecchia, ci davano invero diritto a sperare che il Governo della Regina non sarebbesi dipartito, in sì delicata quistione, dalla riserva precedentemente impostasi e generalmente tenuta da altre Potenze cattoliche che trovavansi in una posizione identica a quella della Spagna.

Noi avevamo infatti solennemente e ripetutamente dichiarato che l'Italia sarà pronta sempre a garentire al Capo supremo della Cattolicità tutta l'indipendenza necessaria per l'esercizio del suo divino ministerio, e a circondare quindi la Sede pontificia di tutto quello splendore e di tutte quelle immunità che sono richieste per raggiungere un sì alto fine. Avevamo inoltre manifestato la nostra ferma intenzione di opporci a qualunque atto violento, ed impedire ogni tentativo di aggressione extralegale contro gli attuali domini del S. Padre. Nutrivamo dunque fiducia che queste nostre dichiarazioni dovessero pienamente rassicurare tutte le coscienze cattoliche.

Ma in quanto ai possessi territoriali del Governo pontificio, in quanto all'esercizio del diritto che compete ai Romani di conseguire un governo che soddisfaccia alle loro legittime aspirazioni, il Governo del Re non può riconoscere in alcuna estera Potenza la facoltà d'immischiarsene.

La Francia avea in Roma una posizione eccezionale. La Monarchia Italiana allorché fu costituita trovò l'occupazione francese già esistente da parecchi anni. Ella, dovette tener conto di questo fatto, e *nel solo scopo di * (l) farlo cessare si decise a conchiudere col Governo di S. M. l'Imperatore dei Francesi una convenzione che stabiliva fra i due paesi obblighi reciproci.

Non è qui il luogo d'indagare le cause che dal punto di vista della Convenzione istessa abbiano potuto giustificare (2) il secondo intervento francese nel territorio della Santa Sede. Esse formano in questo momento il principale oggetto di preoccupazione del Governo del Re.

Ma il Governo del Re non esita a dichiarare che esso non potrebbe né ammettere né tollerare qualsiasi intervento di altra estera Potenza nel territorio pontificio.

Il Governo di S. M. la Regina sa che l'Italia è animata da sentimenti di sincero e leale affetto verso la nobile nazione spagnuola (3). Il Governo del Re desidera e farà dal canto suo tutti gli sforzi che da lui dipendono per restringere

vie maggiormente i buoni rapporti felicemente esistenti fra i due Stati, ma esso non potrebbe in nessun caso consentire che venisse recata in Italia una si grave offesa al principio di non intervento, nella tutela del quale sono impegnati il suo onore nazionale ed i suoi più vitali interessi.

Ella è autorizzata Signor Conte, a dar lettura al Ministro di Stato del presente dispaccio (1).

(l) -Ed. In LV 14, pp. 30-32. (2) -Le parole fra asterischi sono omesse In LV 14. (l) -In LV 14, invece delle parole fra asterischi, «per». (2) -In L V 14 «determinare ». (3) -Fin qui ed. in MIKO, vol. I, pp. 394-395.
30

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 540. Firenze, 7 gennaio 1868, ore 18.

Le baron de Malaret est venu ce matin de la part du Gouvernement impérial me dire que dans les paroles prononcées par M. Rouher au Corps législatif il n'y a eu ni pu y avoir aucune intention offensante pour le Roi; le Gouvernement impérial témoigne le sincère regret qu'une telle interprétation se soit accréditée; le baron de Malaret a en m eme temps exprimé, au nom de son Gouvernement, les sentiments de la plus grande bienveillance pour le Roi et l'Italie.

J'ai télégraphié cette communication à Sa Majesté qui se trouve à S. Ros-· sore et j'attends sa réponse pour savoir si l'on doit considérer cet incident comme terminé.

Par cette occasion je vous préviens que le député Grattonl part demain pour Paris portant les pleins pouvoirs pour la signature de la convention relative à la percée des Alpes. Veuillez en prévenir le Gouvernement français pour que tout soit prèt pour la signature à l'arrivée de M. Grattoni.

31

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 130. Berlino, 7 gennaio 1868 (per. il 12).

Je me suis empressé de communiquer au Gouvernement Prussien le télégramme du 6 Janvier (2), annonçant la reconstitution du Ministère sous la Présidence de V. E. Cette nouvelle a produit ici la meilleure impression, et j'ai entendu émettre les voeux les plus sincères pour que la nouvelle administration se consolide de plus en plus.

La réussite des efforts de V. E. inspire une juste confiance dans l'avenir, pour ce qui concerne du moins les relations de l'Italie avec l'étranger. La Prusse,

comme tous les autres Gouvernements, a un puissant intérèt au maintien de la paix. Sous ce rapport, les discours prononcés par l'Empereur Napoléon, au nouvel an et lors de la réception du Comte de Goltz en qualité d'ambassadeur de la Confédération du Nord, ont été également envisagés comme des symptòmes d'un heureux augure. Ce sont plus que des paroles, puisqu'elles constatent le fait de la reconnaissance, sans réserve, d'un nouvel ordre de choses surgi en Allemagne, en dehors des prévisions de la France. Il est mème assez curieux de remarquer que cette reconnaissance implique celle, en quelque sorte, de la constitution de cette fédération; or, l'article 79 traite de l'admission éventuelle des Etats du Sud, ou de l'un d'eux, dans la Confédération. On accepte donc ici ce gage des bonnes dispositions du Cabinet des Tuileries et on s'abstiendra soigneusement de procéder à un acte quelconque de nature à froisser les susceptibilités du chauvinisme. Ainsi, non seulement le Cabinet de Berlin ne pousse pas à une extension de territoire au delà du Mein, mais je sais d'une manière positive

que il a repoussé des avances qui lui ont été faites dans ce but par le Gouvernement Badois.

Il ne reste pas moins beaucoup à faire pour éloigner toutes les inquiétudes, toutes les défiances. La situation générale ne les justifie que trop, et il ne dépend pas seulement de l'Empereur Napoléon de les apaiser. Personne ne met en doute son désir d'éviter la guerre. Mais est-il, ou restera-t-il assez le maitre chez lui, pour dominer les passions belliqueuses de l'armée et les intrigues des partis, qui lui ont déjà gagné la main au corps législatif dans une circonstance mémorable? On n'est nullement rassuré à cet égard, surtout en présence du langage d'une partie de la presse. D'ailleurs, sans parler de l'organisation militaire renforcée, les armements au delà du Rhin se poursuivent sur un pied tel, qu'il serait par trop naif de ne pas soupçonner des arrière-pensées. Les hommes d'Etat de ce Pays se rendent parfaitement compte des difficultés que rencontre le Gouvernement français dans sa politique intérieure, mais à son tour il devrait comprendre que la Prusse, elle aussi, doit ménager les sentiments patriotiques de ses populations, de ses confédéres, non moins que de l'opinion publique dans le Sud de l'Allemagne. A cet égard, sa tiì.che sera très délicate lors de la prochaine réunion du Parlement Douanier. Malgré un plan bien arrèté de veiller à ce que cette Assemblée ne s'écarte pas de sa compétence, le Gouvernement Prussien ne pourra empècher un travail tout nature) d'infiltration, de propagande unitaire, entre des députés élus par le suffrage universel, libres de tout mandat officiel de la part des différents Gouvernements, et qui appartiendront en grande majorité, par la nature mème des matières économiques sur lesquelles ils seront appelés à délibérer, à cette école imbue des idées libérales et nationales. Le Comte de Bismarck, gràce à son prestige personnel, espère réussir dans son ròle modérateur, mais ce ne sera qu'à la condition que le Gouvernement Français ne vienne pas lui susciter des obstacles, et ne prononce pas entre autres un jamais, qui appliqué ici mettrait le feu aux poudres. Ce Gouvernement devrait en outre préparer dès à présent l'opinion publique à se soumettre au développement naturel des événements en Allemagne à moins de vouloir se briser contre la force des choses.

Les relations entre la Prusse et l' Autriche se so n t également améliorées d'une manière très sensible. On sait gré à l'Empereur François Joseph de ses déclarations réitérées de s'abstenir de toute politique de rancune. Le Cabinet de Berlin n'admet pas qu'il existe entre l'Autriche et la France une alliance, dans la véritable acception du mot. Peut ètre sait-il que le Baron de Beust aurait décliné de se prèter à des insinuations ayant pour but de I'induire à réclamer de la Prusse l'exécution de ses engagements pour la rectification des frontières au nord du Schleswig. Le titre Iégal d'immixtion faisant défaut à la France, elle eut été bien aise qu'un autre ouvrit la brèche en son lieu et piace. Le fait est que le Danemark a fort peu d'espoir d'arriver aujourd'hui à une solution, mais, si je suis bien informé, il agit en vertu d'un conseil reçu de Paris; à savoir celui de poursuivre Ies négociations sans rien brusquer, de laisser en un mot la question ouverte.

Quoi qu'il en soit, lors mème qu'on n'aurait pas ici une confiance absolue vis-à-vis de l'Autriche, il convient au Comte de Bismarck de se montrer satisfait et de ne rien négliger, pour empècher, ou du moins pour retarder, le mouvement qui pourrait l'entrainer vers la France. Pour le moment, les circonstances intérieures de l'Empire, si rudement éprouvé par la aermere guerre, donnent lieu à supposer qu'il ne cherchera pas à accroltre 1es causes ae perturbation qui fermentent en Europe.

C'est plutòt du còté de l'Orient qu'on redoute l'm·age. On ne veut pas admettre que la Russie veuille hic et nunc résoudre par la violence une question aussi compliquée, aussi Iongtemps du moins que il ne se présentera pas en Occident une diversion favorable à ses vues. En attendant, elle s'applique, mème par la voie de la publicité, à conserver son influence sur les populations chrétiennes. Mais il ne faut pas oublier que l'Orient s'agite par lui mème, et que l'exemple de I'insurrection permanente dans l'ile de Crète pourrait d'un jour à l'autre gagner d'autres Provinces. L'Autriche elle mème alors, comrne sa presse officieuse le laisse entendre, devrait prendre position dans ces qu'elle considère cornme ses intérèts vitaux, surtout vers la Servie, la Bosnie et l'Herzégovine. Le Cabinet de Berlin s'attache à exercer une pression modératrice. Je sais que le Roi de Prusse a écrit dans ce sens à l'Empereur Alexandre en se prévalant des sentiments d'amitié qui ne se démentent pas un seul instant entre ces deux Cours.

Je n'ai pas besoin d'ajouter que la Prusse est également dans les meilleurs termes avec l'Angleterre. Cette entente a été démontré de la manière la plus évidente, lors des négociations entamées par la France pour la réunion d'une conférence sur la question romaine.

Je me résume. Les apparences sont devenues moins belliqueuses, mais le fond reste le mème. Les problèmes à résoudre sont toujours là, mais chaque Puissance craint de frapper le premier coup et redoute les conséquences d'une guerre. Nous avons ouvert le nouvel an, camme nous avons fini l'année, dans le trouble moral et dans la confusion politique. Le réthorique officielle des compliments de circonstance, quelque sincères qu'ils soient, ne saurait donner une sereine confiance.

(l) -Con t. 560 del 15 gennaio Menabrea dette istruzioni a Corti di non lasciare al Ministro d! Stato copia del dispaccio. (2) -Non pubblicato ma cfr. n. 28.
32 IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI MENABREA (l)

R. 131. Berlino, 7 gennaio 1868 (per. il 12).

J'ai pris lecture aujourd'hui * chez M. de Thiele * d'une circulaire du Marquis de Moustier datée du 24 Décembre. *Elle lui avait été apportée par le Comte de Goltz, qui a fait une courte apparition ici pour consulter une célébrité médicale. Soit dit en passant, il s'est beaucoup loué de l'Empereur Napoléon et de son Gouvernement, à l'occasion de la remise de ses lettres de créance camme Ambassadeur de la Confédération du Nord.

Dans la circulaire précitée, * le Marquis de Moustier prend acte de l'accueil sympathique fait à ses démarches pour la réunion d'une conférence sur les affaires de Rome. Le Cabinet de Paris n'a aucunement modifié sa manière de voir. Le langage de M. Rouher, quelque vif, quelque accentué qu'il ait été à la Séance du Corps législatif du 5 Décembre, était conforme aux déclarations antérieures de l'Empereur et de son Gouvernement. Il n'entre pas plus dans ses idées de permettre une dépossession du Pape, que de porter atteinte à l'intégrité du Royaume d'Italie. Dans le but de rechercher une conciliation sur ces bases, le Cabinet des Tuileries s·est mis en communication avec nous. Ses ouvertures ont été favorablement accueillies à Florence, et on compte sur la modération de notre Gouvernement. Oa espère dès lors parvenir à formuler un programme, qui servirait de base aux négociations entre les Puissances. Quand cet accord sera complet, la France se réserve d'en rèférer avec les autres Cabinets.

La Prusse *se le tient pour dit, et * attend par conséquent des communications ultérieures. C'est là au reste une question à laquelle elle n'alme pas toucher. Elle préférerait de beaucoup une abstention complète. *Camme le Roi Guillaume l'a dit à un de mes collégues, ce n'est qu'à san corps défendant qu'elle a participé aux pol'rp['rlers préliminaires dont la France a pris l'initiative. Il lui répugnait de se prononcer dans une affaire, qui de près ou de loin pourrait amener une guerre religieuse.

Dans cet entretien, M. de Thiele m'a demandé, d'une manière tout à fait particulière, si je recevrais à man tour des lettres royales qui m'accréditeraient auprès du Roi, en sa qualité de Chef de la Confédération (2). On ne demandait pas la réciprocité, mais on la verrait avec plaisir. Je me suis référé au télégramme de V. E. du 15 décembre dernier (3), dont je m'étais empressé de donner connaissance au Gouvernement Prussien. Je me permets dane d'insister pour la prompte expédition de mes lettres de créance.

J'ai l'honneur d'accuser réception des dépéches n. 47 et 48, Série Politique, Cabinet (1), et de remercier V. E. des documents diplomatiques y joint, du

n. 349 au n. 365. Ci joint une lettre particulière pour V. E. *.

(l) -Ed., ad eccezione del brani fra asterischi, in LV 14, p. 28. (2) -Con t. 537 del 7 gennaio Menabrea aveva comunicato che Usedom aveva presentato il 5 le credenziali che lo accreditavano come inviato della Confederazione del Nord. Le analoghe credenziali per Launay furono firmate dal Re il 12 gennaio (t. 552, non pubblicato). (3) -Cfr. serie I, vol. IX n. 678, nota l, p. 571.
33

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 214. Vienna, 7 gennaio 1868 (per. il 12).

Le Général Ignatieff, arrivé ici avant-hier, vient de repartir hier soir pour Saint Pétersbourg.

D'après son langage et celui du Comte de Stackelberg, les constellations ne sont pas favorables aujourd'hui à l'affranchissement des chrétiens d'Orient, et la Russie doit leur donner ainsi qu'aux puissances qui lui sont amies, l'Italie surtout, le conseil de se fortifier, de s'organiser et d'attendre.

Quoique l'Empereur Napoléon ait dernièrement dit au Baron de Budberg qu'il ne comprenait pas qu'on fut mécontent du Livre Jaune à Pétersbourg et qu'il ne cesserait pas de marcher d'accord avec l'Empereur Alexandre dans les affaires d'Orient, les deux Ambassadeurs constatent que l'entente Franco-Autrichienne dans les Affaires d'Orient ressort non seulement des affirmations à peine voilées de M. de Beust, mais de faits tels que les démarches identiques des Agents français et autrichiens à Belgrade et à Cettigne, le mauvais vouloir de M. Outrey, 1es affirmations de M. de Gobineau que son Gouvernement ne s'occupe plus des Crétois, etc. etc.

L'expédition française à Rome est régardée par les deux diplomates russes comme ayant eu entre autres buts de paralyser l'action extérieure de l'Italie, l'arnie naturelle des nationalités orientales.

L'Angleterre fait appuyer la pression des Consuls de France et d'Autriche à Belgrade, chose plus importante en tout cas que son consentement tardif à accepter Paris pour siège d'une Conférence pour la révision de la juridiction consulaire en Egypte, par une sorte de courtoisie pour dédommager la France de son échec dans le projet de conférence pour la question romaine.

A tous ces signes la diplomatie russe parait reconnaitre que le moment

n'est pas favorable aux espérances d'émancipation politique des chrétiens

d'Orient.

La publication des correspondances de la Chancellerie russe et de ses Agents

sur les questions des Principautés, de Serbie et de Candie, inspirée au Cabinet

de Pétersbourg par le désir de prouver que l'action de sa diplomatie a été

toujours conforme à ses déclarations publiques et qu'il n'a pas cessé de chercher

à s'entendre franchement avec les autres Gouvernements européens, n'a pas

été du gout du Général Ignatieff, qui dit qu'elle a, à ses yeux, l'inconvénient de pouvoir faire croire à tort à des desseins d'action prochaine. Pendant que les personnages que je viens de nommer s'expriment ainsi, le Baron de Beust triomphe visiblement.

Ce n'est pas sortir du sujet que de relater ici deux faits dont les Agents autrichiens ont informé leur Gouvernement, l'un, c'est que les réfugiés Crétois, femmes et enfants, en proie à un dénouement lamentable et à una prostitution monstrueuse, embarrassent de plus en plus le Gouvernement hellénique; l'autre, c'est que ce méme Gouvernement, après des négociations conduites par l'intermédiaire de l'ex-ministre Grivas avec des brigands qui exploitaient audacieusement la Phocide et l'Acarnanie, les aurait décidés moyennant des conditions déterminées, à se transporter à Candie.

(l) Non pubbllcatl.

34

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R.216. Vienna, 7 gennaio 1868.

Da rapporti diplomatici pervenuti qui da Roma emergono informazioni che credo non inutile di trasmettere come indizii a V. E.

Il Governo pontificio, in vista della proposta francese di una conferenza, non si è limitato ai soliti lamenti e proteste, ma ha determinato in linguaggio diplomatico il suo terreno per le eventuali discussioni cui sarebbe chiamato ad intervenire. Questo terreno strettamente legale, secondo le espressioni del Cardinale Antonelli, è in quanto concerne il Governo pontificio, l'integrità del suo dominio territoriale anteriore alla guerra del 1859; ed in quanto concerne il Governo italiano, l'esecuzione del trattato di Zurigo.

Si tenta in Roma, come già si tentava un anno fa, di accreditare la previsione di torbidi che scoppierebbero appena i Francesi avrebbEro sgombrato il territorio pontificio. Ma i suaccennati rapporti affermano che gli uomini d'azione sono, come è ben naturale, scor.:~ggiati dalla impotenza in cui si trovarono di creare un movimento serio in Roma allorquando le disposizioni della Francia erano almeno problematiche e quelle dell'Italia decisamente favorevoli; e che essi non sono punto disposti a ricominciare co.sì presto. Tutto al più si verificheranno atti isolati più o meno inquietanti come scoppi di bombe ecc. ecc.

Una parte del corpo diplomatico in Roma sarebbe stata indotta ad argomentare, dalla condotta degli agenti segreti del Governo Francese, i quali fin dall'origine degli attqali avvenimenti furono in istretta 'relazione coi membri del partito d'azione, che il Governo francese volea dapprima lasciare che si compisse il movimento, e solo mutò completamente consiglio verso il 22 o 23 ottobre, o che esso desiderava di avere un motivo di porre nuovamente un piede in Italia e perciò spinse indirettamente i capi del movimento, convinti del suo tacito consenso, a somrninistrargliene occasione.

Il Conte di Sartiges implorò di recente la clemenza del Pontefice per certo De Dominicis ricercato ora dalla giustizia pontificia ed esposto nello stesso tern

<-Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

po alle vendette del partito d'azione, perché avrebbe rivelato le mene del comitato centrale, di cui era membro, ad un agente segreto di Governo francese, il quale cumulava con tali funzioni una posizione ostensibile presso l'Ambasciata di Francia.

Continuano perquisizioni in Roma. Ne fu fatta una nel palazzo Colonna, parte del quale è occupata dall'Ambasciata di Francia. Il Conte di Sartiges non oppose alcuna difficoltà a che si visitassero le caves et greniers, tuttavia disse ad alcuno a tal proposito: «Le parti catholique en France n'est content que lorsque la Cour de Rome est libre d'insulter impunément l'Ambassadeur de la seule puissance qui la protège ». Il Conte di Sartiges perdurerebbe dal suo canto a dispensarsi da ogni ritegno nei suoi colloqui col Papa col Cardinale Antonelli e con Monsignor Berardi.

Si sa benissimo a Homa che il Gabinetto delle 'l'uileries, mentre si prevale presso il Santo Padre della spedizione francese e del discorso di Rouher per reiterare sempre i previsti consigli di riforme a cui si risponde con altrettanti previsti rifiuti, l'Imperatore Napoleone nei suoi colloqui coi rappresentanti dell'Inghilterra, della Prussia e della Russia, fa lntenaere, con quei ~ono emgmatico ben noto da chiunque lo avvicinò, che sull'eccitamento dei corpi rappresentativi francesi e sul contegno preso dai suoi ministri, ebbero grande influenza le circostanze del momento e gli « errori » del Governo Italiano. La Corte romana non ha ripreso fiducia nell'Imperatore dei Francesi; solo considera la politica che egli segue attualmente come una conseguenza della sua impotenza a resistere ai cattolici francesi egregiamente capitanati dai loro Vescovi.

Ho creduto dovere raccogliere per V. E. sperando che Le riescano di qualche utilità, quegli indizi, le cui fonti sono autorevoli, ma al tutto confidenziali.

35

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 541. Firenze, 8 gennaio 1868, ore 11,45.

Ayant fait connaitre au Roi la communication (l) que M. de Malaret m'a fait au nom de son Gouvernement au sujet du discours prononcé par M. Rouher. Sa Majesté me répond que les paroles de M. Malaret peuvent suffire pour mettre fin à l'incident. Toutefois Sa Majesté désire que au besoin on puisse Ies rendre publiques, ce qui, je le pense ne peut trouver d'obstacle auprès du Gouvernement français, et qui pourrait se faire, le cas échéant, par une communication de la dépéche écrlte que je vous adresse aUJourd'hul à ce sujet (2). Veuillez toutefois vous en assurer; hier je vous ai transmis succinctement, mais exactement ce que m'a dit M. de Malaret. Maintenant que le Ministère est reconstitué, je suis à méme de donner une réponse à votre lettre particulière que vous savez, mais j'attends pour le faire le retour du Roi.

(l) -Cfr. n. 30. (2) -Cfr. n. 38.
36 IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

·r. 956. Parigi, 8 gennaio 1868, ore 19,30 (per. ore 21 J.

Je crois que le Gouvernement impérial ne peut pas mettre obstacle à la publication de la dépéche dont vous me parlez (l) et qui émane de vous, mais je crois également qu'il verrait cette publication avec regret. Il est évident que si j'en parle à Moustier il nous engagera a ne pas le faire et en ce cas la publication aurait plus de gravité que si elle avait été faite sans rien dire. Une communication verbale au Parlement me semble préférable. J'attends un mot de vous (2) avant d'en parler à Moustier.

37

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 545. Firenze, 8 gennaio 1868, ore 23,35.

Vous recevrez samedi matin une dépéche qui annonce la fin de l'incident Rouher (3). Je l'ai faite lire à Malaret qui a constaté l'exactitude de ce qui y est rapporté. Il ne peut y avoir aucun inconvénient à la lire à la Chambre des députés si l'on fait une interpellation à ce sujet camme il est probable. Il serait méme impossible de s'y refuser; c'est pourquoi j'en ai pesé tous les termes de manière à ce qu'elle ne puisse donner lieu à réclamations. Il ne s'agit point de demander au marquis de Moustier l'autorisation de la lire; mais de le prévenir que l'on sera probablement obligé de la faire connaitre. La Chambre ne se réunissant que samedi prochain vous avez le temps de me faire parvenir votre avis.

38

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (4)

D. 309. Firenze, 8 gennaio 1868.

Il Barone di Malaret è venuto jeri a farmi la comunicazione ch'Ella mi aveva annunciato col suo telegramma del 6 (5).

Egli aveva incarico di porgermi, a nome del suo Governo, spiegazioni intorno alle parole pronunziate dal Signor Rouher in seno al Corpo Legislativo di Francia le quali avevano ferito la giusta suscettività del paese ed alle quali riferivasi il mio dispaccio del 9 dicembre p.p. <1).

L'Inviato di Francia mi dichiarò che nelle parole del Ministro di Stato non era, né aveva mai potuto essere intenzione di recare offesa a S. M. il Re ed espresse a nome del suo Governo il sincero rincrescimento perché una tale interpretazione avesse potuto accreditarsi.

Il Barone di Malaret colse poi questa occasione per *rinnovare l'attestazione della sincera amicizia che S. M. l'Imperatore ed il suo Governo professano e * (2) verso S. M. il Re e verso l'Italia.

Ringraziai il Ministro dell'Imperatore per la fattami comunicazione della quale mi recai a premura di far conoscere i termini a S. M. il Re. Sua Maestà accolse volentieri queste spiegazioni, colle quali può ritenersi esaurita una tale spiacevole vertenza. Informando V. S. della cosa, affinché Ella possa averne norma pel suo linguaggio... (3).

(l) -Cfr. n. 35. (2) -Cfr. n. 37. (3) -Cfr. n. 38. (4) -Ed. in LV 14, p. 27. (5) -Cfr. n. 27.
39

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 311. Firenze, 9 gennaio 1868.

Il Barone di Malaret venne, alcuni giorni or sono, da me per intrattenermi, a quanto mi sembrò in forma particolare, delle cose di Roma.

Senza rannodare il suo discorso ai negoziati ufficiali ch'ebbero luogo testé tra i due Governi intorno a quest'argomento, ed anzi senza fare il benché menomo cenno della proposta conferenza, il Ministro di Francia si fece senz'altro a toccare il vivo della questione romana. Egli mi espresse anzitutto la convinzione che sarebbe opportuno di non abbandonare la soluzione di questa vertenza alle passioni di partiti estremi ed al contraccolpo cui potessero porger luogo future complicazioni. L'azione di siffatte influenze disordinate o fortuite falserebbe necessariamente l'indirizzo della questione e non sarebbe certo di tal natura da affrettarne una conveniente soluzione. E sarebbe invero opera imprudente e men degna se la quistione romana, nella quale deve esclusivamente esplicarsi l'efficacia dei principi si lasciasse o travolgere dalla forza cieca della violenza o subordinare allo svolgimento d'altre vertenze europee.

L'Inviato Imperiale convenne meco che Francia e Italia dovrebbero approfittare delle condizioni di calma in cui trovansi ora fortunatamente gli spiriti

<< J'ai reçu votre dépéche n. 309 contenant !es explicatlons données par Malaret. Cette dépeche me parait de nature à pouvoir etre Iue sans inconvén!ent à la Chambre ».

per ricercare una soluzione equa e conforme ad un tempo alla retta ragione ed alla politica convenienza.

Il Barone di Malaret conchiuse la sua conversazione impegnando il Governo del Re a riflettere ed a formulare qualche progetto concepito in tal senso e con tale intendimento.

S. E. il Ministro distratto da urgenti occupazioni mi dà incarico di riferire a V. S. la sostanza del colloquio che io ebbi col Rappresentante di Francia. Egli bramerebbe conoscere con certezza se il Barone di Malaret è autorizzato a fare entrature consimili ed in ogni caso s'egli è interprete esatto del pensiero del Governo Imperiale.

Già pregai V. S. col telegrafo (l) di volersi confidenzialmente informare in proposito presso il marchese di Moustier e non dubito ch'Ella avrà modo di fornirci a tal riguardo sollecite indicazioni.

Il Governo del Re, V. S. non l'ignora, è pienamente convinto de' pericoli creati dalla situazione incomposta di una quistione così delicata e così ardente qual'è la quistione romana. E neppure da noi si sconosce l'assoluta convenienza che la soluzione sia preparata con quella serenità di giudizio della quale sono condizione indispensabile l'assenza d'ogni passione e d'ogni estranea preoccupazione. Ma per questo appunto è nostro vivo desiderio di avere sin d'ora la certezza delle buone disposizioni del Governo Francese ( 2).

(l) -Cfr. serie I, vol. IX, n. 669. (2) -In LV 14, invece del brano fra asterischi: «dirsi autorizzato a rinnovare l'attestazione del benevoli sentimenti dai quali il Governo imperiale è animato». (3) -Nigra telegrafò 1'11 gennaio (t. 960):
40

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. 45. Firenze, 10 gennaio 1868.

Il Ministro di Turchia venne ieri da me per intrattenermi delle cose di Candia.

Egli mi espose l'andamento della riforma amministrativa intrapresa da

S. A. Aali Pascià nell'isola, e mi fece conoscere la portata pratica delle concessioni dal medesimo consentite.

Rustem-Bey mi disse che la pacificazione si fa sempre più generale, e che oramai la resistenza contro l'autorità del Sultano è in massima parte di pochi volontarii stranieri, i quali nelle · aspre montagne dell'interno, ove trovansi ridotti, non potranno che per brevissimo tempo continuare la lotta. La Sublime Porta, soggiunse l'inviato ottomano, deplora nell'interesse stesso dell'umanità, che la Russia stimi di continuare l'imbarco dei I?rofughi candioti, i quali secondo i rapporti giunti a Costantinopoli, versano poi in Grecia, ove sono trasportati, in miserevoli condizioni. Per guisa che il Governo del Sultano deve necessariamente ravvisare in quel fatto che ha pur tuttavia per effetto di incoraggiare e di agevolare la rivolta nell'isola, un sintomo di quelle men buone dispo

sizioni per parte del Governo dello Czar, che la Turchia è costretta a constatare nell'azione della politica russa in altre provincie dell'Impero.

Rustem-Bey conchiuse il suo dire dolendosi del contegno in cui si mantiene la Grecia verso la Turchia, ed enunciando la previsione che siffatto contegno possa condurre ad una rottura tra i due Governi.

Le informazioni che, come a V. S., così furono pur fornite a me dal R. Vice Console alla Canea, non coincidono guari colla esposizione dei fatti quale mi fu presentata del Rappresentante ottomano. Ond'è ch'io mi limitai a ringraziare Rustem-bey della sua comunicazione.

Stimo però utile di porgere a V. S. questo cenno del mio colloquio coll'Inviato della Sublime Porta, per sua semplice notizia personale. Trasmettendo n. 5 documenti diplomatici, ed accusando ricevuta del dispaccio n. 70... (1).

(l) -T. 538 del 7 gennaio, non pubblicato. (2) -Per la risposta cfr. n. 55.
41

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 604. Parigi, 10 gennaio 1868 (per. il 15).

Quali sono le disposizioni presenti del Governo francese verso l'Italia, quali le sue idee, quali i mezzi che può proporsi per attuarle? Come è possibile, per la Francia non meno che per l'Italia, d'uscire dalla situazione creata dagli uì.ti.mi eventi nella Penisola e dalla nuova occupazione francese che ne fu la dolorosa conseguenza?

Prima di rispondere a questi quesiti giova esaminare lo stato presente dei partiti in Francia, sotto il punto di vista della questione romana.

Due grandi partiti si dividono l'opinione pubblica in Francia a questo riguardo: il partito liberale o d'opposizione, e il partito clericale, o reazionario che dir si voglia. Queste denominazioni non sono del tutto esatte, perché il partito che si chiama liberale relativamente alla questione romana racchiude elementi molto diversi e d'altra parte il partito che ho chiamato clericale racchiude in sé molte frazioni che rispetto alle altre questioni hanno tendenze liberali. Tuttavia, in mancanza d'una denominazione più esatta, mantengo quella che ho indicata come la migliore ch'io possa trovare per esprimere la verità delle cose.

Il partito liberale o dell'opposizione è formato principalmente dalle classi operaje di Parigi e delle grandi città della Francia, e da una parte del ceto medio delle città e delle campagne.

L'altro partito comprende le popolazioni rurali, il clero tutto quanto, le classi più elevate, e tutti i Corpi costituiti dello Stato. Il partito liberale ha organi eloquenti nella stampa ed alla pubblica tribuna. Non v'è dubbio che l'opposizione da qualche tempo si è rinforzata nel

Corpo legislativo e nel paese. Molti sintomi d'opposizione vanno manifestandosi qua e là nelle scuole, nei teatri e in altri pubblici ritrovi. È possibile che ad un dato momento questo partito sia capace di tentare una grande e radicale rivoluzione. Ma è cosa certa ch'esso è assolutamente incapace di esercitare la menoma azione sulle risoluzioni del Governo in questo momento.

Invece il partito, che rispetto alla questione romana ho chiamato clericale, ha un'azione efficace, continua, potentissima sulla condotta del Governo. Non bisogna farsi illusione. È questo il partito che ora guida il Governo; è di questo partito sopratutto che conviene tener conto.

Ciò posto, passo ad esaminare le disposizioni del Governo francese relativamente all'Italia.

L'invasione garibaldina negli Stati pontificj, susseguita dall'occupazione francese che ne fu la conseguenza inevitabile, porta gli amari suoi frutti. Scossa, se non spenta, la fiducia nella fede pubblica del Governo del Re; il credito morale e materiale del nostro Stato sceso al di sotto di ogni credibile misura; nell'interno lo sconto dell'oro crescente di giorno in giorno in gravi proporzioni; il disordine nell'amministrazione, la discordia nei partiti; l'umiliazione, l'irritazione, l'incertezza negli animi; il Ministero, che assunse in circostanze disperate il grave e patriottico incarico di condurre in salvo la cosa pubblica, incagliato ad ogni passo nel Parlamento e fuori. In mezzo a tutto ciò, una visibile tendenza in alcuni partiti a cercare la soluzione della questione romana, non già in una politica di ordinamento e di buona amministrazione interna, ma in alleanze e guerre contro la Francia, o negl'imbarazzi interni ed esterni in cui potesse essere involto il Governo francese. In presenza di una tale situazione non fa meraviglia se il Governo francese si sia fatto questo ragionamento: «La Francia non può permettere che l'Italia s'impadronisca di Roma. Ora, se l'unità d'Italia non è possibile senza Roma, si sacrifichi l'unità d'Italia. Se la Francia deve contare sull'ostilità dell'Italia alla prima opportunità, la Francia s'assicuri dell'Italia, o la renda impotente».

Ho concretato in questo sillogismo conciso ed energico la conclusione delle idee che tentano farsi strada nell'animo del Governo imperiale e che, a dir vero, sogliano pigliare nella loro espressione una forma più mite e più temperata senza che muti però il fondo. Finché dura la vita del Papa attuale, ed a meno che il Papa stesso cambiasse, per miracolo, d'opinione, è cosa per me di tutta evidenza che l'Imperatore Napoleone, messo nell'alternativa, per lui dolorosa, di scegliere fra il mantenimento del potere temporale ne' suoi limiti presenti, e il mantenimento dell'unità italiana, non esiterebbe a pronunciarsi in favore del potere temporale. Dirò di più: esso preferirebbe forse di tollerare la bandiera prussiana sul ponte di Kehl, al vedere la bandiera italiana sventolare sulla minima bicocca pontificia. Prima dell'invasione garibaldina, un'insurrezione interna in Roma che fosse opera spontanea di Romani avrebbe forse potuto mutare i termini della questione e provocare una soluzione nel senso nazionale. Ma ora, anche questo fatto non gioverebbe a nulla, attesoché sarebbe considerato qui come la conseguenza del moto provocato al di fuori. La condotta che il Governo francese può proporsi di seguire rispetto all'Italia è di due sorti, secondoché esso crederà o non crederà di poter contare sopra un accordo col Governo del Re. Esaminerò prima questa seconda ipotesi.

A quanto mi si assicura, il Governo francese agisce in questo momento a Berlino per assicurarsi delle disposizioni del Governo prussiano. I dispacci giunti da Berlino al Governo imperiale assicurano che l'Italia ha tentato il Governo prussiano per un'alleanza eventuale. Non so quanto vi sia di vero in ciò. Ma ben so che i dispacci dell'Ambasciata di Francia a Berlino lo dicono espret>samente e ripetutamente.Questi medesimi dispacci, non che il linguaggio tenuto qui dal Conte di Goltz non lasciano dubitare che il Governo prussiano abbia fatto alla Francia dichiarazioni rassicuranti intorno alla questione romana. Il Governo francese si mostra soddisfatto dell'attitudine presente della Prussia. Finché quest'attitudine del Governo prussiano perdura, il compito della Francia in Italia si limiterebbe a conservare la guarnigione di Civitavecchia ed a lasciare che i partiti proseguano nella loro opera di dissoluzione nella Penisola. Non cr,3do che la Francia incoraggerebbe apertamente un tentativo di restaurazione borbonica a Napoli; ma non vi si opporrebbe. Senza agire direttamente, il Governo imperiale avrebbe cura di lasciar comprendere ch'esso non è opposto ad una tale ristaurazione. Basterebbe che s'ingenerasse questa credenza, della quale i borbonici saprebbero trarre tutto il partito possibile, perché sorgesse un vero pericolo, non dirò già per l'unità dell'Italia, ma per la sua tranquillità interna. Questa idea d'una ristaurazione borbonica in Napoli fa visibili progressi in Francia. Nei circoli e nei saloni se ne parla come d'evento possibile, che può diventar prossimo. L'emigrazione napoletana che finora si stava qui umile e dimessa comincia a muoversi. Finora non è che un cambio di voti e di desiderj; domani possono cominciare le cospirazioni e gl'intrighi. Il Gabinetto e la Corte di Madrid soffiano in questa cenere per destarci l'incendio in casa.

Che se cambiassero le disposizioni del Gabinetto di Berlino, se una guerra diventasse inevitabile tra la Prussia e la Francia, non può esservi dubbio che la Francia, prima che le ostilità s'aprissero, piglierebbe verso l'Italia un'attitudine più decisa. In tale caso il Governo francese vorrebbe o assicurarsi dell'Italia, o provocare nella Penisola uno stato di cose tale da paralizzarne interamente l'azione. Il concorso armato della Spagna in previsione di tali circostanze è fin d'ora assicurato alla Francia. Tutto ciò nell'ipotesi in cui la Francia non voglia o non possa mettersi d'accordo coll'Italia per far cessare lo stato presente delle cose. Una tale politica è certamente piena di pericoli per la Francia. Tentar di disfare ciò che si è contribuito a fondare, agire contro i proprj principli, combattere i risultati della propria politica, è cosa arrischiatissima e dannosissima per la dinar;tia imperiale. L'Imperatore Napoleone non si dissimula la gravità d'una tale situazione. Ma, ciò nonostante, ho tutte le ragioni di temere che il Governo francese, nelle circostanze sopra indicate, agirebbe nel senso che ho esposto, se non senza rimpianto, per servirmi d'un'espressione del Marchese di Moustier, certamente senza esitazione.

Una politica reciprocamente ostile in Italia ed in Francia peggiorerebbe

senza nessun dubbio la posizione dell'Imperatore Napoleone e della sua dinastia.

Potrebbe anche accadere che una tale politica, se le cose della Francia preci

pitassero, contribuisse efficacemente alla rovina della dinastia imperiale. Ma

più penso a questa eventualità, più mi persuado che l'Italia ha un grande interesse ad evitare una tale catastrofe. Nessun altro Governo in Francia ci sarà altrettanto amico quanto lo fu quello dell'Imperatore Napoleone. La repubblica in Francia non appoggerebbe certo l'unità monarchica in Italia. Quanto alla politica che sarebbe seguita verso l'Italia dal partito orleanista, se venisse al potere, non voglio fare pronostici intempestivi. Ma il linguaggio del Signor Thiers e dei seguaci suoi parmi in verità poco confortante per noi.

Passo all'ipotesi della possibilità d'un accordo tra l'Italia e la Francia. Il Governo imperiale dichiara che non vuole la guerra e che lo scopo di tutti i suoi sforzi è il mantenimento della pace in Europa. Ciò ammesso, non potrebbe essere questione d'un'alleanza offensiva tra la Francia e l'Italia. Quale adunque può essere la base di un accordo fra i due Governi?

A mio avviso, il più savio partito sarebbe di tornare puramente e semplicemente al regime della Convenzione del 15 Settembre. Questa reintegrazione dello stato di cose anteriore agli ultimi eventi dovrebbe essere accompagnata da un programma di neutralità assoluta e d'astensione da ogni complicazione estera per parte del Governo del Re, astensione che permetterebbe in Italia l'opera così necessaria dell'ordinamento dell'amministrazione interna e delle finanze. Rimane a sapere se il Governo francese troverebbe in questo programma quelle guarentigie di sicurezza che egli dice necessarie perché possa richiamare la sua guarnigione dagli Stati pontificj. È probabile che forse un progetto d'impegno reciproco d'alleanza difensiva e di guarentigia dell'unità del Regno d'Italia quale è ora costituito andrebbe più a seconda delle tendenze del Governo imperiale. Non esaminerò per ora un tale progetto. Ma fin d'ora mi permetto d'esporre all'E. V. il mio avviso personale ch'è interamente nel senso della preferenza da darsi al sistema del ritorno al regime della Convenzione, se è possibile. Dico: se è possibile; perché io credo che gli ostacoli saranno qui molti e gravi, e saranno insuperabili se la tranquillità, l'ordine e l'operosità nell'organizzazione interna dell'Italia non si sostituiranno presto al disordine, all'agitazione e alle discordie dei mesi scorsi. Riconosco che anche in Italia un tale programma incontrerà serie difficoltà, giacché è vano lo sperare che la Francia voglia ora chiedere o possa ottenere concessioni dalla Santa Sede; cosicché il ritorno all'antico stato di cose è in realtà un peggioramento nelle nostre condizioni. Ma, per quanto io posso giudicare, per noi non v'è altra scelta che quella di precipitare gli eventi che possono condurre l'Italia alla rovina ed alla dissoluzione, o di ripigliare modestamente, ma con fermezza e con animo perseverante ed inflessibile, l'opera interrotta di sciogliere la questione romana coi mezzi morali. Quest'opera è lenta, laboriosa, difficilissima, ingrata. La presente generazione non darà compenso né materiale né morale agli uomini coraggiosi che avranno l'abnegazione d'intraprenderla. Poca gloria attende per ora chi, invece di fatti fragorosi che appaghino la puerile vanagloria delle masse, non avrà ad offrire al paese che la politica modesta di un buon gastaldo. Ma il merito sarà di tanto più grande, e la storia, che sarà severissima nel giudicare gli ultimi infausti avvenimenti, sarà larga di lode vera e durevole per chi avrà dato opera con questi mezzi lenti, ma sicuri, modesti, ma efficaci, alla riabilitazione morale del paese ed al suo riordinamento materiale.

(l) Non pubblicato.

42

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 313. Firenze, 12 gennaio 1868.

Oggi stesso il Barone di Malaret venne a leggermi una circolare del suo Governo in data del 24 dicembre u.p. (1). In quel documento sembra che il Marchese di Moustier si sia studiato di attenuare l'impressione prodotta dalle parole pronunziate alla tribuna del Corpo legislativo dal Ministro di Stato francese circa la questione romana. L'idea di riunire una conferenza europea per ricercare la soluzione di questo arduo problema non sarebbe interamente abbandonata dal Governo Imperiale, il quale la vorrebbe però ora subordinata al compimento di altri studii preparatorii. Al qual proposito il signor di Malaret era incaricato di dirmi che il Signor Marchese di Moustier rispondendo alla dimanda da me fattagli col dispaccio del 12 dicembre 67 (2) diretto alla

S. V., ritiene che, malgrado le parole pronunziate dal Signor Rouher, noi non dobbiamo ristarci dal proporre almeno le massime fondamentali di un negoziato per istabilire un << modus vivendi » fra Roma e l'Italia, e per poter giungere così ad un temporario accomodamento della quistione sulla base della convenzione del 1864.

Nella stessa occasione il Ministro francese mi ha espresso il vivo desiderio del suo Governo di veder cessare le difficoltà che si frappongono nei rapporti dell'Italia colla Francia mediante il ristabilimento fra i due paesi d'una buona e cordiale intelligenza.

Ho ringraziato il Barone di Malaret delle comunicazioni ch'egli mi facea in nome del suo Governo, e gli ho ripetuto quanto altre volte ebbi già occasione di dirgli che cioè non siamo noi certamente gli ultimi a deplorare le conseguenze della situazione creata, nei rapporti reciproci dell'Italia colla Francia, dal fatto della continuata presenza delle truppe imperiali sul suolo potificio.

Mi astenni dall'esprimere altri concetti in questa mia conversazione col Barone di Malaret, ed anzi mi riservai espressamente di meditare più a lungo sulla questione onde aver campo di esaminarla sotto ogni suo aspetto (3).

Parmi però che, perdurando le condizioni attuali, perché un nuovo negoziato possa riuscire a qualche cosa di pratico e di durevole, bisogna che lo spirito pubblico m !talla sm aa qualcne atto ae1 uoverno francese predisposto ad accoglierne i nsultamenti. .!!;Ila sa, Signor Ministro, cne la grande maggioranza ctegl'ltallam aa altro ormai non aspira cne ad ottenere un Governo regolare e fermo ea un assetto normate neu amnnmstrazwne e nella finanza. Di questa disposizione generale degli animi sr ebbe una prova recente ed incontestabile nella tranquillità assoluta che non cessò di regnare in tutta la penisola durante l'ultima crisi ministeriale. Se il Governo Imperiale di Francia, te

nendo conto di tale situazione, dimostrasse con un suo atto la fiducia che questa gli ispira, l'opera sua gioverebbe grandemente ad aggiungere credito e forza al nostro governo ed a stabilire in Italia tale uno stato di cose che costituirebbe agli occhi di tutti la migliore malleveria per l'avvenire. Si otterrebbe per tal guisa una situazione di fatto, la quale, allontanando i pericoli di future perturbazioni, avrebbe intanto per necessaria conseguenza il ripristinamento delle condizioni anteriori, e le relazioni fra l'Italia e la Francia non tarderebbero a ristabilirsi sul piede d'una sincera e stretta amicizia, perocché rinascerebbe allora fra le due nazioni ed i due Governi quella reciproca fiducia che è l'indispensabile fondamento di siffatti cordiali rapporti.

(l) -Ed. in LV 14, pp. 36-38. (2) -Cfr. serie l, vol. IX, n. 676. (3) -Fin qui ed. In LV 14, pp. 28-29.
43

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 896/359. Londra, 13 gennaio 1868 (per. il 17).

L'orizzonte politico col quale si apre il nuovo anno se è oscuro e minaccioso per molte tra le potenze continentali, non è per l'Inghilterra neppure dei più sorridenti.

A parte il Fenianismo, i disordini sociali scoperti a Sheffield ed in altre città manifatturiere sono un sintomo dell'agitazione che caratterizza il momento attuale, e che rendono incerto il futuro.

Lord Derby chiama il Reform Bill un «leap in the dark » (un salto alla cieca), né meglio potevasi definire una tale misura che potrà forse mutare interamente la costituzione dell'Inghilterra.

Come partito i « Tories » si sono completamente rovinati portando innanzi per sola sete di potere un Bill di riforma più radicale di quello che proponeva Lord Russell, e che loro stessi opposero per rovesciare l'amministrazione dei Whigs. Le nuove elezioni che avranno luogo nel 1869, faranno loro toccare con mano quale sia l'opinione del paese a loro riguardo, e l'esistenza del Gabinetto spirerà secondo ogni probabilità in quel giorno.

Per un anno ancora si reggerà, a meno di un turbine imprevisto, avendo Disraeli perfino lasciato intendere di essere pronto a sciogliere la Camera prima della rielezione generale sotto al disposto della nuova legge elettorale, minacciando così il paese delle enormi spese di due elezioni entro lo spazio di pochi mesi.

Nel presente stato di cose Europeo, a fronte delle difficoltà che possono essere suscitate dagli affari d'Italia e da quelli d'Oriente, il Governo Prussiano si sforza con ogni mezzo di rappresentare all'Inghilterra quanto sarebbe utile tanto pel mantenimento della pace come pel retto equilibrio del continente, se si accostasse maggiormente alle vedute della Russia circa la questione d'Oriente, ed a quelle della Prussia nella politica generale Europea.

Ho avuto in questi giorni una conversazione coll'Ambasciatore di Prussia, che fu abbastanza interessante per sottometterne un sunto a V. E.

Il Conte Bernstorff è stato tutto l'autunno in congedo, ed è solo testé

giunto da Berlino ove ebbe molti abboccamenti col Re e col Conte di Bismarck.

Egli dunque mi confidava che, essendo stato in questi giorni da Lord Stanley,

gli domandò se l'Inghilterra nel far di nuovo una guerra per sostenere l'inte

grità dell'Impero Turco non avrebbe piuttosto obbedito un sentimento di poli

tica tradizionale che i dettami del suo vero interesse.

Il Segretario di Stato per gli Affari Esteri a fronte di una questione posta

gli così direttamente, si sarebbe lasciato sfuggire essere vero difatti che in

Inghilterra comincia a trovarsi un gran numero di persone ostili ad un'alzata

di scudi in favore della causa del Sultano. Naturalmente la futura attitudine

dell'Inghilterra sarà influenzata da molte circostanze impossibili ora a defi

nire, ma credo di non andar errato dicendo che tale è il sintomo che prin

cipia a manifestarsi nel sentimento pubblico circa la questione di Oriente.

Riferendosi poi agli affari d'Italia il Conte Bernstorff chiese al Ministro Britannico se l'Inghilterra malgrado il suo perfetto accordo colla Francia, vedrebbe con occhio indifferente lo smembramento della nostra penisola. Lord Stanley, com'era naturale, protestò vivamente della veracità dei suoi senti. menti, nonché di quelli della nazione Inglese in favore dell'Unità Italiana, ma aggiunse non meno esplicitamente che neppure per difenderla da un tale peri

colo, il popolo Inglese crederebbe suo interesse di esporsi ad una guerra.

Questo è, e sarà sempre, purtroppo vero. Espressioni di simpatia, ed una

specie di appoggio morale non ci verranno mai meno, ma sarebbe follia il

contare su altro. Non v'ha dubbio però che sarebbe molto importante di con

ciliare un accordo d'idee tra la Russia e l'Inghilterra nella questione Orien

tale, circostanza che la riavvicinerebbe alla Prussia ove l'ambizione Francese

fosse per destare una guerra vastissima sul continente, a danno della nazio

nalità Germanica ed Italiana.

Questo scopo potrebbe solo attenersi esercitando una forte pressione sullo

spirito pubblico del paese, poiché se la Camera dei Comuni lo vuole, il Governo

non può a meno di piegare, soprattutto, siccome già ebbi l'onore di avanzare

nella mia breve ultima reggenza, non credo che Lord Stanley sarebbe mai

inclinato ad adottare una simile politica.

Del resto col Fenianismo all'interno, l'attitudine ostile degli Stati Uniti e

la spedizione d'Abissinia, le forze militari del Regno Unito sono interamente

paralizzate. Ho visitato giorni fa Sua Signoria al «Foreign Office » ed il lin

guaggio che mi ha tenuto circa la situazione generale fu sostanzialmente iden

tico. Ma il punto più importante della conversazione che ebbi col Conte Bern

storff, fu quello avente tratto alla politica puramente Italo-Prussiana.

Ei cominciò per assicurarmi che nessuna potenza era più della Prussia in

teressata a favorire lo sviluppo e la prosperità della nazione Italiana. Non

doversi perciò attribuire la riservatezza apparente da Lei osservata nella re

cente complicazione Romana ad altro fuorché alla necessità che pel momento

essa ha di rispettare il sentimento religioso dei cattolici Alemanni. Infatti è

il Sud della Germania che conta il maggior numero, ed il più fanatico, di

Cattolici, è appunto sull'Alemagna meridionale che si fondano gli intrighi di

Francia, ed è su di essa che ancora si fondano le speranze dei Prussiani in

caso di una guerra coll'Impero Francese.

È ovvio adunque che la Prussia per istinto di propria conservazione non consentirebbe mai a sostenere un movimento, il quale anche da lontano potesse offrire il pretesto di una questione religiosa al cospetto delle masse cattoliche; e nella stessa guisa non amerebbe lasciare all'Imperatore l'opportunità di atteggiarsi davanti alla Germania meridionale qual protettore e campione del mondo cattolico, mentre la Prussia comparirebbe nel campo opposto.

Ma colla stessa sincerità il Conte Bernstorff mi soggiungeva di temporeggiare ed aspettare istanti migliori, mantenendoci nel frattempo liberi d'impegni verso la Francia, onde poter afferrare l'occasione quando si presenterà.

Egli mi diceva che nello stesso modo che il conflitto tra la Prussia e l'Austria ci diè la Venezia, quello fra la Prussia e la Francia ci darà Roma. «Io (andava continuando) fui per tre anni ambasciatore a Vienna, e ne partii convinto dell'imminenza degli eventi che produssero Sadowa ed il trattato di Praga. Dopo di questo fui per qualche tempo Ministro degli Affari Esteri a Berlino, e con maggior convinzione ancora vi dico che una guerra tra la Francia e la Prussia è inevitabile. La Francia non si tratterrà dal provocarci appena la sua novella organizzazione militare sarà completata, e noi ci prepariamo, e ci siamo preparati, a tutta possa a respingere l'attacco.

Conosciamo perfettamente l'importanza, il pericolo ed i sacrificj di una simile lotta, ma sappiamo altresì che l'unione di tutto l'edificio Germanico sarà la ricompensa che ci sarà riserbata. Aspettate dunque e l'avvenire sarà vostro. Quando quest'opportunità vi sarà offerta, non è dato finora di precisare quantunque molti pretendano che questa primavera ne potrà offrire l'origine un'insurrezione delle varie popolazioni Cristiane d'Oriente».

La Prussia (dicevami sempre il mio interlocutore) è quasi convinta che in tale occasione l'Austria si unirà alla Francia. Il Conte non pareva mettere per un istante in dubbio che a Salzburg si siano sotto certe condizioni gettate le basi di un vero accordo, e che la questione della Germania del Sud non fallirà di buttare l'Imperatore Napoleone e quello d'Austria nelle braccia l'uno dell'altro.

La Prussia non indietreggerà sentendosi la forza di tener testa ad entrambi mercé la proclamazione del principio unitario germanico. Ma non si dissimula il pericolo immenso di una tal lotta, e ad incontrarlo, abbisogna di tutte le sue risorse, non contando fra le meno importanti l'appoggio dell'elemento Cattolico-Alemanno.

La Prussia non si fa illusione a questo riguardo, e non calcola persino che vagamente sulla Russia, la quale secondo l'avviso del Conte Bernstorff, profitterebbe delle complicazioni Europee per eseguire i suoi ambiti disegni sull'Oriente.

Se l'Italia dunque provocasse la Francia sulla questione di Roma e desse a questa il vantaggio di inaugurare una Crociata a sostegno del Papato, rimarrebbe sola e senza alleati.

Una nazione sola potrebbe ristabilire l'equilibrio in caso di una guerra Europea, e sarebbe l'Inghilterra.

È vero ch'essa, per la sua vieta politica d'Oriente, ha interesse a tenersi bene colla Francia, ma perché non profittare di questi primi sintomi di mutamento riguardo a tale questione che si manifestano nell'opinione pubblica,

per cercare con ogni mezzo di persuaderla che l'emancipazione delle popolazioni Cristiane in Oriente non danneggerebbe in nulla la sua potenza? Sarebbe questo un gran risultato, e tale da produrre le più benefiche conseguenze.

44

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 136. Berlino, 14 gennaio 1868 (per. il 20J.

J'ai l'honneur d'accuser réception de la circulaire de V. E., du 6 courant (l), c:ontenant des indications si intéressantes sur les phases et la marche de la r~'>r:P.nte crise ministérielle.

Je vous remercie également, M. le Comte, des documents diplomatiques du

n. -4 au n. 10, qui me sont parvenus aujourd'hui, comme annexe à cette circulaire. Permettez-moi aussi de vous féliciter de la dépeche que vous avez adressée, en date du 6 Janvier à notre Représentant à Madrid (2). C'est bien de la quintessence de dignité et de fermeté. Avant hier, en parlant avec M. de Thiele, j'ayais précisément amené la conversation sur le discours prononcé par S. M. C~tholique à l'ouverture des Cortès. J'eusse voulu vérifier si la promesse du concours moral et matériel faite par l'Espagne à l'Empereur des Français « son ami et son allié » provenait, ou non, de l'initiative du Cabinet de Madrid. M. -de Thiele n'avait pas d'indications précises sur ce dernier point. Ce qu'il savait, c'est qu'à Paris on comptait sur ce concours, et qu'on ne s'en cachait pas. Le Marquis de Moustier en avait parlé au Comte de Goltz, dans les derniers P.ntretiens que cet Ambassadeur avait eus avec lui, dès son retour à Paris.

Il m'avait été dit par un de mes collègues que le chiffre du contingent espagnol aurait été fixé éventuellement à 40/m hommes. M. de Thiele n'était à mème, ni de confirmer, ni de démentir ce détail. Il n'est pas à présumer pourtant, quelles que soient les intentions de la Cour d'Espagne, qu'elle ait l'argent et un effectif de troupes suffisants, pour disposer, le cas échéant, de telles forces hors de son territoire. Sa situation intérieure est telle, qu'elle jouerait gros jeu, si elle voulait se lancer dans une telle entreprise.

Quoi qu'il en soit, l'Espagne pourrait etre tentée de courir l'aventure avec son alliée, non seulement pour la défense du Saint Siège, malgré nos déclarations pour rassurer toutes les consciences catholique, mais aussi pour se preter à un démembrement de la Péninsule. Certains partis en France, qui menacent de prendre le dessus, ouvriraient leurs bourses pour faciliter une semblable coalition.

Ces circonstances démontrent une fois de plus combien V. E. a eu raison, dans son dernier discours à la Chambre, de faire un appel à la concorde, en présence de la réaction qui nous guette en Europe.

(l) -Cfr. n. 28. (2) -Cfr. n. 29.
45

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 561. Firenze, 15 gennaio 1868, ore 17,45.

Un personnage haut placé vient de me rapporter que dans une très récente conversation M. de Sartiges lui a dit qu'un traité existait entre la France et l'Espagne, d'après lequel l'Espagne devrait préter son concours, le cas échéant, pour assurer le pouvoir temporel du Pape. Il serait peut etre utile que vous vous ouvriez franchement sur ce point avec M. de Moustier. Nous marchons dans une voie loyale, mais nous voulons savoir où nous allons. N'oubliez pas de faire sentir les dangers que pourrait entrainer l'ombre d'une intervention espagnole en Italie. Je m'en remets du reste à votre sagacité (1).

46

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 78. Costantinopoli, 15 gennaio 1868 (per. il 22).

Ebbi ieri a pranzo gli Inviati del Montenegro. Essi si mostrarono meco alquanto offesi della poca premura manifestata dalla Sublime Porta di dare ascolto alle loro domande. Dissero che essendosi presentati due volte da Fuad Pacha per avere con lui un abboccamento, dovettero ritornarsene ambedue le volte senza aver nulla ottenuto.

Io risposi loro che questo ritardo non dovea interpretarsi come effetto del poco buon volere del Governo Ottomano a venire ad un accomodamento col Montenegro; ma doversi cagionare solo alle circostanze eccezionali in cui versa da alcuni giorni il Divano minacciato com'è da una crisi ministeriale. Miglior partito esser quello di pazientare alquanto, e di lasciare che la calma si ristabilisca in seno al Consiglio dei Ministri.

A ciò il signor Plaménatz mi replicò: «Noi siamo pronti ad attendere se occorre, purché ci si dia quel che domandiamo; e per riuscire nel nostro intento noi siam disposti ad usare di tutti i mezzi amichevoli e conciliativi. Devo però dirvi, in tutta confidenza, che il Principe, allorché prendemmo commiato da lui, ci diede per istruzione di far uso delle più gravi minacce verso la Porta, quando fossimo convinti di non ottener nulla con le buone. Il Governo Ottomano non vorrà certo addossarsi il peso di una seconda guerra di Candia».

Lo interruppi consigliandolo, nell'interesse stesso del Montenegro, a non lasciare nemmeno sospettare al Governo Imperiale la determinazione di venirne à bout d'expédients all'ultima ratio. Dissi che oltreché la Porta troverebbe nelle loro minacce un pretesto per mettere in dubbio le intenzioni puramente pacifiche di cui si mostra animato il Montenegro, nel formulare le sue domande d'un accre

scimento di territorio, l'Europa stessa stanca già della prima Candia s'intrometterebbe per impedire che si rinnovasse il dramma Cretese su un altro punto del territorio dell'Impero. Che malgrado le simpatie che manifestano le Grandi Potenze in favore del Montenegro, queste loro simpatie verrebbero inevitabilmente sacrificate se col dare soddisfazione alle domande del Montenegro, sorgesse il pericolo di veder turbato l'ordine generale dell'Impero.

In una parola feci loro comprendere che una rottura violenta colla Sublime Porta, lungi dal procurare al Montenegro l'appoggio delle Grandi Potenze, non farebbe che alienarle alla sua causa, e che io non vedeva altro modo per raggiungere lo scopo della loro missione, che di armarsi di moderazione, di conciliazione e di pazienza.

Il signor Plaménatz mostrò di arrendersi alle mie considerazioni, e mi assicurò che si sarebbe attenuto al mio consiglio, tanto più che egli ebbe già campo di rimarcare un voltafaccia nella condotta della Francia, divenuta in questi ultimi tempi vigile custode degl'interessi Ottomani. Mi soggiunse che le domande formulate dal Principe avevano trovato una lusinghiera accoglienza presso tutti i Rappresentanti delle Grandi Potenze, ad eccezione dell'Ambasciatore d'Inghilterra il quale contrario all'idea di una cessione di territorio, suggeriva che i terreni fossero dati al Montenegro semplicemente a titolo di jermage.

(l) Per la risposta cfr. n. 48.

47

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 20. Pietroburgo, 15 gennaio 1868 (per. il 22).

Nessun fatto di qualche rilievo è accaduto dopo l'ultimo rapporto che ebbi l'onore di dirigere all'E. V. e quindi la situazione politica può dirsi essere rimasta invariata. Il Principe Cancelliere che vidi anco ieri, mi disse che, dopo la comunicazione fattagli dal Barone di Talleyrand, e della quale ebbi l'onore di rendere conto all'E. V. col mio rapporto n. 18 (1), nessun altro passo era stato fatto dalla Francia riguardo alla riunione della conferenza per le cose di Roma, ma risultavagli però da notizie avute da Parigi che il Gabinetto delle Tuileries non dismetteva punto l'idea di riuscire ad attuare il suo progetto; mi chiese se sapessi che il Governo francese avesse aperte trattative con quello del nostro Augusto Sovrano allo scopo di vedere se fosse possibile di trovare la soluzione conciliante che si ricerca a Parigi, al che risposi che nulla mi autorizzava a credere vera una tale voce corsa, ma anzi tutto tendeva a farmela ritenere per infondata; mi ripeté anco una volta il già dettomi su tale soggetto considerarsi cioè dalla Russia la conferenza come non attuabile, almeno pel momento.

Cercai di interrogare il Principe sulle notizie che il Generale Ignatieff, arrivato or sono due giorni, gli aveva portato da Costantinopoli, e mi rispose

nulla aver esso recato che già non si conoscesse circa lo stato infelice in cui si trovano tutte le popolazioni Cristiane e circa la inefficacia delle riforme proposte dalla Porta le quali o non sono messe ad effetto oppure così imperfettamente da non portare alcun frutto; mi disse che l'Ambasciatore di Russia gli aveva portato un nuovo piano di riforma giudiziaria statogli comunicato prima della sua partenza dal Governo Turco, e quantunque non ne avesse ancora fatto oggetto di attento esame, pure credeva poter dire che non avrebbe, se applicato, sortito miglior effetto delle altre riforme le mille volte decretate a Costantinopoli; mi soggiunse che non credeva ne avrebbe fatto oggetto di corrispondenza colla Porta volendosi attenere al principio di non ingerenza esposto nell'ultima dichiarazione collettiva.

Il Principe prese occasione dal nuovo anno, che secondo lo stile russo era solo incominciato il giorno innanzi, per fare a grandi tratti un quadro dello stato attuale delle faccende Europee, e l'impressione che mi fecero le sue parole fu che non trovai più nel mio interlocutore quella maniera serena di vedere le cose che d'ordinario lo distingue, ma mi parve al contrario guardare l'avvenire con occhio inquieto assai, e come uomo il quale teme prossime e gravi complicazioni. Mi faceva osservare come l'anno testé finito non solo non abbia risoluto nessuna delle questioni che più minacciano la pace d'Europa, ma invece abbia alcune di esse risvegliato, ed altre reso vieppiù intricate; mi pareva temere che, malgrado le dichiarazioni pacifiche del Governo francese, il desiderio di una guerra colla Germania fosse assai generale in Francia, e tale da potere alla più piccola occasione forzare la mano all'Imperatore Napoleone: mi citava l'accordo che vuolsi sia mantenuto fra i Gabinetti di Parigi e di Madrid e secondo il quale, in caso di un conflitto fra Germania e Francia, le truppe Spagnuole prenderebbero in Italia il posto delle francesi; mi assicurava l'Austria essere più che mai decisa a dirigere verso l'Oriente quella azione che gli ultimi avvenimenti gli hanno vietato di più a lungo esercitare in Italia ed in Germania, azione che la Prussia non saprebbe ammettere qualora prendesse il carattere di un deciso intervento, giacché se da qui partì il progetto di non intervenire in Oriente, tale proposta fu fatta colla condizione naturale che l'obbligo fosse reciproco. Delle cose d'Italia poco mi disse accennando solo all'agitarsi dei partiti che rende difficile l'esercizio dell'azione governativa, venendo così ad aggravare una situazione che, sia sotto il punto di vista finanziario, sia sotto quello del compimento del programma nazionale presenta le più serie complicazioni. In una parola devo dire che il quadro fu dipinto con colori ben oscuri, se si tiene in ispecie conto della tendenza naturale del Cancelliere dell'Impero a vedere l'avvenire sempre sotto il più roseo aspetto possibile.

So che presso a poco analoga è stata l'impressione che altri rappresentanti Esteri hanno riportato dalle loro ultime visite al Ministero degli Esteri, ed in mancanza di fatti degni di menzione ho creduto doverne render conto all'E. V. molto più che si dice in paese da persone d'ordinario bene informate come il Governo Imperiale stia prendendo le misure necessarie affine di essere pronto a qualunque evento quali sarebbero l'avere al 1° di Marzo l'esercito sul così detto piede di pace rinforzato, stato intermedio fra il piede di pace in cui si trova attualmente la più gran parte della truppa ed il piede di guerra; le informazioni chieste al vicino porto di Cronstadt per sapere in quanto tempo la riserva

8 --Documenti dlplomatici -Serle I -Vol. X

della flotta potrebbe essere pronta a salpare. Non mi è stato finora possibile di verificare l'esattezza di simili voci che mi furono riferite però da gente di solito al corrente di ciò che si fa, ma raffrontandole colle idee espressemi dal Cancelliere inclino assai a crederle non del tutto infondate.

La Russia non può né vuole certo essere la prima a dare il segnale di guerra, ed anzi farà di tutto per impedirne lo scoppio, ma ove essa si accendesse non vuole essere colta all'improvviso. Qui più che altrove è necessario premunirsi per tempo a causa delle distanze e delle altre naturali difficoltà, e la campagna di Crimea fu troppo dura lezione per non esporsi più a cadere in simili errori.

È pur degna di osservazione, nello stato attuale delle cose, l'attenzione ancora più grande del solito colla quale il Governo dello Czar segue tutto quanto si fa in Serbia, e il vivo interesse che qui si dimostra affinché quel paese progredisca e si rafforzi tanto da potersi mantenere alla testa delle popolazioni slave del mezzodì; in prova di ciò citerò il dispiacere provato all'udire che gli Agenti di Francia e d'Austria, i quali su qualunque punto dell'Oriente camminano in oggi perfettamente d'accordo, avevano fatto rimostranza al Principe Michele sugli armamenti che si van facendo e l'appoggio che ad esso si presta dal Governo Imperiale, perché riesca ad acquistare armi a retrocarica per le truppe Serbe. Esse possono essere l'avanguardia delle truppe Russe in caso di guerra e nelle idee del Gabinetto di Pietroburgo non certo l'ultima è quella di profittare sia di un conflitto sul Reno, sia di una insurrezione che più o meno spontanea scoppiasse nelle provincie Slave soggette alla Porta per spingere la Servia a tentare di costituire quel regno Slavo del mezzogiorno che la Russia vedrebbe sorgere con piacere ed utilità sua molto maggiore di quella che gli verrebbe dalle conquiste che per conto proprio potrebbe fare a spese della Turchia o dell'Austria, sogno solo di poche teste esaltate e non di un partito serio e numeroso come lo si pretende da certuni.

Mi pervenne regolarmente il dispaccio di V. E. n. 7 in data del 31 Dicembre scorso (l) non che i nn. 14 documenti diplomatici in esso menzionati...

(l) Cfr. n. 18.

48

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 974. Parigi, 16 gennaio 1868, ore 17,13 (per. ore 17,20).

Moustier m'a déclaré de la manière la plus formelle qu'aucun traité n'existe entre la France et l'Espagne au sujet des affaires de Rome. Il dit: l'Espagne a fait offrir verbalement à la France son concours eventuel pour le

malntien du pouvoir temporel mais que la France n'en a vai t pas profité (l). Moustier m'a dit que la conversation de Malaret avec le secrétaire général (2) ne pouvait que se rapporter aux communications précédentes par lesquelles le Gouvernement impérial a demandé au Gouvernement du Roi de formuler ses idées en prévision de la conférence, que par conséquent il ne faut pas attribuer à cette conversation une portée dépassant ces limites. Une légère amélioration commence à se produire à l'égard de l'Italie dans les sphères officielles.

(l) Non pubblicato.

49

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 975. Parigi, 16 gennaio 1868, ore 18,20 (per. ore 22).

J'ai lu à Moustier votre dépèche du 8 (3) relative au discours de Rouher. Moustier m'a dit qu'il voyait avec plaisir que l'incident était terminé d'une manière satisfaisante.

50

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 36. Madrid, 16 gennaio 1868 (per. il 22).

Le conversazioni che ebbi in questi giorni con varii degli uomini politici più distinti del paese mi confermarono sempreppiù nelle apprezzazioni che ebbi l'onore di sottomettere all'E. V. pel mio rapporto del 31 Dicembre p.p. (Politico

n. 28) ( 4) relativamente al discorso di questa Corona.

Le parole relative alla questione romana non produssero qui una grande impressione imperocché l'annunzio dell'offerta delle forze materiali essendo accoppiato a quello del rifiuto, la Spagna non ne veniva grandemente compromessa. Però esse diedero a pensare alle persone sagge e prudenti, e sotto questo aspetto non è forse un male per l'Italia che quel che erasi fatto all'infuori delle vie officiali, e sulle istanze della Corte, sia stato solennemente annunziato al paese. Le persone adunque che hanno sopratutto a cuore i veri interessi del

Approfittai dell'occasione che io aveva dl parlare a cuore aperto col Marchese di Moustier, per dirgli che sarebbe stato utile all'interesse comune dell'Italia e della Francia che il partito borbonico sapesse bene che esso non può contare sull'appoggio del Governo Francese per tentare una restaurazione a Napoli. Il Marchese di Moustlr mi disse che divideva la mia opinione e che per sua parte il Governo Francese si era astenuto da ogni atto che potesse far nascere una così pericolosa illusione. So difatti che le istruzioni Inviate recentemente al Conte di Sartiges portano espressamente che egli non deve trascurare nessuna occasione di far comprendere all'ex Re delle Due Slcilie che esso si farebbe una profonda lllusione se credesse che il Governo francese favoreggia ed approva qualunque tentativo diretto contro l'unità d'Italia, che egll riconobbe e che ha Interesse a conservare.

(-4) Cfr. n. 16.

paese incominciano a domandarsi se nella posizione attuale politica ed economica della Spagna, le convenga veramente d'impegnarsi in lontane avventure. La Spagna non ha in questo momento sotto le armi più di 85.000 uomini, e l'E. V. conosce quanto valgano le cifre dei quadri. Le condizioni politiche all'interno, quantunque un po' migliorate dopo gli ultimi movimenti, non lasciano d'essere tuttavia precarie. Di quali forze potrebbe adunque disporre la Spagna per una guerra all'estero? Si è parlato di 40.000 uomini, e questo sarebbe veramente il « maximum » senonché anche questa cifra dovrebbe essere ridotta dal nominale all'effettivo. E con queste forze si vorrebbe andare ad impiantare altrove la bandiera di Filippo II e del Sillaba?

Io ebbi ripetutamente occasione di presentare in queste mie conversazioni private il seguente dilemma: o i Francesi stanno negli Stati Pontificj, o non ci stanno. Nel primo caso, che bisogno havvi del concorso di Spagna? Nel secondo, sareste voi disposti a sostenere una lotta offensiva contro l'Italia? Ma havvi una terza ipotesi ed è che ad una epoca più o meno lontana debba seguire una guerra Europea, ed in questa eventualità credete voi che sia nell'interesse della Spagna di trovarsi impegnata? Queste considerazioni non potevano a meno di avere un grande peso presso le persone intelligenti, dimodoché un membro del Senato che fu più volte Ministro degli Affari Esteri e che potrà esserlo di nuovo fra breve mi assicurò che se si scorgessero nel Governo di Sua Maestà serie disposizioni a compromettere la Spagna in quistioni estere, si troverebbero nelle Cortes voci che protesterebbero enrgicamente contro simili intenzioni.

Ebbi eziandio negli scorsi giorni varie conversazioni col Signor Mercier, Ambasciatore di Francia, il quale mi tratta sempre colla massima cortesia, e non cessò mai di tenermi un linguaggio amichevole. Però è mio debito di riferire all'E. V. che la sua maniera di vedere intorno alle velleità bellicose di Spagna non è così recisa come lo fu in altri tempi quella del Governo Imperiale. Egli non sostiene precisamente il diritto di questo Governo d'intervenire a difesa del poter temporale del Santo Padre, ma ammette che esso possa intendersi col suo Governo, pel caso che questi stimasse conveniente nell'interesse del principio cattolico che vi fosse negli Stati Romani una occupazione delle potenze interessate. V. E. sarà meglio di me in grado di giudicare se queste opinioni siano l'effetto di istruzioni ricevute, oppure di considerazioni di opportunità locale.

(l) Si pubbl!ca qui un brano del r. 611 di Nigra del 19 gennaio su quest'argomento: «Non ho mancato di far sentire al Marchese di Moustler l per!coll che 11 solo dubbio di un intervento spagnuolo in Italia potrebbe far nascere. Ma è d'altro lato evidente che la Spagna. finchè durano le tendenze attuali, non lascierà passare nessuna occasione per rinnovare la sua offerta e per insistere onde venga accettata.

(2) -Cfr. n. 39. (3) -Cfr. n. 38.
51

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 38. Madrid, 16 gennaio 1868 (per. il 22).

In questi ultimi tempi si udì qui ripetutamente pronunziare una parola della quale credo mio dovere d'intrattenere l'E. V., e questa è la parola «confederazione». Siccome ebbi altre volte l'onore di riferire a V. E., in questi circoli abbondano gli elementi ostili all'unità Italiana. Havvi in primo luogo la Corte, la quale, sia pe' vincoli di parentela che l'uniscono ai Borboni di Napoli, sia per le inspirazioni che le vengono da Roma, vorrebbe vederla infranta. Esiste in seguito una colonia mezza Spagnuola e mezza Napoletana la quale essendo da tempi antichi legata alla dinastia di Napoli ne vide con rammarico la caduta. Questa si sarebbe invero consolata di quel rovescio, ma non sa rassegnarsi alle perdite che subiscono le proprietà che tengono nelle Due Sicilie per l'accrescimento delle imposte e più ancora pel cambio della carta moneta. L'anima di questa società è il Conte di San Martino il quale riceve una pensione annua di

6.000 franchi da questa Corte, è assai festeggiato, ed in alcune case tuttora considerato come il Ministro del Re di Napoli. Egli ricevette ultimamente un valido. rinforzo nella persona del Generale Bosco, il quale fu accolto con ogni sorta di dimostrazioni di stima e di affetto. Quanto agli Spagnuoli puri, pochissimi si occupano delle cose estere, e non fanno che subire l'influenza degli elementi che li avvicinano. I miei rapporti con tutti questi elementi son buoni, oserei quasi dire piacevoli. Il solo Generale Bosco al principio, inebriato forse dalla festevole accoglienza, affettò di non conoscermi, ma fu ben presto costretto dalle convenienze sociali a farsi presentare al Ministro d'Italia, e colse anzi quella occasione per protestare contro l'accusa di cospiratore che diceva i giornali avere ingiustamente portata contro di lui. In tali circostanze l'E. V. comprenderà di leggieri come ogniqualvolta l'Italia versa in qualche difficoltà qui sorgono immediatamente speranze e voci di divisioni. Ma v'ha un fatto che diede in questi ultimi tempi un grande slancio a siffatte speranze. Finché durò la convinzione che la Francia e l'Italia stavano strettamente unite questi autonomisti non si facevano guarì illusioni sulla realizzazione de' loro desiderj. Ma dal momento in cui l'alleanza Itala-Francese fu posta in dubbio, dal momento in cui la eventualità di una lotta fratricida fra queste due nazioni fu messa innanzi come cosa possibile le empie speranze si risvegliarono ad un tratto, ed osarono manifestarsi in un modo sommesso ma che pur giunse da più parti al mio orecchio. Mi fu riferito da buona sorgente che perfino il Maresciallo Narvaez parlò di confederazione a questo Ambasciatore di Francia, ed il signor Mon tenne lo stesso linguaggio a Parigi. Cercai di approfondire queste tendenze dei presenti Ministri di Sua Maestà Cattolica, e ne trassi che veramente al signor Narvaez ed ai suoi colleghi poco importa che l"Italia sia unita o divisa, ma importa loro grandemente di conciliarsi il favore della Corona nelle cui mani stanno i portafogli. Imperocché l'E. V. conosce non esservi esempio in !spagna di un Ministero che sia caduto davanti all'opposizione delle Camere. Ed a questo riguardo un personaggio de' più importanti di questo paese mi diceva or non ha guarì che il portinajo del palazzo ha più influenza nelle cose di Stato che i Ministri di Sua Maestà. Questi Ministri, adunque, sapendo quanto sia precaria la loro posizione al potere cercano di lusingare la Corte con tutti i mezzi. Ora, due sono i sentimenti che predominano nell'animo di S. M. la Regina. Il primo è un sentimento d'odio implacabile contro l'Imperatore e l'Imperatrice di Francia, L'altro è quello di una devozione illimitata al Santo Padre. Il secondo è assai abilmente sfruttato dai Ministri della religione e soprattutto dal Nunzio Monsignor Barili, Prelato che unisce ad una gran dolcezza di modi una finissima intelligenza, a segno che un uomo di Stato che fu già Ministro degli Affari Esteri ebbe a dirmi che a suo avviso il Nunzio era il personaggio più potente del Regno. Questi

inculcano nell'animo di Sua Maestà che servendo gl'interessi temporali della Chiesa sarà per acquistarsi la salute eterna. Non v'ha dubibo che questo secondo sentimento supera il primo in intensità epperò quando si seppe il ritorno de' Francesi a Roma, qui non s'udirono che voci di riconoscenza per l'Imperatore, il cui nome fu portato alle stelle, e Sua Maestà alludendo ad esso nel discorso della Corona pronunziò le parole << amico ed alleato >> con una enfasi che fu osservata da tutti. Questi ministri adunque conoscendo i sentimenti di Sua Maestà verso l'Italia, né curandosi dell'avvenire di essa, cercano di lusingarli. Inde, l'offerta delle risorse materiali; il discorso della Corona, e per ultimo i suggerimenti di promuovere la confederazione. Il Maresciallo Narvaez nel parlar di confederazione crede in pari tempi di far cosa grata all'Imperatore de' Francesi per essere egli il primo autore di questa idea. Gli Ispano-napoletani si lusingano che il ristabilimento dell'autonomia possa portare un sollievo nelle imposte e nei cambj, ed i fuorusciti naturalmente anelano il ritorno dell'antico ordine di cose. II giornale la Epoca s'è fatto ripetutamente l'eco di queste voci ed ancora nel numero del 13 corrente pubblicava l'avviso seguente: «Son giunti in questi ultimi giorni molti proclami del comitato Borbonico di Napoli che chiamano le popolazioni alle armi». Se potrò procurarmi un esemplare di siffatto proclama l'unirò al presente, ma finora non fu visto da alcuno, e perfino il Generale Bosco fino a ieri non ne aveva avuto conoscenza.

E mentre sto scrivendo queste linee viene ancora uno de' rari amici d'Italia che si trovan in questo paese a dirmi avere inteso da buonissima sorgente che qui si crede che una rivoluzione scoppierà a Napolì entro un mese, e che S. M. la Regina avrebbe fornito de' mezzi per tale scopo. Al mio interlocutore ed agli altri che mi trattennero di siffatta eventualità, io risposi stessero di buon animo che il Governo del Re possedeva senza alcun dubbio volontà e energia sufficienti per abbattere i nemici dell'ordine da qualunque parte venissero, e saprebbe mantenere l'unità e l'indipendenza d'Italia, sogno de' secoli, realtà della nostra generazione. Però sono sintomi che è bene siano noti all'E. V. la quale saprà nella sua saggezza dar loro il valore che meritano.

52

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA (l)

R. 39. Madrid, 16 gennaio 1868 (per. il 22).

Ieri il corriere mi recò il dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore di rivolgermi li 6 del presente (Politica n. 9) (2) contenente le dichiarazioni del Governo del Re sul paragrafo del discorso pronunziato da S. M. Cattolica all'apertura

delle Cortes, che si riferisce all'offerta fatta da questo Governo a quello di Francia di cooperare colle sue forze materiali alla difesa del poter temporale del Santo Padre.

In seguito agli ordini compartitimi dall'E. V., oggi mi recai a dar lettura di esso a questo Ministro di Stato. Incominciai dal dire che dal giorno in cui il Governo di S. M. Cattolica aveva riconosciuto il Regno d'Italia, questi non aveva cessato di adoperarsi onde svolgere fra i due paesi quelle relazioni amicali che tanto potevano contribuire alla prosperità dell'una e dell'altra che differenze d'opinioni sopra questioni speciali potevano esistire, ma che dal momento in cui queste differenze minacciavano di tradursi in fatti, siccome appariva da alcune parole del discorso della Corona, il Governo del Re credeva suo dovere di far conoscere a quello di S. M. Cattolica le sue viste sopra di esse, nonché le conseguenze che ne potrebbero derivare. Egli m'incaricava quindi di dar comunicazione a S. E. del dispaccio che conteneva siffatte dichiarazioni.

Il Signor Arrazola prese attenta lettura del dispaccio in quistione, e poscia mi disse che il discorso della Corona non aveva alcun significato ostile al Governo del Re; che la Spagna essendo potenza Cattolica, non poteva a meno di interessarsi alla sorte del Capo della sua religione, e che non era quindi da stupirsi che quando la sicurezza del Santo Padre trovossi in pericolo essa se ne commovesse ed offrisse la sua cooperazione onde difenderlo. Che però l'offerta di questa cooperazione non era diretta contro il Governo del Re, il quale s'era anzi dichiarato egli pure contrario al movimento, bensì contro le bande di Garibaldi e di Mazzini i quali operavano tanto contro il Papato quanto contro la Monarchia d'Italia. Che al contrario il Governo di S. M. Cattolica desiderava di mantenere amichevoli relazioni con quello del Re, il che era provato dalla presenza del suo Rappresentante a Firenze, le cui istruzioni non avevano altro scopo, e che il giorno in cui queste relazioni fossero per cessare questo Governo crederebbe della sua dignità di incominciare dal richiamare il signor Duca di Rivas da Firenze. Discorrendo poscia del principio di non intervento il Signor Arrazola mi domandò se la presenza dei Francesi negli Stati Pontificj non era intervento, cui risposi ripetendo le cose dette nel dispaccio dell'E. V. circa la differenza tra la posizione della Francia e quella della Spagna rispetto all'Italia nella questione romana. S. E. mi disse infine che il discorso della Corona non aveva per iscopo che di ragguagliare il Congresso delle cose occorse nell'intervallo, e non potevasi quindi omettere di far menzione di un incidente che aveva grandemente commosso gli animi degli Spagnuoli. Nulla del resto essere più lontano dalle intenzioni del Governo della Regina che il far cosa che potesse dispiacere a quello del Re.

S. E. mi domandò poscia se ero autorizzato a !asciargli copia del dispaccio, cui avendo risposto negativamente, mi disse non farebbe in questo caso risposta per iscritto. Mi limitai a replicare che avrei cura di riferire all'E. V. quanto si era compiaciuto dirmi, e ne presi commiato.

P.S. Qui unita una lettera particolare per V. E.

(l) Ed. !n L V 14, pp. 34-35.

(2) Cfr. n. 29.

53

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. RR. 53. Firenze, 17 gennaio 1868.

A quanto mi si afferma, il Governo francese agisce in questo momento a Berlino per assicurarsi delle disposizioni del Governo prussiano in caso d'un conflitto al quale potesse per avventura dar luogo la questione romana.

I dispacci che giungono da Berlino a Parigi assicurano che l'Italia ha tentato il Governo prussiano per un'alleanza eventuale. Le informazioni che ricevo mi danno come cosa certa che siffatte notizie vennero espressamente e ripetutamente trasmesse dall'Ambasciata francese al Gabinetto delle Tuileries, e queste notizie coinciderebbero col linguaggio tenuto in questi ultimi tempi dal Conte Goltz in Parigi, linguaggio che non lascia dubitare che il Governo prussiano abbia fatto alla Francia dichiarazioni rassicuranti intorno alla questione romana.

So per altra parte che il Governo francese si mostra soddisfatto dell'atteggiamento attuale della Prussia a suo riguardo.

Sottopongo alle meditazioni di Lei questi sintomi gravi a mio avviso di una politica indecisa per parte del Gabinetto di Berlino. Io non vorrei che nelle continue assicurazioni che si ricevono a Parigi sui tentativi attribuitici per ottenere una alleanza prussiana, noi dovessimo ravvisare un'arte poco degna di una grande politica quale si conviene alla Prussia. Ella vorrà quindi accuratamente indagare quale fondamento abbiano cotali voci ed a quale sorgente attinga l'ambasciatore di Francia le notizie da lui ripetutamente date al suo Governo. Né io Le sarei meno tenuto se Ella potesse in qualche maniera farsi a chiarire sino a qual punto il linguaggio del Signor di Goltz debba aversi come ispirato da dirette istruzioni del primo ministro prussiano.

L'Italia non può certamente dolersi di vedere allontanati i pericoli di un aperto conflitto fra la Prussia e la Francia. La situazione nostra ci fa anzi sinceramente desiderare che si eviti in Europa qualsiasi grave complicazione; ma appunto perciò noi non possiamo rimanere indifferenti nel vedere che sl vuole ad ogni costo attribuirci la parte di agitatori e di provocatori di lotte che sarebbero, lo ripeto, direttamente contrarie ai nostri veri interessi. Per verità non comprendo qual calcolo si faccia nel renderei così sospetti alla Francia. Ben si deve conoscere a Berlino, come altrove, che se una guerra diventasse inevitabile tra la Francia e la Germania, prima che si aprissero le ostilità, quella avrebbe modo di creare in Italia tali imbarazzi da paralizzare interamente la nostra azione; ed ognuno comprende che questo partito il Governo imperiale adotterebbe tanto più facilmente, quanto più il contegno del Gabinetto di Firenze gli fosse riuscito sospetto.

Queste cose riferisco a Lei, Signor Conte, non perché n'abbia a fare oggetto di comunicazione alcuna, ma perché mi sembrano contenere utili nozioni sullo stato delle cose, nozioni dalle quali Ella potrà trarre norma pel suo linguaggio.

54

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. R. 54. Firenze, 17 gennaio 1868.

Troverà qui unito copia d'un rapporto (l) assai interessante che il R. Incaricato d'Affari in Londra mi ha diretto per riferirmi una conversazione politica da lui avuta col Conte Bernstorff recentemente ritornato da Berlino alla sua residenza presso la Corte Britannica.

L'ampio sviluppo dato dall'Ambasciatore di Prussia alle vedute ch'egli attribuisce al suo Governo, acquista anche maggiore importanza dall'autorità incontestabile del Conte di Bernstorff, il quale ebbe una parte segnalata nella direzione della politica estera del suo paese. Reputo quindi conveniente ch'Ella possa prendere cognizione del rapporto del Conte Maffei onde avere a suo tempo dalla S. V. quelle ulteriori indicazioni che mi serviranno a controllare l'esattezza delle cose narrate in quello scritto.

L'esposizione della politica prussiana fatta dal Conte di Bernstorff è completa sotto un solo aspetto, cioè nell'ipotesi che l'Inghilterra persista nella sua politica tradizionale in Oriente; ma il rappresentante del Re Guglielmo non fu egualmente esplicito nello svolgere le pratiche conseguenze che avrebbe per la politica della Germania e per quella dell'Italia l'adesione che ora si tenta di produrre per parte del Governo Britannico alla politica russa dell'emancipazione delle razze cristiane in Oriente.

È questo un punto della quistione che vuoi essere anche da noi profondamente ed attentamente studiato, perocché se la Corte di Berlino si accinge ad aprire negoziati in Londra per ottenere una deviazione dell'Inghilterra dalla linea della politica da lei tradizionalmente seguita, vuolsi credere che ciò faccia dopo essersi assicurata dell'esistenza di favorevoli disposizioni per parte del Gabinetto Derby. E siccome, per verità, da quanto sembra, tratterebbesi soltanto di ottenere una tacita approvazione della Gran Bretagna e non di impegnarla in un'azione diretta, così puossi credere che l'opera diplomatica intrapresa dalla Prussia potrebbe avere uno scopo limitato all'isolamento della Francia nella questione orientale.

Ma sovra siffatte cose come io aspetterò dalla S. V. ulteriori ragguagli, così desidero avere da Lei quei riflessi che le medesime le suggeriranno.

55

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 608. Parigi, 17 gennaio 1868 (per. il 22).

In seguito alle istruzioni contenute nel dispaccio di Serie Politica n. 311 che l'E. V. mi fece dirigere in data del 9 corrente (2), ho domandato a S. E.

il Marchese di Moustier se il Barone di Malaret aveva avuto alcun incarico speciale di fare al Governo del Re delle entrature per l'esame di una soluzione della questione romana, siccome per avventura poteva far credere il linguaggio tenuto da questo diplomatico in una conversazione che ebbe coll'onorevole Segretario Generale di codesto Ministero e della quale l'E. V. mi ragguagliò prima per telegrafo e poi col precitato dispaccio del 9 corrente.

Il Marchese di Moustier mi rispose che il linguaggio tenuto in quella drcostanza dal Barone di Malaret non poteva che riferirsi alle precedenti comunicazioni colle quali il Governo Imperiale aveva domandato al Governo del Re di formulare le sue idee nella previsione di una conferenza, e che pereiò non si doveva dare a tale linguaggio una interpretazione che oltrepassasse questi limiti. Del rimanente, il Ministro Imperiale degli Affari Esteri mi disse che il Barone di Malaret, al momento in cui mi parlava, aveva dovuto ricevere e dar comunicazione all'E. V. della circolare del 24 Dicembre, e d'un dispaccio di data posteriore, in risposta al di Lei dispaccio del 12 Dicembre (1), col quale il Marchese di Moustier insiste perché, malgrado la dichiarazione fatta dal signor Rouher al Corpo Legislativo, il Governo del Re comunichi al Governo Imperiale le sue idee fondamentali per venire ad un accomodamento, almeno temporario, n quale stabilisca un modus vivendi tra l'Italia e la Santa Sede sulla base della Convenzione del 15 Settembre 1864.

(l) -Cfr. n. 43. (2) -Cfr. n. 39.
56

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 137. Berlino, 18 gennaio 1868 (per. il 22).

J'ai l'honneur d'accuser réception de la dépeche de V. E., en date du 12 courant, n. 50, Série Politique (2), et de ses annexes. Je me suis empressé d'écrire au Comte de Bismarck, afin de demander l'audience royale, pour la présentation de mes lettres de créance auprès de la Confédération du Nord de l'Allemagne. Le jour n'en est pas encore fixé.

Je n'avais attaché aucune importance aux assertions de la presse officieuse de Paris sur de prétendues négociations entre la France et la Prusse sur la question romaine (3), négociations qui auraient abouti à une entente, dont nous ne tarderions pas à etre informés. On me montre ici une grande confiance, et certainement on n'eut pas suivi des pourparlers dans ce sens, en me laissant à l'écart. D'ailleurs, je ne · pouvais admettre que le Cabinet de Berlin se prétàt, sur la demande de la France, à exercer une pression à Florence.

Ayant eu l'occasion de voir ce matin M. de Thiele, n me donna lecture d'un télégramme du Comte d'Usedom, qui avait cru s'apercevoir que nous nous préoccupions, dans une certaine mesure, de semblables nouvelles. Le

Comte de Bismarck a vai t écrit de sa propre main, à la marge du télégramme: télégramme qui ne vaut pas Zes trats. Le Sous Secrétaire d'Etat qualifiait de mensongers les récits à ce sujet, de la Patrie nommément. Depuis la dernière circulaire du Marquis de Moustier, du 24 Décembre, dont la communication n'avait été faite que d'une manière indirecte, on n'avait eu connaissance ici d'aucun nouveau document français. En suite des lettres échangées selon la coutume, au nouvel an, entre le Roi Guillaume et l'Empereur Napoléon, et des discours prononcés à l'occasion de la remise des lettres de créance du Comte de Goltz en qualité de représentant de la Confédération, on a entendu de part et d'autre des paroles d'une courtoisie parfaite, mais sans aborder le terrain politique, pour ce qui concerne l'Italie. Il n'y a que ce seul fait à noter. Dans une audience accordée par l'Empereur au Comte de Goltz, entouré de mille prévenances surtout au moment où il allait subir une opération qui offrait quelque danger, Sa Majesté exprima le vif désir de parvenir à un arrangement entre le Pape et l'Italie. A cet effet, Elle adresserait des conseils de modération à Rome, et Elle espérait que la Prusse en ferait autant, de son c6té, à Florence. Le Comte de Goltz ne pouvait prendre cette ouverture, que ad referendum. Or, le Gouvernement Prussien croit à la modération de notre Ministère, et il juge superflu d'y precher une attitude conciliante. Ainsi la position de la Prusse reste la méme. Elle est réservée et expectante. Si les paroles sont bienveillantes, on ne peut les accepter que sous bénéfice d'inventaire, notamment en présence des armements au delà du Rhin. C'est toujours cette attitude mixte, qui n'est ni la confiance ni l'hostilité, ni la paix affermie ni la guerre imminente. En attendant, il est avéré que la presse de Paris entretient le public dans l'erreur. D'accord avec la France, la Prusse ferait front, tant6t contre l'Italie, tant6t contre la Russie. Sans l'articuler ouvertement, M. de Thiele semblait y voir un calcul, pour sémer la désunion, vis-à-vis de deux Etats avec lesquels le Cabinet de Berlin tient à entretenir les meilleurs rapports.

En résumant ses déclarations, le Sous Secrétaire d'Etat m'a dit qu'il n'y avait rien de vrai dans le r6le qu'on prétait à la Prusse sur la question romaine. Elle n'a fait et ne médite aucune démarche.

En remerciant V. E. de la dépèche Politique n. 51, du 12 de ce mois (1), et des documents diplomatiques y joints, du n. 11 au n. 15 entre autres d'un rapport de notre Chargé d' Affaires à Copenhague... (2).

(l) -Cfr. serie I, vol. IX, n. 676. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. n. 53.
57

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA (3)

L. P. Partgt, 19 gennaio 1868.

J'ai vu M. Rouher et je lui ai donné connaissance de ce que vous m'avez écrit (4). M. Rouher a reçu cette communication (dont j'ai eu soin de consta

ter le caractère exclusivement officieux) avec une visible satisfaction. Il m'a fait remarquer cependant que le mot «ouvertures », dont nous nous étions servis, n'était pas exacte puisque jusqu'à présent, il s'agissait d'un simple échange d'idées n'ayant pas de caractère officiel. J'ai rassuré sur ce point le Ministre d'Etat, en lui disant que je vous avais écrit en forme de lett.re particulière, et que vous m'aviez répondu dans la méme forme, et que par conséquent, il n'avait à craindre aucune publicité indiscrète. M. Rouher m'a dit qu'il aurait parlè à l'Empereur, et que si l'on parvenait à formuler quelque chose de possible et d'utile, il me l'aurait communiqué. En effet M. Rouher eut deux entretiens avec l'Empereur à ce sujet. Voici la substance des idées exprimées par Sa Majesté. D'abord l'Empereur continue à croire dans le maintien de la paix et il travaille en ce sens. Les dispositions de la Prusse en ce moment sont de nature à l'encourager dans cette oeuvre. Par conséquent un projet d'alliance offensive et défensive devrait ètre écarté, parce que dans la pensée de l'Empereur un tel projet nuirait au but pacifique qu'il propose. D'ailleurs, tout bien pensé, un traité secret serait plus dangereux qu'utile. L'Empereur désire pouvoir retirer ses troupes des Etats Pontificaux; mais il voudrait étre assuré qu'il ne devra pas les envoyer de nouveau, ainsi que le langage de Garibaldi le ferait présumer. Il voudrait quelque garantie. Laquelle? Il n'en sait rien. Ses ministres n'en savent rien non plus. Et nous n'avons absolument aucune garantie à lui offrir. Si l'Empereur pouvait avoir la certitude que vous vous maintiendrez au pouvoir, je ne doute pas, que nous réussirions à faire retirer les troupes de suite. Mais cette certitude ne peut exister. Que faire en cet état de choses? C'est ici que se présente l'idée d'un traité public d'alliance défensive et de garantie de l'unité italienne, idée qui m'a été exprimée pour la prémière fois par M. Rouher, et qui est partagée par le marquis de La Valette, qui continue à voir l'Empereur, quoiqu'ayant cessé d'étre Ministre. Mais ce projet aussi présente aux yeux de l'Empereur des inconvénients, comme il en présente à nos yeux.

Vous faites observer avec raison, que l'Italie ne pourrait aliéner sa liberté d'action sans obtenir, en compensation, des avantages réels. De son còté, l'Empereur déclare qu'il ne pourrait prendre aucun engagement pour une solution de la question romaine dans le sens des aspirations nationales de l'Italie. Il ne veut rien préjuger sur l'oeuvre du temps.

Le résultat de toutes ses réfléxions, a été que l'Empereur a chargé, ou pour mieux dire autorisé M. Rouher à lui soumettre un projet. M. Rouher y travaille en ce moment. Les bases de ce projet, dans la pensée de M. Rouher, seraient Ies suivantes: pour la forme, il penche en faveur d'une convention publique. Quant à la substance elle peut se résumer ainsi. Rappel des troupes; remise en vigueur de la convention de septembre; engagement réciproque de l'Italie et de la France de ne pas porter l es armes l'une con tre l'autre; assurances de la France en faveur du maintien de l'unité Italienne telle qu'elle se trouve constituée.

Comme je vous le disais tout à l'heure, M. Rouher s'occupe en ce moment de formuler ce projet. L'Empereur l'acceptera-t-il? Il parait plutòt disposé à le faire, mais ce n'est pas certain. Le Gouvernement du Roi peut-il l'accepter? Le trouve-t-il conforme à ses vues et utile au pays?

Vous avez tout le temps pour y réfléchir. Dans des circonstances ordinaires je ne verrais rien dans une telle convention qui ne fut pas conforme aux usages, correct, et utile. Dans tous les traités généraux on trouve la formule consacrée. <<Il y aura dorénavant paix et amitié etc.». Dans celui-ci la formule serait négative en ce sens, qu'on s'engagerait à ne rien faire d'hostile de part et d'autre. Les avantages pour l'Italie consisteraient dans le rappel immédiat des troupes françaises et dans la garantie de l'unité Italienne donnée par la France. Mais les circonstances présentes et les conditions intérieures de l'Italie rendent-elles possible et utile la conclusion d'un pareil acte? La forme d'un traité public donné à un tel engagement est-elle sans inconvénient? Voilà autant de questions que je me permets de vous soumettre. Pour ma part, du moment où l'on exclut tout engagement de résoudre à un moment donné la question romaine, je pense que la forme d'un traité n'est pas celle qu'on devrait préférer. Un simple échange de notes me semble offrir moins d'inconvenients.

Vous examinerez tout ceci avec votre prudence habituelle et avec la clairvoyance qui vous distingue. Lorsque M. Rouher aura formulé son projet, il me le fera connaitre et je vous en écrirai, au besoin par le télégraphe. Le Prince Napoléon est contraire à toute idée de traité, à moins qu'on ne s'engage à l'abolition du pouvoir temporel à la mort du Pape.

(l) -Non pubblicato. (2) -Annotazione a margine di Tornielli: «Je crols que Goltz est catholique ». (3) -Da Eredità Nigra, Incompleta. (4) -Con !.p. del 9 gennaio, non rinvenuta ln Eredità Nigra.
58

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO ARTOM (l)

L. P. Parigi, 19 gennaio 1868.

Vorrei poterti esprimere in termini non volgari i miei ringraziamenti per quanto hai fatto costì per me. Non so dirti altro se non che ti sono profondamente riconoscente di questa nuova prova d'amicizia che mi hai dato. Avrei desiderato di poter lasciar Parigi e d'andare a Londra. In quest'ultimo posto, che a me sarebbe molto convenuto, avrei potuto, se non m'inganno, rendere qualche servigio al mio paese. Il posto non presenta grandi difficoltà. Con una condotta leale e colla partecipazione alla vita inglese che mi sarebbe stata resa facile da abitudini e da gusti che io ho, e che tutti non possono avere, penso che avrei riuscito ad acquistare la stima e la confidenza dei principali uomini che sogliono trasmettersi di mano in mano le redini del Governo inglese. Benché un po' a malincuore, mi sarei anche deciso ad accettare Vienna, se Cialdini vi rinunciava, come ti ho scritto per telegrafo. Oramai da quanto mi scrivi, devo rinunziare all'uno ed all'altro posto, e continuare qui finché il primo Ministero che venga da sinistra o dal terzo partito mi chiami a casa. Non è a dire che la mia condizione personale sia qui mutata.

Ebbi dall'Imperatore e dall'Imperatrice prove nuove e recenti di grande benevolenza. Moustier mi tratta con molta gentilezza e con amicizia. Sono in ottime relazioni con Rouher, malgrado tutti gli incidenti. Ma questa vita d'incertezza continua, e questa tremenda spada di Damocle che è la questione romana, la quale non sarà sciolta se non il giorno in cui vi sarà in Francia una rivoluzione radicale e violenta, mi rendono questa residenza molto dolorosa. Aggiungi le accuse e le ire della nostra stampa e di molti fra i membri del parlamento. Aggiungi le antipatie del Re, e l'irritazione di Rattazzi il quale non mi perdonerà d'averlo coi miei telegrammi forzato in certo modo di dare la sua dimissione. E poi devo confessarti che le cose in Francia peggiorano, e che mi è doloroso l'assistere alla rovina di questo grande edificio dell'Impero Francese, col quale si collega tutta la politica da noi fatta sin qui.

Io t'aspetto qui a Parigi presto. La tua camera è pronta. Ressman ti scriverà dopo che avrà interpellato Meurand sulla conferenza monetaria. Avvertimi poi in ogni caso del giorno in cui verrai a Parigi, affinché io possa mandarti una vettura alla stazione.

Saluta per me Sormani ed Espafia, e dì ad entrambi che ho ricevuto le loro lettere e che li ringrazio. La contessa di Louvnel vuoi essere ricordata a Sormani. L'Imperatrice mi domandò di lui all'ultimo ballo, e mi ha incaricato di fargli sapere che nell'opinione di lei i terzi partiti non servono a nulla. Non so chi abbia detto all'Imperatrice che Sormani apparteneva a quel partito. Ad ogni modo ricordai a Sua Maestà che Sormani aveva votato col Ministero nella famosa ultima lotta.

(l) Artom aveva lasciato Copt>naghen; fu nominato ministro a Carlsruhe il 23 gennaio.

59

IL CONTE VIMERCATI ALL'ONOREVOLE VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Parigi, ... gennaio 1868 (2).

Molte volte avrei voluto scriverti, le mie lettere sarebbero state l'eco di un tessuto di dolori che ho voluto risparmiarti -il risultato ha pur troppo avverate le mie previsioni. Mi conosci e non avrei d'uopo di dirti quale sia stata la mia condotta, se non sentissi il bisogno in faccia al mio partito di sfogarmi con persona colla quale ho piena confidenza, desidero quindi riprendere con te la mia corrispondenza e per ciò fare bisogno che cominci con un po' di storia retrospettiva.

Nei primi del mese di giugno scorso Rattazzi con uno scritto pregommi di recarmi a Firenze, colà egli pressommi perché mi portassi a Parigi facendo insistere anche dal Re in proposito. Aderii e nell'ultima conversazione mi fece sentire la parte importante e gli utili servizi che avrei potuto rendere qui. Dall'insieme del suo dire, m'accorsi che egli stava per propormi un antagonismo con Nigra, non volendo io che tale proposizione mi venisse fatta, attra

versai il suo pensiero dicendogli che egli non poteva dubitare che avrei fatto ogni sforzo d'accordo sempre con Nigra della cui capacità e buona posizione .. Parigi, il paese ed egli stesso dovevano ripromettersi il maggior profitto. L'effetto prodotto dalle mie parole Rattazzi non lo seppe celare, continuò a richiedere l'opera mia, ma in un modo visibilmente diverso, direi quasi più pro forma che colla persuasione di valersene seriamente. Dopo ciò non vi fu più in me il minimo dubbio, Rattazzi cedeva alle cattive influenze del suo contorno. A Parigi nulla dissi a Nigra delle mie impressioni, interessai Rouher perché appoggiasse la combinazione finanziaria che era rimessa in piedi col Crédit Foncier.

Dopo aver presi gli ordini dell'Imperatore il Ministro di Stato andò sino al punto di farmi sperare che se la combinazione finanziaria che stavasi facendo fosse riuscita tale da ispirare confidenza, egli avrebbe proposto di permettere una sottoscrizione alle Obbligazioni del Crédit Foncier che stavasi per stabilire dai Receveurs Généraux -egli era però dolente che di questa combinazione fosse alla testa Fremy, del quale· egli aveva meno che mediocre opinione, tanto più avendo sentore di certe mene fra lui e Madame Rattazzi.

Da questo momento il Fremy divenne il vero agente di Rattazzi per l'intermezzo della moglie di quest'ultimo alla quale si faceva credere che venendo a Parigi essa sarebbe stata ricevuta dall'Imperatrice e col suo intermezzo avrebbe preso sugli affari una seria influenza. Madame adottò il consiglio, giunse qui con Segretario e Sotto Segretario, io ignorai per qualche giorno il suo arrivo e nol seppi che da Rouher, il quale si lamentò meco come Nigra avesse procurato a Madame Rattazzi un biglietto nella loggia del Presidente della Camera Schneider, dopo che doveva sapere che essa aveva scritto le Mariage d'une créole. Nigra mi confessò che chiedendo un biglietto dietro una lettera scrittale da Madame Rattazzi non aveva riflesso alle conseguenze.

Da qui il punto di partenza della lotta aperta fra Madame e la Legazione. Io feci quanto era in me per accomodare la cosa, ma i miei sforzi furono vani per la scelleratezza della Signora, la quale appoggiandosi sulle promesse del Fremy, sperava riuscire nel suo intento. Io mi allontanai e pregai Rouher di non più parlarmi degli schifosi intrighi che ogni giorno giungevano a lui nei rapporti della Polizia. Passò un mese così, finché un giorno Rouher dissemi che Madame Rattazzi essendo stata fischiata al teatro pel modo sconcio col quale si conteneva e essendogli pervenuto inoltre che essa compromettevasi col Fremy anche pecuniariamente, il Ministro di Stato era deciso a chiederne lo sfratto all'Imperatore.

Memore di una relazione di tanti anni col Rattazzi e senza tenere calcolo che egli alla Camera aveva livrée la mia posizione mentre avrebbe potuto difenderla, io chiesi a Rouher di sovrastare alla decisione, mi promise di farlo alla condizione che io mi incaricassi di dire alla Signora le cose come stavano. Dopo di essermi consigliato con Nigra e credendo far buon opera impedendo che la moglie del nostro Presidente del Consiglio fosse scacciata, mi recai dalla Signora, parlai anche ad alcuni amici del Fremy, onde lo consigliassero a desistere dagli intrighi, la Signora prese paura, mandò Fremy da

Rouher per chiedere un'udienza che gli rifiutò, e non acconsentì a ricevere Madama per persuaderla a partire che dietro le mie istanze. Da qui cominciò la lotta, il marito si lamentò meco che risposi narrando le cose come stavano e dalle Tuileries si fece dire a Madame Rattazzi che mai sarebbe stata ricevuta e che tutto al più l'Imperatrice e l'Imperatore avrebbero acconsentito a vederla un momento in forma ufficiale ed una sol volta col marito qualora questi si fosse recato a Parigi.

Nel frattempo ebbe luogo il ravvicinamento di Rattazzi alla sinistra che volle fosse spiegato qui al Ministro di Stato onde non fosse male interpretato. Mi scrisse una lunga lettera a comunicare. Egli attribuiva alle passioni della destra che rendevagli impossibile il governare l'appoggio che aveva dovuto chiedere alla Sinistra. Ridussi la lettera togliendo quanto vi era di odioso, la portai a Rouher e quantunque cominciassero i sospetti, pure continuò la confidenza nel Rattazzi circa all'impedire il moto Garibaldino di cui si parlava già. Le lettere del Rattazzi continuarono e continuarono pure le proteste di attaccamento alla alleanza francese. Ma io che ho aborrito sempre il partito avanzato, non ebbi fede, facevo le assicurazioni quali il Rattazzi me la mandava ma ogni volta si facesse appello al mio coscienzioso modo di vedere non risparmia v o di esporre le mie diffidenze.

L'incidente Dumont fu preso in modo più da farlo ricadere su Nigra che non dal chiederne spiegazioni e seria riparazione al Governo Francese. Quando Nigra fu chiamato in Italia oltraggiato dalle perfide mene della Rattazzi che continuavano qui, feci agire sull'Imperatore che scrisse il telegramma al Re (1), dietro il quale non si osò sospendere il ritorno di Nigra a Parigi che era progettato. Giunse Nigra, il Garibaldinismo incalzava, ebbe luogo l'arresto di Garibaldi, allora io ridetti fede a Rattazzi, gli scrissi da qui, egli riattivò meco le sue corrispondenze dalle quali rilevai che egli si illudeva su quanto avrebbe potuto ottenere dalla Francia.

Scrissi chiaro, qualche volta anche duramente, fu mandato Nigra a Biarritz, il quale mi pregò di combinare il suo viaggio con quello di Rouher, l'ottenni e partirono assieme. Nell'assenza di Nigra non mancai di insistere presso Rattazzi perché non si facesse illusione, assicurandolo che l'intervento francese, in caso di minaccia agli Stati del Papa era già stato deciso fra l'Imperatore e Rouher nel giorno che quest'ultimo era ritornato da Karlsbad e che

S. M. Imperiale era partita per Biarritz.

Gli affari di Casa d'Adda mi chiamarono a Milano, Rattazzi mi chiamò con lettera a Firenze. A Milano cominciai a spaventarmi poiché mi si diceva da tutti, fra gli altri da Martini, che s'andava a Roma d'accordo colla Francia, dichiarai pubblicamente che ciò non era a meno che Nigra a Biarritz avesse ottenuto concessioni, ciò che non credeva possibile.

Rattazzi non osò combattere le mie convinzioni, tentò intiepidirle parlandomi di certe conversazioni intime di Nigra a Biarritz e mostrossi dispiacente che io fossi partito da Parigi senza averlo veduto.

Chiesi al Presidente se io doveva vedere il Ministro degli Esteri, aderi pregandomi a non lo spaventare; trovai il Campello di una naiveté al dissopra di ogni credere, ne fui tanto sorpreso che stimai dovergli dire molto chiaro quanto pensavo, assicurandolo che l'intervento avrebbe avuto luogo senza alcun dubbio. Con un sorriso cui la finezza solo cedeva all'imbecillità il buon vecchietto mi fece comprendere come io fossi tenuto abilmente, anche dal Rattazzi, all'oscuro di quanto si passava. Il Re ritornato alla mattina della mia partenza, mi fece chiamare, lo trovai precisamente, non saprei meglio dipingertelo, col sembiante di colui che avendo fame gli offri un gross polin col pien, col patt de mangial tutt. Mi parlò della sua impopolarità dopo l'arresto di Garibaldi, mi disse che tutti i partiti, il conservatore alla testa, volevano Roma, e mi pregò di far sentire qui che era d'uopo lasciar fare.

Ripetei la solita canzone, dicendo che se l'Imperatore lo avesse anche voluto, era nell'impossibilità in faccia all'opinione pubblica francese di aderire ai nostri desideri, Sua Maestà insistette onde la Francia lasciasse occupare non solo il territorio Pontificio ma anche la città di Roma ove il Governo del resto avrebbe rispettata l'Autorità Pontificale ed appellato all'Europa per combinare il modo di assicurare l'indipendenza del Papato ed i mezzi necessarii al decoro della Santa Sede. Vedendo tanta diversità di giudizio tra Firenze e Parigi, non mi saziai di ripetere a quanti viddi, le mie convinzioni, talmente che Rattazzi pregommi di tenermi il più celato possibile e di ripartire al più presto. Da Firenze venni qui direttamente e trovai le cose come io le aveva riferite, più vi trovai già manifesta l'indignazione perché già si conosceva la partecipazione del Governo a tutte le mene Garibaldine. Rinuncio a descriverti l'irritazione contro di noi -il pensiero che l'Imperatore aveva contribuito alla formazione della nazionalità italiana e che questa sceglieva il giorno in cui supponeva il Governo Imperiale sopraffatto dagli imbarazzi, per mancare alla fede della convenzione, non solo, ma anche per fare ogni tentativo per sollevare la Prussia contro la Francia, destava qui il più alto disprezzo e la più viva esecrazione contro di noi (non esagero).

Appena giunto viddi La Valette e Rouher, il primo era contrario alla spedizione, il secondo, non più clericale del suo amico, stava per l'intervento in vista della conservazione dell'Impero. Qui in via ufficiosa ebbero luogo infiniti pourparlers e tanto La Valette che Rouher fecero ogni possibile per conciliare le cose, lasciando il tempo a Rattazzi di poter retrocedere da quella via che fatalmente riconduceva gli stranieri in Italia.

Dal 15 al 28 ottobre, abbiamo passati giorni di crudeli angustie, raddoppiando ogni sforzo per ritardare la spedizione che fu quattro volte rimandata e non fu irrevocabilmente decisa che dopo l'entrevue di Pepoli coll'Imperatore.

s. M. Imperiale aveva sperato che da Firenze il cugino gli recasse a nome del Re qualche assicurazione che gli permettesse di rinunciare all'intervento -la mattina del 28 fu ancora spedito contrordine a Tolone alla flotta che aveva già salpato e che rientrò, meno due bastimenti che i segnali non poterono raggiungere.

La venuta di Pepoli, rappresentante Cialdini, fece male e bene non fece quella di La Marmora, rappresentante confidenziale del Menabrea, il quale

! -Documenti dipiomatici • Serle I • Vol. X

giunto a Parigi fu annichilito e spaventato dalla situazione, fu male accolto da Rouher, mediocremente da La Valette, con cortesia dall'Imperatore ed accarezzato dal Maresciallo Niel che in tutta questa faccenda si mostrò e si mostra il nostro peggior nemico.

Eccoti, caro Emilio, la storia genuina del passato, avrei potuto mandarti telegrammi, lettere e memorie che documentano giornalmente quanto ti espongo, non lo faccio provando istintiva ripugnanza alla comunicazione anche confidenziale di quanto non mi riguarda esclusivamente.

L'intervento fu contrastato nel Consiglio dei Ministri, erano contrari! La Valette, Baroche e Druy, Moustier mantenne una condotta neutrale, Niel e Forcade furono i più accaniti contro di noi.

Rouher, interprete dell'opinione generale appoggiò potentemente l'intervento, ma debbo dire che nell'Imperatore non vi fu mai esitazione e se la partenza della flotta più volte venne contramandata, lo si deve agli sforzi fatti qui coll'intervento del Principe Napoleone e dal volere lasciar tempo al Re di pubblicare il proclama richiestogli e di fare lo scioglimento dei comitati di soccorso. Se Cialdini, anche tre giorni dopo essere stato chiamato dal Re, fosse riuscito a formare un Ministero ed a dare la richiesta soddisfazione, l'intervento era evitato ed evitato lo si sarebbe forse ancora, se allorquando rinunciò Cialdini, i dispacci del Re all'Imperatore fossero stati diversi.

Ora sventuratamente è d'uopo prendere le cose come stanno e stanno male assai. La dichiarazione del Ministro di Stato fu fatta d'ordine espresso dall'Imperatore, dopo i discorsi dell'opposizione e specialmente di Thiers, restavano due vie a prendersi, una era quella di mettersi all'ombra dei fatti compiuti, facendo osservare che la Francia non aveva abbandonato il Papato e che quindi il passato doveva essere garanzia dell'avvenire e che ulteriori dichiarazioni pel momento non si potevano fare perché nocive alla conferenza di cui si aveva luogo a sperare la riunione, l'altra era che le dichiarazioni del Governo entrando nelle viste della Camera la disponesse in suo favore, e fu quella a cui l'Imperatore diede la preferenza. Non intendo difendere l'atto né la durezza del mio amico, ma io che ho la convinzione profonda che i suoi sentimenti non sono cangiati verso l'Italia, mi mantengo intimissimo con lui. Menabrea ha fatto della parola chatiement, che si riferisce al Re, un incidente diploma tic o.

Cedendo alle istanze di Nigra mi sono attivamente impiegato ad ottenere il consenso di Rouher alle dichiarazioni fatte dal Malaret, ma questi vi mise tanto malvolere che quello che sarebbe stato sufficiente, fatto subito, lo divenne meno ritardando, ma da Rouher non fu possibile ottenere dippiù, non avendo egli nessuna simpatia per Menabrea del quale, riconoscendo i servigi resi da lui e la qualità della perseveranza, lo accusa di petit esprit, de fausseté et dit que sa conduite à Berlin ne concorde pas avec les assurances qu'il envoie à Paris -e là sta la causa della diffidenza e dei nostri pericoli.

La politica di riserva e gli armamenti che si fanno in Italia, sono qui interpretati come preparativi per profittare di qualunque imbarazzo della Francia, per impadronirsi di Roma -al jamais imperdonabile di Rouher, le Camere italiane unanimamente risposero un toujours, creando così un antagonismo tanto brutale da rendere difficili per non dire impossibili, le transazioni, e non è esagerazione in me quando ti asserisco che la Francia è talmente butée, che lascerà andare la Russia a Costantinopoli, lascerà la bandiera Prussiana sul ponte di Kiel, anziché acconsentire che l'Italia si impadronisca di Roma in barba della Francia.

Tu fosti chiamato a Firenze, mi scrivono, per assumere il Ministero degli Esteri, ignoro se il Presidente del Consiglio ti abbia mostrato il dessous des cartes, fra noi questo può ora riassumersi in una lunga lettera scritta 12 giorni or sono da Nigra a Menabrea, in questa il nostro Ministro, rendendo conto di una conversazione che ebbe luogo tra La Valette, sempre amico nostro, e l'Imperatore, gli fa conoscere quali siano le apprezzazioni di Sua Maestà circa al piano concepito da Rouher, di cui parlò a me pel primo ed ebbe a mio avviso il torto di confidarlo al Principe Napoleone, dico il torto, perché del Principe, le cui intenzioni ci sono sempre favorevoli, è d'uopo usare con moderazione e riserva. Il progetto di Rouher si riassume in due parole. Trattato secreto offensivo e difensivo tra la Francia e l'Italia, anche semplicemente difensivo, assicurazione dello statu quo negli Stati del Papa, durante la vita di Pio IX, alla sua morte, ingresso delle truppe italiane negli Stati Pontificii, Roma governata da una Municipalità e difesa da una guardia d'onore, i Romani liberi di prendere parte al Governo Italiano, come Senatori e Deputati e concorrendo agli impieghi. Dietro questo trattato si ritirerebbero i Francesi d'Italia, e sarebbe tolta ogni diffidenza della Francia. Da oltre un mese io parlai a Nigra di questa idea e Rouher stesso gliela comunicò presente La Valette, e ciò forma il soggetto della seconda parte della lettera a Menabrea che ti ho citata.

Da tutto questo, per stare nel vero, non se ne deve menomamente dedurre che si voglia la guerra contro la Prussia, si vorrebbe il trattato per allontanarne le probabilità, impedendo che a Berlino, contando sull'Italia, si spingano le cose oltre certi limiti, però devi ritenere che Bismarck ed il Re Guglielmo, mandano qui le più alte assicurazioni, e che i dispacci di Benedetti sono costanti ad accennare agli infruttuosi sforzi del nostro Governo per trascinare la Prussia, che sembra tutto svelare onde farsi merito. Da Pitti poi si dicono cose da chiodi e l'antipatia reciproca colle Tuileries, si fa sempre maggiore.

Rouher espose le idee sopracitate all'Imperatore, questi rispose «les hommes d'Etat d'Italie n'ont pas assez d'esprit et le Roi est trop faible et me déteste trop pour faire un pareil acte, il ne faut pas y compter ». Non so se il pensiero di un'alleanza sia attuabile in Italia, visto l'esacerbazione degli animi, ma stanno inébranlables le mie convinzioni.

Le passioni ed intrighi si ravvivano alle Tuiledes, l'Imperatore non li combatte, i soli Rouher, La Valette, Baroche et Duruy, ci sono favorevoli e temono non essere abbastanza forti a combattere le mene, il piano che si accarezza e che probabilmente si adotterebbe nel caso che le cose non si accomodassero è il seguente.

60 od 80 mila Spagnuoli e 40.000 Francesi si metterebbero negli Stati Romani e si spingerebbe alla separazione dell'Italia Meridionale ed alla restitu

zione di parte del territorio Pontificio a Sua Santità, non so se ciò possa o meno riuscire ma l'esaltazione qui è tale che supplico gli amici nostri a fare ogni sforzo ed ogni sacrificio, onde non lasciare il paese in balia alle passioni.

Menabrea s'avvide del pericolo anche indipendentemente di quanto gli scrisse Nigra, se domanda spiegazioni, otterrà vaghe risposte e qualora anche si negassero i fatti che non esistono, stanno le intenzioni, oltre di ciò la vita di Pio IX non potendo essere eterna, è d'uopo togliere la presenza dei Francesi che impedirebbero qualunque combinazione favorevole al momento del Conclave.

Per provarti come il mio dire non alteri la verità, aggiungerò solo che al Ministero della Guerra la combinazione cogli Spagnuoli fa parte dei piani che si preparano per ogni eventualità, specialmente quella d'avere l'Italia contraria alla Francia, unita alla Prussia.

La condotta del Ministero Rattazzi ebbe per primo risultato di fare avorter la combinazione di La Valette agli Esteri, ora è più difficile che possa arrivarvi, credo più facile che egli sia nominato Ministro della Maison de l'Empereur al posto di Vaillant, in questo modo andrebbe a far parte del Consiglio dei Ministri, cosa desiderata da tutti, essendo i suoi consigli, quantunque a noi favorevoli, molto apprezzati.

Rouher desidera andare agli Esteri e se non li ha assunti, è per un riguardo a La Valette per il quale si aspetta una combinazione favorevole indipendentemente da quella del Quai d'Orsay che è ancora sul tappeto. Non credere che Rouher malgrado il suo discorso, ci sia nemico, i suoi progetti, che ti ho citati più sopra, quantunque intempestivi, provano che egll vuol poter contare sull'unità Italiana. Malaret è qui accusato e condannato da tutti, il suo cambiamento è deciso ma non ancora si è trovato chi possa rimpiazzarlo.

Nigra è sempre amatissimo e molto apprezzato. Rannodandosi tutti gli elementi sparsi e ridotti all'impotenza dal Ministero Rattazzi, si potrebbero ancora rimettere le cose, ma è necessario che alla Camera possa il partito conservatore prendere il dissopra.

Indispensabili i provvedimenti finanziarii ed a Pitti un cambiamento totale di quanto si è fatto sinora. Qui si conoscono le mene e se ne raccontano tali dettagli da aggiungere il ridicolo all'odioso.

Di me non ti parlo, il modo con cui agirono il Rattazzi prima, indi conseguentemente il Menabrea, sorpassa i limiti della convenienza. Da tutti mi si consiglia di recarmi a Firenze, Nigra lo desidera, ma io che sono convinto dell'inutilità del mio viaggio, me ne rimango qui attendendo tempi o persone

migliori.

Ti sarò grato se vorrai scrivermi di tempo in tempo, se acconsenti a mantenere con me seguita una corrispondenza, tu sarai tanto al corrente come quando avevi il portafogli degli Esteri.

Mille cose amichevoli a Gino al quale ti prego comunicare la presente che non so se avrai la pazienza di leggere per intero, ma proprio sento il bisogno di sfogarmi con un amico, narrando la dolorosa storia di fatti la cui conseguenza sarà più dolorosa ancora.

(l) Da AVV.

(2) Privo di giorno. Si inserisce qui poiché precedente al n. 60.

(l) Cfr. serie I, vol. IX, n. 109.

60

IL CONTE VIMERCATI ALL'ONOREVOLE VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Parigi, 19 gennaio 1868.

Non dubito che ti sarà giunta la mia lettera o brochure per dir meglio, che ti avrà messo al corrente del passato (2). Ora in tutta confidenza, per te solo, pel Gino ed al più per qualche tuo intimissimo, ti dirò che a Fitti si sono fatte serie riflessioni e che il Menabrea in risposta alla nota che ti citai, incaricò Nigra di comunicare le intenzioni del Gabinetto Italiano di entrare nella veduta che Rouher aveva espresse prima a me poi a Nigra stesso in presenza di La Valette, ma ciò sempre, bada bene, come progetto del Ministro di Stato e non altrimenti. Col mezzo mio, Nigra diede prima sentore a Rouher delle disposizioni di Firenze, poi parlò egli stesso.

Rouher ebbe in argomento due lunghe conversazioni coll'Imperatore, il quale nella prima accolse la cosa freddamente, perché da Prussia gli erano giunte le assicurazioni d'amicizia le più esplicite.

Rouher vi ritornò il giorno dopo e facendo osservare come alle assicurazioni prussiane si dovesse prestar fede fino ad un certo limite, insistette per le intelligenze coll'Italia.

L'Imperatore incaricò il Ministro di Stato di formulare un progetto, egli vi lavorerà oggi stesso, confidenzialmente però a me ha comunicate le sue idee e sono: l") ritiro delle truppe francesi dagli Stati del Papa, appoggiandosi alla convinzione que le Gouvernement des Tuileries étant convaincu que la majorité des Italiens comprend que la Question Romaine ne peut se résoudre par la vlolence, le Gouvernement de l'Empereur juge inutile de laisser ses troupes dans les Etats Pontificaux; 2°) l'Italie et la France s'engagent à ne prendre en aucun cas les armes l'une contre l'autre et en échange de cette assurance la France s'engage à contribuer, par tous les moyens qui sont en son pouvoir, à l'affermissement et développement de l'unité italienne >>. Troverai gran differenza fra la prima idea che ti ho comunicata nell'ultima mia e quanto si sta per fare, il cangiamento di progetto proviene principalmente dalle difficoltà di fare e di conservare secreto un trattato secreto. Le difficoltà da noi sono accresciute più che in ogni altro governo costituzionale a causa del carattere troppo spesso indiscreto e sovente versatile di qui règne et qui veut trop souvent gouverner. Queste prime idee di Rouher potranno essere modificate ma non credo che si potrà arrivare ad allontanarsi dagli Stati Pontifici. Una nota abbastanza buona, scritta da Menabrea sul modus vivendi con Roma, darà motivo al progetto di cui ti ho parlato.

La guerra non credo avrà luogo, la Francia è troppo preparata, Bismarck che d'altronde ha abbastanza legna al fuoco, penserà due volte ad eccitare una lotta che il partito liberale europeo condannerebbe. L'Imperatore dal canto suo, alla guerra non si deciderà, Rouher vi è contrarissimo, ed ora alle

Tuileries, ove del resto esistono tiraillements spaventevoli, bisognerà rinunciare a fare di moto proprio.

Nigra ed io siamo dell'avviso che la smania di fare del De Launay, abbia contribuito a suscitare la diffidenza di Benedetti, nel Gabinetto di Bismarck poi, è naturale che rimanesse un po' di mar morto per le tempeste suscitatevi da Rattazzi.

Voi due apprezzate le mie notizie, hanno il solo merito dell'autenticità in tutti i loro dettagli. Quantunque la verità riconosciuta possa rinsanire, non m'esporre, facendo noto quanto ti scrivo, però tu puoi ricavare indicazioni da trasmettere a Bonghi, egli è tanto intelligente che capisce a mezza voce. Egli mi fece dire da Grassi che avrebbe desiderate mie lettere direttamente, io gli sono amico ed avrei aderito volentieri se non mi ritenesse la tema di dire dippiù di quanto possa essere pubblicato e pubblicando da Milano, difficilmente si può stabilire una misura che non ecceda, io mi trovo in una posizione delicatissima che ho tutto l'interesse a conservare, per essere utile al paese, ad onta dei continuati calci applicatici, ti prego però a rammentarmi al Bonghi al quale potrai confidare le mie indicazioni, usando tutti la maggior prudenza onde non compromettere la mia posizione.

(l) -Da AVV. (2) -Cfr. n. 59.
61

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R.R. 79. Costantinopoli, 20 gennaio 1868 (per. il 30).

Dal documento diplomatico n. 360, annesso al dispaccio Ministeriale dl questa serie n. 42 (1), e firmato Incontri, scorgo che il Principe Gortchakow tenta persuaderei a continuare l'imbarco delle famiglie Cretesi, onde mostrare che il Governo del Re vuoi mantenere nel Levante quell'influenza cui ha diritto.

Il Generale Ignatiew tennemi sottosopra lo stesso linguaggio. Questa tenerezza, alquanto problematica per me, della Russia per indurci ad agire in modo condegno di una grande Potenza, quasi che una inazione temporanea e calcolata possa farci perdere la nostra posizione, e che in sostanza tende ad associarci alla sua opera, e farci, potendolo, tirer les marrons du feu, per suo conto, non è certamente sfuggita all'E. V. che vede in modo abbastanza chiaro come, col pretesto di umanità verso gli infelici, siasi trovato il mezzo più appropriato per introdur viveri e munizioni da guerra nell'isola, e così siasi mantenuta viva un'insurrezione che, senza i soccorsi nordici saria stata domata da lungo tempo. Tale è l'opinione del Governo Ottomano che ha buon per le mani onde formularla, e tale è altresì quella di quanti nel Corpo diplomatico possono formarsi un criterio in proposito, dato anche che gli ultimi fatti della violazione del blocco per parte d'una Corvetta Russa ad Armiro, onde parlano oggidì i

giornali, possano ammettere qualche circostanza attenuante in favore della Russia.

Il Principe Gortchakow smentisce intanto, nel dispaccio sovracitato, la voce ch'egli abbia a cedere il posto al Generale Ignatiew, cui dice essere stato accordato un semplice congedo. Qui si persiste a credere il contrario, attesoché chi parte per un congedo di due mesi, non vende cavalli, vetture, portantine e simili.

Quanto a me ho ragioni speciali per supporre che il Generale Ignatiew o s'aspetti di occupare la carica del Principe Cancelliere, o che, in ogni caso, egli creda di non tornare più a Costantinopoli. Le informazioni particolareggiate ch'egli mi chiese sul Personale diplomatico russo, da me potuto conoscere nelle varie mie residenze; -le notizie ch'egli si mostrò avido di conoscere sul conto di questo o quel Gabinetto, specialmente su quello degli Stati Uniti, ch'egli mi credeva in grado di conoscere più da vicino; -la sollecitudine che ha esternata per sapere la mia opinione sulla Chiesa cattolica di Polonia; -sul modo di vincere l'ostinata opposizione di Roma, e di ridurre a segno un Clero composto totalmente di Gesuiti cospiratori; -tutto questo in complesso, per tacere di molte altre particolarità, mi fa pensare che il mio Collega andò raccogliendo le migliori ed ultime notizie che poté procacciarsi in fretta in questa Capitale, onde farne tesoro, e giovarsene in tempo opportuno. Notai che il Generale Ignatiew non fu mai tanto assiduo nelle sue visite in casa mia, come dacché ricevette l'avviso di recarsi a Pietroburgo. La preoccupazione speciale che mi mostrò in questo frattempo fu quella della Polonia, intorno alla quale egli voleva sapere il mio pensiero, che io evitavo di esprimere, sapendo che un sistema di politica quale è quello adottato dalla Russia rispetto a questo infelice paese non si muta col mutar dei Ministri. -Alle insistenze amichevoli e pressanti del Generale finii per rispondere che la politica moscovita in proposito io la credevo assurda, e tanto più assurda che non si può pensare nel secolo XIX esser possibile di distruggere colla forza il Cattolicismo, o parzialmente o totalmente; -che l'inaugurare una Chiesa Nazionale in Polonia con lo scopo di esercitare una pressione sulla Santa Sede, e farla calare a patti era cosa di difficile, per non dir d'impossibile riescita; -che se i Gesuiti erano cospiratori, la colpa era della Russia che li rese tali, e tali li avrà sempre finché non si riconcilii con Roma; -nel resto nessun Governo aver meno della Russia ragion di lagnarsi dei Gesuiti, essa che li ospitò, e li mantenne qual Corpo morale dell'Impero degli Tzar, a dispetto della Santa Sede, quando Papa Ganganelli mandò fuori la Bolla di soppressione dell'Ordine. Quest'avvertenza mise di buon umore il Generale Ignatiew, che non si aspettava a siffatto tiro, e che ammise il fallo commesso.

«Dunque dobbiamo assolutamente riconciliarci con Roma»? «Si, e non altrimenti», risposi.

«Ma qual guarentigia avremo in questo caso contro i cospiratori, e per la sicura obbedienza del clero e del popolo?». «Un Nunzio a Pietroburgo, e non altrimenti», gli soggiunsi io.

« Confesso, mi disse risolutamente il mio collocutore, che io non m'aspettavo suggerimenti tali da voi, Ministro d'Italia». Al che replicai che, poiché

mi chiedeva un consiglio da amico, io doveva o tacermi per non tradire la sua fiducia, o non parlare diversamente da quanto parlai.

Il Generale mi strinse la mano, e mi disse:

«Si, vedo che siete amico mio e del mio paese. Ve ne ringrazio».

Il tema della Polonia durò pel tratto di due e più ore, e fu ventilato in tutti i sensi.

Se il Generale Ignatiew succede al Principe Gortchakow, dirò ulteriormente all'E. V. quanto egli desidera ch'io faccia per lui intorno all'argomento in discorso.

(1) Non pubbl!cato.

62

L'INCARICATO D'AFF'ARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 221. Vienna, 21 gennaio 1868 (per. il 24).

L'efficacia dell'influenza esercitata dal Gabinetto di Vienna presso il Governo francese nel senso della pace è riconosciuta e lodata dal Barone di Werther, il quale mi diceva ieri che le speranze di pace si vanno sempre confermando, mercé anzitutto il contrappeso che l'Austria, come amica della Francia, può opporre ed oppone difatti alle tendenze del partito bellicoso francese.

Il Barone di Werther mi parlò ripetutamente negli ultimi giorni di buoni uffici fatti dal suo Governo per procurare tra la Francia e l'Italia un accordo analogo alla Convenzione del 15 settembre; mi aggiunse che il Gabinetto di Berlino espresse al Governo francese la propria fiducia nella consolidazione della unità italiana, considerata da lui come d'interesse europeo, e che avendo constatato essere identiche le disposizioni del Gabinetto delle Tuileries, si spera ora a Berlino che sia prossimamente migliorata l'attuale situazione degli affari di Roma.

Riferendo ciò all'E. V. ad ogni buon fine...

63

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. 570. Firenze, 22 gennaio 1868, ore 13.

On nous annonce que le général Prim doit se rendre à Naples. Le Gouvernement du Roi est déterminé à ne lui permettre aucune tentative révolutionnaire contre qui que ce soit. S'il vient effectivement en Italie, il sera prévenu qu'on n'hésitera pas, le cas échéant, à le renvoyer. Nous voulons éviter tout prétexte de trouble à l'intérieur et toute complication avec les Puissances étrangères. De son còté, le Gouvernement espagnol devrait éviter tout ce qui pourrait donner à craindre qu'il a des intentions hostiles contre l'Italie, camme on serait induit a le présumer d'après l'accueil empressé qu'on a affecté de faire au général Bosco et à d'autres napolitains réfugiés.

J'ai reçu vas dépeches remises par le courrier Longa. Je vous remercie de vas informations et j'approuve votre conduite, surtout votre reserve à l'egard du nommé Sanguinetti et votre abstention de tout acte qui n'alt pas pour objet l'intéret direct de l'Italie.

64

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, i~L PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 905/365. Londra, 22 gennaio 1868 (per. il 26).

Jeri l'Ambasciatore di Prussia è venuto a parlarmi del riavvicinamento che ha luogo attualmente tra il suo Governo e quello di Francia all'oggetto di venirne ad una soluzione intorno alla questione Romana. Chiesi al Conte Bernstorff se già vi fosse un programma, ma mi rispose di non saperlo: ad ogni modo egli mi diceva, essere un tal fatto da considerarsi come una prova della tendenza pacifica del momento. Chiesi ancora al Conte se si intendesse con questo di ravvivare l'idea di un Congresso, stata riluttantemente, ed in parte soltanto, abbandonata dalla Francia, oppure un semplice accordo tra le due potenze mediatrici e l'Italia; ed il mio interlocutore di nuovo mi disse di non saperlo, essendo ogni cosa solo finora assai vagamente accennata, ma che in ogni caso non credeva un Congresso possibile.

Prendendo argomento da ciò che precede, osservai al Conte Bernstorff quanto sarebbe necessario di addivenire ad una combinazione, la quale, quantunque nelle presenti circostanze non possa essere ancora quella definitiva desiderata dagl'Italiani, sia però tale da venir accettata con dignità dal paese e fornire nel tempo stesso un elemento di forza al Governo che vi darebbe la sua sanzione.

Ove ciò non fosse, ove la questione Romana non ostante tale nuovo accordo non avanzasse di un passo, meglio varrebbe a mio avviso lo statu quo attuale !asciandone tutta la grave responsabilità alla Francia. Poiché dopo le dichiarazioni fatte nel Corpo Legislativo dei membri del Governo Imperiale, che le truppe francesi siano a Roma, a Civitavecchia, a Tolone, la questione non cambia gran fatto, mentre il non esser legata da nessun impegno darebbe almeno all'Italia piena libertà d'agire a seconda delle opportunità e dei suoi interessi.

L'Ambasciatore di Prussia mi rimarcò che il presente statu quo non conveniva a nessuno costituendo un pericolo perenne per la tranquillità Europea. Ragione di più, soggiunsi io allora, per proporre all'Italia una soluzione accettabile.

Era mia intenzione di andar subito da Lord Stanley onde conoscere quale attitudine il Governo Inglese intenda serbare in ordine a questi negoziati, ma egli non è in città, né so quando sarà di ritorno. Farò però di vederlo il più presto possibile.

Mi venne riferito da fonte sicurissima che Lord Clarendon si presta molto volontieri a tutti gl'intrighi francesi che si conducono a Roma. Non è un mistero per alcuno che le tendenze del Nobile Lord sono intieramente Franco-Austriache. Avversissimo alla politica Prussiana egli nutre un'animosità personale contro il Conte Bismarck e non credo che certamente nelle sue conversazioni coi personaggi ufficiali a Roma egli patrocini le aspirazioni nazionali Italiane.

Quantunque Lord Stanley abbia formalmente dichiarato che il Conte di Clarendon non ha missione governativa di sorta, pure so in modo non dubbio che Egli è in continua corrispondenza con Lord Derby, ed a provare a V. E. quanto le sue lettere siano favorevoli alla Francia, mi risulta positivamente che ne mandò una di queste aperta al Marchese di Moustier affinché ne prendesse conoscenza e la spedisse quindi a Londra.

Negli ultimi due o tre giorni dei rumori allarmanti sullo stato d'Italia si sparsero nella città, non so per quale ragione, e sulla fede di quale notizia. Lord Stanley, senza che io gliene rivolgessi preghiera, ha contradetto tali assurde voci a coloro che gliene fecero menzione. Con facili argomenti provai al Conte Bernstorff, che me ne parlava, l'insussistenza di queste malevoli insinuazioni, massime per ciò che concerne lo spirito separatista che animerebbe non solo le provincie Meridionali, ma anche l'antico Piemonte.

La recente esposizione finanziaria del Conte di Cambray-Digny ha cagionato una profonda impressione, come quella che svela schiettamente tutta la gravità dei pesi che colpiscono il nostro erario; ma la ferma risoluzione annunziata di portarvi rimedio mercé la più stretta economia ed ampie riforme amministrative, produsse buon effetto come V. E. potrà scorgere dai due articoli di fondo pubblicati dal Times e dal Morning Post d'oggi, che qui mi pregio inviarle.

65

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 139. Berlino, 23 gennaio 1868 (per. il 28).

Ayant vu aujourd'hui M. de Thiele, il m'a nouvellement parlé, --voir ma dépéche n. 137 (1), -des bruits répandus à Paris dans le but de semer la discorde entre l'Italie et la Prusse. Ces bruits avaient fixé l'attention de V. E., qui y faisait allusion dans un récent entretien avec le Comte d'Usedom. Celui-ci en a rendu compte dans une dépéche chiffrée, arrivée hier ou ce matin. Le Comte de Bismarck a vu avec regret que ce diplomate, en se conformant à l'esprit de ses instructions, n'alt pas opposé un démenti des plus catégoriques. On lui télégraphie aujourd'huy méme pour qu'il n'hésite et ne tarde pas à le faire.

Ainsi que je l'ai déjà écrit, il est complètement inexact de parler d'un rapprochement entre les Cabinets de Paris et de Berlin sur la question romaine, a_uelques soit le désìr de ce dernìer que nous ne nous écartìons pas des règles de la prudence et de la modération. Qu'on se montre aimable à Paris aussi bien qu'à Rome vis-à-vis de la Prusse qu'on voudrait captiver, il n'y a là rien qui doive surprendre. De son còté, elle n'a aucun motif de ne pas se montrer ~ourtoise dans les formes. Mais elle évite de prendre des engagements surtout s'ils devaient avoir pour but d'amener un démembrement de la Péninsule. Il ne faut pas une grande perspicacité pour deviner le jeu qu'on voudrait jouer à Paris. On y voit avec une extreme défiance, avec une jalousie mal dissimulée, les bonnes relations qui existent entre nous et la Prusse. Un rapprochement intime serait envisagé par la France comme un acte de trahison de notre part. Sa diplomatie travaille donc à nous diviser. Qui salt si elle ne spéculerait meme pas sur un concours matériel ou moral de la Prusse pour nous combattre ouvertement, sauf, après avoir eu raison de notre résistance, à retourner ses armes, jointes aux nòtres, contre son voisin rhénan! Le Cabinet de Berlin ne saurait se preter à la réalisation de ces calculs. N'oublions pas le mot du Comte de Bismarck: «si l'Italie n'existait pas, il jaudrait l'inventer », et nous nous persuaderons de plus en plus de l'importance qu'on attache ici au maintien et à la consolidation de notre Royaume. Si nous devions succomber aux attaques de la réaction, le hodie mihi deviendrait le cras tibi pour la Prusse.

Sans doute elle est tenue à observer beaucoup de ménagements vis-à-vis de ses populations catholiques, tout aussi bien que dans ses rapports avec la France et avec l'Autriche. Autrement elle irait au devant d'une coalition, et cela au moment où la paix lui est nécessaire pour fortement organiser sa. position en Allemagne. Ainsi elle s'applique à vivre en bonne intelligence avec les Cabinets de Vienne et de Paris. Elle y a réussi dans une certaine mesure, mais sans sacrifice aucun des principes essentiels de sa politique. Elle est à la veille, entre autres, de conclure un traité de commerce avec l'Autriche, qui contiendra de nombreuses réductions de tarif sur les vins, réductions qui sont également applicables aux autres Puissances, jouissant par leurs stipulations du traitement de la nation la plus favorisée. C'est là une concession faite du meme coup à la France, qui a marchandé à ces conditions la résiliation de la convention avec les deux Mecklembourg, en vertu de laquelle les vins français, à leur entrée dans les deux Grands Duchées, paient des droits inférieurs à ceux qui frappent leur importation dans le Zollverein. Les Mecklembourg, ainsi dégagés, feront désormais partie de la grande association douanière.

M. de Thiele me confirmait en meme temps les tendances pacifiques du moment, chacun ayant intéret à ne pas provoquer ouvertement une rupture. Mais, de part et d'autre, si on a le sourire à la bouche, on reste sur le qui vive, et, si on ne tire pas l'épée, la main est près de la garde.

Je confie cette dépeche au Chevalier Tosi qui part ce soir pour Turin, en remerciant V. E. du congé qu'Elle a bien voulu lui accorder.

P. S. Cette dépéche était rédigée et copiée avant la présentation de mes lettres de créance.

(l) Cfr. n. 56.

66

lL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 571. Firenze, 24 gennaio 1868, ore 12,30.

M. de Malaret m'a remis une copie de la Circulaire du 24 décembre de

M. de Moustier relative aux conférences; il m'a en outre donné connaissance, sans toutefois m'en laisser copie, de la dépeche dont il est question dans votre

n. 608 (1). Je désirerais que M. de Malaret fut autorisé à me laisser copie de ce dernier document, afin qu'il n'y ait aucune lacune dans la série des pièces qui se rapportent à nos négociations sur la question de Rome.

67

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 572. Firenze, 24 gennaio 1868, ore 17.

La France du 22 janvier appelle l'attention de ses lecteurs sur le résumé faìt par le journal Les jeuilles de Cologne de la réponse du roi de Prusse aux députations de ses sujets catholiques.

Si ce résumé est inexact il doit ètre déménti. Informez-moi le plus-tòt possible sur ce sujet qui a une trop grande importance pour etre passé sous silence (2).

68

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTIW DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (3)

D. 315. Firenze, 24 gennaio 1868.

Par vos dépeches du 19 Janvier (4) j'al pu constater avec plaisir que le Gouvernement de l'Empereur reconnaissant la nécessité de faire sortir la question romaine de l'état précaire et dangereux dans lequel elle se trouve placée, nous invite à formuler un ensemble de mesures qui pourraient contribuer à améliorer les relations réciproques du Royaume d'Italie et du St. Siège, et à établir entre Ies deux pays limitrophes un modus vivendi qui fut tolèrable des deux còtés.

Nous ne nous dissimulons point, M. le Ministre, les difficultés que nous aurons à surmonter en présence des dispositions hostiles dont la Cour de Rome se montre animée à notre égard.

Nous sommes toujours d'avis qu'il aurait été préférable de profiter du calme des esprits en Italie pour aviser aux moyens de donner à la question romaine la solution définitive et satisfaisante qu'il s'est agi de chercher avec le concours d'une conférence européenne.

Vous n'ignorez point que nous nous proposions de faire dans ce sens un exposé de nos propres vues, pour les soumettre à l'appréciation de cette réunion des puissances.

Toutefois, désirant témoigner de notre bon vouloir au Gouvernement de l'Empereur, nous ne croyons pas devoir nous refuser à l'invitation qu'il nous a dernièrement adressée, et nous sommes prets à nous entendre avec lui pour tfì.cher d'établir d'un commun accord entre l'Italie et le St. Siège un modus vivendi acceptable.

Après avoir pris les ordres du Roi, je suis en mesure de vous communiquer les bases suivantes qui ont été arrétées d'accord avec mes collègues:

lo Rétablissement pur et simple du statu quo ante, c'est-à-dire remise en vigueur de la convention du 15 Septembre 1864;

2° Obligation pour l'Italie de donner pleine et entière exécution à la convention relative au payement de la dette pontificale afférente aux provinces annexées;

3° Evacuation du territoire romain par les troupes françaises dans un bref délai, deux mois par exemple; 4° Promesse de la part du Gouvernement Impérlal de faire tous ses efforts pour obtenir que le Saint Père consente:

a) à établir une convention douanière avec le Royaume d'Italie;

b) à prendre des arrangements avec nous pour une convention postale et télégraphique et un accord pour l'extradition réciproque des malfaiteurs; c) à sanctionner l'abolition des passeports entre les deux pays; d) à permettre le passage libre, par les chemins de fer, des détache

ments de troupes royales qui seraient obliges de traverser le territoire pontificai pour se rendre d'une province du Royaume à l'autre;

e) à consentir que les autorités limitrophes des deux pays prennent entre elles des arrangements pour la poursuite des brigands, en tolérant que les troupes royales puissent les poursuivre sur le territoire pontificai dans les limites qui seront désignés;

t> à liberer les prisonniers politiques appartenant aux provinces du Royaume.

En appelant l'attention de S.E. le Ministre des Affaires Etrangères sur les différents points que je viens de vous indiquer, vous aurez soin de lui faire observer qu'il n'y a dans l'ensemble de nos propositions que les éléments strictement indispensables pour établir entre le territoire italien et l'enclave pontificale une situation qui nous permette d'espérer que quelques unes des nombreuses entraves qui venaient jusqu'ici presque quotidiennement aigrir les rapports déjà si difficiles du Gouvernement italien envers le Saint Siège pourront etre évitées.

Créer une pareille situation c'est donner la meilleure garantie possible du respect des actes internationaux qui ont déterminé la position réciproque de l'Italie et du Saint Siège, car l'apaisement des esprits qui s'est déjà produit en Italie, pourra etre certainement maintenu beaucoup plus facilement du jour où la plupart des difficultés matérielles inhérentes à nòtre situation passée envers le S. Siège auront disparu.

En vous autorisant à lui en laisser copie s'il le désire ...

(l) -Cfr. n. 55. (2) -Per la risposta cfr. n. 73. (3) -Ed. in LV 14, pp. 38-40 e In Origines diplomatiques, vol. XX, pp. 254-256. (4) -Non pubblicati.
69

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 224. Vienna, 24 gennaio 1868 (per. il 29).

In questi ultimi giorni ebbero luogo a Praga alcune dimostrazioni del partito Czeco ostili al Ministero Cis-leithano recentemente istituito.

Se merita speciale considerazione il movimento Slavo fra i Ruteni ed i Croati dell'Impero, le cui aspirazioni sono in istretta relazione colle tendenze del partito nazionale Russo, non si può dire altrettanto degli Czechi. Questi, isolati e disseminati in mezzo alle ricche ed illuminate popolazioni Germaniche della Boemia, non possono invocare, né una qualsiasi coesione geografica, né un'idea od un interesse di civiltà nella loro reazione, fomentata dai clericali e dai feudali non solo contro le istituzioni attuali ma contro le stesse riforme liberali che il nuovo sistema di governo tende a realizzare. Così la stessa ambasciata di Russia qui, mentre non dissimula le sue simpatie per le resistenze dei Croati e dei Ruteni a ciò che essa chiama la dominazione dei Magiari e dei Polacchi Galliziani, declina ogni solidarietà colle tendenze e coi moti attuali degli Czechi di Praga.

Mi risulta che gli Agenti Russi qui consigliano vivamente agli Slavi dell'Austria, e della Turchia di aspettare, senza abbandonare l'impresa liberatrice, circostanze più favorevoli che non sieno le presenti: alcuni Capi o membri compromessi dei partiti d'azione Rumeno, Transilvano, Serbo, Montenegrino, etc., mossi da considerazioni personali, ripugnano a fermarsi nella via in cui già erano impegnati, ma questa Ambasciata di Russia insiste presso di essi e presso dei loro corrispondenti in Russia perché non si giuochi ora una partita a cui tutti i segni del tempo sono avversi. Il Conte di Stackelberg mi dice perfino essere personalmente convinto che, se succedessero sollevazioni fra i Cristiani della Turchia d'Europa, l'Inghilterra s'accorderebbe ancora una volta colla Francia per inviare una flotta combinata alla custodia del Bosforo, persistendosi a Londra ed a Parigi, malgrado tutte le proteste e le affermazioni del Gabinetto di Pietroburgo, a credere che la Russia miri ad impadronirsi di Costantinopoli.

Accennai poco tempo fa (Rapporto Politico n. 208) (l) a consigli di prudenza e di moderazione dati alla Serbia dall'Inghilterra, dalla Francia e dall'Austria, ed alle spiegazioni di alto significato con cui il Gabinetto Inglese accompagnò tali consigli. Si diffuse ultimamente la voce che il Governo Prussiano si era associato a quella dimostrazione e mentre la propaganda slava si sforzava di smentire tale rumore, invece il linguaggio di questa Cancelleria Imperiale tendeva piuttosto a confermarlo. Dalle opportune verificazioni mi risulterebbe che il Governo Prussiano si astenne in tale circostanza da dimostrazioni speciali che avessero potuto implicare una comunanza di propositi colle tre Potenze suddette; ma che egli, attenendosi al contegno scrupolosamente corretto e prudente adottato a Berlino verso ogni questione estera fin da quando scoppiò l'attuale crisi degli affari Romani, notificò di non aver mai cessato, né voler cessare d'adoperare in senso pacifico e conciliante la sua influenza a Belgrado come altrove.

70

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 65. Firenze, 25 gennaio 1868.

La S. V. è stata informata colla mia circolare del 6 gennaio (2) dei motivi che indussero l'attuale Gabinetto a proporre a Sua Maestà la continuazione dei lavori parlamentarii col concorso della camera attuale, dopo che il Ministero ch'io presiedo si era ricomposto col cambiamento di taluno dei suoi membri. I nostri calcoli non andarono falliti. L'esperienza ha dimostrato in questi giorni che nella rappresentanza nazionale vi ha una parte numerosa la quale, convinta che nell'ordine e nella legalità riposa la sicurezza del paese e delle sue istituzioni, basta a dare appoggio al Governo per far progredire nelle vie normali l'amministrazione del Regno.

Nelle ultime sedute della Camera dei deputati si videro successivamente tratte in campo da uomini che seggono nei banchi dell'opposizione, le questioni più ardenti perciò anche le più atte a distogliere l'attenzione dei loro colleghi dal lavoro incominciato per l'esame del bilancio dello Stato. I tentativi fatti per strascinare di nuovo la Camera sul campo delle sterili discussioni della politica interna ed esterna benché si riproducessero in quasi tutte le sedute non ottennero miglior successo di quello che ebbe la prova fatta ieri di mettere in quistione la prerogativa regia nella nomina del Ministro della Real Casa. Tutte queste quistioni appena enunziate dai loro proponenti, furono respinte dalla maggioranza del partito governativo con varie successive votazioni dalle quali si può arguire che se manca ancora al partito medesimo quella forza numerica che sarebbe forse richiesta dalle nostre condizioni presenti, non man

cano però i fermi propositi di non lasciarsi fuorviare dalle arti passionate dei partiti opposti.

La destra parlamentare, quella che appoggia risolutamente il Governo, quella che vuole la salvezza del paese mercé un'amministrazione savia prudente ed ordinata, è ormai costituita. E di questo primo risultamento dei nostri sforzi conviene prendere atto, perocché purtroppo gli ultimi periodi delle legislature italiane aveano prodotto nei più lo sconforto giacché molti credevano vedere nella nostra rappresentanza nazionale la mancanza di quella coesione indispensabile per formare il nucleo compatto di un vero partito governativo.

Queste cose io scrivo a Lei, signor Conte, perché so in quanto pregio si tengano in Inghilterra questi sintomi di un ritorno alla vita parlamentare ordinata. Essi dimostrano infatti come la calma sia rientrata negli animi e come all'agitazione degli ultimi mesi stia per succedere un periodo di ordine e di tranquillità durante il quale messi a bando i suggerimenti della passione, il paese intende occuparsi seriamente dei propri bisogni interni.

L'aver dato questa direzione alla pubblica opinione degl'Italiani non sarà certamente il meno considerevole dei risultamenti ottenuti dall'amministrazione attuale. Venuti al potere in momenti di grave agitazione, noi abbiamo potuto, senza aver ricorso ad alcun provvedimento eccezionale ricondurre il paese in pochi mesi alle sue condizioni normali. La tranquillità e la sicurezza regnano nella penisola malgrado un concorso di molte sfavorevoli circostanze quali ad esempio il caro dei viveri, la cessazione dei lavori in gran parte delle provincie italiane per effetto degli straordinarii rigori dell'inverno e simili. Alcune località più vicine alla frontiera pontificia dove il brigantaggio avea poato radice, furono in poche settimane liberate da questa piaga. Nelle provincie meridionali e nella Sicilia notasi un sensibile miglioramento nelle condizioni della pubblica sicurezza. Concorse principalmente a produrre questo notevole beneficio nella situazione interna di quest'ultime provincie l'essere colà cessata, o quasi, la ripugnanza delle popolazioni a prestar servizio nelle milizie dello Stato. La leva che si è operata in questi ultimi giorni in Sicilia ha dato ottimi risultamenti. Pochissimi i renitenti, animati da ottimo spirito i giovani accorsi volonterosi sotto le bandiere. Presso quelle popolazioni una mutazione così importante nel sentimento delle masse fu sovratutto la conseguenza degli esempii di abnegazione dati dai nostri soldati durante l'ultima invasione cholerica. Quando la popolazione impaurita abbandonava le città ed i villaggi, credendo così di sfuggire al morbo, rimanevano a cura degl'infermi i soldati, facendo prova di singolare calma e coraggio in mezzo al terrore di cui era compresa la popolazione.

Se io reputo necessario esporle anche alcuni ragguagli assai minuti sulle nostre cose interne, ciò faccio perché purtroppo le tendenze della pubblica opinione all'estero non sembrano da alcun tempo a questa parte favorevoli all'Italia. Delle quali tendenze però io credo si debba ricercare l'origine non già nelle condizioni vere del nostro paese, le quali vanno ogni dì notevolmente migliorandosi, ma bensì in un certo lavorio che il partito reazionario europeo sembra di aver intrapreso per tentare di rovesciare l'edificio dell'unità italiana.

Questo partito di cui si esagerano singolarmente le forze, ha però a sua disposizione molti elementi per fuorviare la pubblica opinione. Collegandosi coll'elemento anti-monarchico, poco numeroso, ma molto intraprendente, può mantenere nel paese non già una vera agitazione, ma un sentimento d'inquietudine ben naturale dappoiché si vede direttamente attaccato il principio che è e sarà la principale forza dell'unità italiana. Coll'influenza poi che esercita sovra una parte della stampa estera questo partito trova modo di accreditare al di fuori le voci e le notizie le più infondate sulle cose nostre. L'abuso che della pubblicità si è fatto e si fa tuttora a nostro scapito da una parte della stampa periodica straniera obbediente ad influenze a noi direttamente contrarie, è fra le cose sulle quali io debbo chiamare particolarmente la di Lei attenzione.

Non Le parlerò qui di quel sistema di calunniose allegazioni contro le quali non valgono sempre a produrre il necessario effetto le più solenni smentite, allegazioni che non solo riguardano l'Italia ed il suo Governo, ma tendono persino apertamente a spargere il discredito sul Re e sulla R. Famiglia rappresentandoli animati da sentimenti che non possono contaminare così nobili cuori. Ma io non posso nasconderle, signor Conte, come il vedere riprodotte costantemente negli organi della stampa estera e principalmente di quella di Francia così odiose calunnie abbia potuto far nascere in molti un falso concetto delle relazioni nostre con quell'impero. Non mi recò quindi sorpresa la notizia che ebbi in questi ultimi giorni, essere cioè generale opinione in Inghilterra che senza nulla intraprendere direttamente contro l'unità d'Italia, la Francia fosse oramai disposta a favorirne indirettamente lo scioglimento. Se non che è facile lo scorgere che l'erroneo giudizio nel quale l'opinione pubblica è tratta da quelle false apparenze manca assolutamente d'ogni fondamento, e ciò non solo in presenza delle recenti e ripetute assicurazioni dateci dal Gabinetto di Parigi, ma ancor più ove si considerino le condizioni interne del paese, le quali bastano a dare sicurtà contro qualsiasi tentativo contrario all'unità territoriale della penisola.

Le persone ostili al nostro attuale reggimento scambiano infatti, come spesso avviene, in simili casi, alcuni dissidii d'opinione sugli ordinamenti amministrativi con voti contrarii all'unità dello Stato; ed il malvezzo di buon numero d'Italiani di lagnarsi ognora d'ogni cosa e di vedere in tutto il male senza mai tenere conto del bene diggià ottenuto fa sì che a coloro i quali non conoscono appieno lo spirito vero delle nostre popolazioni possa sembrare generale e grave il malcontento che regna nelle nostre provincie. Ma per chiunque voglia recare sugli ultimi avvenimenti d'Italia un giudizio spregiudicato e sincero, non vi ha dubbio che il nostro paese ha dato una prova dolorosa sì, ma solenne della sua fede nei destini unitarii suoi. Furono per verità scossi gli ordinamenti amministrativi sino quasi all'anarchia, sciolte da ogni vincolo le passioni rivoluzionarie, suscitati da ogni parte i pericoli interni ed esterni, senza che il recente edifizio della nostra unità ne risentisse alcun danno. Le mene degli uomini avversi all'attuale ordine di cose s'infransero, come s'infrangeranno sempre ogni volta che si urteranno contro il principio unitario, che è divenuto già per gl'Italiani il primo elemento costitutivo ed il più saldo vincolo della loro nazionalità.

Non voglio dire con ciò, signor Conte, che la gran maggioranza degli Italiani non mostri realmente un vivissimo desiderio di veder riordinata l'amministrazione, ristabilito il credito pubblico, sanate le piaghe finanziarie che sono

10 ---Dccumenti diplomatici -Serie I -Vol. X

per noi cagione di gravosi sacrifizii. Ma in questo desiderio delle nostre popolazioni noi non dobbiamo vedere che l'espressione di un savio e giusto apprezzamento della nostra situazione, epperò dobbiamo rallegrarci che siffatti sentimenti penetrino nelle masse, perocché il Governo essendo risoluto a provvedere a quei bisogni, è sicuro di trovare nelle popolazioni l'appoggio necessario per mettere in atto i proprii divisamenti.

Quali siano questi divisamenti del R. Governo e quale sia l'opinione che noi ci siamo fatti dei bisogni finanziarii del paese ognuno poté vedere nella esposizione che l'onorevole mio Collega, il Ministro delle Finanze, ha fatto innanzi alla Camera dei Deputati. Né il Gabinetto, né la rappresentanza nazionale cercano di farsi illusione sulle condizioni finanziarie del Regno. Entrambi sono convinti della necessità di provvedere ed i rimedi sono pronti, e proporzionati alle esigenze d'un male conosciuto. Il riordinamento amministrativo, le riforme indispensabili nella riscossione e nel riparto delle tasse allo scopo di renderle più produttive, le nuove imposte, le giuste economie e per ultimo i proventi straordinarii che perverranno allo Stato da utili operazioni sui beni ecclesiastici, tali sono i mezzi efficaci ai quali il Governo è fermamente risoluto di aver ricorso per ottenere un sensibile miglioramento della finanza del Regno. E qui è forse luogo opportuno di esprimere a Lei, signor Conte, quanto riesca a noi difficile [comprendere] come avvenga che la sfiducia nel nostro avvenire finanziario possa penetrare nell'animo di coloro che soltanto col prestare! il loro solido appoggio potrebbero tanto vantaggiare ai proprii interessi già considerevolmente impegnati nel credito italiano. Havvi certamente per parte di costoro un cattivo calcolo fondato sovra preconcetti giudizii o sovra esagerati apprezzamenti della nostra situazione, ed importa grandemente che quei giudizii e quegli apprezzamenti siano rettificati.

Dalle cose ch'io venni esponendole, Ella avrà dunque potuto scorgere quanto siano infondate le apprensioni che si sono prodotte all'estero circa le condi:z.ioni dell'Italia. Pericoli veri non esistono dacché non v'hanno nemici esterni che ci minacciano, e lo spirito delle popolazioni si è ormai esclusivamente rivolto all'opera della ricostituzione interna del paese. Reputo quindi che a Lei non debba riuscire cosa soverchiamente difficile il trovare frequenti occasioni di rettificare gli erronei concetti che si vanno formando sulle condizioni presenti dell'Italia ed è a questo scopo principalmente ch'io La invito a valersi delle considerazioni che ho sovra esposto e che mi sembrano tali da poter dimostrare l'insussistenza delle voci a noi ostili che si sono artificiosamente sparse in questi ultimi tempi.

(l) -Cfr. n. 24. (2) -Cfr. n. 28.
71

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, .!IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E 1\.UNISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 22. Pietroburgo, 25 gennaio 1868 (per. il 4 febbraio).

Presentandomisi oggi un'occasione sicura per Firenze ne profitto per rendere conto all'E. V. di un colloquio tenutosi sulla fine della scorsa settimana fra il Cancelliere dell'Impero e l'Ambasciatore di Francia.

n Barone di Talleyrand dava lettura al Principe Gortchakow di una nuova nota del Marchese di Moustier nella quale questi esprimeva il desiderio che il Governo Francese nutre di procedere d'accordo colla Russia nella questione d'Oriente, negando che la Francia abbia voluto dare all'ultima dichiarazione presentata alla Porta dalle quattro potenze Italia, Prussia, Russia e Francia una interpretazione diversa da quella che si aveva in mira nel divenire ad un tale atto, quella cioè di lasciare alla Porta la intiera responsabilità di quanto potrebbe accadere una volta che essa non aveva creduto di ascoltare i consigli delle Potenze. Venendo poi a parlare delle cose di Roma e della progettata conferenza, il Ministro Francese diceva non avere la Francia in mira di fare alcun che contro la unità d'Italia, ma solo chiamando a convegno le potenze, aver voluto far loro trovare un componimento che permettesse la coesistenza della Sovranità del Papa e del Regno d'Italia, togliere così ogni pretesto alle mene rivoluzionarie le quali prendono occasione dalle cose di Roma per agitare l'Europa, e stabilire un accordo dei varii potentati contro di esse.

Il Principe Cancelliere rispose all'Ambasciatore di Francia che la Russia in sul principio aveva creduto sarebbe miglior partito per l'Italia di non costituirsi in un solo Stato, ma sivvero di formare tre Stati riuniti da vincoli federali; ma che una volta che gl'Italiani avevano opinato differentemente e tale loro opinione aveva ricevuto la sanzione dell'Europa intiera, la Russia aveva francamente accettato l'ordinamento che gl'Italiani si erano dato non solo ma era avviso dell'Imperatore Alessandro e del Governo Imperiale che tale stato di cose dovesse essere mantenuto come necessario all'equilibrio Europeo, in una parola che il Regno d'Italia doveva esistere con o senza Roma, questa essendo quistione la quale non concerneva la Russia, potenza non cattolica e che quindi non ha grandi interessi impegnati in tali faccende. Ciò soggiungeva il Principe essere autorizzato a dichiarare in nome dell'Imperatore e del suo Governo, i quali erano lieti di vedere che il Gabinetto delle Tuileries emetteva pure idee favorevoli alla consolidazione dell'unità d'Italia.

Passando di poi a quanto concerneva l'Oriente, il Cancelliere diceva al Raro ne di Talleyrand: « Quando l'Imperatore Alessandro mi chiamò nel 1856 alla direzione della politica Russa io sottoposi a Sua Maestà un piano frutto dell'esperienza acquistata e delle mie convinzioni politiche; la base di questo programma era un accordo schietto e sincero colla Francia, la sola a mio avviso delle potenze di Europa colla quale potessimo intenderei con utile reciproco. I convegni di Stoccarda e di Kissingen ebbero per iscopo appunto di spianare la via a questa intelligenza, e la Francia non tardò guarì ad avere luminosa prova della nostra sincerità e del nostro buon volere nel contegno da noi tenuto all'epoca della guerra del 1859. Questo nostro desiderio francamente manifestato, le spiegazioni che lo avevano seguito, e la nostra attitudine quando la Francia si trovò impegnata in una guerra, ci facevano sperare che allorquando venne a sorgere una questione sulla quale le idee della Francia e le nostre non avevano potuto accordarsi, essa avrebbe tenuto un contegno quanto più possibile riservato, ed invece al primo scoppiare della rivoluzione di Polonia, noi la vedemmo non solo incoraggire gli insorti, ma mettersi alla testa di una coalizione Europea contro di noi che forti del sentimento nazionale in Russia, dovemmo prepararci a tenervi testa con tutti i mezzi possibili. Finiti i moti di Polonia, e tenendo a dare nuova prova delle sue buone disposizioni verso l'Imperatore Napoleone lo Czar non rifiutò l'invito fattogli di recarsi a Parigi quantunque la grande maggioranza del paese, esacerbata dal contegno così di recente tenuto dal Gabinetto delle Tuileries, vi facesse viva opposizione. Nelle spiegazioni che ebbero luogo a Parigi si manifestò da parte dell'Imperatore Alessandro la miglior volontà di vivere in buona armonia colla Francia, e quindi allorché dal Gabinetto francese ci propose di esercitare un'azione comune a vantaggio dei Cristiani d'Oriente la Russia accolse con gioia una tale proposta e si mostrò in tutte le differenti fasi delle trattative preliminari, e dei consigli dati a Costantinopoli quanto più si poteva arrendevole ai desideri della Francia. È però innegabile che se dal Ministero degli Aff.ar'i Esteri di Francia si ripeteva sempre che si desiderava procedere d'accordo col Governo Russo, tutti gli agenti francesi in Oriente dal più infimo al più elevato si mettevano con sorprendente unanimità se non ad agire in modo aperto contro quanto si faceva dai loro colleghi di Russia, almeno a distruggere con spiegazioni e commenti particolari i consigli che porgevano, le domande che facevano in modo officiale al Governo Turco d'accordo con i Russi. Or dunque non potendosi ammettere che il Governo Imperiale di Francia tolleri di buon grado questa mancanza di disciplina in tutti quanti i suoi rappresentanti, è d'uopo convenire che la condotta del Gabinetto di Parigi non fu improntata di quella schiettezza che si era in diritto di attendere. Bisogna adunque uscire una volta da questo stato di incertezza sui rapporti che esistono fra le due Potenze e venire a dichiarare francamente se i loro interessi sono per avventura tali da non permettere loro di camminare d'accordo oppure lasciare da banda ogni diffidenza e intendersi definitivamente sulle quistioni che possono agitare l'Europa, ed in quelle sinceramente procedere nel medesimo modo».

Il Cancelliere dell'Impero concludeva pregando il Barone di Talleyrand a riferire colla massima precisione le sue parole al Marchese di Moustier ed infatti due giorni dopo l'Ambasciatore andava a leggergli il dispaccio che inviava al suo Governo, e nel quale tale importante conversazione era esposta colla più rigorosa esattezza. Nessuna risposta fu fatta fin ora da Parigi, ma non credo che possa guarì tardare a giungere.

72

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. 573. Firenze, 26 gennaio 1868, ore 12,45.

Voici la dépéche que je reçois de Paris: «J'apprends d'une source non officielle d'origine espagnole que le Cabinet de Madrid aurait décidé l'expédition à Rome d'une division. Je suis convaincu que si le Cabinet espagnol demande consentement de la France, il essuiera refus; mais il est possible qu'à Madrid on soit décidé à agir méme contre le consentement de la France. En tout cas je vous engage à surveiller très attentivement ce qui se passe dans les conseils de la Reine d'Espagne » (l).

Veuillez recueillir les informations les plus précises à ce sujet et me tenir au courant de ce qu'on projette. Dites-mois si vous pouvez nous procurer quelque agent sur qui nous renseigne exactement des préparatifs militaires (2).

73

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 989. Berlino, 26 gennaio 1868, ore 14,30 (per. ore 16,30).

D'après la version faite par le Roi au comte Bismarck, Sa Majesté dans sa réponse à la députation catholique (3) aurait plutòt cherché à atténuer qu'à augmenter la portée, qui nous a été expliquée, du passage de son discours à l'ouverture du Parlement prussien, relatif à la question romaine. Si Sa Majesté a parlé de moyens moraux c'était pour écarter les moyens matériels. Le Roi ne saurait avoir dit que la garantie du pouvoir temporel était nécessaire. Ce à quoi il tient c'est à un Pape indépendant. Le Ministère de Grace et de Justice publiera textuellement l'allocution. Le journal Feuilles de Cologne a des tendances ultramontaines. Bismarck ne voudrait pas que nous nous laissassions dérouter sur les dispositions amicales de la Prusse.

Jeudi j'ai présenté nouvelles lettres de créance, et je n'ai eu qu'à me louer du langage de Sa Majesté (4).

74

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 910/367. Londra, 27 gennaio 1868 (per. il 31).

Siccome aveva l'onore di annunziarle, non ho mancato di chiedere a Lord Stanley quale fosse la sua opinione sul riavvicinamento della Prussia e della Francia all'oggetto di venirne ad una soluzione sulla questione Romana. Sua Signoria mi rispose di non aver ricevuto alcuna informazione a questo riguardo, e che ignorava completamente se si fossero o no intavolate delle pratiche a questo scopo tra le due precitate potenze.

<<De toutes !es informations que j'ai pu recueillir jusqu'à présent, il né résulte pas que le Gouvernement espagnol fasse des armements ni de terre, ni de mer; toutefois je continuerai mes recherches. Je tacherai aussi trouver l'agent ».

Domandai allora quale sarebbe stato il contegno del Governo Inglese nell'ipotesi che codesti negoziati sortissero un qualche effetto, e Lord Stanley mi assicurò che, se consultato, si sarebbe espresso nel senso a noi più favorevole, e non credere poi alla possibilità di mettere di nuovo in campo il progetto di una conferenza.

Io non potei fare a meno d'insistere sulla necessità di un provvedimento che avvicinasse la questione Romana, non fosse altro che di un passo, verso la meta bramata da tutti gli Italiani essendo, a mio avviso, superfluo e dannoso di limitarsi ad un semplice ripristinamento dell'antico ordine di cose consacrato dalla convenzione di Settembre, alla quale recenti eventi hanno interamente mutato il primitivo carattere.

Lord Stanley fu di parere eguale al mio, e conchiuse dicendomi che ad ogni modo nutriva vivissimo desiderio di vedere sciolta questa vertenza d'interesse europeo, o almeno avviata verso una soddisfacente soluzione finale.

(l) -T. 990 del 25 gennaio. (2) -Corti rispose con t. 992 del 28 gennaio: (3) -Cfr. n. 67. (4) -Il contenuto di questo telegramma è ampliato nel R. confidenziale 141, pari data, non pubblicato.
75

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 911/368. Londra, 27 gennaio 1868 (per. il 31).

Fin dal giorno che io leggeva nella corrispondenza dell'Incaricato d'Affari a Pietroburgo che speravasi ottenere dall'Inghilterra una attitudine più favorevole alle idee Russe riguardo agli affari di Creta, fu mio desiderio di cercare a scoprire la verità di tale asserzione. Facendo ora seguito al mio rapporto politico n. 361 (1), ho l'onore d'informare V. E. che ho saputo dalla bocca stessa dell'Ambasciatore Russo, che non vi è stato, né vi è, cambiamento di sorta nel contegno del Gabinetto di St. James tanto verso le complicazioni dell'isola di Candia, che nelle sue relazioni col Governo Russo.

Per servirmi delle espressioni del Barone Brunnow, i rapporti fra i due paesi continuavano sempre ad essere alquanto tesi, tuttoché confessasse però che da qualche tempo a questa parte Lord Stanley si andava mostrando più cordiale ed arrendevole.

Questo leggero cambiamento, di cui pure facevo cenno nel mio precitato rapporto, deve dunque considerarsi piuttosto come un frutto dell'aura pacifica che pare spirare nelle sfere politiche dell'Europa in questo momento, che come il sintomo dell'adozione di un nuovo sistema più favorevole alle idee del Gabinetto di Pietroburgo, massime essendosi desso manifestato dopo le recenti protestazioni rassicuranti del Governo Russo e i consigli di prudenza dati dal Barone Brunnow al Ministro Greco qui residente, secondo quanto quest'ultimo mi diceva egli stesso.

Il programma moderato del nuovo Gabinetto Greco venne qui assai approvato tanto dal Governo Inglese quanto dall'Ambasciatore Russo, il quale avrebbe

dichiarato che nessuno meno del suo Governo desiderava trovarsi in questo istante implicato in difficoltà piene di pericoli per la tranquillità Europea.

Malgrado queste tendenze pacifiche, so che il Ministro di Grecia cerca sempre di persuadere Lord Stanley di non illudersi da questi sintomi momentanei e passeggeri, e di imprimere nella sua mente la necessità di venirne ad una soluzione circa le sorti dell'infelice isola di Creta, ed in generale circa i Cristiani tutti d'Oriente, se l'Inghilterra vuole impedire un giorno lo scoppio di una grave complicazione, poiché, a sua detta, questa primavera sarà difficile trattenere l'Epiro e la Tessaglia dall'insorgere contro il gioco Ottomano. Ma come al solito il Ministro Britannico si mostra ostile ad assumere la responsabilità di un'azione attiva. Egli ha ripetuto al Rappresentante Greco ciò che già rassegnava a V. E., cioè che non s'opporrà alle concessioni che la Turchia fosse per fare, ma che non si comprometterà mai al punto di consigliarle al Divano. Avendo poi il Signor Brailas fatto osservare a Lord Stanley che una simile linea di condotta da parte dell'Inghilterra, invece di favorire il mantenimento della pace, avrebbe al contrario molta probabilità di accelerare un conflitto in cui le flotte Inglesi sarebbero di nuovo trascinate in Oriente, S. S. avrebbe risposto «Quanto a questo non credo essere lungi dal vero dicendovi che molto probabilmente non le vedrete mai più».

Ecco una prova di più a conferma della politica di astensione che anima l'attuale Segretario di Stato per gli Affari Esteri.

Molti organi della stampa esaltano la ferma attitudine da lui tenuta fin dal momento in cui scoppiarono i torbidi dell'isola di Candia, e ad essa attribuiscono la causa del vero o finto momentaneo abbandono degli intrighi spinti con tanta attività dal Governo Russo, in proseguimento della sua politica tradizionale in Oriente.

In occasione del banchetto ministeriale tenutosi a Bristol la settimana scorsa, Lord Stanley pronunziò un discorso che può considerarsi come il programma che intende seguire l'Amministrazione di Lord Derby nelle questioni interne. Per ciò che riguarda lo stato del continente, S. S. si limitò a dire che « non pareva esservi motivo di temere una prossima rottura della pace generale». Questo annunzio, quantunque assai vago, produsse però una buona im

pressione.

(l) Non pubbllcato.

76

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINIS'fRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R.R. 228. Vienna, 28 gennaio 1868.

Nel mio Rapporto di Serie Politica n. 224 (l) accennai al contegno conciliante tenuto dalla Prussia negli Affari di Oriente. Il linguaggio che mi tenne il Barone di Werther riguardo alla questione romana (Rapporto Politico 221) (2),

è, se non erro, una manifestazione di questa medesima tendenza del Gabinetto di Berlino a far prova di concilianti e pacifiche disposizioni. Secondo quanto confidenzialmente mi vien detto dai Ministri di Prussia e di Russia, il Governo prussiano avrebbe acconsentito, principalmente sulle istanze del Conte di Goltz, a fare, in uno spirito di pacificazione, qualche passo a Firenze ed a Roma per l'adozione di un modus vivendi, atto a tranquillare gli animi in Italia ed a migliorare il presente stato di cose nel territorio Romano. Il Duca di Gramont non ha informazioni al riguardo; egli mi riassumeva ieri il suo modo di vedere dicendo che se il Papa non vuoi fare concessioni è padrone; che la sua persistenza deve essere rispettata da noi come Federico II rispettò l'ostinazione del mugnaio di Sans-souci; e che il Governo del Re dovrà, per finirla colla questione romana, donner le coup de balai indispensable e porre il potere in mano dei conservatori. Noterò di volo che l'Imperatore Napoleone parlò nel senso medesimo di quest'ultima frase, al Barone di Budberg, esprimendo il desiderio che l'E. V. avesse forza e risoluzione sufficiente per tal opera. L'E. V. spero non disapproverà che per semplice informazione io Le riferisca tale aneddoto che lessi scritto dallo stesso Barone di Budberg.

L'E. V. avrà forse saputo che il Conte di Arnim notificò testé al suo Governo avere il Governo spagnuolo offerto all'Imperatore Napoleone 80.000 uomini per rinforzare, in caso di bisogno, lo Stato romano contro i tentativi italiani; essersi l'Imperatore riservato di profittare di tale offerta qualora la Francia dovesse concentrare le sue truppe altrove per la propria difesa; ed avere infine il Governo austriaco consentito egli pure ad inviare eventualmente forze sufficienti per concorrere nello stesso scopo.

Non spetta a me l'apprezzare simili informazioni per quanto concerne la Spagna, ma in quanto all'Austria posso assicurare l'E. V., che una spedizione a Roma od un'invasione qualunque del territorio italiano non sarebbe compatibile né colla presenza degli attuali Ministri tedeschi ed ungheresi nei consigli della Corona imperiale, né colle disposizioni delle popolazioni e delle loro Rappresentanze legali. Se sono bene informato, il Conte di Bismarck medesimo non avrebbe prestato fede, per quest'ultima parte alle supposizioni del Conte di Arnim. Anche se si volessero ammettere le peggiori ipotesi, cioè che la Francia impegnata in una guerra si sentisse minacciata dalla nostra parte e chiedesse al Governo austriaco di aiutarla a contenerci, è parere anche di militari prussiani e russi che conoscono questo paese, che l'Austria non potrebbe né vorrebbe mai lasciarsi trascinare al di là di una semplice dimostrazione, tutto al più, per esempio, il concentramento di un corpo di osservazione verso l'Isonzo.

Riferirò a tale proposito alla E. V. un fatto che il Conte di Stackelberg mi narra senza guarentirmelo assolutamente. Un agente russo avendo parlato al Maresciallo Niel della possibilità di una alleanza fra l'Italia ed eventuali nemici della Francia, il Maresciallo Niel avrebbe risposto: « En ce cas, nous jetons 30.000 hommes à Turin, et nous soulevons la guerre civile dans le Sud, d'ailleurs au printemps nous serons armés jusqu' aux dents et prèts à toute éventualité ».

Da tutto ciò che precede appare quante incertezze e quante apprensioni,

provenienti tutte, è forza constatarlo, dal contegno del Governo francese, combattono contr:o le speranze di pace che pur tuttavia si sono accresciute in questi ultimi giorni. Il Conte di Stackelberg ed il Barone di Werther mi esprimono il convincimento personale che per quest'anno durerà lo stato di penosa instabilità e di rovinosi armamenti, ma pur di pace che caratterizzò l'anno 1867.

Tutti i nostri amici intanto si augurano caldamente di rimediare ad ogni costo e senza ulteriore ritardo a quei pericoli di rovina finanziaria e di sfacelo amministrativo, che non solo annullano la nostra influenza all'estero e rendendoci impotenti tolgono ogni prezzo alla nostra alleanza, ma che possono essere sfruttati in modo disastroso dai nemici della nostra unità e della nostra indipendenza.

Da vari lati mi risulta che alle osservazioni fatte, a proposito degli affari di Roma, da parecchi diplomatici, dal Rappresentante inglese fra gli altri, sugli interessi europei legati al mantenimento dell'unità e della indipendenza d'Italia, il Marchese di Moustier rispose ripetutamente l'Italia non essere minacciata se non da pericoli interni; riguardo specialmente alla questione romana il Marchese di Moustier disse che i più caldi amici dell'Italia dovevano confessare non poter essere affidate le sorti del Papato se non ad un Governo forte, bene ordinato, sicuro del suo avvenire e capace di far fronte ai suoi impegni sia politici verso l'indipendenza del potere spirituale, sia finanziarli verso il sostentamento materiale del Capo della Chiesa; non presentare finora, il Governo italiano tale guarentigia; essere egli trascinato da forze occulte che tendono a riunire in Roma il Papa ed il Re per indebolire l'uno per mezzo dell'altro, rovinarli entrambi e dare allora dal Campidoglio il segnale alla rivoluzione universale. Benché questo linguaggio del Marchese di Moustier (che posso guarentire all'E. V. essere stato tenuto in questi termini quasi identici) abbia il torto di ricordare le evocazioni dello spectre rouge che erano di moda nel 1848, pure noi possiamo imparare da esso dove sia per noi il male e dove debba essere operosamente e con energia applicato il rimedio dai Ministri del Re e dal Parlamento.

P. S. Posteriormente al mio Rapporto n. 217 del 10 corrente (l) in cui comunicai alla E. V. quanto mi veniva assicurato dal Barone di Meysenbug in ordine agli arruolamenti per l'esercito pontificio in Austria, ebbero ad essere presi dal Ministero cis-leithaniano alcuni provvedimenti per far rispettare le leggi che proibiscono in massima gli arruolamenti per l'Estero. Dava occasione a tali provvedimenti un recentissimo tentativo di una Società clericale assai nota a Vienna, per inviare a Roma alcuni operai senza lavoro sopra i quali essa esercita un patronato ed una direzione analoga a quella avuta in altri paesi dalla Società di San Vincenzo di Paola (2).

r!ngraz!amentl per avere il Gabinetto di V!enna dato per primo l'esempio della resistenza legale ad un fatto che viene ad accrescere l pericoli e le complicazioni della questione romana».

(l) -Cfr. n. 69. (2) -Cfr. n. 62. (l) -Non pubblicato. (2) -Si pubblica qui un brano del d. 76 inviato da Menabrea a Blanc il 2 febbraio: << Nella premura colla quale Il Ministero austriaco ha agito per far rispettare le leggi, vietando !n massima gli arruolamenti per l'estero, no! abbiamo avuto una prova di più delle d!sposlzionl favorevoli del Gabinetto di Vienna verso l'Italia, ed una testimonianza delle sue sincere intenzioni d'astenersi da tutto ciò che potrebbe nuocere allo stabilirsi di relazioni semprepiù intime tra l'Italia e l'Austria. La invito pertanto Signor Commendatore, a far conoscere al Barone di Beust la favorevole impressione prodotta in Italia dalla notizia surriferita, esprimendogli ad un tempo i nostri
77 IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 993. Parigi, 29 gennaio 1868, ore 15,40 (per. ore 17,10).

J'ai donné à Moustier lecture et copie dépeche du 24 courant (l). Il m'a paru accueillir avec satisfaction cette communication, et il m'a dit qu'il mettrait sans retard ce document sous les yeux de l'Empereur, dont il prendra les ordres.

78

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 56. Firenze, 29 gennaio 1868.

Mi affretto accusarle ricevuta dei dispacci n. 138 a 141 di questa serie · (2). Tutti mi riuscirono di sommo interesse.

Sono lieto che le parole pronunciate dalla propria bocca di S. M. il Re Guglielmo in occasione dell'udienza nella quale Ella gli presentava le nuove sue credenziali, siano venute a rischiarare alquanto una situazione che poteva sembrare quanto meno incerta.

Un telegramma dell'Agenzia Stefani reca oggi il testo del discorso pronunziato da S. M. Prussiana nell'occasione in cui le deputazioni cattoliche gli presentarono i loro omaggi. La Versione data dal Monitore Prussiano (stando al sunto telegrafico) sembra pienamente conforme a quanto il Gabinetto di Berlino ha sempre dichiarato a Firenze. Le voci sparse dai fogli clericali di Cologna, ripetute e commentate dalla stampa reazionaria di tutti i paesi rendevano sommamente opportuna una pubblicazione ufficiale per parte del Gabinetto di Berlino. La ringrazio pel modo col quale Ella seppe ottenere una tale importante rettificazione.

Conviene del resto avvertire che se per una parte le dimostrazioni d'amicizia che si scambiarono tra Berlino e Parigi, trovano un motivo sufficiente nella necessità di facilitare un accomodamento nella vertenza riguardante i trattati del Mecklemburg, per altra parte non si potrebbe negare che il liguaggio della diplomazia prussiana nelle principali corti fu, in questi ultimi tempi, tale da far nascere l'idea d'un accordo più intimo e duraturo tra i due Gabinetti di Prussia e di Francia.

Le invio qui uniti i due rapporti, uno da Londra e l'altro da Vienna (3), quali si riferiscono entrambi all'argomento in questione.

Nel chiamare la di Lei particolare attenzione sopra un dispaccio che ho diretto ieri l'altro al R. Incaricato d'Affari in Londra (l)...

(l) -Cfr. n. 68. (2) -Cfr. n. 65; gli altri rapporti non sono pubblicati. (3) -Si tratta probabilmente del nn. 62 e 64.
79

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A L'AJA, CARUTTI

D. 18. Firenze, 29 gennaio 1868.

Le relazioni che giungono a questo Ministero accennano a continui e numerosi arruolamenti che si vanno facendo in Olanda per l'esercito Pontificio.

Benché le indicazioni sin qui ricevute mi portino a credere che la Sede del Comitato di arruolamento non sia stabilita sul territorio dei Paesi Bassi, ciò nondimeno mi risulta in modo non dubbio che è sul suolo stesso dell'Olanda che si reclutano i giovani che vengono tosto inviati a Brusselle e poscia a Roma. Una circostanziata relazione del R. Console in Amsterdam (2) mi ha fatto conoscere recentemente varie particolarità riferentisi appunto al concorso di alcuni membri del partito cattolico di quella Città per gli arruolamenti clandestini che vi si fanno in favore della S. Sede.

Sono persuaso che il Cavalier Scaglia avrà d'ogni cosa informato diligentemente anche la S. V.

Il segreto col quale gli arruolamenti sembrano farsi in Olanda, indicherebbe che nelle leggi del paese si contengano proibizioni al riguardo. È infatti assai probabile che anche nei Paesi Bassi gli arruolamenti per servizio militare d'uno Stato estero non si possano fare senza un preventivo permesso del Governo locale. Ove pertanto le leggi olandesi fossero concepite in questo senso, la loro inosservanza potrebbe sembrare nel caso presente un tacito consenso prestato dal Governo Neerlandese all'opera attiva degli arruolatori, epperò in tale ipotesi ritengo che noi saremmo autorizzati a muovere lagnanze pel contegno assunto da cotesto Governo.

Vorrei dunque ch'Ella, Signor Ministro, si informasse senz'indugio del preciso tenore della legislazione Olandese intorno a questo argomento, e se l'ipotesi sopra indicata si verificasse, Ella dovrà esprimere al Ministro degli Esteri di S. M. il Re d'Olanda la sorpresa che prova il Governo Italiano nel dover prendere atto del silenzio e della inoperosità delle autorità olandesi di fronte ad un fatto così poco conforme ai buoni rapporti dell'Italia coi Paesi Bassi, e ciò tanto più quando a far cessare un simile fatto basterebbe l'applicazione delle leggi neerlandesi. Ella potrà inoltre far conoscere al Signor de Zuylen come appunto recentemente in Austria siano state diramate istruzioni precise per impedire gli arruolamenti che si tentò anche colà di fare in favore di Roma. Ed in ogni caso poi Ella non vorrà omettere di esprimersi assai chiaramente nello esporre come da noi non s'ignori che per eccitare sempre maggiormente il fervore dei cattolici olandesi, il clero abbia ormai convertite le chiese dei Paesi Bassi in

vere conventicole politiche, predicando dal pergamo le più violente parole contro l'Italia, il suo Re ed il suo Governo. E sopra quest'ultimo argomento io La invito espressamente a non ammettere dubbio sul nostro diritto di altamente lagnarci che per parte d'un Governo amico, qual è l'Olanda, non si siano già presi quei provvedimenti che valgono a mantenere rispettati nei discorsi pronunciati in luogo pubblico i Sovrani ed i Governi Esteri.

(l) -Cfr. n. 70, in realtà del 25 gennaio. (2) -R. r. 2 del 23 gennaio, non pubblicato.
80

L'INCARICATO D'AF'FARI A PIETROBURGO, INCONTRI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 23. Pietroburgo, 29 gennaio 1868 (per. il 6 febbraio).

Mi pregio accusare alla E. V. ricevuta della Circolare in data del 6 gennaio (1), relativa alla ultima crisi ministeriale, e degli otto documenti diplomatici che l'accompagnavano, e La ringrazio sommamente per tali comunicazioni.

Si è molto parlato in questi ultimi giorni, non solo dai giornali di qui ma anche da persone ufficiali, di un ravvicinamento che si sarebbe operato fra la Prussia e l'Austria e la Francia, tanto sulla quistione d'Oriente, quanto sulle faccende di Roma, e naturalmente una tale notizia non poteva riuscire gradita al Gabinetto di Pietroburgo, il quale si sarebbe cosi trovato in un isolamento quasi completo per ciò che in ispecie concerne l'Oriente. In appoggio di tale modificazione avvenuta nella politica del Conte di Bismarck si citava il fatto che i legni da guerra Prussiani avevano contemporaneamente ai Francesi cessato di trasportare in Grecia le famiglie Candiotte, si facevano osservare alcuni articoli della Kreuz Zeitung piuttosto benevoli per l'Austria, ed infine si diceva che dopo un nuovo scambio di comunicazioni che aveva avuto luogo fra Parigi e Berlino si era in quest'ultima Capitale divenuti molto più favorevoli alla riunione della Conferenza.

So che furono a più riprese fatte interrogazioni al proposito al Ministro di Prussia Principe Reuss, il quale ebbe sempre a dichiarare che il fatto del quale così vivamente si preoccupavano qui non esisteva; infatti per ciò che concerneva la progettata conferenza il Governo Prussiano, al quale dalla Francia si attribuiva in gran parte il non successo delle pratiche fatte per la riunione di tale consesso, aveva dichiarato a Parigi che, solo perché credeva non avrebbe ottenuto uno scopo pratico nello stato attuale della quistione Romana, esso non aveva favorevolmente accolto la proposta francese, che ove però fosse riuscito all'Imperatore Napoleone di indurre il Papa a molto diminuire le sue pretese, e ad entrare in una via che potesse condurre ad un accordo coll'Italia, allora certo la Prussia non avrebbe avuto più motivo di rifiutarsi a partecipare alla Conferenza.

Quanto poi al riavvicinamento coll'Austria o ad un cambiamento della politica Prussiana in Oriente, nel senso di quella che in comune sl fa dagli Agenti

Austriaci e Francesi. il Principe Reuss era autorizzato a dichiarare che nulla vi era di vero, e che o si era voluto dare una importanza esagerata a pure dimostrazioni di cortesia scambiatesi fra le due famiglie Sovrane alla occasione del funerale dell'infelice Imperatore Massimiliano, o si era creduto ispirato da persone ufficiali un articolo di giornale che non aveva fatto che esprimere le idee proprie della redazione di quel foglio, come lo si vedeva tuttodì accadere anche in Russia dove i Giornali dei quali talora il Governo si serve, pubblicano spesso articoli i quali non hanno alcuna origine né ufficiale né ufficiosa, oppure infine si era dato alla cessazione delle operazioni di salvataggio in Creta un significato diverso da quello che essa aveva, quello cioé di attenersi strettamente alla dichiarazione che la Prussia presentò in comune alle altre potenze a Costantinopoli, e di evitare ai piccoli legni Prussiani i rischi di una navigazione in questa stagione poco propizia.

Queste dichiarazioni ripetutamente fatte dal Ministro di Prussia hanno servito a calmare i timori che qui si avevano, e da qualche giorno il linguaggio che si tiene al Ministero degli Affari Esteri dimostra come gli animi sieno più rassicurati su tale proposito.

In quanto concerne il salvataggio delle famiglie dei Cretesi fui io pure assalito di questioni circa i motivi che ci avevano fatto cessare da tale operazione, e quella nostra attitudine si voleva anche riannodare a non so quale nuova linea di condotta che l'Italia pure intendeva di tenere in Oriente. A spiegare il riposo nel quale si tengono i nostri legni addussi le ragioni che trovai ampiamente sviluppate nella corrispondenza scambiata fra l'E. V. e il Conte della Minerva, la quale mi fu da codesto Ministero comunicata, aggiungendovi come lo stato attuale delle cose nostre, dal punto di vista finanziario in ispecie, ne imponga la massima riserva e prudenza: mi parve così di essere riuscito a far considerare sotto il wo vero aspetto un fatto al quale si voleva attribuire significato diverso di quello che per quanto mi consta, esso ha.

Dalle conversazioni avute su tale proposito ho potuto rilevare come il Principe Gortchacow abbia fatto informare il Governo Ellenico della intenzione che il Gabinetto russo ha di cessare pure il trasporto delle famiglie Cretesi giacché essendo egli rimasto solo a compiere una tale opera di umanità ciò può esporlo a gravi pericoli dei quali certo il minore non sarebbe quello di far credere che la Russia è del tutto isolata nella linea di condotta che segue in Oriente. So che il Governo Ellenico, malgrado le difficoltà che l'accumularsi dei rifugiati gli crea vedrà con dispiacere che anche le navi Russe cessano di trasportare quelli infelici, giacché teme che agli occhi delle moltitudini ciò sembri come l'abbandono completo per parte dell'Europa della causa dei Candiotti così popolare in Grecia; e possa essere fonte di imbarazzi ancora più gravi all'interno, ma non potendo fare a meno di riconoscere le giuste ragioni che inducono la Russia ad un tale passo, si finirà ad Atene per non insistere sulla continuazione di un tale salvataggio.

Non giunse finora da Parigi alcuna risposta al dispaccio inviato dal Barone di Talleyrand ed al quale alludevo nel mio rapporto n. 22 Cl); si aspetta però di giorno in giorno un Corriere francese.

(l) Cfr. n. 28.

(l) Cfr. n. 71.

81 L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 995. Pietroburgo, 30 gennaio 1868, ore 16,10 (per. ore 19,25).

Gortchakoff m'a fait chercher ce matin pour me dire qu'il savait que la France, d'accord avec l'Autriche, fait des efforts pour exciter l'Italie contre la politique russe en Orient. Le meme langage serait tenu par certains agents anglais, quoique, selon ce que mande Brunnow, Stanley ne s'exprime pas d'une manière défavorable à la Russie. Gortchakoff m'a déclaré que la politique russe en Orient reste telle que l'ont montrée les documents publiés, tendant à l'apaisement et à l'amélioration du sort des chrétiens, sans aucune intention hostile pour la Porte; et il pense que ce n'est qu'en dénaturant les intentions du Cabine t russe que l'on peut amener changement dans l'attitude de l'Italie, qu'il espère voir rester, dans l'intéret général, telle qu'elle a été jusqu'à présent.

82

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI

T. 576. Firenze, 31 gennaio 1868, ore 13,45.

Rassurez le prince Gortchakoff relativement à notre politique en Orient. Aucune pression n'a été faite à ce sujet sur l'Italie, qui se préoccupe avant tout de sa situation intérieure et ne songe aucunement à rien faire qui puisse compromettre ses bons rapports avec la Russie. Pour cela elle conserve l'attitude qu'elle a eue jusqu'aujourd'hui, surtout relativement à la question d'Orient.

83

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BRUXELLES, DE BARRAL

D. 2. Firenze, 31 gennaio 1868.

Qui unito Ella troverà copia di un rapporto a me diretto dal R. Console in Amsterdam, nonché di un mio dispaccio indirizzato al R. Ministro all'Aja (1).

Entrambi quei documenti si riferiscono ad un argomento per noi di molto interesse, cioé alla agitazione promossa in tutta Europa da una gran parte del Clero Cattolico contro l'Italia ed in favore di Roma.

Dalla relazione del R. Console in Amsterdam risulterebbe che un Comitato direttivo degli arruolamenti dei volontari pontificii ha la sua sede in Bruxelles,

e che in quest'ultima Città si riuniscono le reclute delle vicine provincie neerlandesi che vengono poscia avviate ad ingrossare l'esercito papale. L'esistenza di un Comitato di arruolamento non basterebbe forse a darci motivo di giuste lagnanze verso il Belgio, qualora questo Comitato limitasse le sue operazioni a riunire persone venute a Brusselle dall'estero, né si occupasse di ascrivere nei ruoli delle milizie pontificie sudditi del Re Leopoldo II. Ma dappoiché risulta invece che anche fra i cittadini belgi si esercita attivissima propaganda e si reclutano continui rinforzi per le truppe pontificie, io desidero, Signor Conte, che Ella si faccia prontamente ad esaminare se dalle leggi del Belgio tali arruolamenti siano permessi, e, in caso contrario, Ella non dovrà esitare ad esprimere chiaramente a codesto Signor Ministro degli Esteri la spiacevole impressione che da noi si prova nel vedere che un Governo amico tollera l'infrazione di una sua legge interna perché s'abbia a compiere un atto in nulla conforme ai buoni rapporti esistenti fra l'Italia ed il Belgio.

In ogni caso poi Ella vorrà fare appello ai sentimenti di amicizia che esistono fra i due paesi per far conoscere al Gabinetto di Brusselle quanto sarebbe opportuno che si mettesse un freno a quell'agitazione clericale che ha ormai fatto di un gran numero di Chiese cattoliche delle conventicole politiche, e del pergamo delle tribune dalle quali impunemente si lanciano ingiurie contro l'Italia il suo Re e il suo Governo. Anche nel Belgio non mancano certamente leggi che impongono a coloro che parlano in pubblico un giusto rispetto verso i Sovrani ed i Governi esteri. Sono convinto che il Ministro degli Affari Esteri di S.M. il Re Leopoldo non vorrà contestare che di quelle leggi si è fatto sin qui poco conto in codesto paese, quando trattasi dell'Italia e del suo Governo.

Nutro però ferma fiducia che in queste mie osservazioni il Gabinetto Belga scorgerà una prova del nostro sincero desiderio di allontanare ogni benché minimo sospetto circa le sue buone disposizioni a nostro riguardo. Chiamando la sua attenzione sovra l'agitazione crescente di una gran parte del clero cattolico, siamo persuasi di trovare nel Belgio un concorso efficace per mettere un limite alle imprese di un partito ugualmente ostile a tutti i governi liberali.

(l) Cfr. n. 79 e nota 2 allo stesso.

84

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 143. Berlino, 31 gennaio 1868 (per. il 7 febbraio).

J'ai lu avec un vif intérèt le rapport annexé à la dépèche de V. E. n. 54 série politique réservé {l).

Je m'empresse, conformément à son désir, d'émettre un avis sur son contenu.

Lors de son dernier séjour ici, le Comte de Bernstoff m'avait parlé dans le mème sens qu'au Comte Maffei sur la politique de la Prusse à l'égard de l'Italie, nommément pour la question de Rome. Il m'avait paru superflu d'un faire l'objet d'une communication, car ce langage concordait avec celui du

Comte de Bismarck dont maintes fois j'ai rendu compte. Le Président du Conseil pensait aussi que la question de Rome se résoudrait dans une autre direction. Seulement il ne se proponçait pas d'une manière si péremptoire sur l'inévitabilité d'une guerre entre la France et la Prusse. Il en aurait d'ailleurs l'intuition, qu'un sentiment de prudence lui conseillerait de ne pas la laisser entrevoir dans ses entretiens avec l es diplomates étrangers. Aussi s'efforce-t-il plutòt à. se montrer confiant dans les déclarations pacifiques du Cabinet des Tuileries.

Son entourage tenu à moins de réserves se montre moins rassuré, et laisse entendre qu'avant l'expiration d'une année l'Empereur Napoléon, quelque soit son désir de maintenir la paix, sera fatalement entrainé en suite des circonstances intérieures de l'Empire, à mesurer ses forces avec l'Allemagne. Chacun est en outre d'opinion, que ce serait une faute pour ce pays d'engager une lutte pour les affaires de Rome, et cela en suite des raisons alléguées par le Comte de Bernstorff et qui sont identiques à celles que j'ai signalées dans ma correspondance officielle. En me réferant à la manière de voir du Comte de Birsmark, lui aussi estime qu'il nous convient de temporiser et, en attendant l'heure propice d'affirmer nouvellement notre puissance nationale, de vouer tous nos efforts au rétablissement de notre crédit financer et à l'amelioration de notre situation intérieure.

Au dire du Comte de Bernstorff, en cas de conflit entre la Prusse et la France, on serait à peu près convaincu ici qu'à cette dernière Puissance se joindrait l'Autriache. C'est là un sujet que j'ai également traité. Je suis assez disposé à partager cette conviction, mais non d'après les calcus de la raison. Le Cabinet de Vienne ne saurait vouloir aider au rétablissement d'une supériorité française, car en prétant les mains à la destruction de l'oeuvre nationale en Allemagne, il assurerait l'omnipotence du second Empire dont l'attitude lui a fait perdre de premier abord ses possessions en Italie et son prestige auprès de ses anciens confédérés germaniques. Il faudrait d'ailleurs compter avec la Hongrie qui certes n'a aucun intérèt à donner son sang et son argent pour s'exposer ensuite à perdre des libertés acquises grace aux événements qui ont amené une nouvelle organisation en Allemagne. Il y a plus. L'Autriche, devenue constitutionnelle, devrait compter avec une opinion publique qui se prononce contre une alliance avec la France. Mais en tenant compte du jeu des passions, du caractère de l'Empereur François-Joseph et de son entourage militaire, on est en quelque sorte autorisé à conclure que la politique de rancune finira par avoir le dessus. Les malheurs de 1866 ont amené ce Souverain vers la politique pacifique de son premier Ministre. Il est devenu aujourd'hui aussi paisible qu'il était arrogant dans la bonne fortune. La France lui inspire une haine bien naturelle, mais son ressentiment est encore plus fort envers le Roi de Prusse qu'il traite de faux frère. Tel aurait été le mobile de sa conduite à Salzburg, si réellement le résultat de la rencontre des deux Monarques a été celui de constater l'identité des intéréts austro-français. Dans ce cas, ni l'un ni l'autre n'accepterait tranquillement l'accomplissement de l'union allemande. Ce serait là -comme l'affaire du Danemarck -une question tenue en suspens, comme si on avait l'arrière pensée de s'en faire une arme dans les complications que recèle l'avenir. Le fait est qu'on remarque beaucoup l'intimité qui existe ici entre le Comte Wimpffen et M. Benedetti.

Quoi qu'il en soit, de meme que vis-à-vis de la France, le Comte de Bismarck se montre confiant dans les déclarations du Baron de Beust. Le Ministre prussien, précisément parce qu'il est décidé à opposer une résistance énergique aux exigences éventuelles de ses puissants voisins, est d'autant plus porté, afin de ne pas preter le flanc, à faire preuve de conciliation dans les incidents de peu d'importance.

Il serait prématuré de s'occuper de la question de savoir quelle devrait etre notre attitude, si la guerre éclatait entre ces Puissances. Malgré les affirmations contraires, on doute fort ici que la France soit à meme d'entrer en campagne au printemps prochain. Il lui faudra un plus long laps de temps pour disposer, comme la Prusse, d'un million de fusils se chargeant par la culasse, des munitions nécessaires, et pour que ses troupes soient exercées au maniement de l'arme. En outre, quelle que soit la valeur de sa nouvelle organisation, elle ne pourra pas sitòt, comme la Prusse, avoir un système pratique qui permette en six semaines de porter à 800 mille le chiffre de ses combattants, sans compter les renforts que les Etats du Sud devront fournir à raison de 2 pour cent de leurs populations. Mais supposons qu'il y ait en effet des chances belliqueuses dans le courant de l'année, notre attitude devrait évidemment etre celle de ne prendre aucun engagement avec la France, qui puisse la bercer de l'illusion que nous serions ses alliés. Nous diminuerions d'autant alors les probabilités du conflit. Car s'il y a provocation elle ne viendra certainement pas dé còté de la Prusse, mais du còté de la France, quand elle saurait pouvoir compter sur l'appui nommément de l'Italie. Si malgré cela le maintien de la paix devenait impossible, et surtout si l'Autriche se déclarait contre la Prusse, il y aurait à examiner si l'état réel de nos forces, si nos ressources, si nos convenances politiques nous conseilleraient de prendre parti. Dans ce cas, je ne puis que me référer à de précédents rapports. Nous ne devrions pas séparer notre cause de celle de la Prusse et de la Russie qui, sur les questions proprement dites européennes marchent assez d'accord avec l'Angleterre. Le minimum de notre còté serait une neutralité bienveillante, à moins que nous nous sentissions en état de régler de vive force notre tracé de frontière vis-à-vis de l'Autriche et de reprendre notre prestige dans l'Adriatique en opérant du meme coup une diversion en faveur de la Prusse. Selon toutes les probabilités le succès final, aujourd'hui comme en 1813 et a fortiori, resterait à l'Allemagne. Il y va donc de nos convenances -sans vouloir faire de la politiques sentimentale, -de nous ranger du còté, où se trouvent d'ailleurs nos intérets permanents.

Il me reste à faire quelques observations sur une autre partie du rapport précité du Comte Maffei, relatif à la question d'Orient.

Pour autant qu'il me résulte des investigations que j'ai faites au Ministère des Affaires Etrangères, et pas plus tard qu'hier, le Cabinet de Berlin ne cherche nullement en ce moment à ouvrir des négociations pour obtenir de l'Angleterre una déviation de sa politique traditionnelle. Le Comte de Bernstoff a pu toucher cette question d'une manière purement académique, mais il n'a été chargé d'aucune démarche, pas meme de sonder le terrain. Ce qui n'empeche pas qu'il ne remplisse son devoir, en travaillant à découvrir quelles sont les dispositions du Cabinet de Saint James. On est à peu près convaincu de l'inutilité de vouloir influencer ses vues surtout en Orient. Aussi préfère-t-on se tenir sur la réserve.

Il ~ Do<·umertti diplomatici -Serle I -Vol. X

Ce n'est que lorsque ses intérets les plus directs sont en jeu qu'il prend position plutòt pour prévenir des complications, que pour risquer une action énergique. Au reste quel que soient les aperçus fournis par le Comte de Bernstoff, il ne faudrait pas leur attribuer plus d'importance qu'ils n'ont en réalité. Pour les affaires d'Orient le Comte de Bismarck, si je suis bien informé, n'a pas de pian parfaitement arrété. Il vit, à cet égard, un peu au jour le jour. L'Angleterre jouant un ròle plutòt effacé, il vise à se ranger du còté de la majorité et de préférence avec la Russie et la France. Quand ces deux Puissances semblent, comme actuellement, en désaccord, il évite autant que possible de se prononcer. Mais il est évident, si les problèmes dont la diplomatie a jusqu'ici vainement cherché la solution, ·devaient aboutir à un conflit, que l'attitude du Cabine t de Berlin dépendrait de la situation des choses en Occident, et de la manière dont se grouperaient Ies Puissances. Il se placerait avec ceux dont il aurait le meilleur profit à attendre relativement à l'Allemagne du Nord aussi bien qu'à celle du Midi. Là est le seui objectif de sa politique. L'Orient n'est qu'un moyen pour mieux parvenir à son but de consolider l'oeuvre de Koniggratz. Avant tout il vise au maintien de la tranquillité générale, et comme à ses yeux le grand perturbateur est à Paris, il n'y aurait aucun doute que tout ce qui tendrait à isoler la France et à la détourner des moyens violents, rentrerait dans les vues de la Prusse. A cet égarde il n'est pas besoin que ses agents diplomatiques reçoivent d es instructions spéciales; le bon sens leur indique de parler dans les mémes termes que le Comte de Bernstoff. Il n'a fait que semer pour receuillir, le cas échéant. Mais, je le répète, M. de Thiele m'en a donné l'assurance, cet Ambassadeur n'a pas été expressemént autorisé à faire une démarche spéciale, ni à sonder le ter,rain. Depuis la remise de la note collective à Constantinople, la Prusse s'est abstenue. L'Autriche a présenté depuis lors une note pour les affaires de Crète et a essuyé, comme les autres Puissances, un refus.

Au reste le Comte de Bismarck, malgré son désir de ne pas indisposer la Russie, n'a pas moins les mains assez libres vis-a-vis de cette Puissance, dans la question d'Orient. Il compte tellement sur son concours en cas de guerre avec la France, qu'il n'hésitait pas à déclarer qu'il ne donnerait pas cinq sous (sic) pour obtenir son alliance. Ce Ministre était sur que le Cabinet de St. Pétersbourg ne saurait permettre, dans son propre intérét, une invasion en Allemagne de la part de la France, invasion qui rapprocherait celle-ci de la Pologne.

Il serait difficile de définir dès à présent quelles seraient Ies consequences pratiques qu'aurait pour l' Allemagne et pour l'Italie une adhésion du Gouvernement Britannique à la politique russe de l'émancipation des races chrétlennes en Orient. Il n'est pas à prévoir que la Russie veuille à elle seule accentuer une politique d'action dans ces régions. La France, l'Angleterre et l'Autriche, par leur attitude enrayeraient ces dispositions. Il est vrai que les populatlons chrétiennes, sujettes de la Porte, pourraient se lalsser induire, en suivant l'exemple de Candie, à demander, les armes à la main, leur autonomie. La politique de non-intervention serait alors indiquée, et il n'appartiendrait ni à l'Italie, ni à la Prusse de se montrer contraires au voeu populalre, à un principe dont elles ont déjà profité et dont elles seront encore appelées à profiter. Ou le mou

vement réussira, et l'Italie comme la Prusse ne pourront voir qu'avec satisfaction se dissiper les reves de l'Autriche qui voudrait se renforcer vers l'Adriatique. Ou le mouvement échouera, et le status quo sera maintenu pour un certain temps. Alors, comme par le passé, ces memes Puissances pourront s'en accommoder, sans inconvénients sensibles. Seulement il ne leur conviendrait pas que la Russie ou l'Autriche parvinssent à forner vers l'Adriatique et sous la dépendance de l'une ou de l'autre, une fédération d'Etats auxquels la Serbie servirait de pierre angulaire, combinaison qui aurait pour conséquence inévitable de rendre trop prépondérant dans ces parages le pouvoir de l'une de ces deux Puissances.

Pour ce qui nous concerne, le point de séparation de notre politique de celle des Cabinets de Vienne et de St. Pétersbourg dans cette direction, serait atteint, si celui-ci ou celui-là voulait y étendre outre mesure sa domination de manière à nous ravir la suprématie sur une mer aussi essentiellement italienne.

En répondant ainsi au désir exprimé par V. E....

(l) Cfr. n. 54.

85

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 57. Firenze, 1° febbraio 1868.

Pochi giorni sono venne a trovarmi l'Inviato Danese presso questa Real Corte, e mi disse che, per ordine del suo Governo, dovea interessare il Gabinetto di Firenze ad adoperarsi in un senso di conciliazione per agevolare i negoziati in corso fra il Governo Danese ed il Prussiano circa la retrocessione dei Distretti dello Schleswig Settentrionale. Il Signor di Bille-Brahe, avrebbe desiderato che noi tenessimo a Berlino un linguaggio dal quale apparisse il nostro interesse di veder appianata quella difficoltà con soddisfazione deila Corte di Copenhaghen ed in conformità ai desiderii delle popolazioni danesi.

Ho risposto al Ministro del Re Cristiano che il miglior modo di agevolare il componimento di quella antica vertenza, quello era di cercare di separarla da qualsiasi altra quistione onde sottrarla possibilmente alle conseguenze di altre eventuali complicazioni. Per raggiungere questo intento non sembra essere la migliore via quella di trarre in mezzo alle altre difficoltà non ancora vinte le facili suscettività della Prussia. Non sono molti mesi infatti che quest'ultima potenza ebbe a respingere assai vivamente alcune entrature fatte da un altro Governo, che avea stimato doversi interessare in modo speciale alle sorti dello Schleswig. Soggiunsi però ch'io non potea ignorare quale differenza il Gabinetto prussiano saprebbe fare fra le osservazioni mossegli da taluna potenza e quelle che noi potremmo fargli pervenire. A Berlino non si può ignorare che anzitutto noi desideriamo la conservazione della pace e che le parole che pronunziamo in questo senso ci sono suggerite e dagli interessi nostri e dai sinceri sentimenti di amicizia che professiamo verso le altre nazioni e verso la Prussia in particolare. Quindi io conchiusi che avrei scritto alla S. V. di voler cogliere una prossima occasione per esporre questi nostri concetti i quali tutti si riassumono nel desiderio nostro di veder eliminate tutte le cause possibili di conflitti in Europa. È in questo senso ch'io La prego, Signor Conte, di volersi esprimere, quando l'opportunità Le si presenti, con S. E. il Ministro degli Affari Esteri di Prussia intorno all'argomento al quale questo dispaccio si riferisce.

86

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC

D. 74. Firenze, 1° febbraio 1868.

Col di Lei dispaccio n. 211 di questa serie (l) Ella mi ha riferito che il Signor Bratiano era giunto in Vienna con una missione del suo Governo relativa all'abolizione della giurisdizione civile e criminale de' consolati esteri nei Principati Danubiani.

L'argomento in questione non è nuovo ed ebbe già ad essere ampiamente discusso in un'apposita commissione dei Rappresentanti Esteri in Constantinapoli quando, durante l'amministrazione del Principe Couza, il Governo dei Principati Uniti avea iniziato pratiche nel senso sovraindlcato. La situazione precaria di quest'amministrazione, i disordini che ne segnalarono la fine e per ultimo lo stato d'incertezza che seguì la caduta di quel governo, furono le cause principali per le quali il lavoro della commissione europea non giungesse ad alcuna pratica conclusione. È da notare inoltre che quando le Potenze dovettero allora occuparsi dell'argomento in discorso, la questione di principio era alquanto pregiudicata da quella di forma, poiché, come Ella ben ricorda certamente, il Principe Couza anzi che aprire negoziati coi vari Stati, avea proceduto di sola e propria autorità pubblicando leggi contrarie alle capitolazioni vigenti nei Principati.

L'opinione espressa dal R. Agente e Console Generale in Bukarest è favorevole in massima alle domande di cui il Signor Bratiano sembra essere incaricato. Ma gli interessi nostri, da quelli della marineria in fuori, non sono grandi ne' Principati, ed in ogni caso il numero de' nostri sudditi non è in quel paese che assai ristretto, se si pon mente a quello de' sudditi austriaci. È dunque assai probabile che a Vienna si siano già fatti studi riguardanti l'oggetto in questione, ed io gradirei moltissimo s'Ella potesse darmi intorno ai medesimi qualche preciso ragguaglio.

87

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R.. 230. Vienna, 1° febbraio 1868 (per. il 4).

Il Barone di Beust appoggia confidenzialmente presso la Sublime Porta, che finora non ha preso alcuna decisione al riguardo, le domande della Mis

sione Montenegrina a Costantinopoli, ridotte per ora alla riunlone a quel principato del territorio situato sulla sinistra della Moratcha. Il suo scopo in ciò è d'indurre i Montenegrini a disposizioni pacifiche e concilianti verso la Sublime Porta, e di provare che il suo convincimento sulla necessità di conservare in generale lo statu quo in Oriente finché dureranno le attuali rivalità così pericolose delle Potenze Europee, non va disgiunto da una simpatia pratica ed efficace verso i Cristiani d'Oriente. Resta a sapere se i Montenegrini prenderanno, in ricambio di tale concessione, impegni di qualche valore verso la Porta e l'Austria circa il loro contegno futuro.

Personalmente il Barone di Beust si dimostra pure non alieno dall'ammettere che i Consoli a Bukarest rivestano la qualità d'Incaricati d'Affari. Tuttavia negli stessi Uffici di questo Ministero Imperiale degli Affari Esteri si è di parere che un tal provvedimento sarebbe destituito d'ogni utilità pratica e potrebbe produrre disgustose conseguenze politiche, finché sussiste l'alta sovranità della Porta sui Principati Danubiani. D'altronde si crede che la Porta, il cui assenso dovrà in ogni modo essere chiesto, non consentirà. Il Barone di Meysenbug mi spiegò confidenzialmente come tal incidente abbia potuto essere sollevato qui, dicendomi che in fondo è una questione di convenienza personale, un Agente Francese desiderando di essere innalzato al grado d'Incaricato d'Affari a Bukarest ed avendo ottenuto presso il proprio Governo validi appoggi. Mi limito a riferire a V. E. questa asserzione, aggiungendo solo che in tutto ciò non si ravvisa sinora nulla di serio.

(l) Cfr. n. 25.

88

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 144. Berlino, 2 febbraio 1868 (per. il 6).

Des dépèches qui arrivent de Berlin à Paris assureraient que la Prusse a été tentée par l'Italie pour une alliance éventuelle.

Si réellement M. Benedetti a transmis de telles assurances, elles rentreraient dans le domaine des inventions. Ce serait un preuve qu'il puise ses nouvelles à des sources plus que suspectes. Jamais, je le sais positivement, le Comte de Bismark ne nous a attribué un semblable ròle. C'eut été aUer à l'encontre de la vérité, car si nous avons été dans le cas de demander, avec heaucoup de mesure, les bons offices de ce Cabinet, c'était uniquement afin de dissuader la France de son projet d'intervention dans les Etats Romains, et plus tard pour le retrait des troupes Impériales dans le but, entre autres, de faciliter la tiìche de notre Ministère. Nous n'avons plus insistè quand nous avons connu les motifs qu'on invoquait ici pour ne pas donner directement à Paris des conseils qui eussent nui plutòt que de servir à notre cause.

Dans les pourparlers subséquents pour réunir une conférence -sans vouloir exercer une pression sur les déterminations du Gouvernement Prussien nous nous sommes bornés à l'informer exactement sur la marche des négociations. C'était de notre part un acte de loyauté, puisque la France semblait alors vouloir le rendre responsable des difficultés soulevées contre le projet de cette conférence. Pour mon compte, afin de mettre la Prusse mieux à couvert, je n'avais pas hésité à dire à M. Benedetti que M. de Bismarck nous avait spontanément preché la prudence et la modération en allant ainsi au devant des vues tout à fait conformes qui régnaient à Florence.

Dans ces circonstances, le Président du Conseil a rendu pleine justice à notre attitude, et notamment à notre abstention de revenir à la charge pour le faire sortir de sa réserve. Il ne visait qu'à un ròle passif dans une question à laquelle il ne saurait toucher sans courir le risque de déplaire à l'une ou à l'autre des deux confessions, à l'un ou à l'autre des partis politiques en Allemagne dans un moment surtout où la concorde est plus que jamais nécessaire. Sa conduite n'a pas davantage varié vis-à-vis de la France. Son programme reste celui qui a été indiqué dans le discours de la Couronne du 15 novembre 1867, programme qui se résume dans ces mots: dignité et indépendance du Pape. On n'entend pas pour autant préjuger la question territoriale. Tels sont ses principes. Il se peut que tel ou tel de ses Agents diplomatiques s'en écarte dans son langage. Il se peut que le Roi lui meme, dans la chaleur de l'improvisation, se laisse entrainer, en paroles, au delà de ses intentions. Mais nous ne serions nullement autorisés à en déduire un changement de front. Ainsi il est parfaitement inexact que le Gouvernement Prussien alt fait à Paris des déclarations récentes répondant aux désirs de la France. M. Benedetti dans ces derniers temps n'a fait aucune communication.

L'action de la France auprès du Cabinet de Berlin subit un temps d'arret depuis la circulaire du 24 décembre. Et quant au Comte de Goltz, il serait possible qu'il n'efit pas su se soustraire entièrement aux influences du milieu dans lequel il vit, et qu'il efit représenté les choses sous un aspect trop favorable aux Tuileries. Mais si tel avait été le cas, il n'aurait pas rendu la pensée de son chef. Au reste, peu après son retour à son poste, des raisons de santé l'ont obligé à se tenir en dehors des affaires, et le Comte de Solms, durant l'intérim, n'a envoyé que des rapports assez insignifiants.

Il est évident que le Cabinet de Berlin n'a aucun motif de nous rendre suspects au Cabinet des Tuileries qui aurait alors tant de moyens de nous susciter des embarras, afin de paralyser notre action.

Il ne faudrait pas d'ailleurs voulolr porter un jugement sur la conduite de la Prusse uniquement à propos de la question romaine. Sur ce point, je ne saurais trop le répéter, elle est tenue à observer les plus grands ménagements, non pas pour complalre à ses voisins, mais pour ne pas froisser les populations catholiques allemandes. C'est là pour elle une nécesslté de position qui donne peut Hre à ses allures, en apparence du moins, un caractère indécis. Mais là où ses convictions sont invariables, c'est que son propre intéret demande la conservation du Royaume d'ltalie reconnu par elle, et qui a reçu un nouvel accroissement de territoire dans une guerre où nous nous entr'aidions mutuellement.

Sous ce rapport, sur le fond meme des choses, nous ne devons avoir aucun doute sur les dispositions amicales de la Prusse. Dans l'avenir également nos causes resteront solidaires, parce qu'elles reposent sur des intérets permanents. Je me réfère d'ailleurs aux déclarations qui m'ont été faites par le Rol Gulllaume lors de la présentation de mes lettres de créance supplémentaires. Tout en énonçant le désir de vivre également en palx avec les autres Puis~ances. Sa Majesté en présence du Comte de Bismarck, donnait un démenti catégorique aux bruits répandus par certains journaux qui pretaient à la Prusse des intentions peu bienveillantes envers l'Italie.

Peut-on avolr le méme degré de confiance vis-à-vis du Gouvernement français? Ne sont-ce pas ses organes officieux si non à Paris, du moins dans les Provinces, qui se déchainent contre notre pays? Ne sont-ce pas eux qui ont voulu faire passer la Prusse comme conspirant au détriment de nos intérets? La Prusse n'a-t-elle pas décliné vers la fin de 1866, à peu près l'époque d'une mission à Florence du Général Fleury, de souscrire à des arrangements ayant pour but une garantie du status quo territorial à Rome? (Voir mon rapport confidentiel du 18 avril n. 8, série politique). (l)

Tel est le résultat des investigations que je viens de pratiquer, adroitement, pour ne pas me laisser fourvoyer par des nouvelles à sensation que certains journaux inspirés par nos adversaires, que certains diplomates étrangers ou mal renseignés, ou voulant se donner une importance que le Comte de Bismarck ne leur accorde peut étre pas au méme degré, se plaisent à semer dans les quatre coins de l'Europe.

En fait de journaux, je citerai entre autres Z'Emancipation journal de Bruxelles, du 27 janvier qui publie l'article ci-joint sur de prétendus échecs dans ma mission à Berlin. Cet article m'a été communiqué par mon collègue de Belgique.

En accusant réception des dépeches de V. E. n. 53 et 55 série politique du 17 et 22 Janvier échu, (2) ainsi que des documents diplomatiques n. 17, 18, 20, 21 et 22 et d'une autre pièce sans numéro ...

89

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 58. Firenze, 3 febbraio 1868.

Mi pregio accusarle ricevuta del rapporto che Ella mi ha diretto in data del 30 gennaio col n. 142 di questa Serie (3).

Ieri venne a vedermi il Conte d'Usedom il quale avea ricevuto ordine espresso dal suo Governo di smentire le voci che si facevano correre sulle probabilità che il Gabinetto di Berlino si accostasse a combinazioni contrarie agli interessi italiani. L'Inviato prussiano mi disse che un accordo fra la Prussia e la Francia a danno dell'Italia era impossibile. Egli mi espresse l'idea che ho più volte riscontrata nei rapporti della S. V., che cioè l'indipendenza

dell'Italia è agli occhi della Prussia una questione d'interesse prussiano ed europeo. Il conte Usedom era per ultimo incaricato . di dirmi che il Gabinetto di Berlino non potrebbe ammettere che si attenti alla nostra indipendenza.

Ho preso atto di queste parole, incaricando l'Inviato di S. M., il Re Guglielmo di esprimere i nostri vivi ringraziamenti per queste dichiarazioni pienamente rassicuranti. Ed ora mi corre l'obbligo, Signor Ministro, di invitarla a recarsi da S. E. il conte di Bismarck per fargli conoscere la gradita impressione, C'Ile hanno prodotto sul Governo del Re le parole che l'E. S. mi ha fatto pervenire. Ella coglierà questa occasione per dire al cancelliere federale che i sentimenti espressi dal Conte Usedom trovano piena corrispondenza in Italia.

(l) -Cfr. serie I, vol. VIII, n. 388. (2) -Cfr. n. 53; !l d. 55 del 22 gennaio non è pubblicato. (3) -Non pubblicato.
90

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (l)

D. 317. Firenze, 3 febbraio 1868.

Depuis que l'orde a été rétabli dans !es provinces pontificales et que la sécurité de la frontière romaine n'a plus été troublée, j'ai déjà eu maintes fois l'occasion d'appeler votre attention sur des faits assez graves qui paraissent démontrer, de la part du Gouvernement de Rome, un parti pris de garder envers nous une attitude hostile et provocatrice.

Par votre dépèche du 19 Janvier dernier, (2) vous m'avez appris que M. de Moustier vous avait dit que rien dans la conduite du Governement Français ne pouvait faire naitre l'idée que la France prèterait son appui aux menées bourboniennes de Rome, et vous m'avez écrit que des instructions précises avaient été envoyées à M. de Sartiges, lui ordonnant de déclarer que l'action du Gouvernement Impérial ne saurait jamais etre engagée dans un but contraire à l'unité de l'Italie.

Je vous prie, M. le Ministre, d'exprimer à S. E. le Ministre des Affaires Etrangères de S. M. l'Empereur des Français, toute notre reconnaissance pour ces déclarations si conformes aux sentiments de sympathie et d'amitié sincère qui unissent l'Italie et la France. Nous étions persuadés d'avance que le Cabinet des Tuileries ne tarderait point à dégager sa responsabilité des menées réactionnaires dont le foyer est à Rome. Malheureusement il paraitrait que les déclarations faites par M. de Sartiges au St. Siège n'ont pas produit jusqu'ici tout l'effet qu'on pouvait en attendre.* Des rapports que nous croyons exacts nous apprennent que des relations intimes viennent d'etre établies entre les chefs du parti bourbonien à Rome et le chef bien connu d'une bande de brigands, Domenique Fuoco. Un brevet de capitaine dans !es milices de l'ex-roi François Bourbon sera délivré à ce féroce brigand.

De son còté * la Cour de Rome vient de donner des instructions à tout le clergé en Italie pour faire célébrer dans les églises des villes et des villages un triduum solenne! en action de gràces pour Ies succès dernièrement obtenus. Il est aisé de voir que par cette provocation la chancellerie romaine espère réveiller en Italie l'agitation que la conduite ferme et sage suivie par le Gouvernement avait pu parfaitement apaiser.

* Je signale à votre attention ces faits qui n'ont pas besoin de commentaires.

Lorsque vous les aurez portés à la connaissance du Gouvernement Impérial, celui ci puisera, j'en suis persuadé, dans le sentiment de sa propre dignité la conviction qu'il est nécessaire de mettre un terme à un pareil état de choses. C'est dans ce sens, croyons nous, que l'influence dont jouit le Cabinet des Tuileries auprès de la Cour du Vatican, pourrait étre exercée dans un but également utile aux intéréts du St. Père et de l'Italie.

En vous autorisant à mettre cette dépéche sous les yeux de S. E. le Marquis de Moustier ...*

(l) -Ed., ad eccezione dei brani fra asterischi, In L V 14, pp. 40-41. (2) -Cfr. n. 48, nota l, p. 53.
91

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC

D. 77. Firenze, 3 febbraio 1868.

S. E. il Barone di Ktibeck venne questa mattina a vedermi. Egli avea ricevuto l'ordine espresso dal suo Governo di leggermi un dispaccio col quale il Barone di Beust si lagna che in Russia si crede che l'Austria esercita la sua azione diplomatica in Italia in un senso contrario alla politica del Gabinetto di Pietroburgo nella quistione orientale. L'Inviato Austriaco mi fece osservare che dacché egli è entrato meco in rapporti ufficiali, gli affari d'Oriente non formarono mai argomento delle nostre conversazioni; epperò mi chiese, in nome del Governo dell'Imperatore, di voler scrivere a Pietroburgo in modo da distruggere interamente quella falsa opinione che colà sembra essersi fatta intorno all'azione diplomatica dell'Austria presso il Governo del Re.

Ho risposto al Barone di Kiibeck che io avrei aderito di buon grado alla domanda ch'egli mi faceva in nome del Barone di Beust, dappoiché io non potea ricusare d'affermare come veramente nelle mie conversazioni col Rappresentante Austriaco non fosse mai stata tratta in campo la quistione orientale. Promisi quindi all'Inviato di S. M. l'Imperatore di scrivere in questo senso alla

R. Legazione in Pietroburgo, cosa questa che faccio oggi stesso (1), col trasmettere a quel R. Ufficio copia del presente dispaccio, e coll'incaricare il Ministro del Re in quella residenza a farne conoscere il contenuto a S. E. il Principe Gortchakoff.

(l) D. 8 ad Incontri, non pubblicato.

92

IL SEGRETARIO DELLA LEGAZIONE A LONDRA, MAFFEI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI

L. CONFIDENZIALE. Londra, 3 febbraio 1868.

Il dispaccio politico in data delli 25 gennajo (l) indirizzatomi dal Conte Menabrea, mi pervenne appunto la sera dell'arrivo del Marchese d'Azeglio. Son troppo convinto dell'importanza di contraddire con dati autentici le calunniose insinuazioni state sparse ultimamente contro di noi, e sulle quali io stesso chiamava la di Lei attenzione, per tralasciare di farlo tanto officialmente che privatamente.

Su questo stesso argomento debbo rassegnarle che alcune sere fa incontrai a pranzo il sotto Segretario di Stato politico del Foreign Office, Signor Egerton, il quale mi disse di avere ricevuto dal Console Britannico a Napoli un rapporto dei più allarmanti sullo stato dell'antico regno e specialmente della sua capitale. Secondo lui, il malcontento avrebbe raggiunto il colmo, il partito borbonico-clericale avrebbe guadagnato potentemente terreno, il popolo ridotto all'estremo dalla crisi finanziaria, ed un sollevamento generale imminente. Essere poi una simile eventualità talmente preveduta anche dalla Francia che l'accumulazione di armi, munizioni e di ogni specie di approvvigionamenti di guerra fatta a Civitavecchia dal Governo Imperiale è così superiore ai bisogni del corpo di spedizione Romano, da far credere probabile che questo immenso deposito sia per facilitare un intervento Francese a Napoli, ove il Regno si sollevasse.

Ecco i rapporti che il Signor Bonham scrive al suo Governo!

Non fa d'uopo ch'io le dica che dimostrai con mille argomenti l'assurdità di siffatte allegazioni, ma non celai neppure al Signor Egerton che, quando io stesso mi trovava in Napoli, le poche simpatie del Signor Bonham per la causa Italiana non erano un mistero per alcuno, e che sarebbe perciò un grave errore di credere che un si triste quadro dipinga la vera situazione del paese ove egli risiede, circondato Dio sa da quali influenze. Il suo predetto rapporto annunciava persino che dalla freddezza colla quale il Duca e la Duchessa di Aosta venivano accolti dalla popolazione napoletana era facile scorgere come la dinastia di Savoja avesse perduto in prestigio nelle provincie meridionali!

Ho pensato che forse non è inutile che V. S. sia di ciò ragguagliata.

Intanto qui i Borbonici continuano a spiegare la massima attività e fra i più zelanti di essi va annoverato Acton, quello che apparteneva all'ex-ministero degl'interni delle Due Sicilie.

Fui pregato da Lacaita di procurargli il più presto possibile gli stati attivi e passivi del bilancio e la situazione del Tesoro, per potersene all'uopo servire onde facilitare le negoziazioni finanziarie che si stanno ora conducendo sulla piazza di Londra. Pur troppo vi sono gravi difficoltà. Ciò che farebbe rinascere

la fiducia nei capitalisti inglesi sarebbe un pareggio finanziario ad ogni costo per l'anno prossimo; ma tenendo conto degli ostacoli immensi che a questo si oppongono, ciò che produrrebbe pure ottimo effetto alla Borsa, sarebbe di vedere il Governo Italiano a soddisfare i reclami di molte società inglesi che in questi ultimi anni furono danneggiate nei loro interessi in seguito ad operazioni conchiuse col nostro paese.

Ella farà quel conto che crederà di questi cenni, i quali rendono però la fedele espressione dei sentimenti dei capitalisti più influenti di qui, e nella speranza che V. S. si compiacerà di farmi avere i documenti desiderati da Lacaita ...

P. S. Le chieggo scusa per la fretta colla quale ho dovuto scriverle la presente.

(l) Cfr. n. 70.

93

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, A BERNA, MELEGARI, A CARLSRUHE, ARTOM, A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI, A LONDRA, D'AZEGLIO, A MADRID, CORTI, A PARIGI, NIGRA, A STOCCARDA, GREPPI, E AGLI INCARICATI D'AFFARI A LISBONA, PATELLA, A MONACO DI BAVIERA, CENTURIONE, E A VIENNA, BLANC

CIRCOLARE. Firenze, 4 febbraio 1868.

Qui unito le trasmetto copia di alcuni documenti risguardanti gli arruolamenti che si vanno facendo in alcuni Stati di Europa in favore della Santa Sede, nonché l'agitazione che una parte considerevole del clero cattolico promuove contro l'Italia ed il Suo Governo, valendosi principalmente della predicazione per !scagliare calunniose invettive contro il nostro paese, senza risparmiare neppure le persone del nostro Augusto Sovrano e della Sua Reale Famiglia.

Chiamo la di Lei particolare attenzione sovra i dispacci che ho indirizzato ai Ministri del Re all'Aja ed a Brusselle (l) intorno a questo argomento, affinché, ove anche nel luogo della di Lei attuale residenza, si verificassero gli atti di cui abbiamo a lagnarci in Olanda ed in Belgio, Ella non esiti a prendere norma da quei due documenti per aprire pratiche che valgano a porvi riparo (2).

94

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

F.. 25. Pietroburgo, 4 febbraio 1868 (per. il 12).

Appena giuntomi il telegramma dell'E. V. in data del 1° febbraio (3) mi affrettai a dare al Principe Gortchacow comunicazione di quanto in esso mi

la Santa Sede.

si significava, ed il Cancelliere accolse colla più viva soddisfazione la dichiarazione che l'Italia, preoccupata innanzi tutto della sua politica interna, non pensava menomamente a fare cosa alcuna la quale potesse compromettere i suoi buoni rapporti colla Russia, e che perciò Essa conservava il contegno tenuto fino ad ora specialmente riguardo la questione Orientale. Il Principe mi incaricò di porgere all'E. V. i suoi ringraziamenti per una tale comunicazione e di ripetere che Egli annetteva grandissima importanza a mantenere l'accordo fino qui esistito fra la Russia e l'Italia.

Or sono tre giorni giunse da Parigi un corriere a quella Ambasciata di Francia, e si supponeva doveva portare una risposta al dispaccio che il Barone di Talleyrand aveva diretto al suo Governo dopo la sua ultima conferenza col Cancelliere dell'Impero, di cui resi conto col mio rapporto del 13/25 gennaio

N. 22 (1). Da quanto ho potuto rilevare finora ciò non è avvenuto giacché so che nella visita fatta ieri l'altro al Ministro degli Affari Esteri dal rappresentante Francese non fu fatto parola della precedente conversazione ed il Barone di Talleyrand chiese soltanto al Principe Gortchacow se la Russia sarebbe disposta ad entrare di nuovo in trattative per cercare di dare una soluzione alle faccende di Candia, aggiungendo che non aveva avuto incarico preciso dal Gabinetto di Parigi di porre una tale questione di nuovo sul tappeto, ma che il faceva di propria iniziativa, sicuro di interpretare le intenzioni del proprio Governo.

Il Cancelliere rispose che la Russia aveva ampiamente svolto tutte le sue idee riguardo alla questione Cretese, e che quindi non le restava più nulla a dire; ove però il Gabinetto delle Tuileries avesse qualche nuova idea da comunicare od una nuova proposta di fare, Egli si dichiarava pronto ad esaminarla, e fare conoscere in seguito l'opinione della Russia in proposito.

A questo si è limitata, per quanto ho potuto fino qui sapere, la conversazione nella quale neppure una parola fu fatta sulla questione della conferenza né sulle cose di Roma. Per chi conosce la mancanza di iniziativa del Rappresentante della Francia accreditato presso questa Corte, non vi ha il minimo dubbio che l'interrogazione da lui fatta al Principe Gortchacow sia venuta in seguito ad ordini precisi giunti da Parigi dove, a quanto viene qui generalmente riferito, si avrebbe desiderio di cercare nuovamente di avvicinarsi alla Russia per tentare, d'accordo con essa, di porre un termine all'agitazione di Candia la quale, perdurando, potrebbe alla primavera essere cagione di complicazioni più serie in Oriente, che voglionsi ad ogni patto scongiurare.

Affine di dare alla politica Russa riguardo all'Oriente quella unità d'indirizzo che talvolta venne l'anno scorso a mancargli, si è profittato della presenza qui dei due Ambasciatori dello Czar a Parigi ed a Costantinopoli per redigere una specie di programma nel quale è tracciata la via che il Gabinetto di Pietroburgo intende seguire, prendendo per base la dichiarazione dell'Ottobre scorso senza perdere però di vista i due scopi ai quali fu sempre dichiarato mirare la politica della Russia, cioè calmare le popolazioni cristiane che intendessero rivoltarsi, e cercare di ottenere loro un miglioramento nelle condizioni che sono loro fatte dal Governo del Sultano.

Tale è la versione che su questo lavoro mi fu data al Ministero degli Affari Esteri, mi è mancato il tempo per attingere più ampie e precise informazioni essendo un tale programma stato sottomesso solamente tre giorni fa all'Imperatore, il quale lo avrebbe approv,ato.

(l) -Cfr. nn. 79 e 83. (2) -Greppi e Centurione risposero (cfr. rispettivamente r. 44 e r. 110 tutti e due del 12 febbraio) che nel paesi di loro residenza non risultava si fossero verificati arruolamenti per (3) -Cfr. n. 82, in realtà del 31 gennaio.

(l) Cfr. n. 71.

95

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (l)

D. 320. Firenze, 5 febbraio 1868.

Allorché mi giunse il rapporto ch'Ella mi indirizza va addì 17 dello scorso Gennaio (N. 608 S. P.) (2) col quale la S. V. mi riferiva di aver saputo da S. E. il Marchese di Moustier che il Barone di Malaret era incaricato di comunicarmi una circolare del 24 dicembre 1867 ed un dispaccio di data posteriore, in risposta a quello ch'io Le scrissi sin dal 12 dicembre dell'anno passato, l'io non avea avuto ancora sotto gli occhi il testo preciso né dell'uno né dell'altro dei due documenti sovra indicati.

Come ebbi già a scriverle (3), fu il giorno 12 gennaio che il Barone di Malaret venne a leggermi la circolare francese del 24 dicembre; ma in quella occasione l'Inviato imperiale non me ne lasciava copia. Dicevami però il Barone di Malaret essergli inoltre pervenute istruzioni del suo Governo colle quali il Marchese di Moustier, rispondendo alla mia domanda contenuta nel dispaccio del 12 dicembre lo incaricava di farmi sapere che malgrado le parole pronunziate dal Signor Rouher, noi non avremmo dovuto ristarci dal proporre almeno le nassime fondamentali di un negoziato per !stabilire un «modus vivendi » fra Roma e l'Italia e poter giungere cosi ad un temporario accomodamento della quistione sulla base della Convenzione del 1864. Ed io scorgendo quanto importanti fossero le parole dell'Inviato francese, subito ne prendeva nota comunicandole il giorno istesso alla S. V.

Pervenutomi dippoi il di Lei rapporto del giorno 17 Gennaio, e vedendo io dalla lettura del medesimo che le due comunicazioni fatte dal Governo imperiale al suo inviato in Firenze erano destinate ad essermi rimesse in copia, pregai tosto il Barone di Malaret di volermi mettere in grado di prendere cognizione del testo preciso di quegli * importanti * documenti.

La S. V. mi avea scritto che il Marchese di Moustier con un dispaccio posteriore alla circolare del 24 dicembre, insisteva perché, malgrado la dichiarazione fatta dal Signor Rouher al Corpo legislativo, il Governo del Re comunicasse a quello dell'Imperatore le sue idee fondamentali per venire ad un accomodamento, almeno temporario, il quale stabilisse un «modus vivendi » tra l'Italia e la Santa Sede sulla base della Convenzione del 15 settembre 1864.

Ella ben comprende, Signor Ministro, che mentre io era lieto di trovare nelle di Lei parole la piena conferma di quelle pronunciate dal Barone di

Malaret nella conversazione ch'io avea avuto con lui il 12 gennaio, per altra parte io dovea vivamente desiderare d'avere tra le mani il documento ufficiale del Governo francese, dal quale risultassero l'iniziativa da lui presa e le buone disposizioni dimostrate. Avea dunque pregato il Ministro di Francia di volermi rimettere copia dei documenti dei quali mi avea dato comunicazione.

Se non che l'Inviato francese rispondevami non credersi egli pienamente autorizzato a ciò fare e nel mentre, addì 22 di Gennaio, comunicavami il testo della Circolare del 24 dicembre, impegnavasi a provocare da Parigi gli ordini necessari per essere posto in grado di soddisfare appieno il desiderio ch'io gli avea manifestato. Contemporaneamente come Ella certamente ricorda, io Le scrivea per telegrafo (l) di voler sollecitare presso il Ministero imperiale degli Affari Esteri l'invio delle istruzioni necessarie affinché il Signor di Malaret si credesse autorizzato a consegnarmi copia del dispaccio che avea accompagnato la comunicazione della circolare del dicembre scorso.

Intanto però vedendo io come le parole da Lei scrittemi il 17 Gennaio fossero identiche a quelle dettemi pochi dì innanzi dal Rappresentante di Francia, stimai non potervi essere dubbio sul senso chiaro ed esplicito delle proposizioni francesi ed in base alle medesime non indugiai a dirigerle il dispaccio in data del 24 dello scorso mese (2) col quale ho posto le basi che, a nostro avviso, sono indispensabili per istabilire fra la S. Sede ed il Governo Italiano una condizione di cose tollerabile, un modus vivendi che desse anche sicurtà di un quieto vivere per l'avvenire. Ella mi ha già annunziato per telegrafo (3) che S. E. il Marchese di Moustier ha fatto lieta accoglienza a quelle mie proposizioni riservandosi tuttavia di prendere intorno alle medesime gli ordini dell'Imperatore. Ed in quest'annunzio, ch'Ella mi facea prontamente pervenire, io ho trovato una prova dippiù che da noi erano state rettamente intese le entrature fatteci dal Gabinetto delle Tuileries. Se non che ieri l'altro venne a vedermi il Signor di Malaret e senza aggiungere alcuna spiegazione, od alcun che di notevole, rimettevami confidenzialmente copia di un dispaccio del 7 Gennaio scorso, dicendomi essere stato ora autorizzato a consegnarmene il testo. Gradii la comunicazione e ringraziai, riservandomi di ben esaminare i termini nei quali quel dispaccio era concepito. * Qui unito ne invio alla S. V. un sunto per di Lei Norma*.

Io non mi fermerò, Signor Ministro, a commentare od a riscontrare il dispaccio recentemente consegnatomi confidenzialmente dal Barone di Malaret, l'indole riservata ed officiosa della comunicazione stessa mi dispensa di ciò fare. Le basi dei negoziati ufficiali iniziati, rimangono infatti anche dopo questa confidenziale comunicazione, nelle conversazioni ch'Ella ebbe col Marchese di Moustier e ch'io ho avuto col Rappresentante francese presso questa R. Corte. Non sarà però fuori proposito ch'io Le faccia osservare come fra il linguaggio chiaro, preciso ed aperto tenuto meco dal Barone di Malaret addì 12 Gennaio confermato testualmente da quanto in quegli stessi giorni le diceva il Marchese di Moustier e quello adoperato nel dispaccio francese del 7 Gennaio, che ho ora sotto gli occhi, passano notevoli differenze. Invano vi ho cercato

le espressioni che indichino un accomodamento temporaneo od un modus vivendi da stabilire fra l'Italia e la Santa Sede; se infatti parziali aggiustamenti non sono espressamente esclusi in quel dispaccio, non è men vero che il senso e le conclusioni di quel documento sono di respingere le obbiezioni contenute nel nostro dispaccio del 16 dicembre e di invitarci quindi a mantenere la promessa da noi fatta anteriormente alle dichiarazioni del Ministro di Stato francese al Corpo legislativo. Non tratterebbesi di proposizioni limitate ad un semplice modus vivendi né ad un accomodamento temporario tra l'Italia e Roma, bensì di far conoscere quali a nostro avviso sarebbero i punti principali che potrebbero condurre ad una pacifica e soddisfacente soluzione la quistione romana. Probabilmente il dispaccio comunicatomi jer l'altro dal Signor di Malaret non è quello stesso di cui parlò a Lei il Marchese di Moustier ed intorno al quale lo stesso Barone di Malaret ebbe a conversare meco.

Sono persuaso ch'Ella, Signor Ministro, troverà modo di avere degli schiarimenti sopra questo incidente, anche perché agli occhi nostri importa che sia ben dimostrato che il nostro dispaccio del 24 Gennaio fu scritto soltanto dietro le considerazioni svolte nelle comunicazioni verbali fattemi dal Signor di Malaret e confermate alle S. V. dal Ministro Imperiale degli Affari Esteri. Quel mio dispaccio che ebbe, come Ella già mi ha informato, buona accoglienza per parte del Marchese di Moustier non lasciava del resto alcun dubbio sui veri e precisi intendimenti nostri circa l'indole e la portata delle proposizioni che la S. V. fu incaricata di fare al Governo francese.

ALLEGATO.

* Il documento rimessomi il giorno 3 febbraio dall'Inviato di Francia porta la data del 7 gennaio scorso ed è la risposta al mio dispaccio del 16 dicembre, diretto alla S. V. Il Marchese di Moustier ricorda anzi tutto come il Governo dell'Imperatore abbia ognora protestato contro l'idea d'impiegare i mezzi violenti per sciogliere le difficoltà inerenti alle relazioni dell'Italia colla S. Sede. Le dichiarazioni fatte dal Ministro di Stato alla tribuna francese nella giornata del 5 dicembre altro non sarebbero che l'espressione più energica dello stesso pensiero.

Non vuole quindi il Ministro Imperiale degli Affari Esteri riconoscere che quelle dichiarazioni abbiano in qualche maniera modificato la situazione esistente al momento che la Francia avea invitato le Potenze ad una Conferenza. Crede il Signor di Moustier che una conferenza potrebbe riunirsi utilmente per discutere tutte le quistioni che si connettono col regolamento pacifico delle reciproche relazioni tra l'Italia e la S. Sede. Ed intanto finché non si siano costituiti nuovi elementi di sicurezza per la S. Sede, il Governo Francese ritiene che tale sicurezza non possa avere altra guarentigia fuorché il mantenimento della convenzione di Settembre.

Facendosi quindi a considerare il valore giuridico e l'efficacia della medesima convenzione, il marchese di Moustier dichiara che il ritorno delle truppe francesi in Roma non ha scemato il vincolo obbligatorio che per noi nasceva da quest'atto internazionale, ed afferma che la violenza avendo interrotto l'esperienza incominciata non si potrebbe recare un giudizio sui pratici risultamenti che la Convenzione era destinata a produrre. Non vuole però il Gabinetto delle Tuileries che quello di Firenze supponga che nuove condizioni gli saranno richieste per assicurare in futuro la S. Sede. Nelle sue precedenti comunicazioni il Governo Francese ebbe soltanto in vista di esprimere quanto era scemata, dopo gli ultimi avvenimenti, la fiducia che costituisce la più valida guarentigia delle convenzioni internazionaii; e quanto era quindi necessario si provvedesse ai mezzi che potrebbero farla rinascere. Tale, soggiunge il Signor di Moustier, era il compito del Gabinetto di Firenze; questo compito il Governo Francese poteva indicare, ma sta al Governo Italiano l'eseguirlo.

E qui il Ministro Imperiale degli Affari Esteri ripete che siffatte questioni troveranno del resto il loro posto naturale in seno alla conferenza e che là potranno essere esaminati i nuovi aggiustamenti che l'Italia avrebbe a proporre.

Ricorda quindi il Marchese Moustier il tenore del suo dispaccio del 27 Novembre, confermato dalla circolare del 24 Dicembre e confida che, dal canto nostro le idee espresse nel dispaccio che io diressi alla S. V. in data del 3 Dicembre ultimo (l) non avranno subito alcuna modificazione.

Anzi il Ministro Imperiale degli Affari Esteri cita al proposito quasi testualmente le parole che io Le scrivevo nel succitato mio dispaccio e dice che noi avevamo promesso di presentare le proposizioni che ci sembrerebbero poter servire di base ad una pacifica e soddisfacente soluzione delle quistioni che s'impongono alla saviezza delle Potenze. Rammenta il Signor di Moustier che io gli feci dichiarare che nella ricerca d'un punto di partenza pelle future deliberazioni della Conferenza, avrei avuto, come unica guida, la salvezza d'Italia, il rispetto della religione e la pace d'Europa; epperò conchiude esprimendo la fiducia che il ministero ricostituto sotto la mia presidenza non esiterà più, dopo le spiegazioni avute, a dar seguito alla promessa fatta, assicurandoci dello spirito sincero di conciliazione col quale le nostre comunicazioni saranno esaminate a Parigi.

(l) -Ed., ad eccezione dei brani fra asterischi. in L V 14, pp. 41-43 e in Orir;ine8 diplomatiques, vol. XX, pp. 331-334. (2) -Cfr. n. 55. (3) -Cfr. n. 42. (l) -Cfr. n. 66. (2) -Cfr. n. 68. (3) -Cfr. n. 77.
96

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 579. Firenze, 6 febbraio 1868, ore 22,30.

Depuis quelque temps je n'ai plus de nouvelles des propositions relatives au «modus vivendi >>. Veuillez me faire savoir où en est cette affaire; on commence à s'en inquiéter.

97

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA. AL MINISTRO A WASHINGTON, CERRUTI

D. R. R. l. Firenze, 6 febbraio 1868.

Alla S. V. che per molti anni fu in grado di conoscere in ogni loro particolarità i richiami che il Governo del Re dovette a più riprese inoltrare presso il Governo della Repubblica di Montevideo, non è necessario ch'io spieghi lungamente come sia avvenuto che le nostre giuste domande non abbiano avuto quell'accoglienza che meritavano.

I danni sofferti dagl'Italiani nelle guerre della Repubblica son ormai i soli che non siano ancora stati risarciti. Ella sa che dopo lunghi negoziati, il governo orientale s'era finalmente deciso nel 1858 a consentire alla nomina d'una

commissione mista per la liquidazione dei danni che dovrebbero essere risarciti. Quella pratica era stata condotta d'accordo e simultaneamente dai rappresentanti di Sardegna, di Francia e d'Inghilterra e prometteva un felice risultamento. Se non chè, il governo della Repubblica, appena ebbe accettato il compromesso, incominciò a pretendere che il rappresentante di Sardegna, perché non rivestito di carattere diplomatico, non potesse sedere in quella commissione, e condusse le cose a tal punto cogli inviati di Francia e d'Inghilterra che questi due ultimi governi si videro costretti verso il finire del 1861 di fare innanzi a Montevideo una dimostrazione armata, chiedendo alla Repubblica il pagamento di una considerevole somma entro un breve termine. Il Governo Orientale cedette alle giuste esigenze della Gran Bretagna e della Francia e sottoscrisse una convenzione che è ora in via di esecuzione.

I richiami sporti dai sudditi inglesi e francesi verso la repubblica non erano di indole diversa di quelli giustamente formulati in parecchie occasioni ma sempre invano dai sudditi italiani. Quindi è che appena ristabilita nel 1862 la R. Legazione in Montevideo, il Rappresentante di Sua Maestà ebbe istruzione d'insistere presso quel Governo per ottenere che gli stessi diritti che erano stati riconosciuti agli Inglesi ed ai Francesi, fossero ugualmente riconosciuti agli Italiani, e che a questi ultimi si accordassero quegli stessi indennizzi che si concedevano agli altri stranieri.

Il Governo Orientale non contestò mai direttamente il diritto da noi invocato, ma rinnovò col nostro rappresentante quel sistema di indugi e di tergiversazioni che altre volte avea resi inutili tutti gli sforzi dei commissari di Francia e d'Inghilterra per giungere ad un componimento.

Dal 1862 in poi la Repubblica orientale non si mostrò più arrendevole o meglio disposta a nostro riguardo anche pegli altri affari che si ebbero a trattare con quel governo.

Vero è che le lotte interne di quel paese avrebbero potuto, entro certi limiti, servire di scusa per attenuare il giusto risentimento che il R. Governo dovette necessariamente provare per siffatto contegno; ma ora sono già trascorsi quasi due anni dacchè la guerra civile ha cessato a Montevideo senza che perciò siansi sensibilmente migliorate le condizioni dei rapporti della nostra rappresentanza con quella Repubblica. E perché la S. v. possa ancor meglio giudicare dello stato delle cose, qui unita Le trasmetto copia di una Nota che in data del 21 ottobre 1867 l'Incaricato d'Affari si trovò costretto di indirizzare al Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Orientale.

Un tale stato di cose dovette di necessità richiamare l'attenzione del Governo del Re, il quale non potrebbe senza compromettere gravissimi interessi dei suoi sudditi, permettere che una simile situazione potesse indefinitamente prolungarsi.

Alla S. V. che soggiornò assai tempo in Montevideo non ho bisogno di dire che gli interessi dei sudditi Italiani in quel paese sono importantissimi, e che il Governo del Re non potrebbe, senza gravissimo danno del suo commercio e della sua navigazione, tollerare che i medesimi non trovassero presso le autorità locali tutto quell'appoggio e quella protezione che ebbero ed hanno gli interessi de' sudditi Inglesi e Francesi.

12 -Documenti diplomatici • Serle I • Vol. X

Portata la quistione innanzi ai miei colleghi nel consiglio de' ministri, fummo d'accordo essere necessario provvedere, ed ove le semplici domande non bastassero ad ottenere un soddisfacente esito, si è deciso di fare contro lo Stato di Montevideo una dimostrazione armata.

Noi non abbiamo alcun segreto pensiero di conquiste o di stabilimenti permanenti sul territorio della repubblica, noi vogliamo soltanto porre un termine ad indugi e tergiversazioni che nulla può legittimare e che riescono sommamente nocivi agli interessi commerciali del nostro paese.

È in questo senso ch'io ho spiegato al Signor Marsh il contegno che il Governo del Re stava per assumere verso la Repubblica Orientale, pregandolo ne scrivesse al suo Governo, a Washington, anche per indurre gli Stati Uniti ad usare la loro influenza presso il Governo Orientale affinché questi abbia a riconoscere i nostri diritti ed a soddisfare alle nostre dimande. Ed ora nel riferire a Lei, Signor Ministro, le cose sovra narrate, io non mi propongo altro scopo fuorché quello di incaricarla di far conoscere lo stato vero della quistione ed i nostri sinceri intendimenti al Signor Seward, dicendogli che il Governo del Re sarebbe lieto di vedere una simile quistione prontamente terminata mercé il concorso amichevole che gli Stati Uniti possono prestargli adoperando la loro influenza a Montevideo in appoggio ai nostri giusti reclami. Io la prego di dire al Ministro degli Affari Esteri della Confederazione che è sovratutto nostro desiderio evitare di essere costretti di ricorrere ai mezzi di coazione, e che le istruzioni date al nostro rappresentante in Montevideo ed al Comandante la nostra stazione navale in quelle acque sono appunto concepite nel senso di dover esperire tutti i mezzi possibili di conciliazione prima di aver ricorso alle intimazioni appoggiate dalla forza, evitando ogni fatto di guerra.

(l) crr. serie I. vol. IX. n. 647.

98

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CON"FIDENZIALE 145. Berlino, 6 febbraio 1868 (per. 1'11).

J'ai hésité un instant SI Je donnerais suite, sans en référer à V. E. à sa dépeche du ler février série politique n. 57 (l)

o

Mais après avoir mùrement réfléchi, il m'a semblé, quelles que fussent les susceptibilitès bien explicables du Gouvernement Prussien dans une question où il ne reconnait qu'à une seule Puissance, l'Autriche, un titre légal d'immixtion, il m'a semblé, dis-je, qu'il n'y aurait pas d'inconvénient à parler dans le sens de la dépeche précitée. J'ai meme fait plus. Il m'a paru que mieux valait encore, avec la franchise qui caractérlse notre politique, donner confidentiellement lecture du document dont il s'agit.

Je tenais à bien marquer que l'initiatìve de la démarche venait non point de nous, mais du Cabinet de Copenhague. Il fallait répondre à sa demande, et V. E. l'avait fait de la manière la plus amicale envers la Prusse, en donnant un nouveau témoignage de notre désir de voir disparaitre toute cause de conflit.

M. de Thiele ne se rendait pas compte des motifs qui avaient induit le Gouvernement Danois à requérir nos bons offices, car on met ici le plus grand soin à faciliter un bon résultat des négociations pour l'exécution du Traité de Prague (art. V). Mais il reconnaissait que notre langage à M. de Bille-Brahe avait été plein de tact et de modération, que notre but n'avait été autre que celui de travailler dans un sens de conciliation. Telle était du moins son opinion personnelle, et il espérait que le Comte de Bismarck partagerait le meme avis. Le Sous Secrétaire d'Etat ne manquerait pas de rendre compte de notre entretien confidentiel au Président du Conseil qui siégeait à la Chambre des députés.

J'ai voulu donner à cet entretien un caractère confidentiel, précisément pour exclure, autant qu'il dépendait de moi, toute communication à des Gouvernements étrangers, et notamment toute publication des journaux dont les commentaires inexacts ou passionnés pourraient dénaturer notre démarche.

Parmi les documents diplomatiques, j'ai trouvé d'intéressants rapports du Comte Zannini. Ils s'accordent avec le langage de mon Collègue Danois. Celui-ci convient que le Comte de Bismarck est animé de bonnes intentions, mais les pourparlers marchent avec beaucoup de lenteur. Il ne saurait méme en étre autrement quand il faut que les délégués prussiens se vouent à une étude approfondie sur les lois et usages des districts mixtes du Schleswig septentrional, à fin de se mettre en mesure de discuter en parfaite connaissance de cause les garanties demandées au Danemarck. Mais cette question de garanties n'est que secondaire. On ne se montrera condescendant à Copenhague qu'en raison directe des concessions territoriales de la part de la Prusse. «La nécessité d'une bonne frontière pour mon pays, ajoutait M. de Quaade, est tellement indiquée, qu'à défaut de celle-ci nous préférerions le status quo et nous attendrions le bénéfice des circonstances. Un arrangement équitable et de nature à prévenir toute complication ultérieure avec l'Allemagne, est pour nous une condition sine qua ·r-on: y parviendrons-nous? Je veux l'espérer, mais j'en comprends la difficulté du moment où le Comte de Bismarck doit ménager le sentiment national germanique très surexcité à notre endroit. La dernière démarche de la France en notre faveur, ébruitée si mal à propos, a été une faute. Elle a rendu plus malaisée encore la tàche du Gouvernement Prussien. D'un autre còté l'Autriche reste les bras croisés malgré ses droits de cosignataire du Traité de Prague. Je ne me dissimule aucunement combien ma mission est délicate. Elle peut tourner mal contre ma carrière. Mais j'ai accepté le ròle de plénipotentiaire, parce que si je l'avais décliné, c'eùt été marquer a priori de la dé.fiance vis-à-vis du Cabinet de Berlin, et enlever du méme coup à un commissaire ad hoc des chances de succès, quelque faibles qu'elles soient ».

J'ai cité le jugement émis par M. de Quaade, parce qu'il résume assez bien la situation de cette affaire.

(l) Cfr. n. 85.

99 IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1002. Parigi, 7 febbraio 1868, ore 14,10 (per. ore 17,20).

Je sais que votre dépeche confidentielle du 24 janvier (l) a fait bonne impression sur l'Empereur, ainsi que sur Rouher. Le retard dans la réponse doit etre attribué à ce que probablement le Gouvernement impérial, à qui nous avons demandé de s'engager en quelque sorte au nom du St. Siège, aura voulu s'assurer des dispositions de la Cour de Rome. Discussion sur la loi de la presse qui a failli amener une crise ministérielle a aussi contribué au retard, mais Rouher me fait dire confidentiellement que nous n'aurons rien perdu pour attendre. J'espère etre en mesure de vous envoyer quelque chose de positif dans quelques jours d'ici.

100

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 147. Berlino, 8 febbraio 1868 (per. il 12).

J'ai eu ce matin la visite de mon collègue Danois qui venait me demander si j'avais été dans le cas de parler récemment au Ministère des Affaires Etrangères de Prusse relativement à la question du Schleswig septentrional.

J'ai répondu affirmativement dans le sens de mon rapport d'avant hier

n. -145 (2). M. -de Quaade m'en a exprimé ses regrets. Il venait précisément de recevoir une lettre particulière du Directeur des Affaires Etrangères à Copenhague qui l'avertissait que M. de Bille-Brahe n'ayant pas été chargé de faire la démarche spéciale qui a motivé la dépeche n. 57 de V. E. (3), il serait dès lors indiqué que je m'abstinesse à mon tour, ou du moins que mon langage ne révélàt aucune trace d'une initiative quelconque prise de Copenhague.

Je n'ai pas caché à mon interlocuteur mon étonnement que M. de BilleBrahe se fut aventuré aussi à la légère sur un terrain des plus glissants. J'avais hésité à donner suite aux instructions de mon Gouvernement, mais au moins l'avais-je fait dans des termes qui n'avaient pu froisser en rien, à notre endroit, Ies justes susceptibilités du Cabinet de Berlin. II fut convenu entre nous que nous nous rendrions successivement, aujourd'hui meme chez M. de Thiele pour expliquer cet incident.

Le Sous Secrétaire d'Etat m'a dit que dès le 6 courant, il avait déjà fait rapport sur ma communication confidentielle. Il me donnait en meme temps

l'assurance que le Comte de Bismarck avait rendu pleine justice au langage

parfaitement bienveillant de V. E. vis-à-vis de la Prusse, et au tact avec lequel

je m'étais acquitté de l'instruction de trasmettre, à titre d'information, l'entre

tien qui avait eu lieu à ce sujet entre vous, M. le Comte, et M. de Bille-Brahe.

L'impression n'avait pas été la meme pour ce qui concerne le Danemark. Mais

cette impression se modifiait du moment où il était avéré que ce diplomate

avait agi sans un ordre exprès. Aucune note ne serait donc adressée d'ici ni à

Florence, ni à Copenhague.

Il n'est pas moins inconvenable qu'un agent diplomatique prenne sur lui

de nous induire à une démarche qui eùt pu devenir compromettante, si V. E.

n'avait pas su l'entourer des formes les plus courtoises et les plus amicales.

(l) -Cfr. n 68. (2) -Cfr. n. 98. (3) -Cfr, n. 85.
101

IL MINISTRO A BRUXELLES, DE BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 8. Bruxelles, 8 febbraio 1868 (per. il 12).

J'ai eu l'honneur de recevòir les deux dépeches que V. E. a bien voulu m'adresser sous la date du 31 Janvier demier, (Série Politique nn. l, 2) {l) et je m'empresse de venir répondre à ce qui formait l'objet de la dernière.

Il résulte d'informations précises, que la Législation Belge ne contient aujourd'hui aucune espèce de pénalité contre les nationaux allant prendre du service à l'étranger. La peine de la privation des droits civils pendant une année, qui existait autrefois, a été abrogée par les Chambres, et depuis lors pleine et entière liberté est laissée à tout beige d'aller servir sous le drapeau qui lui convient. C'est pousser la liberté un peu loin, puisque une pareille latitude peut devenir un danger pour les Etats voisins; mais le fait de l'absence de toute pénalité, n'en est pas moins consacré par la loi.

Malgré cette disposition qui enlève tout motif de réclamation oftìcielLe auprès du Gouvernement, j'ai cru cependant devoir en aUer parler sous forme de slmple conversation avec le Ministre des Affaire Etrangères, soit pour m'assurer au juste de l'importance des enrolements signalés par le Consul du Roi à Amsterdam, soit pour connaitre la pensée du Gouvernement Belge à cet égard.

M. Van der Stichelen m'a pleinement confirmé ce que je savais au sujet de la faculté laissée à tout beige d'aller servir à l'étranger; il m'a dit que la liberté illimitée établie en principe dans les institutions de la Belgique s'appliquait sans exception à tout, et que c'était sous l'empire de cette pensée que le Parlement avait abrogé la pénalité autrefois existante.

Quant au fait en lui meme d'enrolements Belges pour l'armée pontifiicale, le Ministre des Affaires Etrangères, m'a affirmé de la manière la plus positive qu'il pouvait bien y avoir par ci par là quelques individualités poussées par les curés qui allaient offrir leur service à Rome et que bien loin d'agir en secret

l'on avait grand soin au contraire de battre la grosse caisse dans les journaux cléricaux afin de servir d'encouragement aux autres; «mais a-t-il ajouté, ce sont là des actes tout à fait rares et qui par celà méme perdent toute espèce d'importance '>. «Mais, ai-je fait observer à M. Van der Stichelen, l'on me dit qu'il y aurait ici méme à Bruxelles un bureau d'enròlement où l'on recevrait des Hollandais qui seraient ensuite dirigés sur Rome». «J'ignore complètement l'existence de ce bureau, m'a répondu immédiatement M. Van der Stichelen, et si quelques Hollandais partent de Bruxelles pour aller s'enregimenter dans les Zouaves pontificaux, je crois que cela a lieu dans les mémes conditions que pour Ies Belges, c'est-à-dire qu'il s'agit de très rares individualités poussées par le zèle d es p retres ».

En présence d'assertions aussi nettes, exprimées par un Ministre, dont Ies sympathies pour l'Italie sont aussi sincères qu'elles sont connues, V. E. pensera probablement que les renseignements fournis au Consul Royal à Amsterdam ont été singulièrement exagérés, et que dans tous les cas il serait peu conforme à nos intéréts d'entrer avec un Gouvernement essentiellement ami de l'Italie, dans une voie de recriminations dont le premier inconvénient serait de n'aboutir à aucun résultat pratique. Je dois en dire autant au sujet des attaques que se permet contre l'Italie et son Gouvernement, la presse cléricale de ce pays. M. Van der Stichelen, auquel j'ai été tout naturellement amené à en parler, m'a dit que la liberté de la presse était illimitée et sous ce rapport la Belgique avait complètement adopté Ies allures de l'Angleterre. «Chaque pour, a-t-il ajouté, nous sommes nous mémes attaqués de la manière la plus violente par la presse et les discours des Cléricaux; la personne méme du Roi n'est pas toujours épargnée; mais ni nous, ni le public n'y faisons plus attention, et le mépris du silence est la seule réponse à de pareilles attaques. Celà est ci vrai que le Gouvernement Français, qui dans le temps avait si souvent adressé des réclamations au Gouvernement Beige pour Ies insultes auxquelles il était en butte lui aussi bien que, souvent, la personne de l'Empereur, a fini par partager cette manière de voir, et depuis plus de deux ans n'a plus élevé la moindre plainte ni fait parvenir la moindre réclamation à ce sujet.

Je laisse à la haute sagesse de V. E. le soin de juger s'il peut nous étre convenable de pousser plus loin cette question . . . (l).

(l) Cfr. n. 83; il d. non è pubblicato.

102

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

D. CONFIDENZIALE 13. Firenze, 9 febbraio 1868.

Approfitto della partenza del signor Cavalier Cova per Madrid per riscontrare i vari dispacci ch'Ella mi diresse coi nn. 30 sino al 47 di questa serie (2). Con molto ritardo mi pervennero pure i di Lei rapporti segnati coi nn. 25 e

26 (1). Il piego che li conteneva mi venne qui consegnato soltanto il 22 gennaio.

La ringrazio della premura colla quale Ella mi tiene a giorno delle discussioni parlamentari e di quelle della pubblica stampa relative alle cose d'Italia. Tutti gli ultimi incidenti che V. S. ha osservato a questo riguardo confermano sempre più l'opinione che noi ci siamo fatti circa le disposizioni del Gabinetto di Madrid, contrariate in gran parte dalle opposte ed esagerate tendenze della Corte. Ne ebbimo segnatamente una prova nell'occasione in cui il signor Arrazola stimò doverle fare sapere indirettamente che il ministero declinava ogni responsabilità pegli articoli violenti del giornale l'Espanol.

Ma se di queste disposizioni del Ministero attuale noi dobbiamo e sappiamo tener conto, per altra parte non possiamo dissimulare che la responsabilità degli atti del governo spagnuolo riposa tutta legalmente sul ministero Narvaez, dal quale, non foss'altro per reciprocità, ci sembra essere in diritto di chiedere un contegno più deciso e meno arrendevole alle tendenze che a parecchie riprese il Gabinetto stesso ha dimostrato di non approvare.

Non sarà qui necessario ch'io ripeta quanto già ebbi a segnalarle per telegrafo. La mia corrispondenza telegrafica, i rapporti ed i telegrammi della

S. V., le lettere e le relazioni che mi pervengono da varie parti, trattano tutti d'argomenti poco compatibili con una situazione regolare di pacifici ed amichevoli rapporti internazionali fra l'Italia e la Spagna.

Se non è esatto che fra la Francia e la Spagna siano intervenuti accordi per una eventuale occupazione spagnuola a Roma, non è però men vero che ripetute volte la Corte di Spagna si è rivolta a Parigi per far accettare il suo concorso materiale nella spedizione romana (2). Corrono a Roma, e vi si ripetono con compiacenza, voci d'ogni sorta sugli appoggi che trova in Madrid non solo la causa del potere temporale, ma eziandio quella delle sognate restaurazioni borboniche nella penisola. E mentre si sa in Italia che i principali emigrati borbonici, riuniti in Madrid, ricevono pensioni dalla Corte di Spagna, non si ignorano gli intrighi attivi de' quali costoro sono centro presso il Nunzio, che colla sua influenza personale agisce sull'animo della Regina. Né io debbo tacerle, signor Conte, che non mancano ragioni di credere che il denaro speso in questi ultimi tempi in tentativi reazionari, promossi e diretti dal palazzo Farnese, sia venuto di Spagna, non foss'altro, pella semplice ragione che non si vedrebbe da qual altro governo possa essere stato somministrato.

Ora se la S. V. si farà a confrontare le cose sovra indicate col contegno nostro rimpetto alle difficili circostanze in cui versa la tranquillità del Regno di Spagna, vedrà di leggieri quanto la nostra condotta sia stata moderata e circospetta anche in presenza di atti che avrebbero potuto provocare in noi un legittimo risentimento.

Ella mi ha già scritto che il Gabinetto di Madrid sembrò molto apprezzare la nostra condotta verso il generale Prim, prendendo quelle disposizioni

che erano necessarie per impedire che in Italia si cospirasse a danno di Spagna. Ora poi io debbo aggiungerle che non mancarono altre e recenti occasioni nelle quali avremmo potuto facilmente e senza impegnarci in alcuna maniera, creare serii imbarazzi al Governo della Regina; ma queste occasioni noi non abbiamo colte, e le proposizioni che ci si facevano abbiamo respinte, gelosi sempre di dimostrare col fatto che l'Italia non intende procedere per occulte vie, né valersi di mezzi che non possano essere apertamente adoperati e confessati.

Queste cose è bene ch'Ella conosca, signor Conte, perché daranno a Lei una sicura norma di condotta in codesto paese.

Epperò anzitutto desidererei ch'Ella dimostrasse con un contegno assai riservato verso gli emigrati italiani che il Governo del Re non transigerà mai con coloro che si professarono nemici dell'unità nazionale. Quando l'occasione se ne presenti, Ella farà bene di far sapere al Maresciallo Narvaez che noi non vediamo ragione alcuna perché gli emigrati napoletani abbiano a ricevere pensioni dalla Corte di Spagna, che anzi vediamo in quelle liberalità un mezzo diretto per mantenere un nucleo di agitatori nostri nemici, !addove, senza quei sussidi, non esisterebbe probabilmente neppure un emigrato italiano.

Infine Ella vorrà far comprendere al signor Arrazola che mentre ogni dì più si accreditano voci circa le poco favorevoli disposizioni del Governo Spagnuolo verso l'Italia, è pur necessario togliere di mezzo ogni fatto che possa dare apparenza di verità a quelle notizie. Epperò io la invito, Signor Conte, a rinnovare la dimanda perché l'Agente Consolare di Spagna in Palermo venga prontamente richiamato. Non trattasi pel Governo di Madrid di esaminare a fondo la quistione della ecclesiastica giurisdizione in Sicilia, non è questo argomento che lo concerne, trattasi soltanto di un agente il quale ha violato una legge pubblica del Regno prendendo così una parte attiva in cose che possono nuocere alla sicurEzza e tranquillità dello Stato.

Al qual riguardo le sole cose che potevano essere oggetto di informazioni

ad assumere erano queste: se realmente il Console di Spagna a Palermo aves

se cercato di consegnare al Giudice della Monarchia un piego contenente carte

giuntegli da Roma, e se il medesimo si fosse così messo in rapporto diretto

con una autorità del Regno colla quale un Console non è autorizzato ad avere

relazioni dirette, non è infatti necessario di molti argomenti per dimostrare

che i soli rapporti d'ufficio permessi ai Consoli sono quelli che passano colle

autorità alle quali presentano il loro exequatur.

All'infuori di questi rapporti un Agente Consolare agisce come semplice

privato, epperò nel caso in cui è quistione il Console di Spagna, avendo violato

una legge del regno, dovrebbe essere giudicato e punito come qualunque altro

cittadino o forestiero. Ella farà dunque ben osservare al signor Arrazola che

se per parte nostra si vollero usare riguardi a chi era investito di un grado

consolare di Spagna, questi riguardi non potrebbero in alcuna guisa mutare

1 termini veri della vertenza, e che quindi ragioni di equità e di opportunità

richiedono che col richiamo del Console Spagnuolo si tolga di mezzo una cau

sa di ulteriori dissapori.

(l) -Con d. 4 del 15 marzo Menabrea dette istruzioni a Barrai di non rinnovare le istanze presso i ministri belgi. (2) -Cfr. nn. 19, 22, 50, 51, 52; gli altri rapporti non sono pubblicati. (l) -Non pubblicati. (2) -Con r. 49 del 7 febbraio Corti aveva ~omunlcato che l giornali ufficiosi spagnoli avevano smentito l'asserzione del Daily News che !n Spagna si stesse organizzando una legione come quella d! Antibes.
103 IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 148. Berlino, 9 febbraio 1868 (per. il13).

J'ai l'honneur d'accuser réception de la dépeche de V. E. N. 59 -Série politique -en date du 4 février (1), relative aux enròlements qui se font à l'étranger en faveur du Saint Siège et à l'agitation du clergé catholique contre l'Italie et son Gouvernement. J'ai pris en meme temps connaissance des documents diplomatiques nn. 24, 25, 26, 27 et 28.

Les lois prussiennes ne permettent pas de tels enròlements, et il ne me résulte pas qu'il s'en opère de clandestins. D'un autre còté, si des assemblées catholiques ont voté des adresses au Roi de Prusse et au Pape, je n'ai pas lu -pour autant que les journaux en reproduisent exactement le texte -de ces invectives offensantes pour les personnes de notre Auguste Souverain et de la Famille Royale. J'ai cependant jugé à propos de parler à M. de Thiele à titre d'information et dans le sens des documents précités.

Il m'a dit qu'en effet la loi avait prévu ces cas; qu'il se pourrait que quelques individus eussent réussi à l'éluder, mais que s'ils étaient signalés, ils seraient passibles des peines portées par le code. Ils y échappent tant qu'ils restent à l'étranger, mais quand ils se rapatrient, la punition les atteint dès que la transgression est constatée. M. de Thiele n'avait pas oui dire également que des propos calomnieux eussent été proférés ni du haut de la Chaire, ni dans des Assemblées. Mais si le cas se présentait et que je portasse plainte, le Gouvernement Prussien ne manquerait pas de recourir au Procureur du Roi.

104

IL MINISTRO A L'AJA, CARUTTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 65. L'Aja, 9 febbraio 1868 (per. il 13).

Giusta la riserva contenuta nel mio Dispaccio del 5 corrente n. 61 (2), jeri mi son recato dal Conte di Zuylen per intrattenerlo degli arruolamenti pontifici!.

Gli dissi che l'aumento considerevole dell'esercito che si raccoglie a Roma, sproporzionato e coi bisogni effettivi e colle finanze dello Stato, pur non tenendo conto delle note spavalderie di quella soldatesca raccogliticcia, doveano richiamare l'attenzione del Governo italiano; l'Olanda comparativamente al numero della sua popolazione cattolica, aver mandato colà un contingente

che potrebbe dirsi enorme: il Governo del Re essere l ungi dal supporre che il Governo Neerlandese favoreggi siffatta emigrazione armata, e pendere anzi a credere che non la vegga di buon occhio. Tuttavia siccome le partenze hanno luogo, alcune senza l'autorizzazione, ed altre col permesso Sovrano, io lo pregava di considerare se quanto alle prime non fosse il caso di applicare severamente le leggi penali, e quanto alle seconde se il consenso governativo non inchiudesse una specie d'intervento sui generis contrario e ai principii su cui fondasi la saggia politica dell'Olanda e a quelle amichevoli relazioni che essa mantiene e desidera mantenere cogli altri Stati. Rammentai a tal fine i recenti provvedimenti dati dall'Austria per impedire appunto gli arruolamenti romani.

Il Conte di Zuylen rispose: dichiararmi con sincerità che se il Gabinetto di Firenze non vedeva con piacere siffatte partenze, quello dell'Aja era in condizione di doverle deplorare egli stesso per conto proprio, senz'aver modo dl impedirle.

Mi assicurò che in Olanda non facevansi arruolamenti e che per questo capo non eravi luogo a procedere nelle vie legali e pigliare provvedimenti simili a quelli ·che si diceva emanati dall'Austria. Il prender servizio all'este.ro senza il permesso sovrano essere punito dalla legge colla perdita della nazionalità; pena di cui non si preoccupa chi è persuaso di dover tutto sagrificare ad un creduto dovere di coscienza. Quanto alle autorizzazioni, il Re non concederle se non a chi ha soddisfatto in patria ai doveri militari. Queste autorizzazioni non sonosi mai ricusate quando il paese per cui vengono demandate, non trovasi in istato di guerra dichiarata con un'altra potenza. Nelle guerre d'Italia contro l'Austria, soggiunse, pervennero richieste di giovani che desideravano prendere il servizio imperiale; furono respinte tutte.

Le autorizzazioni date essere del resto così poche per numero che non portava il pregio di parlarne. Gli chiesi allora se non aveva difficoltà di farmene conoscere la cifra esatta. Rispose che nella giornata me l'avrebbe comunicate officiosamente. Ieri sera mi mandò infatti un biglietto che reca: dal lo ottobre 1867 al giorno d'oggi, concedute autorizzazioni 21, ricusate 9.

II Conte di Zuylen conchiuse: Le ho detto che noi pure deploriamo nel nostro interesse queste partenze ed eccogliene la prova.

I giovani che vanno a Roma sono per la maggior parte soggetti alla leva militare; coloro che non estraggono un numero alto, ed assenti non rispondono alla chiamata, recano danno ai presenti che saranno chiamati in lor vece. Ne abbiamo veduti i primi effetti nell'ultima leva ed i Comuni hanno sporte rimostranze al Governo. Il Consiglio dei Ministri dovette negli scorsi giorni occuparsi di questo fatto ed io sarò costretto d'intavolare qualche pratica a Roma per far liberare almeno coloro che oggi sono stati compresi nella leva.

Non ripeto i particolari della conversazione che si prolungò per un'ora e mezzo e si aggirò sovra i varii punti che presenta la questione: diritto pubblico, legislazione Olandese, libertà della Chiesa, romanismo dei Cattolici, influenza Sacerdotale, perdita della nazionalità, ecc.

Per rendere omaggio al vero debbo notare espressamente che il Ministro degli Affari Esteri, contrariamente all'accusa che gli è spesso fatta dai suoi

avversari, tenne meco un linguaggio franco e leale ed ebbe il buon gusto di non rigettare la responsabilità dei fatti sui paesi vicini. Parlando degli arruolamenti si contentò a dire che non si compievano in Olanda, ma che la sede de' comitati era nel Belgio.

Attenderò gli ordini di V. S. in proposito, pregandola di farsi porre sott'oechio anche il mio dispaccio del 5 corrente n. 61, a cui mi riferisco per maggiore schiarimento della questione (1).

(l) -Cfr. n. 93 che fu inviato a Berlino col nume,ro di protocollo particolare 59. (2) -Non pubblicato.
105

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 234. Vienna, 11 febbraio 1868 (per. il 15).

Avendo ricevuto dal Console Generale di Sua Maestà in Trieste l'avviso, in data del 4 corrente, che i pochi borbonici residenti in quella città hanno deciso di far partire per Roma da 15 a 18 dei loro adepti di bassa sfera, mi trovai nel caso di eseguire le istruzioni di cui V. E. ben volle onorarmi co' suoi pregiati dispacci Politici n. 76 (2) e 79 (3) del 2 e del 4 corrente.

Essendomi adunque recato dal Barone di Beust gli feci conoscere la favorevole impressione prodotta in Italia dal rifiuto del Governo Imperiale di autorizzare quegli arruolamenti pel Governo Pontificio i quali non possono che recare nuove cagioni di complicazione nella questione Romana. Aggiunsi che è grato al Governo del Re il ravvisare in ciò una prova delle disposizioni amichevoli del Gabinetto di Vienna, e del suo desiderio di rendere vieppiù intimi i rapporti fra l'Italia e l'Austria.

Il Barone di Beust mi rispose confermando che tali erano state le sue mire, ed accolse con aperta soddisfazione il linguaggio che avevo da V. E. incarico di tenergli.

Accennando allora alla probabile partenza di parecchi mercenari da Trieste per Roma, espressi al Barone di Beust la fiducia che ogni ostacolo indicato dalla legge sarebbe diligentemente opposto dalle Autorità Imperiali a simili fatti.

Il Barone di Beust mi assicurò che ogni atto avente il carattere d'arruolamento sarà impedito da queste Autorità; che soltanto le partenze isolate di individui postisi in situazione regolare verso le leggi ed i regolamenti di polizia non potranno naturalmente essere impedite; ma che non si prevede che simili partenze possano essere numerose né tali da preoccupare!.

(l) -Con d. 20 del 12 marzo Menabrea Invitò Caruttl «a far Intendere a codesti uomini di Stato quanti Inconvenienti potrebbero derivare anche all'Olanda dal lasciar prendere un simile sviluppo alla propaganda antlllberale fra le popolazioni neerlandesl ». (2) -Cfr. n. 76, nota 2, p. 91. (3) -Cfr. n. 93, Inviato a Vlenna con numero di protocollo particolare 79.
106 L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 235. Vienna, 11 febbraio 1868 (per. il 15).

Je n'avais pas voulu rechercher l'occasion d'un entretien avec le Chancelier de l'Empire sur le Livre Rouge avant de connaitre l'impression qu'en aurait reçue le Gouvernement du Roi. J'avais eu seulement ces derniers jours des conversations toutes privées avec les Présidents des deux Ministères Cisleithanien et Hongrois le Prince Auersperg et le Comte Andrassy, et je les ai amenés à me dire ce qu'ils pensaient des critiques adressées par une partie de la presse d'ici aux Dépeches qui nous concernent, critiques conçues dans un esprit de libéralisme et d'amitié pour l'Italie.

Les conclusions à tirer du langage de ces Messieurs, étaient, en résumé, qu'il ne fallait pas que l'opinion publique chez nous se trompiì.t aux expressions de regret avec lesquelles M. de Beust allègue l'impossibilité où s'est trouvé le Gouvernement de l'Empereur de venir en aide au Gouvernement Pontificai.

C'est de la part du Chancelier de l'Empire une sorte de système, tout indiqué par la situation mème, que de se retrancher derrière les épreuves que l'Autriche a traversées, pour dégager la responsabilité du Cabinet Impérial et écarter les prétentions indiscrètes, sans exciter de mécontentements. La préoccupation principale avait été ici d'éviter de froisser en quoi que ce ffrt la Cour de Rome, dont les allocutions, les censures, les excommunications à l'adresse des réformes civiles que l'on prépare, sont un danger tant que le nouvel organisme libéral n'a pas eu encore le temps de pousser des racines dans les populations de toutes les parties de l'Empire. A cet égard on me cita quelques mots prononcés il y a quelques jours par M. de Beust dans une réunion de déIégués qui voulaient réduire l'allocation de l'Ambassadeur d'Autriche à Rome: le Chancelier de l'Empire leur dit ouvertement qu'il était politique de s'abstenir rigoureusement de froisser la Cour de Rome dans des affaires de pure forme et les avertit que c'était à ce point de vue que devraient ètre appréciées les pièces du Livre Rougc relatives à la question Romaine. Le Prince Auersperg me fit remarquer entre autres que l'Uebersicht, où se trouvent vraiment les vues du Gouvernement, ne contient pas un mot qui puisse nous porter ombrage, et le Comte Andrassy me dit qu'à franchement parler il croyait qu'on aurait pu en supprimer certains passages.

Ayant eu sur ces entrefaites pour d'autres objets une entrevue avec S. E. le Chancelier de l'Empire, j'ai eu occasion de lui dire que je ne connaissais pas encore l'impression que V. E. aura reçu de la partie de cette publication qui nous concerne; que l'Exposé, déjà connu de nos journaux, est favorablement apprécié par eux; que quant aux pièces diplomatiques, je ne pouvais pas lui cacher que d'après mon impression personnelle, le Gouvernement Impérial, qui nous a témoigné confidentiellement à l'égard de cette question méme des dispositions amicales, aurait pu, par égard pour le sentiment public en Italie, retrancher de cette manifestation publique de la politlque Impériale

des phrases inutilement fàcheuses. Je me bornai à cette simple remarque et je réservai totalement mon langage sur le fond meme des démarches révélées par le Livre Rouge: à ce sujet je demeure en sltuation de parler à M. de Beust d'après les intentions de V. E.

<< J'ai compté, me dit le Chancelier de l'Empire, que vous comprendriez les exigences de ma position. Je dois empecher autant que possibile les partisans du Concordat de faire dire, écrire et precher qu'il y a un franc-maçon à la tete du Gouvernement et qu'on veut décatholiciser l'Autriche: je dois, à ces premiers débuts du régime libéral dans un pays dont certaines provinces camme le Tyrol, la Mora vie, la· Gallicie sont entièrement aux mains du clergé, présenter notre politique de manière qu'on la regarde non pas camme une abjuration des traditions de la Monarchie motivée par l'esprit de parti, mais camme le résultat inévitable des événements accomplis. C'est ce que je n'ai pas du perdre de vue en publiant le Livre Rouge, comme en tàchant de persuader à la majorité du Reichsrath de procéder avec une prudente lenteur dans les réformes civiles que nous voulons tous. Je ne vous cacherai pas que quelques uns de mes excellents Collègues du Ministère de l'Empire ne se préoccupent en tout ceci que de l'opinion de Vienne et des journaux de Vienne, qui critiquent et notre correspondance diplomatique et notre lenteur aux réformes vis-à-vis de Rome. Mais je suis tenu à voir les choses de plus haut. On nous trouve trop portés à seconder la France dans ses difficultés, mais nous avons besoin d'elle. Vous connaissez nos dispositions amicales pour vous: soyez équitables dans vos appréciations ».

Je lui dis à mon tour: «Je vais donc écrire au Président du Conseil que selon votre pensée l'opinion publique en Italie doit comprendre que dans ces affaires de Rome où tant de considérations s'imposent bon gré mal gré à l'esprit le plus libre et le plus élevé, les documents diplomatiques publiés par

V. E. ont plutòt une portée relative aux personnes à qui ils étaient adressés, aux circonstances du moment, à des convenances plus ou moins temporaires et secondaires; tandis que c'est l'Exposé placé à la tete du recueil qui est l'expression vraiment décisive de la politique du Gouvernement Impérial; politique d'égard et d'amitié envers nous et qui ne préjuge rien contre la solution future de la question Romaine. J'espère rendre ainsi votre pensée ».

«C'est en effet cela», m'a répondu M. de Beust. Pour remplir l'engagement que j'avais pris dans mon N. 231 (l) de référer à V. E. sur les parties du Livre Rouge relatives à l'Allemagne et à l'Orient, je n'ai qu'à noter que ces documents ont eu dans tout l'Empire un inconte

stable succès. V. E. n'a pas besoin que je signale ce qui s'y trouve d'important: je suppose qu'Elle y verra la confirmation de ce que j'ai eu l'honneur d'écrire ces derniers mois au Gouvernement du Roi, notamment sur la portée actuelle

de l'entente Austro-Française et sur les tendances ultérieures de ce Cabinet.

M. de Beust a voulu faire connaitre dans toute leur étendue les services qu'il sent avoir rendu depuis un an à la cause de la paix Européenne.

«Je n'ai pas voulu, m'a-t-il dit à ce propos, me borner à publier des documents sans intérèt. J'ai prouvé que l'Autriche pouvait beaucoup pour le maintien de la paix. J'ai montré que la Diplomatie, dont le nom aux yeux du vulgaire ne signifie qu'oisiveté ou intrigue, a un ròle bienfaisant à jouer dans l'intérèt de tout le monde ~.

P. S. J'adresse ci-joint à V. E. un article de la Debatte de ce matin indiquant le parti que le Gouvernement Impérial espère tirer du Livre Rouge auprès des conservateurs et mème l'attente, déjà indiquée à V. E. dans mon

n. 202 Politique (1), de concessions demandées pa.r la France et l'Autriche à Rome sur la question du Concordat.

(l) Non pubblicato.

107

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 26. Pietroburgo, 12 febbraio 1868 (per. il 19).

Giunto ieri l'altro di bel nuovo alla mia residenza ebbi già l'onore di essere ricevuto oggi da S. E. il Principe Gortchacow, il quale accogliendomi con la sua consueta cordialità, mi richiese subito delle condizioni politiche dell'Italia, e segnatamente delle provincie napolitane onde io veniva.

Il Ministro di S. M. Imperiale parve mostrare qualche sospetto che alcun germe di inquietudine nella popolazione, e di discrepanza dal presente ordine di cose avesse potuto ricevere incremento dagli ultimi fatti avvenuti nella penisola. L'espressione di questo dubbio dettato per altro da un sentimento amichevole per l'Italia, mi porse abilità di significare al Cancelliere dell'Impero quello che l'E. V. con tanta saggezza mi indicava quando io venni a prender commiato da Lei nel partirmi da Firenze: cioè che di una cosa in Europa generalmente dovevano bene andar persuasi, nulla aversi in Italia di più certo e di più profondamente radicato che il principio della nostra unità nazionale; del che già l'esperienza fatta in questi sette anni dovea esser chiaro segno in ispezialità dopo l'ultima crisi; ché se desiderio di novità contrarie alla unificazione vi fosse stato, anche latente, in qualche provincia, questo, nelle varie agitazioni politiche, e specialmente negli ultimi eventi, si sarebbe manifestato. Ora, come ognuno vede, verun sintomo in questo genere non era apparso in nessuna parte del reame, in onta degli sforzi operati dalla fazione borbonica e retriva, ed in onta di certi incoraggiamenti e di certe supposte nuove combinazioni, messe su per pruova da alcuni organi della stampa forestiera. A questo ho potuto io pure aggiungere, per una mia particolare cognizione, come nel Napoletano la frazione più intelligente e più onesta della vecchia parte autonomista andava un dì più dell'altro rimettendo molto del suo zelo per il ristabilimento dell'antico regno, e degli antichi ordini, spaventata anch'essa dai mali incalcolabili della reazione e della violenza, cui troverebbe eco un ristabilimento di tal natura. Di queste informazioni il Principe Gortchàcow

si mostrò meco molto soddisfatto, e non mancò di rinnovarmi in tale occasione l'attestato della sua simpatia per l'Italia e del suo vivo desiderio perché il presente ordinamento politico avesse a vieppiù consolidarsi ed a prosperare.

Null'altro di importante non mi occorre per il presente di rendere noto all'E. V., dopo il tempo brevissimo di mia dimora, riserbandomi di informarla con la maggior precisione che per me si potrà, di tutto quanto può riferirsi alla missione affidatami.

(l) Cfr. n. i.

108

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 323. Firenze, 13 febbraio 1868.

È già qualche tempo che sono privo del piacere di ricevere dispacci politici di V. S. Illustrissima che com'Ella può bene immaginare sono sempre da me letti col massimo interessamento.

Sebbene l'orizzonte tenda a rischiararsi da per ogni dove ed i pericoli di conflitti per la prossima primavera sembrino dileguarsi, pure parecchie delicate ed importanti questioni che rimangono insolute e nelle quali la politica del Governo francese è particolarmente impegnata, mantengono viva tuttora la preoccupazione degli animi.

La condotta della Russia in Oriente, quella della Prussia verso la Danimarca, le relazioni fra la Germania del Nord e quella del Sud debbono certamente formare oggetto di continue discussioni tra codesto Ministro Imperiale degli Affari Esteri ed i colleghi di V. S. Illustrissima, ed io Le saprei grado quindi, Signor Ministro, che Ella volesse con la usata sua solerzia e col suo fino accorgimento tenermi informato del vero stato delle cose in ordine a tali questioni che meritano la più grave attenzione per parte del Governo del Re.

Premerebbe anche al R. Governo conoscere come procedano i rapporti di codesta Legazione col Governo Imperiale, ed in qual modo vengano apprezzati non solo nelle alte sfere del potere ma dalla pubblica opinione in Francia gli sforzi che noi facciamo per portare a compimento l'opera riparatrice di pacificazione e d'interno riordinamento che imprendemmo nell'assumere le redini del Governo.

Né minore importanza pone il Governo del Re nell'essere ragguagliato sullo stato interno dell'Impero, sulla portata e sui probabili effetti che si sperano o si temono dalla promulgazione delle nuove ed importanti leggi che o.ra sono in discussione, ed in special modo sulla influenza che potrà esercitare sì nelle condizioni economiche e morali della Francia come nelle sue relazioni con l'estero, la legge votata sulla riorganizzazione militare.

Su tutti questi punti mi aspetto dalla S. V. Illustrissima particolareggiati rapporti corredati da tutte quelle osservazioni che la sua posizione e la ormai lunga esperienza delle cose di codesto paese potranno suggerirle (l).

(l) Cfr. n. 116.

109

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 151. Berlino, 13 febbraio 1868 (per. il 17).

Le bruit avait cauru tout récemment que nous avions signé avec la France un traité d'alliance offensive et défensive. Un de mes collègues a été chargé par son Gouvernement de s'infarmer si cette nouvelle avait quelque fondement.

Sans poser une question directe au Comte de Bismarck, il l'a amené, il y a peu de jours, à émettre une série d'observations que je crois de man devoir de communiquer à V. E. du moins elles m'ont été présentées par ce Collègue, camme le résultat de ses investigations.

On ne pretait ici aucune foi à ces bruits. L'Italie ne consentirait jamais à se constituer en quelque sorte camme l'appendice de la France. Les Etats du Midi de l'Allemagne ont, il est vrai, sacrifié à la Prusse leur autonomie militaire et commerciale, mais c'était servir leur propre cause identifiée avec celle de l'Allemagne entière. Il n'en serait pas de meme pour la Péninsule qui renoncerait ainsi au profit de l'étranger à sa liberté d'actian. On se refuse également à admettre qu'il existe entre les Cours de Florence et de Paris des engagements dynastiques en dehors de l'action régulière des pouvoirs de l'Etat. Une alliance purement défensive n'aurait pas les memes inconvénients surtout si elle n'avait paur but que de garantir notre intégrité territoriale, sans impliquer de notre part des abligations compromettantes pour des tierces puissances. Au reste la Prusse est intéressée en première ligne à ce que personne ne porte atteinte à notre indépendance. Le Cabinet présidé par V. E. n'inspire aucune inquiétude au Cabinet de Berlin. Il sait que nous sommes soutenus par l'opinion de la grande majorité dans nos sympathies à son égard. Cependant le Comte de Bismarck ne compte pas sur un concours actif de notre part dans le cas d'une lutte de la France contre l'Allemagne, mais sur une abstention bienveillante, et ce d'autant plus que certainement les vaeux des Italiens seraient pour le succès de leurs derniers alliés de 1866. Il s'attend à étre seul dans une semblable guerre, et se croit de taille à la soutenir, si on le laisse en tete à tete avec la France. Il ne songe pas à attaquer, mais il est pret pour la défense. On le sait à Paris, on y a le sentiment de la force de la Prusse disposant des armées de l'Allemagne. Là se trouve la meilleure garantie du maintien de la paix.

D'un autre còté le Comte de Bismarck n'est rien moins qu'édifié sur les allures de la politique française. Depuis les immenses fautes cammises lors de la campagne diplomatique en faveur de la Pologne, depuis l'expédition du Mexique, depuis les affaires du Luxembourg, il doute du génie de l'Empereur Napoléon, de ce génie qui conçoit les grandes choses et les exécute avec intelligence et énergie. A défaut du Gouvernement personnel chez le Souverain, ou plutòt pour parer à ses inconvénients, il faudrait un premier Ministre qui sut conduire à son gré les aspirations d'une nation vers un but élevé. Mais où sont les Richelieu et les Mazarin? A leur piace on ne voit que des Avocats qui plaident sans convlction avec un égal talent le pour et le contre. Il existe bien une influence occulte qui va en grandissant, celle de l'Impératrice ultramontaine, anti-italienne, dévouée à l'Autriche, se faisant l'illusion de croire que toutes les Puissances catholiques sont dévouées à la dynastie des Napoléonides, camme si la Cour de Vienne, lors méme qu'elle semble avoir pris son parti de ses échecs en Italie, pouvait oublier que la cause première provient de la conduite du Cabinet des Tuileries. Pour peu qu'on connaisse la nature d'une femme quelque haut placée qu'elle soit, on sait qu'il lui manque essentiellement le sentiment de la responsabilité, que l'imagination l'emporte sur la raison. Ce qu'on appelle l'opinion d'une femme est une plume trop légère pour qu'elle doive peser dans la balance d'un Etat.

Tel a été en substance le jugement prononcé par le Président du Conséil sur le gouvernement impérial. Il n'est pas à dire pour autant que l'Empereur se laisse entrainer vers la guerre, peut etre lui manque-t-il cette dose d'énergie nécessaire pour franchir le Rubicon. Mais d'un autre còté les règles les plus élémentaires de la prudence prescrivent à la Prusse de veiller, l'arme au bras.

110

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA (l)

R. 618. Parigi, 13 febbraio 1868 (per. il 16).

Il dispaccio di Serie Politica n. 315 che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il 24 gennaio scorso (2) e che contiene la proposta del R0 Governo intorno ad un modus vtvendi da stabilire fra il Regno d'Italia e lo Stato Pontificio, mi pervenne il 28 dello stesso mese, e fu da me comunicato in copia nel giorno medesimo a S. E. il Marchese di Moustier. Come ebbi l'onore di significarle con telegramma del 29 gennaio (3), il Ministro Imperiale degli Affari Esteri accolse con soddisfazione questa comunicazione e mi disse che avrebbe avuto cura di mettere il dispaccio dell'E. V. sotto gli occhi dell'Imperatore e che avrebbe sollecitato gli ordini di Sua Maestà in proposito. Il Marchese di Moustier a cui ho domandato in questi ultimi giorni quale risposta il Governo Imperiale credeva dover dare alla comunicazione da me fattagli il 28 Gennaio, mi disse che non era ancor in misura di dare una risposta precisa, perché siccome le proposte dell'E. V. implicano l"azione della Santa Sede, è conveniente che il Governo dell'Imperatore si assicuri innanzi tutto dei limiti entro i quali si può contare sulle disposizioni più o meno favorevoli della Corte di Roma per giungere ad un componimento provvisorio tra Essa e l'Italia.

13 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

Mi pervenne intanto l'altro dispaccio di Serie Politica n. 321 che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il 7 corrente (l). In questo dispaccio * cui sono annesse, le copie della circolare francese del 24 Dicembre e del dispaccio del Marchese di Moustier del 7 Gennaio scorso*, (2) l'E. V. preoccupandosi di alcune differenze fra le cose dette verbalmente all'E. V. dal Barone di Malaret ed a me dal Marchese di Moustier, ha cura di ben determinare il carattere delle proposte contenute nel dispaccio ministeriale del 24 Gennaio, constatando che queste proposte, nel pensiero del Governo non costituiscono un progetto d'accomodamento definitivo della questione Romana quale ci veniva domandato dal Governo Francese in vista della Conferenza, ma bensì una semplice indicazione delle misure sulle quali si può stabilire temporarìamente un modus vivendi tra l'Italia e la Corte di Roma. Io ho dato oggi lettura di questo dispaccio del 7 Febbraio a S. E. il Marchese di Moustier, il quale mi rispose che pigliava nota di quanto in esso era contenuto, aggiungendo che non aveva diretto al Barone di Malaret altro dispaccio su questo argomento che quello del 7 gennaio, e che lasciando in disparte l'esame di qualche differenza che potesse notarsi fra le cose contenute in detto dispaccio e quelle esposte verbalmente, egli poteva assicurarsi che il Governo Francese non intendeva dare alle proposte formolate dall'E. V. un carattere diverso da quello che era nelle intenzioni del R. Governo.

(l) -Ed. In LV 14, pp. 47-48. (2) -Cfr. n. 68. (3) -Cfr. n. 77.
111

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 237. Vienna, 14 febbraio 1868 (per. il 17).

In risposta al pregiato Dispaccio di V. E. del 1° corrente, serie politica

n. 74 (3), ho l'onore d'informare V. E. che il signor D. Bratiano trovandosi a Vienna da più settimane si è limitato finora a chiedere genericamente l'abolizione totale della giurisdizione Consolare nei Principati, fondandosi sulle note ragioni della quasi indipendenza acquistata dai Principati, dell'essere essi uno Stato cristiano al pari di qualunque altro, ecc.; al che si risponde qui colle non meno note obiezioni sul difetto di un'organizzazione sufficientemente sicura della giustizia locale e sulla necessità di sostituire, almeno come provvedimento di transizione, qualche guarentigia all'attuale giurisdizione Consolare, cui i Governi Europei non potrebbero, senza gravi inconvenienti, rinunziare puramente e semplicemente nello stato attuale di quell'Amministrazione della Giustizia.

Le cose stavano in quei termini teorici, ed il negoziato del signor Bratiana accennava a voler prendere un aspetto stazionario, quando, pochi giorni

sono, questo Ministero Imperiale degli Esteri pregò quell'Inviato a voler formolare le proposte pratiche che il Governo Rumeno intende sottomettere al Governo Imperiale, desiderando questo di dimostrare il suo buon volere per i miglioramenti effettivi che potrebbero essere concertati al riguardo.

In riscontro a tale ufficio il signor Bratiano risponde ora con una memoria nella quale però so che questo Ministero Imperiale non ravvisa le pratiche proposte da esso aspettate, ma solo una lunga argomentazione sul dover essere i Principati Uniti totalmente liberati dalla giurisdizione Consolare e dalle Capitolazioni.

È dunque possibile che il signor Bratiano, che d'altronde è accompagnato dalla famiglia e non dimostra gran premura di accelerare il proseguimento del suo viaggio, non lasci Vienna così presto.

Le disposizioni di questo Gabinetto relativamente alla giurisdizione civile e criminale dei Consolati sono in massima le medesime, a quanto mi disse il Barone di Meysenbug, sia che si tratti dell'Egitto, sia che si tratti dei Principati. Malgrado le differenze esistenti nelle condizioni dei due paesi, in ambedue è quasi identico il bisogno di guarentigie speciali per gli interessi dei sudditi delle varie Potenze, e d'altronde la soluzione data alla questione della giurisdizione in uno di essi non potrebbe a meno di essere invocata dall'altro.

Il Barone di Meysenbug mi dice che non vennero fatti al presente nuovi studi pratici sull'argomento. Il Governo Imperiale ritiene possano essere basi sufficienti di accordi che egli sarebbe pronto a prendere con tutte le Potenze garanti dell'Impero Ottomano, le proposte fatte concordemente alcuni anni addietro ma senza risultato dal Corpo Consolare in Bukarest alla Conferenza di Costantinopoli. Tali accordi dovrebbero inoltre tener conto dei due lavori cui si riferiva il mio rapporto politico n. 222 del 22 gennaio (l), cioè la Relazione della Commissione speciale istituita a Parigi presso il Ministero deg~_' ~-~fari Esteri sulla istituzione di Tribunali misti in Egitto, ed il progetto di regolamento accennato dalla Sublime Porta per l'organizzazione di Tribunali civili misti e di Tribunali di Commercio in Candia (e fors'anche nelle altre Provincie della Turchia abitate da popolazioni miste), progetto che il Generale Ignatieff portò a Pietroburgo, che suppongo sia stato anche recato per altra via a cognizione di V. E., e che in ogni modo crederei di poterle procurare.

Come V. E. vede, la questione della revisione delle Capitolazioni e dell'abolizione della giurisdizione Consolare ne' vari paesi, abitati o no da popolazioni Musulmane, sottoposti all'alta Sovranità della Porta, è considerata da questo Governo come potendo difficilmente essere oggetto di soluzioni indipendenti e separate per ognuno di essi: egli ravvisa poi nella questione medesima una certa relazione, (di cui l'Egitto, come abitato anche da Musulmani, forma quasi il legame) colle riforme preparate di propria iniziativa dalla Sublime Porta per l'Amministrazione delle popolazioni miste sottoposte al suo dominio diretto.

In riassunto il Governo gli riconosce per il primo l'utilità che le Potenze garanti procedano di concerto nel deliberare sulle pratiche proposte risultanti dagli antichi progetti dei Consoli in Oriente, sia dagli studi fatti di

recente al Ministero degli Affari Esteri a Parigi, sia dalle domande precise del Principe Carlo, del Viceré d'Egitto ecc. Il Libro Rosso contiene sufficienti indicazioni sullo spirito in cui egli prenderà ad esame le modificazioni da formularsi.

Intanto due considerazioni, secondo quanto credo costatare, Io trattengono dal prendere con maggior fretta che non facciano altri Governi, l'iniziativa di proposte su tal oggetto. In primo luogo il riguardo dovuto alle difficoltà politiche che oggi purtroppo vengono a complicare ed aggravare in Oriente ogni questione amministrativa e di legislazione: in secondo luogo il fatto che è Iungi dal diminuire la sfiducia generale verso l'Amministrazione della Giustizia nei paesi di cui si tratta e specialmente nei Principati. Così giungeva di recente a questo Gabinetto Imperiale una istanza dell'Associazione Israelita di Parigi, la quale, in occasione delle voci di possibile abolizione della giurisdizione Consolare in Oriente... {l) rimostranze perché non venga tolta quella unica guarentigia della sicurezza degl'Israeliti stranieri in quelle regioni.

Tanto sono in grado di riferire a V. E. in adempimento degli ordini di cui mi volle onorare col pregiato dispaccio n. 74 suddetto. Nel segnar ricevuta de' Dispacci Serie Politica nn. 73, 75, 76, 77 e 79 (2) coi documenti diplomatici fino al n. 29...

P. S. -Ebbi la grata informazione che fu conferito da questo Governo Imperiale il grado di Commendatore dell'Ordine di Leopoldo al Cavalier Curtopassi.

(l) -Non pubbl!cato. (2) -Il brano fra asterischi è omesso !n LV 14. (3) -Cfr. n. 86.

(l) Non pubblicato.

112

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, ROUHER (3)

PROMEMORIA. [Parigi, 14 febbraio 1868] (4).

Les observations suivantes sont purement personnelles, elles ne peuvent avoir d'autre portée que celle d'une conversation non officielle, elles Iaissent par conséquent intacte et libre la discussion entre les deux Gouvernements, lorsque la question leur sera soumise.

L'examen du projet de convention ci-joint (A) suggère tout d'abord une question en quelque sorte préjudicielle, une question de forme. Dans Ies articles formulés dans le projet, y-a-t-il matière à une convention?

L'article premier établit la remise en vigueur de la Convention de Septembre. C'est là l'article le plus important, Ies autres stipulations, excepté l'article 3 dont je parlerai tout à l'heure, ne sont que la conséquence de la remise en vigueur de la convention de Septembre. En effet l'engagement que le Gouvernement Italien devrait prendre d'empècher les enròlemens, saisir

les dépots d'armes etc. ne serait que l'exécution de la convention de Septembre. Je remarque en passant que cet engagement ne pourrait etre formulé dans un traité, car un Etat ne peut pas s'engager envers un autre à faire observer ses propres lois intérieures. L'exécution des stipulations concernant la dette pontificale indiquée dans l'article 2 est également une conséquence de la remise en vigueur de la convention de Septembre. L'évacuation des Etats pontificaux par les troupes françaises, portée par l'art. 4, est encore la conséquence de la remise en vigueur de cette méme Convention.

Quant à l'art. 3, qui contient la promesse des bons offices de la France auprès du Saint Siège pour améliorer les rapports entre l'Italie et Rome, il ne me parait pas de nature à former l'objet d'un traité dispositif. En tout cas il faudrait comprendre dans cet article la libération des prisonniers politiques détenus à Rome et les mesures concernant le passage des soldats et détachements des troupes italiennes sur les chemins de fer romains.

Il résulte de ces considérations que la seule clause importante, la seule stipulation dispositive du projet, est la remise en vigueur de la Convention de Septembre.

Mais cette convention a été déclarée par la France toujours existante. Aux yeux du Gouvernement français cette convention n'a pas cessé d'étre en vigueur.

Le traité projeté aurait dane pour but et pour résultat une simple déclaration portant qu'un acte stipulé précédemment demeure en vigueur pour l'avenir.

Une nouvelle convention conclue sur ces bases, ne donnerait aucune force nouvelle à la Convention précédente. On ferait beaucoup de bruit pour rien. On s'exposerait à des discussions dangereuses dans les Parlements, pour arriver à des résultats peu appréciables.

Une convention publique, est un acte trop solennel, trop grave; on ne doit conclure de tels actes, sans une nécessité évidente, ou sans la certitude d'un résultat pratique et sérieux. Ou la Convention projetée doit contenir des stipulations ayant une plus grande portée politique, ou bien il ne faut pas conclure de Convention et se borner à un échange de dépéches, qui seraient naturellement publiées dans les journaux officiels des deux pays et communiquées aux Parlemens, s'il y a lieu.

Mon avis personnel est que ce dernier mode de procéder est de beaucoup le meilleur.

Il est aussi efficace que le premier, il est plus simple, il n'offre pas les inconvéniens auxquels peut donner lieu à l'intérieur et à l'extérieur la conclusion d'un traité public qui par la forme solennelle exciterait des soupçons et éveillerait des susceptibilités que nous avons tout l'intèrét de ménager.

Si cet avis était partagé par le Gouvernement Français et Italien, on pourrait procéder de la manière suivante.

Le Gouvernement français prendrait acte de la dépéche italienne du 24 Janvier dernier (1), et il y répondrait par une dépèche qui contiendrait la substance du projet de convention (A).

La forme moins solennelle d'une dépeche permettrait meme de donner plus de développement à quelques-unes des idées indiquées dans le préambule du projet. Le dépeche italienne et la réponse française, seraient publiées le meme jour dans les journaux officiels des deux pays et communiquées, s'il y a lieu, aux Parlemens respectifs.

Si par contre on persistait dans l'idée de procéder à la conclusion d'une convention, je crois que cette convention devrait contenir dans son premier article, la confirmation de l'unité et d'alliance existant heureusement entre les deux Etats, ainsi que la contirmation de le part de la France, de la reconnaissance du Royaume d'Italie dans son unité et son intégrité tel qu'il a été constitué par le suttrage populaire dans ses limites actuelles.

Une telle clause aurait, dans ces momens surtout, une véritable portée politique.

La confirmation de l'unité et de l'alliance entre les deux pays, constituerait un gage de sécurité pour la France, celle de la reconnaissance par la France de l'unité italienne dans ses limites actuelles, serait une garantie pour l'Italie et un avis salutaire pour tous ceux qui en France et ailleurs revent une restauration impossible dans la péninsule.

Le traité aurait ainsi une raison d'etre, le traité ou pour mieux dire, cette convention pourrait etre formulée comme dans le projet ci-joint (B).

Je conclus je préfère un échange de dépeches, c'est plus simple et moins dangereux. Mais si on se décide pour une convention, je crois qu'il faut faire une convention d'amitié et d'alliance dans les termes génériques employés dans le projet ci-joint (B).

Je répete du reste que ces idées me sont purement personnelles, car je n'ai pas jusqu'ici saisi mon Gouvernement d'aucun projet de Convention.

ALLEGATO A

PROGETTO DI CONVENZIONE

Parigi, 13 febbraio 1868.

Leurs Majestés l'Empereur des Français et le Roi d'Italie ayant résolu de conclure une convention, ont nommé pour leurs plénipotentiaires, savoir: Sa Majesté l'Empereur des Français ... et Sa Majesté le Roi d'Italie ... Lesquels, après s'ètre communiqué leurs pleins pouvoir respectifs trouvés en bonne et due forme ont reconnu les faits suivants:

Les événements qui se sont passés récemment en Italie et sur le territoire Pontificai ont amené le retour des troupes Françaises dans les états du Saint-Père pour le protéger contre toute attaque. Par suite des doutes se sont élevés sur l'efficacité des stipulations contenues dans la convention du 15 Septembre 1864.

Cependant les deux Gouvernements ont un intéret égal à rendre à cette conventlon toute sa puissance, à evlter ainsi à l'avenir toute cause de conflit à maintenir les liens d'amitié qui unissent la France et le royaume d'Italie (1).

En conséquence, ils sont convenus des articles qui suivent:

Article l.

La convention du 15 septembre 1864 est maintenue dans toutes ses dispositions. En outre, le gouvemement Italien prend l'engagement (l) de prendre sur son territoire toutes les mesures nécessaires pour empécher les enròlements, saisir les dépòts d'armes et réprimer les complots qui auraient pour objet de troubler ou d'envahir les Etats Pontificaux.

Article 2. La convention intervenue entre le gouvemement Français et le gouvemement Italien, à la date du et relative à la dette Pontificale, recevra sa pleine et immédiate exécution.

Article 3. Le Gouvernement Français promet ses bons offices auprès du gouvemement du Saint-Père pour améliorer entre les Etats Pontificaux et le Royaume d'Italie les relations douanières et les correspondances postale et télegraphique, pour assurer entre les deux pays l'abolition des passeports et l'extradition réciproque des malfaiteurs, enfin pour faciliter la répression du brigandage sur la frontière des deux Etats.

Article 4. Les troupes Françaises évacueront les Etats romains au plus tard, dans les trois mois qui suivront la ratification de la présente convention.

Article 5. La presente convention sera ratifiée et les ratifications en seront échangées dans le délai de ou plus tòt, si faire se peut. En foi et témoignage de quoi les plénipotentiaires respectifs ont signé la présente convention et l'ont revétue du cachet de leurs armes. Fait double à Paris, le

ALLEGATO B

PROGETTO DI CONVENZIONE

Parigi, 14 febbraio 1868 (2).

s. M. l'Empereur des Français et S. M. le Roi d'Italie désirant consolider les liens d'amitié et d'alliance heureusement existant entre leurs Etats, et ne voulant laisser aucun doute sur leur intention de donner entière exécution à la Convention du 15 8eptembre 1864

ont résolu de conclure, à cet effet, une convention et ont nommé pour leurs plénipotentiaires, savoir

S. M. l'Empereur des Français

et S. M. le Roi d'Italie les quels, après s'étre communiqué leurs pleins pouvoirs trouvés en bonne et due forme, sont convenus des articles suivants:

Art. l. Leurs Majestés l'Empereur des Français et le Roi d'Italie, confirment l'amitié et l'alliance heureusement existant entre leurs Etats. S. M. l'Empereur des Françiais confirme la reconnaissance du Royame d'Italie dans son unité et son intégrité, tel que il est constitué. Art. 2 La Convention du 15 Septembre 1864 est maintenue dans toutes ses dispositions. Les hautes Parties contractantes, prendront chacune en ce que les concerne les mesures nécessaires pour assurer l'exécution.

Art. 3. La convention intervenue entre la France et l'Italie, le ... et relative au partage de la dette pontificare, recevra sa pleine et immédiate exécution.

Art. 4. Le Gouvernement Français promet ses bons offices auprès du Gouvernement Pontificai pour améliorer entre les Etats du Saint Siège et le Royaume d'Italie les rélations douanières et les correspondances postales et télégraphiques, pour assurer entre les deux pays l'abolition des Passeports et l'extradition réciproque des malfaiteurs, pour faciliter la repression du brigandage sur la frontière des deux Etats et le passage, sur les chemin de fer romains, des soldats et détachemens de troupes italiennes, enfin pour faire remettre en liberté les prisonniers politiques détenus dans le prisons de Sa Sainteté.

Art. 5. Les troupes françaises évacueront les Etats romains au plus tard, dans les deux mois qui suivront l'échange des ratifications de la présente convention. Art. 6. La présente Convention sera ratifiée et les ratifications en seront échangées

dans le delai de 15 jours, ou plus tòt, si faire se peut.

En foi de quoi etc.

Fait à . . en double expédition le . • (1).

(l) -La parola manca nell'originale. (2) -Cfr. nn. 76, nota 2, p, 91, e 93; gli altri dispacci non sono pubblicati. (3) -Da ACR. (4) -Il documento è privo di data. Si inserisce sotto il 14 febbraio tenendo conto delle date degli allegati.

(l) Cfr. n. 68.

(l) A margine aggiunto a matita: <<et à faclllter ainsi l'oeuvre de l'unité italienne dans !es limltes actuelles ».

(l) -Corretto a matita in «s'engage à ». (2) -Annotazione a margine di Vimercati: «Remlse au Mlntstre d'Etat le 15 ».
113

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA. AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (2)

D. 324. Firenze, 15 febbraio 1868.

In data del 5 corrente (3) io Le scrivea che il Barone di Malaret era venuto ad esprimermi da parte del Governo imperiale il rincrescimento che la Convenzione militare stabilita nello scorso anno fra le autorità militari italiane e pontificie rimanesse ineseguita. Io Le facea conoscere in quel mio dispaccio, la risposta da me fatta all'inviato francese che cioè, dopo gli avve

«Qui si procede nel senso d! quanto già scrissi, le trattative però sono secret!ss!me poiché anche Nigra non tratta che Indirettamente con Rouher ed lo sono l'Intermediario senza che ne dubiti 11 Menabrea, lo faccio volontierl abnegazione di me.

Rouher temendo le pubblicazioni, desidera non esser messo In gioco che allorquando tutto sarà combinato e le nuove convenzioni saranno passate dalla Rue de Rivoli al Qual d'Orsay, ma allora non si ridurrà che a pura forma. Moustler dal canto suo va emettendo Idee più

o meno assurde che Nigra ascolta pour acqu!t de conscience attendendo Il progetto del Ministro di Stato per mandarlo a Firenze da dove ritornerà a Parigi, sempre !n via segreta, colle fatteci modif!cazlonl ...

Rispondo ad alcune osservazioni della lettera di Emilio. È deciso Il ritiro delle truppe, precisamente per la ragione che non si vogliono attendere le complicazioni, la questione sta nel modo di stabilire per Iscritto le basi che prevedano la eventualità della morte del Papa, anche perché sarebbe sconveniente. I vantaggi che l'Italia ricaverebbe dalla situazione che le verrebbe fatta, sono, se mi permetti l'espres8ione, in un senso negativo, cioè, lo partiti l Francesi d'Italia, rimangono aperte le eventualità tutte per la elezione di un nuovo Pontefice. 2° assicurata l'Italia della sua unità, cesseranno le mense del partiti estremi dando un gran colpo al clericalismo ed Il Governo potrà più calmo occuparsi dell'organizzazione Interna, 30 tolto alla Prussia Il lev!er dell'Italia, si ritarderanno gli eventi di una lotta contro le nazionalità Il cui risultato Inevitabile sarebbe, l'Italia unita alla Francia lottando contro Il suo principio, unita alla Prussia, arrischierebbe forte di essere battuta con lei ed anche v!ncltrlce, sarebbe alla mercé dell'inconnu. A me sembra di ragionar giusto, avrò forse torto, dimmi le tue Idee.

Quanto ti ho esposto è ancora allo stato di ébauche e può essere modificato. Menabrea non è al corrente di quanto ti scrivo, il telegrafo non potrà informarlo in proposito che dopo domani, ma non ancora con tutti 1 dettagli che ti trasmetto. Spero che nell'animo tuo dirai che lo guadagno Il paradiso, seguendo le parole di Gesù Cristo che quando si ha ricevuto un'offesa è lndic.atissimo porgere l'altra gota. Se mi domat<dl perché agisco così potrei dirti di chiederlo all'Evangelo, ma a te cui amo esporre tutto 11 mio pensiero dirò che 1o mi fa agire amore di patria ed il sentimento è lodevole, indi una certa prurigine di vendetta a modo mio, per la quale ho d'uopo di mantenere la posizione che ho qui e di dessécher un po' !es hommes qui nous gouvernent. Non occorre dirti che quanto t! scrivo è vangelo.

nimenti dello scorso anno, ci era sembrato opportuno evitare tutto ciò che avrebbe potuto dar sospetto alla Corte di Roma che noi andassimo in cerca di motivi per far penetrare le nostre truppe sul territorio della S. Sede, e che parimenti ci era sembrato indispensabile per l'esecuzione di siffatti accordi che i comandanti rispettivi di frontiera fossero animati da sentimenti di vicendevole fiducia e buon volere, sentimenti da cui, soggiungeva io, non credeva animati a nostro riguardo gli ufficiali dell'esercito pontificio. Per ultimo io pregava la S. V. di voler far notare al Signor Marchese di Moustier che la rinnovazione della Convenzione militare era compresa fra quei provvedimenti che a parer nostro debbono tendere a stabilire un «modus vivendi » fra il Governo italiano e quello di Roma.

*Se non che potendo nascere qualche dubbio sul significato delle mie risposte, e potendo forse sembrare che da noi non si voglia prendere un impegno separato circa alla rinnovazione della Convenzione militare, prima di sapere quale accoglienza sarà fatta agli altri provvedimenti da noi proposti, reputo conveniente anzitutto di farle conoscere come, trattandosi di prendere una disposizione suggerita dalla necessità di tutelare la pubblica sicurezza, non vorremmo mai subordinare la nostra adesione alla maggiore o minore probabilità che potrebbero avere le nostre proposte di essere accettate a Roma* (1).

Le convenzioni militari quali esistevano prima dei fatti di ottobre erano un freno al brigantaggio ugualmente funesto ai due territorii finitimi. Importerebbe quindi grandemente che le medesime fossero di nuovo applicate; io credo che per tal modo si otterrebbe anche il vantaggio di escludere dall'una parte e dall'altra le cause frequenti di richiami per le quasi inevitabili violazioni di frontiera.

Quindi è che d'accordo coi miei colleghi, i Ministri dell'Interno e della Guerra, si è deciso di autorizzare da parte nostra i comandanti delle R. Truppe alla frontiera ad entrare in accordo cogli uffiziali pontifici per richiamare in vigore le convenzioni conchiuse l'anno passato, e, nel mentre per parte nostra si daranno queste istruzioni, io desidererei ch'Ella interessasse il Marchese di Moustier ad ottenere che dal canto suo il Governo pontificio desse analoghe istruzioni ai suoi comandanti affinché a questi sia fatta facoltà d'intendersi coi nostri sul modo di riattivare le convenzioni, l'esecuzione delle quali rimase per alcuni mesi in sospeso.

(l) SI pubblicano qui alcuni brani di una l. p. del 6 febbraio di VImercati a Giovanni Visconti Venosta (AVV):

(2) Ed. In L V 14, pp. 45-46.

(3) D. 319, non pubblicato.

114

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 620. Parigi, 15 febbraio 1868 (per. il 18).

Ho avuto in questi giorni l'occasione d'incontrarmi col signor Balcarce, Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario della Repubblica Argentina

accreditato a Parigi e nello stesso tempo a Firenze. La conversazione essendo caduta sulle cose del Rio de la Plata, il Signor Balcarce mi espresse vive preoccupazioni intorno alle conseguenze che potrebbe avere pel commercio italiano, per le nostre colonie, non che pel Governo interno dell'Uruguay la progettata spedizione di navi da guerra Italiane nelle acque della Repubblica Orientale. Egli crede che questa spedizione può avere per risultato d'incoraggiare i partiti avversi allo stabilimento d'un Governo ordinato e regolare nell'Uruguay, di eccitare la diffidenza in tutta l'America Spagnuola e specialmente in tutto il Plata contro l'Italia, e di nuocere quindi al commercio, all'industria ed agli stabilimenti dei numerosi Italiani che hanno grandi interessi su quelle coste lontane. Io dissi al signor Balcarce, che io non conosceva i particolari della questione della quale egli m'intratteneva, ma che le interpellanze recenti che ebbero luogo nel nostro Parlamento e le spiegazioni date in quest'occasione dall'E. V. erano di natura ad illuminarlo sullo scopo e sulla natura dell'invio d'alcune navi nostre nelle acque di Montevideo e chiamai la di lui attenzione sulle parole pronunziate daH'E. V. che furono riprodotte sostanzialmente dal telegrafo e da parecchi giornali francesi.

Quantunque questa conversazione non abbia nulla di ufficiale, giacché il signor Balcarce rappresenta la Repubblica Argentina e non la Repubblica dell'Uruguay, e d'altra parte io non ho titolo a parlare ufficialmente coi rappresentanti di Potenze Terze qui accreditati, tuttavia essendomi paruto che il Signor Balcarce annettesse qualche importanza a che le cose da lui dettemi ufficiosamente venissero a notizia dell'E. V., ho creduto di doverle riferire a titolo d'informazione.

(l) Il brano fra asterischi è sostituito in LV 14 dal seguente: «AvP-ndo dipoi interpellato il consiglio del ministri intorno a questo delicato argomento, i miei colleghi convennero meco nel riconoscere che».

115

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO

D. 67. Firenze, 16 febbraio 1868.

Col mio dispaccio de' 25 Gennaio (l) chiamava l'attenzione di cotesta R. Legazione sulle condizioni interne del nostro paese e dimostrava col citare irrecusabili prove di fatto, come lo spirito pubblico in Italia inclinasse ogni dì più ad occuparsi esclusivamente delle quistioni interne dello Stato ed a provvedere all'esigenze della situazione economica e finanziaria del paese.

Io additavo allora tra gl'indizi più notevoli di queste disposizioni della pubblica opinione, la costanza del Parlamento nel non lasciarsi distogliere da' suoi lavori intorno al bilancio con intempestive ed appassionate discussioni. Ferma nel proposito di provvedere al ristabilimento d'un'amministrazione regolare e d'un assetto normale nella pubblica entrata e nella spesa del danaro dello Stato, la maggioranza parlamentare ha ricusato ognora di ascoltare quelli tra i membri dell'opposizione che avrebbero voluto interpellare il Governo sopra

quistioni estranee all'argomento sul quale la Camera ed il paese hanno concentrato tutta la loro attenzione.

Le principali leggi sul riordinamento finanziario del Regno sono già presentate e stanno ora allo studio davanti agli uffici della Camera. La discussione intorno ai bilanci potrà essere chiusa fra non molti giorni ed in tutti i ministeri si lavora attivamente a riunire sin d'ora i dati necessari perché il bilancio del 1869 possa essere presentato in tempo utile per essere ampiamente discusso prima che ne incominci l'esercizio.

Predisposti per tal guisa i lavori da sottoporsi al Parlamento, il Governo ed il paese hanno giusto e fondato motivo di credere che appena si sarà provveduto al regolare esercizio finanziario dell'anno corrente, si potranno intraprendere le importanti discussioni intorno ai provvedimenti dai quali l'Italia aspetta un miglioramento sensibile alle condizioni presenti del suo credito. E qui io debbo, Signor Marchese, chiamar la sua speciale attenzione sovra le dimostrazioni che d'ogni provincia quotidianamente giungono alla sede del Governo per parte delle amministrazioni locali e delle camere di commercio e di industria per rinvigorire l'azione governativa ed accrescere perseveranza all'opera parlamentare, affinché col concorso e coll'accordo del ministero e della rappresentanza nazionale si possa provvedere seriamente ed efficacemente alle finanze del Regno. Il valore di tali manifestazioni della pubblica opinione, è anche di maggior rilievo ove si consideri che tanto i consigli provinciali che le camere di commercio sono costituiti sulla base della libera elezione, epperò sottratti a qualunque ingerimento dell'azione governativa. Nè limitansi queste manifestazioni dello spirito pubblico, generalmente dominante in tutta la penisola, ad un'espressione vaga d'un voto che s'abbiano a migliorare le condizioni attuali della finanza e del credito, ma nella maggior parte dei casi gl'indirizzi delle provincie e delle corporazioni sovra indicate esprimono non soltanto il desiderio d'un miglioramento, ma anche il divisamento di concorrere volenterosamente a tutti quei sagrifizi che le circostanze presenti possono richiedere.

Quando il Governo ed il paese riconoscono unanimi i mali che li travagliano, quando fermi sono tutt'i propositi per rimediarvi, quando infine la grande maggioranza della nazione spontanea si pronuncia disposta a sopperire alle esigenze della situazione finanziaria del paese, noi crediamo aver buone e fondate ragioni di sperare che le difficoltà saranno felicemente superate, che gli ostacoli saranno appianati e che presto potremo salutare il giorno in cui anche i più increduli dovranno riconoscere quanto possano il fermo volere ed il patriottismo degli italiani.

Nè io credo, Signor ministro, esagerare nell'ottimismo di queste mie previsioni.

Sono infatti pochi mesi che la stampa periodica di tutta Europa sembrava quasi unanime nell'annunziare l'estrema rovina del nostro paese. Prevedevano gli uni disastri irreparabili nello stato economico e finanziario del Regno. Altri dicevano che l'Italia in preda alla rivoluzione avrebbe rovesciato e distrutto ogni Governo, che le passioni rivoluzionarie avrebbero ogni cosa sconvolta, e che il principio monarchico stesso sarebbe stato profondamente scosso dall'impeto dell'anarchia. Quindi accreditavasi al di fuori l'opinione che l'unità italiana fosse seriamente minacciata non solo dalla rivoluzione interna, ma anche da altre eventualità che lo stato d'anarchia della penisola avrebbe potuto rendere possibili.

Queste ed altre simili esagerazioni spargevano i nemici nostri in tutta Europa allo scopo evidente di nuocere al credito del Governo italiano e di minarne per tal modo l'esistenza.

Ma a quelle voci risposero ormai vittoriosamente i fatti ed a noi spetta saperne trarne il miglior profitto.

Già le ho indicato come, in cospetto delle disposizioni del nostro paese, non si possa più ammettere ragionevolmente il dubbio che non s'abbia a riuscire nell'opera di rimediare allo stato economico e finanziario del regno. Quanto fossero poco profonde le radici dello spirito rivoluzionario in Italia, ognuno potè vedere nel fatto che la tranquillità la più perfetta potè essere conservata in tutta la penisola, malgrado i ripetuti e continui eccitamenti che in questi ultimi tempi venivano dal di fuori. Al brigantaggio, al quale si volle dare di nuovo un colore politico, riuscì di radunare in tutto una decina di nuove reclute nelle provincie finitime dello Stato pontificio. Per ultimo quale sia l'affetto degl'Italiani per la Real Casa di Savoja e qual sia il loro sincero e profondo attaccamento al principio monarchico, ognuno potè scorgere nelle ripetute dimostrazioni delle quali furono fatte segno in questi ultimi tempi le persone della Reale Famiglia.

Non Le parlerò, Signor Ministro, degli indirizzi che le provincie e le città hanno presentato al Re, al Principe Umberto ed alla Principessa Margherita in occasione delle combinate nozze che promettono un così lieto avvenire alla dinastia ed alla nazione; ma io Le dirò come questo avvenimento abbia riempito il paese d'una gioja sincera e profonda e sia stato un'occasione di più di vedere che l'interesse della monarchia s'identifica con quello di tutti gl'italiani. Tale è infatti l'intimo nesso ch'esiste tra il principio monarchico e quello dell'unità e dell'ordine in Italia, che io oso affermare che dalle dimostrazioni di affetto verso la dinastia, anche il fondamento degli altri due principii si trovò potentemente consolidato. Non sono questi indizi e sintomi dei quali possa facilmente tener calcolo chi non sia in grado di osservare ogni più minuto cambiamento che si produce nello stato della pubblica opinione; ma io Le posso assicurare che quegli indizi e sintomi non sono fallaci, ed una prova palese di quanto affermo ognuno può averla, nell'osservare come in presenza delle ultime manifestazioni siasi quasi assolutamente arrestata l'opera sovvertitrice di quei pochi che presso di noi combattono le istituzioni monarchiche. Costoro si avvidero che le loro armi si sarebbero spuntate contro l'intimo convincimento degli Italiani che nella monarchia riposano gl'interessi veri dell'avvenire d'Italia.

Il mirabile buon senso delle masse popolari, il loro istinto saviamente conservatore, nonché il loro fermo proposito di rimanere indissolubilmente fedeli al principio unitario della nazione, sembrano aver anche in parte scoraggiato il partito reazionario che si era accinto in questi ultimi tempi a seminare discordia, a creare dissidi, a promuovere sedizioni, a tentare, in una parola, tutto quanto avrebbe potuto servirgli a compiere i suoi chimerici disegni. Vero è che la sede della reazione non essendo nelle provincie del Regno, riesce impossibile distruggere il male dalla sua radice. Ma il R. Governo non si esagera i pericoli che per lui potrebbero nascere dalle temerarie imprese del partito reazionario, perchè sa di poter fare assegnamento sicuro non solo sui mezzi che sono in sua mano per mantenere la pubblica sicurezza, ma ancor più sul concorso immancabile delle popolazioni le quali sarebbero certamente le prime a reprimere qualunque sedizioso tentativo di reazione.

Tali sono, Signor Ministro, le condizioni interne del nostro paese, ed io non dubito che ove le medesime siano esattamente conosciute ed apprezzate, senza spirito di parte, ed all'infuori d'ogni particolare ragione d'estranei interessi, dovranno contribuire a riacquistare all'Italia le simpatie ed il favore di cui ha goduto nella pubblica opinione dell'Europa. Ed io d'ogni cosa informo la S. V. perchè conoscendone il patriottismo, so ch'Ella saprà valersene in ogni circostanza a benefizio del nostro paese (1).

(l) Cfr. n. 70 .

116

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 621. Parigi, 16 febbraio 1868 (per. il 19).

Per quanto è possibile il dare anticipati giudizi sulle eventualità umane, sembra oramai certo che sia scomparso ogni pericolo di conflitti in Europa per la prossima primavera. Le tendenze pacifiche predominano dappertutto. La Francia, la Prussia, la Russia si mostrano convinte della necessità del mantenimento della pace. Delle intenzioni pacifiche dell'Inghilterra non si è mai dubitato, anche quando era immune dalle gravi e tristi preoccupazioni dell'agitazione Feniana. L'Italia, che poteva essere l'occasione più immediata del turbamento della pace in Europa, è ora rientrata in una calma che sarà senza dubbio feconda, grazie al buon senso della maggioranza delle popolazioni e del Parlamento, alla fermezza del Principe, al coraggio ed alla costanza del Governo.

La sola cosa che desti, in questo momento, inquietudini d'una certa gravità, è l'agitazione panslavista e rumena che si manifesta nell'oriente d'Europa. Dall'un lato, un partito molto considerevole nei Principati Uniti tende all'annessione della Transilvania rumena. Dall'altro latu nelle popolazioni Slave della Turchia ed anche dell'Austria, e principalmente m Serbia ferve un lavorio continuo, con tendenze non ancora ben definite, ma il cui scopo finale mira senza dubbio all'unificazione politica delle razze slave. È opinione generalmente ammessa che la Russia ha favorito queste agitaziOni e queste tendenze allorquando per la tensione delle relazioni tra la Francia e la Prussia e per gli ultimi eventi in Italia, una prossima conflagrazione europea sembrava possibile. Ma ora, calmate le cose in Italia, c rassodate le buone relazioni tra la Francia e la Prussia, la Russia tenta essa stessa di spegnere in Oriente i principii d'incendio che forse aveva contribuito a destare. Il Marchese di Moustier

che negli ultimi giorni scorsi m'intrattenne di queste cose, non esitò a dirmi che era convinto della sincerità degli sforzi che la Russia stava facendo perché l'agitazione s'acquietasse. L'Austria che per la speciale sua posizione ha maggior ragione d'inquietarsi di questi sintomi pericolosi non cessa d'esercitare la sua azione in Serbia · e nei Principati Uniti per farli scomparire. La Francia agisce nel medesimo senso facendo pervenire opportuni ed autorevoli consigli a Belgrado ed a Bukarest. È molto probabile che tutti questi sforzi non rimarranno sterili. L'opinione del Governo francese è che in ogni caso non succederanno nell'Europa Orientale eventi tali da mettere in pericolo la pace presente.

Nelle questioni vertenti fra la Prussia e la Danimarca, come in quelle che si riferiscono alle relazioni fra la Germania settentrionale e la Germania meridionale, il Governo francese osserva molta riserva. Fermamente risoluto a mantenere la pace, il Governo francese evita con cura d'eccitare le suscettibilità germaniche; fidente d'altra parte nell'aumento di forze che ricavò dal nuovo armamento e che spera dall'applicazione del nuovo ordinamento militare egli confida nella moderazione del Gabinetto di Berlino e nelle amichevoli assicurazioni da esso dategli. In generale il Governo francese si mostra soddisfatto dell'attitudine della Prussia. Nel linguaggio che tiene il Marchese di Moustier sulle cose germaniche non appare nessuna inquietudine da questo lato. Non aggiungerò altro, per ora, su questo argomento, non volendo fare considerazioni congetturali. Ma coglierò la prima occasione per informarmi presso il Ministro Imperiale degli affari esteri, in modo più particolare, dei sentimenti del Governo francese su questi argomenti speciali (l).

Le relazioni della R. Legazione a Parigi col Governo Imperiale non cessarono mai d'essere eccellenti. Anche nei momenti più gravi e quando s'era alla vigilta d'un conflitto tra l'Italia e la Francia, furono usati verso la R. Legazione tutti i riguardi e tutte le accoglienze per parte del Governo Imperiale. Le comunicazioni scambiatesi, allora e dopo, fra la R. Legazione e il governo Imperiale, quale che fosse la gravità delle cose trattate, furono costantemente improntate da un grande spirito di cortesia e di benevolenza reciproche. Mi ripugna il parlare della mia persona; ma è difficile il non farlo, trattando di questo argomento. L'E. V. non ignora che S. M. l'Imperatore mi onora di speciale benevolenza da lungo tempo. Questa benevolenza non mi venne mai meno e mi permise di ricorrere direttamente e personalmente all'Imperatore ogniqualvolta la gravità delle circostanze lo richiedeva, e ne ebbi sempre cordiale accoglienza ed immediata. La posizione gerarchica del Ministro d'Italia a Parigi, stante la presenza di Rappresentanti esteri rivestiti del carattere d'Ambasciatore, è ufficialmente una posizione secondaria. Io sono gerarchicamente preceduto dal Nunzio Apostolico, dagli Ambasciatori d'Austria, di Russia, di

Spagna, di Turchia, d'Inghilterra, e dagl'Invitati Straordinari più anziani di me, che sono quelli di Sassonia, di Portogallo, di Baden, di Honduras, di Guatemala, di Wtirtemberg, di Svizzera, di Svezia, di Nicaragua e di Danimarca.

Questa posizione gerarchica del Ministro d'Italia a Parigi sarebbe stata assolutamente impari alla dignità del Re e del Paese, s'egli non avesse tentato di rialzarla personalmente. Credo d'esservi riuscito nei limiti del possibile. Ma comunque le relazioni personali coll'Imperatore e coi suoi principali Ministri siano sempre state ottime e cordiali, non v'è dubbio che gli eventi dell'Ottobre scorso avevano creato fra i due Governi d'Italia e di Francia una mutazione considerevole nei loro sentimenti reciproci, una tensione di relazioni, come si suoi dire in linguaggio diplomatico. Questa tensione è andata diminuendo man mano, in seguito alla calma ristabilita in Italia ed al nuovo indirizzo che il Ministero presieduto dall'E. V. ha dato alla cosa pubblica. La fiducia verso l'Italia ha cominciato a rinascere. Il Governo dell'Imperatore e la pubblica opinione in Francia seguono con vivo interesse ed apprezzano altamente gli sforzi che il Governo del Re va facendo ogni giorno per portare a compimento l'opera riparatrice di pacificazione e d'interno ordinamento, da esso coraggiosamente intrapresa. Io spero che di questo favorevole cambiamento se ne vedranno presto i frutti fecondi. L'opinione pubblica in Francia è specialmente preoccupata dalla nostra questione finanziaria. Il nostro credito è molto scosso. Non si ignora in Francia che una frazione importante del nostro Parlamento è favorevole ad un'imposta sui titoli della rendita italiana. Questo timore pesa gravemente sul nostro credito. Insomma, non si può certamente asseverare che il nostro credito, sì morale che materiale, si sia ristabilito in Francia. La scossa fu troppo grave. I timori non si sono ancora interamente dileguati; c'è ancora molta via da percorrere prima che noi giungiamo a riguadagnare il terreno perduto. Ma vi è un evidente miglioramento. Colla fermezza, colla perseveranza, colla pazienza, con una saggia astensione da ogni cosa che possa far credere che noi ci compiaciamo in eventualità che turbino la pace in Europa, riguadagneremo il credito e la considerazione che gli ultimi eventi ci hanno fatto perdere. A questo proposito non devo dissimulare all'E. V. che l'annunzio d'un rinvio di navi da guerra italiane nel Plata, benché mitigato dalle spiegazioni date dall'E. V. in Parlamento, destò qui una certa apprensione in una parte dell'opinione pubblica.

Non si può ancora dire con certezza quale sarà il risultato morale e materiale, in Francia della legge testé votata sulla riorganizzazione militare. Le opinioni sono qui molto divise a questo proposito. In generale si assicura che le popolazioni rurali non sono soddisfatte della nuova legge, e credo che ciò sia vero. Ma d'altra parte è indubitato che questa legge diede forza al Governo Imperiale nelle sue relazioni internazionali.

Per ciò che spetta all'influenza che questa legge può esercitare sulle condizioni economiche della Francia, sarebbe prematuro il dare un giudizio prima che essa abbia avuto almeno un cominciamento d'applicazione.

Ben più gravi risultati possono nascere dall'applicazione della legge sulla stampa e di quella che si riferisce alla libertà di riunione. Con precedente dispaccio ho fatto conoscere all'E. V. i dubbi e le esitazioni che provocò nel Governo Imperiale e nel Corpo legislativo la discussione della legge sulla stampa. Quei dubbi e quelle esitazioni indicano abbastanza quanta sia l'incertezza nel Governo, quanta l'opposizione contro le riforme liberali nella maggioranza del Corpo legislativo. Due grandi partiti sono qui in presenza: quello della resistenza e della reazione contro ogni riforma liberale, e quello delle libertà. Il Governo sta in mezzo, peritante fra il troppo concedere e il troppo negare. Un Governo che non avesse a sostegno la potente personalità e il prestigio dell'Imperatore, non potrebbe resistere a lungo ai pericoli d'una tale politica interna. Io credo che il risultato di queste discussione e di queste leggi sarà quello di spingere il Governo nelle vie della costituzione Parlamentare. Ma l'Impero parlamentare è una di quelle combinazioni che può certamente considerarsi come possibile, ma sulle cui condizioni e sul cui risultato sarebbe troppo temerario il recare un giudizio prematuro.

(l) Copia di questo dispaccio venne inviata a Berlino e Pietroburgo.

(l) Con r. 626 del 22 febbraio Nigra comunicò: «In una conversazione che ebbi ieri l'altro con s. E. il Marchese Moustier chiesi al Ministro Imperlale degli Affari Esteri Informazioni intorno alle vertenze pendenti tra la Prussia e la Danimarca intorno all'attitudine rispettiva della Francia e della Prussia riguardo alle relazioni della Germania settentrionale cogli Stati Tedeschi del mezzodì, ed Infine intorno al sintomi d'agitazione che erano apparsi nell'EuropaOrientale. La risposta datami dal March<.se di Moustler conferma punto per punto quanto ebbi l'onore di scrivere all'E. V. su questi tre argomenti nel mio dispar.cio rlel 16 corrente, al quale pertanto mi riferisco interamente».

117

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 239. Vienna, 16 febbraio 1868 (per. il 19).

Il partito clericale sparse in questi giorni la voce che avendo il Governo Austriaco manifestato testé alla Corte di Roma le sue intenzioni sulle derogazioni da farsi al regime del concordato, formulando in tanti articoli le riforme ritenute da lui necessarie, e tali riforme non potendo assolutamente essere ammesse dalla Santa Sede, è a prevedersi che il Nunzio presso questa Corte Imperiale Monsignor Falcinelli possa essere richiamato.

Nello stesso tempo il medesimo partito mena gran rumore della risoluzione che potrebbe prendere la Corte di Roma di accreditare un Inviato a Berlino; e confrontando queste due eventualità, ne trae argomento per minacciare il Governo Imperiale dell'irreparabile perdita dell'influenza che altrimenti avrebbe potuto ancora esercitare in circostanze decisive per le sorti future dell'Impero, presso i cattolici della Germania del Sud.

Sopravvenne intanto un articolo della France del 12, cui si prestò qui speciale attenzione, perché sembrava voler giovare allo stesso scopo, di intimorire cioè questo Governo circa le possibili conseguenze relativamente alle sue relazioni internazionali, dell'insistenza sua nei progetti di riforme civili. La Stampa liberale di Vienna interpretò tale articolo del giornale ufficioso parigino come un sintomo che il Governo Francese, volendo ad ogni costo conservare all'Austria ed a se stesso quel tanto d'influenza che i due Governi potrebbero esercitare presso i clericali tedeschi sconsigli al Barone de Beust di persistere nelle accennate riforme, invece di ajutarlo, come si sperava qui, ad attenervi l'assenso (forse d'altronde impossibile) della Corte di Roma. Così, dicono quei giornali, verrebbero più o meno direttamente sacrificati, in Vienna come in Roma, i diritti dei cittadini ed i bisogni di un pacifico progresso, alla necessità in cui si sentirebbe l'Imperatore dei Francesi di procacciare a sé ed a chi spera avere alleato le complicità clericali nelle sue prossime imprese contro l'unità della nazione tedesca. Anzi la sfiducia e l'avversione dei liberali tedeschi in Austria contro la politica d'intervento del Governo francese va al punto che essi esprimono il convincimento che l'imperatore Napoleone, mentre affetta di dare a Roma consigli di riforme che sa essere vani, ed a Firenze suggerimenti di conciliazione che sa essere superflui, in fondo non omette nulla di quanto può impedire un aggiustamento della questione romana, ed un accordo tra la Santa Sede e l'Italia, avendo egli assolutamente bisogno di mantenere il clericalismo europeo in condizione tale da aver bisogno di lui e

J.a sperare in lui.

Tale sospetto sulla segreta tendenza di Napoleone III a sfruttare per stio proprio tornaconto la questione romana, adoperandola come !strumento politico, con danno degli interessi comuni di libertà civile e di pace in Germania ed in Italia, non è soltanto diffuso nel giornalismo. Torna qui opportuno notare che un diplomatico mi chiedeva con insistenza, pochi giorni sono, f.e io non potessi prendere informazioni sulla possibilità che sussista e si realizzi il progetto che si attribuisce alla corte delle Tuileries di promuovere l'elezione di un Bonaparte al futuro Pontificato.

Mi limito del resto a segnalare a V. E. queste voci unicamente come segni dei tempi accennandole a tal proposito gli articoli della Presse d'oggi e della Neue Freie Presse del 13 e del 14 che invio sotto fascia a V. E.

P. s. Le diplomate dont il s'agit ci-dessus est le Baron de Werther (1).

118

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1008. Berlino, 17 febbraio 1868, ore 18,50 (per. ore 23,45).

Télégramme provenance française et bulletin Moniteur rendant compte discours échangés avec Pape par le nouveau représentant de la confédération du nord font dire à ce diplomate que le Roi de Prusse désire et est pret à recevoir nonce à Berlin. Langage et fait en lui meme sont inexacts de toute manière. Depuis deux ans il n'a pas été dit mot sur l'établissement d'une nonciature. Le discours ne contient qu·assurance mutuelle de bon vouloir en terme général.

119

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 155. Berlino, 19 febbraio 1868 (per. il 24).

L'affaire de la légion Hanovrienne occupe toujours les journaux. Des explications ont été données par la France et par l'Autriche. La première s'est

li -Documenti diplomatici -Serle l -Vol. X

empressée de disloquer la légion. La seconde allègue qu'en délivrant des passeports les Autorités secondaires ont agi à son insu et qu'elles seront réprimandées. Ces dernières explications n'ont pas paru entièrement satisfaisantes. Dans tous les cas, le Gouvernement prussien est bien décidé à ne pas tolérer plus longtemps les machinations anti-prussiennes du Roi Georges, et camme le Ministre des Finances l'a annoncé hier, à la Chambre des Seigneurs, si ce Souverain persiste à jouer le ròle de prétendant, on mettra le séquestre sur les rentes qui lui ont été votées à Berlin.

Mais c'est surtout sur le Livre rouge publié à Vienne que s'exercent les plus amères critiques. M. de Thiele me disait tout récemment qu'il avait dans son portefeuille la preuve que le Gouvernement Impérial n'avait nullement renoncé à son action en Allemagne dans un sens contraire à la Prusse. On doit etre d'autant plus contrarié de cette découverte que le Comte de Bismarck depuis les grands événements de 1866, avait caressé l'idée d'amener une entente intime entre la Prusse et l'Autriche. C'eut été à la fois consolider la situation en Allemagne, et établir une solide garantie de paix aussi bien vis-à-vis de la France que vis-à-vis de la Russie. Or le Président du Conseil doit avoir acquis la conviction que ses efforts ont été infructueux, et qu'il n'est pas plus avancé aujourd'hui sous ce rapport que le lendemain de la bataille de Sadowa. Si le Cabinet de Vienne ne modifie pas son attitude, il ne devra s'en prendre qu'à lui meme, si le Gouvernement prussien se rapproche davantage de la Russie. Il parait qu'il y a eu des révélations assez compromettantes, sinon sur la connivence, du moins sur la négligence avec laquelle on surveillait les menées du Roi Georges.

Le Livre rouge à lui seul fournit au reste ampie matière à soupçon, pour ne citer que la lettre particulière adressée le 22 mars au Prince de Metternich. L'empressement avec lequel le Chancelier de l'Empir inculque à son représentant que le terrain sur lequel on s'engage est extremement favorable au Comte de Bismarck, met en évidence qu'on craignait avant tout à Vienne que la guerre n'éclatàt sous des conditions défavorables pour la France. Il s'agissait encore alors d'une annexion à la France du Grand Duché du Luxembourg. « En amis sincères, est-il dit plus loin, nous ne pourrions encourager une action de la France sur un terrain que nous lui croyons funeste en cas de conflit »; et cela parce que le Comte de Bismarcl{ aurait beau jeu pour faire appel au patriotisme national, et rallier toutes les opinions autour du drapeau de la Prusse.

Le journal officieux de la Gazette universelle de l'Allemagne du Nord publie in extensum cette lettre, en mettant en regard la publication suivante faite quatre jours plus tard par la Wiener Zeitung, l'organe avoué du Cabinet Impérial, publication qui servait de réponse à un article de la Gazette précitée sur la consolidation des relations les plus amicales entre l'Autriche et la Prusse.

«Ayant nous meme exprimé sérieusement le meme désir conforme aux intentions du Gouvernement autrichien, nous pouvons nous borner à enregistrer le fait avec une satisfaction sincère ».

Ce ne sont pas là les seules contradictions dans la politique du Cabinet de Vienne. La Correspondance Italienne en a signalé une avec notre Livre vert au sujet du projet de réunir une conférence sur la question de Rome. Sur les affaires d'Orient le changement de front est notable quand on se rappelle les communications faites en 1866 par le Comte de Revertera au Prince Gortchakoff, communications qui annonçaient que désormais l'Autriche se montrerait favorable à l'émancipation des populations chrétiennes. Aujourd'hui elle vogue dans les eaux de la France. Le dépéche du 13 mars 1867 du Baron de Beust au Prince de Metternich, et plus encore le silence très significati! sur l'entrevue de Salzburg, sont à cet égard bien dignes d'attention.

Ce Livre rouge devrait-il étre comparé, selon un mot qui court ici, à ces magazins de quincailleries aux devantures faites pour donner le change au public, et qui ne contiennent que des marchandises de rebut ou de mauvais aloi?

Je ne sais si le Gouvernement prussien se décidera à publier à son tour un livre d'une couleur quelconque, mais il serait curieux pour la Galerie de prononcer un jugement contradictoire.

(l) Il post scrlptum !u Inviato In cifra.

120

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 60. Firenze, 20 febbraio 1868.

Quando mi pervenne il dispaccio del 13 corrente (l) col quale Ella mi riferiva l'impressione prodotta in Berlino dalla pubblicazione fatta in Vienna delle compromettenti entrature che ebbero luogo per parte del conte di Tauffkirchen presso il Signor di Beust, quel documento avea già fissato tutta la mia attenzione, tanto per l'importanza di quell'incidente diplomatico, quanto per l'oscurità in cui sembrano avviluppate le proposizioni prussiane recate a Vienna dal diplomatico bavarese.

A questo proposito non Le posso tacere che il dispaccio del 19 aprile 1867 diretto dal Barone di Beust al conte Wimpffen in Berlino contiene alcune parole le quali produssero in Italia una spiacevole impressione. In quel dispaccio è detto che a Berlino non si disconoscerebbe che l'Austria è in diritto di esigere dei compensi per le obbligazioni che assumerebbe e che in questa via si sarebbe disposti ad andare il più lontano possibile.

Vero è che poco dopo il Barone di Beust, analizzando le proposizioni del negoziatore ufficioso del Gabinetto prussiano, riassumerebbe queste proposte in quattro punti, aggiungendo ch'egli crede di aver «riprodotto la sostanza delle offerte del Signor Tauffkirchen senza aver fatto loro perdere nulla»; ma in quei quattro punti può forse sembrare assai malagevole riscontrare una sola proposizione alla quale possa darsi il vero nome di compenso rimpetto ai gravi oneri che l'Austria avrebbe assunto entrando in un'alleanza diretta contro la Francia.

Questo tema fu ampiamente svolto dal Barone di Beust nel documento di cui è qui questione, e sembra infatti che la mancanza di un compenso serio e valevole non fosse fra le ultime ragioni sulle quali il ministro austriaco appog

giasse il suo rifiuto. Ma ciò non toglie che da molti si creda che difficilmente il Gabinetto di Berlino si sarebbe profferito disposto ad andare il più lontano possibile nella via delle concessioni, qualora fosse stato nei suoi intendimenti di limitare le sue offerte ad un'alleanza internazionale dell'Austria colle confederazioni del Nord e del Sud della Germania ed all'eventualità di poter per tal modo ristabilire più tardi dei rapporti permanenti di unione più intima fra l'impero austriaco e gli Stati che componevano l'antica confederazione germanica.

A ciò sarebbesi infatti limitato il conte di Tauffkirchen nelle offerte che egli seco recava da Berlino, perocché la guarentia dei possessi germanici, la sicurezza delle altre parti della monarchia austriaca, nonché l'indipendenza degli Stati del Sud erano tutte cose già contemplate negli articoli della pace di Praga.

Ella comprende dunque, Signor Ministro, che, ove si voglia attribuire qualche significato alle proposizioni della corte di Berlino, si è naturalmente indotti a credere che l'aver pronunziato la parola compensi, potesse accennare ad altre possibili eventualità sulle quali non s'ebbe campo di aprire un negoziato in vista della poco favorevole accoglienza fatta a Vienna alle prime entrature. E siccome l'alleanza colla Corte di Berlino poteva indicare rispetto assoluto di tutto ciò che poteva spiacere alla Russia in Oriente, così avviene che molti domandino dove quei compensi avrèbbero potuto essere procacciati all'Austria.

Questi riflessi furono fatti, come Le dissi, in Italia ed io stesso non potrei totalmente dissimularmene la gravità.

Dopo le ripetute dichiarazioni fatteci dal Gabinetto di Berlino e di fronte a quelle che, anche all'epoca stessa delle entrature fatte a Vienna, il Governo del Re non ha mai cessato di ricevere dalla Prussia, io non vorrei inclinare a credere che sia stato, anche per un solo istante, negli intendimenti del conte di Bismarck di rannodare l'alleanza e l'amicizia austro-prussiana a danno dell'Italia; ma cionondimeno, dopo la pubblicazione dei documenti austriaci, era necessario che una spiegazione ci fosse data ed io fui lieto di vedere che il Governo prussiano ne abbia preso l'iniziativa.

Fu da me ieri il conte Usedom e mi ha dato lettura di un dispaccio che il conte di Bismarck ha indirizzato, al momento di quei negoziati con Vienna, agl'Inviati prussiani presso le corti d'Austria e di Baviera.

Eccole, Signor Conte, l'analisi del dispaccio lettomi dal Ministro di Prussia:

Il Conte di Bismarck incomincia col narrare come gli si presentasse il conte di Tauffkirchen, munito d'una lettera del principe di Hohenlohe nella quale era detto che quel diplomatico bavarese dovea recarsi a Vienna coll'incarico di preparare un riavvicinamento dell'Austria colla Prussia ed i suoi alleati tedeschi allo scopo di allontanare ogni pericolo di ingerimento francese negli affari di Germania. Il ministro degli Affari Esteri del Re Guglielmo avea risposto al diplomatico bavarese che gli sforzi fatti dal Gabinetto di Monaco riuscivano graditi alla Prussia, essere questa disposta a trattare coll'Austria allo scopo di assicurarle quei vantaggi che sino al 1866 le erano stati guarentiti dalla confederazione germanica. Soggiunge poi il conte di Bismarck nel suo dispaccio, che per raggiungere questo intento, egli propose l'alternativa fra i due mezzi seguenti: 1° un trattato difensivo esteso a tutta la monarchia au

striaca per un termine non maggiore di anni tre; 2° un'alleanza illimitata comprendente soltanto le provincie tedesche dell'impero, ma sanzionata da un semplice trattato internazionale e non più come per lo addietro, da una costituzione federale e parlamentare. L'uno e l'altro di questi due mezzi sembravano sufficienti al conte di Bismarck per impedire alla Francia di ingerirsi nelle cose di Germania e il primo ministro prussiano conchiude il suo dispaccio coll'incaricare i rappresentanti del suo sovrano in Monaco ed in Vienna di dare appoggio a quelle proposizioni, ingiungendo loro di smentire in modo assoluto le voci che erano corse sulla pretesa alleanza segreta della Prussia con un'altra potenza.

Il conte d'Usedom spiegavami poi quest'ultima frase come riferentesi alle notizie, sparse in quel tempo in Europa, di un intimo e segreto accordo conchiuso fra le corti di Berlino e S. Pietroburgo.

Ho voluto riferirle il tenore del dispaccio prussiano, lettomi dall'Inviato del Re Guglielmo, anche perché Ella, Signor Conte, possa meglio giudicare della portata, che hanno le spiegazioni datemi con quella lettera.

Senza voler entrare nei molti ragionamenti ai quali siffatto incidente può dar motivo, resta però sempre dimostrato in fatto che la Prussia era disposta a ravvicinarsi all'Austria, anche sacrificando in parte il suo programma germanico, di fronte al pericolo di una guerra colla Francia. E da questa, che può sembrare soverchia facilità nell'abbandonare gl'interessi suoi più vitali, potrebbesi forse trovare argomento per conchiudere o che il Governo prussiano fosse meno fermo nei suoi propositi, o che il medesimo temesse di avventurarsi da solo in una lotta coll'impero francese.

Non credo che Ella debba provocare dal ministro degli Affari Esteri di S. M. il Re di Prussia alcuna spiegazione al proposito. Trattasi in definitiva di un incidente ormai passato e dopo il quale noi stessi abbiamo avuto e dalla bocca stessa del Re Guglielmo rassicuranti dichiarazioni. Importava però ch'io La informassi e dell'impressione prodotta in Italia dai documenti austriaci, e della iniziativa presa dal Governo prussiano nel rettificare e spiegare presso di noi le cose narrate dal Barone di Beust. È a questo scopo ch'io Le dirigo il presente dispaccio.

(l) R. 149, non pubblicato.

121

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. CONFIDENZIALE 62. Firenze, 20 febbraio 1868.

Debbo renderle conto di un colloquio assai interessante ch'io ebbi addì 10 di questo mese col Signor Conte d'Usedom.

Venne l'inviato di Prussia a darmi comunicazione verbale di un dispaccio di

S. E. il Conte di Bismarck per felicitare il Ministero ch'io presiedo dei risultamenti già ottenuti per la pacificazione ed il riordinamento delle cose interne in Italia. Il Gabinetto di Berlino non dubita, mi diss'egli, che l'unità d'Italia non sia per consolidarsi. Egli considera questa unità come un elemento essenziale dell'equilibrio europeo, e ciò sovra tutto al punto di vista degli interessi della Prussia la quale si costituisce sulla base dei principil che formano il fondamento del nostro nazionale risorgimento. E qui il dispaccio del Conte di Bismarck entrando nel campo delle eventualità possibili, soggiungeva che le provincie meridionali della Germania erano, dalla necessità stessa della loro situazione, spinte ad accostarsi sempre più alla Prussia e che questa naturale attrazione, forse più rapida e potente di quella che il Gabinetto di Berlino avrebbe desiderata, potrebbe probabilmente condurre quelle provincie ad una definitiva annessione al resto della Germania.

Credo di aver nulla aggiunto e nulla tolto alla portata vera della conversazione del Conte d'Usedom per quanto concerne quest'ultime gravi previsioni dell'avvenire. La comunicazdone stessa terminava poi con un'espressa dichiarazione del Conte di Bismarck ch'egli non presta fede ai rumori sparsi sulle disposizioni ostili che si vollero attribuire alle nostre provincie meridionali per ciò che concerne la conservazione dell'unità italiana.

Non era mio compito lo entrare a discorrere col Conte d'Usedom sulle possibili evoluzioni della politica germanica, delle quali del resto il dispaccio del Conte di Bismarck parlava soltanto incidentalmente. Mi limitai dunque ad esprimere all'Inviato Prussiano la soddisfazione che mi faceva provare una dichiarazione così esplicita delle buone disposizioni della Prussia a nostro riguardo e ciò tanto più dacché il Gabinetto di Berlino sembrava considerare i buoni rapporti dell'Italia colla Prussia come stabiliti sulla solida e sicura base di una comunanza di principii politici.

Il dispaccio che pochi giorni dopo io riceveva dalla S. V. e nel quale Ella mi riferiva il giudizio portato dal primo ministro Prussiano sulle voci che si andavano spargendo di un'alleanza franco-italiana, mi hanno confermato nell'opinione che nell'animo del Conte di Bismarck sia intimo il convincimento che fra l'Italia e la Prussia non vi siano cause di prevedibili dissidi.

Anche noi, per quanto ci concerne, non vediamo quali divergenze potrebbero esistere fra le due cause nazionali di Germania e di Italia le quali sembrano entrambe procedere nelle vie pacifiche che debbono condurle al loro compimento ed alla loro consolidazione. L'Italia, unicamente preoccupata di mettersi in grado di poter mantenere quanto ha promesso all'Europa, di essere cioè un elemento di pace e di sicurezza generale, non cessa di fare assegnamento sulla simpatia dei Governi amici e sovra quella della Prussia in particolare.

122

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC

D. 80. Firenze, 21 febbraio 1868.

La ringrazio vivamente di quanto Ella mi scrisse intorno al modo col quale si considera a Vienna la importante questione relativa alla revisione delle capitolazioni nei paesi soggetti al dominio diretto od indiretto della Porta Ottomana (1).

Sovra questo argomento occorre, a mio credere, un riflesso preliminare. Non sembra infatti che una simile questione possa essere limitata ad una semplice revisione dei capitoli scritti che formano il diritto pubblico internazionale della Turchia, mentre non sarà mai possibile giungere ad un risultamento pratico senza ricorrere ad uno speciale e particolareggiato studio tanto delle consuetudini che regolano la materia della giurisdizione civile e penale sugli stranieri nei vari paesi del Levante, quanto delle circostanze speciali in cui versano le diverse contrade dell'Impero Ottomano al doppio punto di vista del grado di civiltà al quale sono pervenuti e delle guarentigie che si possono avere d'un ordinamento regolare dei magistrati civili e criminali.

Ove si premettano queste considerazioni, subito appare come si debbano essenzialmente fra di loro distinguere le tre questioni che si comprendono in quella della così detta revisione delle capitolazioni.

Queste tre quistioni sono le seguenti: 1° -L'abolizione chiesta da molto tempo ed in varie occasioni dai Principati Uniti del regime delle capitolazioni al quale i medesimi sono soggetti come stati tributari della Sublime Porta. 2° -La riforma dell'ordinamento giudiziario proposto dal Vice Re d'Egitto, riforma mediante la quale s'introdurrebbero radicali mutazioni nel regime consuetudinario attualmente in vigore. 3° -La revisione dei trattati esistenti fra le Potenze cristiane e la Turchia, revisione che, almeno in questi ultimi tempi, non fu espressamente domandata dal divano imperiale, ma che si ritiene possa essere chiesta, qualora le potenze si decidessero ad introdurre qualche notevole mutazione nei paesi sui quali il Sultano esercita ancora un dominio indiretto. Se queste questioni possono avere fra di loro alcuni punti di contatto, io non credo però che le medesime possano essere confuse in una sola trattazione. Il solo paese ove le capitolazioni scritte siano ancora, almeno in molta parte, generalmente applicate è la Turchia propriamente detta, dove la giurisdizione consolare serve di gua.rentigia allo straniero contro l'applicazione delle leggi religiose e civili dei maomettani. Ella non ignora infatti, Signor Commendatore, come le capitolazioni che la Porta vorrebbe considerare quali concessioni spontanee fatte dai Sultani ai primi principi cristiani che entrarono in relazioni regolari col divano imperiale non furono invece, in gran parte, che un riconoscimento scritto di un diritto consuetudinario esistente ab antiquo. Prima che cadesse Bisanzio, le colonie musulmane nell'impero greco godevano appunto di quello speciale regime in materia di giurisdizione civile e penale che, mutate le veci, godettero dippoi i cristiani sotto la dominazione turca. Sin da quel tempo si era riconosciuto che la prevalenza accordata dagli Ottomani alle leggi sacre sovra ogni qualsiasi altra posteriore costituzione civile, ed i principii sui quali riposano nel diritto musulmano l'ordine della famiglia, la costituzione della proprietà, nonché il diritto probatorio, erano cose incompatibili colle basi fondamentali del giure romano. Di qui nacquero dapprima le necessità di giurisdizioni speciali ecclesiastiche pelle comunità cristiane e poscia il foro speciale pegli stranieri.

Finché fra il diritto musulmano e quello che oggi può dirsi europeo esisteranno siffatte discrepanze, non si potrebbe ragionevolmente rinunziare al sistema delle capitolazioni che solenni trattati hanno sanzionato in favore delle potenze.

In Egitto invece le capitolazioni non esistono ormai che di nome. Al regime speciale dalle medesime sancito, si è derogato essenzialmente in due modi:

1° coll'ammettere senza restrizione la massima actor sequitur torum rei, 2° col riconoscere illimitatamente agli stranieri il diritto di proprietà sugli stabili. E ciò che l'uso aveva introdotto, l'abuso andò ampliando, attalché basta allo straniero di destreggiarsi in modo da figurare come convenuto nel giudizio perché i tribunali consolari siano investiti dell'autorità di pronunziare anche in materia di proprietà fondiaria situata in Egitto.

Un simile stato di cose, appoggiato unicamente alla consuetudine, non sanzionato in alcuna convenzione internazionale, è divenuto l'origine da cui derivano le molte e gravi questioni sorte dacché il Vice Re divenne egli stesso il principale proprietario e commerciante del suo paese.

L'interesse delle Potenze che hanno numerose colonie in Egitto concorda quindi con quello del Governo vice reale in ciò che si abbia ad esaminare in qual modo si potrebbe porre riparo ad uno stato di cose incerto, precario, e nocivo a tutti. Interpellato pertanto in questi ultimi giorni dalla Legazione di Prussia in Firenze (l) sugli intendimenti del Governo del Re per ciò che concerne le riforme proposte dal Vice-Re d'Egitto, ed il luogo ove dovrebbe radunarsi la Conferenza incaricata di esaminarle, io ho risposto colla nota verbale di cui Ella troverà qui unita copia (2). Da questo documento Ella potrà prendere norma per regolare il suo linguaggio nel caso in cui le stesse domanda Le fossero fatte da codesto Ministro imperiale degli Affari Esteri.

Rimane per ultimo ch'io Le dica alcuna cosa sulla nostra maniera d·i vedere intorno all'abolizione delle capitolazioni, chiesta dai Principati Uniti.

È fuori di dubbio che nei Principati Danubiani la ragione principalissima pella quale le capitolazioni furono introdotte non esiste. Colà non vi ha promiscuità di musulmani e di cristiani e le leggi sacre dell'islamismo non hanno più alcuna efficacia. Furono ordinati tribunali e scritti codici conformi a quelli esistenti nella maggior parte dei paesi europei, ed anche per quanto risulta furono posti certi limiti alla troppo estesa giurisdizione ecclesiastica. Per la parte dunque che risguarda la giurisdizione speciale sugli stranieri, potrebbesi quando che sia riprendere il lavoro che d'accordo fra di loro le potenze aveano incominciato sino dal 1865, per esaminare partitamente quali modificazioni

{l) Con nota verbale del 4 febbraio, non pubblicata.

L'étude qul a été faite en Ital!e de ce projet et ces observations a dérnontré que l'on ne saurait érnettre une opinion définitive sur une rnatière aussi difficile et aussi cornpliquée qu'après avoir exarn!né toutes !es quest!ons de détalls qui s'y rattachent. On a dù également constater que, la solutlon de ces questlons étant lntirnernent l!ée aux lntérèts locaux des sujetsétrangers en Egypte, un exarnen prélirninaire des propositions egyptiennes, fait par une cornrnlsslon européenne réunle sur !es Iieux, pourrait ètre d'une très grande util!té.

Le Gouvernernent ltalien pense qu'il sera toujours ternps de flxer d'un cornrnun accord la vllle d'Europe qui devra étre le slège des futures dél!bérat!ons, lorsque la comrnisslon lnternationale aura pu entreprendre son travall préparatolre en Egypte ».

converrebbe accettare al sistema attualmente in vigore. Ma io inclinerei fin d'ora a credere che non convenga derogare al principio stesso delle capitolazioni, ma limitarsi soltanto a tollerarne la sospensione provvisoria nell'applicazione, perché, lasciando per tal modo sussistere il principio, si eviteranno le complicazioni alle quali non tarderebbero a dare causa le pretese del Governo Ottomano per una generale revisione o forse anche per una totale abolizione delle giurisdizioni consolari in Turchia.

Sembra a noi che non sia nell'interesse ben inteso del Governo Rumeno di voler spingere le cose in modo da suscitare in questo affare le difficoltà che creerebbe una quistione di principii, vogliamo quindi credere che il temperamento sovra indicato possa essere tale da soddisfare il desiderio dei Rumeni, le suscettività della Porta e l'interesse di tutti.

Mi limito a darle questi pochi cenni soltanto per di Lei particolare informazione ed al solo scopo di metterla in grado di misurare il suo linguaggio agli intendimenti del R. Governo nelle occasioni assai probabili in cui questi argomenti possano formare oggetto dei suoi discorsi col Ministro imperiale degli affari esteri.

Ritenga del resto che in questi affari che altamente interessano le nostre colonie di Levante, noi non intendiamo per ora di assumere alcuna iniziativa.

(l) Cfr. n. 111.

(2) La nota verbale. del 12 febbraio era la &eguente: «Le projet pour la réforrne des !nstltutlons jud!ciaires en Egypte, présenté par Nubar Pacha à S. A. le Vice Roi, a été cornrnuniqué au Gouvernernent ltalien qul a au égalernent connaissance d'une autre docurnent, rédigédans !es bureaux du Ministère des Affaires Etrangères au Ca!re !ntitulé " Expl!catlons sur !es garanties que présentera l'organisation judic!airie proposée pour l'Egypt~ ».

123

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 582. Firenze, 22 febbraio 1868, ore 21.

Hier au soir la Chambre des députés a voté à une grande majorité le budget pour 1868 et nous avons la ferme conviction que prochainement elle votera aussi l'ensemble des mesures financières destinées à rétablir l'équilibre. Le pays par son attitude calme et énergique a répondu dignement à l'appel du Gouvernement qui est décidé d'ailleurs à marcher fermement dans la voie de la modération et de l'apaisement des passions avec lesquelles il ne transigera jamais. Ainsi la condition des choses n'est pas seulement améliorée mais radicalement changée et les garanties morales d'ordre et de sécurité que la France attendait de l'Italie sont désor]Ilais un fait accompli. Nous espérons qu'en présence de ces faits le Gouvernement impérial n'hésitera plus à nous donner les marques de confiance que nous avons plus d'une fois réclamées.

124

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA

D. 10. Firenze, 22 febbraio 1868.

Il Marchese Incontri coi suoi dispacci del 31 gennaio e del 4 febbraio ultimi passati (l) mi rendeva conto di due importanti colloqui ch'egli ebbe col Principe Gortchakoff.

Il Cancelliere dell'Impero nello esprimersi liberamente, come ha fatto in quelle due occasioni col R. Incaricato d'Affari, ci ha dato una pruova dippiù della fiducia ch'egli ripone in noi. Di questa testimonianza di assoluta confidenza noi andiamo lieti, ed io la invito, Signor Marchese, a porgere al Principe Gortchakoff i nostri più vivi ringraziamenti pelle importanti comunicazioni ch'egli mi ha fatto pervenire.

Ben a ragione il Ministro imperiale degli Affari Esteri diceva al Marchese Incontri che l'Italia per la sua posizione, per le sue relazioni e per i suoi interessi, ha, forse anche più d'ogni altro paese, bisogno che lo stato delle cose in Oriente presenti maggior stabilità e sicurezza di quello che nelle condizioni attuali sia dato prevedere. Il Governo del Re, senza esagerare ai propri occhi l'importanza che potrebbero avere per lui le quistioni politiche dell'Oriente nell'avvenire, riconosce al presente la necessità in cui si trova di limitare la sua sfera d'azione a ciò che riguarda più direttamente lo sviluppo economico delle sue colonie, la sicurezza e la prosperità della sua navigazione in Levante. In questo contegno che le circostanze stesse c'impongono, noi siamo lieti di scorgere che non v'ha cosa alcuna che possa in qualsiasi modo farci deviare da quella linea politica di condotta dalla quale non ci siamo dipartiti dalla dichiarazione collettiva dell'ottobre in poi.

L'aver avuto dal Principe Gortchakoff le ripetute, più ampie ed esplicite dichiarazioni che la politica russa non ha subito variazione e che non cessa dal fare assegnamento sull'accordo sincero e leale di tutte le potenze d'Europa, ci fa sicuri che i due Governi potranno, come per l'addietro, trovarsi d'accordo nelle principali questioni ove l'uno e l'altro persistano a seguire il consiglio dei rispettivi interessi, fondati sul principio del non intervento.

Al qual proposito, usando a mia volta d'una assoluta franchezza, non debbo tacerle che la risposta fatta dal Principe Gortchakoff alle entrature dell'Ambasciatore francese mi lasciò sulle prime qualche dubbio relativamente alla portata che avrebbe potuto avere quella offerta fatta dal Cancelliere Imperiale di intendersi colla Francia in tutte le principali quistioni europee, solo che da quest'ultima si mostrasse di voler prendere un contegno franco e sicuro negli affari orientali. Non può essere nella politica d'un Gabinetto illuminato, qual'è quello di Pietroburgo, il subordinare l'una all'altra quistione principalissima ed il cercare la soluzione di alcune vertenze mercé il sagrificio di altre cause egualmente importanti: noi vogliamo dunque credere che la politica imperiale nuil avrebbe sofferto cambiamenti di sorta per ciò che risguarda l'Italia e le quistioni, alle quali noi siamo principalmente interessati, anche quando altri accordi, sovra altre quistioni, fossero stati possibili.

E sebbene l'aversi francamente ed apertamente informati degli adoperamenti del Principe di Talleyrand sia per noi una pruova che non poteva essere in alcun caso nelle intenzioni della Russia di accostarsi a combinazioni contrarie agli interessi italiani, ciò nondimeno io gradirei sempre raccogliere, per mezzo della S. V. la conferma dalla bocca del Principe Gortchakoff al quale io l'autorizzo a parlare nel senso di questa mia comunicazione.

(l) Cfr. n. 94; il rapporto del 31 non è pubbllcato.

125

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC

D. 81. Firenze, 22 febbraio 1868.

Ho letto con molta attenzione il dispaccio ch'Ella mi ha indirizzato in data dell'll di questo mese (l) per rendermi conto delle conversazioni avute con codesti uomini politici e del colloquio interessantissimo ch'Ella ebbe col Barone di Beust circa la pubblicazione del Libro Rosso austriaco.

Approvo in generale il linguaggio ch'Ella ha tenuto e credo che il fatto istesso dello avere il Barone di Beust stimato necessario di prendere la iniziativa per ispiegare il senso di quella pubblicazione basta in gran parte ad attenuare la portata e l'impressione che dovea produrre in noi. Non istarò dunque ad analizzare partitamente quei documenti del Libro rosso che concernono la questione romana. Accettando quanto a Lei fu già fatto osservare che cioè l'« Ubersicht » contiene in definitiva la sostanza degli intendimenti dell'Austria nella quistione di Roma, a noi non resterebbe che a confermare quanto Ella ha notato molto opportunamente che cioè il Governo Imperiale il quale si era ognora mostrato animato dalle più amichevoli disposizioni verso l'Italia in tutte le sue comunicazioni confidenziali avrebbe potuto evitare nella pubblicazione dei suoi documenti certe frasi inutilmente spiacevoli pel nostro paese.

Vi hanno però due punti nella pubblicazione austriaca sui quali è necessario che Le tenga brevemente discorso.

Il primo riflette l'assoluta contraddizione che passa fra le dichiarazioni fatteci dal Signor Barone di Beust circa la ferma intenzione del Gabinetto di Vienna di non prender parte ad un accordo limitato fra le sole potenze cattoliche riguardo a Roma, ed il tenore di alcuni dispacci della cancelleria austriaca contenuti nel Libro rosso. Vero è che le esplicite dichiarazioni delle quali faccio cenno, furono fatte alla S. V. nei primi giorni del novembre scorso, mentre invece l'espressione di un intendimento affatto opposto si riscontra palesemente in un dispaccio del 13 Marzo del Barone di Beust al Principe di Metternich. Ma siccome l'aver accettato posteriormente l'invito della Francia per far parte d'una Conferenza europea, non esclude l'altro progetto di cui il Gabinetto di Vienna rivendica l'iniziativa, di riuscire cioè ad un accordo « fra le principali potenze cattoliche per guarentire i grandi interessi che sono collegati coll'esistenza del trono pontificio », così io credo che da noi si possa ragionevolmente desiderare che il Governo Austriaco trovi un'occasione di meglio precisare le sue intenzioni future.

L'altro punto sul quale reputo ugualmente opportuno di chiamare la di Lei attenzione è il dispaccio del Barone di Kubeck in data 23 Novembre p. p., nel quale l'Inviato Imperiale rende conto della lettura ch'egli mi fece della Circolare del Gabinetto Austriaco del 19 stesso mese comunicandomi ad un tempo il contenuto del dispaccio che lo accompagnava. Il Barone di Kubeck nel commenti

che aggiungeva a tali comunicazioni ebbe la cortese avvertenza di temperare le parole di quei documenti che potevano sembrare alquanto aspre e che certamente altrimenti io non avrei lasciato passare inosservate.

Non credo sia conveniente ch'Ella si procuri un'occasione per esprimere questi nostri pensieri intorno alla pubblicazione del Libro rosso austriaco; ma se l'opportunità Le si presentasse di parlare di questo argomento col Barone di Beust, Ella potrà fargli comprendere che quella pubblicazione si sarebbe trovata più discordante colla raccolta dei documenti italiani, se non avessimo usato uno scrupoloso riguardo nella scelta dei dispacci da pubblicarsi. La qual cosa giova ricordare anche per rispondere all'appunto che il Gabinetto Imperiale sembrò farci di non aver abbondato maggiormente nella nostra pubblicazione per ciò che riguarda la parte avuta dall'Austria negli ultimi incidenti della quistione romana.

(l) Cfr. n. 106.

126

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 67. Belgrado, 23 febbraio 1868 (per. il 2 marzo).

L'opinione ch'ebbi occasione di costantemente emettere nei diversi Rapporti che dalla seconda metà dell'anno scorso sino ad oggi venni di tempo in tempo sottomettendo all'E. V. che cioè quest'anno la Serbia non turberebbe la pace nelle provincie slave della Turchia si è cambiata in convinzione dopo le diverse conversazioni ch'ebbi in questi ultimi giorni con S. A. il Principe Michele.

Sua Altezza mi ha detto di aver assicurato i consoli di Francia d'Inghilterra e d'Austria che non presterà la mano ad alcun tentativo d'insurrezione né in Bosnia, né in Bulgaria, né in nessun'altra Provincia dell'Impero turco: chiunque conosce il Principe Michele sa che si può fare sicuro assegnamento sulla sua parola.

Sono quindi malissimamente informati i giornali francesi la Patrie, l'Epoque ed altri, ed anche alcuni giornali austriaci che persistono a voler far credere che la Serbia si agita, che il Principe Michele è complice alle supposte mene rivoluzionarie dei comitati Bulgari, ch'egli è il cieco instromento della politica russa ed altrettali fiabe.

Questo console generale di Francia mi ha detto che il Governo Rumeno aveva avuto ragione di smentire la formazione di bande armate nei suoi stati per.ché di fatto non esistono colà bande propriamente dette né armate, né disarmate, ma invece il comitato centrale Bulgaro di Bucarest, ed i comitati succursali d'Ibraila e Galatz hanno a loro disposizione alcune centinaja di volontari che possono a talento riunire in un dato punto, armarli ed equipaggiarli, giacché codesti comitati posseggono tutte le armi, munizioni, arnesi e vestimenti necessari a questo scopo.

Lo stesso mio collega pretende inoltre che non l'intiero Gabinetto di Bucarest ma soltanto il Signor Bratiano è in connivenza, per lo meno morale, con i rivoluzionari.

Il Console francese ha relazioni con Ibraila e Galatz e dovrebbe essere bene informato, ma siccome sono tante e così diverse le false voci che da qualche tempo a questa parte si spargono sopra la Rumania e la Serbia che non si può più prestar fede che a quello che si vede co' propri occhi, cosi mi limito a riferire quanto sopra all'E. V. senza garantirne l'esattezza.

Io non parlerei di queste cose che riguardano un altro Distretto Consolare se non interessassero indirettamente la Serbia.

È giunto jeri sera il nuovo Agente e Console Generale Austriaco. Questa mattina è stato ricevuto dal Principe ed ha visitato poscia tutti i suoi Colleghi, io compreso.

127

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 244. Vienna, 25 febbraio 1868 (per. il 1° marzo).

Je dois à l'amicale obligeance du Comte de Stackelberg d'avoir pris connai.ssance de communications confidentielles échangées entre les Cabinets de Berlin et de Pétersbourg à la fin du mois dernier et au commencement de ce mois-ci, et d'où ressort le véritable caractère de l'intimité un peu mystérieuse pour le public qui règne entre eux. Je m'empresse de reproduire en résumé cette correspondance (lettres particulières entre le Prince Gortchakoff, le Baron d'Oubril et le Baron Briinnow) dans la présente dépeche que j'envoie par une occasion siìre à V. E., avec la rubrique réservée, que je me permets d'apposer à mes rapports quand la source dont mes renseignements me viennent exige qu'il n'en soit fait part qu'à V. E.

Vers l'époque donc que je viens de désigner, le Prince Gortchakoff appela l'attention du Comte de Bismarck sur les liens qui semblaient décidément s'etre formés entre l'Autriche et la France, et qui, inquiétants en général pour le maintien de la paix, menaçaient dans tous les cas, par le fait seul de leur existence, les intérets de la Prusse, liés sur tant de points à ceux de la Russie. Le Prince Gortchakoff exhortait le Comte de Bismarck, à lui faire part, avec la franchise que comporte l'intimité des ceux Cours, de ses vues à cet égard.

Voici quel fut à peu près le langage du Comte de Bismarck: «Les prétendus accords entre l'Autriche et la France n'ont rien de positif ni d'inéluctable de part ni d'autre. J'en ai la preuve complete. En tout cas la Prusse n'a rien à en redouter. M. de Beust en fait parler et s'en sert comme d'un nuage pour s'envelopper, comme d'un moyen de prestige dont sa vanité a seule le bénéfice. L'organisation nouvelle de l'Autriche la forcera de plus en plus à vouloir la paix et à étouffer ses rancunes. Les Hongrois ne veulent pas d'une guerre qui pourrait fortifier l'Empire et diminuer d'autant leur importance relative. Le Ministère Cis-leithanien, plein de l'esprit allemand, ne permettra pas que le Gouvernement aide, meme tacitement aux projets de la France. Quant à l'Empereur Napoléon, il ne pourra encore mobiliser ce printemps que 300.000 soldats. Ce n'est pas assez. Les embarras intérieurs sont graves; l'autorité morale qu'il exercait n'existe plus; le parti orléaniste a repris depuis un an une activité nouvelle, et s'est donné une sorte d'organisation. L'un des signes de cette activité a été la publication d'un article du Due d'Aumale dans la Revue des deux Mondes sur l'Allemagne nouvelle, article libéral, où il est dit que la France peut accepter l'unité de l'Allemagne libre, tandis qu'elle ne peut qu'etre défiante envers un simple agrandissement de la Prusse telle quelle: il y a là dans de bonnes choses que j'accepte parfaitement » etc.

Peu après cet échange d'impressions, amené par le Prince Gortchakoff, sur l'alliance éventuelle de la France et de l'Autriche, le Comte de Bismarck (ceci me parait encore plus digne d'attention) fit faire à Pétersbourg par le Prince de Reuss une démarche très confidentielle et d'un caractère tout intime, pour avertir le Prince Gortchakoff, comme on avertirait un ami d'un péril qu'il ne verrait pas, du risque qu'il y aurait présentement à laisser se produire dans la Turquie d'Europe une agitation qui pourcait faire renouer, au grand détriment de la Prusse et de la Russie, le faisceau des puissances occidentales dissous depuis la guerre de Crimée. La Prince Gortchakoff, en cette occurrence rassura la Prince de Reuss sur les intentions conciliantes et pacificatrices de l'Empereur Alexandre; mais le Prince de Reuss crut sentir, et le laissa soupçonner à Ber !in, que sa démarche avait été prise un peu froidement. Cette impression étant revenue à la connaissance du Prince Gortchakoff, il s'empressa d'écrire à M. d'Oubril (dans la première semaine de ce mais) pour effacer toute supposition que le Gouvernement Impérial eùt vu autre chose qu'un témoignage d'amitié dans la démarche du Prince de Reuss. Dans cette dépeche le Prince Gortchakoff reconnait, avec les termes les plus nets, l'opportunité d'une politique de paix, de réorganisation et d'attente, et affirme que la Russie emploie dans ce sens toute son influence auprès des Chrétiens Orientaux.

ce double échange de communications est consigné dans des Dépeches qui m'ont paru absolument trop remplies de détails confidentiels pour avoir été écrites pour etre montrées dans semblant de confidence. Ce serait dépasser le but, il me semble, et aller meme contre ses intérets, que de prendre de tels moyens pour dissimuler une alliance secrète.

Je considère donc les dépeches rèservées que je viens de résumer à V. E. comme une preuve que l'intimité existante entre la Prusse et la Russie n'a rien d'alarmant pour le maintien de la paix.

Faut-il aller jusqu'à en induire que cette intimité n'est ni profonde ni solide? Faut-il attribuer une importance actuelle au nuage qu'a paru pouvoir élever il y a quelque temps entre les sentiments nationaux des deux Etats la dégermanisation des Provinces Baltiques de la Russie? Malgré les quelques témoignages d'aigreur que se sont adressés à cet égard quelques organes du parti d'action panslave de Moscou d'un còté, de l'unitarisme Allemand de l'autre et quoique des observateurs qui se prétendent plus clairvoyants que d'autres veuillent voir là les germes d'une nouvelle question du Schleswig, ce serait, je crois, se hasarder beaucoup que de fonder là dessus soit des espérances, soit des craintes sérieuses.

128

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. 49. Firenze, 26 febbraio 1868.

Al momento in cui l'attenzione dell'Europa sembra particolarmente rivolta alle questioni che si agitano in Turchia, reputo conveniente esporle in breve quale, a mio avviso, debba essere il contegno del Governo italiano di fronte alla situazione presente ed alle prevedibili, prossime eventualità.

Il Governo del Re, chiamato ad esercitare in Oriente quelle prerogative che nelle altre grandi quistioni europee le sole cinque maggiori potenze aveano sino a questi ultimi tempi esercitato, pose, come Ella sa, ogni suo studio ad impedire che in qualsiasi questione riferentesi alla Turchia, il suo concorso non fosse ricercato al pari di quello degli altri governi che con lui aveano firmato il trattato di Parigi del 1856. La situazione diplomatica che quelle stipulazioni ci aveano assicurato in una parte così importante delle vertenze europee era infatti, tale un vantaggio, nelle nostre politiche condizioni di quel tempo, da richiedere che da noi si spiegasse la massima attività per mantenere integro un diritto, che spesso ci veniva contestato. Non fu infatti senza qualche difficoltà, ed anche talvolta senza molti stenti, che riuscì ai predecessori della S. V. di far valere il diritto del R. Governo di prendere parte alle deliberazioni delle Potenze nelle varie quistioni relative all'impero ottomano. In un epoca in cui la R. legazione ebbe a lottare contro le resistenze delle potenze che non riconoscevano il nuovo Regno d'Italia, il mal volere della Porta e le disposizioni poco favorevoli di taluni fra i governi amici, tutta l'attività dei RR. rappresentanti dovette essere rivolta ad impedire a qualsiasi costo che si creassero contro di noi precedenti sfavorevoli col far luogo ad illegittime esclusioni.

Così stavano le cose prima che riconosciuto da tutte le potenze, consolidato ed accresciuto per l'acquisto della Venezia il Governo del Re avesse preso nel concerto degli Stati europei quella posizione che ha attualmente e che tutti i governi gli hanno riconosciuto tanto nella questione del Lussemburgo, quanto nelle vertenze risguardanti la Turchia ma non riferentisi direttamente al Trattato di Parigi. Ella sa, Signor Ministro, come infatti venisse subito troncata ogni divergenza circa il nostro diritto di J;render parte agli affari di Siria e del Libano dopo che tutte le Potenze ci ebbero riconosciuti; nè la S. V. ignora come nessuno abbia mai pensato a contestarci il diritto di intrometterei negli affari di Creta benché il titolo legittimo di tale intromissione riposi nelle stipulazioni del 1830, alle quali il Governo del Re non ebbe a prender parte.

Una mutazione così importante nella nostra situazione politica deve necessariamente influire sul contegno dell'Italia rimpetto alle questioni che si presentano in Oriente.

Fatta ormai sicura la nostra posizione contro il pericolo di qualsiasi illegittima esclusione, noi non siamo più spinti dalla necessità di mantenere il nostro diritto, a ricercare in ogni occasione una parte attiva nelle vertenze concernenti l'impero Ottomano.

La nostra azione, non più fondat2. esclusivamente sulle convenzioni di Parigi, è divenuta ad un tempo assai più libera ed efficace, perché, mentre a noi non può essere contestato il diritto, di assumere al pari degli altri grandi Stati qualsiasi iniziativa negli affari d'Oriente, per altra parte noi possiamo senza compromettere in nessun modo il nostro diritto, tenerci in disparte ove un simile contegno riservato ci sembri più conveniente pegli interessi nostri particolari in Turchia, o più conforme alle esigenze della nostra politica generale in Europa. Sarà dunque a questa doppia stregua degli interessi generali e degli interessi particolari dell'Italia che noi dobbiamo d'or innanzi unicamente misurare la nostra azione nelle vertenze orientali.

La nostra posizione diplomatica di fronte alle difficoltà che sorgono nell'impero ottomano è quella che ci fu tracciata dalla dichiarazione collettiva alla quale abbiamo preso parte nell'ottobre dell'anno passato. Il principio espresso in quella dichiarazione è conforme alla massima fondamentale della nostra politica che è basata sul non intervento. Qualora questo principio sia da tutti rispettato, noi non vediamo da quali avvenimenti potrebbero essere compromessi i nostri interessi politici e commerciali in Levante.

Nella situazione politica attuale dell'Europa a noi importa anzi tutto allontanare i pericoli di vaste complicazioni, mantenere la pace fra i maggiori Stati, impedire tutto ciò che potrebbe riuscire funesto al progressivo, contemporaneo sviluppo degli elementi di civiltà e di nazionalità presso i popoli europei. La miglior linea di condotta a seguire per raggiungere un simile intento altra non può essere fuor di quella di mantenerci strettamente legati all'osservanza del principio di non intervento, principio che le popolazioni stesse della Turchia invocano e che la Sublime Porta ha dimostrato di voler rispettato allorché, forse con minore suo vantaggio ha respinto ripetutamente i consigli amichevoli delle potenze nella questione di Candia.

Epperò, nel mentre noi non sapremmo vedere come il Governo ottomano potrebbe lagnarsi di un contegno assolutamente riservato che verso di lui assumerebbe l'Italia dopo che egli a parecchie riprese, non ha voluto arrendersi ai suggerimenti della medesima, noi non vedremmo neppure, per altra parte come un siffatto nostro atteggiamento potrebbe riuscire sfavorevole a quella naturale tendenza che porta le popolazioni orientali a dimostrare al nostro paese le loro particolari simpatie.

Il frutto che da queste simpatie noi dobbiamo ricavare non è infatti in alcun modo contrario allo sviluppo politico ed economico di quelle popolazioni. Noi non cerchiamo in Levante terre sulle quali estendere il nostro dominio, noi vogliamo soltanto ristabilire in quelle contrade rapporti commerciali ugualmente utili all'Italia ed a quei paesL Le nostre tradizioni mercantili ci chiamano verso l'Oriente e le colonie nostre diggià stabilite potrebbero essere il fondamento di estesissime relazioni anche colle regioni più lontane del centro Asiatico, ove alle medesime si potesse ridonare quell'attività e quella vigoria che purtroppo si sono alquanto rallentate.

A questo, che è uno speciale interesse del nostro paese, noi dobbiamo rivolgere tutta la nostra attenzione. Profittando dell'occasione presente in cui ci è sommamente agevole di prendere una posizione tranquilla e riservata in tutto ciò che concerne le vertenze politiche della Turchia, noi dobbiamo procurare

in tutti i modi possibili di assicurare e promuovere l'incremento dei nostri traffichi coi principali mercati del Levante. A questo fine io non raccomanderò mai abbastanza alla S. V. di adoperarsi efficacemente a mantenere rispettato il diritto dei cittadini italiani, osservate scrupolosamente le convenzioni e gli accordi commerciali, protetta la navigazione e riverita la nostra bandiera. Ella raggiungerà in parte questo scopo, se, infondendo nell'animo degli agenti da Lei dipendenti non che delle persone le più influenti delle nostre colonie l'idea del dov-:J.·c elle incombe a tutti gl'Italiani di lavorare al ristabilimento della prosperità economica della patria, potrà ottenere che all'attività commerciale e marittima dei nostri negozianti e navigatori si aggiunga un'illibata riputazione di onestà, a mantenere la quale gioverà adoperare una scrupolosa severità nello escludere le esagerate ed infondate pretese che troppo spesso si mettono innanzi nelle questioni che sorgono verso i sudditi ottomani. Non sarà parimenti inutile allo scopo di accrescere il credito delle nostre colonie, che gli agenti del R. Governo abbiano ad adoperarsi con tutti i mezzi legali possibili ad epurarle da quegli elementi oziosi, facinorosi e talvolta persino pericolosi che recano non poco danno alla 1·iputazione del nostro paese. Una sorveglianza attiva sovra simili persone non deve riuscire difficile in paesi dove all'imperfezione degli ordinamenti della polizia locale può supplire in gran parte l'autorità estesissima dei consolati. Anche la disciplina della marina, una conveniente sorveglianza sulle sue operazioni, un controllo severo sulla condotta dei capitani e delle ciurme, potranno contribuire non poco ad assicurare alla nostra bandiera mercantile quella riputazione che fece la principale gloria delle nostre città marittime. Coordinando in questo senso l'azione di tutti gli agenti italiani in Turchia, noi otterremo più facilmente di calmare certi ingiusti sospetti che in altri tempi hanno potuto nascere nella Sublime Porta circa intendimenti dell'Italia nelle questioni orientali.

Allorchè le autorità ottomane vedranno come il solo nostro intento sia quello di accrescere e promuovere gli interessi commerciali e di rendere più attivi e proficui i traffici delle nostre colonie, il Divano imperiale sarà egli stesso impegnato a rimuovere gli ostacoli che si sono talvolta opposti all'incremento delle nostre relazioni commerciali colla Turchia. Queste considerazioni io raccomando specialmente alla S. V. perché dalla di Lei attività ed intelligenza io mi aspetto un efficace concorso nel dare agli affari italiani in Oriente un conveniente indirizzo. Giova, lo ripeto, profittare di un tempo in cui la nostra azione politica non ci crea alcun impegno, per adoperarci a mettere il fondamento di una solida influenza stabilita sulle frequenti ed importanti relazioni commerciali dell'Italia colle popolazioni dell'Oriente.

E qui prima di chiudere questo mio dispaccio devo farle osservare come il non voler noi uscire da quella posizione riservata che abbiamo interesse di conservare non escluda in alcuna guisa l'obbligo nei RR. Agenti in Turchia di informare con frequenti e ben ragguagliati rapporti di tutti gli incidenti politici che possano contribaire ad illuminare il Governo del Re sulla condizione vera del paese, sull'azione che vi esercitano le varie influenze che si agitano nell'impero ottomano imitando in ciò i loro colleghi d'altri paesi e sovratutto quelli d'Inghilterra i quali nei loro rapporti non si restringono ad emettere proposi

15 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

zioni generiche ma adducono sempre i fatti specifici che servono di prova

e di fondamento ai loro giudizi o che hanno dato luogo alle loro osservazioni.

Il Governo del Re messo per tal modo in grado di conoscere i mutamenti successivi che si produrranno nella situazione degli affari d'Oriente potrà ricavare dall'atteggiamento riservato che ora ha saputo assumere tanto maggiore profitto, quanto più libera sarà rimasta la sua azione e quanto più estesa riuscirà l'influenza economica e commerciale che avrà saputo procacciarsi nei paesi di Levante (l).

129

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A WASHINGTON, CERRUTI

D. 3. Firenze, 26 febbraio 1868.

I giornali giunti coll'ultimo corriere degli Stati Uniti hanno recato una singolare notizia intorno alla quale io sono convinto ch'Ella mi avrà a quest'ora diggià spedito qualche ragguaglio.

Ella comprende Signor Ministro, ch'io voglio parlare qui della lista degli Agenti Segreti dell'unione americana, lista che si dice sia stata presentata al Congresso dal Signor Seward e nella quale il nome del Generale Garibaldi figurerebbe fra quelli degli agenti occulti del Governo di Washington.

Il Courrier des Etats-Unis organo devoto agl'interessi francesi fu il primo a spargere questa notizia alla quale ormai riesce difficile non riconoscere qualche fondamento, dacchè il New-York Evening Post ha egli pure annunziato che questa singolare rivelazione è contenuta in una lettera del Signor Seward letta in Senato nella seduta del 4 febbraio corrente.

Ove la notizia fosse esatta, Ella comprenderà facilmente come non ci riesca agevole l'indovinare a quale scopo il Governo di Washington avrebbe creduto necessario di avere in !talla un suo agente segreto mentre nulla nella sfera dell'azione politica italiana poteva toccare agli interessi degli Stati Uniti, e come in ogni caso ci possa riuscire importante di sapere perché la scelta di questo agente sia caduta sovra la persona del Generai Garibaldi.

La impegno pertanto, Signor Ministro, a volersi attivamente occupare di questo argomento raccogliendo e trasmettendomi tutte le indicazioni che le sarà dato di ottenere al proposito (2). Nell'unire al presente un annesso in cifra, ...

ALLEGATO.

ANNESSO CIFRATO.

Dans un moment où l'ordre social de toute l'Europe se trouve menacé par la conspiration socialiste des Fenians il est curieux de rencontrer parmi les agents américains le chef du parti italien suspecte d'avoir des relations intimes avec cette meme conspiration.

(l) -Copia di questo dispaccio venne inviata in pari data a Bucarest perché l! console generale Susinno avesse «una norma precisa di condotta da seguire per ciò che più particolarmente concerne l'azione politica dell'Italia nelle vertenze orientali'>. (2) -Cfr. n. 140.
130

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 922/371. Londra, 26 febbraio 1868 (per. il 1° marzo).

La salute di Lord Derby che, siccome ho avuto l'onore d'informarne V. E. ultimamente, avea date gravissime inquietudini al punto di far partire Lord Stanley, suo figlio, per Knowsley, lo ha deciso a ritirarsi dagli affari. La Regina accettandone la dimissione, incaricò jeri il Signor Disraeli di ricostituire il Ministero. Un simile onore, benché meritato, da chi per tanti anni seppe condurre il suo partito a traverso a tanti scogli al punto attuale, può però destare un po' di sorpresa in un paese costituito aristocraticamente, come l'Inghilterra. L'esser stato ebreo e portarne, per così dire, il nome, non era certo d'ajuto, benché potessero i principii costituzionali passar oltre a queste considerazioni. Ma, lo ripeto, il trovarsi il Disraeli primo Ministro d'Inghilterra è cosa che avrebbe trovato molti increduli un anno fa. E non so se non si debba considerare come la prima pietra del nuovo ordine d'idee in cui entra l'Inghilterra in grazia al nuovo sistema di riforma, che sta per entrare in vigore colle elezioni rese necessarie col nuovo bill.

Il Disraeli non è mai stato amico d'Italia, mostrandosi così figlio ingrato, poiché il secolo scorso vedeva i suoi padri stabiliti a Livorno. Ma però non dubito che accetti il nuovo ordine di cose da noi, ed anzi in recenti occasioni l'ho sempre trovato disposto a far testimonianza in quel senso; mentre sicuramente io non andava a cercarne i favori.

Pare che non troverà gran difficoltà, essendo il Ministero attuale disposto a rimanere. Ma i Tories medesimi mi dicevano jeri sera che questo ritiro diminuirà molto la probabilità di rimanere a lungo agli affari. Essendo il Ministero un po' debole alla Camera dei Pari, si pensa rafforzarlo nominando come Cancelliere Lord Cairns, giureconsulto di gran talento ed oratore distinto. Forse alle Finanze si chiamerà Sir Stafford Northcote o il Signor Hunt. Lord Stanley rimane agli Esteri ed ai Comuni. Fuori che si trovi necessario di metterlo anche lui nella Camera dei Pari, promozione ch'egli accetterebbe con ripugnanza.

131

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 28. Pietroburgo, 26 febbraio 1868 (per. il 5 marzo).

Ieri l'altro ripartì per la volta di Parigi il Principe di Budberg Ambasciatore presso quella Corte. Quantunque il viaggio del diplomatico russo per un congedo temporaneo da lui ottenuto non avesse propriamente per cagione una convenienza politica, ma bensì un interesse privato e del tutto personale, pur nondimeno la sua dimora non passò senza alcuna trattativa diplomatica apparte

nente alla sua posizione officiale. Bene è noto alla E. V. per i rapporti antecedenti di questa Legazione come ad occasione del Memorandum elaborato dalla Cancelleria Russa intorno alle cose di Creta, un dissidio si manifestasse fra il Cancelliere dello Impero ed il Generale Ignatieff, ambasciatore a Costantinopoli, Le vedute del Principe Gortchacow si differenziavano da quelle del Generale Ignatieff sopratutto in questo, che Egli toglieva come principale movente della sua azione diplomatica in Turchia il principio delle autonomie Cristiane, laddove quest'ultimo, senza sconoscere l'osservanza di così fatte autonomie, toglieva innanzi di giungervi per la via indiretta di una riforma amministrativa generale proveniente dall'applicazione sincera ed estesa delle concessioni stipulate nell'Ratti Houmayoun del 1856; ma di questa il Principe Gortchacow rifiutava di invocare altrimenti l'applicazione come di un atto emanato da un diritto pubblico stabilito in onta della prerogativa russa e che ad essa conveniva di accettare per obbligazione assunta, ma non già farlo suo, e prenderlo per fondamento della sua politica. Uno scambio di osservazioni alquanto aspre fra i due diplomatici mentre lo Czar era ancora in Livadia, e l'obbligo imposto al generale Ignatieff di seguire le tracce del documento inviatogli dal Gabinetto e arroge qualche briga domestica del Principe Gortchacow, indussero nel pubblico l'opinione che Egli fosse per allontanarsi dal Governo dello Stato, e cedere il posto all'Ambasciatore del suo Sovrano presso la Sublime Porta, il quale era in allora e travasi ancora fin'oggi a Pietroburgo. Oltre a questa discrepanza di pareri, un'altra ve n'era ancora da comporre per dare indirizzo unico e fermo alla politica Russa in Oriente, quella cioè che correva fra le due Ambasciate di Costantinopoli e di Parigi, perciocchè per avviso del Budberg, niuna ostilità o duplicità di intendimenti rispetto alla Corte di Russia non era da temere quanto alle cose di Turchia per parte dell'Imperatore dei Francesi, mentre l'Ignatieff mostrava per il contrario una invincibile diffidenza verso la diplomazia francese, ed una certa ripugnanza ad accordarsi del tutto con quella nelle cose di Levante. Una lunga e formale Conferenza ebbe luogo in presenza dello Czar dopo l'arrivo del Budberg fra i tre diplomatici Moscoviti, dalla quale i concetti del Principe Gortchacow uscirono prevalenti mercé l'approvazione del Sovrano, che mostrò di accostarglisi per ogni parte; il perché nulla vi sarà di mutato sul modo da tenere intorno agli affari di Grecia, ed al sistema da seguire in generale verso i Cristiani d'Oriente; e il programma della politica Russa resta pur sempre quello dell'ultimo Memorandum. Quanto poi all'attitudine da tenere rispetto a Francia il generale Ignatieff, e il Principe Gortchacow non si discordano punto fra di loro e non partecipano né l'uno né l'altro dell'ottimismo che il Barone di Budberg vorrebbe loro persuadere: onde l'E. V. ben comprende che la posizione di quest'ultimo reduce alla sua residenza non sarà senza qualche difficile congiuntura, e tutt'altro che agevole riescirà il mandato che a lui s'appartiene di mantenere saldi i vincoli di amicizia e di cordialità fra i due Governi.

In generale, Signor Ministro, non è possibile il negare che regna sempre nel Gabinetto del principe Gortchacow un sentimento di sfiducia verso la Francia, e che più è d'irritazione non dissimulata verso il Governo austriaco, ma si afferma l'esistenza di un trattato fra le due potenze convenuto dopo le visite di Salisburgo e di Parigi in previsione delle eventualità Germaniche ed Orientali e vi si esprime un vero desiderio che l'Italia non abbia a fare causa comune con esse, in onta, essi dicono, del principio di nazionalità. Venivami anzi assicurato da persona appartenente a quel Gabinetto che non sono molti giorni passati dacché il generale Gablenz conducevasi con alcuni ufficiali di Stato Maggiore sulla frontiera della Bosnia per una ispezione militare che venne eseguita a lungo con esplorazioni di terreno, e operazioni di scandaglio sulle sponde della Sava.

Un tale fatto si collegherebbe con tutto un disegno diplomatico e militare che gli uomini politici di questo paese attribuiscono alla Francia e all'Austria alleate per cui a un prossimo moto in Germania le truppe austriache occuperebbero militarmente le provincie Slave più occidentali della Turchia, come la Bosnia e l'Erzegovina, il che sarebbe per il Governo di Pietroburgo un caso solenne di guerra e di intervento rigoroso in una lotta generale Europea. Ho appena bisogno di aggiungere come io abbia ricevuto queste comunicazioni, che riferisco per semplice puntualità d'informazioni all'E. V., senza esprimere nessun mio sentimento e con tutta quella riserva che è imposta dalla gravità dell'argomento.

132

IL MINISTRO A WASHINGTON, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE S. N. Washington, 26 febbraio 1868.

Nella previsione che la corrispondenza di questa Legazione possa essere destinata a comparire nel libro verde, ho creduto opportuno, nel Rapporto che Le dirigo quest'oggi n. 17 serie politica (l), di !imitarmi alla più semplice esposizione dei miei passi ufficiali presso questo Governo; aggungo ora alcuni cenni destinati a farle comprendere lo spirito che regna in questo Gabinetto in materia di vertenze Europee, coi varii Stati dell'America.

È superfluo che Le dica, che la dottrina di Monroe è più che mai tenuta in culto da questo Gabinetto. Si giunge al punto di negare ai diversi Stati Europei che possiedono colonie in America, il diritto di cederle ad altri che a potenze Americane. Non si sarebbe mai permesso alla Russia di cedere il terreno di Alaska ad uno Stato Europeo, né alla Danimarca di trasmettere a Stati non Americani le isole di Saint Thomas e di Saint John. Questo spirito di protettorato esclusivo americano, è qui diviso indistintamente da ogni partito e da ogni fazione. In una contesa di tal natura, il Gabinetto di Washington avrebbe l'appoggio di tutto il paese.

Passando ora al merito della nostra quistione, debbo ora dirle che mi si fece lettura, rapida e superficiale peraltro de' Rapporti del Signor Marsh al Signor Seward.

II Signor Marsh, riferisce aver avuto conoscenza del fatto dalla lettura d'un Articolo del Giornale l'Opinione -di essersi immediatamente recato da V. E., di averne avuto esplicite e franche specificazioni, -di aver ricevuto la verbale assicurazione che 11 R. Governo non intendeva a conquiste, o ad acquisizioni di territorio, -che non chiede che d'essere assimilato al trattamento ottenuto dalla Francia e dall'Inghilterra in identica situazione, -che la nostra spedizione navale non avea per iscopo che di conseguire questo risultato. Il Signor Marsh aggiunge, che io sarei forse incaricato di esporre ufficialmente lo stato delle cose a questo Governo. Le lettere del Signor Marsh portano la data del 2 e 3 febbrajo, e qui giunsero quattro giorni prima delle istruzioni di che mi onorò V. E. (l). Colla rapidità che regna in questo Dipartimento di Stato in simili materie, 11 Signor Seward già avea risposto al Signor Marsh, -approvando l'iniziativa del Marsh presso di Lei, -annunziandogli che copia della di lui corrispondenza partiva lo stesso giorno per Buenos Ayres, onde ne fosse informato il Generale Asboth.

Il Signor Seward dopo questa lettura mi disse che per dare tale incarico al loro Ministro nel Plata, era d'uopo ch'io gli dirigessi una Nota.

V. E. vedrà che la Nota da me direttagli (2) è più o meno la riproduzione d'una parte del di Lei dispaccio, ma osserverà che non ho calcato le ultime sue righe e ciò per un doppio motivo. Primieramente, perché se sono chiare per noi, possono non parerlo ugualmente al Signor Seward, ed in secondo luogo perché se avessi messo per iscritto la frase evitando ogni tatto di guerra, avrei di troppo impegnato il R. Governo che può in certe estremità dover ricorrere forzatamente a qualche ostilità, locché sarebbe stato qui accolto come una infrazione ai nostri impegni. Colla frase generale, Avant d'avoir recours à d'autres moyens, evitiamo di porre in allarme questo Governo, e non contrattiamo impegni assoluti.

In generale il Signor Seward è ben disposto per noi, e per poco che il Cavalier Raffo si trovi in buone relazioni col suo collega degli Stati Uniti, oso lusingarmi che quest'ultimo potrà esserci di molta utilità.

Mi fu qui permesso di chiedere rispettosamente se non sarebbe il caso di profittare di questa circostanza per fare inserire nel nostro Trattato Commerciale un Articolo che figura in quasi tutti i Trattati, e che il Governo dell'Uruguay ci ha constantemente ricusato, quello cioè del trattamento reciproco della Nazione la più favorita, in fatto di commercio e di navigazione. Ricordomi che quando io stava trattando col Signor Fiorentino Castellanos nel 1852-53, in allora Ministro degli Affari Esteri in Montevideo, quest'Articolo era stato da me ottenuto, ma la Commissione del Senato che dovea farne rapporto concluse nel senso della reiezione, e ciò per gli intrighi di persone interessate a riserbare al Brasile e alla Confederazione Argentina, e fors'anca alla Spagna, un trattamento speciale.

Io stava insistendo e ricusava recisamente di sottoscrivere un Trattato senza quella vitale condizione, quando un Incaricato di Affari di Prussia, nuovo alla materia, e dopo di lui un Ministro del Belgio, entrambi d'altronde poco

interessati a privilegi! di navigazione accettarono la deficienza, e mi lasciarono isolato. Il R. Governo agi saggiamente nell'accettare quattordici anni dopo questi patti, perché val meglio avere un Trattato incompleto che non averne alcuno; ma parmi che in questo momento si potrebbe rivedere questa quistione, appoggiandoci anco su di un patto o convenzione sottoscritta, parmi, dal Ministro Magarifios col Cavalier Gavazzo, non approvata però dalle Camere, nella quale l'assimilazione al trattamento di favore era confermata.

Mi rammento pure che non meno di una quarantina di successioni di regii sudditi, alcune delle quali di qualche entità, rimaneano illiquidate, ed il loro prodotto giaceva depositato nelle mani di parecchi sedicenti liquidatori, cui erano state affidate dal Governo locale malgrado le costanti rappresentanze del R. Governo.

Finirò col permettermi un'ultima osservazione, ed è che qualunque sia il convegno o la transazione che si farà con quel Governo, sarà bene che se ne esiga l'esecuzione prima dell'allontanamento della squadra, perché altrimenti saremmo obbligati a mandarne un'altra. Varrà meglio una transazione modesta, ma eseguita immediatamente che condizioni vantaggiose da rimanere in sospeso.

P. S. Il Signor Seward scriverà a Montevideo dopo domani, via Southampton, essendo partito quattro giorni sono, il vapore mensile di coincidenza colla linea di Montevideo.

(l) Non pubblicato.

(l) -Cfr. n. 97. (2) -Non pubblicata.
133

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, SUSINNO

D. 20. Firenze, 27 febbraio 1868.

La presenza del Signor Bratiano in Vienna avendo dato luogo fra quel corpo diplomatico ed il ministero austriaco degli Affari Esteri a colloqui nel quali la quistione dell'abolizione delle capitolazioni nei Principati Uniti venne tratta in campo, ho voluto che il R. Incaricato d'Affari in quella residenza fosse in grado di conoscere le intenzioni del Governo del Re circa quella importante vertenza. A questo fine ho indirizzato al cavaliere Blanc un dispaccio del quale Ella troverà qui unito copia (1). Ho stimato anzitutto conveniente soffermarmi a distinguere fra di loro varie quistioni che non possono essere congiunte, perché mi sembrò di scorgere che in taluni vi fosse una certa tendenza a generalizzare i termini della quistione medesima per modo da rendere sommamente difficile, e fors'anca impossibile, la soluzione.

Sembra che il signor Bratiano non abbia a recarsi cosi presto a Firenze, epperò io credo che per ora il R. Governo non avrà occasione di esprimere in modo più concreto e positivo la sua opinione circa gli affari che quel Signore

è più particolarmente incaricato di trattare; ma in previSIOne del caso in cui noi dovessimo formulare un giudizio definitivo ed esplicito intorno ad un argomento di tanta importanza, converrebbe che noi fossimo sin d'ora informati di ogni particolarità risguardante le guarentigie che presenta l'amministrazione della giustizia quale si trova attualmente ordinata nei Principati Uniti.

Io La invito pertanto, Signor Commendatore, a voler attentamente esaminare tanto lo stato attuale della legislazione civile, penale, commerciale e di procedura di codesto paese, quanto gli ordinamenti giudiziari esistenti. Nel rendermi esatto conto dell'una e dell'altra cosa, io gradirei assai ch'Ella ml facesse conoscere qual parte della giurisdizione civile conservino ancora le autorità ecclesiastiche nelle materie riguardanti il matrimonio e conseguentemente lo stato civile delle persone, e quali giudici suppliscano il foro ecclesiastico, quali leggi si sostituiscano a quelle della chiesa, quando le cause matrimoniali si agitano fra persone che non appartengono al culto ortodosso. Ed a questo proposito io bramerei avere dalla S. V. la certezza che agli stranieri siano costà realmente riconosciuti tutti i diritti civili che in Romania si riconoscono agl'indigeni.

Gli studi fatti sovra tutte queste questioni e la esperienza ch'Ella avea già acquistato delle cose di codesto paese dirigendo in questo Ministero gli affari del Levante, Le renderanno meno difficile, anche dopo pochi mesi di soggiorno in Bucarest, di riferire intorno a quei vasti argomenti che ho sovra accennato con quella ampiezza che è necessaria trattandosi di dover prendere una decisione ponderata e motivata in un affare di molta importanza al punto di vista degl'interessi particolari dei R.R. sudditi nei Principati, e di non minore rilievo al punto di vista politico.

(l) Cfr. n. 122.

134

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO

D. 19. Firenze, 27 febbraio 1868.

Il viaggio del Ministro delle finanze di Serbia in Vienna, del quale Ella mi ha parlato, avrebbe anche stando a quanto mi scrive quella R. Legazione, tre scopi conosciuti. Quello cioè di farvi battere una moneta propria del Principato, quello di trattarvi delle quistioni risguardanti la congiunzione delle linee austro-ungheresi colle ferrovie ottomane della valle del Danubio; quello infine di ottenere dal gabinetto di Vienna certe concessioni relative alle capitolazioni, concessioni che dopo sarebbero chieste a tutti gli altri paesi rappresentati in Serbia.

Il primo ed il secondo di questi tre oggetti della missione del Signor Zukitch non hanno per noi che un interesse indiretto né sembra quindi probabile che sovra i medesimi possiamo essere per ora chiamati ad emettere una opinione. Ma non è così del terzo argomento, di quello cioè che ha tratto all'osservanza delle capitolazioni perocché, se è vero che l'Austria è più di noi interessata in questo momento nella quistione, non devesi però in alcun caso dimenticare che l'abolizione totale o parziale delle capitolazioni è essenzialmente una quistione di principio nella quale sono ugualmente impegnati gl'interessi di tutti i paesi i quali hanno relazione coll'Oriente.

Un accordo parziale che potesse aver luogo fra il Governo principesco ed il Governo austriaco non modificherebbe quindi, a nostro avviso, la quistione di massima se lo stesso accordo non fosse nel tempo medesimo conchiuso cogli altri Governi.

Come Ella sa certamente la quistione di una revisione delle capitolazioni è attualmente oggetto di trattative fra i varii Governi europei ed il Governo egiziano, anche la Rumania ha fatto intendere ai vari Gabinetti che desidererebbe una riforma al regime in vigore; dal canto nostro abbiamo esaminato l'una e l'altra questione ed abbiamo avuto occasione di pronunciare! nel senso espresso in un dispaccio che ho ultimamente indirizzato al R. rappresentante in Vienna (l). Ella troverà qui unito copia di quel documento dal quale potrà vedere quali siano i nostri intendimenti circa a questi affari.

Per ora non abbiamo ad occuparci della Serbia perché il Governo principesco non ha fatto presso di noi alcuna entratura al riguardo; ma prevedendo il caso in cui il Governo di Belgrado volesse iniziare anche con noi una pratica in proposito converrebbe che noi fossimo sin d'ora informati d'ogni particolarità risguardante le guarentigie che presenta l'amministrazione della giustizia quale attualmente si trova ordinata nel Principato di Serbia.

Vedi Registro di Bucarest pag. 14 dalle parole «Io La invito» fino a «si riconoscono agli indigeni» (2).

La lunga dimora che la S. V. ha fatto in codesto paese Le renderà meno difficile di rispondere a questi vasti quesiti con tutta quell'abbondanza di notizie che è necessaria perch'io abbia un'idea esatta delle condizioni attuali dell'amministrazione della giustizia civile e penale in Serbia.

135

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 248 (3). Vienna, 27 febbraio 1868 (per. il 5 marzo).

Dans un entretien que j'eus hier avec S. E. le Chancelier de l'Empire, j'ai trouvé l'occasion de lui faire part, avec la franchise que comportent les excellents rapports des deux Gouvernements, de l'impression produite en Italie par l es pièces du Livre rouge qui nous concernent directement ( 4).

J'ai d'abord dit à S. E. le Baron de Beust que le Gouvernement du Roi tient compte de la considération que l'Exposé placé en tete de ce recueil contient en définitive l'expression décisive des vues amicales de l' Autriche envers l'Italie; mais que V. E. n'en a pas moins éprouvé elle-meme le regret, exprimé déjà

(-4) Cfr. n. 125.

par moi dans une récente visite à S. E. le Baron de Beust, que le Gouvernement Impérial dont les communications confidentielles nous ont toujours prouvé les meilleures dispositions, n'alt pas évité, dans la correspondance récemment publiée, certaines phrases inutilement fàcheuses.

J'ai ensuite, conformément aux intentions de V. E., appelé l'attention du Chancelier de l'Empire sur la différence qui semble exister entre la résolution, qu'il m'a témoigné en novembre dernier, de ne pas se pr~ter à la réunion d'une conférence sur la question romaine entre puissances catholiques seulement, et le projet, formulé dans la dép~che du Chancelier de l'Empire au Prince de Metternich en date du 13 mars précédent, d'une «entente entre les principales puissances catholiques pour sauvegarder les grands intérets qui se rattachent à l'existence du tròne pontificai». L'acceptation par l'Autriche de l'invitation du Gouvernement français à une conférence sur la question romaine où toutes les puissances seraient représentées, exclut-elle désormais, dans la pensée du Gouvernement Impérial l'idée d'une immixtion particuliére que les puissances catholiques auraient, comme telles, à exercer dans les affaires d'ordre politique intéressant le territoire romain et ses habitants? C'est un point sur lequel le Gouvernement du Roi peut raisonnablement désirer etre éclairé.

J'ai en outre complété en passant, par une observation indispensable, le compte rendu que S. E. le Ministre d' Autriche à Florence a adressé le 23 novembre à S. E. le Baron de Beust sur la lecture par lui donnée à V. E. de la circulaire du Cabinet Impérial du 19 du m~me mois, ainsi que de la dép~che qui accompagnait cette pièce. M. le Baron de Kubeck, ai-je remarqué, en donnant connaissance de ces documents à V. E. avait eu l'attention de tempérer par de commentaires courtois l'àpreté de certains passages, qui, sans cela, auraient été relevés par V. E.

En conclusion, j'ai rappelé à S. E. le Baron de Beust que nous avons mis pour notre part une réserve scrupuleuse dans le choix des documents présentés à nos Chambres, et que s'il en eiìt été autrement, le recueil italien, aurait formé un certain contraste vis-à-vis du recueil publié à Vienne.

S. E. le Baron de Beust me répliqua d'abord que l'état des affaires de Rome avait assez changé du mois de mars au mois de novembre 1867, pour justifier la différence des points de vue où le Gouvernement Impérial a diì se piacer à ces deux époques. Lorsqu'il signalait l'éventualité où Garibaldi arriverait à Rome, le Gouvernement Impérial obéissait au désir de prévenir des complications périlleuses pour l'Italie elle-m~me, au lieu d'écouter certaints partisans de restaurations dont le voeu était au contraire qu'on laissàt le mal grandir pour mieux en tirer parti contre l'Italie. La pensée de S. E. le Baron de Beust, si je l'ai bien saisie, est que ses démarches ne pouvaient alors s'adresser qu'à la France, dont la responsabilité était engagée par la Convention du 15 septembre, et qu'elles devaient avoir surtout pour objet les intér~ts moraux menacés par une revendication armée des principes proclamés au Congrès de Genève, intér~ts dont les états catholiques ne pouvaient se dispenser de se préoccuper. Quelques mois plus tard au contraire, Ies événements survenus et la tension qui en était résultée entre l'Italie et la France avaient fait prédominer de nouveau le còté politique et international, en quelque sorte, de la question romaine: le Cabinet de Vienne dès lors, toujours désireux de voir, à Rome comme à Constantinople, l'Europe entière agir de concert pour le maintlen de la paix générale, a jugé que désormais, pour qu'une entente sur la question romaim• put atteindre ce but, toutes les puissances sans distinction devraient y prendre

part.

A l'égard des expressions de ses dépeches qui ont froissé le sentiment public en Italie, S. E. le Baron de Beust me dit les avoir d'autant moins présentes à la mémoire qu'un tel résultat a toujours été très éloigné de ses intentions. Il me demanda à ce propos à quelles dépeches j'avais fait particulièrement allusion en lui rappelant la discrétion gardée par le Gouvernement du Roi dans ses propres publications.

Je répondis que sans aucun doute c'étaient mes rapports confidentiels sur les vues du Gouvernement Impérial et sur la position par lui prise vis-à-vis de la question romaine. Je l'avais fait connaitre en effet à mon Gouvernement, qui en avait éprouvé une véritable satisfaction à l'époque où la France faisait prévoir qu'elle interviendrait à Rome dans certaines éventualités, l' Autriche, tenant à ne prendre aucune responsabilité dans une question si épineuse, se tenait en dehors de toute solidarité avec la France dans un tel dessein; et ce n'est point sur une sorte de politique catholique engageant entre autres Cabinets celui de Vienne, mais sur une interprétation de la Convention du 15 Septembre par lui signée, que le Gouvernement français a pu se fonder pour exécuter son intervention armée. L'Autriche à écarté le projet d'une garantie collective de l'état actuel du territoire romain, l'Autriche a décliné la proposition de l'Espagne de faire à Paris des démarches en commun pour le maintien du pouvoir temporel de la Cour de Rome. A l'approche de l'intervention française, lorsque j'invoquai au nom du Gouvernement du Roi, les bons offices du Gouvernement de l'Empereur pour détourner la France des résolutions violentes qu'elle méditait, le Chancelier de l'Empire, en m'expliquant comme il était tenu de garder en tout ceci une réserve à laquelle la Prusse elle-meme se croyait obligée, me promit du moins qu'il ne ferait et ne dirait rien pour encourager le Gouvernement français à une expédition qui pouvait amener des complications des plus regrettables. Après que l'intervention fut accomplie, le Cabinet de Vienne parut prévoir sans désapprobation une occupation mixte du territoire romain en tant qu'elle eut pu atténuer le caractère irritant du nouvel état de choses. L'assertion que «l'Italie avait du etre rappelée par la France à l'exécution de la Convention de Septembre » ayant échappé aux préoccupations de S. E. le Baron de Beust dans une dépeche émanée de sa chancellerie et relative principalement à d'autres questions. S. E. voulut bien m'en exprimer ses regrets avec la spontanèité la plus bienveillante. Le Cabinet Impérial dans le cours des négociations pour la réunion d'une conférence, a délibérement évitè de prononcer le mot de pouvoir temporel ainsi que tout autre de nature à préjuger en quelque sens que ce fut le fond de la question romaine, jugeant avec raison que les difficultés pratiques n'en pourraient qu'etre accrues par des déclarations absolues et des exposés théoriques de systèmes préconçus. Enfin les conversations où M. le Baron de Beust a bien voulu entrer avec moi sur l'usage que l'Autriche ferait de son influence dans la conférence éventuelle sur les affaires de Rome, m'ont laissé la conviction que le Gouvernement Impérial n'y démentirait pas l'esprit libéral dont il s'est montré animé

dans son administration intérieure. Tels sont entre autres, ai-je dit à S. E. le Baron de Beust, les témoignages que j'ai été heurcux de rapporter au Gouvernement du Roi et dont nous nous sommes abstenus de prendre acte publiquement, par un égard délicat envers la situation particulière du Gouvernement Impérial, et dans l'intéret de la continuation d'un échange d'idées sérieux et confidentiel entre les deux Cabinets. N'est-il pas exact de dire que si nous eussions apporté moins de scrupule à éviter de paraitre vouloir engager le Gouvernement Impérial au délà de ce que comportaient ses convenances du moment, le recueil italien aurait produit une impression autre et à notre point de vue meilleure que celle que font éprouver, dans la lecture du Livre rouge, des passages qu'il serait superflu de désigner?

Là dessus S. E. le Baron de Beust voulut bien me réitérer ses déclarations antérieures, appuyées sur les sentiments personnels de Sa Majesté l'Empereur, touchant l'intéret que prend l'Autriche, soit par sympathie de bon voisinage, soit au point de vue du maintien de l'ordre et de la paix en Europe, à la consolidation de notre unité. Il ajouta que ces dispositions de l'Autriche étant hors de doute, rien ne nous donnait lieu de considérer comme des signes d'inimitié envers nous les égards que rend le Cabinet Impérial au Gouvernement romain.

Le Chancelier de l'Empire m'ayant du reste annoncé qu'il écrirait à S. E. le Ministre Impérial à Florence pour éclaircir les points que j'avais mission de lui signaler, j'espère que V. E. trouvera dans cette communication une preuve nouvelle des bonnes intentions auxquelles je crois personnellement de la part du Gouvernement Impérial envers l'Italie.

(l) -Cfr. n. 122. (2) -Cfr. n. 133. (3) -Sic ma Il R. 246 è del 28 febbraio e Il R. 247 del 1o marzo. Evidentemente l tre documenti furono protocollati e spediti Insieme.
136

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 65. Firenze, 28 febbraio 1868.

I dispacci ch'Ella mi ha indirizzato coi NN. 152 sino a 157 (l) mi giunsero regolarmente.

Quanto le fu detto circa le trattative per istabilire un modus vivendi fra l'Italia e la Santa Sede è in gran parte esatto. Havvi però fra quanto Ella mi scrive e la verità dei fatti questa essenziale differenza, che il R. Governo non ebbe a recedere da alcuna sua preliminare condizione, formulata nei precedenti suoi dispacci dacché quei documenti si riferivano ad una ipotesi per ora abbandonata a quella cioè di una soluzione definitiva della questione romana da trovarsi col concorso di tutte le potenze europee.

Affinché Ella possa meglio conoscere la vera indole del negoziato di cui qui è parola, Le trasmetto in questo piego copia di alcuni dispacci che al medesimo si riferiscono. Per non togliere il carattere vero che deve avere questo temporario accomodamento era indispensabile che da noi si evitassero tutti i passi che avrebbero potuto in qualche maniera prestare occasione o pretesto

ad intromissione di altre potenze nella trattazione di questo affare. Mi astenni dunque di farne oggetto di comunicazione ai governi amici non direttamente interessati, senza però fare delle trattative in corso mistero a quei diplomatici esteri che mi hanno interpellato al riguardo. Non mi fa pertanto meraviglia che il Conte di Usedom abbia potuto informare il suo Governo dell'accordo che si sta negoziando perché egli ebbe certamente occasione di esserne qui istruito ma io La autorizzo, Signor Conte, a distruggere col suo linguaggio tutti gli erronei apprezzamenti che si fossero prodotti in questa occasione, riducendo alla loro vera importanza i negoziati pei quali pendono le trattative.

(l) Cfr. n. 119; gli altri rapporti non sono pubblicati.

137

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 246. Vienna, 28 febbraio 1868 (per. il 5 marzo).

Dopo le spiegazioni date dal Barone di Beust nel Reichsrath in risposta alla interpellanza Schindler sulla condotta di questo Governo verso gli annoveresi, si considera come terminata la discussione a tale riguardo tra il Gabinetto di Vienna e di Berlino. Si cerca qui a decidere il Re Giorgio, non ad escire dal territorio austriaco, ma a scegliere una residenza meno vicina alla Capitale.

Tuttavia continuano, come l'E. V. sa, le lagnanze dei fogli ufficiosi prussiani contro la condotta del Governo austriaco verso gli emigrati annoveresi, e l'incidente, ormai esaurito, almeno secondo ogni prev1s10ne, come argomento attuale di corrispondenza diplomatica, sembra lasciare un poco di malumore tra i due Governi. Il Barone di Werther, che d'altronde tiene il broncio al Cancelliere dell'Impero dalla pubblicazione del Libro rosso in poi, per la rivelazione in esso fatta di sue conversazioni private, ha modificato alquanto il suo linguaggio che era per solito del tutto conciliante, e mi diceva, per esempio, in una recente conversazione, che sarebbe poco conoscere la natura umana, il credere che il Barone di Beust non abbia conservati alcuni risentimenti ed alcune arrière-pensées, di fronte al nuovo ordine di cose in Germania. Il Barone di Beust dal canto suo stima aver ragione di deplorare che a Berlino si tenga così poco conto di quanto egli fece per la pace, e si abbia così poco riguardo al contegno conciliante dell'Austria, da suscitare contro di essa una vera tempesta in quei fogli ufficiosi per un incidente non meno disgustoso pel Governo imperiale di quel che possa esserlo per il Gabinetto prussiano. È notevole che in ciò la stampa liberale tedesca, nell'Impero, biasima gli attacchi dei Giornali berlinesi contro il Barone di Beust e cerca nelle più strane supposizioni la cagione di quel partito preso a Berlino di non volersi a nessun conto appagare del contegno dell'Austria in tale vertenza.

Fra queste supposizioni primeggia quella secondo la quale il Conte di Bismarck, diventato, dopo l'ultima crisi da lui affrontata, padrone del partito clericale in Prussia, miri a capitanare questo medesimo partito nella Germania tutta, ed a servirsene perfino, più o meno indirettamente, nell'Austria stessa per minare la posizione del Barone di Beust; a tale scopo gioverebbe al Conte di Bismarck di spingere colle proprie esigenze il Barone di Beust a romperla completamente colle numerose e potenti aderenze del Re Giorgio a Vienna. Riferisco tali supposizioni alla E. V. unicamente come indizii dello stato degli spiriti qui.

Secondo ogni apparenza, si fu per premunirmi contro i rumori, per noi inquietanti se fossero veri, di un indirizzo clericale adottato dal Governo di Berlino, che il Barone di Werther mi disse di propria iniziativa, pochi giorni fa, potermi assicurare che il suo Governo non inaugurerà una politica di reazione e di compromessi clericali che possa alterare i nostri buoni rapporti; e sperare che l'amministrazione presieduta dall'E. V. non sarebbe sostituita da altra; al che fui lieto di poter rispondere affermando recisamente che il paese nostro ed il Parlamento sono ogni giorno meglio disposti verso il Gabinetto attuale e ripugnano profondamente dal ritorno di nuove crisi ministeriali.

Oggi però il Conte di Stackelberg mi assicura che secondo recentissime notizie, il Conte di Goltz ha ultimamente annunziato all'Imperatore, il quale se ne mostrò soddisfattissimo, che il suo Governo consente a dare al Governo del Re consigli di moderazione e di prudenza nella questione romana. Suppongo che tali informazioni, come le analoghe già precedentemente smentite dal Ministro del Re a Berlino, saranno riproduzioni esagerate e poco esatte di assicurazioni generiche e senza portata che il Conte di Goltz poté essere autorizzato a dare al Governo francese circa l'astensione della Prussia da ogni azione meno conciliante presso il Governo del Re.

P. S. Mi pregio accusar ricevuta alla E. V. di un secondo n. 79 di Serie Politica in data del 20 corrente contenente tre documenti diplomatici, del n. 80 addì 21 corrente, del N. 81 addì 22 Febbraio, del N. 82 della stessa data contenente 11 documenti diplomatici, del Dispaccio Gabinetto senza numero (l) à cui era annessa la Cifra per servire alla Corrispondenza fra questa R. Legazione e quella in Berlino, nonché quattro plichi per questo Ministero Imperiale che mi affrettai di far pervenire al suo destino. Ad ogni buon fine credo dover informare la E. V. non essermi pervenuto un Dispaccio Politico

N. 78 che suppongo non essere altro che il N. 79 in data del 4 corrente (2).

I dispacci e plichi di cui ho l'onore di qui segnare ricevuta mi vennero nmessi il 24 corrente dal Corriere di Gabinetto, Signor Anielli.

138

IL CONTE VIMERCATI A GIOVANNI VISCONTI VENOSTA (3)

L. P. Parigi, 28 febbraio 1868.

Dalle mie lettere antecedenti avrai rimarcato le varie modificazioni avvenute ai primitivi progetti, ora tutto è stabilito in via officiosa d'accordo col

!Imperatore. Ecco le basi dei nuovi accordi che si erano stabiliti con Rouher

onde far rivivere la Convenzione di Settembre. Invece di un trattato prefe

rendosi ora a Firenze di giungere allo stesso risultato a mezzo di dispacci,

questo sistema fu accettato di preferenza anche dall'Imperatore e la base dei

dispacci suddetti saranno il progetto del trattato B che ti accludo, che fu

fatto in risposta ad un primo progettato da Rouher che credo inutile comu

nicarti (l). Ti prego del più rigoroso segreto, poiché sarebbe indelicato da

parte mia il divulgare le negoziazioni in corso, per la riuscita delle quali il

segreto è una delle prime condizioni.

Il Governo Imperiale prendendo come punto di partenza la nota di Menabrea pel modus vivendi con Roma (2), risponderà ciò che è contenuto nell'articolo primo, la risposta del Guverno del Re a questa nota, conterrà l'art. 2° e così successivamente, per non disgustare il Clero, nel caso che la dissoluzione del Corpo Legislativo, consigliata da Rouher dovesse aver luogo, allo scopo di fare le nuove elezioni, prima che il cattivo effetto de la nouvelle loi sur la presse et du droit de réunion abbiano esercitato la loro influenza. L'Imperatore manifestò il desiderio d'associare anche la Prussia alle dimostrazioni di simpatia per l'unità italiana e ciò nell'intento di non offuscarla e di aprire la via ad una triplice alleanza. È ben inteso che tutti i dispacci saranno fatti in modo da pubblicarsi perché servano in Italia a dar forza al partito conservatore e ad ajutare il Ministero a far passare i provvedimenti finanziarii, cosa per la quale il Menabrea insiste incessantemente.

Oltre al desiderio di voler tener Emilio al corrente di quanto si passa, lo scopo delle mie lettere è anche di dimostrare in modo incontestabile come io non abbia cangiato maniere di agire in favore della causa comune anche dopo l'inqualificabile condotta del Governo a mio riguardo, massime nelle forme. Non avendo potuto recarmi in Italia pei bisogni di Monza, scrissi una lettera, ostensibile al Re, col consenso di Nigra, facendo sentire come nell'interesse del Governo la mia presenza era necessaria qui -il Menabrea ebbe sentore della cosa, telegrafò a Nigra quale fosse la mia ingerenza, Nigra rispose che il Ministro di Stato per ragioni sue particolari e per evitare pubblicazioni come già accadde, non voleva trattare che con me, fintanto che le trattative rimanevano nella via segreta ed officiosa.

Il dirti l'insistenza di tutti i giorni e la ripugnanza che ho dovuto vincere, lo potrei difficilmente, mi dava coraggio la mia coscienza del passato ed il sentimento di dovere che ogni suddito deve alla dinastia e al paese. A Menabrea fu telegrafato il 26, onde rendergli conto delle decisioni prese d'accordo coll'Imperatore. Oggi Rouher fa venire Moustier onde comunicargli le idee sopracitate come venissero dall'Imperatore, il Moustier è fino ad ora contrario ad un cangiamento dello statu quo; per impedire che guastasse le cose, lo si lasciò nell'ignoranza completa di quanto facevasi senza cercare di rimuoverlo delle sue idee -egli però non conta più di un Segretario Generale qualunque.

Non posso ancora fissare l'epoca della mia venuta in Italia poiché Rouher desidera che rimanga ond'essere l'intermediario nel caso sorgano difficoltà. Le cose d'Oriente pel momento non hanno molta importanza, Moustier bestialmente, ha dato alla stampa francese una direzione troppo contraria alla Russia, da ieri furono impartite istruzioni diverse.

Le difficoltà francesi, aumentano coll'aumentare della libertà di parola -Rouher diviene ogni giorno più potente, la forza è là e non altrove. Al Bonghi potrai abilmente suggerire la via a percorrere nelle sue corrispondenze, che faccia credere i suoi ragguagli venuti da Firenze, ma gradatamente ed in modo da seguire la marche delle trattative senza precederle di troppo e nello stesso tempo facendo rissortire la forza vera del partito conservatore e l'errore gravissimo della sinistra di volere far contr'altare a noi, contrapponendo all'alleanza francese l'alleanza prussiana, cosa che diverrà pubblicamente ridicola, se il progetto imperiale di preparare a mezzo dell'Italia una triplice alleanza avesse a riuscire, come v'ha luogo a sperare.

Come al solito dirigo a te caro Gino la presente, ma è anche per Emilio che prego rispondermi mandandomi le sue osservazioni in proposito e tenendomi da Firenze informato di quando in quando con qualche lettera, io farò lo stesso mandando le lettere a te o ad Emilio.

Mi saranno carissime anche le tue lettere perché mi completano i ragguagli. Lettere che sono, come tu le chiami pagine di storia, possono essere utilissime per la Perseveranza, usane però colla massima prudenza io desidero giovare all'amico Bonghi ma non vorrei compromettermi non tanto in faccia al Governo Italiano quanto alla posizione mia qui che è delicatissima.

(l) -Cfr. nn. 122, 125; gli altri dispacci non sono pubblicatl. (2) -Annotazione a margine: «È propriJ cosi».

(3) Da AVV.

(l) -Cfr. n. 112, allegato. (2) -Cfr. n. 68.
139

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1011. Berlino, 29 febbraio 1868, ore 17,59 (per. ore 20,50).

Prince Napoléon viendra à Berlin avec permission de l'Empereur mais sans mission. Ainsi télégraphie Goltz, ajoutant que Son Altesse Impériale dans le langage qu'elle pourrait tenir ne représentera que ses propres opinions. Ici ont est peu satisfait de cette visite et le voyageur n'est certes pas une personne bien vue à cette Cour.

140

IL MINISTRO A WASHINGTON, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1012. Washington, 29 febbraio 1868, ore 23,40 (per. ore 7,55 del 1° marzo).

L'argent donné à Garibaldi pendant la dernière guerre américaine a eu pour objet de préparer l'esprit public à la cause du nord. Seward a écrit hier à Montevideo.

141

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. 52. Firenze, 29 febbraio 1868.

Poiché pochi giorni sono venne a vedermi Rustem-Bey, Inviato Ottomano presso questa R. Corte, per darmi comunicazione di quella stessa petizione dei Cretesi pel ritorno delle loro famiglie in patria, che la S. V. mi aveva già trasmesso col dispaccio di questa serie N. 86 (1).

Nella stessa occasione il Rappresentante della Turchia mi parlò delle bande, che a suo dire, si formano in Serbia e nei Principati per agire contro la Bulgaria, dell'esercito di oltre 100 mila uomini che il Principe Carlo di Rumania starebbe raccogliendo e degli armamenti attribuiti alla Serbia.

Rustem-Bey soggiunse che poteva smentire la voce corsa sulla presentazione per parte dell'Austria, della Francia e dell'Inghilterra di una nota collettiva per domandare che si estendano a tutti i paesi dell'Impero ottomano i provvedimenti organici adottati per l'isola di Creta. Quelle Potenze non avrebbero neppur fatto a questo riguardo passi separati presso la Porta. Il Divano Imperiale crede che il migliore sistema consista nell'applicare ai vari paesi dell'Impero quelle leggi e quelle istituzioni che sono più conformi alle esigenze locali.

Ringraziai n rappresentante della Sublime Porta delle comunicazioni ch'egli mi avea fatto, e dappoiché egli non mi aveva chiesto ch'io mi pronunziassi in alcuna guisa sugli argomenti in discorso, mi limitai ad esprimergli il voto che la tranqullità possa essere mantenuta in tutti i vasti domini del Sultano, e che le riforme che la Porta si propone di introdurre possano riuscire efficaci pel benessere delle popolazioni suddite dell'Impero.

142

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 160. Berlino, 1° marzo 1868 (per. il 5).

Le Courrier de Cabinet Anielli arrivé ici le 27 février échu, s'est acheminé le meme jour vers St. Pétersbourg. Je me réserve de répondre, à son retour, à l'expédition dont il était porteur à mon adresse.

Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

En attendant, quoique je sois alité, je crois opportun, en me référant à mon télégramme d'hier (l), de mander sans retard quelques renseignements au sujet du voyage à Berlin du Prince Napoléon.

Le Comte de Goltz avait donné avis du projet de Son Altesse Impériale de se rendre en Allemagne et dans cette capitale, dans un simple but de distraction. Il avait demandé et obtenu l'agrément de l'Empereur. Il ne s'agissait aucunement d'une mission politique. Elle se proposait méme de garder le plus strict incognito sous le nom de Comte de Meudon. L'Ambassadeur de Prusse se croyait autorisé à déclarer que le Prince, dans les conversations qu'il pouvait avoir ici, ne représenterait que ses opinions tout à fait personnelles.

Telles sont les indications que j'ai recueillies hier au Ministère des Affaires Etrangères, où je m'étais fait transporter ayant presque perdu momentanément la faculté de marcher.

Depuis lors M. Benedetti a reçu une lettre particulière du Prince lui parlant de son arrivée prochaine, et déclinant éventuellement toute offre de descendre au Palais du Roi, sentinelles d'honneur etc. etc. Il a refusé de loger à l'Ambassade, en se contentant de retenir un appartement à l'Hotel. Il tient à éviter méme l'apparence d'une course officielle. Il se bornera à s'annoncer, en quelque sorte comme simple particulier, chez le Roi.

Je n'ai pas besoin d'ajouter que ce voyage n'est pas dans les gouts de cette Cour, où le Prince Napoléon est bien loin d'étre persona grata. Non pas qu'il passe pour un adversaire déclaré de la Prusse; on sait au contraire qu'il ne compte pas, bien loin de là parmi les chauds admirateurs de la politique impériale. Mais on craint ses indiscrétions. On voit en lui un interlocuteur compromettant, vu ses accointances avec les partis avancés désignés ici comme révolutionnaires. D'ailleurs avant de s'abandonner avec lui à quelques entretiens intimes, le Roi aussi bien que le Comte de Bismarck se demanderaient ce que Son Altesse Impériale représent.e en France. Or aux Tuileries de meme qu'au Ministère des Affaires Etrangères on se défend de toute solidarité avec ses vues exagérées et parfois publiquement condamnées. La plus grande réserve sera donc de mise à son égard.

Malgré l'incognito dans lequel il se retranche, on ne veut pas admettre jusqu'ici qu'il ne vienne à Berlin que comme un simple touriste. Il doit étre tout au moins chargé du ròle d'observateur; de sonder peut étre le terrain sur la nature des rapports plus ou moins intimes entre la Prusse et la Russie; de provoquer et de rapporter des jugements sur les affaires orientales, sur la situation de l'Allemagne, sur les allures et les projets ultérieurs du Comte de Bismarck.

J'espère que le Prince s'abstiendra dans ses conservations de raisonner sur l'Italie, car il n'est pas dans ses habitudes de garder la juste mesure. Je me réserve de revenir sur ce sujet, en attendant je ténais à transmettre dès aujourd'hui ces premières impressions.

(l) Non pubblicato.

(l) Cfr. n. 139.

143

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 326. Firenze, 2 marzo 1868.

I di Lei rapporti politici sino al N. 627 mi pervennero regolarmente.

La ringrazio in particolar modo della conversazione ch'Ella ebbe col rappresentante della repubblica argentina circa le nostre vertenze collo Stato di Montevideo (1).

Desidererei ch'Ella, trovando occasione di vedere di nuovo il Signor Balcarce, gli dimostrasse che non è negl'intendimenti del R. Governo di muovere guerra a Montevideo né di cercar conquiste in America.

Per noi si tratta di ottenere da Montevideo ciò che dal canto suo lo Stato di Buenos-Ayres ha già riconosciuto da varii anni come un incontestabile diritto dei nostri sudditi colà stabiliti. Dopo che il Governo uruguayano ha ammesso, per parte della Francia e dell'Inghilterra, dimande identiche a quelle che noi abbiamo formulato, i suoi continui rifiuti e le sue tergiversazioni rendevano indispensabile, da parte nostra, un contegno più deciso e risoluto che non lasciasse alcun dubbio sul nostro proposito dl tutelare efficacemente i diritti dei nostri sudditi. Furono date istruzioni in questo senso al R. Rappresentante in Montevideo ed al comandante della stazione navale italiana nelle acque del Plata. Se la repubblica argentina vorrà essa stessa consigliare a quella di Montevideo di non persistere a rifiutare agli italiani quanto ha già concesso ai Francesi ed agli Inglesi, noi saremmo lieti di non dover ricorrere a quei mezzi che considereremmo come un'estrema e spiacevole necessità.

144

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 249. Vienna, 2 marzo 1868.

Je rendis compte à V. E. dans mon n. 248 du 27 Février (2) de l'entretien que j'ai eu avec M. le Baron de Beust et où je me suis exprimé dans le sens qui m'était prescrit par V. E. dans la dépeche politique n. 81 (3) qu'Elle m'a fait l'honneur de m'adresser le 22 février.

Dans le double but de préciser la portée de ma démarche et de fixer d'une manière irréfragable les souvenirs auxquels j'avais fait appel auprès de M. de Beust, j'ai soumis à son examen ce compte rendu de notre conversation tel mot-à-mot que je l'adresse maintenant à V. E., le Chancelier de l'Empire en a reconnu l'exactitude par le billet dont je joins ici copie. Je dois dire que le Baron de Beust ne croit pas que ce soit pour faire de la publicité que nous lui avons demandé cette explication, mais afin de nous assurer sérieusement des vues du Gouvernement autrichien pour notre propre règle.

Pour compléter ma dépeche n. 248 par quelques détails accessoires, j'ajouterai que, à l'endroit des blue-books en général, le Baron de Beust m'a dit que l'usage aujourd'hui presque imposé aux Gouvernements constitutionnels de publier des correspondances diplomatiques est selon lui une grande expérience qui démontrera s'il est toujours possible de formuler publiquement, dans certaines affaires délicates et graves, le dernier mot de la pensée gouvernementale, en dépit des nécessités de forme et des conventions qui s'imposent aussi bien aux Cabinets les plus libéraux dans les relations internationales, qu'aux hommes les plus francs dans la sphère des rapports sociaux. «Peut etre finira-t-on par renoncer d'un commun accord aux publications de Blue-books, conclut M. de Beust, et je ne m'en plaindrai pas ».

A l'égard de la qualification d'état catholique donnée à l'Autriche M. de Beust me dit que des députés du Reichsrath lui avaient fait une querelle objectant qu'un état ayant des institutions libres devait une entière égalité de garanties à toutes les confessions et ne pouvait mettre la puissance publique sous l'invocation d'aucune spécialement. «Je leur fis observer, me dit M. de Beust que la Russie exerce comme puissance orthodoxe des influences chez les populations de religion grecque en Orient. Sur un théatre pareil, si, au lieu de nous appuyer à notre tour auprès des populations catholiques, nous Autriche, sur notre qualité de puissance catholique, nous venons leur parler assimilation des cultes sans distinction, nous ne serons absolument pas entendus, et au lieu lieu d'avancer réellement la civilisation, nous aurons sacrifié la réalité à l'apparence ».

On peut trouver regrettable que les états dits catholiques lesquels au fond reconnaissent presque tous, s'ils ne la pratiquent intégralement, la liberté de conscience, ne se sentent pas assez forts pour etre publiquement conséquents avec leurs principes libéraux quand ils ont affaire à la question romaine. Mais il me semble sauf erreur, que l'Autriche est actuellement celui des grands états catholiques dont nous avons encore le moins à nous plaindre. Ce Gouvernement-ci ne professe pas camme l'Espagne la doctrine politique de la nécessité du pouvoir temporel; non seulement il n'a rien fait, ni pensé à faire qui ressemble à l'exécution de Mentana, mais il n'a rien dit qui ressemble au discours de M. Rouher. S'il se maintient vis-à-vis des affaires de Rome dans des généralités peu concluantes, c'est -j'ai pu aisément le comprendre -parce que nous ne lui avons pas fait part des bases de solution so i t pro viso ire, so i t définitive, que nous jugeons devoir etre adoptées; c'est aussi parce que, selon la croyance générale, nous préférons le tete à tete avec la France à des négociatons suivies en commun avec les autres puissances sur la question romaine. On se croit quitte envers nous lorsqu'on use à notre égard de procédés meilleurs que ceux de la France, d'autant plus qu'on nous croit toujours intimes avec elle. Voila le fond des choses, je dois en conscience en porter témoignage pour remplir envers V. E. mes devoirs de repporteur exact.

P. S. -Je profite du dépa,rt du Marquis Incontri pour envoyer à V. E. une dépeche réservée que j'ai reçu par une vaie sure du Consul de Sa Majesté à Belgrade.

ALLEGATO.

BEUST A BLANC

Je m'empresse de vous restituer, en vous en remerciant, le projet de dépeche que vous avez bien voulu me communiquer et auquel je n'ai pas d'objections à faire. Je pense qu'il s'accordera avec la dépeche que recevra M. de Ktibeck, seulement dans cette dernière j'ai répété ce que je vous ai dit sur ma manière d'envisager en général la matière des livres bleus.

(l) -Cfr. n. 114. (2) -Cfr. n. 135. (3) -Cfr. n. 125.
145

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 33. Pietroburgo, 3 marzo 1868 (per. il 12).

Rendo all'E. V. quelle grazie che so e posso maggiori per i dispacci n. 9, 10, 11 di questa serie (l) recatimi dal corriere di Gabinetto Signor Anielli e dei dodici documenti diplomatici a quelli annessi, contenenti pregiati ragguagli e indicazioni della più grande utilità a cui non mancherò certamente di conformare il mio linguaggio e quelle pratiche che potranno essere convenienti alla onorevole missione affidatami.

La ringrazio poi in oltre per l'invio del Corriere di Gabinetto: l'arrivo di cosiffatti R. Impiegati conferisce grandemente non solo alla segretezza delle comunicazioni ma si ancora al decoro del R. servizio perciocché offre il mezzo ai Rappresentanti del Governo non solo di sottrarsi alla dipendenza dei corrieri di altre Nazioni, ma eziandio di offrir loro al bisogno in ricambio del concorso da quelli prestato, il servizio alla lor volta dei propri impiegati. Laonde io sarei grato oltremodo alla E. V. se Ella volesse rinnovare le spedizioni di tal natura quante volte ciò non riuscisse di troppo disagio.

Come prima ebbi ricevute le istruzioni contenute nel dispaccio N. 10 del 22 Febbraio, fui dal Cancelliere dell'Impero per ringraziarlo delle comunicazioni fatte all'Incaricato d'Affari Marchese Incontri, e gli significai come l'Italia per la sua posizione ha più d'ogni altro paese bisogno che lo stato delle cose in Oriente presenti al possibile stabilità e sicurezza, e come essa intenda mantenersi in quella ragion di politica indicata nella dichiarazione dell'Ottobre ultimo, d'accordo con l'azione diplomatica della Russia mirando principalmente quanto a noi allo sviluppamento dei nostri interessi commerciali e a quelli in generale delle nostre colonie, interessi che sono per noi cosi importanti come ognun sa in Oriente. Soggiunsi che il Governo del Re era tanto più lieto di quest'accordo in quanto vedea che la politica Russa non si dipartiva dalle norme stabilite e che faceva assegnamento sul concorso delle altre potenze Europee.

Toccai inoltre delle condizioni interne dell'Italia valendomi di tutti quegli argomenti e di tutti quei dati con tanta saviezza e lucidità esposti dalla Nota che la E. V. inviò al Marchese d'Azeglio (2), e di cui si degnò mandarmi copia

con la presente spedizione, insistendo principalmente sovra questo pensiero, che dopo la devozione alla Dinastia e la religione del principio monarchico, nulla vi era la Dio mercé, di più solido in Italia che il principio nazionale dell'unità; e che d'altra parte i Ministri di Sua Maestà erano sicuri che quando bene un accordo si stabilisse fra i Governi Imperiali di Pietroburgo e di Parigi non solo sulle cose di Levante, ma sovra tutti i punti di più grande importanza nella politica Europea, la Russia non sarebbe mai per sagrificare uno degli interessi internazionali ad un altro che fosse di non minore gravità, ed accostarsi a qualsiasi combinazione politica che fosse contraria al presente nostro ordinamento nazionale.

Risposemi il Principe Cancelliere che Egli aveva francamente accettata l'unificazione del Regno d'Italia, divenuta oggimai un elemento di pace e di conserva21ione in Europa a quel modo che avea già avuto occasione di esprimere in altri colloqui, e che godeva di udire la conferma delle nostre intenzioni quanto a mantenere il buon accordo della nostra azione diplomatica nella politica Orientale; del che non dubitava punto, per questo principalmente, che una sola cosa Egli richiedeva dall'Italia, l'operare, cioè, in ogni emergenza conformemente a quei principii che avean prodotta la sua presente rigenerazione, e a quelli interessi politici che ne erano la naturale conseguenza; commendava poi particolarmente la risoluzione presa di rivolgere le forze più vive della Nazione al restauramento della finanza e dell'amministrazione indispensabili per costituirla in quel grado che a Lei s'appartiene.

La brevità del tempo consentitomi dalla partenza del nostro Corriere, che non potrebbe essere di molto ritardata, non mi diede agio di informarmi fino ora se l'ultimo Corriere giunto di Francia abbia recato al Barone di Talleyrand la risposta alla Nota che Egli indirizzò al suo Governo per riferire quelle cose significatele dal Principe Gortchacow di cui è menzione nel rapporto di questa Legazione N. 22 (1). Quella comunicazione del resto avea tratto specialmente a chiarire la posizione particolare del Ministro dell'Imperatore Alessandro, il cui avvenimento al Governo era stato originato, dopo la guerra di Crimea, da un desiderio di ravvicinamento alla Francia che potesse riuscire in una alleanza proflttevole alle aspirazioni e ragioni dei due paesi, il quale tentativo, diceva il Principe Gortchacow, essere in parte venuto meno non per sua colpa, ma per le deviazioni della politica francese, occorse per effetto della protezione accordata dalla Francia all'ultima insurrezione Polacca. Per quanto mi risulta dal linguaggio delle persone appartenenti al Gabinetto del Cancelliere Imperiale, una più intima e cordiale intelligenza fra Francia e Russia non sembra per ora probabile ad avverarsi; parrebbe anzi che una maggiore intimità di relazioni politiche si vada ogni giorno vieppiù formando fra questo Governo e quel di Prussia; forse le due potenze non divennero ancora ad una formale stipulazione, io almeno oggi non saprei affermarlo, ma senza alcun dubbio in questi ultimi tempi le pratiche furono molto inoltrate, i vincoli si restrinsero fra loro, e la comunanza dei concetti si rafforzò in previsione di tutte le più importanti eventualità.

Dalle cose accennate non si vorrebbe per altro inferire che la pace di Europa ne fosse per ora minacciata e corresse alcun pericolo imminente; tutto indica al contrario che la Russia non sente se medesima assai forte e ritemprata dopo l'ultima guerra, e le ultime riforme operate all'interno per porsi volontariamente a un così gran repentaglio; onde la rimozione dal potere del Principe Gortchacow diventa ogni giorno più improbabile a malgrado delle influenze che procacciano di esercitare sull'animo dell'Imperatore i suoi antagonisti. Riseppi a tale proposito che in un abboccamento avuto con l'Incaricato della Sublime Porta a questi giorni, il Principe lo aveva rassicurato quanto al disegni della Russia rispetto alla integrità dell'Impero Ottomano, facendo allusione a quei segreti adoperamenti segnalati di sopra, e dichiarando che Egli avrebbe saputo resistervi. «Je sais, avrebbe Egli detto, que nous jouons tous la Comédie ~. ma io almeno ho il diritto di essere creduto quando affermo spontaneamente ed espressamente di dir la verità.

(l) -È edito solo li D. 10; cfr. n. 124. (2) -Cfr. n. 115.

(l) Cfr. n. 71.

146

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC

D. 83. Firenze, 5 marzo 1868.

Il Ministro d'Austria presso questa R. Corte venne 1en a leggermi un dispaccio del suo Governo, nel quale il Signor Barone Beust risponde benevolmente alle osservazioni alle quali il libro rosso avea dato luogo· da parte nostra. Il Barone di Beust c'invita a non volerei fermare ad esaminare le singole frasi contenute nei varii dispacci, ma a considerarne il senso generale. Egli attribuisce ad inavvertenze di redazione certe parole che possono esser sembrate meno conformi alle disposizioni amichevoli del Gabinetto di Vienna a nostro riguardo e per ultimo ci fa osservare che nella pubblicazione austriaca, la quale comprende un assai lungo periodo di tempo, è facile scorgere che una mutazione possa essersi prodotta nelle disposizioni dell'Austria verso l'Italia dal mese di marzo dell'anno scorso in poi.

Ho ringraziato il Barone di Ktibeck di questa comunicazione il cui significato riusciva tanto più gradito al Governo del Re in quanto veniva realmente a provare che le disposizioni del Gabinetto imperiale erano oggidl divenute assai più favorevoli per l'Italia di quello che forse non lo fossero per lo addietro. Io esprimeva quindi la convinzione che nulla verrebbe ad alterare siffatte buone disposizioni delle quali eravamo lieti di prender atto.

147

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO IN MISSIONE IN EGITTO, DELLA CROCE

D. 14. Firenze, 5 marzo 1868.

La ringrazio vivamente della relazione ch'Ella mi ha fatto delle condizioni economiche e politiche dell'Egitto nel rapporto ch'Ella m'indirizzava addì 9 Febbraio, col n. 12 (1). Non meno interessante mi riusciva l'altro di Lei rapporto s. n. degli 11 dello stesso mese (l).

Al suo giungere in Firenze il commendator De Martino consegnava al R. Governo un nuovo documento firmato da S. E. Nubar Pacha, col titolo «Queìques explications sur les garanties que présentera l'organisation judiciaire proposée pour l'Egypte »; e mi diceva essere stato incaricato da S. A. il Vice Re di raccomandarmi l'esito di questa pratica, nel senso desiderato dal Governo Egiziano.

Non essendo la comunicazione che ci veniva fatta dal Governo Egiziano in forma da richiedere una nostra immediata risposta, per molti riflessi io stimai opportuno astenermi dall'impegnare il Governo del Re in affare di tanto rilievo, senza prima conoscere l'andamento delle pratiche che io sapevo essere state fatte presso le altre Corti Europee.

Non tardai difatti a conoscere per indirette vie che tutto ciò che il Governo Egiziano avea potuto ottenere a Parigi ed altrove, limitavasi ad una semplice promessa di far esaminare le proposte riforme giudiziarie da una conferenza internazionale. E le potenze che aveano accettato questo partito non erano poi d'accordo sul luogo dove la conferenza stessa dovesse riunirsi.

Interpellato dall'Inviato di Prussia in Firenze sull'opinione del R. Governo intorno a siffatto argomento, non esitai a fargli conoscere la nostra maniera di vedere al riguardo. Ella troverà qui unita copia della nota verbale (2) che io ebbi a scrivergli in risposta alla sua domanda.

Il merito delle varie quistioni trattate nelle proposte di Nubar Pacha dovendo pertanto, a quanto sembra, essere discusso in apposite conferenze, non potrebbe opportunamente formare oggetto di questo mio dispaccio, il quale ha unicamente lo scopo di mettere la S. V. in grado di conoscere lo stato attuale della vertenza relativa a riforme giudiziarie in Egitto per quella ristrettissima parte che noi abbiamo sinora avuto in quest'affare.

148

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC

T. 587. Firenze, 6 marzo 1868, ore 23,30.

Le Gouvernement a l'intention de destiner le marquis Pepoli, comme ministre plénipotentiaire à Vienne. Veuillez demander à M. de Beust si le choix en serait agréé par l'Empereur. La marquise Pepoli quoique princesse de

Hohenzollern ne serait présentée et ne prétend à d'autre rang que comme femme de ministre (l).

(l) -Non pubblicato. (2) -Del 17 febbraio, non pubblicata: opportunità che una commissione Internazionale proceda sul luoghi ad un esame preliminare delle proposte egiziane prima della riunione di un'apposita conferenza.
149

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 250. Vienna, 6 marzo 1868 (per. l'11).

Il Duca di Gramont, che fino a ieri asseriva non saper nulla della venuta del Principe Napoleone a Vienna (2), mi disse ieri sera che essa gli è annunziata, aggiungendo che il Principe viene senza missione alcuna.

In una conversazione che ebbi oggi col Barone di Meysenbug, venne il discorso sulle supposizioni che si fanno generalmente qui, e secondo le quali il viaggio del Principe Napoleone non sarebbe estraneo all'idea, propugnata dal Principe in questi ultimi tempi, di una coalizione delle Potenze Europee, compresa la Prussia, contro l'Impero Russo. Il Sotto-Segretario di Stato non confermò nè smentì tali voci; solo mi espresse accademicamente i suoi dubbi sulla possibilità di un accordo tra la Francia e la Prussia nella questione d'Oriente; non essendovi speranza, mi disse egli, di staccare il Gabinetto di Berlino dalla Russia senza abbandonargli gratuitamente la Germania tutta, al che nulla dimostra che la Francia voglia rassegnarsi.

V. E. già sa quanto questa Ambasciata di Russia si preoccupi di quel viaggio del Principe. Credo sapere che ripetuti telegrammi da Pietroburgo avvisano il Conte di Stackelberg di tenere gli occhi aperti e stare in guardia.

150

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 330. Firenze, 7 marzo 1868.

Una lettera di Mazzini giunta in questi giorni in Italia conferma le voci che corrono nelle fila del partito mazziniano, che cioè oggi si riconosce impossibile una nuova impresa su Roma, e che nel mezzogiorno d'Italia si sta facendo un gran lavorio in senso borbonico, ma, non senza grandi lusinghe pel partito murattista.

-

Da fonti attendibili il Prefetto di Genova venne pure a sapere che il Mazzini ha scritto ai suoi aderenti di tenersi compatti e pronti per i prossimi avvenimenti. Anche il Campanella parla nello stesso senso agli amici, assicurandoli che fra breve sorgeranno nell'Italia meridionale tali fatti da gettare il Governo in serio imbarazzo.

Anche il Frigesy scrive dalla Svizzera ai suoi amici che a Parigi il lavoro per la organizzazione delle masse è compiuto, e soggiunge che il giorno di un generale moto repubblicano non è lontano; raccomanda quindi di stare uniti, di far proseliti assicurando che fra breve saranno inviate armi e danaro per appoggiare con un moto in Italia la rivoluzione francese.

Nel mentre in una sua lettera Mazzini si lagna che Garibaldi non sappia decidersi a mettersi alla testa del movimento rivoluzionario il Frigesy scrive invece che questi ha promesso di essere a capo della rivoluzione.

In una lettera del Mazzini si fa inoltre aperta e chiara allusione alla parte che il Governo francese prenderebbe al movimento reazionario nelle provincie meridionali per trarne, a suo tempo, vantaggio in favore del Principe Murat. Del resto è opinione del mio collega il Ministro dell'Interno che il partito anarchico si illuda, credendosi forte e numeroso in Italia, dove invece, dopo gli ultimi fatti è caduto in gran discredito ed ha così scarsi mezzi da riuscirgli difficile il sostenere la stentata esistenza dei due o tre giornali che lo rappresentano. Ed infatti, a meno che le mene della reazione non riuscissero a promuovere un moto separatista, noi non vedremmo da quali altri avvenimenti i seguaci di Mazzini potrebbero sperare un ajuto per condurre ad effetto i loro piani sovversivi.

Queste voci narro a Lei affinché Ella possa farne uso riservato presso codesto Governo, dando così a vedere che noi siamo attenti a tutto quanto si cerca di fare contro l'unità italiana dai vari partiti nemici dell'attuale ordine di cose (l).

(l) -Il Ministero degll Ester! austriaco inviò n 6 marzo a Kubeck n seguente telegramma: «Quelqu'un connaissance de Pepoli à fond me conjure d'en prévenir nomination. Intngant de met!er !l nous broulllera!t à la fo!s avec Florence, Berlln et Paris ». (2) -Con t. 1013 del 1o marzo Blanc aveva comunicato: «D'après c~ qui revient, prince Napoléon passerait à Vienne, en revenant de Berlln. Ce voyage aura!t un but relatif aux affa!res de l'Or!ent •·
151

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, E AGLI INCARICATI D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, E A VIENNA, BLANC

D. Firenze, 7 marzo 1868.

In questi ultimi tempi si è parlato assai delle trattative aperte per !stabilire un «modus vivendi » fra l'Italia e la Santa Sede e, se le cose riferite a questo Ministero sono esatte, sembrerebbe che da taluni si sia voluto vedere nel semplice fatto delle aperte trattative un atto in forza del quale il Governo del Re avrebbe receduto dalle preliminari condizioni formulate in appositi dispacci che furono anche pubblicati nel Libro Verde. Per escludere in modo

m! parve che Sua Maestà fosse del resto Informato».

assoluto ogni dubbio al riguardo basterà ch'io Le faccia osservare come quei documenti si riferivano all'ipotesi d'una soluzione definitiva della quistione romana da trovarsi col comodo di tutte le Potenze europee riunite in conferenza. Quell'ipotesi è per ora abbandonata ed ha fatto luogo ad un negoziato di ben diversa indole ed importanza.

Del carattere di siffatto negoziato Ella potrà giudicare dai documenti dei quaLi Le trasmetto copia. La semplice lettura di questi documenti basterà a dimostrare alla S. V. come, per non togliere il vevo caratte.re che deve avere un temporario accomodamento, era indispensabile che da noi si evitassero tutti i passi che avrebbero potuto anche indirettamente lasciar supporre che l'intromissione di altre Potenze nella trattazione di tale affare fosse considerata dal R. Governo come possibile. Noi ci siamo dunque astenuti dal fare ai Governi amici alcuna comunicazione al riguardo, senza però fare delle trattative iniziate colla Francia alcun mistero a quelli fra i rappresentanti esteri in Firenze che sembravano desiderare di esserne informati.

Ad ogni modo La autorizzo, Signor ... , a distruggere col suo linguaggio gli erronei apprezzamenti che si fossero fatti presso codesto Governo Imperiale, riducendo le cose nei limiti dell'importanza che ebbero ed hanno realmente.

(l) Nigra comunicò con r. confidenziale 634 del 14 marzo: «Ho profittato d'una recente occasione che ebbi d! vedere l'Imperatore per d!rgl! qualche parola d! queste mene, delle qual!

152

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 163. Berlino, 7 marzo 1868 (per. il 12).

Mes rapports nn. 158 et 159 (l) ont fourni à V. E. de nouvelles données sur le mouvement intérieur qui s'opère en Prusse et dans le reste de l'Allemagne. Depuis lors la situation ne s'est pas sensiblement modifiée. Seulement le Gouvernement Prussien soupçonne fort l'Autriche non seulement de n'avoir renoncé que sur le papier à son ancienne position en Allemagne, mais méme de n'avoir pas été étrangère au résultat un peu imprévu des élections pour le Parlement douanier dans les provinces au delà du Mein. Il est de fait que le parti ultramontain a agi avec une discipline si remarquable, qu'on a lieu de croire qu'il avait reçu le mot d'ordre. Pour mieux dissimuler son jeu, il s'est abstenu de toute manifestation presque jusqu'aux derniers jours. Ce n'est que peu avant le scrutin qu'il s'est adressé aux électeurs en leur disant que voter pour des candidats du parti national, équivaudrait à devenir prussiens et à s'engager en quelque sorte à embrasse·r le protestantisme.

S'il y a peut 1ltre des preuves d'une action occulte de l'Autriche se posant toujours comme la protectrice des intér1lts religieux et politiques du Midi de l'Allemagne, la France semble s'1ltre tenue mieux à l'écart. Mais l'attitude de

ses journaux prouve assez qu'on se réjouit d'un résultat représenté avec exagération comme un échec des plus sensibles à la Prusse. Sous ce rapport la presse libérale de Vienne est peut étre dans le vrai quand elle parle (selon la dépéche de M. le Commandeur Blanc du 16 février) (l) du calcul attribué à l'Empereur des Français de se concilier les complicités ultramontaines contre l'unité allemande. Quant au Baron de Beust, serait-ce peut étre au prix de ses agitations cléricales, à Munich surtout, qu'il espérerait se concilier la Cour de Rome pour une révision du concordat? Soufflerait-il le chaud et le froid, comme le Comte de Bismarck l'en accusait, dans sa politique cis et transleithannienne?

Les details qui précèdent me sont suggérés par le désir que V. E. m'exprime dans sa dépéche confidentielle n. 63 (2) de continuer à La tenir au courant des conditions actuelles de l'Allemagne.

D'après ses instructions, je me suis abstenu vis-à-vis de M. de Thiele, de revenir sur les affaires du Schleswig qui au reste n'ont pas fait de progrès notables dans ces derniers temps. On en est toujours à discuter la question des garanties, sans qu'on ait encore abordé celle beaucoup plus importante de l'étendue du territoire à retrocéder au Danemark. Mais chaque fois que l'occasion se présente, je ne manque pas d'exprimer notre voeu le mieux senti de voir disparaitre toute cause ou tout prétexte de troubles en Europe.

Je me suis fait un devoir, comme de raison, de communiquer au Sous Secrétaire d'Etat les renseignements qui me sont transmis par cette méme dépéche sur la mission du Major Nagle. M. de Thiele m'en a remercié. Il m'a dit au reste confidentiellement qu'il ne se rendait pas compte, pourquoi le Comte de Bismarck avait paru de prime abord attacher tant d'importance à un fait parfaitement explicable et qui ne prouvait pas autre chose que le soin que nous apportions à perfectionner notre propre armement.

(l) Non pubblicati.

153

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 164. Berlino, 7 marzo 1868 (per. il 12).

J'ai pris connaissance avec un intérét tout particulier des annexes mentionnées dans la dépéche de V. E. en date du 22 février échu N. 64 (3). J'ai parlé à M. de Thiele dans le sens de la dépéche que Vous avez adressée,

M. le Comte, à la Légation du Roi à Londres le 16 février (4) sur les conditions intérieures de notre pays. J'ai pu constater que le Comte d'Usedom avait de son còté communiqué sur ce méme sujet des observations qui coYncidaient avec les vòtre, et qui étaient empreintes, comme toujours, d'une sympathie toute particulière pour notre cause.

(l} Cfr. n. 117.

Les rapports de nos Agents à Rous<.chouck et à Serajevo contiennent en effet des données bien faites pour éclairer la véritable situation de ces Pays.

Jusqu'à ces derniers temps le Ministre Ottoman près cette Cour n'avait fait aucune communication. Ce n'a été que tout récemment qu'il a donné lecture à M. de Thiele d'une lettre particulière de Fuad Pacha, qui, sans accuser directement le Cabinet de St. Pétersbourg d'une connivence dans l'agitation qui se manifesterait dans la Roumanie et en Bulgarie, parle cependant de la présence d'un officier russe jouant le ròle d'instigateur. Il est dit en outre que quelles que soient les sentiments modérés du Prince de Hohenzollern, son Gouvernement ne présente pas des garanties suffisantes. Le parti démagogique figure dans ses conseils. Et ce n'est certes pas de la part de ce dernier qu'on peut s'attendre à ce qu'il sévisse contre l'organisation des bandes insurrectionnelles dont on travaillerait à grossir le nombre jusqu'à 100.000 hornmesi et à les munir d'un matériel de guerre. Le Cabinet de Berlin s'est borné à appeler l'attention de son Consul Général à Bukarest sur des insinuations qui ne cadraient pas avec les informations reçues jusqu'ici par cet Agent aussi consciencieux qu'intelligent.

Comme si la France voulait donner raison au jugement porté sur les conjontures actuelles dans les Principautés Danubiennes, il a été remis au Prince de Roumanie une lettre du Cabinet Impérial, conçue dans des termes presque offensants, pour le mettre en garde contre des menées qui se trainaient impunément dans ces régions.

Peut ètre que depuis lors les explications fournies, à son retour à Paris, par le Baron de Budberg auront calmé les appréhensions du Cabinet des Tuileries. n aura reconnu qu'il y avait au moins de l'exagération dans les nouvelles répandues sur le mouvement des esprits sur le Bas-Danube. Du moins on remarque que le langage de ses journaux officieux est devenu moins alarmant. Au dire d'Aristarchi Bey la situation ne reste pas moins menaçante, car, à son avis, le fait mème de l'abstention proclamée par les Puissances, sauf l'Angleterre, est un encouragement pour les populations chrétiennes à préparer un soulèvement, et à favoriser ainsi les vues de la Russie.

Ce diplomate vient aussi de communiquer au Cabinet de Berlin une copie de la circulaire adressée par Fuad-Pacha aux trois Puissances protectrices de la Grèce, afin d'appeler leur attention sur ce fait que bon nombre de Crétois qui ont quitté l'ile pour se réfugier en Grèce demandent maintenant à se rapatrier. La Sublime Porte invite ces Puissances à intervenir auprès du Cabinet Hellénique pour faciliter le retour de ces réfugiés dans leurs foyers; elle espère en mème temps que l'Envoyé de Prusse à Athènes recevra l'instruction d'appuyer ces démarches.

M. de Thiele, en présentant un rapport sur ce sujet au Comte de Bismarck, se proposait de lui signaler l'existence d'une autre pétition de familles crétoises dans un sens diamétralement contraire, et de suggérer par conséquent l'idée de s'abstenir.

Je pense que Rustem Bey aura fait une démarche analogue à Florence.

(2) -Non pubblicato. (3) -Si trattava di un cifrario destinato alla. corrispondenza riservata fra Vienna e Berllno. (4) -Cfr. n. 115.
154 IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 165. Berlino, 7 marzo 1868 (per. il 12).

Une copie de la note verbale annexée à la dépeche de V. E. en date du 20 février échu N. 61, série politique (1), avait été communiquée par le Comte d'Usedom à son Gouvernement. M. de Thiele m'a chargé de remercier V. E. de cette communication indiquant nos vues sur le projet d'une conférence européenne relativement à des réformes proposées par le Vice Roi d'Egypte, et ayant pour but d'y modifier la jurisdiction civile et pénale sur les étrangers.

Quant aux vues de la Prusse, elles n'ont pas sensiblement varié depuis mon rapport N. 134 du 14 janvier dernier (2). Le Cabinet de Berlin, en attendant une réponse de Londres sur les dispositions de l'Angleterre, est occupé de son còté à rédiger un mémoire basé sur des renseignements fournis par ses Agents consulaires en Egypte. Mais sans avoir encore d'idée bien arretée sur cette importante question, il n'est que très peu porté à accueillir avec confiance les réformes judiciaires proposées par Nubar Pacha. Elles peuvent avoir un mérite en théorie, mais dans la pratique, vu la situation de ce pays, elles ne présenteraient que de faibles garanties contre les abus.

Quant à la question sur le siège des futures délibérations, le Gouvernement Prussien n'a pas de parti pris. Il se conformera évidemment à l'opinion de la majorité des Puissances.

155

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 167. Berlino, 7 marzo 1868 (per. il 12).

Dans l'intervalle qui s'est écoulé entre la date de mon rapport du 13 Février échu (3) et celle de la dépeche de V. E. n. 60 série politique (4), j'avais eu l'occasion de présenter quelques observations dans le sens de cette dernière dépeche. J'avais, entre aut.res, émis la crainte que les publications du Livre rouge produiraient un effet regrettable en Italie.

Les renseignements que j'ai recueillis au Ministère des Affaires Etrangères sur la mission du Comte de Taufkirchen, coYncident avec les explications qui nous ont été fournies récemment par le Comte d'Usedom. Voici dans quelle position se trouvait le Cabinet de Berlin, quand le Gouvernement Bavarois offrit ses bons offices.

(-4) Cfr. n. 120.

Une guerre était imminente entre la Prusse et la France à propos de la question du Luxembourg. Une crise ministérielle avait éloigné le Baron Ricasoli du pouvoir; son caractère inspirait ici une entière confiance. II avait été remplacé par un homme d'Etat représenté jusqu'alors par l'opinion publique comme favorable, dans une certaine mesure, à la politique française. Dans tous les cas on avait lieu de croire que notre pays soupirait après le repos, et que son Gouvernement porté à en tenir compte et à ne pas surexciter l'esprit national, s'en tiendrait à un système de neutralité, et partant se croiserait les bras en attendant de savoir quelle serait l'issue de la lutte.

Dans ces conditions, les règles les plus élémentaires de la prudence, du sentiment de sa propre conservation, dictaient au Gouvernement Prussien de ne pas écarter les ouvertures du diplomate Bavarois. C'eut été se montrer par trop optimiste, que de se bercer de l'illusion que le Cabinet de Munich se tiendrait assez absolument lié par son traité d'alliance offensive et défensive avec la Prusse, pour ne pas passer du còté de l'Autriche dans le cas ou celle-ci, par rancune, ou par désir de reprendre position en Allemagne, serait tentée de pactiser avec la France. Le contrepoids de l'Italie faisant défaut, il fallait chercher à se prémunir contre un double danger, en saisissant au bond une initiative partie de la Bavière. Dans tous les cas, il ne convenait pas de décliner ses avances. II y fut répondu par des propositions dont le Comte d'Usedom nous a donné lecture. Mais aucune de ces propositions n'avait un caractère menaçant pour l'Italie et ses possessions, ni pour les bons rapports qui doivent étre maintenus entre deux alliés; lors méme que notre situation ne fut pas telle qu'on put compter sur un appui effectif de notre part contre la France.

On pourrait, il est vrai, faire la remarque qu'en se montrant disposé à garantir ou l'ensemble de la Monarchie autrichienne, ou simplement ses possessions allemandes et qui comme telles faisaient partie de l'ancienne confédération germanique, le Gouvernement Prussien aurait semblé aller à l'encontre de notre intérét à laisser ouverte la question du Trentina. Dans le premier cas le traité défensif ne devait avoir qu'une durée de trois ans. Dans le second cas l'alliance, quoiqu'illimitée, n'aurait pas eu la meme portée qu'à l'époque encore récente, ou une telle alliance était une des conditions essentielles des institutions allemandes. Quoi qu'il en soit, le Comte de Bismarck, en présence de notre inaction supposée et presque certaine, devait avant tout s'appliquer à éloigner de l' Allemagne le danger d'une immixtion violente de la France et de l'Autriche.

Tels ont été les mobiles de sa conduite dans cette circonstance, conduite qu'il faut juger non d'après les documents publiés pro domo sua par le Baron de Beust, mais par les déclarations qui nous ont été faites par M. d'Usedom, déclarations auxquelles les détails ci-dessus servent de commentaires. Ils sont conformes à la manière de voir du Président du Conseil. Au reste, comme V. E. le dit justement, il s'agit d'un incident passé sans avoir laissé pratiquement parlant aucune trace, puisque les pourparlers n'ont pas abouti. Ils ont méme eu cet avantage de mettre la Cour de Prusse en garde contre ces velléités si mal récompensées d'un rapprochement avec l'Autriche. En effet cette Puissance ne s'est prévalue des confidences faites par l'entremise du Comte Taufkirchen que pour se créer de nouveaux mérites aux yeux de la France. On dirait que M. de Beust voudrait empiéter sur le ròle de Saint Antoine échappant au diable tentateur.

L'expérience faite dans cette circonstance par le Cabinet de Berlin, et récemment lors de l'incurie montrée à Vienne pour contrecarrer les menées du Roi Georges; les soupçons assez fondés que la Cour Impériale agite sourdement le midi de l'Allemagne, prémuniront le Gouvernement contre de nouvelles tentatives de rapprochement avec un Etat dont le concours serait obtenu à des conditions trop onéreuses. L' Angleterre elle méme hésitera désormais, s'il est vrai, comme on me l'a laissé entendre, qu'elle ait parlé dans ce sens, à trop encourager des tentatives dont le succès est au moins ajourné.

Pour ce qui nous concerne: nous avons des assurances formelles des dispositions amicales de la Cour de Berlin et de son Gouvernement, et nous devons y ajouter foi -parce que nos intéréts réciproques et permanents convergent vers le méme but national et libéral. Nous sommes mutuellement appelés à servir de contre-poids à l'influence française et à contrecarrer, au besoin, les visées de l'Autriche à ressaisir son ancien prestige en deça et au delà des Alpes. Dans l'hypothèse d'une guerre qui éclaterait, malgré les apparences pacifiques du jour, entre la Prusse et la France, nous n'avons rien à redouter d'une Prusse, d'une Allemagne, victorieuse qui alors prendrait une assiette définitive.

Pourrions-nous en dire autant si le sort des armes se prononçait provisoirement du còté de la France, méme si contre toute attente nous lui eussions prété notre secours? Il est au moins permis d'en douter quand on voit que l'Empereur Napoléon réussit à peine à contenir les éléments d'opposition à notre politique, méme lorsque, comme aujourd'hui, elle suit des allures modérées. Dans l'énivrement du succès, leur jactance ne connaitrait plus de bornes, et s'ils ne parvenaient pas à morceler notre pays, du moins chercheraient-ils à le réduire au ròle de vassal, nous flattant par des promesses ou nous intimidant par des menaces. Il est vrai que ce triomphe serait passager, de méme qu'en 1813 l'Allemagne prendrait la revanche, tòt ou tard, de sa défaite, et nous subirions alors la conséquence des éténements, si par notre attitude nous avions prété le flanc à ses premier échecs.

Je ne veux pas dire pour autant que la Prusse et l'Allemagne réunies n'éléveraient pas à leur tour dans ce cas, la prétention, entr'autres, de ne pas céder un pouce du territoire ayant appartenu à l'ancienne Confédération Germanique, ou servant à fortifier leur position vers l'Adriatique, ce débouché si avantageux pour leur commerce avec l'Orient. Nous ne devons nous faire aucune illusion à cet égard. Mais n'est-ce pas la conséquence d'une part de notre Traité incomplet de 1866, et d'autre part d'une guerre où le sort a décidé contre nous dans les rencontres des deux armées sur terre et sur mer? Ce traité ne devait-il pas contenir une clause qui nous assurat la Vénétie dans des limites raisonnables et non dans celles administratives tracées selon le caprice du Cabinet de Vienne? Pourquoi n'a-t-il pas été fait une mention expresse du Trentino? Je sais que une proposition dans ce sens a été présentée par le plénipotentiaire mais écartée par le Comte de Bismarck par ce motif qu'il ne pouvait disposer d'un pays faisant partie de la Confédération Germanique.

Comme si cette objection n'aurait pas pu etre combattue par l'insertion de cette simple clause: « Dans le cas (et certes ici il était parfaitement prévu) de la dissolution de la Confédération Germanique la Prusse s'engage etc. etc. etc. ~. Admettons qu'en présence de la pression de la France en faveur de l'Autriche, le Gouvernement Prussien ne fiìt pas parvenu à nous faire accorder ce territoire lors de la paix de Prague, nous nous fussions du moins ménagé un titre pour l'avenir. Je puis me permettre ces critiques, car après avoir lu le traité dont il s'agit à l'époque de mon dernier séjour à Florence, je n'ai pas caché mon jugement au Général La Marmora avec cette franchise qu'il a toujours su apprécier. Je lui ai déclaré que jamais je n'eusse apposé ma signature à un arrangement où je remarquais d'aussi importantes lacunes sans qu'il ne fiìt prouvé que nous n'aurions pas réussi à les combler. Je ne parle pas de la conduite de la guerre. Je ne serais pas un juge compétent. Mais si les échecs eussent été pour nos adversaires, et il n'a pas dépendu de la Prusse qu'il en fiìt ainsi, certainement nous n'aurions pas à nous préoccuper aujourd'hui de ce que l'avenir nous ménagera quand, en dépit de ses voisins, l'Allemagne aura établi sa Puissance sous l'égide Prussienne. Seulement, je le répète, il m'est avis que sa suprématie sera moins genante vis-à-vis de l'Italie et de l'Europe, que ne le serait celle de la France.

Je ne voudrais cependant pas passer pour un partisan aveugle de la Prusse, ni accepter comme parole de l'Evangile tout ce qui provient de cette source. Je sais que ses habitudes hautaines, les inconséquences qui ne se manifestent que trop dans ses institutions, les courants politiques qui partent de la Cour, ne sont pas faits pour lui concilier une véritable sympathie, ni dans la Confédération du Nord, ni dans le midi. Le Comte de Bismarck a sans doute la force de caractère, l'énergie de l'action, la puissance de la volonté, la persévérance dans des résolutions une fois prises, ainsi qu'un vaste horizon et un rare prestige. Ce sont bien là les indispensables qualités d'un homme d'Etat appelé à gouverner dans une situation difficile. Mais je sais qu'il est sans préjugés, je n'ose dire sans principes, et que pour atteindre un but toujours inspiré -il faut lui rendre justice -par un ardent patriotisme, il ne recule devant aucun de ces moyens, qui peut etre seraient répudiés par d'autres hommes d'Etat plus scrupuleux. Pour briser les résistances, il sacrifierait hommes et principes quand ils auraient cessé d'etre d'utiles instruments entre ses mains. Il est nommément très enclin à disposer en politique des territoires qui n'appartiennent pas à l'Allemagne. Ainsi dans le temps, en 1865, il se montrait pret à gagner la France par la promesse de lui laisser annexer tous les pays «dont les habitants parlaient le français » Plus tard, pour détacher Hambourg de ses sympathies pour le Due d'Augustenbourg, ce candidat genant à la Souveraineté des Duchés du Schleswig Holstein, il faisait miroiter aux yeux de cette ville libre un arrondissement de territoire. Hambourg s'est bien gardé de rappeler ces espérances! Le Comte Taufkirchen lui meme s'était laissé éblouir par le charme que le Président du Conseil sait donner à ses discours, aux brillantes perspectives qu'il déroulait à ses yeux de reconstituer l'alliance du Nord. Le diplomate Bavarois s'est exagéré l'importance de ces pourparlers qui, dans l'esprit de son interlocuteur, n'avaient en vue que de parer au plus

17 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

pressé; car j'hésite à croire que les négociations, si elles avaient été sérieusement entreprises, eussent abouti à une des alternatives mises en avant par la P russe.

Bref, appelons les choses par leur nom, M. de Bismarck a une propension à promettre parfois plus, je ne dirai pas qu'il ne veut tenir, mais qu'il ne peut tenir. N'en avons-nous pas fait l'expérience en 1864 lorsqu'il nous a engagé à signer un traité de commerce pour faire pièce à l'Autriche, et lorsque plus tard il en a ajourné la signature à l'année suivante. Je n'avais pas manqué de me récrier contre ce procédé, et il m'avouait avec une bonhomie bien faite pour désarmer: que je n'avais à ses yeux qu'un seul tort, celui d'avoir trop raison!

Il faut donc se défendre de prendre toutes ses assertions à la lettre, La faconde lui fait souvent dépasser le but. Il convient plutòt de le juger, non par telle ou telle phrase, mais d'après l'ensemble de son langage et de ses actes. Or, à ce point de vue, je persiste à soutenir pour autant qu'il est permis d'en extraire le fond de sa pensée, qu'il est porté vers l'Italie. Il y a d'ailleurs derrière lui une nation dont la majorité libérale nous est favorable tandis que derrière l'Empereur Napoléon nous trouvons des adversaires dans les partis les plus opposés. Nous devons seulement, autant que possible, nous tenir en garde contre des écarts, contre cette disposition à abandonner ses propres amis quand l'utilité de leur assistance ne lui est plus démontrée. Un jeu serré nous est indiqué! C'est à quoi je m'applique sans le laisser entrevoir.

Malheureusement, dans le corps diplomatique, nous n'avons que de très rares occasions de rencontrer le Président du Conseil. Les Ambassadeurs euxmèmes, malgré leurs privilèges, sont souvent obligés de s'adresser au sous secrétaire d'Etat. La santé et les travaux multiples du Comte de Bismarck expliquent jusqu'à un certain point sa retraite.

Lord Loftus vient cependant d'écrire à son Gouvernement qu'il ne peut plus accepter une position semblable. Quelle que soit la confiance personnelle que lui inspire M. de Thiele, il croirait manquer à son devoir s'il ne traitait pas les affaires directement avec le Ministre des Affaires Etrangères. Il ne veut pas s'exposer à ce que celui-ci désavoue un jour le langage d'un fonctionnaire sous ses ordres et irresponsable. S'il plait à M. de Bismarck de s'annoncer, par une récente circulaire, comme en congé pour rétablir sa santé, tandis qu'il est bien portant au conseil fédéral qu'il préside, Lord Loftus engage Lord Stanley à se plaindre de cet état de choses anormal, ou tout au moins à l'autoriser à quitter son poste jusque au jour où il saura que M. de Bismarck aura repris le sien. L'ambassadeur d'Angleterre a en mème temps fait savoir à M. de Thiele sa manière de voir. M. Benedetti, sans formuler une réclamation, a cependant laissé entendre à paris qu'il donnait raison à son collègue britannique. Farmi les Envoyés Extraordinaires, les plaintes sont générales; le Ministre d'Espagne rencontrant en maison tierce le Président du Conseil, s'est présenté en lui demandant s'il le reconnaissait encore, puisque depuis une année, il n'avait pas eu l'occasion de se rappeler à son souvenir.

Je me tiens à l'écart de toutes ces manifestations de dépit. M. de Bismarck m'en sait gré. Il me l'a fait dire. Aussi il ne refuse jamais ma visite quand il y a quelque affaire importante à traiter; comme lors de l'échauffourée du Général Garibaldi. Maintenant que depuis bien des jours des douleurs intolérables

me forcent à garder le lit, il a envoyé M. de Thiele chez moi prendre de mes nouvelles.

Mais il n'en résulte pas moins que nous sommes tous plus ou moins en charte privée, que nous n'avons que le pàle reflet de la pensée du Ministre dirigeant; que le service en souffre, et que nos collègues dans les autres résid•nces ont sur nous le grand avantage de s'inspirer de première source. Au reste les agents diplomatiques de la Prusse à l'étranger n'ont pas une position plus facile, en ce sens que leur chef les traite avec peu de ménagements, pour ne citer que le Comte d'Usedom auquel il a été adjoint un M. Bernhardi, qui durant la guerre de 1866 expédiait ici des articles qui ont fixé l'attention du Cabinet de Berlin. Gràce au titre purement honorifique de conseiller de Légation, M. Bernhardi, sans appartenir à la carrière diplomatique, est en correspondance directe avec le Comte de Bismarck. Je plains M. d'Usedom d'avoir à subir un tel contròle, sans pouvoir contròler à son tour.

Je profite de l'occasion du courrier Anielli pour parler à coeur ouvert. Je prie V. E. d'excuser la longueur de ce rapport...

(l) -Cfr. n. 147, nota 2, p. 186. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. n. 109.
156

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 168. Berlino, 7 marzo 1868 (per. il 12).

En faisant suite à mon rapport du ter Mars N. 160 (1), j'ai l'honneur d'annoncer que le Prince Napoléon est arrivé ici le 4 au soir. Ne pouvant me rendre moi méme à la station pour lui faire cortège, puisque je suis toujours alité, j'avais chargé M. Tugini de me remplacer et de s'entendre à cet effet avec M. Benedetti. Mon collègue de France a préféré toute abstention vu le stricte incognito de l'auguste voyageur. Mais il [est] venu me remercier en personne dès le lendemain, au nom de Son Altesse Impériale, de mon intention courtoise de mème que de celle que j'avais manifestée de lui présenter mes hommages dès que le médecin lèverait mes arrèts.

Le Prince Royal de Prusse s'est empressé de prévenir Son Altesse Impériale, en lui demandant de fixer Elle mème dans quelles limites on devait respecter son incognito, la Famille Royale de Prusse tenant à lui faire bon accueil de toutes manières et à se montrer reconnaissante des attentions cordiales dont elle avait été l'objet aux Tuileries à l'époque de la dernière exposition universelle. Dans la matinée, le Prince a fait visite au Roi et aux autres membres de la Famille Royale. Le mème jour il a diné chez Sa Majesté.

Dans la journée du 4, j'ai eu la visite de M. de Thiele qui m'a confié le détail suivant. M. Benedetti lui avait lu une dépéche de M. de Moustier annonçant que le Prince avait demandé et obtenu l'agrément de l'Empereur pour une excursion en Allemagne, mais qu'il n'avait ni mission, ni directions. Il ne voyageait que pour son propre plaisir et pour sa propre instruction. Ces ouvertures mettent la Cour et le Gouvernement parfaitement à l'aise. Ils ne négligent rien pour laisser de bonnes impressions à Son Altesse Impériale; mais

lls ne répondront que dans des termes généraux et avec une extréme réserve, si Elle cherchait à engager un échange de vues sur le terrain politique. De Paris on a en quelque sorte jeté sur Elle un interdit, un désaveu éventuel, si Elle allait trop loin méme dans l'expression de ses vues personnelles. Du reste ici on n'a contre ce Prince rien qui ressemblerait de près ou de loin à un sentiment d'aigreur ou de rancune. On sait qu'il ne s'est pas prononcé, comme tant d'autres, contre la Prusse, que dans le temps il s'était méme permis de blàmer la politique française pleine d'irrésolution et qui n'avait pour conséquence que d'entretenir des deux còtés du Rhin, sans profit pour la France, une tension des plus regrettables. Je n'ai aucun motif de croire que Son Altesse Impériale, mette la question de Rome sur le tapis, ou toute autre affaire qui nous concerne; mais aà ogni buon fine, j'ai prié M. de Thiele de déclarer au Comte de Bismarck que je n'admettais pas qu'il y eut ici qui que ce fut autorisé à parler en notre nom, en dehors du représentant du Gouvernement du Roi. Le Sous Secrétaire d'Etat ne pensait pas que le Prince s'aventuràt sur ce terrain; mais, d'après certains indices, on s'attendait à quelque sortie au sujet de l'Orient.

Si tel était le cas et qu'à propos de l'Orient on voulut chercher à mettre le froid entre la Prusse et la Russie, le moment serait assez mal choisi. Les publications du Livre rouge ont jeté de la défiance entre ,ce Gouvernement et celui de Vienne, défiance qui recevra un nouvel aliment par le fait, s'il se conf[rme, que le Prince de Metternich, payait 2000 francs à M. de la Varenne pour écrire l'opuscule, gare aux barbares, en donnant par là un démenti aux assurances du Baron de Beust sur ses efforts pour prévenir un conflit lors des affaires du Luxembourg. Or comment pourrait-on supposer que, dans ces conjonctures, le Cabinet de Berlin consentit à se brouiller avec ses voisins du Nord?

Mais l'insinuation faite par M. de Thiele démontre qu'on n'ajoute pas une foi entière à la dèpèche précitèe du Marquis de Moustier. Sauf de preuves plus convaincantes, on veut voir dans le Prince autre chose qu'un simple touriste.

J'ai entendu bien des commentaires. Voici les plus marquants.

Selon une opinion assez répandue ici dans le peuple, Son Altesse Impériale serait chargée de laisser entendre qu'une tentative sérieuse de passer le Mein serait un casus belli aux yeux du Gouvernement Français. Cette opinion a-t-elle quelque fondement? J'en doute, car ce serait attribuer à l'Empereur une énergie de volonté qu'il semble avoir presqu perdue, au moins d'après les indications transmises ici.

Il est une autre version qui a cours parmi mes collègues, à savoir que l'Empereur, jugeant du Gouvernement en Prusse d'après celui de la France, établirait une distinction entre le Souverain et ses Ministres. Il voudrait donc arriver jusque à l'oreille du Roi pour vérifier s'il est en parfait accord avec les idées du Comte de Bismarck. Il faudrait profiter de la moindre lacune pour rnieux battre en brèche les plans hardis du Président du Conseil et pour enrayer le char de l'Etat. Cette version aurait un còté assez vraisemblable si Napoléon III croyait vraiment que Berlin soit comme Paris une arène où s'entrecroisent une politique ministérielle et une politique occulte. Mais alors on serait bien mal renseigné sur le parfait accord qui règne entre le Roi et son premier Ministre. Il n'y a pas longtemps que M. Benedetti a pu s'en apercevoir lorsque, voulant essayer d'en appeler à Guillaume I du jugement du Comte de Bismarck, Sa Majesté lui répondit assez sèchement qu'Elle n'était que l'écho de ce dernier!

Autre version: la course du Prince Napoléon à Berlin n'aurait pour but que de masquer autant que possible les visites qu'il fera ensuite à d'autres Cours du Nord et du Midi de l'Allemagne où Il aura à explorer le degré de sympathie ou d'antipathie qui s'y manifeste à l'ègard de la Prusse. J'ignore si Son Altesse Impériale a le flair assez exercé pour bien distinguer la vérité de l'erreur. Ce n'est pas en traversant un pays qu'on peut acquérir un sain criterium de ses dispositions. Elle n'entendrait que Ies plaintes de quelques Cours secondaires, jalouses du succès de la Prusse et anxieuses de leur propre avenir. Et d'ailleurs ce diplomate de hasard serait exposé à n'asseoir ses propres impressions que sur celles des Envoyés de France qui ont été conservés à leurs postes, malgré les événements qui ont déjà si profondément transformé l'Allemagne. Or nous savons qu'en 1866 ils ont presque tous fait fausse route, et qu'ils semblent attendre de prendre leur revanche sans se rendre compte que devant eux ils ont I'irréparable. Il est vrai qu'en présence des doubles courants de la politique des Tuileries et de celle de leur Ministre des Affaires Etrangères, ils ne savent souvent à qui plaire, ou s'ils le devinent, ils taisent ce qui pourrait offusquer. L'Empereur Nicolas sur son llt de mort, faisait l'aveu, que sa diplomatie l'avait conduit aux désastres de la Crimée, parce qu'elle lui avait caché une partie de la vérité sur les relations entre la France et l'Angleterre. Si l'Empereur Napoléon ne peut pas compter davantage sur la franchise à toute épreuve de ses agents, il court le risque d'avoir à son tour à en supporter les tristes conséquences.

Ce n'est certes pas cette franchise qui fera défaut au Prince Napoléon; mais il serait d'autant plus fàcheux que, malgré cette qualité, et en suite d'informations prises au voi, il contribuàt à fortifie,r les erreurs propagées dans son pays sur le véritable état des choses en Allemagne.

Je me réserve, quand je sera,i nouvellement sur pied, de recueillir, si possible, des détails exacts sur ce sujet.

Le Prince Napoléon restera ici environ une semaine. Il ira ensuite à Dresde, Stuttgart... il serait meme question, dit M. de Thiele, d'un voyage à Vienne.

J'ai fait prévenir hier Son Altesse Impériale, que le courrier Anielli partirait aujourd'hui, et je l'ai mis à Sa disposition dans le cas où Elle voudrait écrire à notre Auguste Souverain.

(l) Cfr. n. 142.

157

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1023. Vienna, 8 marzo 1868, ore 14,30 (per. ore 17).

L'Empereur agrée le choix de Pepoli comme ministre d'Italie ici. Prince Napoléon passera à Paris avant de venir ici où il est annoncé. Courrier de Cabinet partira d'ici demain matin pour Florence.

158 L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 254. Vienna, 9 marzo 1868 (per. il 12).

II Barone di Beust mi parlò ieri del viaggio del Principe Napoleone. Egli cominciò col dirmi che Sua Altezza mutando il suo primitivo progetto, non verrà a Vienna se non più tardi, e dopo essere ritornato a Parigi. «Il Marchese di Moustier, aggiunse egli, spedì agli Agenti Francesi all'Estero una Circolare, il che del resto non significa mai nulla, per antivenire le interpretazioni inesatte di quel viaggio. Il Conte di Goltz fu pregato personalmente dall'Imperatore Napoleone di far conoscere al suo Governo che era anticipatamente sconfessata ogni entratura che il Principe avesse preso sopra di sé; ma anche ciò ha un valore relativo: è naturale che l'Imperatore desideri di non aver fatto suggerimenti finché essi non siano aggraditi, e che non intenda di impegnarsi, pur desiderando di conoscere in quali disposizioni si sia a Berlino verso di lui, e che cosa egli se ne possa eventualmente aspettare. Voi altri Italiani che avete molto trattato coll'Imperatore ed il suo Cugino, disse infine sorridendo il Barone di Beust, dovete conoscere il loro modo di fare».

Cosi il Barone di Beust ammette l'importanza politica del viaggio del Principe: ho l'impressione che egli lo consideri come un tentativo di riavvicinamento tra la Francia e la Prussia; il senso alquanto ironico delle sue ultime parole non mi parve tuttavia ispirato da alcun dispetto o timore.

Ebbi ieri sera sullo stesso argomento una lunga conversazione col Conte Andrassy, il quale s'interessa vivissimamente ad ogni cosa che possa toccare gli affari d'Oriente.

«Non credo, mi disse egli in sostanza, che i tentativi qualsiasi che possono aver luogo tra Parigi e Berlino, possano minacciare in nessun modo i nostri interessi essenziali, che consistono nel contenere l'ambizione Russa in Oriente. L'Imperatore Napoleone ha preso verso di noi a quel riguardo troppo precisi impegni per abbandonare noi e le future autonomie Orientali alla Russia. Se veramente il Principe Napoleone farà a Berlino qualche insinuazione, il che ignoro completamente, suppongo, che non sarà che sulla possibilità di un consenso dato dalla Francia allo svolgimento della politica tedesca della Prussia, in ricambio di qualche villaggio Prussiano di cui la Francia, aggiungendovi parte del Belgio, s'accontenterebbe. Fuori di ciò non vedo più altra materia di colloquio pel Principe, se non il ristabilimento della Polonia, argomento delicatissimo ad esser trattato, sopra tutto a Berlino. Non è impossibile, è vero, che il Principe trovi Bismarck disposto a discutere con lui. So che Bismarck ha una certa inclinaZiione verso lo spirito scatenato ed il carattere entrier del Principe. Anzi mi fu scritto (non so se sia vero) che da qualche mese Bismarck è personalmente meno alieno dall'intendersi eventualmente colla Francia. Ma se il Principe tratterà col Re Guglielmo, verso il quale sono indispensabili certi riguardi e precauzioni di linguaggio, di cui il Principe è assolutamente incapace, non riuscirà certo che a degli urti».

Riservandomi di riferire a V. E. in separati rapporti cose interessanti dettemi da quei due Ministri dirigenti la politica Austriaca, continuo la mia relazione di quanto sentii di più autorevole circa il viaggio del Principe.

Fece molto senso qui il fatto che il Duca di Gramont, il quale tre giorni sono annunziava il prossimo arrivo del Principe da Berlino, fu di poi informato che il Principe per ora ritorni da Berlino a Parigi. Si fanno infinite ipotesi su quel mutamento di progetti del Principe.

Le informazioni del Conte di Stackelberg sono le seguenti. Il Barone di Budberg scrive da Parigi che i rapporti tra il Principe ed il suo Augusto Cugino non sono buoni; che il Principe avendo desiderato di allontanarsi da Parigi per qualche tempo e di far per proprio conto un viaggio d'osserva· z~one, un puro e semplice permesso gli fu accordato a quel riguardo; e che l'Imperatore pregò Goltz che a Berlino non gli parlassexo troppo di cose politiche. A ciò il Conte di Stackelberg oppone un dubbio completo osservando che l'Ambasciata di Russia a Parigi non volle credere finora ad accordi effettivi tra la Francia e l'Austria a danno della Russia nella questione d'Oriente, accordi che invece egli, il Conte di Stackelberg, crede relativi bensì ad eventualità future, ma innegabili e positivi. Da Berlino poi il Conte di Stackelberg è informato che il Principe fu accolto con grande cortesia verso la sua persona, ma con gran freddezza verso le sue idee, nella esposizione delle quali egli si sarebbe del resto mantenuto in una inaspettata riservatezza. Tale freddezza del Gabinetto di Berlino sarebbe secondo il Conte di Stackelberg la ragione della sua rinuncia per ora a venir qui; egli arriverebbe invece a Vienna in Maggio, e proseguendo la sua gita pel Danubio si recherebbe sul suo yacht fino a Costantinopoli, prendendo così l'apparenza di un semplice touriste.

Il Barone di Werther infine mi diceva spontaneamente ieri sera che veramente, secondo che gli scrivono, il Principe non disse finora nulla che uscisse dalle generalità e che fosse di qualche conseguenza.

Mi limito a questi appunti su quanto sento ed osservo qui. Ciò mi pare il più savio consiglio in un argomento, del quale forse si fa assai più rumore di quanto esso merita.

159

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 255. Vienna, 9 marzo 1868 (per. il 12).

Nel colloquio che ebbi ieri col Barone di Beust, egli mi disse riguardo agli affari d'Oriente: «Le cose nelle regioni del Basso Danubio non vanno male. A Parigi si continua a dimostrarsi inquieti sullo stato delle cose in Rumenia; quei timori, secondo me, sono esagerati. Quel Jon Bratiano è senza dubbio un uomo pericoloso, ma credo che gli agitatori intenderanno come non sia un buon momento per essi quello in cui la Russia stessa raccomanda francamente per mezzo di tutti i suoi Agenti la calma e la tranquillità».

Confesserò a V. E. che quel riconoscimento per parte del Barone di Beust del contegno corretto della Russia, e la sua aperta quietezza circa pericoli che in generale si è qui piuttosto disposti ad esagerare, mi parvero dover essere per parte mia oggetto di qualche investigazione. Venni così a sapere che il Governo Francese si difende accuratamente contro l'accusa, proferita a Pietroburgo, che sia egli lo spacciatore delle allarmanti, ma false notizie di minacciose agitazioni nei paesi Danubiani; che anzi il Barone di Talleyrand asseri tali rumori provenire da Vienna. Forse il Barone di Beust ha ora per iscopo nel suo linguaggio di allontanare da sè quel sospetto.

Le notizie di Costantinopoli giunte a questo Ministero Imperiale recano, a quanto mi si afferma, che riguardo a Candia il Governo Ottomano aspetta il ritorno di Aali Pacha per determinare le istituzioni da impiantare nell'isola. Non si crede impossibile che venga preposto all'amministrazione dell'isola un Governatore Cristiano.

L'arrivo di Aali Pacha darà pure una spinta più decisa al negoziato tra la Porta ed i Montenegrini. Il tratto caratteristico di tale negoziato sembra essere che nelle obbiezioni della Porta alle domande del Montenegro, come nell'argomentazione dei Montenegrini, tutto si fonda sul principio ammesso dell'indipendenza del Montenegro. << Se voi, dice loro la Sublime Porta, foste nelle stesse condizioni della Rumenia e della Serbia, potrebbe più facilmente esservi accordata una cessione di territorio. Ma nelle condizioni in cui siete non potete pretendere a tali concessioni se non offrendo qualche compenso '>. Non essendosi riusciti ad intendersi sulla proposta di concessioni decennali di terreni, perchè la Porta non volle prendere il carico finanziario dell'indennizzo del possidenti, sl mira ora dagli Ambasciatori d'Austria, d'Inghilterra e di Francia, a indurre i Montenegrini ad accettare il principio del compenso, salvo a determinarne la natura. La Porta considererebbe come compenso ammessibile per la cessione del littorale Nord della Moratscha, l'angolo sporgente di Novi Bazar, che ha una certa importanza strategica; ma essa stessa riconosce che le disposizioni dei Montenegrini non comportano simile concessione, nè in conseguenza fece al riguardo alcuna proposta.

Il Signor Demetrio Bratiano avendo chiesto a questo Governo il passaggio attraverso il territorio dell'Impero di 34 cannoni destinati alle truppe Rumene, il Barone di Beust accordò il relativo permesso, e diresse in proposito (a quanto so da fonte riservata) schiarimenti ad alcuni Agenti Austriaci all'Estero. «Non potevamo, così si espresse H Barone di Beust, opporci a tale transito, che non è d'altronde vietato dalle Leggi dell'Impero, senza dar pretesto ad accuse di malevolenza verso il Governo Rumeno; d'altronde quei cannoni avrebbero altrimenti potuto essere inviati per mare a bordo dei bastimenti mercantili, non sembrando che la Porta potesse impedirne il passaggio pei Dardanelli. Ma il Governo Austriaco desidera che si apprezzi equamente il motivo di tale suo consenso, e che non si rinnovino in tale occasione i sospetti che l'Austria abbia dei progetti contrari all'integrità dell'Impero Ottomano 1>.

Da Alessandria d'Egitto si ha che una società di capitalisti inglesi, appoggiata ufficiosamente dal Governo della Regina, fece testè vantaggiose offerte al Governo del Viceré per la compra della ferrovia da Alessandria a Suez, e che il Vicerè, le cui finanze sono, come ognun sa, assai oberate, era disposto ad accettare, quando le influenze francesi glielo sconsigliarono, rimostrando come potessero riuscire pericolosi per l'indipendenza dell'Egitto i mezzi di prevalenza che così venissero acquistati sul territorio Egiziano dall'Inghilterra già forte nel Mar Rosso.

V. E. mi scuserà se queste note da me prese sugli Affari d'Oriente da questo posto d'osservazione non hanno sufficiente connessione tra esse, e non sono abbastanza complete. Non ho altra pretesa nel sottomettergliele, se non di somministrare forse argomento di maggiori schiarimenti per parte degli altri Agenti del Governo del Re, meglio in grado di esser bene informati al riguardo.

160

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 96. Costantinopoli, 10 marzo 1868 (per. il 19).

Mi affretto ad accusare il ricevimento dei due dispacci di questa serie

n. 49 e 50 (l), coi quali mi si danno precise istruzioni in riguardo al modo con cui debbo governarmi nella presente condizione delle cose Ottomane, nonché a ringraziare V. E. per l'opportunità in cui me le fece pervenire.

I miei due Rapporti Serie politica n. 88 e serie commerciale n. 9 (2), che dovevano probabilmente già essere sott'occhio di V. E. quando i due Ministeriali, cui ho l'onore di rispondere pervennero alle mie mani, L'avranno, spero, abbastanza informato sul mio contegno in proposito, nè LasciatoLe alcun dubbio che su questo scacchiere di Stamboul, dove le rivalità e le influenze d'ogni maniera si fanno a gara per tener dietro ai varii avvenimenti che o si promuovono, o si succedono spontanei, per volgerli, potendolo, ciascuno a proprio ed esclusivo profitto, io non piglio consiglio da altro fuorchè dal nostro interesse tal quale lo intendo, onde poscia informarne il Governo, secondo il concetto che me ne formo, lasciando sempre a Lui, come di ragione, le dernier mot, ed anzitutto la libertà d'azione.

Dal dì che firmai la Nota collettiva del 29 ottobre, credo d'essermi sostanzialmente mantenuto nella linea di condotta che mi viene appunto indicata nei due dispacci sovraccennati, siccome quella che parmi interamente conforme ai nostri interessi immediati non solo, ma può notevolmente vantaggiarli in avvenire, tanto più se è dato all'Italia, come le auguro e le desidero, la invidiabile fortuna di poter, mercè la sua influenza, conservare la pace Europea in questo delicato momento.

Ove poi dal modo reciso ed esplicito col quale mi spiego sulla politica Russa in Oriente, l'E. V. voglia dedurre che non le sono gran fatto favorevole, io ammetto senz'altro ch'Ella ben s'appone, posto che io non ami una flotta Moscovita sull'Adriatico, nè lo Czarismo ed il Socialismo in Occidente, ed abbenché, d'altra parte, io non disconosca punto nè la grandezza dello scopo che questa politica fatale ed inflessibile si propone, nè la destrezza, se così vuol chiamarsi, colla quale venne sin qui condotta dagli uomini di Stato che successivamente la maneggiarono e la maneggiano. Debbo tuttavia aggiungere, per sicurezza dell'E. v., che il modo col quale, per debito di franchezza, io mi esprimo scrivendoLe non è certamente quello col quale mi credo in obbligo di esprimermi comunemente, nè tampoco coi miei stessi Colleghi, eccetto nel caso in cui per ben colpire le loro proposte, e prima di trasmetterle a V. E., io credo opportuno di discuterle alla libera con essi, e nei varii loro intrecci, il che feci e faccio però sempre in guisa da non implicar mai altro fuorchè la mia opinione individuale, e senza che il Ministero rimanga altrimenti impegnato.

Per indicare intanto all'E. V. come intenderei di eseguire ulteriormente le istruzioni datemi, e profittar d'un tempo in cui la nostra azione politica non ci crea alcun impegno, etc. come si esprime il dispaccio n. 49, io debbo sottometterLe uno scrupolo ad ogni buon fine.

Alla 6a facciata di esso dispaccio, ed all'Alinea che comincia ... La nostra posizione diplomatica di fronte alle difficoltà che sorgono etc., le istruzioni ministeriali aggiungono che la nostra politica è basata sul non-intervento, e che, qualora questo principio sia da tutti rispettato, noi non vediamo da quali avvenimenti potrebbero essere compromessi i nostri interessi politici e commerciali in Levante.

Credo poterLe affermare che gli uomini di Stato Ottomani non credono più tanto che la Russia, la quale prese l'entratura essa stessa nel proclamare il principio del non intervento, ed unicamente pour avoir les coudées tranches, come si espresse meco il Gran Vizir, voglia rispettarlo sul serio quando succedessero complicazioni in Oriente; credono anzi ch'essa abbia precisamente accampato questo principio per suscitarle ed usufruttuarle. In ordine a questo stesso principio del non-intervento, stimo bene di mettere sott'occhio all'E. V., qualora non l'avesse, per avventura, ancor letto, un dispaccio del Barone di Beust al Barone Prokesch, dal quale scorgerà sotto qual punto di vista esso sia considerato.

Ciò premesso, io crederei, ove l'E. V. nulla abbia in contrario, di uniformarmi in massima al contenuto delle istruzioni ricevute onde raggiungere lo scopo precipuo in esse indicato, e nelle varie sue appartenenze, ma di astenermi dal formolare sì col Governo Ottomano, sì coi miei Colleghi la parola non-intervento, per così conservare al Ministero la maggiore libertà d'azione possibile, e non crearci appunto alcun impegno, qual sarebbe quello di attenerci al principio sovraccennato, qualora i nostri interessi ci consigliassero più tardi il contrario, e la nostra qualità di Potenza Garante ci offrisse l'opportunità di esercitare un diritto incontestabile.

(l) -Cfr. n. 128; 11 D. 50 non è pubblicato. (2) -Non pubblicati.
161 IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1029. Parigi, 11 marzo 1868, ore ... (per. ore 2:31.

J'ai été voir l'Empereur. J'ai appelé son attention sur le calme qui s'est fait dans les esprits en Italie et sur la consolidation de votre ministère et je lui ai demandé si le temps ne serait pas venu de rappeler les troupes impérialPs des Etats pontificaux. Sa Majesté m'a dit qu'il allait donner ordre de rappeler en France une nouvelle brigade, mais que pour l'autre brigade il fallait attendre encore quelque temps. Mon impression est que l'Empereur ne veut pas fixer la date de la cessation de l'occupation, tant que le Corps législatif est réuni. Moustier s'occupe en ce moment de la réponse à votre dépéche sur le modus vivendi (l).

162

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1030. Pietroburgo, 12 marzo 1868, ore 20,15 (per. ore 22,25).

J'ai envoyé à V. E., le trois du mois courant, par courrier de Cabinet, communication d'une demande de l'envoyé du Roi des Hellènes qui m'a été adressée en conférence avec le prince Gortchakoff et appuyée par lui, pour prier Gouvernement du Roi d'envoyer un navire à Candie pour aider les navires russes au transport des familles. J'ai prié ministre grec de faire amicalement à V. E. demande analogue par son collègue à Florence.

163

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 259. Vienna, 13 marzo 1868 (per. il 17).

Nella XVII Seduta della Delegazione Ungherese per gli affari comuni, della quale non riferii a V. E. nel mio dispaccio politico n. 256, li 9 marzo (2), se non quanto s'andava dicendo la stessa sera, rilevo ora dai resoconti quanto segue.

L'opposizione mosse rimprovero al Governo di non aver dato segni sufficienti del suo desiderio di stringere coll'Italia quelle intime relazioni che sono dell'interesse reciproco dei due Stati. Il Delegato Barady dimostrò che la pro

tezione del potere temporale del Papa, che questo Governo sembra assumersi in parte in certi dispacci del Libro Rosso, non può essere esercitata effettivamente senza che si venga ad un conflitto coll'Italia. Il Delegato Koloman Ghyczy, dopo aver esposto come questa Monarchia non debba prefiggersi altro scopo che d'impedire all'unità panslava di assorbirsi i territori diversamente popolati situati tra l'Adriatico ed il Mar Nero, soggiunse che la Germania non può desiderare che in tutta l'estensione dei suoi confini orientali la Russia diventi sua vicina; e che in quanto all'Italia, non si saprebbe comprendere come essa potrebbe credere conforme ai propri interessi di avere a trovarsi di faccia alla Russia sull'Adriatico quando avesse compiuta la sua opera d'unità (il che dall'uditorio fu inteso riferirsi a Roma). Le stesse popolazioni cristiane sottoposte all'impero ottomano non tendono verso la Russia se non perché da essa sola aspettano efficaci aiuti e simpatie. «Se i nostri vicini, specialmente la Prussia e l'Italia, continuò l'oratore, sembrano desiderare egualmente di vedere questa monarchia indebolita, e considerarci come le future vittime della riconstituzione dell'Europa, gli è perché la nostra politica conferma il sospetto che da noi anzitutto verrà, alla prima occasione favorevole, il maggior pericolo sia per i loro territori che per la loro politica ».

Dopo questo discorso, e mentre alcuni altri Delegati toccavano più direttamente l'oggetto stesso della discussione, cioè il bilancio della Guerra, il Conte Andrassy, a quanto egli mi narrò, disse privatamente al Barone di Beust, presente anch'esso alla seduta, essere questa l'occasione di distruggere presso la Delegazione l'effetto delle frasi poco felici del Libro Rosso relative specialmente all'Italia. Il Conte Andrassy si alzò adunque per dichiarare che i consigli di amichevoli relazioni coi vicini, dati dagli oratori dell'opposizione erano stati prevenuti dalla politica del Governo; e che se alcune frasi del Libro Rosso potevano, non però senza qualche sforzo d'interpretazione, indicare il contrario, giovava ricordare il motto «datemi tre righe d'una lettera e fo inviare in galera chi le scrisse».

Avendosi notizia tra i Delegati di spiegazioni scambiate tra il Governo del Re e quello dell'imperatore sul Libro Rosso, tali parole del Conte Andrassy furono accolte come una affermazione dei buon rapporti tra essi e delle disposizioni amichevoli che si han qui per l'Italia.

Il resto della discussione si aggirò sulla impossibilità del disarmo e sulle cose di Germania e di Oriente. Accludo al presente dispaccio l'interessante discorso pronunziato sopra quegli argomenti dall'oratore del Governo, Signor de Falke (1).

Il Barone di Beust, la prima volta che l'incontrai dopo quella seduta, mi avvicinò con queste parole « Vous devez etre content de ce que le Gouvernement a dit à la Délégation Hongroise sur nos dispositions envers vous ». Risposi esprimendo la fiducia che la politica austriaca si sarebbe svolta a nostro riguardo con parole sempre più esplicite, come data l'occorrenza, con fatti efficaci.

(l) -Cfr. n. 68. (2) -Non pubblicato.

(l) Non si pubblica.

164 IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 635. Parigi, 14 marzo 1868 (per. il 17).

Il Signor Cretzoulesco, agente in Parigi di S. A. il Principe Carlo di Rumenia mi ha diretto in data del 10 corrente una lettera relativa agli affari dei Principati Uniti. Mi fo premura di trasmettere qui unito questo documento all'E. v. Ho accusato ricevuta al Signor Cretzoulesco della sua lettera e gli annunziai in pari tempo che ne avrei dato comunicazione al Governo del Re.

ALLEGATO.

CREZULESCU A NIGRA

L. Parigi, 10 marzo 1868.

Le Gouvemement de S. A. le Prince Charles de Roumanie voulant me laisser subsister aucun doute sur le caractère de sa politique et sur ses loyales intentions, m'a chargé de donner l'assurance a V. E. qu'il n'a jamais cessé un seul instant d'etre animé du désir le plus vif et le plus sincère de ne foumir aux puissances qui ont garanti l'autonomie de la Roumanie aucun motif légitime de trouble ou d'inquétude.

Au moment où il n'est plus possible de douter de la complète fausseté des allégations auxquelles il vient d'etre en butte au sujet de ce qui a été appelé le mouvement BulgaroSerba sur le Danube, le Gouvemement Roumain a cru opportun de renouveler cette déclaration faite plusieurs fois déjà dans d'autres circonstances. Il saisit cette occasion pour rappeler sa ferme résolution de vivre avec les Etats de l'Europe dans des relations de bonne amitié et de cordiale entente. En maintenant cette ligne politique dont il ne s'est jamais écarté, il se montre fidèle au sentiment de reconnaissance que commande la position respective de ces Etats et les services que la Roumanie en a reçus.

Le Gouvemement de Son Alt,esse n'a jamais songe à troubler la paix en Orient. Il n'aspire qu'à réorganis.er intérieurement le pays; c'est vers ce but que se concentrent ses efforts et c'est avec satisfaction qu'il porte à la connaissance des Puissances garantes que la nation toute entière, dans ce qu'elle a de viril et de sain, seconde ce mouvement de renovation, objet de tous les voeux et de toutes les espérances. Cet heureux concours du Souverain et du peuple Roumain dans une action commune est devenu la base d'une prospérité et d'une stabilité dont les Puissances Garantes elles memes, ne pourront manquer d'apprécier les féconds et durables résultats.

Le vote de désapprobation que le Sénat a émis naguère contre le Ministre de la justice dans une circonstance tout à fait particulière ne diminue en rien l'autorité morale et la force du Gouvernement. La Chambre lui est toujours dévouée, l'initiative des réformes prise par le Prince et par le ministère lui inspire toujours la meme gratitude. Le Gouvemement a un appui plus puissant encore: celui de l'opinion publique.

On peut le dire: ce vote du Sénat qui a été dicté par des sentiments personnels et qui n'a passé qu'à 3 voix de majorité, sur une question tout à fait spéciale, la réorganisation de la Cour de Cassation, n'a nullement atteint le Gouvernement car aussitòt la Chambre lui a donné un vote de confiance à une majorité de 84 voix contre 32.

Je m'arrete un instant sur ces détails, M. le Ministre, afin que V. E. ne se méprenne pas sur la portée de cette manifestation. Le Gouvernement ne s'en est point ému et n'a pas fait usage de la faculté que lui confère la constitution de dissoudre le Corps où elle s'est produite.

Ainsi, à l'intérieur comme à l'extérieul' la situation de la Roumanie est satisfaisante et permet d'attendre avec confiance la réalisation des améliorations généralement désirées.

Espérant, M. le Ministre, que les assurances que j'ai l'honneur de Vous donner seront accueillies par votre Gouvernement avec autant de satisfaction que j'éprouve de plaisir à Vous les transmettre, je n'ajouterai plus qu'un mot au sujet de la mission roumaine à Saint Pétersbourg que des rapports visiblement empreints de malveillance ont voulu présenter sous un jour défavorable.

Les bruits répandus à cet égard sont encore une manoeuvre des ennemis du Gouvernement roumain qui ne saurait échapper, méme à l'oeil le moins exercé. Cette mission n'a nullement le but politique qu'on veut lui assigner. Ce serait envain qu'on s'efforcerait d'en dénaturer le vrai caractère: il est trop facile de le rétablir.

MM. Cantacuzene et Melchisedec ont été envoyés à Saint Pétersbourg au méme titre que M. Dimitri Bratiano l'a été à Vienne. Ils sont chargés de traiter avec le Gouvernement Russe, comme M. Bratiano est chargé de le faire avec le Gouvernement autrichien, de la juridiction consulaire, des services postaux et télégraphiques et enfin de certains impots relatifs aux commerçants étrangers. Ces mémes questions doivent ètre l'objet de démarches analogues auprès des autres Puissances Garantes.

165

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC

D. 87. Firenze, 15 marzo 1868.

I rapporti ch'Ella mi ha diretto sotto i N. 250 sin a 258 di questa serie (1), mi pervennero regolarmente.

La ringrazio delle interessanti notizie ch'Ella mi ha dato sulle voci che andavano in giro a Vienna circa il viaggio di S. A. il Principe Napoleone. Gradirò assai di conoscere se altri indizii saranno venuti a confermare quelle voci alle quali il linguaggio degLi uomini di Stato dell'Austria e dell'Ungheria, nonché le inquietudini del Conte di Stackelberg davano certamente qualche peso.

Quanto V. S. mi ha riferito intorno alle cose d'Oriente ed ai giudizii che ne porta il Signor Beust mi ha confermato nell'opinione che fra l'Austria e la Francia non siavi un accordo ben definito per tutti i casi possibili e per tutte le eventualità prevedibili nella complicatissima quistione d'Oriente. Così, ad esempio, è facile osservare che mentre a Parigi non sembra si sia ,rinunziato a menar romore per i pretesi tentativi di aggressione della Rumania contro il territorio ottomano, il Governo austriaco invece non divide le stesse apprensioni ed anzi autorizza sul suo territorio il transito d'artiglierie destinate ai Principati Uniti.

Stando alle ultime notizie ricevute da Belgrado, dovrei credere che anche in Serbia si sia prodotta una non lieve mutazione nelle intenzioni del Principe e del Governo. Questi avrebbero assunto un contegno più moderato ed assolutamente pacifico attalchè il partito nazionale delle vicine provincie slave sarebbe ora grandemente adirato contro il Principe Michele rinunziando a vedere in lui l'uomo capace a ricostituire l'unità jugo-slava. In questo senso vennero

pubblicati recentemente articoli assai significativi nei giornali del partito slavo in Agram. Di una simile situazione sapranno certamente trarre profitto gli ungheresi i quali sono sempre intenti a ricostituire la triplice corona di S. Stefano. Del resto faccio queste considerazioni al solo intento di chiamare più specialmente la di Lei attenzione sovra un ordine di cose che può avere la più grande influenza sull'avvenire dell'Impero della casa d'Asburgo, che potrebbe produrre le più gravi complicazioni in tutta Europa, ed avere per noi pure conseguenze di molto rilievo.

A questo proposito bramerei sapere se sia vero quanto mi si disse, che cioè il Generale Tiirr sia di nuovo ritornato a Vienna, a Pest e fors'anche ad Agram per continuare quella propaganda da lui tentata inutilmente alcuni mesi or sono sotto l'impero di circostanze meno favorevoli. La S. V. non ignora probabilmente quali relazioni esistono fra il Generale ungherese ed una potenza che assai si è sempre preoccupata delle future sorti delle razze slave dell'Austria. Il conoscere quindi gli andamenti del Signor Tiirr potrebbe sino ad un certo punto servire per iscoprire gl'intendimenti politici di quella Potenza.

Appena però è necessario ch'io le ricordi, Signor Commendatore, che se può esser utile per noi di conoscere le intenzioni anche remote dei varii Gabinetti non potrebbe mai giovare ai nostri interessi comprometterci come che sia in un senso o nell'altro in affari i quali non hanno per ora diretta attinenza con quelli di cui, nella limitata cerchia della nostra azione diplomatica, siamo chiamati ad occupare!. Faccio quindi assegno sulla circospezione che

V. S. suol adoperare nell'investigare le cose che ci importa di conoscere affinché in nessun caso si abbiano da noi a risvegliare infondati sospetti contro gl'intendimenti della nostra politica.

(l) Cfr. nn. 149, 158, 159; gli altri rapporti non sono pubblicati.

166

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC

D. 88. Firenze, 15 marzo 1868.

Quanto Ella mi ha scritto sulle difficoltà di ogni natura che incontra il negoziato pella revisione del concordato esistente fra l'Austria e la Santa Sede mi è pienamente confermato dà notizie particolari che mi giungono da Roma.

Gli intrighi, narratimi nel rapporto del 6 corrente (1), di un partito il quale sotto aspetto di religione, tende niente meno che a rovesciare il Ministero austriaco attuale, si collegano coll'azione generale che quella fazione ha intrapreso in molti Stati di Europa dove il potere non ha voluto scendere con lei a patti rinunziando in suo favore ad una parte della vera sovranità.

Per conoscere appieno quali sono gli intendimenti di quel partito gioverà ch'Ella conosca testualmente un articolo pubblicato recentemente da un giornale di Napoli Il Conciliatore, giornale scritto da affigliati alla setta che prepotente vuol imporsi ai principi ed ai Governi. Ove non trova arrendevolezza

in chi tiene le redini dello Stato, quella fazione cospira per rovesciare ministri e troni, siccome fanno .i più pericolosi rivoluzionari!.

E' cosa assai spiacevole per me il doverle indicare come purtroppo le idee di assoluta intolleranza sembrino prevalere ognor più anche nelle alte sfere della Curia Romana. Non mancano certamente a Roma prelati distintissimi per pietà, dottrina e moderazione, i quali vorrebbero, potendolo, porre un argine alle tendenze esagerate e neutralizzare gli effetti perniciosissimi della preponderante influenza dei fanatici colà convenuti da tutte le parti del globo, ma l'opera di quei pii, dotti e moderati difensori dei veri interessi cattolici non basta a resistere all'azione prevalente dei loro avversari.

Quali siano le conseguenze di un siffatto stato di cose, la S. V. può di leggieri comprendere quando rifletta che il centro cosmopolita di reazione, stabilito in Roma, non più contento di esercitare le sue influenze e di adoperare i suoi mezzi di azione per osteggiare l'Italia ed impedirne l'assetto definitivo, già muove guerra a tutti i Governi che cercano nei principii della civile libertà il fondamento della loro costituzione politica. Il Governo del Re che ebbe già a patire tanti danni per effetto della funesta azione che esercita sul pontificato la fazione di cui Le parlo, ha però la convinzione di aver prima d'ora segnalato ai principali Gabinetti di Europa e le tendenze di quel partito, e le sue dottrine, ed i pericoli ai quali tutti si trove.rebbero esposti il giorno in cu.i il centro di reazione stabilito in Roma avrebbe potuto far sentire la sua influenza nei vari paesi del mondo. Questo giorno che noi abbiamo preveduto sembra ormai venuto anche per l'Impero Austriaco, il quale come tanti altri Governi europei, è sordamente minato dall'opera occulta di quel partito che non perdonerà mai nè a principi, nè a ministri che non vogliano da lui lasciarsi guidare.

Ho creduto opportuno farle apertamente conoscere questi riflessi che mi sono suggeriti non solo da recenti e sicure relazioni che ebbi sullo stato delle cose in Roma, ma anche dall'esame che ognuno può fare facilmente del generale andamento degli affari in molti paesi dove sotto il nome di partito cattolico, la fazione reazionaria ha potuto creare un'agitazione dalla quale essa trae il suo profitto. Sebbene per ora non convenga a noi di prendere una vera iniziativa presso i Governi illuminati per chiamare la loro attenzione in forma ufficiale sovra una condizione di cose che riesce a tutti nociva, cionondimeno, noi crederemmo mancare a.i primi doveri verso tutti i Governi amici se esitassimo a segnalar loro una situazione piena di pericoli, alla quale è ancor tempo di efficacemente provvedere.

(l) Non pubbUcato.

167

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 169. Berlino, 15 marzo 1868 (per. il 20).

Le Chevalier Tosi est arrivé ici le 12 courant. D'après mon désir, il s'est ménagé auprès du Prince Napoléon une audience dont il m'a rendu compte par le rapport ci-joint (l).

J'avais. donné à ce Secrétaire de Légation la double instruction de chercher à connaitre les impressions que Son Altesse Impériale rapportait de son séjour à Berlin, et le but de son voyage. Avec un tact parfait il a su provoquer des explications assez complètes sur le premier de ces points, et meme sur le second si tant est qu'on puisse admettre comme entièrement véridique l'assertion de son interlocuteur qu'il ne voyageait que pour son agrément. Il est Hai que cette meme assurance a été donnée par une circulaire du Marquis de Moustier. Le Prince n'aurait donc point eu de mission officielle dans toute l'acception du mot, à moins que le Ministre Impérial des Affaires Etrangères n'exprime que la pensée avouée, mais non la pensée réelle et cachée de son Souverain.

Quant aux impressions, elles sont des plus flatteuses pour la Prusse, mais le Prince Napoléon semblait prévoir que la question de la guerre loin d'ètre pour autant déplacée se trouverait peut-ètre agrandie. La France «ce peuple d'enfants » épris de gioire militaire et d'humeur batailleuse, ne pardonnerait pas à la Prusse sa glorieuse campagne de 1866. Se ferait-on illusion à Paris sur l'étendue et la force du mouvement en Allemagne, sinon dans le sens unitaire contrecarré par les dernières élections au Parlement douanier du moins vis-à-vis de l'étranger? Son Altesse Impériale paraissait croire que de l'autre còté du Rhin on ne partageait pas ses propres convictions sur la valeur des faits accomplis, et qu'on pourrait etre tenté de prononcer un quos ego afin d'essayer de réagir contre la marée montante des événements.

Ayant eu hier la visite de M. de Thiele, pour le mettre en verve de s'expliquer à son tour, je lui ai donné, dans la mesure convenable, un aperçu sur le langage favorable à la Prusse, qui venait d'ètre tenu au premier Secrétaire de cette Légation. Il m'en a remercié, et de son còté il m'a raconté dans quel sens le Prince Napoléon avait parlé au Comte de Bismarck.

Ses discours touchaient moins au présent, à l'avenir, qu'à la politique rétrospective lors de la guerre de 1866 et de l'incident du Luxembourg en 1867. A tel point qu'on serait presque tenté de croire qu'il s'occupait de réunir des matériaux pour écrire l'histoire de ces deux années. Il a cependant appelé l'attention du Comte de Bismarck sur les dangers auxquels la Prusse s'exposerait si elle voulait franchir la ligne du Mein, et sur une certaine appréhension que le Parlement douanier ne dépassàt la limite de sa compétence. Le Président du Conseil s'est appliqué à le rassurer à cet égard, le Gouvernement Prussien s'efforçant de modérer le courant de l'opinion nationale. Pour ce qui concerne le Zollparlament, cette assemblée n'aurait à délibérer que sur les affaires économiques. Son Altesse Impériale n'a pas prononcé un seui mot ni sur l'Italie, ni sur l'Orient. Relativement à la Russie, Elle n'a pas montrée cette irritation à Iaquelle on aurait pu s'attendre d'après ses sentiments bien connus vis-à-vis de cette Puissance. Au reste, Monseigneur se plaisait à répéter qu'il n'émettait que des opinions tout-à-fait personnelles, et qu'aucune mission ne lui avait été confiée.

M. de Thiele ajoutait que, dans ce cas, on ne se rendrait pas compte du motif de son excursion. On devait savoir à l'avance à Paris qu'elle tiendrait en éveil et surexciterait l'opinion publique en donnant lieu à des commentaires qui pourraient aller à l'encontre des tendances pacifiques proclamées par les Gouvernements. Pourquoi donc entreprendre, dans ces circonstances, un voya-

Iii ~ Dowmenti diplomatici • Sc-1'16 I -Vol. X

ge en Allemagne? Pourquoi s'arreter à Francfort, à Casse! et à Hanovre, ces villes récemment incorporées à la Prusse et où se réfugie et se ravitaille le particularisme? Un instant Son Altesse Impériale avait meme l'intention de se rendre à Posen. Il est vrai qu'elle eùt pu s'y convaincre que l'élément allemand y est supérieur en nombre et en force à l'élément polonais.

Je transmettrai maintenant Ies données recueillies par ceux de mes collègues qui ont été le mieux à meme de controler tout ce qui se rattache à ce voyage.

Le Prince n'aurait pas échangé un mot de politique avec le Roi. C'est avec le Comte de Bismarck qu'il a abordé ce terrain, entre autres, sur le Luxembourg. Le Président du Conseil lui aurait expliqué que la combinaison a échoué par la faute de la France, par des révélations indiscrètes et prématurées. Il eùt fallu s'entendre à la Haye. Monseigneur aurait aussi mentionné le Mein, et exprimé le voeu que le Parlement douanier ne sortit pas de ses attributions purement commerciales. Le premier Ministre n'a fait que répéter ce que chacun sait, et en témoignant une extreme modération.

Son Altesse Impériale s'est également entretenue avec quelques diplomates. Il semble qu'elle est arriérée de deux ans, car elle a mis sur le tapis des compensations, auxquelles la France avait droit. Elle a dit nommément à lord Loftus que le passage de la ligne du Mein ferait aussitòt reparaitre cette question de compensations. A son avis, l'Europe a perdu son assiette. Les relations internationales ne reposent que sur des traités ou incomplets ou ayant perdu de leur valeur. C'est l'influence du fusil à aiguille qui domine partout. Chaque Puissance cherche à dépasser son voisin dans ses préparatifs belliqueux. Il serait urgent, pour prévenir des catastrophes, que les Gouvernements s'entendissent pour rétablir dans Ieurs relations une confiance mutuelle qui permit un désarmement général.

Il m'a été confirmé que Son Altesse Impériale a écarté de ses conversations l'Italie et l'Orient. Il considérerait l'alliance de la Russie comme stérile et impopulaire pour la Prusse. Elle savait aussi qu'une tentative quelconque pour désunir ces deux Puissances n'aurait, dans ce moment surtout, aucune chance de succès. Soit dit en passant, M. d'Oubril, l'Envoyé de Russie, a évité toutes les occasions de rencontrer le Prince. Durant le séjour de Son Altesse il n'a pas mis le pied chez le Comte de Bismarck. Son attitude disait: «Vous avez mon ennemi dans la piace. Je m'efface, mais j'ai l'oeil sur vous ».

Le Prince Napoléon est parti hier matin pour Paris, où il arriverait vers le 22 de ce mois en passant par Dresde, Leipzig, Weimar, Eisenach, Wartburg et Essen, où il visitera les fonderies d'acier de Krupp. On dirait qu'il veut flatter les Allemands en s'arretant surtout à Leipzig et à Wartbourg. Et cependant, s'il se rend bien compte de la réception qui lui a été faite ici, il devra se dire que cet accueil n'a eu d'autre caractère que celui de la plus étroite courtoisie. La sympathie faisait évidemment défaut.

Dans quel sens parlera-t-il à Paris? Quelle impression produira-t-il? C'est de cette capitale qu'on pourra répondre à ces questions. Ici on n'a pu recueillir que ce que Son Altesse Impériale a dit. Autre question. Les paroles du Prince raffirmeront-elles l'Empereur dans une grande partie des idées que Sa Majesté partageait déjà avec lui -du moins le suppose-t-on sur la situatlon des choses en Allemagne? Les actes de la politique française nous éclaireront à cet égard. En attendant, on est plutòt disposé à croire que la présence de l'Auguste visiteur à la Cour de Prusse contribuera au maintien des relations pacifiques entre les deux Pays, à moins que la Cour des Tuileries ne soit plus de taille à résister au mouvement des partis à l'intérieur, et qu'elle ne doive lever les écluses pour opérer une diversion à l'étranger.

Quant aux motifs qui ont pu faire désirer au Prince et à l'Empereur son éloignement momentané de Paris, il faudrait tenir compte de plusieurs considérations personnelles qu'on ne connait qu'en partie et vaguement. On prétendait par exemple que Monseigneur devait parler au Sénat sur la loi de la presse. On pouvait prévoir tout ce qu'il aurait dit. Il n'a pas oublié lui-meme le discours d'Ajaccio. Il y avait peut-etre en germe une nouvelle brouille de famille que de part et d'autre on aurait voulu éviter.

Dans le rapport précité du Chevalier Tosi vous verrez, M. le Comte, de quelle manière Son Altesse Impériale a jugé les affaires en Italie. Je n'ai pas d'opinion à émettre devant celle bien plus compétente de V. E. Elle partagera sans doute mon avis sur les répliques, pleines d'à-propos et de dignité, faites par ce Secrétaire de Légation mis en demeure de se prononcer.

Le Prince aurait le projet de se rendre dans la fin de Mai à Constantinople par la voie de Vienne, et de faire, durant l'été, un voyage en Suède pour visiter en touriste les còtes de la Baltique. Il l'a annoncé lui-meme comme s'il voulait écarter le soupçon d'un voyage ayant pour but d'inspecter, d'explorer ces còtes en prévision d'une guerre.

P. S. Le Grand Due héritier de Russie est attendu ici pour le 22 courant anniversaire de la naissance du Roi Guillaume. Il se rend à Nice pour assister à l'inauguration d'une chapelle commémorative du décès du Grand Due Nicolas. Mais il est permis de croire que s'il s'arrete quelques jours à Berlin, c'est dans le but d'appliquer le contre-poison à la visite du Prince Napoléon, si tant est que ce contre-poison soit nécessaire.

(l) Non si pubblica.

168

IL MINISTRO A WASHINGTON, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 21. Washington, 16 marzo 1868.

Mi è giunto il 13 andante il di Lei Dispaccio Confidenziale del 26 febbraio

u.s. n. 3 (1), e quantunque già Le abbia dato un cenno di ciò che riflette il Generale Garibaldi, il cui nome figura nella lista degli Agenti segreti, mi faccio a rassicurarla su questo punto riferendole quanto mi disse l'altro ieri il Signor F. Seward, Sotto Segretario di Stato.

Allorquando si destò in molti punti d'Europa una gran simpatia pegli Stati del Sud, che si trovavano impegnati in una lotta disuguale, il Governo degli Stati Uniti sentì la necessità di esercitare un'influenza sulla pubblica opinione, servendosi di persone abili e che avessero relazioni con distinti personaggi degli Stati Europei.

Monsignor Hughes, Arcivescovo Cattolico di New York, fu segnatamente spedito presso Napoleone. Uno dei nipoti del Seward fu pure spedito a Parigi in varie occasioni, e Garibaldi cui era stato offerto un comando che egli avea rifiutato, fu incaricato di disporre gli animi della democrazia italiana ed inglese, in senso favorevole al partito del Nord. Le somme date a tutti questi agenti bastarono a pena a coprire le spese dei loro viaggi. Difatti Ella vedrà che nello spazio di cinque anni non s'arrivò a spendere che la somma di 46 mila dollari (meno di 200 mila franchi) ripartita fra numerosi Agenti.

Qui tutti riprovano l'imprudenza del Seward, per aver pubblicato i nomi di questi Agenti Segreti; ma il Segretario di Stato non avea altro mezzo per giustificarsi in faccia all'opposizione che lo attaccava di abuso, e quando scrisse la sua lettera al Senatore Sumner non credeva forse che dovesse essere pubblicata.

Del resto il Signor Federico Seward mi assicurò nel modo più leale che mai si intese di somministrare al Generale Garibaldi i mezzi per favorire dei movimenti politici in Italia, paese colle cui attuali istituzioni il Governo Americano simpatizza in modo, che il giorno del mio ricevimento il Presidente Johnson volle renderne pubblica ed officiale testimonianza.

Credo poter contare sulla sincerità di queste assicurazioni, e se mai venisse a risultarmi il contrario, non tarderei un istante a farlene rapporto.

(1) Cfr. n. 129.

169

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1038. Parigi, 17 marzo 1868, ore 16,55 (per. ore 18,40).

La réponse à votre dépeche sur modus vivendi (1) doit etre expédiée incessamment à Malaret. D'après mes renseignements, cette réponse est rédigée dans le but de gagner du temps. Elle demande des explications sur la question douanière et confirme l'intention du Gouvernement français de rappeler les troupes. Elle est au fond approbative et elle est rédigée dans des termes qu'on m'assure étre très amicaux et très favorables.

170

IL MINISTRO A CARLSRUHE, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 2. Carlsruhe, 17 marzo 1868 (per. il 21).

Il viaggio del Principe Napoleone a Berlino ha dato luogo naturalmente a moltissime dicerie. Ieri sera in circoli che potrebbero essere bene informati correva voce che il Principe avesse proposto a Berlino la riunione di un Con

gresso, accompagnata da un disarmo generale e dalla formazione d'una confederazione fra gli Stati tedeschi del Sud: altrimenti guerra immediata. Riferisco per semplice dovere d'ufficio queste voci che mi paiono l'eco lontana ed esagerata di certi discorsi che il Principe ha forse tenuto per proprio conto a Berlino. L'E. V. debb'essere ormai stata pienamente informata dai miei colleghi di Parigi e di Berlino sul vero significato di questo viaggio. A me, giunto di recente in una Legazione secondaria, non ispetta certamente d'invadere ora il campo della politica generale e lasciare correre la fantasia alle arrischiate congetture. Intanto però, avendo veduto quest'oggi S. E. il Signor di Freydorff, Ministro degli Esteri, cercai di appurare il punto che tocca più da vicino questo Stato, vale a dire la formazione della Confederazione nella Germania del Sud.

Il Signor di Freydorff osservò prima di tutto ridendo ch'era questa la prima volta che pareva volersi esercitare una specie di pressione morale per far confederare degli Stati che non ne sentono alcun bisogno: finora s'era cercato d'impedire che Stati uscissero da certe leghe, come avvenne per la Svizzera nel 46 e per gli Stati Uniti d'America due o tre anni fa: ma era esempio nuovo di voler costringere dei corpi politici indipendenti a colleganze che mancano affatto di oggetto e di scopo. Risalì quindi all'origine di codesta idea: mi disse ch'era stata messa innanzi dal Signor di Beust, al suo ritorno da Parigi, come l'unico mezzo d'evitare una guerra fra la Francia e la Germania: che il Principe di Hohenlohe aveva proposto allora che gli Stati Germanici del Sud si alleassero prima fra loro, poi, come un solo corpo politico, colla Confederazione del Nord per gli oggetti enumerati dall'art. 4 dello Statuto della Confederazione della Germania settentrionale. Principale fra questi era la ricostituzione dello Zollverein: ma essendosi per quest'ultima accolta e messa in atto la proposta del Governo di Baden di completare il Bundesrat mercé rappresentanti degli stati germanici del sud e di riunire nello stesso modo un parlamento federale doganale, non si parlò più del resto. Ora, soggiunse H Barone Freydorff, è possibile che si riparli di nuovo di questa Confederazione meridionale, e noi non rifiutiamo a priori di esaminarne il concetto, appena esso sia chiaramente formulato. Sinora però non lo fu: e non pare agevole il farlo. In forza dei trattati d'alleanza esistenti colla Prussia, il Baden, il Wurtemberg la Baviera sono già nei rapporti politici e militari intimamente legati alla Confederazione del Nord: essi lo sono del pari pei più importanti interessi economici in forza del Zollparlament: a che prò, su quali basi immaginare una terza artificiale agglomerazione? Si è creduto vedere nel risultato delle elezioni pel Parlamento doganale una protesta delle popolazioni contro il moto di annessione alla Germania del Nord: noi non crediamo che codeste elezioni abbiano un tale significato: esse sono piuttosto l'indizio di timori sorti nel paese per l'applicazione delle nuove leggi sul reclutamento militare e sulle nuove imposte: noi avremo cura di tranquillizzare intorno a ciò le nostre popolazioni, e quando esse avranno presa l'abitudine del nuovo sistema, l'indirizzo liberale e nazionale seguito del Governo Granducale, continuerà, senza dubbio, a trovare favore ed appoggio nel paese.

Sulla missione del Principe Napoleone questo Ministro degli Esteri non mi fornì alcuna indicazione che sia da trasmettersi a V. E.

(l) Cfr. n. 68.

171

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 332. Firenze, 18 marzo 1868.

Il Barone di Malaret venne a vedermi questa mattina e mi disse che avendo ricevuto ordine da Parigi di dare qualche informazione sulla spedizione che il nostro Governo starebbe preparando per Montevideo, avea stimato partito più sicuro quello di venirmi ad interpellare in modo privato intorno a questo argomento. Ho ringraziato l'Inviato di Francia della piena fiducia che mi dimostrava e soddisfeci tanto più volentieri alla domanda ch'Egli mi faceva, in quanto che, come V. S. ben sa, nulla v'ha di misterioso e di segreto nei nostri intendimenti per ciò che concerne i rapporti dell'Italia colla Repubblica dell'Uruguay.

Mi espressi dunque col Barone di Malaret in quello stesso senso nel quale ebbi ad invitare la S. V. di voler parlare al Ministro della Repubblica Argentina in Parigi (1). Mi applicai cioè a far ben comprendere all'Inviato francese che noi non volgevamo in alcun modo il pensiero ad acquisti territoriali, né a permanenti occupazioni; bensì volevamo efficacemente proteggere al pari delle altre potenze gl'interessi commerciali dei nostri coloni che dal Governo uruguajano non avevano potuto ottenere i risarcimenti loro incontestabilmente dovuti. Soggiunsi però che anche nel ripetere questi nostri diritti avremmo usato ogni modo di moderazione e che in questo senso erano redatte le istruzioni indirizzate al Comandante la Stazione navale nel Plata ed al

R. Incaricato d'Affari in Montevideo.

172

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA

D. 50. Firenze, 19 marzo 1868.

A parecchie riprese il Signor Condonriotis mi ha parlato del desiderio del suo Governo che da noi si continui a trasportare in Grecia le famiglie che vogliono emigrare da Candia. Questo Rappresentante ellenico mi ha consegnato anzi una sua nota verbale con vari annessi i quali hanno tutti tratto a quest'argomento. Nella mia spedizione, V. S. troverà copia di tutti quei documenti (2).

Dissi a mia volta al Signor Condouriotis che fatta astrazione da ogni altra considerazione la nave corazzata che ora sta di stazione al Pireo, non era tal bastimento da potersi impiegare nel trasporto delle famiglie profughe e che gli altri legni della R. Marineria, attualmente armati, sono tutti impiegati in altri indispensabili servizi. Da noi, gli soggiunsi, il trasporto delle famiglie cretesi non fu mai che un'opera essenzialmente umanitaria. Non avrebbe mai po

tuto essere negl'intendimenti nostri di esporre centinaia di famiglie a danni e patimenti certi per sottrarli a pericoli incerti creati in gran parte dal panico timore. Purtroppo ognuno può facilmente immaginarsi di quante stragi e rovine deve aver coperto l'isola di Candia la lunga lotta insurrezionale lvi impegnata. Ma noi non possiamo neppure omettere di tener conto del quadro desolante che a parecchie riprese ci viene fatto delle tristissime condizioni in cui versano le migliaja di profughi che vennero sbarcati in Grecia. Trattandosi di opera umanitaria, queste considerazioni debbono essere poste in bilancia, e noi crediamo che lo spettacolo della miseria alla quale sono esposti i cretesi rifugiati in Grecia, abbia in ogni caso un gran peso per far desistere da tutto ciò che potrebbe ancora accrescere il numero degli emigrati.

È in questo senso che io bramerei ch'Ella si esprimesse col Signor Dellyannis insistendo sovratutto sopra questi riflessi, che cioè noi non potremmo, nello stato attuale delle cose, favorire un'emigrazione la quale, promossa dalle tristi condizioni dell'isola di Candia, ha per effetto di esporre a patimenti e stenti d'ogni sorta una popolazione intera pella quale sono ormai esauriti tutti i mezzi di soccorso che la Grecia poteva adoperare, come risulta del resto da' di lei rapporti.

(l) -Cfr. n. 143. (2) -Non si pubblicano.
173

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 262. Vienna, 20 marzo 1868 (per. il 23).

La stampa ha recato a notizia di V. E. quanto fu detto, e dagli oratori del Governo, e dall'opposizione nelle Delegazioni sulla politica interna ed estera dell'Austria.

In difetto di un mezzo di comunicazione con V. E. adatto a più estese considerazioni, mi limito a notare qui alcuni punti principali che mi pajono risultare dall'insieme di quelle importanti discussioni, in cui per la prima volta furono espressi voti concordi e liberi delle popolazioni Tedesche ed Ungheresi dell'Impero sull'indirizzo al quale questo Governo deve attenersi.

1°) I Rappresentanti delle due parti della monarchia respingono ogni politica di rivincita contro la Prussia;

I Tedeschi per sentimento di nazionalità, per avversione contro la politica Napoleonica, e perché gli interessi del liberalismo sono legati in Austria al mantenimento della pace, mentre il partito feudale e militare spera che una guerra gli renderebbe il predominio;

Gli Ungheresi per questo stesso interesse di conservazione delle presenti istituzioni civili e politiche, legato al mantenimento della pace ed opposto alle mire dei feudo-militari; ed anche per il timore che la loro attuale importanza cessi col ridiventar l'Austria una potenza tedesca.

Il Governo per parte sua dichiara di dividere completamente queste tendenze pacifiche e di ravvicinamento colla Prussia: soltanto egli rileva che una politica di sicura amicizia colla Prussia non poté essere finora che un desideratum per parte sua, la Prussia non mostrandosi sinora disposta a cercare in

vta pratica, come l'Austria propose al tempo della missione Tauffkirchen, le basi di un accordo positivo coll'Austria.

2°) Riguardo all'Italia, i Rappresentanti delle due parti della Monarchia espressero generalmente il desiderio che il Governo si lasciasse meno attrarre dalle fallaci speranze di ammansare le ire clericali contro le indispensabili riforme civili, con dimostrazioni più o meno compromettenti in favore degli interessi politici della Corte di Roma. Fu da essi ripetutamente osservato che oramai l'Italia non può più trovar vantaggio ad unirsi a nemici dell'Austria, se non in quanto l'Austria sembra essere d'ostacolo al compimento dell'opera unitaria degli i~aliani nella questione Romana. Si insisté sulla solidarietà della causa liberale nei due paesi, egualmente contrastati dalle forze ecclesiastiche nella consolidazione delle loro interne istituzioni. Infine l'opposizione deplorò specialmente che l'Austria, mettendosi a rimorchio della politica francese verso l'Italia, abbandonasse all'influenza della Francia un importante terreno che potrebbe poi venire sfruttato dalla medesima per iscopi poco conformi agli interessi di questa Monarchia.

Gli oratori del Governo, pur evitando di toccare particolarmente la questione Romana, fecero dichiarazioni esplicite sugli intendimenti reciprocamente amichevoli e sulle relazioni effettivamente ottime che uniscono il Governo Imperiale al Governo del Re.

3°) Nella questione d'Oriente infine, argomento vitale ed il più rilevante di tutti per la Monarchia, le Delegazioni si pronunziarono con notevole unanimità perché si contrapponesse ogni ostacolo all'azione diretta o indiretta della Russia sulle popolazioni della Monarchia e della Turchia d'Europa.

Gli Ungheresi, come i più minacciati, sono in prima linea sul fronte di difesa che tutti questi uomini politici presentano alla politica Russa. Mentre le provincie Tedesche dell'Impero non sono interessate alla conservazione dell'attuale ordine di cose se non in ragione della libertà di cui godono, invece per gli Ungheresi è questione di esistenza Nazionale. Ora è considerato qui come fuori di discussione il fatto che non solo v'è antagonismo radicale tra i futuri interessi Austro-Ungheresi e gli interessi Russi dall'Adriatico al MarNero, ma che la consolidazione stessa dell'attuale ordine di cose nell'Impero è direttamente avversata dalla propaganda dei Comitati panslavisti e indirettamente combattuta dal Gabinetto stesso di Pietroburgo.

Pe' Tedeschi poi, l'influenza Russa si rivela nel cerchio dei loro speciali interessi per l'alleanza dei Czechi della Boemia coi feudali e coi clericali. Conviene inoltre tener conto della parte d'influenza che ha nel Relchsrat la deputazione Polacca, la quale predica, come il Signor Klacsko l'esponeva non ha guari nella Revue des deux Mondes, che l'unico mezzo di salvare la libertà e l'autonomia delle razze tutte del bacino del Danubio, Tedeschi, Ungheresi, Serbi, Rumeni, è di ristabilire la Polonia.

Tali preoccupazioni, varie nei punti di vista individuali, comuni nella sostanza a tutti i Membri delle Delegazioni, e vivaci soprattutto nella Delegazione Ungherese si tradussero ivi, nei discorsi dell'opposizione ed in quelli degli oratori del Governo, in conclusioni alquanto diverse e che occorre avvertire.

L'opposizione Ungherese rimprovera al Governo di lasciare alla Russia il Monopolio della protezione delle razze Cristiane soggette alla Porta, ed ha raccomandato l'adozione della politica di non intervento.

L'oratore del Governo si associò alle simpatie manifestate per ogni progresso effettivo delle condizioni dei Cristiani sottoposti al dominio diretto od indiretto della Sublime Porta. Solo riservò la risoluzione da prendersi per parte del Governo nell'eventualità di sollevazioni armate sui confini dell'Austria, eventualità nella quale gli interessi anche interni del Regno d'Ungheria potrebbero correre qualche rischio.

Si può discutere se questa dichiarazione sia o non conforme agli interessi sì attuali che futuri delle razze cristiane ancor soggette alla Porta; ma sembra difficile il negare che essa sia oggi una guarentigia per la pace. La Diplomazia Russa non nasconde che l'applicazione del principio del non intervento agli Slavi del Sud basterebbe perché l'edifizio Austro-Ungherese fosse completamente rovinato, i Croati ed i Serbi del Regno di Santo Stefano dovendo inevitabilmente unirsi in tal caso ai loro fratelli. Nello stesso modo che questo Governo non oppugnò l'annessione di Candia alla Grecia se non per evitare che analoghe insurrezioni scoppiassero immediatamente nella Turchia d'Europa, così egli col rlfiutarsi ad ogni impegno di non intervento, mira a scoraggiare i fautori di rivolgimenti nella Turchia d'Europa. Che poi egli desideri vivamente in fondo di non dover intervenire, è un fatto sul quale confesso a

V. E. non aver dubbio alcuno pei motivi già lungamente esposti nei miei anteriori Rapporti.

In tutto ciò non è fatta la parte dei 16 milioni di Slavi e dei 2 milioni di Rumeni che formano insieme la maggioranza della popolazione dell'Impero. Nel concerto delle Delegazioni non si sente la nota caratteristica, per così dire, delle voci di queste due razze. È un fatto di cui nessuno può disconoscere la gravità al punto di vista dell'avvenire.

Nel presente però, sta in fatto che il Ministero Ungherese ha nella Dieta di Agram una maggioranza così numerosa che quasi trova, secondo mi diceva il Conte Andrassy, que la mariée est trop belle; sta che le popolazioni tedesche ed ungheresi della monarchia sono pienamente soddisfatte; sta infine che molti uomini il cui giudizio merita considerazione, anche di razza Slava, credono che, finché la Russia non sarà stata frenata nella sua espansione più efficacemente che non sia stata dalla guerra di Crimea, non sarà che una chimera l'idea di costituire in una condizione di vera autonomia, di libertà e d'indipendenza dalla Russia egualmente che dalla Turchia, le popolazioni slave abitanti le sponde del Danubio ed i versanti del Balkan.

174

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 949/384. Londra, 21 marzo 1868 (per. il 25).

Mi onoro segnarLe ricevuta del pregiato di Lei dispaccio politico N. 70 (1), il quale regolarmente mi pervenne co' suoi annessi.

Avendo avuto occasione di vedere ultimamente Lord Stanley, ne profittai per far cadere la conversazione sugli affari di Roma, servendomi delle istruzioni da V. E. trasmessemi col predetto ufficio. Non credo che il Segretario degli Affari Esteri Britannico abbia dato un'erronea interpretazione alle trattative aperte per istabilire un modus vivendi fra l'Italia e la Santa Sede: poiché appena quest'argomento venne da me toccato, scorsi che Lord Stanley non era ignaro dei punti principali contemplati nell'accomodamento da noi proposto, e della natura temporaria di esso. Queste informazioni saranno senza dubbio state trasmesse al Foreign Office dall'Inviato Britannico a Firenze; ma, ad ogni buon fine, io accennai al Ministro per gli affari Esteri come, essendosi per ora abbandonata la speranza di una soluzione definitiva della questione Romana col concorso di tutte le potenze europee, si era dovuto ricorrere ad una seconda combinazione ben diversa dalla prima e destinata ad avere una ben altra portata.

Aggiunsi quindi che il Governo del Re non avea perciò creduto di associare menomamente l'azione delle Potenze straniere ad un accordo puramente provvisorio, onde non offendere in alcuna guisa il carattere suo speciale, e che per tale ragione, si era astenuto dal fare di questi negoziati un oggetto di particolare comunicazione all'estero.

Terminai coll'esprimere a Lord Stanley il desiderio che queste dichiarazioni franche e leali avrebbero bastato a far comprendere la vera indole dell'attuale nostra attitudine rispetto a Roma, ed essendosene egli mostrato pienamente soddisfatto, presi da lui commiato.

Nel rendere conto a V. E. di quanto precede, ho pure l'onore di assicurarla che terrò un identico linguaggio a quelle tra le persone officiali che per avventura non apprezzassero al suo giusto valore il presente stadio delle nostre trattative colla Corte Pontificia.

(l) Cfr. n. 151, inviato a Londra col numero 70.

175

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 596. Firenze, 22 marzo 1868, ore 15.

Avez-vous reçu mon télégramme (1) relatif au prince de Prusse, par lequel je vous prévenais que si San Altesse Royale et son épouse se proposaient de venir en Italie à l'occasion du mariage du prince Humbert, ils seraient les bienvenus par le Roi et par la famille royale? Sachez me dire si Son Altesse Royale a reçu un égal avis de la part du comte. d'Usedom (2).

(-2) Per la risposta cfr. n. 176.
(l) -Non rinvenuto.
176

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1043. Berlino, 22 marzo 1868, ore 22,30 (per. ore 23,45).

Dès la réception du premier télégramme (l) j'ai agi en conséquence. Bismarck s'est réservé de me mettre à meme de répondre. Le comte d'Usedom parait s'etre trop avancé, car il n'était chargé que de vous pressentir. Je ne doute pas, du reste, de la réalisation d'un projet chaudement patronné ici.

177

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

T. 597. Firenze, 23 marzo 1868.

Je suis informé qu'à la fabrique de Hunt on confectionne en ce moment 3 mille carabines, modèle de marine, canon bronzé, destinées clandestinement à Palerme. Tàchez de faire surveiller, dépensant au besoin ce qui est nécessaire, afin de savoir sur quel batiment ces armes seront embarquées (2).

178

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (3)

D. 333. Firenze, 23 marzo 1868.

Pel caso in cui la S. V. non avesse ancora avuto cognizione della risposta che il Governo Imperiale ha fatto alle nostre proposizioni relative al modus vivendi da stabilirsi tra l'Italia e la Santa Sede, Le comunico * confidenzialmente * una copia del dispaccio del Marchese di Moustier al Barone di Malaret

' in data del 19 corrente. DI questo documento l'Inviato francese venne a darmi lettura questa mattina, offrendomi di !asciarmene prendere copia. Avendo osservato che il dispaccio del Signor Moustier conteneva una frase il cui senso poteva sembrare meno conforme alle relazioni esistenti tra l'Italia e la Francia, e forse anche poco *conveniente e* misurato a nostro riguardo, ho fatto pregare il Signor Malaret di voler egli stesso chiedere al suo Governo che quelle parole venissero modificate. L'Inviato di Francia *riconobbe infatti che per parte nostra la domanda era assa1 fondata* (4) ed attribuendo ciò che

v'era di aspro nelle parole adoperate ad inavvertenza di redazione, mi promise di subito domandare a Parigi che un'altra espressione fosse sostituita a quella che avea mosso le mie osservazioni.

Nella copia che va unita a questo mio dispaccio Ella troverà sottolineate le parole che io ho desiderato fossero mutate, ed a fronte Ella potrà leggere quelle che il Barone di Malaret proporrebbe di sostltuirvi.

Riservandomi a suo tempo di scriverle in merito al contenuto del dispaccio del Marchese di Moustier, per ora volli soltanto, ed ogni buon fine, informarla di questo incidente che spero non avrà seguito.

ALLEGATO.

MOUSTIER A MALARET

Parigi, 19 marzo 1868.

Préoccupé de hater le moment où il lui sera permis de mettre fin à l'occupation française, animé en méme temps d'un sincère désir de rechercher les moyens d'améliorer les rapports mutuels de l'Italie et du Saint Siège, le Gouvernement de l'Empereur avait convié le Cabinet de Florence à un amicai échange d'explications et d'idées. M. le Général Menabrea n'a pas repoussé cette suggestion et il vous a entretenu confidentiellement d'un certain nombre de points de vue que vous avez résumés dans votre correspondance.

M. Nigra, de son còté, a reçu l'ordre de me remettre la dépéche ci-jointe qui en renferme le développement et propose les conditions d'un « modus vi vendi» qui lui paraitrait répondre à tout ce que comporle l'état actuel des choses. Nous avons accueilli la communication de M. le Ministre d'Italie avec la satisfaction que devait nous inspirer une démarche de cette nature. Le Cabinet de Florence, quelle que soit la bienveillance de nos dispositions, ne pouvait pas, toutefois, attendre de nous une réponse immédiate; M. Nigra l'a parfaitement compris. Les questions qui nous sont soumises, ne sont pas seulement graves en elles mémes; elles touchent, par leurs còtés les plus importants, à des intérèts dont il ne nous appartient pas de nous faire les arbitres, et le ròle que l'Italie désire nous voir prendre est celui d'intermédiaires obligés à une grande prudence et à de sages tempéraments.

Nous avons à coeur, en effet, de réussir dans une tàche qui a pour but de rendre plus faciles les rapports de deux gouvernements, auxquels nous portons un intéret égal et sincère. Nous sommes heureux de voir le Cabinet de Florence entrer franchement avec nous dans cet ordre d'idées qui inspirait déjà la France et l'Italie, lorsqu'elles ont signé la convention du 15 septembre. Remettre cette convention en vigueur est évidemment la seule voie pratique à suivre dans les circonstances actuelles, et nous adoptons à cet égard la manière de voir du Gouvernement Italien. Le Cabinet de Florence, complètement édifié aujourd'hui sur les causes qui ont déçu, l'année dernière, nos légitimes espérances, est convaincu, comme nous, que c'est par une exacte vigilance appliquée à déjouer dès l'origine les entreprises révolutionnaires et non par une surveillance tardive et incomplete des frontières au moment de la crise, que les Etats Pontificaux peuvent étre efficacement protégés. Il serait, donc, avant tout, essentiel de connaitre quelles mesures le Gouvernement du Roi serait dans l'intention et la possibilité de prendre pour empecher désormais la formation de nouveaux dépòts d'armes, les enròlements plus ou moins clandestins que l'on essaierait de faire encore et les attaques qui seraient dirigées une seconde fois contre le territoire Pontificai. Les certitudes que nous pourrions avoir à ce sujet justifieraient notre confiance et nous aideraient à la faire pénétrer dans le sentiment public.

Quant aux bons offices que le Cabinet de Florence nous demande pour régler les rapports de voisinage entre l'Italie et le Gouvernement Pontificai, ce voeu n'a rien que de conforme aux idées que nous avons toujours professées. Notre correspondance en fait foi et je puis rappeler les conseils que nous donnions des deux còtés à la fin de l'anné 1866, au moment de l'évacuation. Nous sommes donc disposés à encourager tout ce qui tendrait à faire disparaìtre les difficultés matérielles rèsultant de la contiguité des deux pays et à multiplier ainsi les occasions et les chances d'un rapprochement moral plus complet.

De tous les points énumérés dans la note qui m'a été remise par M. Nigra, l'établissement d'une union douanière est le plus important, parce qu'il touche non sculement aux relations journalières des deux pays, mais à leurs intéréts financiers. Nous devons toutefois prévoir que cette combinaison soulèvera de nombreuses objections à Rome et, avant de la recommander au Gouvernement pontificia!, il est nécessaire que nous recevions du Cabinet de Florence tous les éclarcissements propres à nous fixer sur la portee générale comme sur les détails pratiques de la négociation qu'il s'agirait d'ouvrir. C'est vous dire assez que vous vous appliquerez à constater comment M. le Président du Conseil comprend ces arrangements douaniers, comment surtout il nous mettrait en mesure de démontrer que non seulement ils ne porteront aucune atteinte aux finances du Saint Siège, mais encore que par la suppression de cette surveillance qu'une ligne de douane rend facile, ils ne compromettront pas la sécurité que le Gouvernement Pontificai semble aujourd'hui trouver à peine suffisante.

Si, cependant, à la faveur de loyales explications, un accord pouvait par nos soins s'établir sur cette question, la solution des autres deviendrait certainement plus simple et c'est pour cette raison que je ne crois pas encore opportun d'en faire l'objet d'un examen détaillé.

Je suis heureux, d'ailleurs, de constater que l'une des difficultés signalées dans la Dépéche du Général Menabrea vient d'étre réglée par voie d'entente directe entre l'administration Pontificale et l'administration Italienne; elles ont été, de part et d'autre, autorisées à renouveler les arrangements pris antérieurement sur la frontière pour la répression du brigandage, et, dans le cas d'une entente sur les autres points, les deux Gouvernements n'auront sous ce rapport qu'à rendre permanent l'arrangement provisoire intervenu entre les officiers délégués par eux.

Je ne veux mentionner que pour mémoire l'exécution de la convention signée entre nous et l'ltalie, le 7 Décembre 1866, pour régler la part qui lui est afférente dans la dette Pontificale. Cette convention a, en effet, une valeur obligatoire d'un caractère définitif et ne comporte point d'ajournement. Si je ne vous ai chargé jusqu'ici d'aucune démarche officielle pour assurer la continuation des paiements interrompus par suite de certaines diflicultés d'exécution, c'est que je n'ai jamais pensé que le Gouvernerneni du Roi put avoir besoin étre rappelé à l'observation de ses engagements (1). Je suis d'autant plus fondé à persévérer dans cette opinion que le Conseil d'Etat italien a lui méme reconnu récemment toute l'autorité de ces stipulations.

Telles sont, M. le Baron, les réflexions que me suggère, dès à présent, la note du Général Menabrea. Il verra que nous l'avons prise en très sérieuse considération. Vous saisirez cette circonstance pour lui témoigner l'intérét sympathique avec lequel nous suivons les eiforts de l'administration qu'il pré&ide et l'heureuse évolution qui s'est faite dans l'opinion publique. Nous fondons le plus légitime espoir sur la fermeté soutenue avec laquelle le Ministère actuel, tout en restant fidèle aux idées libérales, s'attache à grouper autour de lui les éléments conservateurs que le pays renferme dans son sein. Ainsi se fortifiera la confiance que les destinées de l'Italie inspirent à ses amis et disparaitront les arguments à l'aide desquels les adversaires de son unité essaieraient encore d'en contester la durée. Le Gouvernement de l'Empereur, dont les sentiments à cet égard ne sont pas douteux, verrait dans l'amélioration graduelle des rapports de la Cour de Florence avec le Saint Siège un gage d'affermissement pour l'état de choses créé dans la Péninsule et un succès nouveau pour la politique d'apaisement et de conciliation que nous nous sommes constamment appliqués à faire prévaloir.

Vous étes autorisé à donner lecture de cette dépéche au Général Menabrea et à lui en laisser prendre copie, s'il vous en exprime le désir.

(1) -Non rinvenuto ma cfr. n. 175. (2) -Per la risposta cfr. n. 183. (3) -Ed. ad eccezione del brani fra asterischi, in LV 14, pp. 50-53. (4) -In LV 14, Invece del brano fra asterischi: "non disconobbe la ragionevolezza della nostra domanda »

(l) Variante proposta: «c'est que notre entière confiance dans la loyauté du Qouvernement du Rol nous a toujours fait considérer une pareille démarche comme superflue». LNota del documento].

179

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 100. Costantinopoli, 23 marzo 1868 (per. il 3 aprile).

La m1ss1one degli Inviati del Montenegro è terminata. Essi hanno preso congedo da Fuad-Pacha tre giorni sono, e ripartiranno alla volta di Cettigne il 28 corrente, senza aver nulla ottenuto dalla Sublime Porta.

Il Senatore Plamenatz nel rendermi conto dell'insuccesso dei negoziati, si mostrò meco non poco malcontento della condotta tenuta in tutta questa vertenza dal Signor Bourée, che aveva ritardato la loro partenza già decisa da lungo tempo nel dar loro lusinghe che poi non sortirono l'effetto desiderato.

A dir vero, la Porta sembrava disposta a venire ad un accomodamento col Montenegro, mediante uno scambio di territorio, ma ritiensi che la notizia giunta di un trattato d'alleanza che sarebbe stato conchiuso in questi ultimi tempi tra la Serbia e la Rumenia, abbia fatto all'ultimo momento recedere il Governo Ottomano dai suoi propositi di conciliazione ed abbia cagionato la rottura dei negoziati.

Checché ne sia, il linguaggio che tengono gl'Inviati del Montenegro non rivela certo in loro il rammarico per l'esito infelice della loro missione. Dirò anzi che essi se ne mostrano soddisfatti sotto il punto di vista che le concessioni che loro sarebbero state fatte dalla Sublime Porta avrebbero vincolata l'azione del Montenegro nelle future complicazioni in Oriente, mentre così, liberi da ogni impegno, essi potranno scegliere quel partito che sarà più conforme alle loro aspirazioni nazionali. Né è questa una semplice conghiettura, ma il tono risoluto degli Inviati, ed i discorsi confidenziali da loro tenutimi lasciano chiaramente divedere che il Montenegro è pronto a qualunque eventualità, e che, se pure non partirà di là la prima folgore che darà fuoco all'Oriente, il Governo del Principe Nicola non mancherà di profittare della prima complicazione che sorgerà nella Turchia di Europa per tentare di strappare per le armi quello che non ha potuto ottenere coi negoziati.

180

IL MINISTRO A WASHINGTON, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 23. washington, 23 marzo 1868.

Questa mattina lessi nei fogli un telegramma da Firenze, in data 22 marzo, così concepito: «Il Generale Garibaldi ha mandato al Signor Marsh una lettera colla quale declinava una nomina offertagli dal Segretario Seward ».

Ho creduto dovermi immediatamente portare da quest'ultimo, per conoscere di che s'intendesse parlare.

Come già prevedeva, non si trattava che della offerta fattagli nel 1861, del posto di Maggiore Generale, stata in allora da lui rifiutata. Le riferisco per altro quanto esattamente io posso, il discorso tenutomi dal Seward:

<<Nel 1861, mi avvidi che la Francia e l'Inghilterra si erano combinate per infrangere l'Unione degli Stati Uniti, e mi proposi immediatamente di agire in modo che se l'edificio dell'Unione Americana dovesse crollare, non una sola delle Monarchie Europee dovesse rimanere in piedi. Feci allora appello ai varH capi del partito democratico in Europa, e cominciai coll'offrire a Garibaldi il grado di Maggiore Generale, che in allora equivaleva a quello di Generale di Divisione, comandante un Corpo d'Armata. Gli feci far la proposta per mezzo del nostro Agente Signor Sanford attuale Ministro nel Belgio, il quale si recò in Genova, donde mi scrisse che Garibaldi non poteva accettare, per essere trattenuto in Italia da altri progetti». (Qui il Seward mi diede lettura di tutta la corrispondenza).

Sentendomi dire che si trattava di far crollare tutte le monarchie, gli dissi in aria scherzosa, e senza aver l'aspetto di serii t'imori sulla stabilità della nostra, che l'Italia si era sempre mostrata favorevole all'Unione Americana; che gelosa della propria unità non avrebbe mai formato voti per distruggere quella degli altri paesi ed allora il Seward, ritrattandosi mi disse: che si trattava soltanto dei troni di Francia ed Inghilterra.

Il Signor Seward parve alquanto dispiacente della pubblicazione fatta in Firenze dell'accennato telegramma, e forse anco della dimostrazione fatta da Garibaldi a sette anni di distanza. Il Signor Seward, non ha probabilmente riflettuto che a Garibaldi poteva essere tornata poco accetta la pubblicazione da lui fatta della lista degli Agenti Segreti, senza accompagnarla almeno di qualche commento, di natura da renderne l'interpretazione meno odiosa. Il Segretario di Stato fini col dirmi che ha la più grande simpatia per il nostro paese, e per il suo Governo, né io credetti opportuno di dirgli che la visita del Farragut al Papa, avrebbe potuto esserci risparmiata. Se avessi preveduto una tal visita, avrei tentato d'impedirla; ma, ora che è fatta ogni discorso sarebbe stato superfluo.

Il Senatore Sumner, Presidente del Comitato degli Affari Esteri nel Senato, mi disse, che egli avrebbe impedito, per quanto poteva, la nomina d'un nuovo Ministro in Roma. Penso vederlo quest'oggi al Senato, e tenerlo fermo nel suo proposito, ma temo purtroppo che l'austero Farragut avrà come tutti gli altri personaggi politici che visitano quel paese, subita l'influenza delle carezze del Pontefice, e consigliata la necessità d'un Rappresentante Americano presso la Santa Sede. Le cagioni non mancano: nove milioni di cattolici negli Stati Uniti: necessità di controbilanciare le influenze francesi, e più ancora, quella di contentare qualche amico politico che desidera quel posto. Ad ogni modo io terrò V. E. informata di quanto si deciderà su questo argomento.

181

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 68. Firenze, 24 marzo 1868.

Da alcun tempo a questa parte la sollecitudine di questo Governo è risvegliata da alcuni leggieri indizi i quali farebbero credere che per certe eventualità facili ad indovinare, il Gabinetto di Berlino possa far calcolo sovra sconvolgimenti interni nel nostro paese. Di tali sconvolgimenti potrebbe forse il Governo di Prussia lusingarsi di trarre profitto sia per neutralizzare, in qualsiasi ipotesi, la nostra azione, sia per costringere la Francia a tenere impegnata in Italia una ragguardevole forza militare.

Se veramente tali calcoli si facessero in Berlino, noi dovremmo per verità molto dolerci che malgrado le nostre più sincere ed amichevoli dichiarazioni, la politica prussiana sembri volersi mettere in una via tanto ostile ai nostri interessi, quanto sarebbe quella di favorire interne agitazioni nocive al consolidamento dell'unità italiana e dannose agli interessi nazionali e dinastici del nostro paese.

Sembra che per mezzo di certi suoi segreti agenti il Gabinetto di Berlino abbia mantenuto e mantenga tuttora relazioni con alcuni capi del partito d'azione, partito che a sua volta dicesi faccia grande assegnamento sul favore che troverebbero presso la Prussia gli inconsulti suoi moti. Furono intanto osservati non pochi ufficiali Prussiani i quali viaggiano in quelle parti d'Italia dove è maggiore il numero degli aderenti ai partiti ostili all'ordine attuale di cose, né passò inosservato che lo stesso generale Roon, anziché venire in quelle città ove sogliono accorrere i forestieri per godere delle bellezze artistiche del nostro paese, nel recente suo viaggio si fermasse di preferenza, ed in una stagione così poco propizia, in piccole città del Cantone Ticino, dove appunto hanno stabilito il loro centro d'azione gli agitatori che sperano sconvolgere il nostro paese.

Il mio Collega dell'Interno mi avvisava per ultimo in questi giorni che un ammiraglio Prussiano ha visitato recentemente Porto Maurizio ed il litorale della riviera di Genova, operando scandagli e prendendo note ed appunti sovra quanto può interessare un uomo di mare in quelle località.

Sebbene, presi isolatamente, tutti questi fatti non siano di molto rilievo, cionondimeno nel loro complesso costituiscono indizi di qualche peso i quali confermerebbero il sospetto che, intorno ai segreti andamenti della politica prussiana, ho poc'anzi additato.

Vorrei dunque, Signor Ministro, che Ella stesse sull'avviso e sovratutto nell'occasione che credo prossima, in cui parecchi italiani noti per appartenere al partito d'azione, si propongono di recarsi in codesto paese.

Noi vogliamo sperare che questi indizi e queste apparenze siano fallaci e che il Gabinetto di Berlino non abbia mai potuto nutrire progetti tanto contrari ai buoni rapporti che noi abbiamo ognora cercato di mantenere con lui. Nulla nella nostra condotta e nel nostro contegno potrebbe aver dato ragionevole pretesto alla Prussia di preparare contro di noi un'azione ostile ed occulta, né crediamo che gli uomini che governano la Monarchia prussiana possano voler

servirsi di armi così pericolose, che sogliano ferire chi vorrebbe nuocere ad

altri. Soltanto, dappoiché le apparenze lascerebbero credere che in certe even

tualità la Prussia possa essere tentata di far calcolo anche sopra interni rivolgi

menti italiani, riteniamo sia debito nostro il tenere gli occhi aperti e lo at

tentamente vegliare a ciò che, in ogni ipotesi, si possa opporre a simili pro

getti un conveniente riparo.

Ed è per raggiungere tale intento che io faccio particolare assegnamento sulla cooperazione della S. V. la quale potrà forse trovarsi in grado di fornirmi al proposito utili indicazioni.

182

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 29. Tunisi, 24 marzo 1868 (per. il 2 aprile).

La pubblicazione a Parigi di un opuscolo che riportava i Decreti del Bey di Tunisi relativi alle operazioni finanziarie (Rapporto n. 28 delli 21 gennajo scorso) (l) coi Signori Bureau e Crésolles a nome della Banca di credito internazionale di Parigi, avea qui dato luogo a serio malcontento e a forti reclami dalla parte del commercio europeo, lasciando il dubbio che nella progettata unificazione del debito tunisino si volessero comprendere le convenzioni

o per lo meno renderle illusorie colla concessione del corso forzato ai biglietti della Banca che dovea in pari tempo istituirsi; se non che lagnanze e timori si dileguarono ben presto colla dichiarazione della fallita di quello stabilimento e col ritorno in protesto delle cambiali tirate sul medesimo, e solo il Governo vi andò di mezzo colla perdita di franchi 1.200.000 in tante tischere del Bey al portatore che furono rimesse al Signor Bureau suddetto per l'estinzione di esse cambiali, e che poi seppesi essere state negoziate in Londra al 20 per cento.

La situazione pertanto rimanendo com'era prima, tra per la fiducia che inspiravano le garanzie affette alle conversioni e tra per le speranze sempre più crescenti di ubertosi raccolti, i creditori di ogni genere andavano sempre più tranquillandosi; ma le richieste divennero invece maggiori ed incalzanti dalla parte dei detentori delle cedole de' due imprestiti Erlanger, Oppenheim e C. di Parigi, i cui cuponi continuano tuttora ad essere in sofferenza. Il Console di Francia infatti aveva da qualche tempo frequenti conferenze col Bey e col primo Ministro, e vuolsi che questo ne fosse il principale oggetto. Comunque, le cose erano giunte al punto che tra per le ristrettezze interne e la pressione dell'es,tero, esausti tutti gli espedienti, bisognava che il Governo, dando soddisfazione all'opinione pubblica, si appigliasse una volta alle sole misure che potessero salvare il paese, -cioè a radicali riforme finanziarie e amministrative come da tanto tempo si andava predicando a una voce dai Consoli d'Italia, di Francia e d'Inghilterra.

19 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

Il momento sarebbe finalmente venuto, e mi affretto di annunziare a V. E. che avendo avuto nella settimana scorsa una lunga conversazione in proposito col Khasnadar, questi mi partecipò in via confidenziale che si stava per nominare una commissione mista d'indigeni e di negozianti europei coll'incarico d'inscrivere tutto il debito, di elaborare un bilancio attivo e passivo della Reggenza e di regolarne le spese, per cui verrebbero conferiti alla medesima dei poteri eccezionali, come per esempio di fissare la lista civile al Bey ed ai Principi, il contingente pell'armata, di visare e controllare i mandati di pagamento, non che di proporre tutte quelle misure che meglio condurrebbero all'uopo. Dissemi inoltre che si attendeva a dare l'ultima mano al relativo regolamento il quale dippiù sarebbe preceduto da una legge fondamentale per la garanzia della vita e dei beni delli abitanti.

Sebbene da lunghi mesi io spingessi il Ministro ad entrare risolutamente in questa via, confesso il vero che non ho mai sperato altrettanto: è questa una volontaria tutela cui s'impone il Governo e che applicata giudiziosamente può salvare a un tempo l'autonomia della Reggenza e gl'interessi europei.

Se non che nel corso della conversazione il Khasnadar m'informò d'altra parte delle pretese del Console di Francia il quale allegando la preponderanza degl'interessi francesi ha proposto ed insiste a che un funzionario francese scelto dal suo Governo sedesse nella Commissione come Vice-Presidente.

La posizione dell'Italia in faccia al diritto internazionale essendo identica a quella della Francia o di qualunque altra siasi potenza, a tale comunicazione mi sono creduto in dovere di dichiarare formalmente che non potevo accettare una simile differenza di trattamento, e che facevo sin da quel momento le mie più ampie proteste; Sidi Mustafà però avendomi osservato che nulla era stato sinora deciso, chiesi ad ogni buon fine una udienza particolare dal Bey, ed in questa che avvenne precisamente jeri, essendomi state dalla sua propria bocca confermate le stesse cose, non ho esitato un istante a rinnovare le stesse dichiarazioni e riserve fatte precedentemente al Ministro, cui Sua Altezza rispose assicurandomi che non avrebbe fatto mai delle concessioni all'uno che potrebbero ferire gli altri. Mi parlò poi lungamente della critica posizione finanziaria in cui travasi e dalla quale nondimanco sperava tuttavia di cavarsi colle misure che era deciso di prendere e col concorso delle Potenze amiche, specialmente dell'Italia che in circostanze più difficili gli era stata prodiga di potente ajuto, ed ordinando al suo Ministro di darmi comunicazione del progetto delle riforme che intendeva di ottrjare finiva col richiedermi all'uopo del mio appoggio e de' miei consigli.

Mentre quindi mi riservo di trasmetterne subito copia a V. E., pregola intanto di farmi pervenire sollecite e precise istruzioni cui possa all'occorrenza in una quistione di tanta importanza conformare il mio linguaggio ed il mio contegno.

Il mio Collega d'Inghilterra trovasi impegnato nell'istesso giuoco, e se devo fidarmi delle sue confidenze non è al pari di me disposto di accettare in verun caso una posizione inferiore ad un altro Governo, onde lavorando qui ei nell'istesso senso ho luogo a credere che il Bey saprà resistere alla pressione da qualunque parte gli venga.

Secondo il mio debole avviso una concessione di tale natura alla Francia implicando l'occupazione morale del paese finirebbe per compromettere insieme coi nostri interessi politici e commerciali quella legittima influenza che abbiamo da lungo tempo largamente usufruita.

(l) Non pubblicato.

183

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1048. Londra, 25 marzo 1868, ore 17,20 (per. ore 23).

Vos informations (l) sont exactes. Hunt construit réellement 2 mille 500 carabines, destinées à l'Italie; elles ne seront pretes qu'au commencement de mai. J'écris par la poste (2).

184

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 69. Firenze, 26 marzo 1868.

Il telegrafo ha annunziato ieri mattina un articolo della Gazzetta della Croce nel quale parlando dell'Italia si ricorda la recente manifestazione del Generale Lamarmora in favore della Francia, e si dice che in presenza di un sistema tendente a realizzare un'alleanza fra l'Italia, la Francia e l'Austria contro la Prussia, è necessaria da parte di questa un'attitudine riservata.

Come Ella ben comprende questo articolo ha prodotto presso di noi una spiacevole impressione. Lo stesso Generale Lamarmora che io incontrai ieri mi disse che il suo opuscolo si riferiva ad avvenimenti anteriori alla situazione presente e che le sue parole non aveano il senso che le furono attribuite dal Giornale Prussiano.

L'onorevole generale soggiungeva inoltre che non avendo egli alcuna posizione officiale nell'amministrazione attuale non potrebbesi in nessuna maniera argomentare dalle sue parole per conoscere le opinioni del Gabinetto ch'io presiedo.

Indipendentemente dall'opinione espressami tanto chiaramente dallo stesso generale Lamarmora, reputo conveniente che la S. V. colga l'occasione di quest'articolo che potrebbe forse avere un'origine officiosa per ben precisare quale è la nostra linea di condotta misurata e prudente, epperciò aliena da qualsiasi azione tendente a promuovere la realizzazione dei progetti che gratuitamente e senza alcun fondamento ci si attribuiscono.

(2} Non pubblicato.

(l) Cfr. n. 177.

185 IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1050. Berlino, 27 marzo 1868, ore 15,48 (per. ore 19,50).

Bismarck m'informe que Roi de Prusse a donné son consentement au projet de voyage du prince royal, et que ce dernier en a chaleureusement exprimé son plaisir. Il importe maintenant que le prince Humbert adresse au prince royal, comme formalité requise de courtoisie, une lettre pour l'engager à assister au mariage, en rappelant les rapports d'amitié qu'ils ont établis entre eux. Je prie V. E. de m'informer de l'envoi de cette lettre, afin que le comte Bismarck en prévienne le prince royal et qu'on puisse ordonner les préparatifs de départ. On désire également connaitre la date exacte du marlage (1).

186

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. 59. Firenze, 27 marzo 1868.

Ho letto con molta attenzione il di Lei dispaccio del 10 marzo (N. 96 politico) (2). Alle considerazioni ch'Ella mi ha esposto intorno ad alcune mie parole contenute nel dispaccio di questo Ministero in data del 26 febbraio ultimo

(N. 49 di questa serie) (3) debbo ora rispondere che quando proclamiamo il principio di non intervento, da noi si intende che quel principio sia da tutti egualmente rispettato. Ove così non fosse è naturale che per ognuno rinascerebbe la piena libertà d'azione. Noi non vogliamo certo rinunziare ad esercitare la nostra influenza in Oriente, ma quest'influenza non deve manifestarsi appoggiando gli intendimenti d'una potenza contro quelli d'un'altra; bensì fortificando la nostra posizione col darle la più larga base possibile negl'interessi del commercio internazionale fra l'Italia e l'Oriente.

Potrà forse venire un giorno che la quistione orientale fatta più viva richiegga assolutamente che tutte le Potenze abbiano a prendere un partito. In questo caso noi saremo tanto più forti, epperciò anche tanto più ricercati, quanto meno ci saremo compromessi e nell'uno e nell'altro senso.

Allorché non si hanno disgraziatamente mezzi sufficienti per far prevalere l'una o l'altra politica, conviene ricordarsi dell'adagio, inter duos contendentes, il che nel caso pratico attuale si traduce appunto nel mantenersi in quella linea di politica riservata che costituisce appunto l'essenza della politica di non intervento.

Nel tenere un simile contegno in presenza delle gravi quistioni orientali noi faremo cosa conforme alle esigenze della nostra situazione, ed occupandoci seriamente di promuovere i nostri interessi commerciali ed economici in Oriente, batteremo quella medesima via che fece grande l'influenza degl'Italiani in codeste contrade.

Quindi è ch'io approverò ognora con viva soddisfazione tutto ciò che la

S. v. sarà in grado di fare per render evidente agli occhi di tutti che noi vogliamo stabilire la nostra influenza in Oriente unicamente come italiani, senza essere né francesi né inglesi, né russi e senza preoccupare! di altri interessi che non siano quelli del nostro paese.

(l) -Questo telegramma venne comunicato l! 28 marzo (t. 599) da Menabrea a Cugia perchéfornisse elementi per la risposta. (2) -Cfr. n. 160. (3) -Cfr. n. 128.
187

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 640. Parigi, 27 marzo 1868 (per. il 305'.

Ieri il Marchese di Moustier mi disse che già da alcuni giorni aveva spedito al Barone di Malaret a Firenze un dispaccio -cl) in risposta a quello che l'E. V. mi diresse il 24 gennaio scorso (2) per proporre un modus vivendi fra l'Italia e la Santa Sede. Questo dispaccio del Marchese di Moustier essendo a quest'ora nelle mani dell'E. V. mi astengo di riferirne il sunto fattomene verbalmente dal Ministro Imperiale degli Affari Esteri.

In questa occasione ho chiesto al Marchese di Moustier se il Governo francese aveva continuato ad osservare nei varii Stati d'Europa quelle medesime tendenze pacifiche di cui mi aveva più volte parlato. II Ministro Imperiale degli Affari Esteri mi rispose che diffatti quelle tendenze pacifiche avevano continuato a mostrarsi dappertutto ed a confermarsi. In Oriente, secondo le informazioni da esso ricevute, la tranquillità si va rassodando di giorno in giorno. Il Gabinetto di Pietroburgo continua a tenere un linguaggio estremamente pacifico. In Allemagna i rapporti fra la Francia e la Prussia continuano ad essere buoni.

Il viaggio recentemente fatto dal Principe Napoleone, benché intrapreso di propria iniziativa del Principe e scevro interamente d'ogni missione ufficiale od ufficiosa, giovò tuttavia al maggior consolidamento delle buone relazioni reciproche. Diffatti il Principe fu bene accolto dappertutto e specialmente dal Re e dalla famiglia Reale di Prussia.

Tale è il linguaggio tenuto dal Marchese di Moustier il quale non vede nessuna oscura nube all'orizzonte.

Questo linguaggio risponde esso esattamente alla situazione vera delle cose? Io spero e fo voti perché ciò sia. Tuttavia non devo dissimulare che intorno all'Imperatore Napoleone, che credo animato sinceramente da spirito pacifico, si agita un partito bellicoso, non grande di numero, ma potente d'in

fluenze. Gli armamenti hanno continuato in Francia con grande alacrità, e si può dire che fra due mesi essi saranno completi. Il campo di Chalons sarà quest'anno diviso in due campi separati, ciascuno di 40 mila uomini. L'uno sarà comandato dal Generale Le Boeuf, l'altro dal Generale Fa-illy, entrambi Aiutanti di Campo dell'Imperatore. Insomma per la primavera la Francia si troverà armata di tutto punto e pronta. L'Imperatore Napoleone suol dire che questi armamenti erano indispensabili per mantenere la pace e che questa non fu mai tanto assicurata quanto ora che la Francia ha nulla a temere. D'altra parte è a notarsi che la Prussia s'astiene d'ogni cosa che possa dar pretesti ad un conflitto colla Francia, da ogni atto che possa rivestire il carattere di provocazione. Non si può quindi mettere in dubbio il sincero desiderio dei due Gabinetti di Parigi e di Berlino di conservare la pace. Ma ciononostante devo confessare che il fatto di due grandi Potenze che stanno in presenza armate formidabilmente e pronte entrambe ad entrare in campagna nello spazio di dieci o quindici giorni, è un fatto pieno di pericolosa incertezza e che deve preoccupare l'animo degli uomini di Stato in Europa.

Ripensando alle varie questioni che potrebbero produrre una complicazione, mi pare evidente che per ora non sianvi a temer pericoli in Oriente o in Italia. Il punto nero sta pur sempre in Alemagna. Il Parlamento doganale tedesco, a quanto mi si assicura, procederà senza dar luogo a provocazioni o a pericoli. La vertenza tra la Prussia e la Danimarca non sembra nemmeno essa di tal natura da dar luogo a complicazioni internazionali. La sola questione della fortezza di Magonza mi pare abbastanza grave per fornire un pretesto alla Francia quando si abbia interesse a trovarne uno. La Prussia tiene una guarnigione in questa fortezza appartenente all'Assia Darmstadt, in forza di una Convenzione passata tra il Re di Prussia e il Gran Duca, ma non in forza del Trattato di Praga. Magonza non è compresa nella Confederazione del Nord. D'altro lato la Corte d'Assia e il Gabinetto di Darmstadt non si aggirano certamente nel cerchio delle idee e delle simpatie prussiane. Mi permetto di segnalare alla speciale attenzione di V. E. questa questione, perché essa potrebbe pigliare un carattere grave, ove sventuratamente le idee pacifiche ora predominanti, dovessero far luogo più tardi a meno liete previsioni.

(l) -Cfr. n. 178, allegato. (2) -Cfr. n. 68.
188

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 11. Firenze, 28 marzo 1868.

Allorché il mio predecessore in questo ministero le scriveva in data 29 agosto dell'anno passato (l) per chiamare la di Lei particolare attenzione sulle conseguenze che indirettamente avrebbe potuto avere sul nostro commercio la protesta dei portatori francesi del prestito tunisino, Ella con rapporto del 10 Settembre (l) riferiva a questo ministero che il Governo di Tunisi al mo

mento in cui concedeva ai due negozianti italiani ed ai due inglesi la guarentigia delle teskere di nuova emissione coi diritti d'esportazione degli oli e delle lane, trovavasi nella pienezza dei suoi diritti sul dazio che in quel modo veniva, per così dire, a cedere a quei negozianti stranieri.

L'assicurazione data dalla S. V. al R. Governo fece sì che questo ministero più non avesse ad occuparsi di simile vertenza; né giunsero infatti da quel tempo in poi richiami o notizie che dessero luogo a temere che gli accordi presi tra quei quattro negozianti ed il Governo del Bey non dovessero essere pienamente osservati.

Se non che in questi ultimi giorni, avendo io letto nei giornali una lettera del Signor Marchese di Moustier al Signor Forcade rappresentante i portatori di rendita tunisina, nella quale si accennerebbe ad una pressione che il Governo francese sarebbe risoluto ad e~:' i"Citare per far prevalere le ragioni di quei creditori del Governo di Tunisi, domandando sin d'ora ufficialmente al Bey di ritirare i suoi decreti coi quali si fossero scemati i diritti di questi stessi creditori, io reputo necessaro che la S. V. stia sull'avviso e prenda concerti col suo Collega d'Inghilterra affinché in nessun caso si abbiano a rimettere in discussione i diritti acquisiti dai negozianti italiani che unitamente ag'inglesi fecero col Bardo l'operazione delle teskere surriferite.

Benché io sia convinto che dalla S. V. si eserciti la massima vigilanza al riguardo, tuttavia stimo conveniente chiamare la di Lei speciale attenzione sovra queste possibili complicazioni, perocché ove cedendo alle pressioni del Governo Francese quello di Tunisi decretasse qualche provvedimento contrario ai diritti acquistati dai nostri connazionali, la vertenza potrebbe prendere proporzioni molto più gravi e spiacevoli.

L'interesse nostro in questo affare essendo del tutto uguale a quello dell'Inghilterra, nel mentre io La invito a prendere opportuni concerti col di lei collega britannico, mi affretto anche di scrivere a Londra (l) per facilitare le intelligenze che potranno assicurare i diritti rispettivi dei sudditi delle due Potenze.

(l) Non pubblicato.

189

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 170. Berlino, 28 marzo 1868 (per. il 2 aprile).

J'ai reçu dans la soirée du 19 le télégramme de V. E. portant la meme date (2).

Dès le lendemain matin, j'ai envoyé le Chevalier Tosi chez le Sous Secrétaire d'Etat des Affaires Etrangères pour que le Roi Guillaume et le Prince Royal fussent informés sans retard de la satisfaction avec laquelle notre Auguste Souverain avait accueilli le projet de Son Altesse de se rendre en Italie à l'occasion du prochain mariage de Monseigneur le Prince de Piémont.

Le Comte d'Usedom avai été en effet chargé de nous sonder adroitement à cet égard, mais il n'avait encore transmis qu'un avis télégraphique conçu dans des termes assez vagues, et il se réservait de donner des détails ultérieurs par la poste. Dans ces circonstances M. de Thiele me faisait prier de lui écrire une lettre particulière dont il se prévaudrait à la Cour.

Je la lui ai adressée le meme jour. J'ai dit combien le Roi serait sensible à cette nouvelle preuve des excellents sentiments de la Famille Royale de Prusse à son égard et que Sa Majesté verrait avec le plus grand plaisir l'accomplissement d'un tel projet. J'ajoutai que j'avais l'ordre exprès d'en donner, au nom de Sa Majesté, l'assurance la plus cordiale et la mieux accentuée, et que le Prince Royal de Prusse mettrait ainsi le comble à tout ce qu'il avait fait d'aimable et d'affectueux pour le Prince Humbert lors de son dernier séjour dans cette résidence.

Je demandais en meme temps d'etre mis en mesure de mander à V. E. que ce message avait été communiqué en haut lieu.

Ayant reçu le 22 courant un nouveau télégramme de V. E. (l) sur le meme sujet, je l'ai fait remettre au Chevalier Tosi qui se trouvait précisément au Ministère où avait lieu le diner diplomatique d'usage pour la fete du Roi Guillaume, diner auquel l'état de ma santé ne m'avait pas permis de prendre part.

Le Comte de Bismarck laissa entendre à ce secrétaire de Légation que le Comte d'Usedom semblait avoir dépassé ses instructions en vertu desquelles il devait se borner à nous pressentir et à provoquer une invitation. Pour peu qu'on connaisse l'atmosphère de la Cour, on ne saurait agir avec trop de circonspection afin d'obtenir gain de cause. Non pas qu'il doutat d'en venir à la réalisation d'une idée dont l'initiative lui appartenait, et à laquelle le Roi était gagné. Le Président du Conseil comptait également sur les meilleures dispositions du Prince Royal de Prusse. Mais la précipitation du diplomate prussien n'était pas la mieux appropriée pour assurer dès à présent le résultat auquel le Comte de Bismarck tenait pour des motifs faciles à deviner. Il valait donc mieux, à son avis, qu'on reprit en quelque sorte la chose ab avo.

Le Chevalier Tosi répondit avec beaucoup de tact que le premier et le second télégramme de V. E. ainsi que ma communication par écrit équivalaient à une invitation, et qu'il serait dès lors aisé au Président du Conseil de s'exprimer dans ce sens, soit auprès du Roi, soit auprès du Prince Royal. Chose curieuse et qui prouve une fois de plus combien les rapports avec S. E. -vu la multiplicité de ses occupations -sont rares meme pour ses propres fonctionnaires, M. de Bismarck ne savait pas le premier mot de ma lettre à son Sous Secrétaire d'Etat; S. E. promit alors de me mettre bientòt à meme de répondre.

Le 23, M. de Thiele me fit savoir que ma lettre précitée avait produit un très bon effet sur Son Altesse Royale, et dans un billet qu'il m'adressa le 24, il m'assura que « l'affaire en question était dans la meilleure voie possible '> que son chef donnerait l'avis définitif et officiel à M. d'Usedom dès qu'il aurait vu le Roi.

Ce n'est que hier que S. E. m'a fait savoir que Sa Majestè avait donné son consentement, et que son Fils en avait chaleureusement exprimé sa satisfaction. S. E. me faisait dire en meme temps que, pour mieux abonder dans les formalités requises de courtoisie, il importerait maintenant que le Prince de Piémont adressat une lettre au Prince Royal de Prusse pour l'engager à assister au mariage, en rappelant les rapports d'amitié qu'ils ont déjà établis entre eux. J'étais en meme temps prié de me faire renseigner sur l'envoi de cette lettre, afin que le Prince Royal en fut prévenu et qu'on puisse ordonner aussitòt les préparatifs de départ. On désirait également connaitre la date exacte du mariage fixée, selon un télégramme de V. E., au 20 avril, tandis que le programme des fetes, publié par les journaux, lui assigne la date du 22 du meme mois.

Je n'ai pas besoin de relever qu'aux yeux du Comte de Bismarck ce voyage a un caractère essentiellement politique, celui évidemment de maintenir et de resserrer les liens d'amitié entre les deux Cours et entre les deux Pays. Il veut faire acte de présence au milieu des courants qui travaillent d'après les rapports du Comte d'Usedom, à nous ramener vers la France. Ce diplomate s'en exagère l'importance, peut etre meme ne fait-il que combattre des moulins à vent, car il attribue à l'oeuvre d'un parti influent les brochures du Général La Marmora et de M. Jacini, qui certainement, en signalant les services rendus par l'Empereur Napoléon, n'ont pas voulu déprécier ceux que nous avons retiré de notre alliance avec la Prusse. On voudrait peut etre aussi ne pas se laisser devancer par l'intimité qui parait s'établir entre nous et l'Autriche, Puissance dont on continue ici à surveiller avec défiance les mouvements.

Bref le Comte de Bismarck, d'accord avec le Roi, et comptant sur les dispositions favorables du Prince Royal, tenait beaucoup à l'exécution de ce projet. On comprend dès lors son impatience, sa mauvaise humeur, quand il pensait que la chose n'avait pas été assez bien acheminée. Il faut lui savoir gré d'avoir exercé son influence dans ce sens, car dans les cercles de la Cour et de la noblesse nous comptons encore beaucoup d'adversaires. C'est ce parti qui a inspiré un article qui a paru, il y a peu de jours, dans la Kreuzzeitung. Il critiquait des arrière-pensées attribuées à M.M. Lamarmora et Jacini, mais il avait peut etre le but secret de détourner le Roi de donner suite à la course projetée de l'héritier du tròne.

Cette course ne sera pas seulement un témoignage de sympathie, un acte conforme aux intérets de la Prusse à raffermir ses bonnes relations avec l'Italie, elle sera, en outre, un hommage rendu à la modération et à la sagesse des vues du Ministère présidé par V. E., et à sa conduite au milieu des difficultés de la position à l'intérieur et à l'étranger. Aussi s'agit-il de se prémunir non pour le présent, mais pour des éventualités que l'avenir pourrait ménager, malgré les efforts sincères de tous les Gouvernements dans un but pacifique. Il est donc parfaitement compréhensible qu'indépendamment le tout motif de courtoisie, le Cabinet de Berlin vise aussi à retirer de la présence du Prince Royal en Italie, tous les meilleurs effets possibles. S'il veut semer pour recueillir, c'est là une semence que nous avons tout intéret à voir germer. Plus nous aurons d'amis sur le continent, plus notre position sera sauvegardée contre une pression qui voudrait nous faire sortir d'une attitude de neutralité qui nous est imposée par les exigences de notre réorganisation intérieure, attitude parfaitement appréciée ici. On ne désirerait pas davantage de notre part, si le jeu des pressions poussait un jour la France contre l'Allemagne.

Il serait superflu de mentionner que l'héritier de la Couronne de Prusse jouit d'une grande popularité justement méritée par son caractère plein de franchise et d'affabilité, par ses opinions Iibérales et par les talents militaires qu'il a déployés dans la guerre de 1866. Ses qualités le rendraient apte à monter dès aujourdhui sur le tròne. Dans ces conditions il importe de nous le concilier de plus en plus, et que s'établissent entre lui et notre Prince héréditaire des liens toujours plus intimes.

Je n'ai pas besoin non plus d'insister sur la nécessité de faire le meilleur choix pour l'officier supérieur qui sera attaché à sa personne durant son séjour en Italie. Quand le Prince Humbert est venu à Berlin, le Roi Guillaume avait placé à ses còtés le Lieutenant Général Comte de Bismarck-Bohlen et le major de Lucadon, aide de camp de Sa Majesté. Des wagons royaux avaient été mis à sa disposition.

P. S. J'ai oublié de mentionner qu'il ne saurait étre question d'un voyage pour la Princesse Royale de Prusse à peine relevée de ses couches et qui nourrit; quelque fut son désir d'accompagner le Prince il y a impossibilité absolue. Ci-joint une lettre particulière pour V. E. (1).

(l) -Cfr. n. 194. (2) -Non rinvenuto.

(l) Cfr. n. 175.

190

IL MINISTRO A BRUXELLES, DE BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 16. Bruxelles, 28 marzo 1868 (per. il 1° aprile).

Je viens donner à V. E. les renseignements que je lui avais annoncées par ma dépéche d'avant-hier (2) sur le recrutement en Belgique des zouaves Pontificaux. La personne de qui je les tiens est tellement en position d'étre bien informée qu'on peut les regarder comme d'une parfaite exactitude.

La constitution du Comité centrai d'enròlement à Bruxelles, a eu lieu, dans le principe, par I'initiative personnelle du Général de la Moricière et avec le concours du Père Deschamp, alors rédemptoriste, aujourd'hui évéque de Namur, peu de temps avant l'événement de Castelfidardo. Le Comité Centrai à Bruxelles a pour président M. le Comte de Villermont; pour Vice présidents M. M. les Comtes de Berzeyck et de Buisseret; pour medecin-visitant le Docteur Van-Gilse.

Les ressources de l'oeuvre consistaient principalement dans le produit des souscriptions pour les Etrennes du Pape et dans celles destinées à l'entretien des engagés.

Il y a des Sous-Comités dans quelques villes des Provinces; mais c'est surtout et principalement la Hollande qui fournit les recrues. L'an peut compter trois hollandais pour un beige. Le nombre de ces derniers peut s'ètre élevé en tout à 1.600; mais le total des Belges qui sont encore actuellement sous les drapeaux ne dépasse pas 600.

L'itinérarire était par Paris et Marseille où des Comités locaux recevaient et dirigeaient les enròlés arrivants.

Aujourd'hui tout entròlement nouveau en Belgique est totalement suspendu. Il ne part actuellement par mais que 6 ou 8 belges ayant déjà servi dans l'armée pontificale et qui ont pris un nouvel engagement.

Il n'existe aucune connivence entre ces comités et les émigrés bourboniens (1). Le mouvement purement religieux et alimenté par le parti clérical n'a jamais pris d'autre couleur.

(l) -Annotazione a margine: «rimessa». (2) -Non pubblicato.
191

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 270. Vienna, 28 marzo 1868 (per. il 31).

V. E. mi scuserà se per difetto di tempo mi limito ad accluderle un articolo pubblicato dal Fremden Blatt di jeri sera, relativo all'origine dei falsi rumori corsi circa la formazione di una Legione Ungherese pel Governo Pontificio.

Mi si assicura da persona al solito ben informata, che i fatti narrati in tale articolo sono esatti: però non potrei garantirlo in modo assoluto. Quel che è certo è che nessun arruolamento ebbe luogo, né sarà tollerato in Ungheria dal Governo Pontificio. In quanto alla formazione di una Legione Polacca di cui parlarono pure certi fogli clericali, la proibizione speciale di arruolamenti che il Ministro Cis-leithano dell'Interno ebbe occasione di emanare alla fine di gennajo, come riferii a suo tempo a V. E. vale anche per la Gallizia, compresa nei Paesi rappresentati nel Reichsrat, e non v'è ragione di dubitare che colà, come già a Vienna, tale proibizione abbia il suo effetto.

192

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 271. Vienna, 28 marzo 1868 (per. il 4 aprile).

Il linguaggio tenuto qui è una conferma di più di quanto V. E. mi fa l'onore di scrivermi sulle intenzioni moderate e pacifiche dimostrate presentemente dal Governo di Belgrado.

Tali disposizioni dei Serbi sono in evidente relazione col contegno riservato preso dalla Russia dopo la dichiarazione collettiva fatta dalle quattro Potenze a Costantinopoli nell'ottobre scorso, e soprattutto coll'impressione profonda che pare sia stata prodotta presso le popolazioni Slave e Greche dell'Impero Ottomano dal fatto, più o meno reale ma abilmente accreditato da questo Governo Imperiale, di una solidarietà assai estesa della Francia ed anche in una certa misura dell'Inghilterra coll'Austria pel mantenimento dello statu quo in Oriente.

Accennerò a tal proposito che ancora ultimamente si assicurava in questo Ministero Imperiale degli Esteri che il Gabinetto di Pietroburgo, avendo tentato di mettere in guardia il Gabinetto di S. James contro il supposto desiderio dell'Austria di provocare un'occasione favorevole per annettersi la Bosnia e l'Erzegovina, queste insinuazioni non incontrarono a Londra che dubbio ed indifferenza.

In ogni modo l'abbandono della causa Cretese per parte della Francia e le note rimostranze dei Consoli d'Inghilterra, Francia ed Austria a Belgrado furono considerate dagli Slavi del Sud, per quanto ne posso giudicare di qui, come prove positive che ogni tentativo di rivolgimento in quelle regioni sarebbe ora intempestivo; e tanto essi che i Greci, cui non mancò mai una certa prudenza, l'hanno per inteso, né si abbandonano a que' moti disperati che essi minaccia vano pochi mesi sono per cosi ottenere maggiori appoggi.

Da ciò venne che anche nelle popolazioni Slave dell'Austria le difficoltà, che il presente ordine di cose porta in sé, accennarono sempre più a dover rimanere latenti per un tempo più o meno lungo. Così, con tutta l'attenzione che è mio dovere di dirigere su quella parte sì rilevante degli interessi dell'Impero, non ebbi a segnalare a V. E. altro fatto al riguardo, se non l'andamento regolare delle istituzioni della Corona di S. Stefano, ottenuto non certo senza pressione ma senza aperto contrasto, nei paesi Slavi in essa compresi. D'altronde non furono sinora intavolate praticamente le due questioni interne più interessanti che restano a risolvere a Vienna riguardo agli Slavi del Sud: la situazione definitiva da riconoscersi legalmente alla Dalmazia, l'introduzione d'istituzioni meno antieconomiche e meno antisociali nella Croazia militare.

II desiderio del Governo Ungherese di stringere migliori relazioni cogli Slavi è connesso coll'idea radicata a Pesth che la questione Slava in Austria è tale da non potersi trattare semplicemente come questione interna. Frenare l'influenza Russa, conciliarsi possibilmente i Serbi, sono le due prime massime di stato della politica Unghrr2se, V. E. sa quanto si operi dalla Diplomazia Imperiale pel primo di quegli scopi, in quanto al secondo, col quale stanno in relazione le concessioni fatte al Zukitch, parrebbe che tra altri disegni taluni abbiano ideato un progetto di sostituzione del Kara-Georgewitch al Principe Michele sul trono di Serbia, aspettandosi da quello una maggiore indipendenza dalle influenze Russe; ma quantunque il Kara-Georgewitch abbia fatto di recente un viaggio a Pesth e a Agram, ove conferì con parecchie notabilità, non pare che l'accennato progetto abbia finora alcunché di serio.

(l) Con d. 4 del 15 marzo, non pubblicato, Menabrea aveva richiesto notizie precise s14i comitati dl arruolamento e soprattutto sul loro rapporti con gli emigrati borbonici.

193

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 602. Firenze, 29 marzo 1868, ore 18.

Les nouvelles de Rome portent que le Pape est très malade, les uns disent d'un coup d'apoplexie les autres d'une hernie. Veuillez vous préoccuper de ce fait et tacher de connaitre les intentions de l'Empereur dans le cas où la mort de Sa Sainteté arriverait.

194

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. CONFIDENZIALE 73. Firenze, 29 marzo 1868.

Qui unito Ella troverà un mio dispaccio in data d'ieri diretto al Console generale di Sua Maestà in Tunisi (l) per chiamare la di lui attenzione sovra un interesse che alcuni Italiani hanno comune con alcuni inglesi in quel paese.

Due altri documenti (dispaccio 29 agosto del R. Ministero al R. Console in Tunisi e dispaccio 10 settembre 1867 del R. Console al Ministero), che sono qui uniti in copia renderanno agevole alla S. V. il farsi una chiara idea dell'affare di cui si tratta, il quale del resto può essere riassunto nelle poche parole che seguono.

Il commercio italiano, e quello degli altri paesi soffrivano, sino al marzo dell'anno passato, gravissimo danno dallo trovarsi in possesso di certi titoli di credito verso il governo del Bey, i quali perdevano oltre il 50 per cento, e presentavano nessuna guarentigia di rimborso. Dopo molti tentativi fatti per indurre il governo tunisino a ritirare una parte di quei titoli il cui possesso era causa di rovina pei commercianti i quali, nelle condizioni attuali della reggenza, non potrebbero trafficare senza l'intromissione del governo locale, due sudditi italiani e due sudditi inglesi assunsero l'iniziativa di una operazione finanziaria col Bardo. In questa operazione che riuscì dì sommo vantaggio per tutti i comercianti esteri di Tunisi, i quattro negozianti assunsero di convertire i titoli in corso in vere obbligazioni produttive del 12 % all'anno ed estinguibili in 7 anni a sorteggio. Per guarentire il capitale di 12 milioni impiegato dai quattro negozianti in questa operazione il governo Tunisino ha rimesso ai medesimi un certo numero di teskere pell'esportazione dell'olio e delle lane. Queste teskere non essendo in sostanza che i permessi di esportazione che si concedono, pagati che siano i dazi gravitanti sull'estrazione di quelle mercanzie dalla Reggenza, il pegno ricevuto dai negozianti Italiani ed Inglesi equivale ad una cessione parziale dei diritti doganali spettanti al governo del Bey.

Con questa operazione e con altre consimili che tennero dietro poco dopo, l'immenso sconcerto che esisteva nel commercio di Tunisi poté essere in buona parte riparato e d'allora in poi gli affari della nostra colonia sembrano essere posti in migliore condizione che non lo erano per lo addietro.

Se non che avendo, all'epoca in cui si fece il primo contratto che ho sovradescritto, alcuni commercianti francesi domandato di associarsi essi pure alle progettate operazioni di conversione, sembra che l'autorità consolare di Francia usasse ogni mezzo per consigliare quei suoi dipendenti a desistere da una simile operazione, ed anzi nei rapporti che in quel tempo pervennero a questo ministero è detto che i consigli dell'agente francese giunsero sino quasi alle intimidazioni, e ciò dietro ordini espressi giuntigli dal suo governo.

Riassumendo questi fatti e vedendo l'impegno col quale ora il gabinetto francese sembra voler difendere un altro interesse dei suoi sudditi compromesso nella fallita operazione del prestito Tunisino, il governo del Re ha concepito qualche timore per la esecuzione e la osservanza dei contratti fatti per la conversione degli altri debiti del Bardo; epperò nel mentre ha ordinato al Console generale di Sua Maestà in Tunisi di vegliare attentamente a ciò che i diritti acquisiti dei sudditi italiani non abbiano ad essere posti in discussione, trovo opportuno che la S. V. faccia immediatamente dei passi al Foreign Office per ottenere che in un affare nel quale il commercio britannico è interessato al pari del nostro, il rappresentante inglese a Tunisi abbia a ricevere istruzioni analoghe a quelle che da noi furono diggià spedite.

Nel rendermi conto di quanto la S. V. avrà fatto a questo riguardo la prego in ogni caso di farmi conoscere particolareggiatamente quali disposizioni il Governo inglese crederà opportuno di prendere per tutelare un interesse che ha un'incontestabile gravità anche in vista delle condizioni politiche della reggenza di Tunisi rimpetto alla vicina colonia d'Algeri. Ma Ella ben comprende come quest'ultima parte della quistione debba essere trattata con ogni sorta di riguardi e con una circospezione tutta particolare.

(l) Cfr. n. 188.

195

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TANGERI, CASTELLINARD

D. 2. Firenze, 29 marzo 1868.

Da agenti dei partiti sovversivi italiani furono ordinati alla fabbrica Poty and Hunt di Londra 2500 a 3000 carabine a retrocarica di un nuovo modello francese che tiene dello Suider e del Chassepot, le quali sono destinate ad esser introdotte clandestinamente in Sicilia o direttamente ovvero toccando a qualche altro porto d'Italia.

La R. Legazione in Londra mi avvisa a questo proposito che le dette armi potrebbero anche essere depositate a Tangeri e quindi avviate di nascosto su qualche punto dell'isola sovra indicata. Sembrerebbe anzi che questa via sia già stata scelta per altre spedizioni di armi e di munizioni dirette a produrre disordini nell'Italia meridionale.

Ad ogni modo viene riferito a questo Ministero che il comitato borbonico di Londra mantiene attivissima corrispondenza con quello stabilito in Tangeri, e mi si annunzia pure che in codesta città siasi recato il noto generale Bosco appunto per dirigere ed invigila·re le spedizioni clandestine delle quali ho sopra tenuto discorso.

Non trovando nella di Lei corrispondenza cenno alcuno di questo comitato e di questi maneggi borbonici, io dovrei sospettare che quelle notizie non siano esatte, ma la fonte dalla quale derivano essendo abbastanza sicura per escludere questo sospetto, debbo invitare la S. V. primieramente ad invigilare in ogni modo sul possibile sbarco in Tangeri di quelle armi e sul possibile loro avviamento verso la Sicilia, ed in secondo luogo a riferirmi circa il comitato borbonico stabilito in codesta di Lei residenza esercitando sul medesimo una attiva e costante sorveglianza.

Non essendo il Consolato di Tangeri provveduto di cifra, nel caso in cui la

S. V. venisse a conoscere il nome e la destinazione della nave che trasporta le armi o le munizioni in quistione basterà ch'Ella mi indichi, in un telegramma, il nome del bastimento dicendolo partito pel luogo al quale è destinato.

Il telegramma dovrà essere concepito in questi precisi termini: «Le navire (indicare la nazionalità) est parti le (la data) faisant route pour (la destinazione) ».

Un simile telegramma sarà da me inteso come se indicasse che la nave segnalata trasporta armi o munizioni da guerra.

196

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 272. Vienna, 29 marzo 1868 (per. il 4 aprile).

Mi reco a dovere d'informare V. E. degli indizii e delle probabilità, in difetto di meglio, che ho raccolto circa il viaggio del Principe Napoleone nella Germania del Nord.

Il Barone di Beust si esprime al riguardo in modo da dimostrare che egli non attribuisce grande portata pratica a quel fatto; però egli sembra considerarlo come di buon augurio per la conservazione della pace tra la Francia e la Prussia, e come un motivo per la Russia di badare a sé e lasciare in pace l'Oriente.

Fra i Membri dei due Ministeri Cis-Leithano e Ungherese vi è chi crede, come il Conte Potocki e il Principe Auersperg, che a Berlino il Principe Napoleone abbia parlato della Polonia, affermando che la Francia, favorevole al principio di Nazionalità, non avrebbe posto ostacolo al compimento dell'Unità Germanica nel Sud, purché ottenesse una soddisfazione morale colla ricostituzione della Polonia sotto l'Imperatore d'Austria, e forse coll'acquisto di un lembo insignificante di territorio verso la Saarre. Né essi mancano di ravvisare nell'incorporazione recente della Polonia una risposta del Governo Russo alle mosse del Principe.

È evidente che tutto ciò non ha importanza come informazioni, ma bensì

come espressione delle tendenze qui regnanti. Conviene dunque limitarsi a co

statare che in questi vari circoli politici il viaggio del Principe è visto senza

dispiacere, perché il desiderio ben noto di Sua Altezza di dirigere contro la

Russia i malumori Francesi, non dispiace a nessuno qui.

Il Duca di Gramont, le cui sentenze non sono generalmente giudicate qui inappellabili, riassume la sua opinione dicendo, che mentre il viaggio del Principe nella Germania del Nord fu «un voyage d'études », la sua venuta a Vienna sarà «un voyage d'ajjaires ». Non vorrei guarentire che queste parole abbiano nel pensiero stesso dell'Ambasciatore, un senso molto determinato.

Il Conte di Stackelberg dimostra minore inquietudine di prima. Egli mi fece leggere alcuni rapporti del Signor d'Oubril coi quali riferisce d'aver avuto dal Signor de Thiele (non avendo potuto vedere il Conte di Bismarck) l'assicurazione che il Principe non parlò della Polonia; che non gli si parlò di cose politiche se non per corrispondere cortesemente alle iniziative da lui prese; che egli toccò leggermente alla convenienza per la Prussia di esserne rimasta alla linea del Meno; che le conversazioni sue furono sempre retrospettive; e che l'unico risultato del viaggio é la costatazione di una certa tendenza reciproca a scambiar3i delle dimostrazioni benevole fra le Corti di Parigi e di Berlino. Non è impossibile che il Gabinetto di Pietroburgo approfitti del prossimo passaggio del Generale Ignatieff a Berlino per cercare di penetrar un po' più addentro nel mistero.

Benché io supponga che il Governo Russo abbia ancora in proposito altre informazioni oltre le sovraccennate, tuttavia, riportandomi a quel che scrissi riservatamente a V. E. il 25 febbraio scorso (1), sulla non esistenza di positivi impegni reciproci fra i Gabinetti di Berlino e di Pietroburgo, debbo emettere come non inverosimile l'ipotesi che la Diplomazia Russa non sia assolutamente certa di aver ottenuto da Berlino confidenze complete su quanto fu detto fra il Principe e i suoi alti interlocutori; e che quel sospetto, tale da non attenuare per certo le inquietudini de' Russi, li abbia però costretti per prudenza a dissimularle.

In quanto al Barone di Werther egli mi dice che il Principe parlò liberamente di politica, ma unicamente al punto di vista retrospettivo (pare sia questa la parola usata costantemente a Berlino), né emise proposte né progetti per l'avvenire. Egli aggiunge che non toccò della Polonia e dimostrò molta circospezione nelle sue idee sull'Oriente.

Seppi poi da buona fonte che solo il seguito del Principe parlò di un'escursione a Posen, della quale il Principe non disse nulla; che la polizia Prussiana impedì la partenza da Posen di una Deputazione di studenti portatori di un indirizzo all'Augusto viaggiatore; e che egli fece prevedere una sua prossima escursione marittima sulle coste Prussiane e Svedesi del Baltico. Si narra pure di una spiegazione della battaglia di Koniggratz che gli fece il Generale Moltke, sopra un piano in rilievo, dopo un pranzo dal Principe Alberto.

In complesso, l'impressione che ricevo qui, sia dall'insieme degli indizi sul viaggio del Principe, che dalla situazione in sé è questa: che la Prussia, per la quale la questione d'Oriente non fu mai che un istrumento, non ha fatto né alla Russia né alla Francia il sagrifizio della libertà d'azione colla quale essa si riserva d'utilizzarla; e che per gli Affari di Germania, le cose benché con apparenze più rassicuranti, rimangono come prima, la Francia non essendo riuscita né a trovare un alleato sicuro contro la Prussia né ad ottenere dalla Prussia stessa, ora non più che a Nicolsburg, concessioni soddisfacenti.

(l) Cfr. n. 127.

197

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 275. Vienna, 29 marzo 1868.

Farò uso, in modo conforme alle intenzioni dell'E. V., delle considerazioni

svolte nel pregiato dispaccio politico n. 88 (1), circa i pericolosi intrighi di

retti da Roma contro questo come contro ogni altro Governo che s'informi ai

principj essenziali della moderna società.

Ebbi già ad opporre le informazioni di V. E. sull'intolleranza pur troppo crescente nelle alte sfere della Curia Romana, alle previsioni ottimistiche che mi esternava di recente un uomo di Stato, non dei più noti, ma il più importante forse fra i membri del partito cattolico tuttora collocati qui negli alti ufficj Governativi, il Barone di Meysenbug.

Egli, deplorando la scissione che si va sempre più effettuando tra gli Stati Cattolici e la Corte di Roma, mi diceva che ripone grandi speranze nel futuro concilio ecumenico, in cui avranno forse un'influenza dominante i Vescovi degli Stati Uniti, dell'Italia, del Belgio, della Svizzera, di tutti i paesi ove varie Confessioni religiose trovansi frammiste, e che le risoluzioni ivi prese potranno essere il più grande avvenimento del secolo.

Tali speranze, osservai io, potrebbero realizzarsi con immenso vantaggio delle credenze morali e religiose, se la Chiesa si trovasse a Roma nelle stesse condizioni che nei paesi citatimi. Invece, l'esistenza del potere temporale del Pontefice, per essere stata precariamente protratta colla forza qualche anno di più, sarà forse cagione che il Concilio ecumenico del secolo XIX, senza paragone alcuno in quanto alla rispettabilità delle persone, ma troppo analogo per il carattere sovversivo delle tendenze al Congresso di Ginevra, consacrerà con funesta solennità la decadenza, tanto deplorata a Roma stessa da tre secoli, dell'Autorità morale della Chiesa.

lù -Doc'am.enti diplomatici • Serle I • VoL X

(l) Cfr. n. 166.

198 L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 276. Vienna, 29 marzo 1868.

Il Generale TUrr fece nuovamente in questi ultimi tempi un viaggio in Ungheria e nella Croazia civile. Egli parlò ed agì in quel viaggio in modo da soddisfare completamente il Ministero Ungherese: adoperò cioè la sua influenza per indurre ad un contegno più fiducioso e più moderato i membri della sinistra della Dieta Ungherese; e ne' suoi rapporti con i Croati, presso i quali egli ha non poche aderenze, egli si adoperò, a beneficio dell'Ungheria riconciliata, nello stesso senso in cui egli si adoperava in altri tempi verso di essi a vantaggio dell'Ungheria oppressa: procurando cioè di attenuare gli antagonismi tra Magiari e Croati. Nella stessa guisa che in allora tali sforzi erano diretti contro il Governo di Vienna, essi ora sono rivolti contro la Russia. Mi risulta che il Generale Tiirr parlò energicamente a varie personalità più o meno spiccanti fra gli Slavi Austriaci, dello sbaglio che essi commetterebbero gettandosi nelle braccia della Russia e sacrificando così un avvenire d'indipendenza che essi possono assicurarsi invece mediante facili accordi coll'Ungheria.

So inoltre che nelle sue convei·..:a~~.mi, ripassando per Vienna al suo ritorno pochi giorni sono, egli parlò con qualcuno della necessità per gli Slavi del Sud di intendersi non solo cogli Ungheresi, ma coi Polacchi, approfittando di comune accordo con essi, per un doppio scopo di ricostituzioni Nazionali, della favorevole occasione dell'intimità regnante tra la Francia e l'Austria, e cessando di far assegno sulla protezione o dominatrice od inefficace della Russia.

Ma nulla indica che profferendo tali idee egli sia l'eco di uomini di stato attualmente al potere sia in Ungheria, sia qui. All'eccezione del Conte Potocki, che rappresenta moralmente l'elemento nazionale Polacco nel Ministero Cis-Leithano e che non nasconde le sue speranze di una ricostituzione della Polonia per mezzo dell'Austria e della Francia, questi Ministri risponsabili si mantengono sopra tale argomento in una grande riserva, benché taluno di essi non escluda nelle sue conversazioni confidenziali l'ipotesi di progetti AustroFrancesi per la ricostituzione della Polur1ia, come dissi nel mio Rapporto Politico n. 272 (1). Le parole del Generale Tiirr, sebbene non disfarmi da certe simpatie e da certe illusioni per la Polonia nutrite a Pesth, come a Vienna, sembrano troppo arrischiate per poter essere giudicate altrimenti che come un parto della fantasia individuale dell'onorevole Generale.

Vien però attribuita in Ungheria ed in Croazia una certa importanza ai suoi discorsi, perché egli ama di far mostra delle sue relazioni con S.A.I. n Principe Napoleone. Egli disse d'avergli fatto visita, prima d'intraprendere

quest'ultimo viaggio, e lasciando Vienna pochi giorni sono, egli si recò a Parigi per ritornare di là in Italia.

V. E. intenderà come io non possa che esporle questi fatti, senza entrare in supposizioni che mi sarebbe impossibile di verificare.

Quel che è più che verosimile si è che il Generale Tiirr cerchi di rendersi necessario al Governo Ungherese per ottenere qualche alto posto militare o politico in quella parte della Monarchia; nel qual caso egli si deciderebbe a rinunziare ai vincoli dai quali egli è presentemente legato al nostro paese, e che egli rifiutò recentemente di rompere per accettare l'offertogli mandato di Rappresentante nella Dieta di Pesth.

(l) Cfr. n. 196.

199

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 277. Vtenna, 29 marzo 1868.

Une lettre particulière du Baron de Budberg au Prince de Gortchakoff datée du 8 mars, et dont le Comte de Stackelberg a bien voulu me donner confidentiellement connaissance, rend compte d'une conversation que ce Diplomate eut le matin meme pour la première fois depuis son retour de S. Pétersbourg, avec l'Empereur Napoléon.

Le Baron de Budberg dit à l'Empereur Napoléon que l'Empereur Alexandre était toujours dans les memes dispositions que lors de son voyage à Paris, désireux de se trouver d'accord avec lui, spécialement dans la question d'Orient.

L'Empereur Napoléon répondit qu'il partageait entièrement ce désir et que lui aussi était demeuré dans les memes dispositions que lors de la visite de l'Empereur Alexandre.

Le Baron Budberg fit alors allusion au malheureux effet produit en Russie par les attaques aussi malveillantes que peu fondées de journaux de Paris, auxquels on connait des attaches officielles, contre de prétendues menées du Gouvernement Russe en Orient.

L'Empereur Napoléon répondit avec vivacité qu'il avait fortement désapprouvé le langage de ces journaux et qu'il avait donné ordre lui-meme à Rouher et à Pinard de le faire cesser. Il faut dire cependant, ajouta l'Empereur, que l'on trouve des motifs d'inquiétude dans l'action qu'exerce en Orient la propagande de Comités Russes, qui à défaut de la protection du Cabinet de Pétersbourg, se prévalent d'une certaine bienveillance de sa part.

Le Baron de Budberg répliqua que l'Empereur avait pu connaitre par expérience combien il est difficile d'éviter parfois d'etre compromis, sans avoir pourtant rien fait pour cela, par certains partis. Ainsi le parti d'action en Italie avait longtemps eu l'audace de faire accroire, et non avec un entier insuccès, à la tolérance du Gouvernement Français pour ses desseins; et il n'avait fallu rien moins que la dernière expédition de Rome pour prouver le contraire.

L'Empereur ne répondit rien à cette allusion.

Le Baron de Budberg toucha alors à la désagréable surprise qu'avait causée à Pétersbourg le Livre Jaune. L'Empereur dit à ce sujet qu'en effet ce recueil avait été assez mal composé, et qu'il regrettait de ne l'avoir pas lui-meme examiné avant sa publication.

La conversation s'étant ensuite engagée sur la situation générale de l'Eurape, l'Empereur dit n'etre lié envers personne dans sa politique extérieure, et pas davantage envers l'Autriche, avec qui seulement il se trouve d'accord sur la conservation du statu quo dans l'Empire Ottoman.

L'Empereur se montra très mécontent et meme irrité du Livre Rouge autrichien, et qualifia de maladroite la position qui y prend M. de Beust vis-à-vis des affaires d'Allemagne (M. de Budberg interprète ce mécontentement en ce sens que l'Empereur Napoléon, qui aurait désiré trouver l'Autriche plus disposée à s'allier avec lui contre la Prusse, est dépité de voir M. de Beust demeurer libre de s'entendre au besoin à de bonnes conditions avec le Cabinet de Berlin).

«-M. de Beust, dit l'Empereur en propres termes, est sans doute un homme de mérite et qui a rendu des services, mais léger et qui ne pèse pas toujours ses paroles ni ses actes ». M. -de Budberg tata à plusieurs reprises, dit-il dans sa le·ttre, l'Empereur Napoléon pour en tirer quelque chose sur la suite à donner à la question de Candie. Il représenta qu'il était indispensable, pour calmer les esprits en Orient dans l'intéret de la paix, d'en finir d'une manière quelconque avec cette affaire. L'Empereur se retrancha constamment derrière des mots vagues, disant qu'il ne voyait pas ce qu'on pouvait encore faire et que la question lui semblait devenue peu susceptible d'une solution actuelle.

L'Empereur constata une détente dans l'attitude du Gouvernement de Berlin vis-à-vis de la France.

Ensuite il parla de la nécessité où il avait été d'accroitre Ies forces de la France. «L'armement de l'infanterie est terminé » dit-il «à l'exception des réserves. Je m'occupe de compléter l'artillerie et de mettre en état nos places fortes qui ont été négligées depuis bien des années ».

Les conclusions que M. de Budberg tire de cette conversation est que la Russie n'a lieu ni de s'alarmer quant à présent ni d'etre complètement tranquille pour l'avenir meme prochain, sur les dispositions du Gouvernement Français. M. de Budberg persiste à croire, en contradiction du Comte de Stackelberg, que les accords Austro-Français, si on les envisage autrement que comme une entente générale, et assez vague, dans un sens rassurant pour la situation de l'Autriche du còté de l'Orient, sont une invention artificieuse exploitée, sinon lancée par M. de Beust. Mais en dehors de cette entente, peu agréable du reste à la Russie, il ne signale comme mauvais simptòme que la tendance aux expédients de toute sorte qui jette une incertitude complète sur l'avenir de la politique Française. Ainsi la campagne faite récemment par la presse officieuse de Paris contre la Russie, n'a été, d'après le Baron de Budberg, motivée que par le besoin de distraire les esprits de la question Romaine et de la question Allemande, toutes deux désagréables au moment actuel pour le Gouvernement.

200

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 603. Firenze, 30 marzo 1868, ore 11,20.

Sa Majesté a autorisé S.A.R. le prince Humbert à écrire au prince de Prusse pour lui exprimer le plaisir qu'il aurait à le voir assister à son mariage.

201

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1052. Parigi, 30 marzo 1868, ore 14,35 (per. ore 16,50).

Courrier arrivé. Empereur approuve notre observation sur la note française et admet la rectification que vous avez proposée (1). Malaret va recevoir instructions dans ce sens. Sartiges n'a rien écrit sur la santé du Pape; mais des nouvelles particulières confirment que Sa Sainteté est malade.

Empereur n'a jusqu'ici aucune idée arrétée pour le cas de vacance du

S. Siège. Son penchant est de faire faire tranquillement un nouveau Pape. Ayant quelque proposition à faire pour cette éventualité, il est important que je sache les idées du Gouvernement du Roi à ce sujet.

202

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1053. Londra, 30 marzo 1868, ore 15,35 (per. ore 16,30).

Les armes sont strictement surveillées. 100 livres sterlings outre frais feraient l'affaire. Attendez détails que j'écris par poste.

203

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 339. Firenze, 30 marzo 1868.

Il mio collega della guerra mi scrive in data del 27 di questo mese, che il Governo Pontificio è venuto nella risoluzione di dare il cambio alle truppe indigene che stanno alla custodia della frontiera, con altre truppe composte

di soldati esteri. Il ministro per gli affari della guerra, senza entrare in alcun esame sul probabile motivo di questa decisione che pare debba attribuirsi al fatto di troppo spesse diserzioni nei corpi indigeni, mi fa osservare che la presenza di soldati forestieri, alla frontiera romana, può facilmente essere causa di collisioni tra le truppe italiane e quelle pontificie; giacchè essendosi ristabilita la convenzione militare fra i comandanti del confine per meglio combattere il brigantaggio, le truppe sono reciprocamente autorizzate a passare, in taluni casi, la frontiera, e venendo per tal modo a vicendevole contatto, il contegno dei soldati esteri al servizio della Santa Sede non pare che sia tale in realtà da far sperare che non si verifichino degli spiacevoli incidenti. Infine, il ministro della guerra, in considerazione di questa circostanza mi mostra l'opportunità di far fare buoni uffici presso la Santa Sede perchè il Governo Pontificio, rivenendo sulla sua decisione, chiami nuovamente a custodire la frontiera i corpi di truppe indigeni.

Io non posso, Signor Ministro, non associarmi a questo desiderio del mio collega, sembrandomi che la soddisfazione di esso debba veramente allontanare qualunque pericolo di scontri e di collisioni tra le due truppe poste alla frontiera. Epperò invito la S. V. Illustrissima a voler parlare in questo senso al Signor MM'chese di Moustier, [e ad attirare] l'attenzione di codesto Ministro degli Esteri sopra una tale condizione di cose, per vedere se i consigli della Francia a Roma non potessero portarvi un rimedio.

(l) Cfr. n. 178.

204

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 605. Firenze, 31 marzo 1868, ore 12.

M. de Malaret part ce matin pour Paris. Il dlt que c'est pour affaires partlcullères mais on prétend qu'il dolt @tre remplacé ici par M. Benedetti. Qu'y a-t-il de vrai dans cette supposition'? (l).

205

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1054. Parigi, 31 marzo 1868, ore 17,30 (per. ore 19,25).

Il se prépare au Ministère des Affaires Etrangères un mouvement dans le personnel diplomatique. Il est probable que le baron Malaret vienne à Paris pour surveiller ses intér@ts dans ce mouvement, mais il n'est nullement question jusqu'ici d'envoyer Benedetti à Florence. Je vous tiendrai au courant de ce mouvent qui n'est qu'envoie de préparation. On dit que La Guéronniére aille à Berne.

(l) Per la risposta cfr. n. 205.

206 L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 30. Tunisi, 31 marzo 1868 (per. il 5 aprile).

Ho l'onore di qui unito presentare a V. E. il progetto delle riforme amministrative e finanziarie offerte dal Bey, come pure il testo preciso della lettera con cui fu il medesimo trasmesso al Console di Francia.

Nel richiamare la di Lei attenzione sull'importanza di questi due documenti, non ho mancato intanto in una nuova conferenza tenuta col primo Ministro di ripetere ad ogni buon fine le mie riserve sulla parte secondaria, per non dire passiva che si era voluta fare all'Italia.

In questo frattempo mi sono pure aperto col mio Collega d'Inghilterra, e fui lieto di sentire dal medesimo che trovandosi nell'istesso caso ravvisa la questione sotto lo stesso punto di vista. Egli crede al pari di me accettabili nell'insieme le progettate riforme, ma al pari di me per l'Italia respinge qualunque concessione che metta il suo Governo in una posizione inferiore alla Francia. Tant'è che mi diede comunicazione di un suo contro-progetto che in via confidenziale e privata sottomise al Bey, e di cui pregiomi acchiuderne copia a V. E., siccome quello che contenendo precisamente le stesse mie idee risponderebbe meglio all'intento che si ha in mira di conseguire.

L'Italia, la Francia e l'Inghilterra avendo in questo paese diritti ed interessi comuni, comune dev'essere nel presente caso la loro azione nello scopo eziandio di evitare i pericoli di un intervento isolato, tuttochè meramente diplomatico, onde converrebbe che in seguito di preventivi accordo delle sullodate Potenze ricevessero i loro Agenti identiche istruzioni.

E qui conviene inoltre di osservare che se il Bey si è finalmente deciso a fare queste tardive concessioni, lo si fu sotto la pressione della Francia che insisteva per il pagamento immediato dei cuponi degl'imprestitl 1863 e 65 in cui hanno preso parte non meno di 9 mila tra piccoli commercianti e operaj di Parigi, onde non credo di essere lontano dal vero dubitando che il Bey ed il suo primo Ministro del quale è proverbiale la scaltrezza, abbiano gettato in mezzo questo pomo di discordia per neutralizzarne gli effetti.

Dal progetto in questione traluce d'altra parte chiara l'intenzione del Governo tunisino e della Francia di unificare il debito tunisino e di distruggere per tal modo le conversioni in cui è impegnata la maggior somma degl'interessi italiani ed inglesi; comunque siasi però, importa grandemente sotto il duplice rapporto della dignità dell'Italia e della tutela de' nostri più vitali interessi, che i Commissari! italiani siano del tutto eguali in grado ed attribuzioni a quelli di qualunque altra siasi Potenza.

Con queste mie rispettose osservazioni rinnovandole, Signor Ministro, la preghiera di favorirmi precise e determinate istruzioni ad hoc ...

ALLEGATO I

IL PRIMO MINISTRO DEL BEY AL CONSOLE FRANCESE A TUNISI

La conferenza privata che ebbe luogo tra Noi, conforme alla nostra circa la vostra amicizia e quella dell'eccelso e magnifico vostro Governo da Noi sperimentata da lungo tempo, relativa alla formazione di un progetto in proposito della Commissione finanziaria è stata da me riferita al Sovrano mio Magnifico Signore, il quale fu di avviso ch'io vi confermassi quanto avevamo manifestato alla vostra amicizia a questo riguardo e che forma la base dei sei articoli relativi alla Commissione finanziaria trascritti nel foglio sotto questa data che qui unito vi tra&metto. Desideriamo che sottomettiate questo progetto all'eccelso e magnifico Governo e che facendo uso della vostra benevola mediazione vi adoperiate con ogni mezzo in vostro potere onde ottenere l'ajuto dell'eccelso Governo e dell'illustre Ministro per l'attuazione di questa misura che il mio Magnifico Signore ed il suo Governo sperano possa tornare in vantaggio del Governo e dei creditori, sicuri dell'appoggio che può prestare l'eccelso vostro Governo in consimili e più gravi circostanze.

Possiate dimorare sempre sotto la Divina custodia.

Scritto addl 21 di Caada 1284 (14 marzo 1868).

ANNESSO

1°. Sarà istituita con Nostro decreto una Commissione finanziaria composta di funzionarli del Nostro Governo, di notabili negozianti europei stabiliti in Tunisi, di persona capace in materia di finanza che sarà fatta venire da Parigi e di un rappresentante dei possessori di titoli del debito Tunisino in generale. Sarà presidente della Commissione un funzionario del Governo e Vice-Presidente il funzionario suddetto. Il modo di stabilire la Commissione in quanto concerne i membri, sarà determinato d'accordo fra l'Illustrissimo Signore incaricato d'Affari e Console Generltle dell'intimo ed eccelso Governo francese e S. E. l'Onorevolissimo primo Ministro.

2°. Il servizio della Commissione sarà fatto in Tunisl in locale adattato che le verrà da Noi destinato.

3°. Il Lavoro della Commissione avrà per oggetto in primo luogo di occuparsi delle rendite e delle spese annuali del Governo in modo da promuovere le une e diminuire le altre, con che non si privi il Governo del necessario, a quale effetto sarà assegnata una prestabilita somma; in secondo luogo di occuparsi della eccedenza sulla somma devoluta al Governo intorno al modo di pagare colla stessa eccedenza il capitale e gl'interessi del debito.

4°. Tutte le rendite del Governo saranno riscosse per mezzo della Commissione suddetta di tal che nessuna esazione possa esser fatta in modo differente. Tutti i mandati di pagamento saranno spiccati sulla Commissione la quale vi apporrà il Visto d'accettazione tantoché non oltrepassino la somma preventiva assegnata al Governo.

5°. Lo scopo di questa Commissione è di tranquillizzare gli animi dei detentori dei titoli del debito tunisino in generale, e di rassicurarli della Nostra intenzione che è quella di sollecitare l'incasso del loro avere.

6°. Sarà stabilito un Regolamento pel servizio di questa Commissione da approvarsi con Nostro Decreto, da farsi in base degli articoli precedenti ed al quale la Commissione dovrà uniformarsi, sperando dal supremo Iddio che possa produrre favorevoli risultati. Sarà provveduto altresì con apposito regolamento al servizio interno della suddetta Commissione.

Scritto addì 21 Caada 1284 (14 marzo 1868).

ALLEGATO Il

MÉMOIRE DE L'AGENT ET CONSUL GÉNÉRAL D'ANGLETERRE À TUNIS.

Il est de la plus haute importance que les Représentants étrangers soyent édifiés sur

les prérogatives de la Commission financière soumises à la considération du Bey.

Cette Commission ne saurait etre constituée de manière à porter atteinte aux droits et prérogatives qui sont assurés au Prince par le statu-quo de la Régence, ni aux engagements intemationaux qui existent entre le Gouvernement tunisien et les Gouvernements étrangers. Il serait en effet hors du pouvoir du Gouvemement tunisien d'évader aucun de ses engagemens, à l'ombre d'une Commission qui ne pourrait étre constituée que sous sa seule responsabilité.

Le projet primitif cependant parait tendre à conférer à la Commission des pouvoirs qui ne pourraient se réaliser qu'après une entente avec les Gouvernements étrangers.

Il paraitrait convenable que ce projet fftt soumis à une plus mure considération en vue de modifications tendantes à sauvegarder les intéréts de toutes les parties intéressées, ainsi que la liberté d'action que le Gouvemement doit se réserver dans cette qualité. Les considérations suivantes paraissent mieux .atteindre ces buts.

«Désirant régulariser les finances de N otre Pays de façon à relever le crédit de Notre Gouvemement dans l'intérét général, nous avons décrété:

1°. Une Commission financière sera formée par Décrets émanés de Nous, laquelle sera composée de personnages de Notre Gouvernement et de quelques uns des principaux négociants européens établis à Tunis.

2°. Le Président de la Commission sera notre Ministre des Finances, et le VicePrésident sera nommé d'entre les dits négociants à tour de role. 3°. La composition des membres sera réglée par écrit entre Nous et ceux des Représentants étrangers qui sont le plus intéressés à sauvegarder les intéréts de leurs nationaux. 4°. Le service de la Commission aura lieu dans un endroit à Tunis que Nous lui assignerons. 5°. La Commission aura pour objet le contrale de la comptabilité publique, et l'augmentation des revenus ainsi que la diminution des dépenses annuelles du Gouvemement.

6°. Il est bien entendu qu'aucune augmentation des revenus qui peut toucher les intéréts des sujets étrangers, tels que les droits d'importation etc., ne pourra avoir lieu sans une entente préalable entre Nous et les Représentants étrangers, ce qui est une de nos attributions.

7°. Il sera du devoir de la Commission de former le Budget annuel et de régler le montant des dépenses du Gouvemement ayant égard aux garanties déjà affectées aux emprunts étrangers et locaux de la Régence.

8". A cet effet, la Commission sera assistée par un Représentant des détenteurs des Obligations 1863-65 qui puisse surveiller, recevoir et remettre à qui il appartiendra, les fonds provenants des droits sur les oliviers, des Douanes et de l'impòt personnel qui lui sont spécialement assignés.

9°. Ceux des revenus du Gouvemement que la Commission aura sous son controle, seront perçus par elle sans que le Gouvemement puisse les recevoir d'aucune autre façon.

10°. Le Gouvemement ne pourra émettre Tiskeres d'argent que sur la Commission, et elles ne devront point dépasser le montant que le Budget fixera pour les besoins du Gouvemement.

11°. Nous émanerons des décrets contenant les réglements du service de cette Commission prenant ces principes pour base; et les actes de la Commission seront réglés de conformité, car Nous en attendons les meilleurs fruits avec l'assistance de Dieu. La Commission fera un Réglement lntérieur et continuera ses fonctlons jusqu'à la liquidation en capitai et intérets des dettes étrangères et locales qui est l'objet de sa création, après quoi le Chef de l'état se réserve le droit de la confirmer, modifier ou annuller ».

207

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 609. Firenze, 1° aprile 1868, ore 15,15.

Je répondrai amplement plus tard à votre dépl\che relative au Pape (l) pour le moment je me bome à vous dire que pour le cas où Pie IX viendrait à manquer il faut faire comprendre qu'on ne devrait pas songer à lui chercher un successeur ailleurs qu'en Italie; un pape étranger ne serait pas supporté par le clergé italien. Le choix devrait tomber sur un cardinal sage et modéré et il y en a plusieurs dont je vous transmettrai les noms. Exclusion absolue doit ètre faite des cardinaux connus pour leurs sentiments contraires à I'état actuel de la civilisation.

208

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

T. 610. Firenze, 2 aprile 1868, ore 10,40.

En attendant les détails que vous m'annoncez dans votre télégramme t2) au sujet des fusils de la fabrique Hunt, je vous autorise dès à présent à concerter les misures nécessaires pour les surveiller en dépensant la somme de cent livres sterlings que vous indiquez.

209

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

T. 611. Firenze, 2 aprile 1868, ore 15.

Ricciotti Garibaldi est parti avant'hier de Saint Remo pour Londres, voie Nice, avec madame Chambers. Surveillez son arrivée et ses démarches; son voyage se rattache peut-ètre à l'affaire des fusils.

210

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 966/390. Londra, 2 aprile 1868 (per. il 7).

La notizia da me comunicatale jeri per telegrafo (3) circa l'esistenza di un'alleanza tra la Servia e la Moldo-Valacchia, mi veniva prima annunziata

dall'Inviato Ellenico, ed essendomi quindi recato al Foreign Office per accertarne la verità, in assenza di Lord Stanley, ne ricevetti la conferma dal Signor Egerton il quale mi disse, siccome io telegrafavo a V. E., che riteneva per fermo avere la Grecia anche preso parte a tale accordo, sebbene essa lo dinieghi.

Quest'oggi ho poi potuto parlare con Mylord, egli mi ripeté la stessa cosa che il Sotto Segretario mi aveva detto jeri intorno alla conclusione di certe stipulazioni fra i vari Principati del Danubio, ma per ciò che riguarda la partecipazione della Grecia a simile alleanza, sia che abbia voluto dimostrarsi meno esplicito, sia che non abbia la stessa fiducia del Signor Egerton, egli mi esternò di dubitare che il Governo Ellenico si fosse avanzato a tanto, e che in ogni caso il suo rappresentante non lo confessava.

Nonostante le notizie più allarmanti g,iunte in questi ultimi giorni dalle Provincie della Turchia Europea, ed i pretesi sopracitati accordi, Lord Stanley non si palesò molto inquieto delle funeste conseguenze che ciò potrebbe immediatamente avere per la pace generale.

Pare essere convinto che tutta questa effervescenza sia fittizia più che reale: che gli agitatori calcolassero sopra una gran guerra continentale, ed in fondo egli non giudica lo stato della questione d'Oriente più minaccioso di quanto lo fosse l'ultima volta che mi aveva veduto, allorché mi aveva espresso anzi il parere che l'andamento degli affari prendesse una piega più pacifica.

Gli agenti di Francia e d'Austria a Bucharest, mi aggiungeva Mylord, tengono un linguaggio fermo e risoluto al Governo Rumeno, al quale il Console Britannico aveva pure avuto ordine di associarsi, e che non si lasciava così ogni speranza che un'insurrezione sul Danubio potesse essere riguardata con simpatia dalle potenze Occidentali.

Avendo, per sempre più scandagliare l'animo di Lord Stanley, messo il discorso sull'azione diretta che l'Inghilterra potrebbe avere sugli affari d'Oriente, Sua Signoria mi parlò in modo molto preciso. «V~ sarete accorto>>, mi disse, « come io abbia sempre cautamente evitato di imitare il sistema di Lord Russel, quello cioé di rivolgere note officiali ad esteri stati per immischiarmi delle cose loro, sapendo già da prima che le mie osservazioni non sarebbero state seguite da fatti. La Francia fece ogni sorta d'istanze l'anno scorso, affinché unissi le mie alle rimostranze da Lei, non ché da altre Potenze, rivolte all'Impero Ottomano; ed io fermamente mi vi son rifiutato.

Recentemente, circa le reclamazioni del Montenegro, non volli neppure prendere una parte troppo viva, dappoiché scopriva che non solo quel Principe desiderava acquistare un ingrandimen':J di terreno produttivo, ma benanche il poss.esso dei " block houses " militar:i che su quello stesso territorio da lui agognato, per caso, si trovavano.

Voi vedete dunque qual sia la politica nostra -Rispetto ai trattati, astenendoci da tutto ciò cui non siamo da essi legati».

Queste parole che confidenzialmente comunico a V. E., varranno a farle vieppiù maggiormente apprezzare i principj che dirigono l'attuale politica estera Inglese.

Prima di prendere commiato, Sua Signoria mi palesò la soddisfazione che provava nel rilevare come la situazione migliorasse ogni di in Italia.

« Amerei ancora », mi rimarcò egli, « di vedere a diminuirsi i vostri armamenti, nessuno vi vuoi male, perché sarebbero sempre le forze Italiane si imponenti? »

Io rappresentai al mio nobile interlocutore quanto cotali idee fossero esa:. gerate all'estero, mentre tanto il nostro esercito che il nostro naviglio, non erano di più di ciò che comportavano le esigenze del paese.

«Sarebbe una gran disgrazia per voi >> replicò Mylord, << che le complicazioni d'Oriente vi trascinassero in una guerra. Nel fondo al par dell'Inghilterra non so per qual ragione v'interverreste. Non è l'Italia forse quasi come noi circondata dal mare?»

Ecco i termini coi quali questo Ministro degli Affari Esteri pose fine alla sua conversazione.

(l) -Cfr. n. 201. (2) -Cfr. n. 202. (3) -Con t. 1056, non pubblicato.
211

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1058. Pietroburgo, 3 aprile 1868, ore 21,40 (per. ore 24).

J'ai communiqué au prince Gortchakoff réponse de V. E. (l) relativement au sauvetage des familles candiotes. Prince Gortchakoff apprécie raisons qui ont déterminé résolution du Gouvernement du Roi, et m'a chargé de faire connaitre confidentiellement à V. E. que dans ses instructions au représentant russe à Athènes, il n'autorise le sauvetage que dans le cas 1° d'urgence évidente; 2° de demande faite directement par le Roi des Hellènes; de moyens de subsistance assurés aux émigrés.

212

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 74. Firenze, 3 aprile 1868.

L'inviato di Sua Maestà britannica presso questa R. Corte è venuto per ordine ricevutone dal suo Governo a darmi comunicazione d'una nota che V. S. Illustrissima dirigeva a Lord Stanley per chiedergli spiegazioni sulla legalità degli arruolamenti che si sono fatti nel Canadà per conto del Governo Pontificio. Sir Augustus Paget nel farmi osservare che la nota era concepita in termini alquanto duri dicevasi incaricato da Lord Stanley di domandarmi 1° se la detta nota era stata spedita in seguito ad autorizzazione del Governo italiano; 2° in che modo potremmo noi conciliare i reclami in essi contenuti coll'art. 3 della Convenzione del 15 settembre 1864 colla quale noi abbiamo

riconosciuto nel Governo della Santa Sede la facoltà di ammettere nel suo esercito volontarii cattolici di esteri paesi.

Sul 1 o punto ho risposto a Sir A. Paget che il Governo del Re senza dare espresso incarico alla R. Legazione in Londra d'indirizzare sull'argomento una nota a Lord Stanley la invitava a chiamare l'attenzione del 1° Segretario di Stato di Sua Maestà britannica per gli Affari Esteri sul fatto, degli arruolamenti che faceansi sul territorio inglese per conto del Governo pontificio, e chiedergli se sono essi autorizzati dalle Leggi del paese.

In quanto al secondo punto feci notare al Ministro di Sua Maestà britannica che la Convenzione del 64 non poteva legare che le due parti contraenti, cioè l'Italia e la Francia, ma indipendentemente da ciò era da avvertire che la facoltà da noi riconosciuta nel Governo pontificio di arruolare volontari esteri era limitata dalla clausola contenuta nello stesso art. 3 in cui è detto: «pourvu que cette force ne puisse dégénérer en moyens d'attaque contre le Gouvernement italien ». Ora è nostro fermo convincimento, e credo che il Governo di Sua Maestà britannica sarà pure del nostro avviso che gli attuali armamenti della Santa Sede sorpassano di gran lunga i bisogni della difesa, e della tutela della sua sicurezza interna epperò danno a noi fondato motivo di reclamo contro l'abuso fatto dal Governo pontificio d'una facoltà che da noi eragli stata accordata non in modo assoluto ma entro certi limiti.

Ebbi intanto il rapporto di V. S. in data dei 16 marzo scorso n. 381 (1), dal quale apparirebbe che Lord Stanley Le richiedesse egli stesso l'invio d'una nota, ciò che veramente non saprei conciliare colle domande che Sir A. Paget era incaricato di farmi.

Ad ogni modo, posciachè la nota in questione contiene qualche espressione di cui il Governo britannico potrebbe risentirsi e dar luogo quindi a polemiche e discussioni non proporzionate alla importanza del subbietto, io La invito a suggerire a Lord Stanley l'espediente di voler considerare quella comunicazione non come un documento ufficiale che esiga una risposta per iscritto, ma come una semplice nota verbale.

(l) D. 13 dell'll marzo, non pubblicato.

213

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 171. Berlino, 4 aprile 1868 (per. l'B).

Je m'étais empressé de faire porter à la connaissance du Roi de Prusse et de son Auguste Fils les trois télégrammes de V. E. en date du 30 et 31 mars échu (2).

Avant hier, ayant reçu dans l'après midi la lettre qui m'avait été annoncée de Monseigneur le Prince de Piémont, j'en ai immédiatement donné avis au Comte de Bismarck en m'en rapportant à lui, s'il était le cas, malgré les

lois de l'étiquette, de solliciter une audience du Prince Royal de Prusse. Le lendemain j'étais invité à me rendre auprès le Son Altesse Royale à laquelle j'ai eu l'honneur de remettre la lettre de notre Prince Héréditaire, lettre dont Elle a pris connaissance, séance tenante, en se réservant d'y répondre sans retard afin de manifester à son tour sa très vive satisfaction de voir se réaliser un projet de voyage qui était depuis longtemps le but de ses désirs. « Vous savez, ajoutait-Elle, quels sont mes sentiments de sympathie pour Votre Souverain, pour la Famille Royale, pour votre Pays, et nommément pour le Prince Humbert que j'ai été à meme d'apprécier l'année dernière surtout, dans des circonstances on ne peut plus heureuses et rares à la fois, car il n'est pas donné à beaucoup de monde de voyager pour ainsi dire cote à cote durant 24 heures de Paris à Berlin, avec tout l'abandon d'une rencontre souhaitée de part et d'autre. Je me félicite maintenant d'aller bientòt à Turin pour exprimer de vive voix l'intéret que m'inspire tout ce qui peut influencer sur son bonheur et sur celui de votre dynastie ~.

Le Prince Royal m'a en meme temps donné l'assurance des regrets de la Princesse Royale de ne pouvoir l'accompagner dans cette course. Il aurait l'intention de prendre la voie du Brenner, Innsbruck et Vérone, mais Elle se réservait de m'informer d'une manière précise sur l'itinéraire et sur les personnes de sa suite. J'ai lieu de croire que Son Altesse Royale sera accompagnée d'un ou deux Généraux, d'un Colone! et de deux aides -de -camp. Elle ne pourrait guère prolonger son absence au delà des premiers jours de mai. Le Roi tiendrait à ce que les Princes fussent à leur poste lors de l'ouverture du Parlement Douanier.

Je pense que le Gouvernement jugera convenable de mettre à la disposition de Son Altesse Royale un train spéci.al depuis la frontière, ou tout au moins un wagon royal.

Après cette audience, j'ai vu le Comte de Bismarck qui m'a dit son entier contentement de ce prochain voyage dont il espérait les meilleurs résultats dans l'intéret réciproque des deux Gouvernements et des deux nations.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 200; gli altri telegrammi non sono pubblicati.
214

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 172. Berlino, 4 aprile 1868 (per. l'B).

Dans la visite que j'ai faite hier au Comte de Bismarck, je lui ai donné lecture de la dépeche de V. E. du 26 mars échu n. 69 de la Série Politique (1), en y rattachant la déclaration contenue dans son télégramme du 31 mars (2)

au sujet des publications de S. E. le Général Lamarmora et de M. Jacini, publications qui avaient fourni matière à un article de la Gazete de la Croix. Conformément à ses instructions, je me suis appliqué à tracer quelle était notre ligne de conduite entièrement conforme d'ailleurs aux bons rapports que nous voulons maintenir avec les Puissances et nommément avec la Prusse.

Le Président du Conseil déniait à la Kreuzzeitung tout caractère officieux, mais il comprenait jusqu'à un certain point que ce journal de méme que d'autres organes de la presse allemande se préoccupassent des tendances manifestées par les écrits précités. L'opuscule de M. Jacini se signalerait par quelques inexactitudes qu'il serait facile de relever. Il n'entrerait pas en discussion sur la lettre du Général Lamarmora à ses électeurs, mais il n'était pas moins vrai qu'elle acquerrait de l'importance par le fait seul de la signature d'un homme d'Etat qui avait occupé les premières positions dans son Pays, et qui pouvait revenir au pouvoir. Or, si chacun rend justice à la parfaite honorabilité de son caractère, on salt aussi que ses convictions profondes et bien arrètées semblent le pousser à accorder ses préférences à la France. Tel est le jugement plus ou moins fondé qu'on portait sur lui, et il ne serait pas de nature dans le cas, où la roue de la fortune ramènerait ce Général du Ministère, à fortifier les sentiments de confiance et d'amitié qui existent entre la Prusse et l'ltalie. «Nous avons, disait M. de Bismarck, pleine confiance dans votre Ministère actuel, dites -le bien de ma part au Comte Menabrea, nous avions cette méme confiance sous l'administration Ricasoli. Nous n'avons eu aussi qu'à nous louer des procédés de M. Rattazzi, mais, je l'avoue franchement, nous ne serions pas aussi rassurés, si nous nous retrouvions un jour en présence d'un Ministère Lamarmora ».

J'ai laissé comprendre qu'il n'y avait pas lieu de s'occuper de ces éventualités, car le Cabinet présidé par V. E. était solide au poste et tout récemment encore avait eu la majorité à la Chambre dans les questions les plus essentielles. J'ai ajouté que si par l'effet des circonstances le Général Lamarmora, peu ambitieux et très-désintéressé dans une guerre aux portefeuilles, reprenait le timon des affaires il se montrerait, comme dans le passé, dévoué aux seuls intéréts italiens qui se concilient parfaitement avec le maintien de nos excellents rapports avec la Prusse (l).

Le Mémorial diplomatique continue à affirmer que la Cour de Rome serait vivement sollicitée par le Gouvernement Prussien de créer à Berlin une Nonciature Apostolique. Je ne puis que répéter mes démentis. On ne se soucie nullement ici de modifier le status qua: << Pour qu'il en fut autrement, il faudrait, disait, il y a peu de jours, M. de Bismarck, que le Pape n'eO.t plus de territoire ».

(l) -Cfr. n. 184. (2) -Con t. 606 del 31 marzo Menabrea aveva comunicato: « Les publ!cations de MM. Lamarmora et Jac!n! sont des actes purement personnels auxquels le Oouvernement est totalement étranger. D'a!lleurs aucun document c!té dans ces écrits n'a été demandé au M!nlstère. Nous ne pouvons dane accepter aucune solidarieté de ces falts ».

(l) Cfr. Il seguente brano del d. 72 chr MPnabrea inviò a Launay Il 18 aprile: «Mi riuscì interessantissimo il rapporto col quale la S.V. rendendomi conto della conversazione avuta con S.E. il Conte di Bismarck mi ha fatto conoscere gli apprezzamenti che Il primo ministro di S.M. Il Re Guglielmo fa Intorno alla politica del presente Gabinetto. Approvo quanto Ella ha detto nel senso di distruggere certi esagerati giudizi che Il Conte Bismarck sembra recare sull'Importanza di pubblicazioni retrospettive che non ebbero a suscitare, neppure in Italia, polemiche di qualche valore. Non è da simili cose che può dipendere la buona intelligenza di due Governi».

215

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI :jj:STERI, ULISSE BARBOLANI, AL CONSOLE A MALTA, SLYTHE

T. 612. Firenze, 5 aprile 1868, ore 23,30.

Ministero Interno ha notizia che si fanno arruolamenti in Malta per armata pontificia, i quali sono in realtà destinati al brigantaggio. Sorvegli, informi e faccia quanto è possibile per impedire partenza.

216

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1064. Tunisi, 5 aprile 1868 (per. il 10).

Me rapportant à mes dépeches, un autre projet pour la composition d'une commission de finances est en négociation par consul de France. Elle se composerait de deux fonctionnaires français et majorité, exclu Italie et Angleterre. Ces conditions portent atteinte sérieusement à nos intéréts, violant traité, et seront cause continuelle de complications futures entre l'Italie et Tunis, si elles ne sont pas empéchées immédiatement par une entente entre Italie et France. Mon action personnelle est totalement insuffisante pour parer à ces événements. Le projet a été transmis ce jour méme à Paris pour l'approbation (1).

217

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 970/393. Londra, 6 aprile 1868 (per. il 10).

Or fan due sere ebbi una conversazione politica coll'Ambasciatore di Prussia, durante la quale scorsi ch'egli non sapeva nulla ancora dell'alleanza conchiusa tra la Serbia e la Moldo-Valachia. Questa notizia che fu il primo l'Ambasciatore Francese a comunicare al Foreign Office eccitò l'incredulità del Conte Bernstorff. <<Qui ci vedo, mi diss'egli, un nuovo tratto della politica della Francia e delle esagerazioni ch'essa sparge sullo stato dell'Oriente, provando adesso il bisogno, in difetto di una vera questione urgente, di farne sorgere una, per servire i suoi disegni. L'Imperatore Napoleone, checché se ne dica, credetelo pure, non ha abbandonato il pensiero di farci la guerra; solo, non osa, ma cerca alleanze, batte a tutti gli usci, tenta isolare la Russia, fa ciò

che può per staccare l'Italia dalla Prussia, e spera che le complicazioni d'una guerra in Oriente gli offrano il destro di attaccarci con vantaggio.

Se esiste veramente una specie d'intesa fra le varie provincie del Danubio tributarie della Sublime Porta in vista d'eventi futuri, la cosa mi par ben naturale. Ma persuadetevi che da ciò, al trarne la conclusione che la Russia ed il Governo del Principe Carlo desiderino una guerra, havvi ben lungi. L'Impero Russo, ve lo posso affermare positivamente, quantunque la sua attitudine negli affari d'Oriente sia ben chiara e da lungo nettamente definita non muoverà il menomo passo per affrettarne la soluzione. Quanto alle intenzioni del Governo Rumeno, vi dirò confd.denzialmente che il Conte Bismarck mi ha, solo nei passati giorni, mandato copia di una lettera scritta dal Principe Carlo al Principe Hohenzollern suo padre, la quale respira tutt'altro che un tuono guerresco. Tale è, v'assicuro, la situazione, e non quale viene rapresentata dalla Francia. Il Barone di Beust lui stesso venne contro di ciò posto in guardia dal Governo prussiano >>.

Ho voluto ripetere testualmente le parole del Conte Bernstorff per rendere più fedelmente conto a V.E. del suo discorso.

Onde pormi in grado di rassegnare a V.E. quanto vi fosse di vero negli accordi posti in dubbio dall'Ambasciatore di Prussia, pensai di rivolgermi a chi, primo a àarne contezza a Lord Stanley, doveva essere in posizione di comunicarmi maggiori particolari. Recatomi infatti il dì seguente dal Principe La Tour d'Auvergne, seppi da lui che l'alleanza della Servia e della Moldo-Valachia era ormai un fatto fuor di dubbio, e che da principio credevasi che la Grecia sarebbe pure stata trascinata a prendervi parte, ma che l'inviato Serbo a tal fine mandato ad Atene, dovette dopo quindici giorni ritirarsi, senz'aver riuscito a nulla conchiudere, quantunque probabilmente, in caso di future eventualità, i più vivi interessi a ciò spingerebbero il Regno Ellenico.

Notai all'Ambasciatore come tanto la Serbia che i Principati Uniti non avessero facoltà di conchiudere tratta,ti, ma egli mi osservò che questa essendo una convenzione segreta, la sua esistenza non veniva ammessa, malgrado che l'inviato Serbo a Costantinopoli non l'avesse negata recisamente.

Prima di terminare, stimo opportuno informare V.E. che, sebbene il Conte Bernstorff debba avere avuto le sue ragioni per tenermi il linguaggio da me più sopra riportato, il Principe La Tour d'Auvergne non parve considerare questo accordo come immediato foriero d'ostilità, ed, al pari di quanto m'aveva detto lord Stanley, egli giudica che il momento attuale, se non scevro interamente da pericoli, offre almeno un ca11attere di quiete temporaria.

(l) Questo telegramma fu comunicato 11 10 aprile alle ore 21,30 con t. 616 da Menabrea a Maffei perché intrattenesse lord Stanley de!IEI questione e ne facesse conoscere l'opinione.

218

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, SUSINNO

D. 23. Firenze, 7 aprile 1868.

Allorché nel corso dell'anno passato, atti di intolleranza riprovevole verso gl'Israeliti dimoranti nei principati danubiani ed in Serbia, hanno suggerito

21 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

al Governo del Re di esprimere per mezzo dei suoi agenti in Bucarest ed in Belgrado, quanto quegli atti potranno nuocere alle simpatie che le nazioni civili professano per il popolo rumeno e per il serbiano, il mio predecessore a questo Ministero, le scrivea che la frequenza di simili atti, contrari a quello spirito di libertà che il Governo Rumeno ha ripetute volte dichiarato di voler rispettare, faceva nascere il sospetto che essi potessero ancora altre volte verificarsi, epperò Le prescrivea di non mancare mai alcuna occasione per far comprendere al Governo principesco la triste impressione che in noi produrrebbe il rinnovamento di simili atti.

Sono perciò convinto che appena Ella avrà preso cognizione del progetto di legge che una frazione della rappresentanza nazionale avea proposto per istabilire odiose esclusioni e per decretare vessatorii provvedimenti contro gl'Israeliti abitanti della Rumania, la V.S. si sarà adoperata, nella miglior possibile maniera per ottenere che il Governo del Principe ripudiasse assolutamente una legge cosi inumana e contraria ai principi elementari d'ogni civile libertà e progresso.

Le notizie telegrafiche trasmesse da Bucarest indicando appunto che il Ministro Rumeno avea protestato recisamente contro l'accettazione dello schema di legge in quistione, noi ci rallegriamo di non dover in questa circostanza fare più vive rimostranze al Governo principesco. Noi siamo convinti che giustamente apprezzando i consigli delle Potenze, egli saprà in ogni modo resistere alle tendenze di coloro che fecero quelle proposte, che a giusto titolo suscitarono la universale disapprovazione.

È in questo senso che la S.V. dovrà esprimersi coi Ministri del Principe Carlo. Ed ove per caso la nostra aspettazione fosse delusa, ed i medesimi fossero indotti ad accettare qualche provvedimento restrittivo del principio di uguaglianza civile a danno degl'Israeliti, io La autorizzo ad associarsi a quei passi che i di Lei colleghi delle maggiori potenze reputassero conveniente di fare per impedire coi loro consigli autorevoli l'approvazione di provvedimenti che la pubblica opinione d'Europa altamente condanna.

219

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 75. Firenze, 8 aprile 1868.

La S.V. ha già ricevuto a quest'ora il mio dispaccio delli 29 marzo (l) relativo agli interessi identici che l'Italia e la Gran Bretagna hanno nella Tunisia e dei pericoli che corrono attualmente quegl'interessi a seguito dell'atteggiamento preso dal Governo francese verso la Reggenza.

I documenti che io Le ho tramesso con quel mio dispaccio hanno posto la

S.V. pienamente in grado di conoscere e di spiegare Io stato vero della quistione ora agitata in Tunisi. Ulteriori rapporti indirizzatimi dal R. agente e Console

Generale in quella Reggenza, accennano ora una situazione sempre più grave, che sarebbe fors'anche già pregiudicata per parte del Bardo, nelle trattative da lui fatte separatamente coll'Agente Francese. Qui uniti Ella troverà copia di quei rapporti coi loro annessi, nonché del dispaccio che oggi stesso io scrivo al console Pinna in Tunisi (l).

In quest'ultimo documento Ella troverà indicato sommariamente l'interesse politico che a nostro avviso sarebbe compromesso nell'applicazione delle riforme proposte dalla Francia al Governo del Bey.

Quell'interesse non è nostro esclusivamente.

L'Inghilterra con noi lo divide; né crediamo che il Gabinetto britannico possa vedere nell'introduzione d'un sistema che avrebbe per effetto di assoggettare la Tunisia all'influenza francese, un fatto conforme alle sue proprie vedute nelle quistioni risguardanti gl'interessi politici e commerciali dell'Europa nel Mediterraneo.

Io vorrei pertanto che la S.V. chiamasse l'attenzione del ministro degli Esteri della Regina sovra questo argomento allo scopo di promuovere fra il Governo Inglese ed il nostro un perfetto accordo circa le istruzioni a darsi ai R. R. Ministri rispettivi in Tunisi nelle circostanze presenti, per impedire che gl'interessi dei due paesi abbiano ad essere pregiudicati.

(l) Cfr. n. 194.

220

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 12. Firenze, 8 aprile 1868.

I rapporti direttimi dalla S. V. in data 24 e 31 marzo (2) mi pervennero quando io le avea spedito il mio dispaccio del 28 dello stesso mese (3). In questo mio dispaccio io avea appunto chiamato l'attenzione della S.V. sull'argomento che forma oggetto di quei 2 di Lei rapporti. La lettera pubblicata nei giornali francesi diretta dal Signor Marchese di Moustier al Signor Forcade accennava infatti troppo palesemente le intenzioni della Francia di volere in tutto ed anzi tutto sostenere le ragioni dei portatori francesi dei titoli del prestito tunisino senza tener cont? dei diritti acquisiti dagli altri creditori del Bardo, perché noi stessi non dovessimo provare qualche inquisizione pel mantenimento da parte del Governo del Bey degl'impegni presi coi negozianti italiani nelle operazioni fatte regolarmente l'anno passato per la conversione d'una gran parte delle teschere scadute che ingombravano codesto mercato.

La lettura dei rapporti direttimi dalla S. V. ha confermato quelle mie apprensioni. Nel progetto di riforme che sotto la pressione francese tratterebbesi d'introdurre nella Tunisia la Francia aspira a crearsi una posizione superiore a

quella che sarebbe riservata all'Italia, all'Inghilterra ed a qualsiasi altra po tenza. Inoltre nel progetto medesimo si scorge come Ella ben osserva la chiara inten zione del Governo di Tunisi e della Francia di giungere ad una modificazione del debito tunisino e di distruggere per tale modo le conversioni nelle quali è impegnata la maggior somma degl'interessi italiani ed inglesi.

L'una e l'altra delle sovraccennate conseguenze delle progettate riforme sono interamente contrarie ai nostri proprii interessi politici e commerciali.

Ella sa infatti, Signor Cavaliere, se nella posizione reciproca nella quale trovansi la Reggenza di Tunisi e la Colonia francese di Tunisi, possa essere interesse nostro che si accresca l'ingerenza francese negli affari del Bardo, sino ad ammettere che col nostro consentimento s'istituisca in Tunisi una commissione finanziaria mista, nella quale una persona capace in materia di finanze fatta venire da Parigi dovrebbe avere la Vice Presidenza e nella quale soli fra tutti i creditori del Governo del Bey i possessori (francesi) dei titoli del debito tunisino avrebbero una rappresentanza speciale. Quando una simile commissione, anche per quanto concerne i membr-i che dovrebbero comporla, dovesse essere stabilita nel modo da determinarsi d'accordo fra l'incaricato d'affari di Francia ed il primo ministro del Bey, e quando quella commissione dovesse estendere la sua autorità sino a determinare le spese della Reggenza ed il loro riporto, e non solo a vigilare sugl'incassi ma anche a stabilirne la misura nei singoli rami delle entrate, noi crederemmo che ben poca cosa rimarrebbe a farsi perché la Tunisia divenga una provincia francese, giacché la somma del dominio già sarebbe ridotta in mano degli Agenti di Francia.

Queste considerazioni politiche hanno per noi un gran peso ed io son lieto di sapere che senza aspettare le mie più precise osservazioni, ella abbia fatto intendere al Governo del Bey come il progetto di riforme proposto dall'incaricato di Francia, era d'indole da non essere da noi gradito. Le disposizioni dell'Agente britannico, per ciò che concerne questa quistione mi sembrano tali da poter rendere facile lo intendersi con lui per impedire che direttamente od indirettamente si stabilisca a Tunisi la supremazia d'una Potenza a danno delle altre. Ma intanto nel mentre io comunico i di Lei rapporti alla R. Legazione in Londra, scrivo al tempo istesso a quel R. Incaricato d'Affari (l) di trattenere il Ministro degli Affari Esteri della Regina di questa importante vertenza, procurando di promuovere una precisa intelligenza fra i due Governi sulla condotta da tenersi in questa circostanza.

Autorizzando la S.V. a dare riservata comunicazione verbale del contenuto di questo dispaccio all'Agente inglese in Tunisi, La invito in particolar modo ad esprimersi apertamente col primo Ministro del Bey nel senso che il R. Governo non accetterà un progetto le cui conseguenze sarebbero di creare in Tunisi una posizione inferiore a quella d'una estera Potenza e che noi in nessun modo ed in nessun caso potremmo acconsentire a che i diritti acquisiti dei negozianti italiani vengano di nuovo posti in discussione.

(l) -Cfr. n. 220. (2) -Cfr. nn. 182 e 206. (3) -Cfr. n. 188.

(l) Cfr. n. 219.

221

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

T. 614. Firenze, 10 aprile 1868, ore 14,25.

Veuillez me dire quand vous croyez pouvoir présenter vos lettres de créance (l) et s'il est vrai, comme le bruit s'en est répandu, qu'un archiduc viendra assister au mariage du prince Humbert (2).

222

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1066. Londra, 11 aprile 1868, ore 17,20 (per. ore 20).

Lord Stan1ey partage entièrement nos vues à l'égard de la protection des intéréts d es sujets respectifs à Tunis (3). Il s'est prononcé tout-à-fait contre la réunion de la commission projetée, et il adresse aujourd'hui une énergique rémontrance au ministre des affaires etrangères français. Je crois inutile de vous suggérer de recommander au consul du Roi à Tunis de s'entendre avec le consul anglais dont les opinions ont beaucoup de poids auprès du Foreign Office.

223

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1067. Vienna, 11 aprile 1868, ore 22 (per. ore 11 del 12).

Chancelier de l'Empire me fait connaitre que la semaine sainte étant passée, l'Empereur m'invitera incessamment à me rendre à Pesth pour présenter lettres de créance. Je prie V.E. de m'autoriser par conséquent à partir alors avec un secrétaire de légation pour Pesth (4). Quant à l'arrivée de l'archidue j'espère sous peu vous répondre.

(t. 1057 del 3 aprile, non pubblicato).

(l) Pepoli era giunto a Vienna il 2 aprile ed aveva assunto la direzione della legazione

(2) -Per la risposta cfr. n. 223. (3) -Cfr. n. 216, nota l. (4) -L'autorizzazione venne inviata da Menabrea con t. 618 del 12 aprlle, non pubblicato.
224 IL MINISTRO A CARLSRUHE, ARTOM,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 9. Carlsruhe, 11 aprile 1868 (per. il 15).

Per chi ha seguito con attenzione la storia politica degli ultimi anni, lo studio del modo con cui il sentimento nazionale unitario si è manifestato in Italia e va ora svolgendosi in Germania presenta un singolare interesse. L'Italia era certamente nel 1860 più matura all'unità che non lo sia ora la Germania, e ciò, malgrado che fra l'Italia settentrionale e meridionale esistessero maggiori differenze nel grado di istruzione popolare e di coltura, che non v'abbiano ora fra il Nord ed il Sud della Germania. Bastò alle popolazioni della Penisola d'essere interrogate col suffragio universale perché l'unità fosse il risultato unanime e spontaneo del voto: invece il suffragio universale applicato per la prima volta nel mezzodì della Germania non fece che rendere più palesi le antipatie locali, la lotta dei partiti, le tendenze autonomiche di quelle popolazioni. L'E.V. mi perdonerà se nell'investigare le ragioni dell'attuale situazione politica io non riescirò forse a circoscrivermi entro quella brevità che l'indole della corrispondenza esige, e che la convenienza impone a chi ha l'onore di indirizzarsi all'E.V.

La reazione contro la Prussia si è manifestata in Baviera coi fatti recenti di Traunstein; nel Wurtemberg impedì che nemmeno un deputato del partito unitario riescisse ad essere eletto al Parlamento Doganale; essa esiste anche nel Granducato di Baden, e benché vi sia molto più mite, vi si manifesta col malcontento per le tasse aumentate e per la minacciata imposta sul tabacco. Il Barone di Roggenbach, uno degli uomini di Stato più amati della grande patria tedesca, fu recentemente a Carlsruhe e diede, a quanto dicono, al Granduca, col quale è molto legato d'amicizia, il consiglio di non cedere troppo alle sue simpatie verso la Prussia, e di non continuare ad isolare la sua politica da quella della Baviera, e del Wurtemberg. Nella conversazione che io ebbi secolui parlò in guisa da lasciare intendere ch'egli è scoraggiato ed incerto: non dubitò anzi di dire, temere egli che, tranne il ,caso in cui una guerra colla Francia li unisce in uno slancio di entusiasmo, mai i tedeschi del Sud comporrebbero uno stato solo con quelli del Nord: le due varietà in cui si divide la razza germanica, i sassoni e gli svevi, non accetterebbe,ro mai l'unità come forma definitiva della loro politica organizzazione.

Parve a me che H Barone di Roggenbach desse per avventura troppa importanza alla innegabile diversità di temperamento che distingue gli Svevi, popolo immaginoso, mobile, più propenso all'entusiasmo che alla disciplina, dal tedesco del Nord, freddo calcolatore, ossequiente al principio d'autorità. È ufficio della civiltà di attenuare la forza di queste differenze di razze, sovrattutto fra le schiatte comprese in una sola nazionalità. Il principio delle nazionalità campeggia ai tempi nostri appunto perché le piccole distinzioni fra provincia e provincia scompaiono col crescere delle relazioni e colla rapida comunicazione delle idee: cosicché laddove bastava un fiume a segnare il limite d'uno stato, ora il vero confine s'allarga fino alla linea ove un linguaggio fa luogo ad un altro. Le ragioni delle antipatie contro la Prussia sono, a parer mio, d'indole politica anzicché fisiologica od etnografica. Basti ricordare quanto fosse impopolare, nella stessa Prussia, prima della guerra, il Gabinetto del Conte Bismarck. Mentre in ItaHa il sentimento nazionale crebbe e si propagò coll'esercizio delle istituzioni parlamentari, in Prussia una lunga lotta contro il Parlamento precedette la guerra nazionale: le popolazioni prussiane furono trascinate a malincuore alla vittoria di Sadowa. Anche in questo momento il Ministro Varnbuhler, che va nelle birrerie e nelle bettole ad arringare i democratici del Wurtemberg per ottener voti contrari all'unità germanica, può proclamarsi più liberale del Conte di Bismarck. Questi dal suo canto accusa gli uomini politici del Sud d'essere reazionari: la Prussia, diss'egli, è odiata in Baviera e nel Wurtemberg perché ivi le tendenze illiberali hanno il sopravvento: è amata nel Granducato di Baden, ove il p::.f~ito liberale ha più forza. Il vero si è che il tipo del liberalismo è diverso nel Nord e nel Sud della Germania. In Prussia le istituzioni parlamentari non hanno certamente raggiunto il loro compiuto sviluppo, ma il Governo fa veramente gli interessi della nazione. Negli Stati meridionali v'è più libertà di parola, di stampa, e d'associazione: ma, se si eccettui il Baden, gli interessi del paese sono spesso posposti agli interessi dinastici. Quando i capi del partito liberale tedesco accusano il Conte Bismarck di volere piuttosto la grandezza della Prussia che quella della Germania, essi esprimono un pensiero che lo stesso Ministro Prussiano ammette, aggiungendo però che l'egemonia della Prussia è la condizione sine qua non, il primo stadio della futura grandezza germanica. La politica interna del Governo Prussiano, la sua rigida burocrazia, la gelosia con cui riservò a sé solo la direzione esclusiva della politica estera della Confederazione del Nord, la studiata lentezza con cui procede, sia per evitare una guerra generale, sia per impedire che Berlino cessi di essere il centro politico della nuova Confederazione, sono le cause per cui una parte della fazione liberale persiste nella Germania del Sud a lottare contro l'influenza prussiana.

Più grave è l'opposizione del partito reazionario, il quale è ancora potente nelle piccole Corti del Sud, eccettuata sempre quella di Baden. I capi del partito cattolico non perdonano alla Prussia d'aver stretto alleanza coll'Italia a' danni dell'Austria. Ed ancorché la Corte di Vienna abbia ora, alla sua volta, delle gravi difficoltà colla Corte Romana, che poté costringere il discendente dei Capi del sacro romano impero a diventare monarca costituzionale, a disdire il concordato, se non la guerra colla Prussia? L'odio contro di questa non cessò, crebbe anzi dacché quel partito sentì d'aver perduto il suo punto d'appoggio principale nell'Austria, dacché venne meno la fiducia nel Gabinetto di Vienna. Coll'esistenza delle dinastie locali quel partito vede minacciati i privilegi e gli onori concessi a certe famiglie: non è quindi a stupire che lavori incessantemente ad accrescere con un'assidua propaganda il malcontento delle popolazioni. Nel Baden l'imposta sul tabacco, nella Baviera la nuova organizzazione militare, nel Wurtemberg le condizioni del nuovo Zollverein porgono a questo malcontento una base di fatto di cui non si può negare la gravità.

A fronte di codesta condizione di cose si comprende che molti buoni tedeschi non isperino, e fors'anca non trovino nemmeno desiderabile che la Germania diventi unitaria come la Francia e come l'Italia. Tutti s'accordano nel riputare necessaria la conformità dell'organizzazione militare: la diffidenza contro la Francia è generale e profonda: ho già accennato che basterebbe un colpo di cannone sul Reno per far cessare ogni dissidio e render la Germania matura all'unità, appunto come, secondo la recente scoperta di un chimico francese, si può far invecchiare in poche ore il vino recente, tenendolo in istufe ad alta temperatura. Ma se non sorgono complicazioni esterne, quale sarà l'avvenire della Germania meridionale? Le tendenze separatiste continueranno ad avere il sopravvento, oppure saranno vinte a poco a poco dal desiderio, ch'è pur vivo ed universale, della grandezza della patria comune?

A questa domanda non è possibile rispondere che con delle congetture. Io mi limiterò a quelle che mi sono suggerite da un'attenta osservazione delle condizioni presenti del paese.

Il desiderio dell'unità è in Germania, come in Italia, un portato della letteratura e della filosofia. Sotto questo aspetto il sentimento nazionale potrebbe star contento d'una forma federativa più o meno artificiosa: questa forma permetterebbe anzi al pensiero germanico, ch'è naturalmente così complesso, così ricco di forme e vario di sviluppo, una manifestazione più conforme alla sua indole. Basterebbe quindi riunire per esempio a Francoforte un Consiglio Federale in cui la confederazione del Nord, il Baden, il Wurtemberg e la Baviera fossero rappresentati, e che collegasse insieme le forze militari e politiche della nazione, perché il sentimento nazionale fosse in certo modo appagato. Dico in certo modo, perché la preponderanza prussiana in quel consiglio essendo pur sempre evidente, i nemici della Prussia continuerebbero ad esserne offuscati, senza che gli uomini desiderosi che vedono nell'unità la guarentigia dell'indipendenza possano rimanere contenti d'un simile aborto.

D'altronde come le memorie della Confederazione renana sono l'ostacolo più forte alla formazione d'una confederazione fra gli Stati del Sud, il ricordo della debolezza organica della cessata Dieta di Francoforte basterebbe a rendere impopolare ogni nuovo tentativo del genere che ho mentovato. Ma inoltre occorrerebbe per ciò che l'Europa entrasse sinceramente in un'era di disarmo e di pace. La tenace diffidenza verso la Francia, il timore d'una guerra che si vede sorgere all'orizzonte ad ogni primavera sono i più efficaci ausiliari della politica prussiana. La quale, se non m'inganno, anzicché affrettarsi a comporre prima del tempo in una organizzazione imperfetta gli elementi discrepanti del Sud, cerca studiosamente di !asciarli nel loro stato attuale d'isolamento e di debolezza. Abbandonati a se stessi, i partiti che fecero testé causa comune contro la Prussia dovranno necessariamente scindersi di nuovo. La mancanza d'un centro morale, d'un punto d'appoggio comune è evidente. I Governi del Sud non possono mettersi d'accordo fra loro: non solo perché il Granducato di Baden, quasi prussiano per la dinastia, lo è pure a metà per le tendenze del governo: ma perché il Governo Bavarese è troppo reazionario per andare d'accordo col democratico Varnbiihler. Le dinastie, ad eccezione di quella di Baden, non sono popolari. Il Regno di Wurtemberg è di creazione napoleonica. Se la Baviera potrebbe invocare le antiche tradizioni della casa di Wittelsbach, il rappresentante attuale di quella famiglia non ha, a quanto dicesi, né l'esperienza, né l'autorità necessarie per disputare agli Hohenzollern il primato tedesco. Nel Wurtemberg il clero protestante è favorevole alla Prussia, come lo sono pure dappertutto, ad eccezione dei soldati semplici, i militari, che sperano in un grande esercito più rapida promozione e più gloriosa carriera. Il partito democratico sogna di stabilire in Germania una repubblica federativa come quelle di Svizzera o d'America. Il suffragio universale introdotto testé sarà fra breve chiamato nel Wurtemberg ad eleggere anche i deputati: e questa forma di elezione che dà risultati così conservativi quando si trova a fronte d'un governo forte, suole dare risultati opposti in altre condizioni. Mi pare dunque difficile che un grande corpo politico, così bene disciplinato e condotto come la Prussia che accoppia ora alla gloria delle armi il primato della scienza e della erudizione, non eserciti un'attrazione lenta ma irresistibile sulle discordi molecole politiche che compongono gli Stati meridionali della Germania. Ciò non accadrebbe forse, se l'Austria riescisse a riacquistare autorità ed influenza nel Sud, senza attendere, con un'alleanza colla Francia, il patriottismo tedesco; ed è questo forse lo scopo lontano dell'attuale politica del Gabinetto di Vienna. In questa ipotesi, che non è però gran fatto probabile, il moto unitario sarebbe efficacemente impedito e la Prussia sarebbe costretta a rispettare quel confine ch'ella tracciò a se medesima a Nicolsborgo. Ma tranne questo caso, si potranno ripetere dei tentativi per dare al Sud un'organizzazione separata ed indipendente dalla Prussia: forse a quest'ora si iniziano di nuovo dal Principe d'Hohenlohe negoziati in quel senso, che difficilmente riesciranno a qualche cosa di concreto. Pare a me di non essere temerario nell'affermare che coll'andare del tempo gli abitanti dell'Assia, del Baden, del Wurtemberg e della Baviera, dopo avere sopportato a malincuore i pesi loro imposti dalle nuove leggi militari, si accorgeranno che in forza dei trattati d'alleanza colla Prussia hanno già tutti gli oneri politici e finanziari dell'unità senza averne i vantaggi. Fra qualche anno forse essi chiederanno di far parte della Confederazione del Nord, purché lo statuto ne sia modificato in modo da accordare ai confederati della Prussia una partecipazione più equa all'indirizzo politico e morale della Germania. Questa trasformazione politica avverrà tanto più presto, quanto più la Prussia consentirà a spogliarsi di quel certo involucro feudale di cui si compiacque finora, quanto più essa consentirà libertà di sviluppo alle guarentigie costituzionali.

225

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

T. 619. Firenze, 12 aprile 1868, ore 17,45.

J'ai reçu votre n. 31 (1). J'approuve votre attitude. Marchez d'accord avec votre collègue anglais. Protestez contre établissement d'une commission composée ainsi que vous me l'avez écrit. Faites savoir au Gouvernement du Bey que nous le tenons seul responsable de l'exécution des contrats qu'il a librement signé avec négociants anglais.

(l) Del 7 aprile non pubblicato ma cfr. n. 216.

226

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 340. Firenze, 12 aprile 1868.

Appena venne stampata nei pubblici fogli la lettera che il Signor Marchese di Moustier diresse al Signor Forcade per rassicurare i portatori francesi del prestito Tunisino, il R0 Governo, vedendo, come dai termini di quella lettera, apparisse l'intendimento della Francia di non aver riguardo alcuno ai diritti degli altri stranieri nel far prevalere anzitutto gli interessi dei sudditi imperiali, indirizzava al Cav. Pinna, R0 Agente e Console Generale in Tunisi, precise istruzioni (l) affinché in niun caso gli interessi degli Italiani ed i loro diritti acquisiti avessero ad essere tratti di nuovo in discussione.

Ella non ignora probabilmente, Signor Ministro, come infatti riuscisse, or fa circa un anno, al Governo del Re di comporre una sua gravissima vertenza col Governo tunisino, mercè un accordo finanziario regolarmente stipulato fra il Bardo ed alcuni negozianti Italiani ed Inglesi. Era stato il mercato di Tunisi invaso sino a quell'epoca da una quantità di Teskere scaduti (buoni o fedi di credito governativi) i quali rendevano impossibile le transazioni che non possono, come ognuno sa, aver luogo in quel paese senza che il Governo v'abbia parte.

Due negozianti inglesi e due italiani assunsero l'impresa di riscattare quei teskere scaduti, operandone la conversione contro altri teskere guarentiti dal Governo tunisino col dazio di esportazione delle lane e dell'olio come suolsi fare in quel paese. In questa operazione i negozianti italiani ed inglesi hanno impegnato un capitale di circa 12 milioni di lire ed il prodotto dell'esportazione delle lane e dell'olio essendo il migliore di tutta la reggenza, l'operazione incontrò favore e riuscì perfettamente, restando però quei negozianti creditori di siffatta ingente somma verso il Bardo il quale dovea venir mano mano liberandosi dal suo debito entro un determinato termine stabilito nel contratto.

Allorché si stipularono quegli accordi, avrebbero desiderato i Consoli d'Italia e della Gran Bretagna che anche i commercianti francesi concorressero nell'operazione ed infatti risultò a quel tempo che alcuni di essi avrebbero volontieri partecipato ad un affare che, mentre tornava certamente utile a tutto il commercio straniero in Tunisi, toglieva la Reggenza da gravissimo imbarazzo, liberava i Governi interessati da una seria preoccupazione e riusciva vantaggioso a chi lo assumeva. Ma il Console francese ingiungeva allora ai suoi connazionali di astenersi dall'associarsi a quell'operazione, per modo che l'operazione medesima fu assunta unicamente da Italiani e da Inglesi.

Se non che, mentre avviavansi le cose per un cammino che sembrava dover condurre ad una condizione tollerabile gli affari della Reggenza, pare che invece il rappresentante di Francia si adoperasse in ogni maniera per condurre il Governo del Bey a subire certe condizioni e certi patti che togliendogli ogni libertà in materia di finanza, lo avrebbero ridotto a non essere che uno strumento in mano ad una commissione francese composta e presieduta

effettivamente da agenti francesi, destinata a non tener conto che degli interessi che la Francia ha impegnati a Tunisi, senza alcun riguardo pei diritti acquisiti degli altri stranieri.

Appena conosciuto un simile stato di cose, il Governo del Re fu sollecito ad interpellare il Gabinetto Britannico sovra un argomento che ugualmente lo interessava.

Il Conte Maffei ebbe al riguardo un colloquio con Lord Stanley, il quale si è già pronunziato contro la progettata riunione della commissione sovr'accennata ed avrebbe anzi, sino dal dì 11 corrente, inviato una energica rimostranza a Parigi intorno a questo affare.

Qui unito V. S. troverà copia dell'ultimo rapporto che questo Ministero ha ricevuto dal R0 Agente e Console Generale in Tunisi (l). Ella troverà pure copia del progetto che riuscì al Console di Francia di far accettare al Governo del Bey. Dalla lettura di quei documenti Le riuscirà ancor più agevole conoscere lo stato attuale di questa vertenza, il modo col quale la medesima fu condotta, e gli atti che sotto la loro responsabilità gli Agenti d'Italia e d'Inghilterra hanno creduto dover fare per tutelare i diritti dei loro rispettivi connazionali.

Ogg.t stesso ho confermato per telegrafo al Cavaliere Pinna (2) le istruzioni già dategli di opporsi cioè a ciò che i diritti acquisiti dagli Italiani siano tratti in discussione. di mettersi d'accordo col suo collega d'Inghilterra e di protestare in ogni caso contro la riunione di una commissione qualsiasi dichiarando al Governo del Bey che da noi non si riconosceranno in veruna maniera gli atti di una commissione costituita senza la nostra partecipazione e senza il nostro consentimento. Ho incaricato espressamente il Cavalier Pinna di dichiarare al Governo del Bey che noi lo riteniamo responsabile dell'osservanza degli impegni presi.

Ella vorrà, Signor Ministro, conferire sovra questo oggetto coll'Ambasciatore Britannico in Parigi e quindi fare presso il Governo Imperiale quei passi .::he saranno in armonia col contegno assunto da Lord Lyons e conformi alle esigenze del caso presente.

(l) Cfr. n. 188.

227

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 77. Firenze, 13 aprile 1868.

Il di Lei rapporto del 2 aprile (3) col quale Ella mi ha reso conto del colloquio avuto con Lord Stanley sulle condizioni presenti dell'Oriente, mi riuscì molto gradito. Fu con vera soddisfazione che ho ricevuto dalla S. V. la conferma che, anche dopo le ultime notizie giunte da Costantinopoli e dalle province ottomane, il Ministero dell'Estero della Regina persisteva a non credere vicini i pericoli di future complicazioni.

Ella ha fatto molto bene, Signor Conte, d'esprimersi in quell'occasione, in modo da far vedere apertamente che l'Italia, occupata essenzialmente a dare assetto alle cose interne sue, si rallegra sempre d'ogni sintomo di pace duratura e di prolungata quiete in tutta Europa. Le comunicazioni ch'Ella ha successivamente ricevuto da questo Ministero, l'hanno messa certamente in grado di scorgere come nel contegno riservato che abbiamo assunto rimpetto alle questioni della politica orientale, nulla v'abbia che si discosti dal piano che Lord Stanley Le disse di voler egli stesso seguire. Dal canto nostro abbiamo visto con piacere il Ministro degli Affari Esteri della Regina affermare, come ha fatto, che in certe eventualità gl'interessi italiani e quelli della Gran Bretagna sono identici.

Sembrerebbe però, da quanto la S. V. mi ha scritto, che Lord Stanley creda che i nostri armamenti attuali siano eccedenti il bisogno della tutela dell'ordine i.nterno, ed accennino anzi ad intendimenti guerreschi contro l'estero. A questo riguardo io debbo invitare in particolar modo la S. V. a voler distruggere assolutamente nell'animo del Ministro degli Affari Esteri della Regina un così erroneo concetto. Forse Lord Stanley allorché diceva alla S. V. che nessuno ci vuole male non rendevasi esatto conto della situazione nella quale travasi il Governo del Re rimpetto alla reazione ed alla fazione demagogica che contro lo stato attuale del Regno italiano con ogni mezzo cospirano. Forse Lord Stanley non teneva nel voluto conto l'immensa responsabilità che peserebbe sul Governo italiano ove, per non aver mantenuto un sufficiente armamento di terra e di mare, lasciasse esposta qualche parte del paese a scorrerie che si vanno organizzando ed alle quali un forte nucleo di armati, volontarii della reazione cosmopolita, riunito in Roma, presterebbe, se non altro, un appoggio morale.

Allorché noi sappiamo che gli apprestamenti delle fazioni ostili all'attuale ordine di cose in Italia giungono sino a poter commettere in una delle primarie fabbriche di Londra parecchie migliaia di carabine di perfezionatissimo modello, noi non possiamo senza grave imprudenza, esagerare nel disarmarci. Ma la S. V. deve, avvalendosi delle cose sovra esposte, insistere presso Lord Stanley per fargli ben comprendere che gli armamenti attuali dell'Italia non eccedono lo strettissimo piede di pace né i bisogni veri che circostanze speciali, a tutti note, creano al nostro paese nelle presenti sue condizioni.

Autorizzandola, Signor Conte, a far conoscer il senso di questo mio dispaccio a codesto Signor Ministro degli Affari Esteri, ...

(l) -R. 31 del 7 aprile, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 225. (3) -Cfr. n. 210.
228

IL MINISTRO A WASHINGTON, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 27. Washington, 13 aprile 1868.

Il 10 andante, verso le 5 pomeridiane, mi vidi giungere un biglietto del Signor Seward, che m'invitava a passare a casa sua la sera stessa, o al Dipartimento di Stato il giorno seguente.

Mi recai alla sua abitazione la sera, (Venerdì), ed il Signor Seward, che trovai alquanto confuso, presomi in disparte, mi tenne la seguente conversazione:

«Ho ricevuto dal Signor Marsh la lettera scrittagli dal Generale Garibaldi, nella quale, quest'ultimo, dichiarando non essere mai stato al servizio degli Stati Uniti, prega il Segretario di Stato, di cancellarlo come tale dalla lista.

Questa lettera m'indusse a far fare immediatamente delle ricerche minute, e venni realmente a scoprire, che sebbene si fossero collocati dei fondi nelle mani d'un banchiere europeo per essere dati a Garibaldi, questi fondi ebbero poi un diverso destino, e Garibaldi non ricevette mai le menoma somma.

Ho scritto questo giorno al nostro Ministro Signor Marsh in questo senso perché ne informi il Governo italiano».

Risposi al Signor Seward che questa sua rivelazione mi arrecava tanto piacere quanta sorpresa, e gli espressi nel modo il più delicato il mio dispiacere di averlo saputo troppo tardi, per poter scrivere quel giorno stesso a V. E.; aggiunsi, che sebbene io non avessi a temere una poco favorevole interpretazione da parte di V. E. sopra rapporti che dovevano necessariamente contraddirsi, io desiderava che il Signor Seward facesse pur conoscere al Signor Marsh il senso delle nostre precedenti conversazioni, per far constare che egli stesso, Signor Seward, mi aveva indotto in errore. Egli mi promise di farle col primo corriere, e non dubito che il Signor Marsh riceverà una lettera su questo soggetto.

Mi sarebbe impossibile dare a V. E. la chiave di questo enigma; è un fatto, che il nome di Garibaldi figurava sulla lista delle persone sussidiate. È pur vero, che sino a questo giorno il Signor Seward ne era persuaso, locché è provato dalla imprudente sua lettera stata pubblicata dal Seward. L'ispezione minuta dei conti fa ora risultare il contrario. La spiegazione più facile pare quella d'uno storno segreto di fondi per parte di qualche subalterno, che ha lasciato finora supporre che il Generale Garibaldi avea realmente ricevuto le somme che gli erano state antecedentemente assegnate. Se mai verrà fatta l'inchiesta, locché io spero, conosceremo tutta la verità.

Cadono con ciò tutte le altre supposizioni, che, sebbene non ingiuriose per Garibaldi non poteano così facilmente spiegarsi. Intendo parlare dello scopo dei suoi viaggi sul Continente, e di quello fatto in Inghilterra.

In seguito a quanto mi ha detto il Signor Seward, credo che saremmo autorizzati ampiamente (se già non lo si è fatto), a pubblicare, che consta in modo positivo al Governo, che quel nostro illustre concittadino non ha mai ricevuto sussidii né indennità a verun titolo.

229

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

T. 621. Firenze, 14 aprile 1868, ore 12,25.

Les journaux parlent de la m1ss1on à Rome confiée par l'Empereur d'Autriche au comte de Liedekerke de Beaufort. Veuillez me dire ce qu'il en est (1).

(l) Cfr. n. 244.

230 L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1077. Tunisi, 14 aprile 1868 (per. il 16).

Consul de France ébranlé par la déclaration qui lui a été officiellement communiquée de rompre les relations avec le Bey s'il était accepté le projet pour la nomination de la commission de finances malgré les modificatlons y apportées a consenti laisser l'affaire en suspens jusqu'à la réception de nouvelles instructions de Paris. La décision donc de cette grande question dépend à présent des démarches de l'Italie et de l'Angleterre auprès du Gouvernement de l'Empereur.

231

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 78. Firenze, 14 aprile 1868.

Mi giunsero regolarmente i pregiati rapporti di V. S. Illustrissima segnati ai NN. 393-396 di questa Serie (1), e La ringrazio per le interessanti notizie in essi contenute. Qui uniti Ella troverà N. . . . . . (2) documenti diplomatici. Trasmettendole pure un annesso in cifra,...

ALLEGATO.

ANNESSO CIFRATO.

Je vous remercie renseignements donnés au sujet alliance que l'on prétend avoir été conclue entre les différents Principautés du Danube. Nous n'avons reçu aucune nouvelle récente ni Constantinople, ni agents italiens résidant Turquie sur cette affaire.

Il y a plus d'un an, délégués Grèce, Romanie, Serbie, Monténégro et quelques autres populations pas encore indépendantes, se sont réunis dans une petite ville du Danube pour signer protocole, ou traité alliance éventuelle. Mais prétentions étaient telles qu'aucun accord formel n'a pu étre pris. Un traité alliance entre peuples ayant communauté intéréts aussi marquée que celle existant entre Roumains et Serbes ne parait pas nécessaire pour les unir dans action commune contre Turquie. Il me semble au contraire très difficile ces deux peuples puissent parvenir se mettre d'accord sur toutes questions qui dans une convention formelle devraient étre prévues et définies. Grecs, cause leurs prétentions exagérées, ne pourront que très difficilement tomber d'accord avec autres peuples Orient.

Je vous donne ces quelques détails, car ils peuvent vous guider dans vos propres appréciations sur bruits qui vous parviendront. Nos informations nous portent à croire que depuis retraite Garachanine Gouvernement Serbe manque direction et peut-étre

meme courage qui seraient nécessaires poPr tenter coup hardi contre Turquie. Nous ne savons pas qui peut conseiller celle-ci continuer armements Bulgarie. Serait-ce en n'écoutant que conseils ambassade française à Constantinople, que Turquie s'épuiserait en efforts que faits ne semblent pas justifier? Ces armements pourraient bien devenir euxmemes cause complication, si Serbie, Monténégro ou Romanie s'avisaient dire que Turquie les menace. Notez bien que l'on a déjà parlé velléité Sultan reconquerir forteresses serbes qu'il a vues descendant Danube. Devriez parlez de tout ceci Stanley, mais comme votre propre initiative.

(l) -Cfr. n. 217; gli altri rapporti non sono pubblicati. (2) -Il numero manca nel registro dei dispacci.
232

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (l)

D. 342. Firenze, 14 aprile 1868 (2).

Ieri l'Incaricato d'Affari di Francia venne a questo Ministero per farci conoscere che S. E. il Marchese di Moustier lo aveva autorizzato a modificare nel modo convenuto quella frase del dispaccio delli 19 Marzo diretto al Signor di Malaret, sulla quale avevamo dovuto fare quei riflessi che sono esposti nella mia comunicazione d'ufficio indirizzata alla S. V. sino dal 23 Marzo u.s. (3).

Rimane pertanto convenuto che il testo primitivo di quel dispaccio del Governo Imperiale si intende come non avesse mai esistito altrimenti che nella sua versione presente, dopo fatta la modificazione intesa. E così rimane pure chiuso un incidente alla soluzione del quale molto ha certamente contribuito l'arrendevolezza del Governo Imperiale e l'opera intelligente della S. V.

Ora poi che la risposta francese al nostro dispaccio del 24 gennaio (4) si può avere come compiuta, il Governo del Re si occuperà di vedere in quale modo converrà rispondervi per facilitare le possibili intelligenze e gli accordi temporari che debbono costituire un «modus vivendi » fra il Regno d'Italia e Roma.

233

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 2. Vienna, 14 aprile 1868 (per. il 17).

Ho avuto questa mattina col Barone di Beust un lungo abboccamento di cui credo utile di renderle prontamente conto; molto più che egli mi ha letto un dispaccio da lui diretto al Barone di Kubeck e che deve esserle stato comunicato.

A norma delle istruzioni verbali avute da V. E. dichiarando però che le mie parole non potevano avere nessun carattere ufficiale, io avea espresso

confidenzialmente al Cancelliere dell'Impero il desiderio che nell'occasione delle nozze del Principe Umberto la pace seguita tra le due nazioni e i due Governi ricevesse anche il solenne suggello di una completa pace di famiglia.

La presenza di uno fra i cognati dell'Augusta Maestà del nostro Re al contratto nuziale, avrebbe certamente rassodato le nostre relazioni e scancellata perfin l'ombra dei passati dissidj.

Il Barone di Beust, a cui io mi rivolgeva personalmente conoscendo i suoi sentimenti amichevoli per noi, mi rispose che egli pure divideva il mio concetto e quello di V. E. in questo proposito e che egli ne avrebbe parlato all'Imperatore come di una idea sua propria mostrandone l'efficacia e l'opportunità.

Infatti egli non mancò a quanto mi disse di tenere al suo sovrano un linguaggio in relazione alla sua promessa, e non trovò alcuno ostacolo in sulle prime ed anzi il viaggio dell'Arciduca Leopoldo pareva fosse stato definitivamente adottato. Tutt'ad un tratto si mutò divisamento.

Io non so, perchè qui il Cancelliere dell'Impero serbò un eloquente silenzio, quali influenti persone modificassero le cordiali disposizioni dell'Imperatore, ma certo è che per raggiungere questo stesso scopo esse posero sotto gli occhi a Sua Maestà le condizioni in cui si trova oggi il Governo Austriaco con Roma, mostrandogli come l'invio di un Arciduca a Torino avrebbe rese più tese e più acerbe le relazioni col Pontefice.

Queste considerazioni certamente a mio avviso molto fallaci e poco opportune per un Governo autorevole sono svolte nella Nota che il Barone di Kiibeck ebbe istruzioni di leggere a V. E. quindi io nulla posso aggiungere in proposito. Io feci però osservare al Barone di Beust che il desiderio che io aveva formulato era un desiderio personale, e che io teneva a mettere in sodo questo fatto perchè io desiderava che queste pratiche non potessero in nessun caso rivestire il carattere ufficiale di aperture diplomatiche.

Io non potei a meno di esprimergli il rammarico che in un solenne e lieto momento per l'Italia mentre la Prussia avea inviato il suo Principe Ereditario, l'Austria si tenesse in disparte e che delle considerazioni religiose impedissero un Governo liberale come era quello inaugurato dal Barone di Beust ad associarsi alle gioje di un popolo amico sul semplice sospetto che il Governo romano se ne potesse dolere.

Io conosco, dissi al Barone di Beust, la Corte di Roma; da essa nulla si ottiene con concessioni e con apparenza di dolcezze; sopra essa non hanno autorità che i fatti compiuti.

Ma che avrei dovuto svolgere più a lungo questo argomento se il Barone di Beust divideva pienamente questa mia opinione? (l) La risoluzione presa dall'Imperatore è una risoluzione dettatagli, oso dirlo, da influenze di famiglia, dalla timida e paurosa coscienza di qualche Arciduca

-o meglio di qualche Arciduchessa. Egli è vero che l'Imperatore avea lasciato decidere al Barone di Beust sulla sua responsabilità a quanto quest'ultimo mi

affermò, ma io credo che questa asserzione sia una finzione parlamentare per

cuoprire il sovrano e dissimulare le influenze di famiglia.

Io chiesi in questa occasione al Barone di Beust se le idee di conciliazione

e di moderazione della Corte Imperiale verso la Curia romana si sarebbero

spinte fino a consigliare l'Imperatore a negare la propria firma alle leggi che

infragono il Concordato. Il Barone di Beust mi rispose risolutamente di no

imperochè constituzionalmente l'Imperatore non poteva farlo e che appena

votata l'ultima legge egli le avrebbe sancite tutte e tre ad un tempo, poichè

tre sono le leggi che levano il campo dei clericali a rumore. Egli negò di aver

trattato con Roma osservandomi che con Roma non si può trattare. Egli avea

semplicemente trasmesso una memoria del Ministero Cis-Leitaneo a Roma e

la Curia romana avea risposto con un'altra memoria. Vi sono stati, disse, due

plaidoyers ma non vi sono state trattative diplomatiche finora e non vi sa

ranno che dopo che le leggi saranno state sancite. Il Cardinale Antonelli

aggiunse, è ispirato da sentimenti moderati, ma il Papa va soggetto a subitanei

sdegni che lasciano sempre aperto il pericolo di una rottura diplomatica, che

a me non produrrebbe nessuna apprensione, ma che susciterebbe grave ram

marico nell'animo dell'Imperatore.

Il Barone di Beust conchiuse che egli era veramente dolente di questo

incidente e che egli avrebbe certamente studiato modo di attestare la simpatia

del Governo Austriaco all'Italia per altra via.

Dall'argomento romano passando alla questione germanica accennai al Barone di Beust che il Duca di Gramont mi avea lasciato intravedere che stessero per sorgere delle complicazioni dall'apertura del Parlamento doganale a Berlino. Il Cancelliere dell'Impero mi rispose che nessuna comunicazione grave avea ricevuta da Berlino ma che però avea creduto utile e savio il rammentare al Gabinetto prussiano che il testo del trattato di Praga non permetteva che le attribuzioni di quel parlamento si allargassero oltre le questioni commerciali e che il Gabinetto di Vienna avrebbe impedito cioè desiderava, disse, (riprendendosi) che quel trattato fosse rispettato integralmente. Una nota in questo senso deve partire credo, domani. I sospetti sono nati pel contegno tenuto da alcuni deputati eletti nel Granducato di Baden e nella Baviera. Il Barone di Beust mi disse con un sorriso che contava sulla moderazione del Conte di Bismark.

Qui mi parve acconcio toccare della questione dello Slesvig. Il Ministro degli Esteri mi disse che non erano per nessuno modo esatte le voci che correvano che egli avesse fatta una Nota in proposito e che il Governo danese avesse invocato l'intervento austriaco. Anzi egli mi assicurò che il Ministro danese Quaade a Berlino avea scongiurato il Ministro austriaco ad ottenere dal suo governo che egli non si mischiasse in questa questione. Egli però avea fatto osservare confidenzialmente al Ministro prussiano, Werther, che sarebbe stato utile che questa questione, anche nell'interesse prussiano, si sciogliesse. In diplomazia le questioni pendenti, soggiunse, sono sempre pericolose, poichè aumentano prolungandosi la loro importanza, quella dello Slesvig è molto più grave oggi di quello che non fosse ieri, e se tarda a sciogliersi sarà anco più grave domani, poiché il tono dei giornali francesi specialmente del Constitutionnel non è tale da dissipare l'incertezza.

22 -· Docum~nti diplomatici -Serie I -Vol. X

Queste parole del Barone di Beust condite sempre con uno spirito pacifico mi ritornarono al pensiero che domenica l'Ambasciatore di Francia mi avea detto che egli non credea che la pace si potesse più a lungo prolungare. Però io desidero che il Governo del Re non dia a questa mia comunicazione maggiore importanza di quello che essa ha veramente e che se ne valga soltanto per armonizzarla con le indicazioni che perverranno a V. E. dalle altre Legazioni.

Debbo poi dirle che se non ho ancora presentato le mie credenziali egli è che l'Imperatore aspetta sempre il parto dell'Imperatrice che secondo i calcoli medici avrebbe dovuto esser già successo. Il Ministro spera però che Giovedì al più tardi sarà invitato a Pesth.

Spiacemi di non essere riuscito a conseguire ciò che V. E. desiderava ma ciò non recherà grande meraviglia a Lei che esperto degli affari sa come difficilmente si lotti contro certe influenze. Non ho poi creduto d'insistere né di mostrare molto rincrescimento perchè mi pareva che il nostro interesse non lo volesse e che bisognava lasciare al Gabinetto austriaco la responsabilità di una determinazione che non dubito sarà acerbamente biasimata.

Il Barone di Beust mi disse aver egli detto ieri sera in un circolo diplomatico che l'Imperatore avrebbe inviato l'Arciduca Leopoldo a Torino, ma che lo avea trattenuto il pensiero di non aggravare le questioni pendenti con Roma. Quando un Ministro con simile confessione constata la debolezza del proprio Governo a noi non resta che di ascoltare in silenzio.

(l) -Ed. in LV 14, pp. 54-55. (2) -Sio ma Il d. 341 (cfr. n. 236) è del 15 aprile. Evidentemente i due documenti furono protocollati e spediti insieme. (3) -Cfr. n. 178. (4) -Cfr. n. 68. (l) -Cfr. Il seguente brano del d. 2 inviato da Barbolanl a Pepoll il 18 aprile: «lo sono convinto come Lei che il Barone d! Beust non abbia avuto intera llbertà d'azione nella decisione presa relativamente alla venuta di un Arciduca Austriaco in Italia. Approvo del resto 11 linguaggio ch'Ella tenne in questa occasione ».
234

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1075. Londra, 15 aprile 1868, ore 19,20 (per. ore 23).

J'ai parlé à Stanley dans le sens de votre dépèche n. 75 (l). Il m'a promis de me tenir au courant de ce qu'il fera à l'égard de Tunis. Jusqu'à présent, il n'a point de réponse à la note adressée à Paris contre la commission projetée; mais prince La Tour d'Auvergne lui a communiqué télégramme dans lequel Gouvernement français déclare qu'il donnera explications satisfaisantes.

235

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

D. 16. Firenze, 15 aprile 1868.

Fra gli ultimi rapporti che la S. V. mi ha diretti ho preso nota particolare di quello ch'Ella mi scriveva addì 2 aprile (2) sul discorso tenuto dal Signor Gonzales Bravo innanzi al Congresso nella seduta del giorno prima, non che di quello (2) che, in via riservata, Ella mia ha indirizzato per farmi conoscere

come la S. V. abbia fatto osservare al Sotto-Segretario di Stato per gli Affari Esteri di Spagna quanto inopportune fossero le parole, pronunziate davanti la stessa Assemblea, in un'altra tornata, dal Signor Catalina.

Nel mentre io approvo pienamente ciò che Ella ha stimato di dire al Signor Xi.quena circa i frizzi poetici del Ministro della Gue,rra spagnolo, reputerei non meno opportuno ch'Ella cogliesse una prima occasione per esprimere chiaramente al Ministro degli Esteri della Regina la sorpresa da noi provata nell'udire, dalla bocca di un Ministro spagnuolo, che gli armamenti, che in codesto paese si vogliono conservare sono appunto necessari perchè la Spagna abbia forze sufficienti da spedire al Santo Padre non potendo bastare in certe eventualità il concorso dei volontarii che andrebbero a Roma.

Ella ebbe, Signor Conte, altre volte comunicazioni precise da questo Ministero sul contegno che il Governo del Re assumerebbe in presenza di una intervenzione armata di Spagna sul suolo italiano. Il modo col quale Ella si è espressa allora col Ministro degli Affari Esteri di Spagna non può aver lasciato nell'animo suo alcuna dubbiezza al riguardo. Basterà adunque che V. S. faccia modo di far sapere al Governo della Regina che la nostra maniera di vedere in questa quistione non è punto mutata e che noi ci vediamo con dispiacere nella necessità di doverne ripetere ora la dichiarazione in presenza dei discorsi tenuti dai Ministri spagnuoli innanzi alle Cortes.

Ella avrà pertanto una conversazione in questo senso col Ministro degli Affari Esteri di Spagna dal quale, io voglio sperare, Ella potrà ottenere spiegazioni che valgano a mantenere le assicurazioni dateci, che cioè la Spagna non medita spedizioni armate a Roma.

(l) -Cfr. n. 219. (2) -Non pubblicato.
236

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 341. Firenze, 15 aprile 1868.

Dal mio collega il Ministro dell'Interno mi pervennero due rapporti sui quali reputo opportuno chiamare la di Lei attenzione, perocchè l'uno e l'altro contengono dati precisi che alla S. V. gioverà conoscere per poter con piena cognizione di causa ragionare con codesti uomini di Stato sul carattere politico che da alcuni fautori della caduta monarchia borbonica non si cessa di attribuire al brigantaggio nelle provincie napoletane.

In un Suo rapporto del 5 aprile il Ministero dell'Interno, nel farmi avere il testo del ristretto processuale del giudice istruttore di Frosinone contro la banda brigantesca di Antonio Bosco, chiama la mia speciale attenzione sovra la dichiarazione fatta da quel capo banda che egli fosse cioè sussidiato dai comitati legittimisti per suscitare la reazione nelle provincie meridionali.

Leggesi infatti a pagina 20 di quegli atti processuali quanto segue: «Dedusse (l'Antonio Bosco) che il denaro appresogli lo aveva ricevuto prima della partenza dal regno dai comitati legittimisti onde servirsene per operazioni relative alla reazione».

Ed alla pagina seguente è scritto: «Negò (il sovracitato Bosco) altresì di aver mai fatto parte del brigantaggio che infesta questa parte di Stato pontificio, e molto meno di essere stato uno dei capi, asserendo di essersi taluna volta, specialmente nel 1865, trovato unito con briganti e capi di briganti, a solo oggetto di indurii a rientrare nel regno e dedicarsi alla reazione »

Con altro rapporto d'ieri il mio Collega sovranominato mi ha poi trasmesso copia di un interrogatorio fatto dal giudice istruttore di Cassino (Caserta) dal quale atto risulterebbe come il capo banda Pace sia munito di un decreto di ufficiale borbonico, e come nelle due bande brigantesche del Pace e del Fuoco sembra mantenersi una specie di organizzazione militare, attalchè i semplici gregari non conoscono le mosse e le intenzioni dei loro capi e servono senza partecipazione ai frutti delle rapine. Di questo secondo documento le trasmetto qui unito una copia testuale (1).

Ma poi mi resta a farle osservare, Signor Ministro, come in cospetto di simili fatti acquistino una singolare importanza certe informazioni pervenute al Governo del Re sovra l'organizzazione che si andrebbe facendo nelle campagne del territorio pontificio di squadriglie armate, scopo delle quali sarebbe una eventuale azione contro il nostro Stato. Intorno a questo argomento la

S. V. troverà qui unito un rapporto della R. Prefettura di Napoli, e dopo aver preso notizia del contenuto di questo documento Ella troverà forse opportuno di farne apposito cenno ne' suoi discorsi col Ministro degli Affari Esteri di Sua Maestà l'Imperatore.

Non può essere infatti intendimento della Francia e del suo Governo tutelare anche indirettamente e prestare appoggio a simili trame che trovano a Roma un centro sicuro e favorevoli accoglienze, non solo presso le persone che circondano l'ex Re di Napoli, ma fors'anche presso il Governo della Santa Sede.

ALLEGATO.

RUDINÌ A NICOTERA (2J

N. 1017-16 bis Napoli, 2 aprile 1868.

Sulla preghiera di persona devota al Governo, oggi s1 e recato in questo ufficio

un emigrato romano, che dopo gli ultimi casi di quelle Provincie lasciò Sora, ove

risiedeva e prese stanza in Arce. Interrogato intorno all'agitazione che dai democratiei si potesse ora per avventura promuovere, rispose che dalle informazioni sue ha luogo a giudicare infondato il sospetto. Doversi l'attenzione del Governo portare piuttosto sopra un fatto singolare, il quale se non è di grande importanza oggi, il potrebbe divenire più tardi, e secondo gli eventi che sarebbero per isvolgersi.

Pare dunque che le autorità Pontificie abbiano levato per le campagne delle squadriglie di contadini, i quali sommano per ora ad ottocento, ma il cui numero potrebbe

essere aumentato in seguito, e migliorato l'ordinamento, attendendosi sin da adesso a fornirli di una uniforme.

Che a queste uniformi si lavori da tempo par certo; avvegnacchè, mesi or sono, un calzolajo di Frosinone venne in Napoli, e comprò delle cuoja per adempiere alla commissione di una data quantità di stivaletti ordinati a quel fine.

Di queste squadriglie, che parmi abbiano molta analogia con quelle levate dall'Austria prima della guerra del 1866 nel Tirolo, il Governo Pontificio dice di volersi avvalere a fine di reprimere il brigantaggio, ma questo essendo assai scarso nell'agro romano e riducendosi a soli tredici uomini che stanno col Panieri e col Garofalo, il Signore cui di sopra accennai, argomenta che quella forza si organizzi e si tenga pronta sia per molestare le milizie italiane, caso mai dovessero passare la frontiera, sia per aiutare la reazione di qua dal confine, caso mai fosse in un dato tempo levato il segnale della riscossa.

Promise egli da ultimo di fornirmi ulteriori informazioni le quali trasmetterò sollecitamente all'E.V. a misura che mi saranno pervenute.

(l) -Non si pubblica. (2) -Trasmesso da Borromeo a Menabrea con N. r. 772 del 6 aprile.
237

IL MINISTRO A BRUXELLES, DE BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CO!'lFIDENZIALE 20. Bruxelles, 15 aprile 1868 (per. il 25).

Les rumeurs belliqueuses qui sont arrivées ces jours derniers de Paris, sans que cependant aucun fait nouveau soit venu les justifier ou méme les expliquer, n'ont pas laissé que de produire une assez vive sensation à Bruxelles. Au fond, l'on a la conviction que personnellement l'Empereur Napoléon ne veut pas la guerre, et l'on ne voit pas trop quelle raison plausible la France pourrait invoquer pour légitimer une agression. Mais l'on sait à n'en pas douter que malheureusement dans l'entourage immédiat de l'Empereur, il y a un groupe de personnages influents ayant à sa téte le Maréchal Niel, qui pousse de toutes ses forces à une lutte avec la Prusse, et ne voit de consolidation de l'Empire que dans un triomphe éclatant et prochain des armes Françaises. Là est le danger; et on le considère comme d'autant plus grand que le travail qui s'y rapporte procède d'une manière occulte sans qu'il soit possible de le combattre et méme de bien le définir. C'est ainsi que dans cet ordre de faits, l'on assure de très bonne source que ce parti de la guerre à tout prix a trouvé le moyen de dire à Sa Majesté que dans une fraction très considérable de l'opinion publique ses intentions pacifiques étaient interprétées camme le résultat d'une espèce d'affaissement moral. Pas n'est besoin d'ajouter combien une insinuation aussi perfide a du blesser l'Empereur.

Tout ce qui précède est pour en venir à dire que au milieu de ces alternatives de paix et de guerre qu'apportent périodiquement les différents journaux français, il est à remarquer que l'esprit d'autonomie déjà très enraciné en Belgique et suffisamment justifié par le degré de prospérité qu'atteint cet heureux pays, semble acquérir une nouvelle force en prévision des dangers que pourrait faire courir à son indépendance l'explosion d'une lutte entre ses formidables voisins. En Belgique, il faut bien le reconnaitre, la Prusse n'a

aucunes sympathies; mais comme d'un autre còté la France est la puissance absorbante dont on a tout à craindre, il s'en suit tout naturellement que chaque fois que les éventualités que l'on redoute semblent, comme celà vient d'arriver, se dessiner à l'horizon, l'opinion publique se préoccupe visiblement, et par l'émotion qu'elle témoigne, manifeste hautement que la Belgique est unanime à vouloir rester ce qu'elle est, en possession de sa parfaite autonomie et de la plénitude de ses libertés constitutionelles.

238

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE FUORI SERIE 984. Londra, 16 aprtze 1868.

Facendo seguito al mio telegramma di avant'ieri (l), col quale le annunciava l'arrivo di Ricciotti Garibaldi in Londra, ho ora l'onore d'informare V. E. che mi vien riferito che la sua presenza possa essere connessa con un progetto di prossimo movimento in Sicilia.

Non so nulla di preciso ancora circa i suoi movimenti, ma allorché si consideri che solo ei qui giunse sabato scorso, che il giorno dopo essendo domenica non poteva, in un paese come questo, darsi a nulla d'importante, ciò non recherà meraviglia.

L'agente privato che ho avuto per favore dalla polizia, essendomi particolarmente rivolto ad uno dei sotto-direttori che conosco, è occupato a sorvegliare strettamente i passi del figlio di Garibaldi in un con quelli della Signora Chambers, presso la quale, come telegrafai a V. E., egli dimora.

Ciò che potrebbe anche far supporre che si contempli un moto rivoluzionario in Sicilia, si è il fatto della presenza a Londra del Famigerato Wolf, circostanza che fu finora connessa con quasi tutti i tentativi d'insurrezione che ebbero luogo in Italia. Anche costui fu da me posto sotto sorveglianza.

Quanto all'affare dei fucili non havvi alcuna cosa di nuovo. Il solo incidente che non è stato riferito, fu che dalla fabbrica Hunt vennero dichiarati all'ufficio d'imbarco 3125 moschetti per Calcutta. Credesi che dessi siano quelli destinati a Palermo; sotto il pretesto di essere mandati a Calcutta, uscirebbero senza dar sospetti da questi docks, e verrebbero poi sbarcati a Gibilterra, o, molto più probabilmente, a Malta, donde sarebbero avviati a poco a poco alla loro vera destinazione.

Ecco il solo fatto che mi venne comunicato e che ha molta verosimiglianza, considerando che mi si assicura essere state spedite per conto del partito rivoluzionario nello scorso febbrajo, 200.000 capsule a bordo del vapore Oriana

il quale andava pure a Calcutta, ma che però avrebbe depositato a Malta il summentovato suo carico.

Del resto le armi del Signor Hunt, a quanto mi si comunica, non sarebbero ancora pronte sì presto, ed ho ogni ragione di credere che sarò al caso di poter rassegnare a V. E. la loro partenza, e di farle seguire nel loro viaggio.

V. E. non ha idea delle difficoltà che questo genere di servizio incontra in questo paese. Onde dargliene un esempio, mi limiterò a citarle come il primo agente che m'aveva dato la polizia per far tener d'occhio i movimenti di Ricciotti, dopo di aver accettato l'incarico, rimase varii giorni senza farsi vedere, ed avendolo io interpellato, mi rispose che la natura politica di tale missione gli ripugnava e lo forzava a declinare il mandato!

Non astante varii ostacoli di simile natura che nascono ad ogni istante, ho speranza di riuscire a tener bene informato il R. Ministero, e non fa d'uopo ch'io rinnovi a V. E. l'assicuranza che seguito queste pratiche colla più vigile attenzione, mentre faccio di tutto per risparmiare al Governo ogni spesa superflua.

(l) T. 1072, non pubbl!cato.

239

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 82. Firenze, 17 aprile 1868.

A vendo mi Sir Augustus Paget comunicato in nome del Suo Governo varii documenti concernenti le pratiche fatte dall'Inghilterra allo scopo di tutelare contro ogni eventuale pericolo i suoi interessi in Tunisi, mi trovai nel caso di fare all'Inviato di Sua Maestà Britannica in Firenze la risposta della quale Le trasmetto qui unito copia.

Il Governo del Re fu del resto informato in via telegrafica da Tunisi (l) che in cospetto delle rimostranze fatte al Governo del Bey circa la composizione della Commissione finanziaria che si sarebbe voluta riunire, il progetto di convenzione che a tal proposito dovea essere stipulato fra il Bardo e l'Agente e Console Generale francese, rimarrebbe per ora in sospeso sino all'arrivo di nuove istruzioni di Parigi.

Se di questo primo risultamento ottenuto noi possiamo già andar lieti, non è però men vero che non dobbiamo ritenere come scomparso ogni pericolo di eventuale pregiudizio per gl'interessi nostri se d'accordo coll'Inghilterra non giungeremo a trovare un componimento che valga ad escludere per l'avvenire consimili sorprese. A questo proposito sembra a noi che potrebbesi prendere come base di studio il controprogetto proposto dal Signor Wood al Governo tunisino, col quale controprogetto si sarebbe istituita una commissione finanziaria nella quale l'Italia, la Francia e la Gran Bretagna avrebbero avuto egual posizione e nella quale tutti i creditori della Reggenza sarebbero stati ugualmente rappresentati.

ALLEGATO.

MENABREA A PAGET

Firenze, 16 aprile 1868.

Le rendo infinite grazie della comunicazione che la S. V. mi ha fatto delle corrisponze scambiate fra il Foreign Office, l'ambasciatore di Sua Maestà Britannica a Parigi e l'Agente e Console Generale d'Inghilterra nella Reggenza di Tunisi circa la quistione suscitata dall'adesione che il Governo tunisino sembrava disposto a dare al progetto di riunire un consiglio, ossia commissione finanziaria, che avrebbe diretto ogni affare concernente le finanze della Reggenza, non esclusi quelli sui quali sono già intervenuti positivi accordi del Governo istesso con negozianti esteri. A questo riguardo nascono due questioni ben distinte sulle quali con molta opportunità, il Signor Wood ha già chiamato l'attenzione del suo Governo. La prima di queste due quistioni consiste in ciò che ove il progetto di riunire la commissione finanziaria dovesse porsi ad effetto nel modo suggerito dall'Agente e Console Generale di Francia a Tunisi, si verrebbe a costituire nella Reggenza un'autorità superiore a quella che nominalmente conserverebbe la sovranità e la responsabilità degli atti governativi e quest'autorità si creerebbe con un consiglio composto di una preponderante maggioranza francese, sotto la presidenza effettiva d'un francese delegato dal Governo imperiale. La seconda quistione poi sta in ciò che ora si pretenderebbe mettere in discussione

davanti alla commissione in discorso anche le ragioni di credito già definite e formalmente riconosciute con regolari contratti stipulati dal Governo del Bey con varii sudditi italiani e britannici, o quanto meno disporre altrimenti di quei cespiti di proventi go

vernativi che furono dati in guarentigia dei contratti medesimi.

Per verità le finanze della Reggenza di Tunisi richieggono che i Governi i quali hanno vistosi interessi commerciali in quella Reggenza, si mettano d'accordo per provvedervi; ma se provvedimenti eccezionali sono indispensabili a noi sembra che questi debbano essere proposti al Governo del Bey di accordo fra i Gabinetti d'Italia, della Gran Bretagna e della Francia e che non possano in nessuna ipotesi distruggere gli effetti di contratti regolari anteriori dai quali ebbero origine diritti incontestabili di cittadini Italiani ed Inglesi stabiliti nei paesi della Reggenza.

Il Console Generale a Tunisi ci ha comunicato un progetto che il Signor Wood avea presentato al Bey per sostituire alla commissione puramente francese, un consiglio nel quale tutte le potenze e tutti gl'interessi commerciali avrebbero avuto uguale rappresentanza. Ci spiacque assai di vedere che il Governo di Tunisi non abbia tenuto in miglior conto una così savia proposta che avrebbe potuto formare la base di un accordo soddisfacente per tutte le potenze. Nello stato attuale di cose, avendo noi saputo che l'agente francese a Tunisi faceva vivissime istanze perché il Bey accettasse il progetto, che creava una commissione di membri francesi abbiamo dato istruzioni precise al R. Agente e Console Generale in Tunisi di dichiarare al Governo del Bey che noi non riconosceremmo mai l'autorità d'una commissione nominata senza il nostro consentimento ed il nostro concorso, ed abbiamo nel tempo istesso invitato il Ministro di Sua Maestà a Parigi d'intendersi coll'ambasciatore di Sua Maestà Britannica per fare presso il Gabinetto francese quei passi che sarebbero necessari onde impedire che si pigliassero dal medesimo decisioni contrarie agl'interessi politici e commerciali che impegnano l'Italia e l'Inghilterra in questa quistione.

(l) Cfr. n. 230.

240

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 345. Firenze, 17 aprile 1868.

In quest'anno, com'è d'uso, i Consoli e gli uffici consolari in Siria hanno celebrato l'anniversario di S. M. il Re Nostro Augusto Sovrano con quelle pub

bliche dimostrazioni di festa che si sogliano praticare in quell'occorrenza dagli Agenti consolari stranieri in quei paesi.

Fra le cerimonie d'uso in simile circostanze tengono un posto rilevante le visite ufficiali che nel giorno della festa del proprio Sovrano ogni Console ed Agente consolare riceve dalle autorità e dai proprii colleghi a carico ben inteso di reciprocità. Quanta importanza si annetta a queste cose nei paesi di Levante appena è necessario ch'io accenni. Basta il dire che nessuno crederebbe certamente venuto per ora il tempo di rinunziare a quell'apparato esteriore che circonda l'autorità dei Consolati stranieri in quei paesi.

Questi brevi cenni premessi io debbo chiamare la di Lei attenzione sulla singolare condotta degli agenti francesi in varie località della Siria nel giorno appunto in cui i nostri agenti consolari festeggiarono l'anniversario di S. M. il Re.

Il Console di Francia in Beyrouth si astenne, solo fra tutti i consolati colà stabiliti, dal porgere in quel giorno al nostro console generale le felicitazioni d'uso.

Uguale condotta ha tenuto verso il R. agente consolare il Signor Bianche console francese a Tripoli di Soria.

Ad Aleppo il R. Console ed il Reverendo Padre Guardiano di Terra Santa avrebbero desiderato festeggiare anche religiosamente si fausta ricorrenza, ma il Console di Francia essendosi espresso con quel Reverendo Superiore delle Missioni cattoliche in senso da lasciar credere che il nostro console dovesse chiedergli anticipata licenza per far celebrare nella chiesa parrocchiale la religiosa funzione in commemorazione della nascita del Re Vittorio Emanuele, il

R. Console molto opportunamente !imitavasi a ringraziare quei padri del loro buon volere non giudicando conveniente sottoporsi a così singolare pretesa del Console france::,e. Né sarà fuori luogo soggiungere a questo proposito che i Missionarii, volendo cionondimeno associarsi alle dimostrazioni della Colonia italiana, recavansi essi pure a visitare il R. Console in quel giorno di festa nazionale.

Non è mestieri ch'io faccia a lungo osservare alla S. V. come del contegno degli agenti francesi in Siria sia nostro stretto diritto di dolerci perocché avendo ognora i nostri agenti consolari in Levante adempiuto, in occasione della festa nazionale di Francia, le formalità d'uso, mal si comprende che la reciprocità non sia stata osservata dagli agenti francesi nell'occasione della festa del nostro sovrano.

Non potendo credere che l'operato di quegli agenti imperiali ottenga l'approvazione del Governo di S. M. l'Imperatore io voglio sperare che S. E. il Marchese di Moustier, informato dalla S. V. dell'accaduto, troverà opportuno che gli agenti medesimi che hanno mancato alle cortesie d'uso verso i nostri Consolati, abbiano a fornire ai loro colleghi d'Italia soddisfacenti spiegazioni. Ove così non fosse mi vedrei nella necessità d'invitare gli Agenti e Consoli di Levante di astenersi d'ora innanzi dal prendere parte in qualsiasi maniera alle feste francesi, dovendo ritenere che il Governo imperiale non giudica obbligatoria nei suoi agenti la reciprocità di simili cortesie.

241

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 985/400. Londra, 17 aprile 1868 (per. il 21).

Mi sono oggi recato da Lord Stanley per sapere se aveva avuto qualche riscontro da Parigi circa le rimostranze da lui rivolte per mezzo di Lord Lyons al Gabinetto Imperiale; ma Sua Signoria mi rispose negativamente. Mi pregò però di passare nuovamente al Foreign Office lunedì prossimo, sperando di potermi rassegnare in quel giorno tanto la comunicazione che senza dubbio sarà per fargli il Principe La Tour d'Auvergne, quanto quella che Lord Lyons gli farà pervenire da Parigi.

Ho accolto con piacere tale invito, il quale prova come questo Ministro degli Esteri veda di buon occhio un'azione comune col Governo del Re in ciò che riguarda la crisi attuale insorta nella Tunisia, ed appena mi verrà fatto di conoscere qualche cosa, lo segnalerò per telegrafo alla E. V.

Io ho di nuovo insistito sull'utilità, sia per l'Inghilterra che per noi, di agire d'accordo in siffatta questione, non omettendo di accennare alla giusta influenza che il nostro Governo ha sempre esercitato presso il Bardo, e Mylord mi disse di riconoscere pienamente che, entrambe lasciate in disparte nelle recenti proposizioni francesi, la Gran Bretagna e l'Italia avevano eguali interessi a difendere a Tunisi.

Questa è la prima volta che Sua Signoria si espresse con me in modo sì esplicito intorno a questa vertenza, e m'affretto perciò di renderne conto a V.E.

Discorrendo dei fatti avvenuti tra il Bey e il Console francese, Lord Stanley mi significò che il Signor Wood ha pt!re, dal canto suo, informato il Forelgn Office che la pressione posta in opera dal rappresentante di Francia assunse il carattere di un vero atto di minaccia.

Ritengo di non essermi ingannato, rassegnando a V. E. col mio rapporto politico N. 398 (l) che, circa l'operazione finanziaria conchiusa sotto gli auspicii di due sudditi italiani e due inglesi, il Governo britannico desiderava avere maggiori ragguagli, poiché ho ragione di credere che la primitiva mia nota che io scriveva dietro gli ordini contenuti nel di Lei dispaccio politico N. 73 (2), fu inviata in copia al Signor Wood.

Nell'accusarle ricevuta dei suoi dispacci N. 75 e 76 di questa serie (3) , ...

242

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 652. Parigi, 17 aprile 1868 (per. il 20).

In una conversazione che ebbi jeri con S. E. il Marchese di Moustier, domandai a questo Ministro se agli occhi del Governo francese vi fosse qualche

soggetto d'inquietudine pel mantenimento della pace in Europa. Il Marchese di Moustier mi disse senza esitare che le notizie giunte al suo Ministero da tutte le parti d'Europa erano del tutto pacifiche, e m'assicurò nel medesimo tempo che le intenzioni dell'Imperatore Napoleone e del suo Governo erano ugualmente dirette al mantenimento della pace, che perciò le voci inquietanti sparsesi in questi ultimi giorni erano senza alcun fondamento. Le medesime assicurazioni pacifiche furono ultimamente espresse in una pubblica riunione dal Signor Baroche Ministro di Grazia e Giustizia. Sia dal Marchese di Moustier come dal Conte di Goltz Ambasciatore di Prussia, ho saputo che nessuna parola fu scambiata tra i due Governi relativamente alla questione della retrocessione di una parte dello Schleswig alla Danimarca, in esecuzione del trattato di Praga. Bensì la Prussia si trovò in caso di fare qualche osservazione a proposito dell'internamento della Legione Annoverese in Francia. Il Governo francese aveva annunziato al Gabinetto di Berlino che i soldati Annoveresi serebbero stati internati nella campagna a Reims, Eperncy, ed altre località della Champagne, e che gli ufficiali sarebbero stati internati in altre città come Orléans ecc. in guisa che non si sarebbero trovati in contatto coi soldati, e non avrebbero esercitato sovra di essi alcun atto di disciplina. Sembra invece che alcuni ufficiali siano rimasti nelle località destinate ai soldati, e che esercitino sopra di questi una specie di disciplina. Quindi le osservazioni, amichevoli del resto, che il Conte Goltz avrebbe dovuto dirigere al Governo Imperiale. Altro motivo di malcontento in Prussia verso la Francia è la prossima visita che l'Imperatrice d'Austria intende fare alla Corte delle Tuileries. Sembra che questa visita abbia luogo in fine di maggio o in giugno, e che anche l'Imperatore d'Austria venga di nuovo in Francia a questa occasione. La Corte di Prussia vede con evidente dispiacere queste visite reciproche dei Sovrani di Francia e d'Austria, mentre nota con rammarico che l'Imperatore Napoleone non ha reso al Re Guglielmo la visita che questi gli ha fatta nello scorso anno. Se si aggiunge a questi dissapori, invero non molto gravi, il fatto più grave dei grandi armamenti in Francia, si spiega facilmente come la pubblica opinione duri fatica ad accogliere con intiera fiducia le assicurazioni pacifiche date da varii Gabinetti. Tuttavia non si può dubitare che le grandi probabilità per la durata della pace poggino sopra un serio fondamento.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 194. (3) -Cfr. n. 219; il d. 76 non è pubblicato.
243

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 653. Parigi, 17 aprile 1868 (per. il 20).

Ho l'onore d'accusar ricevuta e di rispondere al dispaccio di Serie Politica

n. 340 (l) che l'E. V. mi fece l'onore di scrivermi a proposito delle misure finanziarie prese dal Governo francese con quello del Bey di Tunisi.

(l} Cfr. n. 226.

Conformemente alle istruzioni dell'E. V. mi recai da Lord Lyons, Ambasciatore d'Inghilterra, per conferire con esso intorno a questa questione nella quale sono implicati al pari degli italiani gli interessi inglesi. L'Ambasciatore di S.M. b11itannica mi disse che difatti aveva avuto dal suo Governo l'istruzione di muovere osservazioni presso il Governo francese contro le misure prese a Tunisi, e contro la formazione d'una commissione che porta il carattere di un'istituzione esclusivamente francese. Io feci per parte mia conoscere a Lord Lyons che il Governo del Re m'aveva incaricato di fare in proposito i passi occorrenti presso il Governo francese, dopoché ne avrei conferito con essolui, ed aggiunsi che avrei parlato di questa questione col Marchese di Moustier nella giornata di jeri. Lord Lyons mi disse che anch'esso ne avrebbe parlato nello stesso giorno al Ministero imperiale degli Affari Esteri.

Ieri difatti Lord Lyons prima, ed io dopo di lui, abbiamo esposto al Marchese di Moustier le osservazioni dei nostri rispettivi Governi.

Il Marchese di Moustier cominciò per farmi un sunto storico di questa vertenza. Egli mi disse in sostanza: che il debito tunisino si divide in debito consolidato e debito fluttuante, che il consolidato è quasi esclusivamente in mano di sudditi francesi; che il fluttuante è diviso fra Europei di varie nazionalità, fra cui predominano i Francesi, gl'Italiani e gl'Inglesi; che il Bey di Tunisi trovandosi in bisogno di danaro per far fronte alle esigenze del proprio Governo, dopo essersi invano diretto a Londra, si rivolse a Parigi; che trovò danaro in Francia a condizione di dare certe guarentigie; che lo stesso Bey offrì e propose, per guarentigia, la formazione della Commissione di cui si tratta; che il decreto costituente questa commissione è emanato ed è ormai divenuto un fatto compiuto; ma che in realtà questa commissione costituiva finora un semplice atto conservatorio, una presa di possesso d'un pegno per guarentigia di tutti; che il Governo francese desiderava vivamente che il Governo italiano non si opponesse ad una combinazione ch'era utile per tutti gli Europei; ch'egli non escludeva gl'interessi legittimi degli altri Stati; che il Gabinetto delle Tuileries era disposto ad intendersi direttamente con quello di Firenze, come con quello di Londra su tutto ciò che concerne questa vertenza, ma che considerava come cosa importante che la questione non si trattasse a Tunisi fra i Consoli rispettivi, per evitare che questa si complicasse con questioni di suscettività particolari.

Le medesime cose, presso a poco, furono dette dal Marchese di Moustier a Lord Lyons. Il Marchese di Moustier disse a me che il Governo francese era pronto ad intendersi col Governo del Re in tutto ciò che si riferisce a questa questione. A Lord Lyons disse più specialmente che il Governo francese era pronto ad intendersi con quello di S. M. britannica sulla composizione e sulle attribuzioni della Commissione.

L'Ambasciatore d'Inghilterra rende conto a Lord Stanley oggi stesso della sua conversazione di jeri col Marchese di Moustier.

L'E. V. giudicherà che cosa occorra fare in seguito a quanto il Ministro imperiale degli affari esteri disse a Lord Lyons ed a me. Pel caso in cui V. E. creda opportuno che si faccia un'altra comunicazione al Governo francese, stimerei utile che una tale comunicazione fosse fatta con dispaccio del quale la Legazione del Re fosse autorizzata a lasciar copia.

Le osservazioni presentate al Marchese di Moustier da Lord Lyons e da me produssero sul Ministro imperiale degli affari esteri una visibile contrarietà, benché le due conversazioni si siano passate in termini molto cortesi.

244

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 3. Vienna, 17 aprile 1868 (per. il 29).

Anche prima di ricevere il dispaccio in cui Ella mi chiede esatte informazioni sulla missione del Conte Liederkerke-Beaufort (1), io avevo cercato di conoscere qual fondamento di verità avessero le voci corse in proposito.

E per verità sono venuto nell'opinione che l'importanza di quella missione sia stata grandemente accresciuta: in ogni modo credo potere però assicurare

V. E. che essa non ha nessun rapporto colla questione romana e col potere temporale del Papa e che essa non solleva quindi per il Governo italiano nessuna questione d'interesse nazionale.

Il Conte di Liederkerke è un gentiluomo olandese in istretta relazione col famoso Conte Langrand Dumonceau col quale ha fatto in società in Ungheria e Boemia molti affari, ed ha comperato anche ultimamente delle grosse terre.

È un uomo onesto, a quanto mi si dice, cattolico fervente ma in pari tempo abile speculatore e che ha a Roma molti amici influenti.

Il Barone di Beust a quanto sembra aveva con esso una antica conoscenza e vedendo che la coscienza dell'Imperatore era molto agitata per la questione del Concordato stimò impiegarlo per una missione personale a Roma.

L'Imperatore scrisse al Papa una lunga lettera in cui gli dichiarava che serbando sempre intatta nel cuore la fede religiosa la più integra e la più pura e la riverenza più grande alla Santa Sede, egli come sovrano constituzionale non poteva negarsi ad accogliere i desideri del suo popolo espressi legalmente dai rappresentanti della nazione e quindi scongiurava il Pontefice a consentirlo a modificare il Concordato e ad armonizzarlo coi principii di libertà sanciti dalla constituzione.

Il Conte di Beaufort aveva missione di esporre al Cardinale Antonelli la situazione del paese, le esigenze della Stampa, ed aveva pure incarico di mostrargli come cedendo di buon grado la Santa Sede sopra alcuni punti, avrebbe potuto ottenere che sovra alcuni altri importanti le esigenze del Ministero Cisleitano si attenuassero. Il Cardinale Antonelli non respinse la proposta, ma il Papa fu colto da uno sdegno subitaneo, e la lettera che il Conte di Liederkerke fu incaricato di portare in risposta all'Imperatore, è acerba, sdegnosa e lascia poche speranze di giungere ad una conclusione. Il Conte di Beaufort lasciò improvvisamente Vienna chiamato per urgenza a Charleroi ove le sommosse popolari avevano compromesso i suoi interessi.

\1) Cfr. n. 229.

Il Ministro di Spagna mi ha detto che la nota redatta dal Ministero della

Giustizia contro il Concordato, è in molta parte erronea e scopre il fianco agli

avversarj; infatti la risposta della Curia Romana, egli mi assicurò, è redatta

con molta logica e confuta gli errori di dogma esposti dal Governo Austriaco.

Questo Ministro, che abita Vienna da quattordici anni e che conosce a fondo

gli uomini ed il paese, mi confermò le informaz:ioni che io avea assunte da

ottima parte: egli crede di sapere positivamente che nessuna questione politica

fu immischiata in questa missione e crede che essa non ha ravvicinato le parti.

Il Papa voleva assolutamente richiamare il Nunzio da Vienna, ma il Cardinale Antonelli ha per ora ottenuto di sospendere una determinazione, che sarebbe gravissima.

Io però non sarei stato completamente tranquillo se non avessi avuto in questo proposito un lungo colloquio col Conte Andrassy, imperocché confesso che il subitaneo mutamento avvenuto nella determinazione di inviare a Torino l'Arciduca Leopoldo mi avrebbe lasciato perplesso. Nondimeno una riflessione è utile a fars.i ed è questa, che il Govcmo Imperiale è costretto per fortificarsi di seguire una corrente anticlericale, che egli non ha seguito per proprio impulso, ma per calcolo e per necessità di conservazione e che egli perderebbe ogni frutto di questa nuova politica se fosse costretto ad assumere, rinnovando gli antichi errori, la difesa del potere temporale.

In Ungheria questa politica susciterebbe maggiori difficoltà che una politica che volesse mantenere il Concordato. Imperocché in fondo l'Ungheria, la di cui voce ha oggi la preponderanza nei consigli della Corona, è disinteressata nella questione del Concordato, poiché il suo Governo locale non lo ha mai riconosciuto né lo annovera tra i trattati: mentre essa sarebbe interessata ad una politica che impegnasse l'azione di tutto l'impero in una via ostile all'Italia, colla quale essa ha tutto l'interesse di mantenersi d'accordo. E come ho detto più sopra, mi sono confermato in questo concetto dopo il colloquio che ho avuto col Presidente del Ministero Ungherese in Pesth stessa dopo che ho presentato le mie credenziali all'Imperatore. Sua Maestà mi ha accolto con molta benevolenza ed accentuò vivamente la frase che egli era lieto che si fossero ristabiliti i buoni accordi di famiglia. Egli medesimo mi parlò del desiderio che avrebbe avuto di inviare l'Arciduca Leopoldo a Firenze, ma egli soggiunse «è meglio tra parenti e amici essere franchi: la situazione in cui mi trovo col Pontefice mi obbliga oggi a non dargli pretesto alcuno ad inconsulte risoluzioni, conto però fra breve inviare mio Cugino a Firenze perché tengo che la pace delle due famiglie e delle due nazioni sia francamente constatata in faccia al paese e che mostri che l'Austria e l'Italia non hanno né interessi né aspirazioni in contraddizione fra loro». Io naturalmente risposi con molta riserva ma accentuai la frase che il Re sarebbe grato all'Imperatore della cordiale intenzione che aveva avuta spontaneamente.

Dalla residenza imperiale passai immediatamente alla Casa del Conte Andrassy, che mi accolse cordialmente dirò anzi affettuosamente. Egli mi disse che era lieto di vedere il rappresentante dell'Italia unita presentare le sue credenziali nella Capitale dell'Ungheria redenta. Che gli Ungheresi non dimenticavano che avevano sofferto e combattuto assieme cogli italiani e che della nostra antica unione non rammentavano che una cosa sola: che gli interessi comuni erano sopravvissuti alla separazione politica. Egli stesso mi parlò del viaggio dell'Arciduca Leopoldo. Il commendator Blanc che lo aveva veduto la mattina onde chiedergli a quale ora io potea trovarlo in sua casa gli avea narrato in parte il mio colloquio con Beust ed il Conte Andrassy ne era restato meravigliato, imperocché l'ultima volta che egli avea veduto il Cancelliere dell'Impero il viaggio era in massima adottato. Egli mi disse che ne avea parlato pochi istanti prima col Barone di Beust, che trovasi a Pesth. Egli non si era peritato di esprimere al Cancelliere la propria opinione diametralmente opposta alla sua! Egli credeva che le convenienze di famiglia non dovevano essere posposte a considerazioni politiche, e credeva che questo atto di deferenza alla Corte di Roma avrebbe anzi reso più difficile che questa scendesse a idee pacifiche. Però egli mi assicurò che il Barone di Beust gli avea dato parola che appena firmate le tre leggi che infrangono il Concordato, il Governo Imperiale avrebbe dato all'Italia ed al suo Governo un pegno efficace del suo vivissimo desiderio di stabilire una salda amicizia onde dissipare ogni illusione dall'animo dei suoi antichi partigiani. Intanto però l'Imperatore avrebbe scritto al Re una lettera cordialissima pel matrimonio del Principe.

Il Conte Andrassy continuò dicendo che egli non avrebbe esitato ad assumere, se fosse stato nelle condizioni del Barone di Beust, la responsabilità di questo fatto; che egli credeva che le intenzioni e le apparenze di moderazione non avessero raddolcito per nulla il Governo del Pontefice, anzi avessero in lui accresciuto l'audacia e l'ostinazione: però egli doveva richiamare la mia attenzione sopra il fatto che il Barone di Beust era protestante, ciò che rendeva la sua posizione molto ardua e che appunto per ciò egli credeva andare molto guardingo e cauto, essendo fatto segnu agli attacchi quotidiani di alcuni alti personaggi che cercano di perderlo nell'animo dell'Imperatore. E per esso la necessità del momento la più urgente era di vincere e di far firmare all'Imperatore le tre leggi.

Io interruppi il Conte Andrassy chiedendogli se dunque la voce che correva

sull'esistenza dell'Imperatore fosse fondata. Al che egli mi rispose vivamente

che non vi era il menomo dubbio che l'Imperatore fosse fermamente deliberato

di sancire le tre leggi, ma che appunto per ciò bisognava evitare di far nascere

delle complicazioni o degli eventi che potessero per avventura modificare

questa risoluzione. Queste parole del Conte Andrassy m'indussero a credere che

il Barone di Beust non è sicuro come egli dice di mantenere l'Imperatore nella

linea di condotta adottata, e che egli teme non le risoluzioni della Corte di

Roma, ma che il partito feudale possa trovare una opportunità onde staccare

il Sovrano dai Ministri. Io credo che il Cancelliere ha temuto che sotto l'appa

rente fiducia di lasciare la cosa alla sua responsabilità i suoi attivi avversari

non gli avessero preparato un laccio. Io cogliendo la palla al balzo condussi il

Conte Andrassy a parlare della missione Liederkerke. Come ho già accennato

a V. S. egli mi confermò quanto io ho precedentemente scritto. Egli mi disse

che quella missione era inutile. Che bisognava porre tutte le leggi in armonia

colla costituzione e coi principi di libertà adottati dal Governo e poi trattare.

Egli mi disse: «quando si vuole commettere un peccato non si va dal Confessore

a dirgli: assolvetemi da un peccato che voglio commettere; imperocché il con

fessore non vi può canonicamente assolvere. Si commette il peccato e poi si domanda l'assoluzione, ed allora con un poco di contrizione si ottiene. Non temete però che nelle trattative si sia fatta menzione di questioni politiche, vi do la mia parola d'onore che io conosco il Barone di Beust e so che in questo è più fermo che qualunque altro: d'altronde il paese non tollererebbe una politica che s'immischiasse tra l'Italia ed il Pontefice nella questione romana. L'Austria non porrà mai il suo dito tra l'albero e la scorza. Il Concordato bisogna che sia abolito: la Corte di Roma deve intendere che la ragione per cui fu stipulato è sparita colla dominazione austriaca in Italia. L'Impero non ha più bisogno in Italia di essere sussidiato dalle influenze clericali. L'Austria era necessariamente un governo cattolico fino a tanto che era anche un regno italiano. Quali interessi ha ora di sopportare dei vincoli che inceppano la sua libertà ed il suo sviluppo morale? Né vale il dire che appunto per sciogliersi da questi vincoli potrebbe assumere degli obblighi internazionali. No: per far ciò bisogna avere la necessità di conciliarsi l'appoggio del clero in Francia. In Austria questo bisogno non esiste poiché le condizioni della dinastia sono essenzialmente diverse dalle condizioni della dinastia francese. La questione di Roma ha cessato per l'Austria di essere una questione interna dal giorno della cessione della Venezia. Queste considerazioni debbono, conchiuse il Conte Andrassy, rassicurarvi compiutamente; e dite pur francamente al Vostro Governo che fino a tanto che l'attuale Ministero è al potere non è certo dalla parte dell'Austria che verranno mai ostacoli e dHficoltà all'Italia. E d'altra parte aggiunse egli, l'alleanza col Governo italiano sopra tutto per l'Ungheria è naturalmente indicata dalle condizioni generali di Europa.

Il Conte Andrassy non crede alla guerra contro la Prussia; egli crederebbe questa guerra insensata, fatale agli interess.i. del suo paese, che non ha nulla da guadagnare se per avventura l'Austria ottenesse una rivincita di Sadowa. Egli rende omaggio al Barone de Beust che antico antagonista del Conte di Bismarck, ha completamente mantenuto il suo programma di astensione negli affari germanici. Ciò che non può dirsi del Conte di Bismarck; egli ammira molto il carattere fermo e l'abilità del primo ministro prussiano, ma bisogna confessare che la sua politica è una politica provocante che invece di schivare le difficoltà par si compiaccia di crearle. Il Governo prussiano ha il torto di fomentare le agitazioni in Ungheria, il partito di Kossuth al quale si appoggia non ha alcun credito né alcuna reale influenza. Oggi stesso il Governo Ungherese ne ha avuto una prova. Si erano formati in tutto il paese dei clubs democratici legati fra loro da un identico statuto. Il Ministro dell'Interno ha esigito che facessero approvare questi statuti dal Governo, e siccome questo statuto stabilisce che l'associazione è fondata per diffondere i principj di fraternità e di eguaglianza, ma al di fuori dell'attuale constituzione che ne impedisce l'attuazione, egli ha rifiutato il suo assenso. I democratici avevano giurato che non si sarebbero sciolti che colla forza e spargendo sangue. È bastata invece l'intimazione del sindaco di Pesth accompagnato da una sola guardia municipale, perché si sciogliessero pacificamente.

Ciò prova che tutte le volte che i governi mostrano della forza i pericoli più gravi si attenuano e la libertà è salvata dai propri eccessi e ciò prova che il Governo di Berlino non fa un assennato assegnamento su questi elementi. Se spende danaro come si dice lo spende molto male e senza frutto. Oggi l'Ungheria non desidera staccarsi dall'Austria, perché oggi l'Ungheria ha trascinato nell'orbita della sua influenza la monarchia austriaca. E le provincie austriache aumentano la forza complessiva dell'Impero.

Il Trattato di Praga inibendo all'Austria di occuparsi della Germania ha capovolta la situazione. Prima di esso erano gli interessi germanici che prevalevano nella politica generale dell'impero oggi invece sono gli interessi ungarici.

Nel dualismo creato dalla nuova costituzione l'eguaglianza è vero che è perfetta; ma il centro della monarchia finirà per gravitare dove il peso è maggiore. E il peso maggiore è incontrastabilmente oggi a Pesth e questo peso aumenterà sempre. Per la dinastia è una questione d'influenza. La dinastia d'Asbourgo dopo di avere esercitato negli affari d'Europa la massima influenza non può rassegnarsi a non esercitarne alcuna. Ora a fronte alla Prussia l'influenza che l'Austria potrebbe esercitare in Germania sarebbe una influenza reazionaria. All'incontro l'influenza che l'impero può esercitare dal lato dell'Oriente è un influenza nazionale e civilizzatrice. Il Governo Imperiale e sopratutto il Barone di Beust sanno perfettamente che le dinastie che oggi in Europa vogliono prosperare bisogna che r·icerchino la propria ispirazione e la propria forza nelle idee nazionali e liberali. In Germania l'Austria dovrebbe combattere contro la Prussia, cioé contro l'Unità, in Oriente invece contro la Russia; cioé contro la conquista. In una guerra contro la Germania per appagare le idee francesi il Governo si troverebbe in opposizione con tutta la monarchia. In opposizione colle provincie tedesche, perché queste non aiuteranno mai l'intervento straniero. In opposizione colle provincie al di qua della Leitha, perché queste non hanno nessun interesse ad aumentare la preponderanza delle provincie tedesche della monarchia. Il solo pericolo di una guerra sta nell'alleanza prussiana e russa. L'Ungheria non permetterà mai dovesse ella spendere l'ultimo suo fiorino e lasciare uccidere l'ultimo suo Honwed, che l'influenza· russa si estenda, si propaghi nei paesi slavi e nella Rumenia. Sventuratamente la Russia invece di rimanere tranquilla si agita e fa continua ed attiva propaganda. Il Conte di Andrassy deplora la condotta tenuta dal Principe di Serbia e dal Principe di Rumenia e sopratutto deplora che quest'ultimo permetta un'agitazione ostile all'Ungheria. L'Ungheria non vuole conquistare la Rumenia né altri paesi vicini: l'Ungheria vuole soltanto mantenere la propria integrità e non vuole che la Russia agglomerando tutti i piccoli Stati slavi e rumeni diventi una minaccia per la propria indipendenza. Se il vessillo della Rumenia fu portato nella cerimonia dell'incoronamento a Pesth, è una vecchia usanza, come è una vecchia usanza chiamare il Re d'Italia Re di Cipro: ma ciò che non proviene da una vecchia usanza, ma da uno spirito aggressivo sono le pubblicazioni di carte geograncne, aove si veggono marcate sotto i colori prussiani la Rumenia, la Transilvania, la Bucovina ecc.

Io ho voluto esporre le idee svolte dal Conte Andrassy benché io non divida compiutamente le sue idee sulla solidità di una costituzione che poggia sul dualismo di due popoli che hanno interessi ed aspirazioni diverse. Io dubito molto che gli Ungheresi possano ottenere dai sette milioni di tedeschi dell'Impero che essi rinunzino stabilmente alle aspirazioni di riconquistare il proprio posto nella grande Germania. Essi, io credo, tentano di realizzare cosa impossibile, come tentò una cosa impossibile pure esso il Governo Centralista austriaco

23 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

quando volle appunto spegnere le aspirazioni degli italiani e degli ungheresi. Io mi riserbo su questo proposito di ragguagliare V. E., ma credo intanto affermare che il Governo francese è indotto in errore quando spera dell'alleanza austriaca fare la base di una politica aggressiva contro la Prussia.

Nelle ore più tardi vidi il Cancelliere Barone di Beust a pranzo dall'Imperatore. Egli mi comunicò che il Barone di Ktibeck gli avea espresso il rammarico del Governo del Re per la risoluzione adottata di non inviare l'Arciduca Leopoldo a Firenze sovratutto per la ragione addotta. Egli si sorprendeva di ciò, imperocché se noi siamo amici egli diceva sinceri dobbiamo scambievolmente aiutarci. Ora noi vi domandiamo di aiutarci in un momento difficile, non allarmandovi del nostro contegno; lasciate che noi raggiungiamo Io scopo dell'abolizione del Concordato e sarete contenti.

Io non potei a meno di dirgli che ero stato personalmente dolente che egli avesse creduto immischiare il Barone di Ktibeck in questa faccenda, perché era cosa personale fra noi e che non dovea engager in nessun modo il Governo. Mi rispose che avea ragione ma che egli lo avea fatto perché teneva a dare delle spiegazioni soddisfacenti e a mostrare il suo buon volere. Mi parlò egli pure della missione del Conte Liederkerke e mi diede le spiegazioni le più chiare e le più positive in proposito.

Accomiatandomi da Sua Maestà mi disse: «Dica al Re che non prenda in mal animo la mia risoluzione. C'est un service d'ami et de parent que je réclame».

Queste spiegazioni varranno ad attenuare in parte la cattiva impressione prodotta in Lei da questo incidente.

245

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1081. Costantinopoli, 18 aprile 1868, ore 19,30 (per. il 21).

Aali pacha et Fuad pacha consultés séparément s'opposent à toute innovation à l'égard des consuls de Tunis. L'agitation politique parait expliquer leur refus. Je me propose de revenir à la charge dans des circonstances plus propices.

246

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1089. Tunisi, 21 aprile 1868 (per. ore 23 del 23).

J'ai tout lieu de croire que des négociations soient pendantes entre le général Roustan, ministre de l'intérieur du Bey, qui se trouve à Paris, et le marquis Moustier pour un emprunt de 35 millions afin de désintéresser Ies italiens et les anglais. De cette manière la question fdnancière serait résolue mais reste toujours la question politique bien plus importante si la commission venait à étre formée d'après le projet français.

247

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TANGERI, CASTELLINARD, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 21. Tangeri, 21 aprile 1868.

A sollecito riscontro dell'ossequiato Dispaccio confidenziale 29 marzo scorso, al n. 2 (1), recomi a debito accertare V. E. non esistere qui verun Comitato del genere di quello segnalato.

Il Generale di cui è in esso dispaccio menzione abbandonò Tangeri sei mesi prima del mio arrivo qui, né più comparve. Allorché trovavasi in questa stavasene continuamente alla Legazione a noi contigua, ov'era accolto con grande distinzione ed affetto dal Capo.

Non ho mancato di prendere tutte le misure necessarie, e V. E. ne sarà tosto ed esattamente edotta, qualora capitasse qui qualche cosa. Debbo però rassegnarle essere poco probabile vengano qui depositate, perché l'importazione ne è proibita, e perché queste Dogane sono prive di magazzini di deposito per le merci proibite. Ve ne sono bensì da oltre un anno e mezzo 1500 a 2000 in questi magazzini Doganali, ma vecchi ed a selce, fatti venire da questo Console Belga per conto del Governo locale cui pare non garbino.

L'unica società qui introdotta da alcuni mesi a questa parte, è la massonica e ad essa associaronsi i pessimi fra gl'Israeliti.

Sono pertanto d'avviso che se qui verranno si fermeranno in rada, ed in tal caso ne sarò anche avvisato. Egli è poi probabile che se esistono intelligenze si depositeranno in Tarifa ed in Algesiras preferibilmente a Tangeri.

248

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1084. Londra, 22 aprile 1868, ore 17,25 (per. ore 20,40).

Stanley m'a dit qu'il n'a reçu aucune réponse de Paris au sujet de Tunis. Il croit que Moustier est embarrassé à s'expliquer. Stanley pense que le différend sera traité à Paris et il semble accepter cette idée.

249

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 37. Pietroburgo, 22 aprile 1868 (per. il 6 maggio).

Non ebbi occasione in questi giorni di condurmi al Ministero degli Affari Esteri, non occorrendo nessuna comunicazione da fare al Cancelliere dell'Im

pero, ma so, per il linguaggio che Egli tenne con quelli tra i miei Colleghi che con lui conferirono, come si smentisca formalmente la notizia divulgata da alcuni diarii delle spiegazioni che sarebbero state richieste dal Gabinetto di Pietroburgo a quello delle Tuileries sui grandi armamenti che si vanno facendo dal Governo di Francia. Non vi ha nulla sull'attitudine della diplomazia e della corte di Prussia, siccome già ebbi l'onore di significare altra volta all'E. V., che faccia presagire vicini moti di guerra né si crede generalmente che gli apparecchi militari dell'Impero sian tali da poter resistere validamente, ad una eventualità di tal natura: l'uso dei fucili a retrocarica non venne per anche messo in pratica dalle truppe Russe: ne furono, egli è vero, ordinati in buon numero nelle fabbr~che nazionali ed in America, ma guari tempo si richiederà ancora prima che esse ne siano fornite al medesimo ragguaglio che le prussiane e le francesi.

Sò anzi da buona fonte che il Generale Ignatieff, il quale riguardasi tuttora da molti come il designato successore del Principe Gortchacow al gran Cancellierato, prima del suo ritorno in Costantinopoli, siasi rattemprato alquanto ne' suoi concetti di una politica più intraprendente in vista appunto di questi ritardati apparecchi e di una amministrazione militare poco rassicurante da lui osservata durante l'ultima sua dimora in Pietroburgo.

All'E. V. sarà forse noto come la diplomazia francese in Costantinopoli abbia preso una certa inquietudine di non sò qual trattato segreto di alleanza che sarebbesi stipulato fra il Governo di Serbia e quel di Valacchia. Il Gabinetto Russo, venuto alle investigazioni, afferma null'altro esservi di vero nelle voci sparse che l'esistenza di una semplice convenzione per istabilimento di confini fra i due Principati suddetti, alla quale solamente erasi posto innanzi un preambolo contenente alcune parole patriottiche di amicizia scambievole fra i due stati, che per altro non eccedevano i termini della pura forma, senza accennare a verun impegno di cui le potenze Europee dovessero punto nel mondo turbarsi.

Conseguentemente i Rappresentanti Russi a Bucharest e a Belgrado ricevettero istruzione di consigliare quei Governi a voler rendere il trattato ond'è parola di pubblica ragione affinché l'evidenza del fatto, divenuto notorio, smentisca tutte le false o esagerate supposizioni.

Al R. Governo esser dee egualmente noto come la missione degli inviati montenegrini a Costantinopoli sia venuta meno, e come 1 due legati del Principe Niccolò si sian di quivi partiti senza aver ottenuto dalla Porta assenso a veruna delle richieste loro. La cattiva pruova da essi fatia si attribuisce eziandio dalla Cancelleria Russa all'ingerimento dell'Ambasciata di Francia, del che essa è qui grandemente chiamata in colpa poiché la cessione di un porto di mare al Montenegro, essi dicono, recherebbe i più salutari effetti negli spiriti di quella popolazione armigera ed irrequieta, in ordine alla pace ed alla conservazione dell'Impero Ottomano, con l'aprirle un nuovo adito, mercé la possibilità della navigazione e del commercio, ad incivilirsi ed a posare.

La chiesta rinunzia del Barone di Budberg, dopo lo scontro in duello da lui avuto con suo offensore Barone di Meyendorff, è il principale argomento di discorso in tutti i crocchi della città e credo ancora nei consigli dell'Impero in questi giorni. Non potrei affermare senza più che una risoluzione su tale soggetto sia stata presa in alto loco, ma tutto quello che ne intendo m'induce a credere che al Budberg sarà concessa la rinunzia da lui domandata, comecché se ne indugi ancora la risoluzione. Vero è che egli, nel farne la richiesta allo Czar, si è lamentato della poca protezione avuta, anzi dell'abbandono in cui il suo Governo lo ha lasciato in si doloroso cimento; ed in effetti sarebbe impossibile il dissimulare come ben poche voci siansi qui levate a sua difesa, e come il Budberg, ed i suoi amici siansi dovuti accorgere in questa occasione di quanto poco favore egli goda nel paese e nella Corte.

Ma non si vuol credere, Signor Ministro, che cosìfatto disfavore manifesto sia nato oggi, e derivi solamente dal malaugurato incidente di Verviers, esso ha nel fondo più alte cagioni, ed io non mancai in altri miei rapporti di farne cenno. Queste cioè consistono nella natura poco soddisfacente delle relazioni che passano fra i due Imperi, ed in una certa fiducia, che non so con quanta ragione, si attribuisce al Budberg negli atti e nelle parole del sovrano presso cui è accreditato.

Dei personaggi designati dalla pubblica opinione come successori del presente Ambasciatore a Parigi cioè il Valouieff, non ha guarì Ministro dell'Interno, e lo Schouvalow, Direttore della terza sezione, niuno de' due non fu accettato dal Principe Gortchacow, il quale propose in sua vece il Conte di Stackelberg alla nomina dell'Imperatore, per modo che questi già si ritiene dai più come definitivamente destinato a quell'Ambasciata. La cosa non si vuol rendere ancora palese e il Principe Cancelliere ricusò di darne informazione all'Ambasciatore d'Inghilterra Signor Buchanan, che ne lo richiese, ma quello che ne ritarda il compimento si è la scelta del diplomatico che dovrà surrogare il Conte Stackelberg a Vienna. Il Gortchacow propose all'Imperatore il Principe Lobanoff che è presentemente coadiutore del Ministro dell'Interno, stato già Ambasciatore a Costantinopoli, ma il Sovrano mostrò dapprima di avere qualche dubbio sulla convenienza di cosiffatta scelta, se non che è da credere il Ministro d'Affari Esteri riuscirà a vincere cotal ripugnanza; in ogni modo la sostituzione del Budberg a Par.igi non sarà senza qualche altro mutamento nel corpo diplomatico russo.

L'Imperatore con tutta la Famiglia si traferrà fra pochi giorni nella residenza di Tsarskoe Selèi, ed è probabilissimo il viaggio di S. M. Imperiale ai bagni di Kissingen nella prossima estate.

Il Principe Gortchacow anch'esso partirà quest'anno in congedo al mese di Giugno per condursi prima in Baden e dipoi in Kissingen a raggiung.ere il suo Sovrano.

Nel segnare ricevimento all'E. V. del dispaccio Politico n. 13 in data del 19 marzo u.s. (l) non che dei n. 18 Documenti Diplomatici a quello annessi...

(l) Cfr. n. 195.

(l) Non pubblicato.

250 L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R.R. 5. Vienna, 23 aprile 1868 (per. il 26).

Il Barone di Meysenbug, Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, partirà per Roma fra poco, incaricato di una missione confidenziale, di cui lo scopo, estraneo alla politica internazionale propriamente detta, è d'impedire che succeda una rottura fra la Santa Sede ed il Governo Imperiale, facendo presenti i vantaggi che la Chiesa può aspettarsi in Austria da un contegno moderato e paziente verso le leggi di riforma che questo governo non può non attuare.

Colla pubblicità data fin d'ora a quella missione, che però non si effettuerà probabilmente se non quando le tre leggi di riforma del Concordato saranno state formalmente sottoposte alla firma dell'Imperatore, si ebbe senza dubbio per iscopo di dar fin d'ora un pegno o almeno un argomento di speranza e di aspettazione al partito clericale dirigendo le preoccupazioni sue verso i compensi morali e materiali che egli potrebbe reclamare per le leggi di riforma anzidette, considerate come un male necessario, e facendo così diversione agli sforzi fatti finora da quel partito per impedire che l'Imperatore le sanzionasse.

Tale scopo sembrerebbe poter essere raggiunto se si argomentasse dalla viva soddisfazione, colla quale gli organi tutti della stampa cattolica accolsero la notizia di quella missione.

In una lunga conversazione che ebbi oggi col Barone di Meysenbug e di cui per difetto di tempo debbo riservarmi di ragguagliar domani V. E. (1), Egli mi assicurò essere cosa riconosciuta dal Governo Imperiale non poter né dovere essere da lui trattato colla Corte di Roma alcun argomento d'ordine politico che possa toccarci direttamente o indirettamente; ma potere invece essere offerti alla Santa Sede grandi vantaggi nel senso della libertà della Chiesa in Austria, con beneficio anche del Governo Imperiale e in vista di una conciliazione degli interessi posti ora in contrasto dal bisogno di un mutamento nelle antiche relazioni della Chiesa collo Stato.

Prego V. E. a voler considerare come riservato il contenuto del presente dispaccio.

251

VITTORIO EMANUELE II A PIO IX (2)

L. P. Torino, 24 aprile 1868.

Ci rechiamo a ben grata e doverosa premura di notificare a Vostra Santità che addì 22 d'Aprile fu solennemente celebrato in Torino, secondo il rito di Santa Madre Chiesa il matrimonio dell'amatissimo Nostro Figlio Umberto di

Savoja Real Principe d'Italia, con la diletta Nostra Nepote la Principessa Margherita di Sa.voja figlia del defunto Principe Ferdinando Duca di Genova, caro Nostro Fratello. Nella speranza che Vostra Beatitudine vorrà implorare la Divina grazia sui giovani Sposi, La preghiamo d'impartire a tutta la Nostra Famiglia la Sua Apostolica Benedizione.

(l) -Cfr. n. 6 del 25 aprile, non pubblicato. (2) -Ed. in PIRRI, p. 178 e in Lettere Vittorio Emanuele Il, pp. 1312-1313.
252

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 179. Balino, 24 aprile 1868 (per. il 1° maggio).

J'ai l'honneur d'accuser réception et de remercier V. E. de sa dépeche du 18 courant série politique n. 72 (l) dépeche à laquelle étaient joints les documents diplomatiques du n. 79 au n. 115, sans lacune.

Le n. 89 a particulièrement fixé mon attention. Je partage entièrement l'avis de M. le Chevalier Nigra sur les dangers de la situation, quelles que soient les déclarations pacifiques des journaux officiels et officieux. Maintes fois dans ma correspondance j'ai pris l'alarme. Le Comte de Bismarck garde et doit garder une prudente réserve. On ne cite de lui que ce propos assez caractéristique cependant, qu'il a tenu, il y a peu de jours: «la France est partagèe entre la crainte et le désir d'une guerre. Je ne la crains point et ne la désire point ». Son entourage est plus explicite.

M. de Thile me disait hier encore que les intentions de l'Empereur reproduites dans un discours récent de M. Baroche étaient en contradiction avec les préparatifs belliqueux qui ne discontinuent pas en France. Augmentation de troupes, formation prochaine de camps dans les départements de l'Ouest. Les achats de chevaux se poursuivent. Ils ont déjà atteint le chiffre de 105 mille. Le service des ambulances a été complété, et meme on a déjà fait des approvisionnements auxquels on ne songe qu'à la veille d'une entrée en campagne, tels que les médicaments etc. Et qui plus est, si cette donnée est exacte, on aurait déjà échelonné des provisions de blé sur les routes militaires.

En présence de ces faits, M. de Thile disait que les chances étaient contraires au maintien de la paix. Sans déclarer qu'il voulftt attribuer des arrière pensées à l'Empereur Napoléon dont aucun de ses Ministres ne conna.issait le dernier mot, il voyait dans le fait à lui seul de ces armements, suffisamment de quoi en conclure qu'on ne saurait trop se tenir sur ses gardes. Les différents questions à l'ordre du jour ne constitua1ent aucun péril imminent, à moins qu'on ne voulut s'en servir comme d'un prétexte à l'agitation, à une rupture.

On semblait en effet s'etre donné le mot de ne pas trop tendre la corde en Orient. En Italie, gràce à l'attitude de notre Ministère, les difficultés étaient en voie de s'aplanir. L'affaire du Schleswig parcourait la phase des négociations. Et sous ce rapport si on a fait grand bruit de prétendues démarches de

l'Autriche, du voyage à Paris de M. Raasloff, c'est qu'on s'est plil à représenter les choses sous un faux jour. Le Cabinet de Copenhague se défend d'avoir sollicité l'intervention d'une Puissance quelconque, nommément de l'Autriche. La dépèche du Comte de Frjis du 9 mars n'a été communiquée qu'à titre d'information au Cabinet de Vienne. Le Baron de Beust n'en a parlé que dans des termes généraux au Baron de Werther. Rien de sa part qui ress,emblftt à une démarche proprement dite. Le Comte de Wimpffen a reçu, il parait, une copie de la dépèche danoise précitée, mais ce n'était évidemment que pour le tenir au courant, car il n'en a pas soufflé mot au Comte de Bismarck.

«Nous ne pouvons admettre, ajoutait M. de Thiele, que la France veuille nous chercher querelle sur des questions essentiellement allemandes. Nous ne comprendrions pas sur quoi pourraient se fonder ses réclamations. Le Parlement fédéral n'a pas donné prise. Nous ne négligerons rien pour modérer les allures du Parlement douanier convoqué pour le 27 avril ».

Je me permis de demander si la question de Mayence n'était peut ètre pas rangée dans le nombre de celles qui excitent les susceptibilités du Cabinet des Tuileries. Certains journaux de Paris disent ouvertement que l'occupation de cette forteresse par des troupes prussiennes, occupation nullement prevue par le Traité de Prague, aurait un caractère offensif.

M. de Thiele n'ésitait pas à déclarer que du jour où l'on mettrait cette question sur le tapis, la Confédération y répondrait par une mobilisation de ses corps d'armée. Plutòt la guerre, que de se prèter à des exigences inadmissibles de toute manière. Il est vrai que s'il ne s'agit que d'un prétexte de conflit, H est toujours aisé d'en trouver, ne serait-ce que pour établir un prétendu équilibre équivalant à la prépondérance française en Europe, équivalant à la force de la France, au prix de la faiblesse des autres Etats.

Le Sous-Secrétaire d'Etat me parlant ensuite des pourparlers, relatifs à un désarmement, qui auraient eu lieu entre le Comte de Goltz et le Marquis de Moustier, me dit que lorsque les journaux en avaient donné la nouvelle l'Ambassadeur de Prusse avait été interpellé par le télégraphe. Il avouait qu'en effet ce sujet avait été abordé, mais d'une manière si vague qu'il n'avait pas jugé à propos d'en faire mention dans sa correspondance. Il n'y a donc eu ni négociations, ni proposition formelle. Il ne fallait pas s'y attendre d'ailleurs de la part de la France qui a trop accentué la nécessité de sa nouvelle organisation pour pouvoir reculer, lors mème que le désarmement lui paraitrait le dénouement le plus logique d'une situation qu'elle se plait à nommer éminemment pacifique.

Je rapporterai en outre le jugement d'une autre personne tout aussi intime avec le Comte de Bismarck.

Tout en raisonnant sur une lutte éventuelle entre la Prusse et la France, cette personne reconnaissait que cette supposition n'avait point de vraisemblance sous le rapport de la logique, de la sage politique et des convenances réciproques des deux Pays. Néanmoins elle prévoyait que les passions l'emporteraient en France sur les conseils d'une saine raison. Les impressions favorables du Prince Napoléon sur la Confédération du Nord, exerceront difficilement une action salutaire, vu le peu de crédit dont il jouit à la Cour et parmi ses compatriotes. L'observation ayant été faite que dans les craintes d'une guerre, il fallait aussi faire une part à l'opinion que non seulement la France ne voulut arreter l'essor de l'Allemagne, mais à la prévision que la Prusse elle-meme, le jour où elle serait convaincue de cette inévitable éventualité, ne prit l'initiative sans attendre que ses ennemis fussent armés jusqu'aux dents.

L'interlocuteur dont il s'agit combattait vivement cette dernière supposition, et citait à l'appui ce fait retrospectif.

Lors des affaires du Luxembourg, on connaissait parfaitement ici la faiblesse relative de la France. Elle n'avait en ligne que 250 mille hommes. Il lui fallait 60 mille chevaux et elle n'en avait que 10 mille, sans savoir où procurer les autres dans un court délai. Les généraux prussiens avaient dressé le plan de campagne, et ils croyaient qu'en peu de semaines ils auraient atteint Paris. Ils demandaient hautement qu'on ne laissàt pas échapper une belle occasion.

M. de Bismarck s'y opposa. D'après son avis, il entrevoyait des résultats funestes meme dans une victoire assurée. On ne trouverait chez l'ennemi aucun Hanovre à conquérir. Les Français humiliés se seraient, dans un temps donné, mis en mesure de prendre la revanche. On serait retombé dans la barbarie, ou du moins la civilisation aurait subi un temps d'arret. Le Président du Conseil eut gain de cause dans les conseils de la Couronne, et la paix ne fut point troublée. Ceci prouverait que le sens moral est très fort chez cet homme d'Etat.

Malheureusement ou heureusement peut etre l'état de la France n'était pas aussi bien connu à Nikolsbourg en 1866. Il faudrait, selon la manière de voir de quelques hommes d'Etat prussiens, que la France achevàt tous ses préparatifs, et qu'alors une bonne guerre -si ces mots ne jurent pas trop d'etre réunis -mit fin à la discorde sans laisser trop de rancunes. On compterait peut etre sur des défections en Allemagne, comme si la Prusse se berçait d'illusions à cet égard. Elle sait combien est grande l'animosité contre elle dans quelques Etats du Sud. Ceux-ci sont liés par des Traités d'alliance offensive et défensive aussi solidement que l'honneur et l'intéret bien entendu peuvent engager. Malgré cela leurs armées peuvent trahir tout comme un régiment prussien peut passer à l'ennemi. Si ces armées font leur devoir, tant mieux; et mieux encore si elles désertent la cause commune. Dans le premier cas, elles ne seront que de peu d'utilité, tant que le système militaire prussien n'aura pas fait plus de progrès chez elles. Dans le second cas, en cas de succès, on prendra leurs Etats. Quant à la Saxe, la loyauté bien connue de ses troupes, ne permet point de redouter une défection. Ce qui pourrait encourager le Cabinet des Tuileries, ce serait l'alliance de l'Autriche. En dépit de toutes les protestations contraires, le méme interlocuteur était convaincu que le Baron de Beust poursuivait une politique de rancune. Il aura pour lui la jactance, l'aveuglement, les memes rancunes de la Cour, de l'Aristocratie et de l'Armée. Dernièrement il a refusé de réduire l'armée ainsi que l'état des finances l'eut éxigé, parce que l'on ne pouvait pas prévoir les événements qui se produiraient dans le courant de 1868. Les deux Chambres ont voté sans objection.

Le Chancelier de l'Empire aurait mème fait dans la Commission du budget, la singulière remarque que la paix était plus menacée en 1868, qu'elle ne l'avait été au commencement de 1866.

Mème en faisant une certaine part à l'exagération dans les jugements portés par ces deux personnes, qui ont cependant l'oreille du Premier Ministre; mème en n'acceptant que sous bénéfice d'inventaire l'union éventuelle des forces de la France et de l'Autriche contre la Prusse, lorsque l'opinion publique en Hongrie, en plus d'une circonstance, a déjà manifesté une vive répulsion à favoriser des tendances dont elle risquerait d'ètre elle mème la victime, il ne reste pas moins vrai que la politique française oscille entre deux courants contraires qui vlennent aboutir à un Gouvernement personnel dont le passé n'est pas une garantie pour l'Allemagne. Si en effet sa neutralité en 1866, a facilité la tàche de la Prusse, celle-ci n'a pas oublié que l'Empereur a imposé sa médiation à Nikolsbourg; que nonobstant la circulaire Lavalette, M. Benedetti a été chargé, peu après, de formuler une demande de rectification de frontières; et qu'enfin le démélé du Luxembourg n'a été apaisé que grace à l'intervention de l'Europe. Dès lors la France procéda à des armements non interrompus. On sait en outre ici que les partis s'agitent en France, que le mécontentement grandit chez les impatients d'un régime plus libéral, chez les autres et surtout dans le monde commerçant et industrie!, à cause de la stagnation des affaires. Ajoutons-y ces gens qui ne sont jamais satisfaits de leur condition actuelle et qui dans leurs rèveries se transportent toujours dans les temps passés ou dans l'avenir, comme si leur but était de ne prendre racine nulle part. On pourrait compter aussi ces hommes faciles à enflammer, à séduire, qui confondant le penchant révolutionnaire avec l'amour de la liberté, et la vague exaltation patriotique avec le sentiment solide et inébranlable des droits et des devoirs civiques, ne reculent devant aucune aventure politique quand il s'agit de se faire un nom. Sont-ils nombreux ceux qui estiment qu'il y a des intéréts supérieurs à l'intérèt transitoire de cet égoi:sme qui a réglé pendant longtemps les actes de la diplomatie française? A en juger par l'ensemble des débats parlementaires, il est permis de conclure que cette doctrine qualifiée de traditionnelle est encore représentée par des esprits influents, distingués, mais obstinés dans la routine. Leur aphorisme pourrait se résumer ainsi «tout progrès d'autrui nous menace, tout désastre d'autrui garantit notre

repos ».

Qu'objecte-t-on à ces indices rien moins que rassurants? Des déclarations pacifiques de Ministres non responsables, et auxquels on nie toute indépendance d'opinion devant la volonté quelle qu'elle puisse étre de l'Empereur. Aussi lors mème qu'on ne veuille pas douter des vues conciliantes de ce Souverain intéressé lui méme à ne pas brusquer les événements, on n'ajoute pas la méme confiance à sa position dont les nécessités intérieures vraies ou supposées pourraient l'induire à une diversion vers l'étranger. D'ailleurs les choses sont presque arrivées à ce point où ceux mémes dont la guerre contrarierait le plus les intéréts et qui ont tant fait pour l'empècher, pourraient ètre bientòt tentés de l'accepter et de la désirer par lassitude et par impatience.

Ce n'est pas la Prusse qui donnerait le signa! de l'attaque quoiqu'elle soit

tout aussi prete que la France à affronter les chances d'une lutte. Cependant

si les difficultés du Gouvernement Prussien en oppos.ition ouverte avec ses

Chambres, ont peut ètre contribué à fortifier le nombre de ceux qui votaient en

1866 pour rompre en visière avec l'Autriche, il pourrait aussi se présenter le

cas où des embarras du mème genre qui se produiraient dans la Confédération du Nord, offriraient, camme en France, le danger d'une diversion pour retremper le sentiment national. On n'en est point là sftrement quoique le Comte de Bismarck ait subi des échecs assez sensibles dans les débats des Chambres. Le fait est que l'opinion publique manifeste une certaine émotion du temps d'arret que subit le mouvement national, et s'étonne que le Chancelier fédéral ne soit plus le meme homme d'action. Peut etre voudra-t-il faire acte de présence dans le Parlement fédéral ou dans le Parlement douanier par quelque mesure qui témoigne que s'il ne franchit pas la ligne du Mein, le passage n'en est du moins pas interdit aux Eta-ts du Sud si tel est leur bon plaisir. La loi sur l'indigénat applicable déjà à toute la Confédération du Nord, lui en fournira peut etre l'occasion. La Bavière, le Wurtemberg, la Hesse et le Grand Duché de Bade ont demandé, sous condition de réciprocité, d'etre admis à jouir des memes avantages. Seulement, pour sauvegarder leur souveraineté, cette affaire devrait etre réglée par des Traités. Le Chancelier Fédéral décline la proposition en alléguant que ce mode de procéder, dans l'absence d'un organe commun, présenterait des inconvénients, celui nommément de faire dépendre des Etats du Sud toute modification ultérieure de la législation sur cette matière. C'est leur indiquer indirectement que la question devrait etre résolue par le Parlement dont la compétence serait alors étendue. Cette question pourrait etre soulevée par quelque député du Zollparlament. La majorité lui serait assurée.

Admettons qu'il ne fùt ainsi. La France y verratt-elle une infraction au traité de Prague? Réclamerait-elle quand elle saurait d'avance que son immixtion serait repoussée? Si ce n'était à ce sujet, attendrait-elle un nouveau pas dans cette vaie d'unification? L'heure du conflit ne serait alors que' retardée, car le flot s'avance lentement, mais sùrement, et, camme le disait au Comte Greppi un diplomate prussien, il n'est pas possible à la Prusse de changer un plan incliné en un plan horizontal.

Sans vouloir tirer l'épée hic et nunc, l'Empereur «immuable camme la destiné >>, pour emprunter une expression de M. Benedetti, voudrait-il maintenant qu'il est à la veille de compléter ses armements, et se fiant à son ascendant moral, remettre sur le tapis l'idée du congrès? S'il ne peut compter sur une alliance effective de l'Autriche sur le champ de bataille, ne trouverait-il pas dans le Baron de Beust -camme lors du projet de conférence pour les affaires de Rome -un leader pour appuyer ses idées, et pour leur préparer la voie? II ne serait guère présumable que le Cabinet de Berlin, vu la défiance réciproque qui se maintient en deça comme au delà du Rhin, montrat des dispositions favorables, ou tout au moins réserverait-il toutes les questions de sa convenance, celles précisément, qui tiendraient le plus à coeur à la France, si elle visait à une extension du territoire vers l'Ouest. Ge nouvel échec pourrait-il etre passé sous silence sans compromettre de plus en plus le prestige de la nation et du Souverain?

Voilà bien des points d'interrogation qui chacun renferme une inconnue que je n'ai pas la prétention de dégager; mais il me semble qu'il y a là autant de nuages à l'horizon. La saine raison pourrait les dissiper, mais il est peut etre le cas de répéter ici ce mot plein de vérité qu'il faut faire une Iarge piace aux passions, car sans passions il n'y aurait pas d'histoire.

Dans tous Ies cas la prudence ne permet pas à la Prusse de demeurer tranquille sur parole. Et quand elle serait sure de la bonne foi de la France, il peut survenir des différends qu'on ne prévoit pas et qui l'exposeraient à se livrer presqu'à la discrétion de son voisin.

J'apprends cependant qu'à partir du ler mai prochain auront lieu quelques réductions dans les forces de l'armée qui se trouve déjà sur pied de paix. Ce n'est pas un désarmement dans la véritable acception du mot. A cet effet il faudrait remanier les cadres, et modifier l'organisation militaire en vertu de Iaquelle chaque ressortissant, dans l'age voulu, peut etre appelé sous Ies drapeaux. Il ne s'agit évidemment que d'accorder un certain nombre de congés aux soldats qui n'ont pas encore terminé leurs trois années dans l'armée active, mais qui à chaque instant peuvent etre requis de se présenter au régiment. Néanmoins quoique ce ne soit pas là une mesure dont il faille s'exagérer l'importance, elle semble cependant vouloir indiquer que ce Gouvernement ne songe pas à une politique agressive, et que meme il serait enclin à envisager la situation plutòt comme pacifique. Mais en donnant ce témoignage volontaire de ses bonnes dispositions, aura-t-il peut etre voulu mettre la France en quelque sorte en demeure d'y répondre à son tour dans le meme se ns.

Je reviendrai, s'il y a lieu, sur ce sujet.

(l) Non t>Ubblicato.

253

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1092. Londra, 25 aprile 1868, ore 14,40 (per. ore 18).

Depuis quinze jours que fils de Garibaldi est surveillé rien ne peut faire croire que pour le moment il s'occupe réellement de politique. Il n'a vu ni Mazzini ni aucun de ses affiliés. Dols-je continuer dépenses de surveillance?

254

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 83. Torino, 25 aprile 1868.

Le trasmetto qui unito copia d'un rapporto del R. Agente e Console Generale in Tunisi (l) il quale dopo avermi ragguagliato sui passi da lui fatti a seguito delle istruzioni ricevute da questo ministero, crede opportuno

soggiungere alcuni schiarimenti relativamente all'indole delle guarentigie vincolate per soddJsfare i creditori italiani ed inglesi che operarono, l'anno passato, la conversione del debito flottante della Reggenza.

Sopra questa parte dell'accennato rapporto chiamo in ispecial modo l'attenzione della S. V., perché le cose espostevi mi sembrano escludere in modo assoluto ogni combinazione la quale dovesse avere per effetto di mettere a fascio gl'interessi di creditori italiani ed inglesi con quelli che per altre operazioni affatto separate e distinte, hanno a Tunisi i detentori dei titoli del debito consolidato tunisino.

È certamente nell'interesse comune di tutti il condurre gli affari finanziari della Reggenza in uno stato più soddisfacente; ma non può sembrare una via conveniente a seguirsi quella che verrebbe a confondere interessi affatto distinti facendo si che le guarentigie buone agli uni abbiano a profittare anche ad altri creditori anteriori ma meno avveduti, o meno forrtunati, i quali si accontentarono di guarentigie meno sicure.

Un ultimo telegramma da Tunisi ha annunciato al R. Governo che ora si starebbe trattando a Parigi un'operazione finanziaria allo scopo di soddisfare ogni debito della Reggenza verso gl'Italiani e gl'Inglesi, nella speranza di poter così disinteressare definitivamente i Governi di Fil;enze e di Londra pelle combinazioni ulteriori che si vorrebbero fare nella reggenza. Se questa notizia è vera, essa avrebbe una incontestabile gravità al punto di vista delle mutazioni politiche che potrebbero accadere in Tunisi. Non è il credito tunisino in condizioni tali da lasciar supporre che si trovino a Parigi capitalisti i quali vogliano esporre il loro avere in un'operazione colla Reggenza, se non interviene l'appoggio, e fors'anche più che un semplice appoggio, del Governo Francese. Ora com~ mai ammettere che questo appoggio possa essere assolutamente disinteressato? Ed in ogni migliore ipotesi, non è egli vero che se questo appoggio intervenisse, se il Bardo si trovasse ad un tratto debitore oberato verso soli sudditi francesi, la stessa indipendenza del Governo del Bey dovrebbesi ritenere singolarmente minacciata?

Vorrei che questi riflessi Ella esponesse verbalmente a Lord Stanley, ben dimostrandogli che sul terreno politico, non meno che sovra quello degl'interessi commerciali l'Italia e l'Inghilterra sembrano dover procedere perfettamente d'accordo in questa quistione.

Intanto è bene che Ella sappia che il Cavalier Nigra a Parigi ha fatto, d'accordo con Lord Lyons, quei passi che gli erano prescritti dalle istruzioni del R. Ministro. Il dispaccio che qui unisco in copia (l) Le farà conoscere il tenore della comunicazione fatta dal R. Rappresentante al Marchese di Moustier e la risposta di quest'ultimo. Posteriormente ebbi avviso dalla R. Legazione in Francia che il Governo Imperiale avea incaricato il Barone di Malaret di farmi una comunicazione al riguardo. Questa non mi venne fatta; ma intanto è bene ch'Ella informi esattamente di queste pratiche Lord Stanley, giacché se invece di rispondere direttamente al Cavaliere Nigra, il Ministro Imperiale degli Affari Esteri può avere trovato opportuno di rivolgersi direttamente a me,

dal canto mio, intendo che le pratiche a farsi abbiano a procedere interamente d'accordo con quelle che il Gabinetto Inglese crederà opportuno egli pure fare.

Questa assicurazione Ella deve dare in modo particolare a Lord Stanley esprimendogli la nostra fiducia che, dappoiché gl'interessi dell'Italia e della Gran Bretagna sono identici a Tunisi, i due paesi continueranno a procedere interamente d'accordo nello ammettere o nel ricusare le proposizioni che potrebbero essere messe in campo per trovare un accomodamento della presente situazione di cose.

A questo riguardo io vorrei ch'Egli si esprimesse col Ministro degli Affari Esteri della Regina in modo da fargli intendere che forse converrebbe nelle presenti congiunture fare qualche atto che potesse sembrare da parte nostra destinato a rinforzare l'indipendenza politica della Reggenza.

Da qualche tempo si sta negoziando fra il Governo del Re e la Reggenza di Tunisi un trattato commerciale, principale effetto del quale sarebbe quello di assicu11are agl'italiani la facoltà di possedere stabili nella Tunisia in nome proprio e nelle condizioni regolari d'un incontestabile e legale possesso. Il governo tunisino chiederebbe in compenso che da parte nostra si riconoscessero ufficialmente gli agenti tunisini che esercitano funzioni consolari in varie località d'Italia. Vorrebbe il Governo di Tunisi che da noi si ammettessero quei suoi agenti con titolo di consoli, ma forse potrebbesi pel momento limitare la concessione da parte nostra a riconoscerli solo nelle qualità di agenti commerciali.

Sta in fatto che il Governo del Bardo gode da gran tempo d'una libertà assoluta da ogni ingerenza o supremazia di altro Governo. Se la Porta pretende esercitare un alto dominio sulla Reggenza, questo di fatto non si estende poi mai ad alcuna cosa che riguardi la protezione dei Tundsini all'estero o le quistioni concernenti gl'interessi internazionali del Bardo colle potenze straniere.

A tutti gl'inconvenienti delle situazioni mal definite s'aggiunge che in difetto di regolare rappresentanza consolare di Tunisi in Italia, spesso queste funzioni vengono assunte da persone che il R. Governo non riconosce ufficialmente, sibbene talvolta gli convenga colle medesime trattare per risolvere numerosi affari.

Ora è certo che pesando i vantaggi e gl'inconvenienti che potrebbero risultare dallo ammettere degli agenti di Tunisi presso di noi, quelli superano di gran lunga questi, attalché non esiteremmo a condiscendere alla domanda del Bardo se potessimo credere che in questa nostra determinazione fosse per venire anche il Gabinetto britannico.

Per verità, in un momento in cui tutto porta a credere che la Francia voglia assumere verso il Governo di Tunisi un contegno poco conforme agl'interessi italiani ed inglesi, può sembrare cosa non indifferente lo accettare una proposta che mentre avrebbe per effetto di dare agl'interessi economici della nostra colonia un più stabile fondamento in quel paese, non verrebbe poi sostanzialmente ad introdurre in linea di fatto alcun sensibile mutamento nella situazione presente delle relazioni internazionali della Reggenza.

In ogni caso, prima di prendere una decisione al riguardo, è intenzione del

R. Governo di esplorare al proposito gl'intendimenti del Governo Britannico, il che la S.V. vorrà fare procurando, nel colloquio ch'Ella avrà con Lord Stanley, di trattenere S. S. sovra siffatto argomento. Ne ho dal canto mio parlato a Sir Paget.

P. S. Nel partecipare a Lord Stanley le cose anziesposte converrebbe insistere sulla importanza per i due paesi di riconoscere gli agenti tunisini commerciali.

Riguardo al trattato che stiamo negoziando col Bardo sarà opportuno di notare ch'esso non si scosta dalle basi di quello esistente tra la Reggenza e l'Inghilterra affinché il Governo della Regina non creda che cerchiamo nella Tunisia vantaggi maggiori di quelli di cui godono attualmente gl'Inglesi. In sostanza bisogna evitare di destare ogni ombra di sospetto contro di noi.

(1) Non pubblicato.

(l) Cfr. n. 243.

255

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 180. Berlino, 25 aprile 1868 (per. il 30).

Le Sous Secrétaire d'Etat est venu me voir hier, et notre conversation a naturelLement porté sur le voyage du P.rince Royal en Ltalie. M. de Thile m'a dit que les nouvelles apportées par le télégraphe sur l'accueil reçu par Son Altesse n'avaient causé ici aucun étonnement, car les sympathies qui existent entre les deux Pays sont assez connues, mais qu'elle avaient meme dépassé l'attente. On y est très sensibile en Prusse, et on y attache un grand prix. J'en ai manifesté de mon còté ma vive satisfaction à M. de Thile, en ajoutant la considération que tout ce qui raffermit la bonne entente de l'Italie avec ses allieés, offre un nouveau gage pour la paix européenne: l'influence de l'Ita1ie pourra éventuellement exercer une action d'autant plus efficace dans le sens de la conciliation.

La Norddeutsche Allgemeine Zeitung, journal qui ouvre souvent ses colon

nes aux appréciations du Gouvernement, contenait dans son numéro du 22 cou

rant un passage, dont la traduction intéressera peut étve V. E. On y lisait:

«L'accueil hors ligne que les populations du Nord de l'Italie on fait à S.A.R. le

Prince Héréditaire, se rendant à Turin, tout 1e long de son passage, devait

s'adresser, non·seulement à l'hòte de leur Roi, mais en mème temps au repré

sentant d'un Etat dont l'Ita11e a été tout récemment le frère d'armes, et avec

lequel elle a continué depuis à etre dans les rapports les plus amicaux; en tout

cas cet accueH prouve que les soupçons sur la politique prussienne envers l'Italie

qu'on a cherché à éveiller tout récemment par la voie de publications, ainsi

que nous l'avons constaté à plusieurs reprises, n'ont pas trouvé piace chez la

population meme qui observe les événements sous un jour simple et nature!.

En mème temps, la circonstance que le Journal officiel de Florence s'empresse

de constater l'accueil sympathique faà:t par les populations italiennes à l'Héri

tier de la Couronne de Prusse, prrouve combien, dans les sphères politiques

autorisées du Pays, on est porté à toujours tenir compte de la sympathie na

turelle qui existe entre les deux Pays ~

256 IL MINISTRO A MADRID, CORTI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1095. Madrid, 26 aprile 1868, ore 12 (per. ore 15).

A la condition du secret le plus absolu on m'assure que le mariage entre l'infante Isabelle et le comte de Girgenti a été définivement arreté.

257

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1099. Tunisi, 26 aprile 1868 (per. ore 22,15 del 30).

Avant hier après arrivée courrier Marseille, consul français a réclamé acceptation formelle son projet, commission modifiée par premier ministre, et sur le refus net du Bey d'y adhérer sans accord préalable avec Italie et Angleterre il a suspendu rélations en ajoutant qu'il quitterait le pays si à l'arrivée des commissaires partis déjà de Paris le décret n'avait pas encore été signé. Le Bey semble décidé à résister confiant dans l'appui Italie et Angleterre (l) .

258

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

T. 623. Firenze, 27 aprile 1868, ore 14.

Je vous ai expédié hier de Turin une dépéche relative aux affaires de Tunis {2); soyez très réservé avec le Cabinet anglais velativement à nos négociations pour un tra.ité de commerce, et surtout ne parlez point, sinon très vaguement, du droit de posséder que nous aurions. L'essentiel est d'induire les anglais à admettre les agents commerciaux du Bey de Tunis.

259

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 183. Berlino, 27 aprile 1868 (per. il 1° maggio).

L'ouverture du Parlement douanier a eu lieu aujourd'hui par un d.iscours du Roi, qui a roulé presque exclusivement sur des matières économiques. Son

importance est moins dans les paroles prononcées à cette occasion, que dans le fait lui-meme de la réunion d'une assemblée formée des députés élus par le suffrage universel en deçà, comme au-delà de la ligne du Mein. L'unité allemande est un acte consommé pour tout ce qui concerne les affadres commerciales, comme elle l'était déjà au point de vue militaire en vertu des conventions d'alliance off.ensive et défensive. Le reste n'est plus qu'une question de temps. Les députés du Sud ne sont certes pas encore gagnés au triomphe des idées nationales, à une fusion dans un tout homogène des intérets politiques. Ils ne manqueront pas de manifester leurs répugnances; mais, par la force meme des choses, il s'opérera peu à peu un rapprochement entre les différents éléments, et ce travail serait couronné d'un succès encore plus certain et plus rapproché si la France élevait des réclamations. Il ne faut pas s'exagérer au reste la victoire plus apparente que réelle des particularistes, des démocrates, et les cléricaux sur le parti national libéml dans le Sud. Dans les votations, leurs voix se contrebalanceront à peu près, et dans tous les cas ils resteront en minorité vis-à-v,is du Reichstag devenu partie intégmnte du Parlement douanier.

Dans le discours du tròne, il ne se trouve que la phrase suivante ayant trait à la politique générale:

«Les rapports amicaux que les Gouvernements allemands entretiennent avec les Puissances étrangères justifient notre confiance que les bienfaits de la paix -pour la sauvegarde de laquelle les Etats de l'Allemagne se sont réciproquement liés, et peuvent avec l'aide de Dieu compter à chaque instant sur les forces réunies du peuple allemand -sont assurés au développement de la prospérité nationale dont le soin est confié aux renrésentants de la race germanique ».

Relativement à cette déclaration pacifique, je ne puis que me rapporter à ma dépeche n. 179 (1), et aux appréciations qui viennent de m'etre faites par les sous-Secrétaire d'Etat sur une réduction des forces militaires de la Confédération du Nord, calculées à 300 mille hommes environ sur pied de paix. Elles seront diminuées d'une douzaine de mille hommes. C'est là sans doute un signe que l'on ne craint pas plus qu'on ne désire la guerre, mais ce n'est pas un désarmement dans la véritable acception du mot. Il s'agit plutòt d'une mesure économique dictée per les circonstances.

Voici à ce suje,t quelques détails.

L'article 62 de la constitution fédérale établissait que pour faire face aux dépenses pour toute l'armée de la Confédération, on devait mettre annuellement à la disposition du Généralissime, jusqu'au 31 décembre 187l,autant de fois 223 thalers (843 fr. 75 centimes) que comporte l'effectif de paix. Cette évaluation s'est trouvée insuffisante en suite des frais extraordinaires causés par la cherté des vivres. Ainsi il a fallu allouer à chaque soldat 3 pfennings environ 3 1/24 centimes de plus par jour, ce qui produit pour l'année au-delà de 900.000 thalers ou 3.375.000 francs. Pour le chapitre «nourriture » on avait calculé (budget) annuellement 14 millions de thalers. Or dans les mois de Janvier et de Février

2'1 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

on en avait déjà dépensé 3 millions 1/2. C'est donc pour combler ce déficlt qu'on accordera plus de congés que de coutume. Autrement il eiìt fallu recourir à des emprunts ou à de nouveaux impòts difficiles à obtenir du Parlement, et qui eussent d'ailleurs produit une ~mpvession facheuse surtout dans les Provinces annexées où les charges militaires se font plus vivement sentir.

Telle est la signification de ces réductions motivées par des faits d'ordre intérieur.

(l) -Questo telegramma fu ritrasmesso a Parigi e Londra con t. 626 del 30 aprile. Nel telegramma a Parigi fu aggiunto il seguente capoverso: «veuillez cependant ne pas agir pour le moment, avant d'avoir reçu des instructions; car nous devons marcher d'accord avec le Gouvernement anglais ». (2) -Cfr. n. 254, in realtà. del 25 aprlle.

(l) Cfr. n. 252.

260

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1098. Parigi, 28 aprile 1868, ore 18,10 (per. ore 19,40).

Moustier m'a engage a insister auprès de vous pour que la convention sur la dette pontificale soit exécutée au plus tòt en s'appuyant sur ce que le Pape se trouve dans de graves embarras d'argent. Moustier m'a dit que plusieurs membres du corps législatif voulaient faire à ce sujet des interpellations et qu'il les a empechées. Je mois du reste que Malaret a diì recevoir une dépeche sur ce sujet (1).

261

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 625. Firenze, 29 aprile 1868, ore 14.

Malaret m'a fait part de la dépeche de Moustier relative à la dette pontificale (2). Le Gouvernement du Roi est prét à satlsfaire à ses engagements. Il demande seulement qu'on délègue quelqu'un à Florence pour terminer les derniers arrangements arretés relativement à la répartition des tUres et dont la conclusion a été suspendue par suite des événements d'octobre dernier.

262

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1100. Londra, 30 aprile 1868, ore 16,55 (per. ore 19,35).

J'ai reçu vos dépeches voie de la poste de Turin (3), et je vais faire de mon mieux, je crois pourtant très difficile de persuader Stanley à reconnaitre

agents tunisiens. Dans une de mes gérances j'ai diì. déjà consulter le Foreign Office à ce sujet, et le Gouvernement anglais était alors absolument contraire à telle innovation.

(l) -Per la risposta cfr. n. 261. (2) -Cfr. n. 260. (3) -Cfr. n. 254.
263

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T . Firenze, 30 aprile 1868, ore 18,45.

. Dites-moi si vous avez délà parlé à Rouher et en quelle disposition il se trouve par rapport à notre conversation. On vient de m'assurer qu'il y a à Paris des dispositions belliqueuses; c'est pour juillet on me cite des faits à l'appui, peine capitale me dire la pure vérité.

264

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 347. Firenze, 30 aprile 1868.

Facendo seguito al mio dispaccio delli 12 corrente (2) ed in tisposta del rapporto che V. S. mi ha diretto addì 17 di questo stesso mese (3), reputo opportuno trasmetterle qui uniti vari documenti risguardanti la vertenza sorta in Tunisi sulla quale ebbe già a fare pratiche presso codesto Signor Ministro degli Affari Esteri.

Ella troverà pertanto qui unite copie di tre rapporti del R. Agente e Console Generale d'Italia in Tunisi nonché di un rapporto delli 17 aprile, indirizzatomi dal Conte Maffei, e di un mio dispaccio a quest'ultimo, datato da Torino il 25 di questo mese ( 4). La lettura di questi documenti basterà a far conoscere a Lei, Signor Ministro, lo stato vero della quistione insorta tanto al suo punto di vista politico, quanto al punto di vista degli interessi economici della nostra colonia nella Reggenza. Ella vedrà, non ne dubito, che se quest'ultimi possono per avventura essere diminuiti da qualche operazione che si facesse per disinteressare i commercianti italiani negli affari finanziari del Bardo, per effetto di queste stesse operazioni sarebbero accresciuti i pericoli de' quali sono minacciati i legittimi interessi politici dell'Italia ne' i paesi della costa africana.

Non reputo conveniente trattandosi di quistione assai delicata, il comunicare al Governo francese sin d'ora un formale richiamo per iscritto. È perciò ch'io non Le invio alcun dispaccio destinato ad essere rimesso in copia al Marchese di Moustier; ma informando la S. V. in ogni miglior modo della situazione vera di questo affare, ritengo di provvedere per il momento in modo abbastanza

r. -33 del 12 aprile, non pubblicati (cfr. però sull'argomento l nn. 216, 230, 246).

conveniente alla tutela degli interessi nazionali, perocché ben so che la S. V., avvisata dell'importanza che noi annettiamo a siffatta vertenza, non esiterà in ogni ipotesi a fare quegli adoperamenti che le circostanze consiglieranno per guarentire, d'accordo coll'Inghilterra, i nostri diritti da qualsiasi pericolo che potessero correre.

(l) Da ACR, ed. !n Lettere Vittorio Emanuele Il, vol. II, p. 1317.

(2) -Cfr. n. 226. (3) -Cfr. n. 243. (4) -Cfr. nn. 206, 241, 254. 01! altri r\l.pport! da Tunis! sono !l r. 31 del 7 aprile e !l
265

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 348. Firenze, 30 aprile 1868.

A norma di quanto Ella mi ha scritto nel suo pregiato rapporto delli 17 corrente (l), l'Inviato di Francia presso questa R. Corte ebbe l'incarico dal suo Governo di leggermi un dispaccio del Marchese di Moustier relativo agli affari di Tunisi.

Vorrebbe in sostanza il Governo dell'Imperatore che la quistione della Commissione finanziaria da stabilirsi nella reggenza fosse esaminata in Parigi fra i rappresentanti delle potenze maggiormente interessate.

A questo concetto io mi profferii disposto di aderire, sempre che però il medesimo riuscisse ugualmente gradito all'Inghilterra colla quale avevamo a Tunisi interessi identici a tutelare. Le basi di un accordo per istabilire una Commissione finanziaria presso il Bardo non potrebbero, diss'io, essere altre che quelle le quali consacrassero anzi tutto il principio della più assoluta uguaglianza fra gli interessi della Francia, dell'Italia e dell'Inghilterra, nella reggenza, e quello del più scrupoloso rispetto dei diritti acquisiti dai sudditi de' singoli stati, e d'ogni altro loro interesse presente o futuro. Ed a questo riguardo io non esitai ad esprimere al Barone di Malaret il pensiero che ove si dovesse negoziare a Parigi fra l'Italia, la Francia e l'Inghilterra sull'opportunità di costituire una commissione finanziaria in Tunisi e sul mandato che a questa Commissione dovrebbe essere affidato, la Francia dovrebbe sin d'ora cessare dal negoziare separatamente col Bey, per modo che le convenzioni definitive che dovrebbero stipularsi fra le Potenze, non dovessero in nessuna ipotesi trovarsi pregiudicate dal fatto di separati accordi conchiusi fra il Governo Imperiale e quello della Reggenza.

Quest'ultima condizione voluta dalla natura stessa delle cose, mi sembrò tale da non potere essere ricusata dal Ministro Imperiale degli Affari Esteri, ed anzi io inclinerei a credere ch'Egli sia per accettarla senza difficoltà dacché sin dal principio delle pratiche fatte dal Governo Britannico e dal nostro perché non si conducesse a termine il progettato accordo separato della Francia col Bey di Tunisi, il Marchese di Moustier non avrebbe esitato ad ammettere che fra i tre Governi dovessero aver luogo preliminari spiegazioni al riguardo.

Sebbene io creda che il Marchese di Moustier sia già stato esattamente informato dal Barone di Malaret della conversazione ch'io ebbi con lui intorno

a questo argomento, ciònondimeno reputo opportuno confermare con questo mio dispaccio il senso delle cose dette in quel colloquio, affinché anche il linguaggio della S. V. possa essere conforme agli intendimenti nostri in siffatta controversia.

(l) Cfr. n. 243.

266

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 349. Firenze, 30 aprile 1868.

Il Signor Barone di Malaret venne ieri l'altro a leggermi un dispaccio del suo governo col quale, in risposta a quanto io le aveva commesso di rappresentare al Marchese di Moustier circa la presenza del corpo dei zuavi pontifici sulle nostre frontiere, S. E. il Ministro Imperiale degli Affari Esteri fa osservare che il provvedimento preso di sostituire alle milizie indigene quel corpo di soldati stranieri fu adottato dal Governo della Santa Sede per evitare le diserzioni e l'accordo troppo facile (entente trop facile) delle truppe indigene pontificie coi soldati italiani. Il dispaccio del Marchese di Moustier conchiude pertanto col dire che in vista di tali motivi riusciva impossibile il richiamo dei zuavi dai posti che occupano sulle nostre frontiere.

Non potei trattenermi dal rispondere all'Inviato francese che il suo Governo non appariva bene informato se stimava buone e valevoli le ragioni allegate dal Governo di Roma per mantenere sul confine italiano un corpo di milizie composto di non poche individualità che col loro contegno provocatore sembravano andare in traccia di pretesti per creare conflitti. Accanto di codeste individualità, nei zuavi, non meno che negli altri corpi dell'esercito della Santa Sede, trovansi malcontenti in gran numero i quali spiano ogni occasione che loro sembri propizia per abbandonare le bandiere. Sin dal primo giorno che i zuavi furono mandati alla frontiera, un gran numero di essi aveva disertato rifugiandosi nei R. Stati. Del resto, soggiunsi io, noi abbiamo esposto gli inconvenienti della situazione al Governo francese, affinché nel caso accadesse qualche spiacevole incidente, non si pretendesse attribuirne a noi la colpa. Noi avevamo avvertito il pericolo che la presenza dei zuavi creava, e ne avevamo dato avviso in tempo opportuno.

È in questo senso ch'era ·infatti concepito il dispaccio che sovra questo argomento io rivolgeva a Lei, Signor Ministro, sin dal 30 marzo ultimo passato (l) né le pratiche ch'io La pregava allora di fare avevano altro scopo che quello di prendere atto di una disposizione poco benevola del Governo pontificio, la quale accennava evidentemente alla intenzione di volere impedire almeno indirettamente che si stabilissero fra le milizie che custodiscono la frontiera quei facili rapporti che formano una parte essenzialissima del modus vivendi che si vorrebbe veder stabilito fra l'Italia ed il Governo di Roma.

Dacché i passi da Lei fatti e la risposta dataci dal Gabinetto delle Tuileries hanno appunto confermato quanto era negli intendimenti nostri di segnalare, non occorrerà che la S. V. faccia al proposito nuove pratiche, questo mio dispaccio potendole però servire, secondo l'opportunità, per norma de' suoi discorsi.

(l) Cfr. n. 203.

267

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1105. Londra, 1° maggio 1868, ore 19,30 (per. ore 22).

Stanley a reçu hier télégramme semblable au votre (1). Il a immédiatement ordonné à l'ambassadeur d'Angleterre de demander explications au Gouvernement français sur conduite agent impérial à Tunis et si elle était motivée des ordres venus de Paris. Dans cas contraire de la modérer.

J'ai fait mon possible pour agents commerciaux. Lord Stanley est tout-à-fait contraire à reconnaitre consuls tunisiens. Mais ayant représenté qu'ils seraient seulement agents de commerce, il finit par avouer ne pas y etre hostile en principe; il veut toutefois réserver réponse.

II m'observa que l'on ne pourrait infliger au Bey la dépense d'établir des agences. Mais je lui ai répondu qu'il s'agit uniquement de reconnattre celles qui existent. Veuillez m'assurer sur ce point; car je lui en reparlerai sous peu.

268

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 1004/410. Londra, 2 maggio 1868 (per. l'B).

Desiderio di raccogliere esatte informazioni da quante maggiori fonti poteva, e mancanza d'occasione per farle con riserva pervenire il presente rapporto, furono le cause che m'impedirono di rispondere prima d'ora ai suggerimenti che Ella mi dava con foglio cifrato annesso al dispaccio politico n. 78 (2), circa i pretesi accordi esistenti fra la Serbia e la Moldo-Valachia.

Siccome Ella ben conosce dai miei rapporti, siffatta notizia veniva in modo ufficiale comunicata a questo Governo dall'Ambasciatore di Francia. Lord Stanley come tale la riceveva, in conformità di quanto io telegrafava e scriveva a V. E.; ma non avendogliene i suoi Agenti diplomatici mai detto nulla, a loro si rivolse per conoscere qual fosse il vero stato delle cose al riguardo.

Tanto da Berlino che da Pietroburgo si seppe che una convenzione veramente sarebbe stata stretta di recente tra la Serbia ed il Governo Rumeno; ma che dessa non avrebbe tratto che all'ordinamento dei rapporti creati ai due paesi dalle loro frontiere finitime. Si pretende di più che, allo scopo di far

sparire ogni specie di falsa interpretazione che da ciò avesse potuto nascere, n Gabinetto dello Czar ha spinto le parti contraenti a render di pubblica ragione i sovraesposti accordi. Tale è la versione pervenuta al Governo Inglese dalle due precitate, e non interamente imparziali, sorgenti.

Ho stimato bene di consultare nuovamente l'Ambasciatore francese, il quale mi ripetè identicamente le stesse cose di prima. Di credere cioè fermamente all'esistenza di un trattato offensivo e difensivo tra la Serbia e lo Moldo-Valachia, in vista di certe eventualità. Ciò non toglie, aggiunse il Principe La Tour d'Auvergne, che possono aver conchiuso una convenzione per semplici ragioni di facilitazioni internazionali, ma non porre in dubbio, dalle informazioni che aveva, l'esistenza di un segreto accordo o patto politico fra di loro, accordo al quale taluni pure persistono a credere la Grecia si sia associata, quantunque essa, e a quanto pare sinceramente, lo neghi.

Ecco i due diversi modi in cui la questione viene rappresentata, e forse, fra la discrepanza di tali asserzioni, una via di mezzo può esser quella che più s'approssima alla verità, poiché che qualche cosa di fondato in esse vt sia, pare positivo.

Questa era però una sola parte di ciò che bramava sottoporre a Lord Stanley, e mi rimaneva a parlargli e degli armamenti turchi in Bulgaria e delle velleità che potrebbe avere il Sultano di ricuperare le fortezze state l'altro anno cedute alla Serbia. Questo era però un argomento assai delicato da toccare col primo Segretario di Stato per gli Affari Esteri, tale cessione essendo principalmente stata, sul suo suggerimento, compiuta dalla Porta; reputai perciò più prudente consiglio di cercar di raccogliere alcune previe informazioni dal Sotto-Segretario, il quale, come più espansivo ed egualmente bene ragguagliato, avrebbe potuto lasciarsi sfuggire degli schiarimenti che mi avrebbero poscia servito di guida nella conversazione che aspettava di trovare il destro di avere con Lord Stanley.

Il Signor Egerton difatti mi rispose che la cessione delle suaccennate fortezze non aveva avuto quei risultati felici che se ne attendevano; invece di produrre un sentimento di conciliazione fra le popolazioni Serbe, ciò avrebbe al contrario fornito un nuovo incentivo alle loro speranze, e che considerazioni di questa natura furono quelle che ebbero maggior peso sulla decisione presa dal Sultano di opporre un rifiuto alle pretese ultimamente avanzate dal Montenegro.

Quando vidi Lord Stanley, cominciai per chiedergli la sua opinione sugli eccessivi concentramenti di truppe e di materiale che il Governo Turco faceva nella Bulgaria, domandandogli quindi, di mia propria iniziativa, secondo quanto mi veniva consigliato da V. E., se detti preparativi militari potessero essere in qualche guisa connessi col progetto, di cui aveva inteso vagamente a parlare, che avrebbe il Governo Ottomano di trovare un pretesto per rioccupare le piazze fortificate della frontiera Serba. S.S. mi rispose recisamente in contrario. Gli armamenti della Bulgaria, disse ella, si spiegano dallo stato d'agitazione in cui si trovano le provincie circumvicine, e, dopo tutto ciò che è stato ripetuto sulle aspirazioni di quelle popolazioni e sulla simpatia che trovano presso un potente impero, è naturale che la Porta prenda delle precauzioni e si metta in misura di resistere a qualunque attacco. Quanto poi all'intenzione di ripigliare le piazze più sopra mentovate, non esservi ombra di verità, la qual cosa, connessa colle dichiarazioni pacifiche della Russia, ispirava piena fiducia pel mantenimento della pace, almeno pel presente.

Tale fu il risultato dell'abboccamento che ebbi col primo segretario di Stato per gli Affari Esteri.

Volendo completare, per quanto possibile, le mie nozioni su questo argomento, ho pure cercato a rendermi conto dei pensamenti dell'Ambasciata Russa.

Colà udii ripetere che la convenzione Serbo-Rumena non era destinata che a facilitazioni di frontiera, e che pel momento un sollevamento non era a temersi nelle provincie Danubiane. Ma se una gran guerra, o qualche altra eventualità loro presentasse un'occasione favorevole d'insorgere, Serbi, Rumeni e Greci, quantunque divisi in varii punti, comune avendo il nemico, comune del pari sarebbe la loro causa. Non aver però la Russia, né desiderio, né interesse a precipitare una crisi. Ma ove piuttosto spuntava il pericolo, essere verso la frontiera austriaca.

A torto o a ragione non so, i Russi pajono prestar fede all'esistenza di una vasta propaganda nella Bosnia e nell'Erzegovina, abilmente e segretamente condotta dal Barone Beust, ed ove una ragione qualunque spingesse l'Austria ad occupare quelle provincie, nulla potrebbe trattenere la Russia dal prendere le armi.

A siffatto proposito, allorché lessi nel rapporto del R. Incaricato d'Affari a Vienna, delli 28 scorso Marzo (1), che il Gabinetto di Pietroburgo aveva tentato di mettere in guardia il Governo Inglese contro simili disegni dell'Austria, consultai Lord Stanley, il quale mi confermò la notizia che a V. E. dava il Commendator Blanc, circa l'incontro incredulo ed indifferente che tali insinuazioni avevano incontrato a Londra.

Ciò non ostante, la Russia, almeno secondo questa sua Ambasciata, sembra avere le sue ragioni per perseverare nella stessa opinione, e per debito di esattezza io la rassegno a V. E.

(l) -Cfr. n. 254. (2) -Cfr. n. 231.
269

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1107. Madrid, 3 maggio 1868, ore 17,20 (per. ore 20,15).

Il est question d'une démarche collective de la part du corps diplomatique pour complimenter la Reine d'Espagne à l'occasion du mariage de l'infante Isabelle comme c'est l'usage ici en pareilles circonstances. Dois-je m'y associer? Sa Majesté n'a jamais appelé l'époux dans les communications officlelles autrement que son cousin, et en chargeant l'ambassadeur de France d'en

faire part à l'Empereur a dit que ce mariage n'amenait aucun compromis pour l'avenir. Le prince devient espagnol, sera fait infant et s'établira à Madrid. L'ambassadeur de France assiste toujours aux récéptions du due de Montpensier. Mon abstention ferait une certaine impression (1).

(l) Cfr. n. 192.

270

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 186. Berlino, 4 maggio 1868.

Ayant eu l'occasion de rencontrer nouvellement le Roi Guillaume, Sa Majesté a daigné une fois encore me dire dans les termes les plus chaleureux toute sa satisfaction de la brillante et cordiale réception fa~te en Italie à son Auguste Fils. Le meme sentiment m'a été exprimé par la Reine.

Le Comte de Bismarck m'a témoigné à son tour combien cet accueil, qui ne laissait rien à désirer, avait produit la meilleure des impressions. En effet les journaux, ceux memes qui d'ordinaire ne nous sont rien moins que favorables, ne tarissent pas dans les descriptions d'un voyage où le Prince a été partout l'objet d'ovations si spontanées. Les personnages les plus marquants à la Cour et dans le monde politique, nommément le Président du Parlement douanier, se félicitaient en ma présence que cette visite princière eut de plus en plus mis en relief les relations d'amitié qui existent entre les deux Pays. Le Prince Royal de Prusse, sans compter de nombreux télégrammes, a déjà écrit à son Père deux longs rapports. Ils portent l'un et l'autre l'empreinte de la plus vive reconnaissance des excellents procédés dont il est entouré par Notre Auguste Souverain, par chacun des Membres de la Famille Royale. Il se loue beaucoup du Roi dont le langage plein de franchise et les allures martiales lui ont gagné le coeur. Il porte un jugement des plus flatteurs sur V. E., jugement qui s'applique au Général aussi bien qu'à l'homme d'Etat. Bref, il est sous le charme de tout ce qu'il a vu et entendu.

J'ai tout lieu de croire que Son Altesse Royale n'ira pas à Rome, et reviendra directement à Berlin après les fetes de Florence.

271

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1110. Lisbona, 5 maggio 1868, ore 16,16 (per. ore 4 del 6).

Ce qui suit est très confidentiel. Les craintes espagnoles dont il est question dans ma dépeche n. 9 (2) sont ici augmentées et sont si alarmantes que le

Roi m'a dit confidentiellement hier au soir avoir télégraphié à Notre Auguste Souverain si Portugal pourrait compter, cas échéant de la guerre, sur l'Italie. Je me suis borné à demander s'il croyalt pouvoir compter sur l'appui efficace de la France. Sa Majesté a répondu l'espérer beaucoup, et j'ai lieu de croire que l'on fera pour l'obtenir des démarches directes à Paris en cas de besoins sérieux. On parait s'attendre à de graves complications entre les deux Pays soit avec le triomphe du parti progressiste en Espagne, soit avec celui des néocatholiques qu'on croit ici actuellement inévitables et imminentes. Le Roi a ajouté en le cas qu'il enverra Reine de Portugal en France.

(l) -Per la risposta cfr. n. 272. (2) -Con il r. confidenziale 9 del 3 maggio, non pubblicato, Oldolnl aveva informato che in Portogallo si temeva un contraccolpo ad un eventuale trionfo, anche momentaneo, del partito progressista in Spagna.
272

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. 629. Firenze, 5 maggio 1868, ore 17,30.

Conseil des ministres a décidé que vous deviez prendre part avec le corps diplomatique aux démarches que ce dernier fera collectivement à l'occasion du mariage de l'infante Isabelle. Il est bien entendu que M. S. Martino (l) ne doit pas figurer dans le corps diplomatique. Si cela avait lieu, vous devrez vous abstenir.

273

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 353. Firenze, 5 maggio 1868.

Il Barone di Malaret venne oggi nuovamente ad intrattenermi della vertenza tunisina. Egli mi comunicò un telegramma del Marchese di Moustier, nel quale questi si dimostra soddisfatto delle buone disposizioni nelle quali si troverebbe Lord Stanley in ordine a quella quistione. Mi soggiunse indi che il suo Governo dolevasi del contegno assunto dal R. Agente a Tunisi, il quale, dissemi, farebbe ostacolo all'azione dell'Agente Imperiale.

Io risposi all'Inviato francese che nella attuale pendenza noi procediamo perfettamente di conserva coll'Inghilterra, epperò io aveva luogo di credere che il Governo dell'Imperatore sarà soddisfatto della nostra attitudine poiché esso è soddisfatto di quella del Governo britannico. Che se il Console italiano,

per avventura, ha recato impedimenti ai disegni del suo collega di Francia, egli non fece che il proprio dovere, poiché trattavasi di una convenzione la quale avrebbe pregiudicato gli interessi italiani.

Sembrandomi che il Marchese di Moustier muova rimprovero al Bey d'aver mancato alla sua parola, avendo promesso di firmare, e rifiutando indi la sua firma, allorché tutto pareva conchiuso, ho stimato conveniente di spiegare nuovamente il concetto del R. Governo a tal riguardo. Gli dissi che noi ammettiamo che si tratti, di concerto fra le tre potenze, per la conclusione di un accordo, ma alla condizione già da me accennata nel colloquio che le riferii al dispaccio N. 348 (1), che cioè tale accordo rispetti i nostri interessi passati e futuri nella Reggenza, e che nulla si stipuli col Bey prima che l'accordo stesso sia intervenuto.

(l) Stefano San Martino dei duchi di Montalbo, ex incaricato d'affar! delle Due S!cilie a Madrid.

274

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1111. Parigi, 6 maggio 1868, ore 16,55 (per. ore. 21,20).

La Prusse vient de faire également des observations auprès du Gouvernement français pour les créances des sujets prussiens à Tunis. Les membres de la députation française qui devaient partir de Paris ont suspendu leur départ.

275

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI

T. 630. Firenze, 7 maggio 1868, ore 14,15.

La dépéche n. 9 (2) annoncée dans votre télégramme (3) ne m'est pas encore parvenue. Le Roi lui-méme n'a rien reçu de Lisbonne. Les craintes d'une tentative prochaine de l'Espagne contre le Portugal sont pour nous une nouvelle inattendue. Le Portugal peut comp,ter sur l'appui des Puissances intéressés à son existence. Tout en s'adressant à la France u ne ao1t pas néanmoins perdre de vue l'Angleterre, dont le concours peut et doit lui étre très efficace en sa faveur. En s'adressant à la France, qu'il évite donc de froisser l'Angle

terre. J'attends d'ultérieurs détails. Veuillez me tenir au courant des informations que l'on reçoit à Lisbonne et des projets qu'on y forme (1).

(l) -Cfr. n. 265. (2) -Cfr. n. 271, nota 2. (3) -Cfr. n. 271.
276

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

T. 631. Firenze, 7 maggio 1868, ore 14,15.

Le Gouvernement français me fait dire par M. de Malaret qu'il est complètement d'accord avec l'Angleterre sur la question de Tunis. Cette assertion ne coincide pas exactement avec d'autres informations, d'après lesquelles lord Stanley n'aurait pas approuvé les démarches que le consul français avait ordre de faire à Tunis, tandis que la question devait se traiter à Paris, entre l'Angleterre, la France et l'Italie. Je dois en conséquence vous informer que jusqu'ici, notre intention est de marcher parfa,itement d'accord avec Angleterre; et qu'à l'instance que m'a faite M. Malaret, d'inviter notre consul à ne plus faire d'opposition à la promulgation du décret ou convention élaboré par le consul de France à Tunis, j'ai répondu que je ne prenais aucune résolution, avant d'avoir éclairci cette affaire dont était chargé M. Nigra, à Paris. Il serait donc à désirer que M. Nigra s'entend avec lord Lyons, à ce sujet.

277

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. 632. Firenze, 7 maggio 1868, ore 17.

Le ministre du Roi à Lisbonne m'annonce qu'on y craint une tentative de l'Espagne contre le Portugal, et que le Roi se proposait de réclamer l'appui de la France en meme temps que le nòtre. Cette nouvelle était pour nous inattendue. Tàchez donc de connaitre les projets du Gouvernement espagnol à ce sujet. On prétend que les deux partis extrèmes à Madrid se disputent l'honneur de faire une expédition contre le Portugal. Quant au général Bosco, le Gouver:nement du Roi voit toujours avec plaisir les hommes distinguées du parti adverse se rallier au nouvel ordre de choses, en Italie. Mais, dans l'état actuel, si le général Bosco rentrait, on ne saurait quelle position lui donner, sans se heurter contre les lois. Par la suite, il peut se faire qu'une occasion se présente d'utiliser sa capacité. Pour le moment, il pourrait lui-mème mettre fin à son exil volontaire; car je pense que rien ne s'oppose à ce qu'il rentre en Italie. L'avenir dira ce qui pourra etre fait pour lui.

«Rien de plus au sujet de cra!nte espagnole. Ma dépeche vous sera parvenue. Je conformerai mon langage à vos dépéches télégraph!ques. Mals l'act!on de l'Angleterre est tout à falt nulle ici, surtout à la Cour; c'est pourquo! !l y avait utlllté à conna!tre préalablement idées de la France ».

(l) Si pubblica qui un brano del t. 1116 da Lisbona del 9 maggio:

278

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 357. Firenze, 7 maggio 1868.

Le scrissi ieri l'altro (l) che il signor Barone di Malaret era venuto a comunicarmi il senso di un telegramma direttogli dal Marchese di Moustier circa la vertenza sorta a Tunisi. Io Le riferii ugualmente, in quel mio dispaccio, il senso della conversazione che ebbi in quell'occasione coll'Inviato Imperiale.

Ieri ritornò da me questo Signore per comunicarmi un altro Dispaccio telegrafico del suo Governo sullo stesso argomento. Il Gabinetto delle Tuileries vuole intendersi coll'Italia e coll'Inghilterra per tutelare tutti gli interessi, ma, per salvare la dignità della Francia, vorrebbe che il Governo tunisino pubblicasse il Decreto intorno al quale erano corse trattative separate col Governo Imperiale, salvo a non mettere per ora in esecuzione quel Decreto ed anche a modificarlo quando un accordo coll'Italia, la Francia e l'Inghilterra avesse potuto essere inteso a Parigi. Lascia intendere il Signor di Moustier che il

R. Agente e Console Generale in Tunisi dovrebbe essere da noi invitato a non fare opposizione alla promulgazione di quel Decreto, se pur non vogliamo anzi ordinargli di favorirla.

Risposi al Ministro di Francia che non mi sembrava venuto il tempo di prendere una deliberazione qualsiasi intorno alla vertenza in discorso. Esservi, nelle informazioni ricevute da varii Governi interessati, varii punti nei quali le medesime non si accordano. Questi doversi anzitutto ben definire. Noi desideriamo, diss'io, che la dignità dei Governi amici sia salva in ogni vertenza e noi siamo disposti a secondarli in questo giusto loro intento, ma in quella misura che si conviene, cioè non ledendo la nostra propria dignità, e gli interessi che è debito nostro di tutelare. Le nostre intenzioni debbono, soggiunsi io, essere a quest'ora note al Governo dell'Imperatore. Il Ministro del Re a Parigi ha avuto incarico di mettersi d'accordo coll'Ambasciatore di S. M. Britannica per trattare di quest'affare epperò io non posso dubitare che se il Signor di Moustier si mostra soddisfatto del contegno assunto dal Governo inglese la stessa soddisfazione egli debba provare a seguito dell'atteggiamento preso dal Gabinetto di Firenze. Voglio anzi sperare che non tardando a riconoscere come in questo incidente noi non ci siamo mai discostati da una linea di condotta moderata e prudente il Governo Imperiale si persuaderà che in tutte le vertenze della Tunisia noi non ci proponiamo altro scopo fuorché di assicurare agli interessi italiani quella tutela e quelle guarentigie che gli altri Governi desiderano ottenere pei loro.

Essendosi poi sovra questo argomento alquanto animata la conversazione, ed il Barone di Malaret soggiungendo che la Francia ha i mezzi di far rispettare i suoi diritti, stimai dovergli rispondere che noi non pretendevamo

discutere i diritti della forza della quale la Francia potrebbe eventualmente disporre, ma volevamo mantenere il nostro diritto sul terreno della giustizia e dell'equità.

Terminai poi col dire, e parmi che meco convenisse nello stesso avviso il Ministro francese, essere cosa assai più conveniente il non pregiudicare con inutili discussioni una quistione della quale importava anzitutto ben istabilire e determinare i termini e le basi, cosa questa che non potevasi fare che d'accordo coll'Inghilterra.

A questo proposito Ella potrà dunque intendersi con Lord Lyons perché le trattative del Governo italiano ed inglese col Gabinetto delle Tuileries possano riuscire ad un risultamento soddisfacente per tutti.

(l) Cfr. n. 273.

279

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 666. Parigi, 7 maggio 1868 (per. 1'11).

Mi pregio d'accusar ricevuta dei dispacci che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il 30 Aprile scorso e 1° Maggio corrente (serie politica, nn. 347, 348, e 350) relativi agli affari di Tunisi, nonché dei due telegrammi del 30 Aprile e del 3 Maggio riferentisi alla stessa questione (l).

Attendo il documento che l'E. V. mi annunziò con quest'ultimo telegramma, e le istruzioni che lo accompagneranno.

Ho creduto intanto di dover riparlare di nuovo ieri a S. E. il Marchese di Moustier, affine di ben precisare le idee del R0 Governo in proposito. Il Marchese di Moustier mi disse che il Barone di Malaret gli aveva partecipato la risposta fatta dall'E. V. alla sua comunicazione. Questa risposta aveva suggerito al Marchese di Moustier alcune osservazioni ch'egli mi disse aver trasmesso al Barone di Malaret. La principale osservazione da quanto mi disse il Ministro Imperiale degli Affari Esteri, consiste in questo che il Governo francese si crede in diritto e nella necessità di ottenere anzitutto dal Bey di Tunisi che tenga gl'impegni presi verso il Console Generale di Francia, e ciò indipendentemente dagli accordi che potranno conchiudersi direttamente fra la Francia, l'Italia e l'Inghilterra. Il Marchese di Moustier distingue due questioni negli affari di Tunisi, cioè una questione preliminare di forma, una questione per dir così d'onore per la Francia, e una questione di fondo. La prima questione, nel pensiero del Ministro Imperiale degli Affari Esteri, deve risolversi esclusivamente tra la Francia ed il Governo della Reggenza; anzitutto il Bey dovrebbe confermare gl'impegni presi col Console Generale di Francia. I membri della Commissione francese hanno sospeso la loro partenza. Il pegno preso ip. mano dalla Francia, dice il Marchese di Moustier, non deve pregiudicare la questione di fondo; è una guarentigia che servirà a tutelare non solo gl'inte

ressi francesi, ma anche gl'interessi italiani, inglesi e prussiani, giacché l'Ambasciatore di Prussia ha fatto osservare al Governo francese che vi sono anche dei creditori prussiani, principalmente Francofortesi, interessati nella questione. Ma il Marchese di Moustier dichiara che anzitutto il Bey deve dare alla Francia la soddisfazione di adempiere alla promessa da lui fatta e di cui il Governo del Bey prese l'iniziativa. In quanto alla questione di fondo, il Marchese di Moustier, si dichiara pronto ad esaminarla in Parigi, d'accordo coi Governi interessati e a risolverla in un senso perfettamente equo per tutti gl'interessi.

Ho ragione di credere che il medesimo linguaggio è stato tenuto a Lord Lyons, dal Marchese di Moustier.

Come l'E. V. vede da questa rapida esposizione delle cose dettemi dal Marchese di Moustier, esiste una divergenza grave nel modo di procedere indicato dall'E. V. col dispaccio del 30 Aprile n. 348 e quello proposto dal Ministro Imperiale degli Affari Esteri. Affine di mettere il Governo francese pienamente in grado di conoscere il pensiero del Governo del Re sia sul modo di procedere, sia sui principii da applicarsi nella questione di fondo, ho creduto utile di dirigere al Marchese di Moustier un dispaccio (1), nel quale riprodussi la sostanza della risposta fatta dall'E. V. al Barone di Malaret. In una questione dalla cui soluzione dipendono gravi interessi italiani, e la cui trattazione può diventar molto delicata e difficile, è importante che le idee generali del R. Governo siano almeno nella loro sostanza consegnate in modo preciso in un documento scritto.

Attenderò le istruzioni dell'E. V. per fare quegli ulteriori uffici ch'Ella giudicherà convenienti. Frattanto ho creduto di dover esprimere verbalmente al Marchese di Moustier l'opinione, che parevami urgente che i Rappresentanti delle Potenze interessate fossero convocati il più prontamente possibile giacché ogni ritardo può aggiungere gravità alla situazione creata dagli ultimi incidenti di Tunisi. L'Ambasciatore d'Inghilterra a Parigi a cui non ho taciuto il senso della risposta fatta dall'E. V. al Barone di Malaret, mi espresse il medesimo avviso sulla convenienza di una pronta convocazione dei Rappresentanti degli Stati interessati.

(l) Cfr. nn. 264 e 265; gli altri documenti non sono pubblicati.

280

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1114. Londra, 8 maggio 1868, ore 20,50 (per. ore 0,15 del 9).

Vous verrez par ma dépeche n. 414 (l) preuve de l'exagération de l'assertion française à l'égard Tunis. Lord Stanley m'a dit que n'ayant reçu aucune proposition, il n'a jusqu'à présent pu tomber d'accord sur rien. Quant à donner instructions à son consul de cesser opposition, il a déclaré que si la France ordonne au sien de ne plus exercer influence auprès du Bey, Gouvernement anglais en fera autant. Pas d'explications encore sur la dernière attitude

prise par consul impérial. Cabinet français dit que ayant reçu des garanties formelles par Tunis considère une question d'honneur de ne pas reculer, mais il promet de s'entendre avec l'Italie et l'Angleterre pour en sauvegarder intérèts. Comptez sur entente parfaite et en tout entre lord Lyons et Nigra. Stanley m'en a répété l'assurance.

(l) Non pubblicato.

281

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 13. Firenze, 8 maggio 1868.

Il rapporto che la S. V. mi ha diretto per rendermi conto dell'incidente che condusse il Signor Botmiliau ad interrompere le sue relazione col Bardo, è l'ultimo ch'io abbia ricevuto da Tunisi. La situazione era veramente grave, epperò io ho veduto con piacere che, rendendosene esatto conto, Ella non ha esitato, d'accordo col di Lei collega d'Inghilterra, a dare al Bey quei consigli di prudenza che erano voluti dalle circostanze. Il Governo del Re approva la condotta che S. V. ha tenuto per tutelare i diritti acquisiti degli italiani verso il Bardo e per guarentire gl'interessi nazionali in codesto paese. Noi speriamo che, continuando Ella a mantenersi in perfetto accordo col Signor Wood, nessun diritto e nessun interesse degli Italiani possa essere sacrificato. Ora trattasi di trovare un componimento il quale possa sembrare soddisfacente anche alla Francia. A quest'effetto fu sin da principio nostro avviso si dovessero aprire trattative fra le parti interessate riunite insieme a Parigi od altrove per modo di giungere ad una pratica conclusione. Sinora non sembra che questo progetto sia interamente adottato, ma io spero che quando lo si traduca in effetto, non si tarderà a trovare la soluzione che tutti desideriamo. Mentre sono in corso queste trattative, ove da nessun altro fatto sia modificata la situazione presente, ritengo che ogni nostro studio debba essere principalmente rivolto ad ottenere che nessun nuovo atto del Governo Tunisino venga a mutare lo stato attuale delle cose.

282

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 75. Madrid, 8 maggio 1868 (per. il 19).

Jersera mi giunse il telegramma che l'E. V. mi fece l'onore d'indirizzarmi in giornata (1), e profittando d'un'occasione mi faccio premura di risponderLe quanto segue:

Io poco conosco le condizioni del Portogallo, epperò stimerei presunzione inopportuna da parte mia di pronunziare giudizii a fare pronostici sulle cose di quel Regno, e mi limiterò quindi a parlare di quelle di Spagna.

Si suppone che in un tempo più o meno lontano debba verificarsi in questo Stato qualche moto. Io non ho inteso alcuna voce in questi ultimi tempi che tenda a giustificare questa supposizione. È bensì vero che, come l'E. V. conosce benissimo, la tranquillità in Spagna è sempre precaria, ed i movimenti insurrezionali, i pronunciamenti e le dimostrazioni sono fino ad un certo punto periodici. Ed ebbi, or non ha guarì, l'onore di riferire all'E. V. come la morte del Generale Narvaez possa dar animo ai partiti sovversivi, per preparare nuovi rivolgimenti. Ma finora nulla ritrassi di speciale a questo riguardo. I partiti si 'trovano in un periodo di dissoluzione. L'unione l:iberale s'agita senza nocchiero; il partito moderato non vuoi saperne della direzione del Gonzales Bravo. Le file del progressista sono disperse, ed in gran parte fuori del Regno. Il neocattolico è il solo che abbia una specie d'organizzazione. Qualche movimento adunque potrà bensì occorrere, e forse anche in un'epoca non remota, ma per ora non si vede da qual parte sia per venire. In ogni caso io non saprei vedere qual connessione possano avere i movimenti di Spagna con quelli del Portogallo. I partiti di questo paese non hanno alcun rapporto con quelli del vicino Regno; i caratteri, le passioni, i modi ne differiscono completamente, e la storia dimostra se ai rivolgimenti dell'uno abbian corrisposto quelli dell'altro.

In ogni caso per quanto riguarda la Spagna credo poter affermare che se avvengono disordini il Governo userà ogni possibile energia per soffocarli, ma non ricorrerà all'ajuto d'altre potenze. È noto come ripugni agli Spagnuoli di veder nel loro territorio armi straniere. E nelle biografie del Maresciallo Narvaez, recentemente pubblicate, fu rammentato a sua gran lode come, in un momento in cui le condizioni di questo paese erano miserrime, avendo uno dei generali proposto di domandare l'ajuto delle truppe francesi, il Narvaez combattesse energicamente siffatta proposta nel Consiglio di guerra, e preferisse appoggiarsi unicamente sulle forze nazionali. Ed a questo partito, io credo, saranno per attenersi gli Spagnuoli nell'avvenire.

L'altra supposizione messa innanzi è che i partiti estremi s'intendano per fare una spedizione contro il Portogallo. Quale sarebbe lo scopo di questa spedizione? Contro chi sarebbe diretta? -quali sarebbero i partiti che la condurrebbero? -Quanto alla prima questione io non vedrei altro scopo che quello dell'Unione Iberica. Ma per chi conosce la storia passata della Penisola, e le condizioni presenti è facile comprendere come quest'unione abbia pochissimi partigiani nell'uno come nell'altro Stato, e presenti ben poca probabilità di successo. Che se la spedizione fosse diretta contro quella DinasUa quale sarebbe l'ordine di cose che vi si vorrebbe costituire? Non suppongo s'intenda fatta per estendere i domini di S. M. Cattolica che è perfettamente soddisfatta dei presenti. Che sia allo scopo di stabilire la Repubblica Iberica? Ma in tal caso mi parrebbe necessario cominciare per rovesciare la dinastia di Spagna; e questo non è ancor fatto. Quanto alla terza questione la risposta è ancor più difficile a trovarsi. La comunicazione ricevuta dall'E. V. parla d'una combinazione de' partiti estremi di Spagna allo scopo predetto. Ora questi mi sembrano essere il neo-Cattolico ed il progressista. Ma come si può supporre un'intelligenza fra questi due partiti? Siffatte combinazioni possono essersi fatte in altri paesi, ma in !spagna la cosa mi pare del tutto inverosimile. Il primo infatti è eminentemente dinastico, sa di godere delle simpatie della Regina ed aspira al potere sotto il regime attuale.

25 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

Che se in certe eventualità fosse per contribuire a rovesciare il trono, non potrebbe essere che per sostituirvi Don Carlos. Il progressista invece è anti dinastico; va in cerca di pretendenti fuori e dentro del Regno, ed una parte di esso si rassegnerebbe anche a stabilire la Repubblica. Mi parrebbe assai difficile di conciliare anche temporariamente elementi tanto disparati.

E per riassumermi dirò che i movimenti politici in !spagna sono periodici, ma che per ora non si parla d'alcuno in via d'organizzazione; che una combinazione fra questi partiti estremi è eminentemente inverosimile; che una spedizione contro il Portogallo proveniente di Spagna mancherebbe di scopo e sarebbe di difficilissima esecuzione (1). E queste sono le considerazioni che mi sono suggerite dalla comunicazione predetta e che umilmente sottometto all'E. V. Siccome però io potrei ingannarmi, non mancherò di fare ulteriori indagini in proposito, e di quanto potrò ritrarre avrò cura di ragguagliare senza indugio l'E. V ....

P. s. Qui unita una lettera particolare per V. E. (2).

(l) Cfr. n. 277.

283

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 9. Vienna, 8 maggio 1868 (per. 1'11).

Il Principe di Metternich, giunto da Parigi, portò notizie che indussero qui a credere che H temuto conflitto Franco-Prussiano possa scoppiare non già in giugno o luglio, come ultimamente si era, anche nei circoli ufficiali, disposti a credere, ma piuttosto fra otto o nove mesi. Il Principe di Metternich, se sono ben informato, non sa dir nulla delle intenzioni personali dell'Imperatore Napoleone che lascia i suoi Ministri Niel e Rouher lottare d'influenza, chi per la guerra, chi per la pace, conservando egli stesso un assoluto silenzio a tal riguardo. Secondo lui parecchie autorità militari in Francia propenderebbero tuttora per una campagna d'inverno; intanto si provvederebbe all'istruzione delle guardie mobili, e né la Francia, né la Prussia avendo vere alleanze, si crederebbe alla localizzazione ed alla breve durata della futura campagna.

Quel che credo poter asserire è che l'Austria accentua sempre più, sia verso la Francia che verso la Prussia, il suo proposito di rimaner neutrale. Furono scambiate ultimamente tra Vienna e Londra delle comunicazioni sulla opportunità di agire di concerto presso i Gabinetti di Parigi e di Berlino per un disarmo; ma i passi fatti colla voluta prudenza avrebbero condotto l'Inghilterra e l'Austria al convincimento che né la Francia, né la Prussia avrebbero voluto trattare seriamente tale argomento prima che siano ultimati i preparativi attualmente proseguiti da ambedue i Governi, il che vuol dire prima del momento in cui 3ippunto diventerà pericolosissimo un tal negoziato, solito foriero di guerra.

Questo Governo intanto progredisce nella sua impresa di conciliare le aspirazioni autonome dell'Ungheria coll'unità dell'esercito. Le trattative tra il Ministero Ungherese ed il Cis-leithano da una parte, ed il Ministero comune della Guerra dall'altra, s'avvicinano ad un esito felice. Sarebbe ammessa la ricostituzione degli Honwed secondo le istituzioni tradizionali Ungheresi; essi potrebbero, secondo quanto diceva ultimamente il Conte Andrassy, dare 300.000 uomini perfettamente addestrati; e tale istituzione, la quale formerebbe in Ungheria una forza di carattere intermediario tra la guardia mobile francese e la landwehr prussiana, sarebbe in correlazione con una landwehr da stabilirsi, sopra basi non ancora determinate, nella parte cis-leithana della Monarchia. Pare inoltre che sia stata concessa agli Ungheresi la dislocazione esclusiva dei Reggimenti Ungheresi dell'esercito comune sul territorio Ungherese.

Tutto ciò però non è ancora definitivo, l'accordo al riguardo standosi tuttora trattando.

V. E. osserverà che gli Honwed sono una forza di tal indole che la si può agevolmente riunire partitamente nelle sedi dei Comitati, senza che ciò possa essere segnalato come un armamento od un concentramento di truppe.

Questa osservazione non è forse priva d'interesse in questo momento ove il Ministero comune della Guerra (ho al riguardo informazioni che credo sicure) organizza i quadri dei quinti battaglioni nei singoli depositi e completa i quadri assai indeboliti della sua cavalleria.

(l) -Oldo!nl telegrafò con t. 1121 del 14 maggio: « Cralntes espagnoles sont ici plus alarmantes » (2) -Manca.
284

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1115. Parigi, 9 maggio 1869, ore 17 (per. ore 19).

Moustier, à qui j'ai communiqué, pour plus de précision par écrit le résumé de votre réponse à Malaret sur les affaires de Tunis d'après votre dépeche du 30 avril (l) vient de me répondre ce qui suit: «Il y a dans l'af<faire de Tunis deux discussions distinctes, l'une entre le Bey et la France, et l'autre entre la France et le Gouvernement italien; la première regarde la France seule et se réglera facilement à la condition qu'aucune immixtion étrangère en empechant le Bey de donner les satisfactions que la France exige et qu'il est par lui meme disposé à accorder, n'oblige la France à sauvegarder sa dignité sur laquelle elle ne saurait transiger. Le Bey ne peut pas retirer meme provisoirement ses engagements. Quant à l'autre question de savoir si les engagements du Bey envers la France sont de nature à blesser les intérets legitimes de l'Italie, le Gouvernement impérial a déclaré dès le commencement qu'il était pret à entrer sur le terrain de Paris, mais non de Tunis en explications avec l'Italie. La France n'a aucune intention de se prévaloir de droits qui seraient en contradiction avec les droits des autres. Cette assurance doit suffire à déterminer le Gouvernement italien à entrer en pourparlers de suite avec la France, sans poser d'avance des questions

préjudicielles ni prétendre limiter l'action et les droits de la France d'une manière arbitraire. La réponse du Gouvernement italien pose la question d'une manière, qui, sans rien ajouter aux garanties offertes par les bonnes intentions et la loyauté de la France paraitra1t accuser une défiance dont le Gouvernement impérial pourrait légitimement se montrer blessé et en plaçant la France inutilement dans une situation inacceptable pour sa dignité compromettrait tous les intérets que la France a l'unique désir de sauvegarder par une entente mutuelle. Moustier espère donc que vous voudrez bien m'autoriser à entrer immédiatement en conférence avec lui sur ces bases ». J'attends vos instructions. Lyons à qui j'ai indiqué le sens de la réponse de Moustier n'a pas encore reçu des instructions de son Gouvernement. Général Raffo est arrivé depuis trois jours. Opinion de Lyons est que le Gouvernement français finira par obtenir du Bey la signature du décret.

(l) Cfr. n. 265.

285

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 633. Firenze, 9 maggio 1868, ore 24.

M. de Moustier déplace entièrement la question. Nous n'avons, par rapport à Tunis, aucune affaire avec la France, mais nous en avons une avec le Bey, et il est de notre devoir de sauvegarder nos intéréts qui sont garantis par des conventions particulières, et que le Bey n'est pas en droit de méconnaitre. Nous désirons sincèrement qu'un accord s'établisse entre la France et les autres Puissances au sujet de Tunis. Mais nous ne pouvons, dès à présent, ainsi que semble le vouloir M. de Moustier, donner notre approbation à des actes qui nous sont contraires. Du reste, je l'ai déclaré plus d'une fois, comme dans cette question nos intéréts sont identiques avec ceux de l'Angleterre, nous voulons marcher d'accord avec elle. C'est dane sur ce terrain que vous devez strictement vous tenir. En conséquence je vous engage à télégraphier au chargé d'affaires du Roi à Londres le contenu de votre télégramme (1), afin qu'il puisse me faire connaitre l'opinion de lord Stanley à ce sujet.

286

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 635. Firenze, 11 maggio 1868, ore 15.

Je vois avec peine que journaux français qui passent pour officieux, cherchent égarer opinion publique, en représentant dans affaire Tunis, Gouvernement italien camme marchant dans voie opposée à l'acco,rd qui d'après eux existerait entre

France et Angleterre. Je crois que c'est le contraire qui a lieu; car jusqu'à présent nous avons agi d'accord avec l'Angleterre dont les intéréts sont identiques aux notres. En effet, de quoi s'agit-il? Les italiens et les anglais ont sur le Gouvernement tunisien des créances hypothécaires sur certaines branches de revenus dont la rentrée est certaine; la France qui a également des créances dont le paiement se trouve moins assuré que le notre a cherché, à ce qu'il parait, à notre insu, à obtenir du Barde un décret ou convention tendant à abolir nos garanties, à mettre entre les mains de la France l'administration financière de la Régence et à confondre intéréts italiens et anglais dument garantis avec ceux de la France qui le sont beaucoup moins. Il était donc de notre devoir de protester non contre la France, avec laquelle nous n'avons rien à faire, mais contre le Bey qui par le décret ou convention négocié, avait manqué à ses engagements envers nous. D'après votre propre dépéche il paraitrait que la France exige de nous que nous laissions faire le Bey, sauf à nous arranger après avec elle et elle prétend étre sur ce point d'accord avec l'Angleterre. Mais les informations que je reçois de Londres me disent tout le contraire. L'Angleterre jusqu'à présent ainsi que nous, est disposée à s'entendre à Paris avec la France pour assurer nos intéréts réciproques; mais il ne parait pas qu'elle ait jamais consenti à approuver le décret que le Bey refuse maintenant de signer. Je regrette que les agents du Cabinet français dans cette question de méme que cela a eu lieu dans celle des conférences sur Rome, ne tiennent pas un langage identique, et que dans cette affaire, camme dans l'autre,

M. de Moustier ait l'air d'accuser le Cabinet de Florence de mauvais vouloir, tandis qu'il n'en est rien. Cette manière de procéder n'est pas, à mon avis, la plus opportune: un langage simple et uniforme est ce qui me semble de plus convenable. Je repousse donc formellement toute imputation de mauvais vouloir. Il peut se faire que le représentant de la France à Tunis soit allé trop loin, mais ce n'est pas à nous d'en supporter la peine. Je suis informé que la Prusse se mele de l'affaire de Tunis dans le méme sens que nous.

(l) Cfr. n. 284.

287

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1117. Atene, 11 maggio 1868, ore ... (per. ore 18).

Gouvernement ottoman ayant été informé que l'opposition et les comités voulaient proposer d'élire 15 députés crétois pour la chambre, a chargé son ministre de déclarer qu'il aurait quitté Athènes, si la proposition était approuvée. Ministre de Turquie a adressé note officielle dans ce sens. Ministre d'Angleterre a aussi adressé note pour appuyer cette démarche. Ministre de France attend instructions qu'il a demandées. Cependant le ministère avait déjà et il a de nouveau assuré que la propostion serait repoussée. D'ailleurs, il ne lui convient pas d'avoir 15 votes de plus contraires.

288

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1118. Londra, 11 maggio 1868, ore ... (per. ore 19).

Reçu déplkhe du chevalier Nigra (l). Lord Stanley n'a reçu aucune communication au sujet de Tunis mais il pense que l'assertion contenue dans la note du marquis de Moustier à l'égard des engagements solennels du Bey avec la France est la substance de ce qu'il a aussi exprimé à lord Lyons et que Sa Seigneurie parait disposée à admettre. Milord ne voit donc pas d'inconvénient que nous consentions en principe à la demande française tout en temporisant, croyant délai favorable à solution et en nous reservant le droit de protester contre toute violation des intérets italiens à Tunis. Lord Stanley a ajouté qu'à pareille requete il répondrait à peu près de cette façon, quoiqu'il m'observàt que n'ayant pas eu de proposition il lui était difficile de dire exactement ce qu'il ferait, mais il m'a fait refléchir que nos intérets étant identiques avec ceux de l'Angleterre on ne pourra pas établir de distinction, et que ce qui sera accordé à une puissance ne pourra pas ètre nié à l'autre.

289

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 73. Firenze, 11 maggio 1868.

Ieri il signor Conte di Usedom venne a darmi comunicazione di un telegramma di S. E. il Conte di Bismarck il quale lo invitava a chiedermi in quale stato si trovassero i nostri affari a Tunisi e quali intendimenti noi avessimo al riguardo.

Non ebbi difficoltà di narrare all'Inviato di Prussia in che cosa consistesse la difficoltà insorta fra il Governo Tunisino l'Italia e l'Inghilterra da una parte e la Francia dall'altra.

Gli dissi che noi non facevamo opposizione alla Francia in questa vertenza, ma che informati come dal Governo del Bey si stesse per pubblicare un decreto che avrebbe gravemente leso i nostri interessi nella Tunisia, avevamo, d'accordo coll'Inghilterra, protestato presso il Bardo contro quell'atto prima che il medesimo venisse dal Bey sottoscritto e pubblicato.

Con quel decreto sostanzialmente il Governo di Tunisi poneva la sua finanza nella più assoluta dipendenza di una commissione nella quale prevalevano gli elementi francesi, e revocava le concessioni ipotecarie date ad alcuni Italiani ed Inglesi che fecero, l'anno scorso, importanti conversioni del debito fluttuante della Reggenza mediante contratti regolari.

Il Governo Tunisino posto fra le proteste dei Consoli d'Italia e d'Inghilterra e le sollecitazioni del Console francese il quale esigeva la pubblicazione del decreto in questione, si astenne dal sanzionare il decreto invitando le tre potenze a mettersi d'accordo per dare al decreto medesimo quella nuova forma che sembrasse conciliare tutti gli interessi delle Potenze. Fu dietro questa decisione del Bey che il Console di Francia ha interrotto le sue relazioni a Tunisi dicendo che il Governo Tunisino si era impegnato a pubblicare il decreto e che doveva mantenere quel suo impegno malgrado le obiezioni fatte dagli Agenti d'Italia e d'Inghilterra.

Così stando le cose, ebbero luogo e prima e dopo l'incidente narrato numerosi carteggi fra questo Ministero, le RR. Legazioni di Parigi e Londra ed il Consolato Generale di Sua Maestà a Tunisi. Dai documenti ricevuti e spediti da questo R. Ufficio risulta in ogni sua più minuta parte lo stato della vertenza, le sue origini ed il fondamento dei nostri diritti. Affinché la S. V. possa essere di ogni cosa perfettamente informata, Le invio qui unito un fascicolo che comprende appunto tutta la corrispondenza sin qui scambiata relativamente agli Affari di Tunisi.

Noi avevamo saputo dal R. Agente e Console Generale in Tunisi che il Governo del Bey avea esposto la sua posizione rimpetto alle potenze alla Prussia, invocando i buoni uffici del Gabinetto di Berlino; ma non volendo, in un affare nel quale gli interessi nostri non sono identici a quelli della Francia, far credere che da noi si ricercasse l'intromissione della Prussia, non abbiamo stimato opportuno di far conoscere, prima d'essere interpellati da lui, al Governo Prussiano lo stato di una vertenza nella quale egli trovasi pure interessato. Ritengo che la nostra riserva in quest'occasione non riceverà per parte di S. E. il Conte di Bismarck altra interpretazione, ma in ogni caso, quando ne fosse il bisogno, l'autorizzo a spiegare nel senso sovr'indicato l'astensione da parte nostra di ogni comunicazione a Berlino sovra quest'argomento.

Ma dappoiché la Prussia ha desiderato conoscere la situazione vera degli affari nostri a Tunisi ed ha bramato sapere quali fossero i nostri intendimenti al riguardo, noi desideriamo ch'Ella assicuri da parte nostra il Gabinetto di Berlino che non abbiamo in quel paese alcun interesse esclusivo: difendiamo soltanto diritti acquisiti, desiderando sinceramente di metterei d'accordo con tutte le potenze interessate per guarentire ugualmente i diritti e gli interessi si presenti che futuri impegnati in quel paese.

(l) Cfr. !n proposito 11 n. 285.

290

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1119. Londra, 12 maggio 1868, ore ... (per. ore 14,02).

Désirant éclaircir la contradiction existant au sujet de Tunis entre le~ assertions de Stanley et du prince de La Tour j'ai eu une entrevue avec ce dernier. Celui-ci a positivement écrit à Paris que le Gouvernement anglais sur la promesse que ses intérets antérieurs seraient sauvegardés, à admis prééminence des drolts français et accepté de traiter directement avec le marquis de Moustier pour la composition de la commission financière. Tout ceci est vrai en principe mais Stanley n'a plus rien reçu de Paris depuis dix jours et il considère la question toujours en suspens. Il y a donc de l'exagération d'un còté et de la réserve de l'autre. Le prince La Tour croit pourtant que l'accord avec l'Angleterre pour en venir à solution favorable est assuré, et ce que je vous ai télégraphié hier (l) après avoir vu Stanley me parait plutòt de nature à confirmer que à détruire cette manière de volr. M. de Moustier veut diriger personnellement ces négociations à Paris.

291

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1120. Parigi, 12 maggio 1868, ore... (per. ore 15,20).

Maffei m'a communiqué télégramme qu'il vous a adressé hier sur affaires Tunis (1).

En présence de réponse de Stanley, je viens vous demander, si vous le jugez opportun, de communiquer à Moustier vos deux derniers télégrammes, (2) ou 3i vous jugez plus prudent d'attendre. Cette réponse de Stanley me parait de nature à modifier situation cependant ferai ce que vous me direz.

292

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 191. Berlino, 12 maggio 1868 (per. il 16).

J'ai fait allusion dans ma dépeche N. 189 (3) aux déclarations pacifiques qui s'échangeaient entre Berlin et Paris.

Je suls à meme de fournir aujourd'hui quelques détails à ce sujet.

Vers la fin du mois d'Avril, l'Ambassadeur de France rendait compte à son Gouvernement d'un entretien qu'il avait eu avec le Comte de Bismarck -dont le langage avait été conciliant. Le Président du Conseil avait dit, entre autres, que le Roi, le Comte de Goltz, et lui meme M. de Bismarck, formaient un trio basé sur leur croyance au maintien de la paix, lors meme qu'ils représentassent à eux-seuls des idées qui n'étaient pas partagées en Allemagne. Cette croyance ils la puisaient dans la conviction que l'Empereur des Français ne visait nullement à des entreprises belliqueuses.

Dans sa réponse à M. Benedetti, réponse qui a été communiquée à M. de Thiele, le Marquis de Moustier prenait acte avec satisfaction des bonnes dispositions qui résultaient d'une semblable manière de voir parfaitement justifiée par les sentiments bien connus de l'Empereur. L'opinion publique en Allemagne traversait aujourd'hui une situation ayant quelque analogie avec celle où se trouvait la France en 1867. Cette dernière pensait alors que l'Allemagne voulait provoquer la guerre. Les ròles sont maintenant intervertis; mais ces prévisions sinistres sont dénuées de tout fondement. Ces assurances ont été répétées au Comte de Goltz soit par M. de Moustier soit par M. de Saint Vallier.

L'ambassadeur de Prusse, tout en ne contestant pas la valeur de pareilles assurances, n'a pu s'empécher de faire l'observation que elles contrastaient aux différents symptòmes qui n'inspiraient pas la méme confiance dans l'avenir. Sans s'arréter à d'autres indices, il signalait les armements non interrompus, et cette circonstance trés remarquable que dans l'armée française il y avait unanimité dans le pressentiment d'une lutte prochaine. Le Maréchal Niel sous ce rapport prononçait des paroles assez compromettantes. Il cherchait, il est vrai, à les expliquer en alléguant qu'il devait se servir des arguments les plus propres à faire accepter le budget de son Ministère. Il aurait à combattre des demandes persistantes d'économie. Mais, d'après un jugement fort sensé du Comte de Bismarck, jugement rapporté à Paris, en fournissant des arguments en faveur d'une politique qu'un parti influent ne cesse de pròner, et en répandant ainsi des inquiétudes dans le monde commerciai, sur chaque 10 millions que le Ministre de la Guerre arracherait à la Commission ou aux Chambres, le budget en perdrait cinquante en suite de la stagnation des affaires. Pour atténuer la portée des discours du Maréchal Niel, on les qualifiait au Ministère Impérial des Affaires Etrangères, de pures gasconnades.

Le fait est que hier encore M. de Thile, quoiqu'il connut probablement déjà par voie télégraphique l'allocution de l'Empereur à Orléans, me disait que la situation restait toujours pleine d'incertitude. Quelles que fussent les forces dont dispose la Confédération du Nord, tout esprit impartial devait convenir qu'elle ne poursuivait aucun pian agressif. Malgré les dénégations les plus formelles, serait-il prudent d'avoir une égale confiance vis-à-vis du Gouvernement français et d'un Souverain placés dans des conditions si délicates par leur politique à l'intérieur aussi bien qu'à l'étranger? Pour faire accepter, sans trop de murmures, des armements aux proportions si considérables, ils invoquent la nécessité de réorganiser leur armée pour la mettre au niveau de celle de l'Allemagne. Celle-ci n'est constituée cependant que dans un but défensif. Les défenseurs trop zélés du Cabinet de Paris vont jusqu'à prétendre que non seulement la Prusse devrait donner l'exemple d'une réduction de ses troupes dans une large mesure, mais qu'elle devrait méme modifier ses règlements du service obligatoire pour chacun de ses ressortissants. Qu'elle consente par un acte de sa libre volonté à diminuer l'effectif de son pied de paix, lorsque les nuages se seront dissipés à l'horizon, rien de mieux. Mais que elle change radicalement un système qu'elle tient pour le meilleur, et que chaque Etat, si bon lui semble, peut chercher à s'approprier, elle ne saurait s'y résoudre, et il serait parfaitement injuste de le lui demander.

Tel est le fond des idées qui ont été émises par. M. de Thile. Il reconnaissait lui meme, quel que fut le manque de confiance, qu'il n'existait aujourd'hui entre la Prusse et la France aucun différend politique apparent qui put fournir au Cabinet des Tuileries un motif de conflit. La question de Mayence avait été réglée de gré à gré avec la Hesse par des considérations d'ordre intérieur. Les négociations continuent avec le Danemark, et d'ailleurs l'Empereur d'Autriche a seul le droit d'invoquer l'exécution de la paix de Prague. Dans quelle mesure? C'est un point qui est resté indéfini. Ainsi, comme l'affirmait M. de Bismarck dans la séance du 18 Mars 1867 du Parlement fédéral, le Gouvernement Prussien a quelque latitude de se diriger d'après ce qu'il croit lui meme tout à la fois équitable et conforme aux intérets de l'Etat.

A ce propos le Sous Secrétaire d'Etat donnait un démenti forme! aux assertions du journal la Presse de Vienne, assertions d'après lesquelles le Cabinet de Berlin invoquerait l'intervention amicale ou meme l'arbitrage de la Cour Autrichienne vis-à-vis du Gouvernement Danois. Sans doutes les négociations directes engagées avec le Cabinet de Copenhague marchent avec une grande lenteur, on est encore très éloigné d'une solution. Mais c'est peut etre parce que le Danemark croit avoir plus d'intéret à ne pas accepter aujourd'hui une transaction à ses yeux trop incomplète, tandis qu'il se fait illusion de compter sur un avenir qui lui ménagerait des chances plus favorables.

Il faudrait enfin voir également un indice pacifique dans la votation du 7 mai. Le rejet de l'adresse n'a été amené que par la situation intérieure de l'Allemagne afin de ne pas blesser les susceptibilités des Etats du Sud. Le Parlement fédéral n'avait pas à tenir compte des dispositions de l'étranger. Mais dans le fait l'Assemblée par ce vote et le Gouvernement par son attitude, ont enlevé ainsi tout prétexte à l'agitation qui commençait à se faire jour dans les feuilles françaises.

Il n'y aurait donc, ajoutait M. de Thile, aucun motif réel de conflit, n'étaient les armements, la fluctuation des partis en France, et l'oscillation de la Cour des Tuileries entre deux courants contraires. Il ne reste qu'à attendre les événements pour voir si on peut compter sur un paisible développement des destinées nationales de l'Allemagne, ou si, en dépit de la logique et du bon sens, la France voudrait y mettre des entraves qui ne feraient que en accélérer et en assurer la marche.

(l) -Cfr. n. 288. (2) -Cfr. nn. 285 e 286. (3) -Non pubblicato.
293

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABR.F.A, AL MINISTR.O A PARIGI, NIGRA

T. 638. Firenze, 13 maggio 1868, ore 2.1.

A mon grand étonnement j'ai vu publié dans l'Italie la convention aui devait étre signée par le Bey de Tunis et par la France. Je regrette cette publication qu'on ne manquera pas à Paris d'attribuer à une indiscrétion de notre part, quoique elle mett-e la question sous un jour incomplet et inexact. Je p.ré

sume qu'elle provient de Par,is meme et de personnes qui seraient bien aise d'embarraser davantage la situation.

294

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 639. Firenze, 13 maggio 1868, ore 23,30.

On me télégraphie de Londres (l) que depuis dix jours lord Stanley n'a rien reçu de Paris sur l'affaire de Tunis et qu'il considère la question camme encore en suspens. Toutefois ses intentions semblent toujours de venir ainsi que nous à un accord avec la France sur la proposition à faire au Bey. C'est dans ce sens que nous avons toujours parlé. Je le répète dane, nos contestations sont avec le Bey et non avec la France; nous adhérons volontiers à discuter avec elle les arrangements qui, tout en sauvegardant ses intérets garantissent nos intérèts passés et futures. Malgré ce langage constant qui me semble clair et précis, il parait que à Paris, on a déplacé la question en opposant à celle de nos intérèts matériels, la dignité de la France à la quelle certainement personne ne croira que nous portions atteinte en défendant les justes droits de nos nationaux. C'est dans ce sens que je vous prie de pader à M. de Moustier.

295

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO A BUCAREST, GLORIA

D. 27. Firenze, 13 maogio 1868

In una conversazione ch'io ebbi col Signor Bratiano dopo il mio ritorno in Firenze, questi mi parlò a lungo delle modificazioni che il suo governo desidererebbe introdurre ne' suoi rapporti colle estere potenze.

Primo punto sul quale si aprì la nostra conversazione fu quello dell'abolizione delle capitolazioni. Sopra questo argomento mi attenni a quanto ebbi già a parecchie riprese ad esternare. Dissi cioè che noi saremmo disposti non ad abolire, ma a sospendere l'applicazione delle capitolazioni con che ci fosse dimostrato che i tribunali chiamati a giudicare le cause dei nostri connazionali presentano realmente ed agli occhi della pubblica opinione le guarentigie necessarie, ed alla condizione espressa che anche altre potenze vogliano simultaneamente accettare siffatto temperamento.

Avendomi dippoi parlato il Signor Bratiano del desiderio del suo Governo che in Bucarest si accreditassero Agenti politici presso il principe di Rumenia, non ho esitato a rispondere che, pronti a non frapporre ostacoli all'esecuzione di questo divisamento per parte delle varie potenze, non credevamo che ciò potesse farsi da una sola separatamente senza suscitare vivissime resistenze per parte della Turchia, ed un'uguale risposta diedi pure al Signor Bratiano allorché mi parlò dell'accettazione da parte nostra di Agenti commerciali Rumeni residenti nelle varie città italiane. In sostanza io dissi al Signor Bratiano che dal preventivo accordo delle varie potenze dipendeva essenzialmente l'effettuarsi

o non delle modificazioni che il Governo Rumeno avrebbe voluto introdurre nei suoi rapporti cogli esteri Stati. Ma non tacqui che siffatto accordo dipendeva a sua volta principalmente dallo stabilimento di un governo solido ed illuminato nelle provincie danubiane. E qui dappoiché l'argomento lo consentiva incominciai a ragionare col Signor Bratiano e del proposito nel quale il suo Governo sembrava fisso di voler modificare la istituzione della Corte di Cassazione togliendo a questo supremo magistrato la guarentigia dell'inamovibilità dei giudici, e delle persecuzioni alle quali peranco trovansi esposti gli Israeliti in Rumania malgrado i passi fatti dalle potenze in loro favore e le replicate promesse dei ministri Rumeni. Dissi al Signor Bratiano che siffatte cose producevano un'impressione totalmente sfavorevole nella pubblica opinione dell'Europa la quale, in presenza di fatti di tal natura sembrava poco disposta ad ammettere che il Governo Rumeno avrebbe sin d'ora forza che basti a far rispettare la giustizia anche in favore degli stranieri.

Il Signor Bratiano mi rispose che la Corte di Cassazione non sarebbe abolita, ma soltanto riformata nel personale che ora la compone. E parlando poscia della questione degli Israeliti, insisteva nel dirmi che molte erano le esagerazioni che si andavano facendo intorno a questo affare. Egli mi ha in gran parte ripetuto ciò che già fu esposto dallo stesso Governo Rumeno nei vari documenti già fatti di pubblica ragione. Alle quali cose io risposi che nell'applicazione dei principi di tolleranza civile e religiosa dovevano i Principati cercare il rimedio alle loro difficoltà sociali e che prendendo questa via certamente riparerebbero in poco tempo tutti i danni sofferti. L'istruzione popolare e le facilitazioni di ogni sorta nelle vie di communicazione agevolerebbero grandemente l'opera del Governo ora limitata dalle barriere create dall'ignoranza e dal troppo ristretto campo entro il quale sono circoscritti gl'interessi economici di molte località della Rumenia. Sinché questi mezzi potenti di civiltà non avranno potuto produrre i loro effetti, l'opera del Governo Principesco riuscirà forse in alcune circostanze alquanto difficile ma per ciò stesso assai più meritoria se si spiegherà nel senso che l'umanità e l'interesse beninteso del paese la richieggono. Assicurai per ultimo il Signor Bratiano delle simpatie che l'Italia nutre per la Rumenia, simpatie che assicurano al governo principesco tutto il nostro appoggio entro quei limiti che la prudenza richiede nell'interesse stesso di codesto paese.

Avendole così reso conto per di Lei informazione di quanto io dissi al Signor Bratiano, debbo invitarla ad esprimersi nello stesso senso se l'occasione lo richiede evitando però di portare Ella stessa la conversazione sovra questi delicati argomenti tanto coi ministri del principe, quanto coi di Lei colleghi.

Ho pregato il Cavalier Nigra di fare egli stesso una risposta al memoriale rimessogli dal Signor Cretzulesco sulla questione degli Israeliti, e qui unito Ella troverà la lettera del nostro ministro a Parigi indirizzata a quell'Agente di Rumenia (1).

(l) Cfr. n. 290

296

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

T. 640. Firenze, 15 maggio 1869, ore 16,45.

Nigra m'a télégraphié hier soir ce qui suit: «Moustier m'a dit que Gouvernement impéria.l demande à l'Italie et à l'Angleterre de ne pas s'opposer à ce que la France obtienne du bey de Tunis decret qu'il a promis. Du méme temps Gouvernement impérial donne assurance qu'il ne se prévaudra de ce decret qu'après s'étre entendu avec Italie et Angleterre. Général Raffo est parti hier portant ultimatum de France au Bey; dans cet ultimatum France demande 1° que le Bey signe de suite décret; 2° qu'il déclare aux consuls d'Italie et d'Angleterre que France se charge d'examiner question directement avec leurs Gouvernements.

Moustier m'a dit, ainsi qu'à Lyons, qu'il est prét à examiner avec nous la question de fond indépendamment, bien entendu, de la concession du décret du Bey, sur laquelle il m'a déclaré de nouveau que la France ne saurait transiger>> (2). J'ai fait connaitre le sens de ce télégramme à Paget en le priant de télégraphier à Londres afin que nous puissions faire une réponse identique à Paris.

Nous pouvons envoyer par le télégraphe à Cagliari jusqu'à dimanche matin des instructions pour notre consul à Tunis. Le courrier ordinaire de Marseille à Tunis n'arrivera dans cette dernière ville que jeudi prochain. Il est peut étre utile que vous donniez ces renseignements au Foreign Office.

297

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE A BUCAREST, GLORIA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 123. Bucarest, 15 maggio 1868 (per. il 25).

Il Signor Green Agente d'Inghilterra fu, giorni sono, da Sua Altezza per darle lettura di un Dispaccio di Stanley, relativo alle persecuzioni che ebbero luogo contro gli ebrei. Il Principe non negò il fatto, e disse solo che le voci corse, erano esagerate, che però il Ministro degli Affari Esteri, Signor Stefan

Golesco, sarebbe sortito dal Ministero in causa della circolare mandata agli Agenti Esteri in cui si negava ogni persecuzione. Lo assicurò quindi, che non sarebbero mai più arrivati simili fatti durante il suo regno. Il posto di Ministro degli Affari Esteri fu proposto a molte persone, e tra gli altri, al Signor Jean Cantacuzeno, quello stesso che fu inviato ultimamente a Pietroburgo, ma nessuno volle accettare. La scelta cadde sopra il Signor Nicolai Golesco, fratello del Ministro dimissionario, e generale della guardia Nazionale. Egli è persona onestissima, ma quanto a capacità, lascia a desiderare ancor più del fratello.

Il Barone d'Offemberg è effettivamente incaricato di trattare la quistione delle capitolazioni, qualunque convenzione però avesse luogo tra la Russia e la Romania, non deve aver effetto finché anche le altre Nazioni abbiano regolata questa quistione. Finora serii lavori non sono ancor stati fatti a questo riguardo, poiché un'altra vertenza era in corso, quella cioè dei rimborsi da farsi al Governo Rumeno dalla Russia per mantenimento delle truppe dello Czar, al tempo dell'occupazione Russa.

Tra pochi giorni avrà luogo un cambiamento generale del Ministero per dare soddisfazione all'Europa per i fatti ultimamente avvenuti; così almeno dicono gli amici del presente Ministero, deplorando la sorte del Signor Bratiano che posa in vittima della pressione straniera. Il Signor Arion Ministro di Giustizia, come quello che ha presentato il progetto di legge per la Corte di Cassazione ed incontrato in tal modo la disapprovazione delle Potenze Garanti, lascierà quel Ministero per assumere quello dell'Interno da cui Bratiano, accusato delle persecuzioni contro gli Ebrei, è obbligato a sortire per prendere quello delle Finanze di cui era reggente in mancanza del titolare. Il Signor Dohan assumerà il Ministero della Giustizia. Questi è moldavo e mi si dice senza alcuna sospizione di leggi, ma buon parlatore.

Molti dei sotto-Prefetti della Moldavia, sono stati mutati per espresso volere del Principe, il quale tenta rimediare all'avvenuto, ma senza effetto, poiché la maggior parte saranno mutati solamente di sede.

(l) -Non si pubblica. (2) -T. 1122 del 14 maggio.
298

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 641. Firenze, 16 maggio 1868, ore 22.

Je vous envoie par le courrier une dépèche de Rome, dans laquelle on annonce qu'on y attend incessamment un nouveau corps de troupes françaises considérable. La population romaine s'en préoccupe les journaux en parlent. Quoique jusqu'à présent nous n'ayons pas d'indices qui confirment cette nouvelle, il est convenable que vous la connaissiez, afin d'obtenir les informations positives à ce sujet (l) .

(l) Nigra rispose con t. 1125 del 17 maggio: «La nouvelle de l"envol d'un nouveau corps d'armée à Rome est contrauvée ».

299 L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1124. Londra, 16 maggio 1868, ore... (per. ore 22,50).

J'ai vu lord Stanley qui avait déjà reçu télégramme de Paget. Il confirme ce qu'il m'a dit dans ses dernières conversations au sujet de Tunis; il considère ce t te affaire sous double aspect: c'est-à-dire, question de dignité entre France et Bey, et question commerciale. Dans la première il veut absolument se tenir à l'écart; le différend résolu entre Gouvernement français et tunisien, il croit le moment venu pour faire sauvegarder intéréts communs: du moins, voilà ce qu'il fera. Pour le moment, il ne donne pas de nouvelles instructions à Wood; quand il le fera, il me les communiquera, ou, pour plus de brièveté, les télégraphiera à Paget.

300

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA

D. 15. Firenze, 16 maggio 1868.

I due rapporti da lei direttimi che portano la data del 22 aprile (l) non giunsero in Firenze che il 10 di questo mese. Ciò fece sì che taluna delle notizie indicatemi in quelle pregevoli relazioni come probabili fossero già al momento in cui io riceveva i di Lei scritti, passate nel numero dei fatti compiuti.

Cionondimeno La ringrazio per quanto Ella mi disse relativamente al Montenegro ed alla politica russa in Levante in generale. Il contegno riservato da noi assunto coll'attenerci fedelmente al programma indicato dalla dichiarazione, fatta simultaneamente con altre Potenze, di voler rispettare il principio di non intervento, non esclude il desiderio nostro di avere continue e regolari informazioni sui pensamenti dei varii Gabinetti in ordine alle maggiori questioni che tuttodì si agitano nelle varie contrade d'Europa.

Le condizioni gravissime in cui versano i Principati Uniti di Moldavia e Valacchia sono un argomento sul quale debbo particolarmente chiamare l'attenzione di V. S. Senza ricercare quali cause abbiano potuto produrre la situazione attuale di quel paese, noi dobbiamo considerare la situazione stessa, quale oggi si presenta.

La quistione degl'Israeliti, quistione economico-sociale al punto di vista della Rumania, quistione puramente umanitaria per le Potenze che ebbero ad occuparsene, ha assunto in questi ultimi tempi un carattere assai diverso da quello che avea avuto sinora. Per l'Austria ormai quella quistione si confonde con quella della proprietà e della vita dei suoi sudditi di religione ebraica emigrati in un numero stragrande in Rumania. I gravi disordini scoppiati nella

provincia di Bacau acquistano un'importanza maggiore dall'essere quel paese vicinissimo al confine austriaco, dall'essere le violenze commessevi, state dirette contro sudditi imperiali, dalla circostanza che le armi delle quali gl'insorti s'impadronirono, sono quelle stesse sulle quali il Governo di Pest pretendeva avere un suo diritto infine dalla considerazione che in quella località il Governo rumeno si mostrò assolutamente impotente a proteggere i sudditi dell'Austria contro le violenze popolari. Ora se, come sembra, il Gabinetto Austriaco ripetesse dal Governo di Bucarest un indennizzo pei danni toccati ai suoi sudditi, la vertenza potrebbe facilmente entrare in una via piena di complicazioni politiche che a Pietroburgo furono certamente ponderate con scrupolosa attenzione.

Sebbene la Russia, principalmente dopo lo stabilimento di un principe straniero a capo dei Principati-Uniti, abbia ognora mostrato di curarsi poco delle sorti future di quella parte dei paesi danubiani, tuttavia non mi parrebbe probabile che il Gabinetto di Pietroburgo non si fosse prima d'ora preoccupato di certe eventualità che i recenti avvenimenti rendono più che mai probabili. Ella comprende, Signor Marchese, che nella posizione che l'Italia occupa in Europa, il Governo del Re non può rimanere affatto indifferente ad avvenimenti le conseguenze politiche ed economiche dei quali non si limiterebbero ai tempi presenti. Epperò desidero ch'Ella stia sull'avviso e che procuri informazioni dei veri intendimenti del Governo russo.

(l) Cfr. n. 249; l'altro rapporto non è pubbl!cato.

301

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA

D. 16. Firenze, 16 maggio 1868.

Nella mia spedizione d'oggi Ella troverà un incartamento risguardante una vertenza assai grave sorta a Tunisi nella quale interessi d'indole commerciale e politica sono grandemente minacciati.

Ella non ignora come codesto Governo imperiale sembra, da alcun tempo a questa parte, aver ritirata la sua azione non solo dalle provincie barbaresche e dall'Egitto, ma benanco dalla Siria e dai Luoghi Santi dove tuttodì estendesi l'influenza di altra potenza. Non può ignorare il Gabinetto di Pietroburgo che le mutazioni avvenute in Egitto nell'ordine della successione furono opera precipua della diplomazia di quella potenza. Né certamente si ignorano in Russia le conseguenze disastrosissime che per la conservazione dell'indipendenza dell'Egitto potrebbero avere certe eventualità che il mutato ordine di successione potrebbe preparare. Per altra parte non può esser sfuggito alla penetrazione degli uomini di Stato della Russia il disegno non mai, a quanto sembra, abbandonato di estendere il dominio del Vice-re dell'Egitto sovra un'isola ora crudelmente bersagliata da aspra guerra.

Ove queste cose si connettano collo stato di quasi assoluto sgoverno nel quale trovasi l'Egitto e colla prevalenza che vanno acquistando in quel paese gl'interessi francesi sovra quelli delle altre nazioni, non si può a meno di concepire qualche inquietudine per l'avvenire.

Accennai alla Siria perché colà l'azione diplomatica di Francia è grandissima e quasi esclusiva nelle località abitate da cattolici. Vero è che questi tollerano di assai mal animo una protezione di cui conoscono il fine più o meno occulto, ma pur vi si sottomettono talvolta per necessità delle cose, sempre poi per quello spirito di solidarietà che lega gli stabilimenti cattolici con Roma, essa stessa soggetta alla protezione della Francia.

Nelle cose esposte la S. V. troverà accennato un ordine di idee che con molta riserva Ella potrà sviluppare nei colloqui ch'Ella potrà avere col Principe Cancelliere. Ed io chiamo particolarmente la di Lei attenzione sopra queste considerazioni nell'occasione in cui, accorrendole probabilmente di fornire a S. E. il Principe Gortchakow qualche schiarimento sulla vertenza pendente in Tunisi, Le si presenterà l'opportunità di estendersi sull'argomento e di perscrutare così gl'intendimenti e le vistf! del Governo imperiale intorno a quistioni per noi importantissime.

302

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA (l)

T. 642. Firenze, 17 maggio 1868, ore 11.

Tachez de marcher toujours d'accord avec le consul anglais; évitez toutefois les démarches qui pourraient étre interprétées camme contraires à la dignité de la France mais réservez fermement les droits et les intéréts de nos nationaux.

303

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 643. Firenze, 17 maggio 1868, ore 15,30.

M. Rouher me fait demander par voie indirecte notre réponse à la note de M. Moustier relative au modus vivendi; vous pouvez dire qu'elle parviendra incessament au ministère impérial des affalres etrangères. Quelques incidens en ont retardé la rédaction qui est maintenant à peu près terminée. Je dannerai également les renseignements désirés sur le Sacré Collège. J'ai écrit à notre consul à Tunis de ne rien faire qui puisse sembler contraire à la dignité de la France, tout en protégeant les droits de nos nationaux (2).

26 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

(l) -Il telegramma venne inviato tramite il prefetto di Cagliari a cui fu data istruzione di consegnarlo al vapore postale che doveva quindi far partire senza ulteriore ritardo. (2) -Cfr. n. 302.
304 IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 192. Berlino, 17 maggio 1868 (per. il 21).

J'ai reçu avec le recueil des documents relatifs à la question de Tunis, la dépeche que V. E. a bien voulu m'adresser en date du 11 courant, série politique N. 73 (1).

Je m'en suis prévalu pour communiquer au Ministère Prussien quelle était notre manière de voir, et les motifs qui nous avaient dissuadé jusqu'à ce jour de le renseigner à cet égard. Ces explications ont été parfaitement acceuillies.

Le Sous Secrétaire d'Etat m'a donné à son toùr quelques détails sur l'attitude de son Gouvernement.

Il s'était d'abord renfermé dans un ròle d'abstention. Il s'en est départi lorsque la Banque Erlanger de Francfort à sollicité son appui pour sauvegarder des créances vis-à-vis du Gouvernement Tunisien. Cette Maison était engagée pour des avances assez considérables qui se montaient déjà à environ quatre millions de francs. Gomme garantie de remboursement, elle avait obtenu hypothèque sur certains revenus de l'Etat, garantie sérieusement compromise si on acceptait le décret projeté par le Bey sous la pression de la France.

Le Gabinet de Berlin, en suite de cette legitimatio ad causam, a donné l'instruction à son Ambassadeur à Paris d'en parler à M. de Moustier, mais en s'abstenant de toute communication par écrit. Il a été tenu au Comte de Goltz le méme langage qu'au Chevalier Nigra et à Lord Lyons. Plus tard le diplomate prussien a été autorisé à remettre au Ministère Impérial des Affaires Etrangères la requete Erlanger.

Sur ces entrefaites, le Cabinet de Berlin recevait un avis du Consul Général de Suède à Tunis, chargé en méme temps de la protection des intéréts prussiens, avis par lequel le Comte de Bismarck était informé d'une demande en médiation du Gouvernement Royal. Celui-ci a été on ne peut plus surpris d'une semblable démarche à laquelle il a été immédiatement répondu en alléguant l'impossibilité de se poser en arbitres. C'eut été donner au différend une importance majeure. La Prusse étant d'ailleurs elle méme intéressée, elle eut été en quelque sorte juge et partie. Tout ce qu'elle désire, c'est de marcher d'accord avec l'Italie et l'Angleterre, soit sur la nomination de la commission projetée, soit sur la nature des attributions à lui accorder. On ne saurait en effet faire bon marché des droits acquis et des garanties librement consenties en faveur des créanciers. Le Cabinet de Berlin outre l'intérét financier, a aussi un intérét politique à soutenir. La Maison Erlanger appartient à une des nouvelles Provinces. Or il importe qu'elles aient le sentiment que leurs réclamations, là camme ailleurs, sont prises en sérieuse considératio-n.

Pour ne pas tomber dans des redites, je juge superflu de tracer, selon les indications reçues ici, quelle est la marche de cette affaire. Ces indications

coi:ncident avec celles contenues dans notre dossier. J'ajouterai seulement que le Gouvernement Prussien désire qu'on garde le secret sur la demande faite par la Régence pour sa médiation.

(l) Cfr. n. 289.

305

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI

T. 644. Firenze, 18 maggio 1868, ore 13,45.

Tachez de savoir confidentiellement si le Roi de Portugal serait disposé à autoriser son ministre à Rome à présenter au Souverain Pontife la lettre par laquelle le Roi lui annonce le mariage du prince Humbert, et dans le cas où il n'y aurait pas d'obstacle, obtenir cette autorisation (1).

306

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 194. Berlino, 18 maggio 1868 (per. il 22).

Le Comte de Bismarck que j'ai vu aujourd'hui au Parlement douanier, m'a parlé de toute la gratitude du Roi et de son Gouvernement pour la royale hospitalité reçue par le Prince de Prusse en Italie, ainsi que pour l'accueil sympatique et empressé de nos populations. Ce voyage, dont le souvenir ne s'effacera jamais, a eu le grand avantage de replacer la situation réciproque des deux Pays sous un véritable jour qu'une partie de la presse s'était plu depuis bientòt deux années à obscurcir. La réalité s'est montrée dès que le rideau a été levé, et cette réalité qui était déjà dans la conscience de chacun, c'est que les meilleurs rapports doivent exister entre deux nations dont les intérets sont communs. Ainsi ce voyage a eu un còté des plus utiles dans le présent et pour l'avenir. La Redne eiìt désiré que son Auguste Fils fle rendit aussi à Rome, mais celui-ci a respectueusement décliné avec beaucoup de tact. Sa présence y eiìt donné lieu à des démonstrations qu'il valait mieux éviter, ne fiìt ce que pour ménager le sentiment des provinces catholiques en Allemagne. Un plus long séjour du Prince dans la Péninsule, surtout s'il eiìt fait aussi une tournée dans l'ltalie méridionale, eiìt peut etre dépassé le but, en ce sens qu'on eiìt pu y voir, avec le verre grossissant de certaines susceptibilités, l'arrière-pensée d'une manifestation exclusivement politique.

Je continue, sans trouver de contradicteur, à expliquer ce voyage dans un sens pacifique. En effet, certaines préventions, si tant est qu'il en existat, ont été écartées, et nos bons rapports avec la Prusse et la France établissent au moins entre elles un point de jonction. Ainsi un des premiers résultats de la

visite du Prince et de sa réception cordiale a été -à moins que ce ne fut que une simple corncidence -une plus grande condescendance de la part du Cabinet des Tuileries dans l'affaire de la légion Hanovrienne. On favorise le rétour de ces émigrés dans leurs foyers et on éloigne leurs officiers de ceux qui ne veulent pas profiter de l'amnistie. Les cadres de cette légion sont ainsi dissous.

Le fait est que selon l'avis du Président du Conseil, il y a une détente des plus marquées dans la situation politique. Pour cette année du moins, il ne croit plus à la guerre. Il faudrait d'ailleurs que l'Empereur Napoléon se rendit un compte bien erroné des circonstances de l'Allemagne pour affronter les chances d'une lutte à main armée. Si la Prusse avait mobilisé en 1866 plus de 600 mille hommes de troupes régulières, elle pourrait aujourd'hui, meme en faisant abstraction du Sud, mettre en ligne un million de soldats, gràce à ses accroissements de territoire et aux contingents des autres Etats de la Confédération du Nord.

Je dois ajouter que la confiance du Président du Conseil n'est pas entièrement partagée par son entourage. Les armements au delà du Rhin prennent des proportions tout à fait extraordinaires. L'armée prévoit la guerre, et à tort ou à raison, suppose que la victoire lui sera assurée depuis surtout qu'elle croit le tir de son chassepot supérieur à celui du fusil à aiguille. Le Maréchal Niel est très populaire dans ses rangs, et son influence pourrait devenir prépondérante dans les conseils de l'Empereur, soutenu comme il l'est par ceux qui proclament que le prestige de la France doit étre relevé en Europe. Alors les prétextes ne manqueront pas, méme les plus futiles.

Je mets ces deux opinions en présence, V. E. qui voit l'ensemble des choses pourra mieux que mo:i se former un jugement. Quoi qu'il en soit, il sera toujours plus sage de ne pas s'endormir sur l'oreiller de la sécurité.

(l) Per la risposta cfr. n. 312.

307

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1128. Parigi, 19 maggio 1868, ore 6 (per. ore 9,45).

Moustier m'a dit qu'au ministère de la marine ou lui assure que l'ltalie envoie deux frégates cuirassées à Tunis. Moustier se montre très préoccupé de cette nouvelle, qui aggraverait la situation si elle se vérifiait. Je vous prie de me faire connaitre ce qui est (l); le Gouvernement français n'a envoyé et ne compte pas envoyer des bàtimens de guerre à Tunis.

(l) Per la risposta cfr. n. 308.

308

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 645. Firenze, 19 maggio 1868, ore 13,45.

Jusqu'ici il n'a pas été question d'envoyer des batiments cuirassés à Tunis (1). Nous n'avons dans la Méditerranée que l'escadre d'évolution qui fait ses exercices habituels.

309

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1129. Londra, 19 maggio 1868, ore 17 (per. ore 19,05).

Lord Stanley m'a dit qu'à peine il recevra dépeche de Moustier confirmant par écrit ce que celui-ci a promis relativement à l'affaire de Tunis, c'est-à-dire respect aux engagemens anglais, et représentation égale dans la commission financière, il donnera ordre à Wood de ne plus faire opposition. Cette dépeche est attendue prochainement (2).

310

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 11. Vienna, 19 maggio 1868 (per. il 22).

Le informazioni che trasmisi recentemente all'E. V. circa l'invio di navi austriache nell'Arcipelago Greco non sono confermate. Sia che esse, benché ammesse da ufficiali di marina competenti, non fossero esatte, sia che siano state mutate le primitive disposizioni, si nega ora recisamente qui che le forze navali austriache in Oriente debbano essere accresciute.

Mi viene comunicato riservatamente che con telegramma in data del 13 corrente questa Legazione Ellenica fu dal suo Governo informata che il Conte di Gobineau rinnovava testé, con maggiore insistenza ed in nome del Governo

Imperiale, tre domande anteriormente da lui fatte quasi personalmente ed in forma di amichevole consiglio; quelle cioè:

1°) che il Governo Ellenico invitasse (engageàt) i rifugiati cretesi a ritornare nell'isola;

2°) che facesse cessare l'emigrazione di altri cretesi in Grecia;

3°) che impedisse l'approvvigionamento finora incessante degli insorti per parte della Compagnia di navigazione ellenica. Secondo lo stesso telegramma il Ministro degli Affari Esteri avendogli risposto non potere se non confermare le sue precedenti osservazioni intorno all'impossibilità pratica in cui si trova il Ministero Ellenico di deferire a richieste di cui non si precisa neppure i mezzi e modi di attuazione, il Conte di Gobineau lo avvertì che un tal rifiuto non può non avere gravi conseguenze perché i Governi che vogliono la pace dell'Oriente si trovano così posti nella necessità di provvedere da sé a quanto il Governo ellenico protesta di non potere fare.

Mi si afferma da altra fonte che il Governo Inglese essendo stato dal Governo Francese sollecitato ad aggiungere i propri buoni uffici a quelli della Francia presso il Governo ellenico, il Gabinetto di St. James avrebbe declinato tale entratura.

Sarebbero pure stati fatti nella misura opportuna analoghi passi dal Governo francese presso il Gabinetto di Pietroburgo il quale avrebbe naturalmente rifiutato recisamente di appoggiare il rimpatrio dei Cretesi prima che l'isola sia pacif.icata in modo definitivo e soddisfacente.

Mi viene confidato inoltre che in una recente conversazione in proposito col Ministro di Grecia il Barone di Beust si esprimeva in termini assai più temperati e concilianti di quelli che secondo il suddetto telegramma sarebbero stati adoperati dal Conte di Gobineau. Nella questione di Candia, disse egli, noi non essendo direttamente impegnati nè dalla nostra situazione diplomatica, poiché non siamo potenza protettrice, nè dai nostri speciali interessi, ci limitiamo in principio a far voti per La paciHcazione; ma non devo nascondere che siccome esiste tra la Francia e noi un completo accordo sopra tutte le grandi questioni e specialmente sopra quella d'Oriente, così noi siamo disposti ad appoggiare quei passi, a noi però finora non noti, che la Francia credesse fare per mettere fine allo stato anormale della questione cretese; nello stesso modo che negli affari dei Principati Rumeni che toccano assad più da vicino i nostri interessi, abbiamo ragione di credere che la Francia non si discostòrà da noi.

Credei utile di avere sopra tutto ciò una conversazione col Barone di Beust, che vidi difatti oggi.

Il Cancelliere dell'Impero si atteggiò con me come mirasse a far la parte di mediatore fra quelle che lui chiamò «le opposte tendenze forse egualmente eccessive della Russia e della Francia nella questione di Candia».

Egli non sembra trovare prive di ragione le obiezioni fatte dal Governo ellenico, al punto di vista delle leggi e delle istituzioni vigenti in Grecia, contro quella specie di rimpatrio in massa che il Ministro di Francia in Atene avrebbe secondo quanto si afferma, voluto far operare. Egli poi tratta con una certa ironia la furia che mette il Governo francese ad esercitare pressioni ed a

fare minacce che invece di raggiungere lo scopo di pacificazione avuto in

mira, possono suscitare complicazioni più estese. Ma sopratutto il Cancelliere

dell'Impero insiste sulla assurdità delle pretese russe che si riducono, secon

doché egli dice, a prendere per pretesto la continuazione della insurrezione

per volere che si lascino continuare gli aiuti ed incoraggiamenti che precisa

mente alimentano l'insurrezione stessa.

Del resto mi aggiunge il Barone di Beust, confesso che questa questione

di Creta mi occupa ben poco, assai meno per esempio della vertenza che ora

abbiamo col Governo del Principe Carlo.

Avendo cercato di avere dal Cancelliere dell'Impero precisi ragguagli anche su questo ultimo punto, egli mi disse: noi abbiamo tre gravami contro il Governo Rumeno riguardo ai quali egli deve mettersi in regola verso di noi; il primo concerne la persecuzione degli israeliti: è questa una questione di civiltà e di umanità nella quale d'altronde tante influenze si adoperano in tutta Europa che non abbiamo a preoccuparcene in modo speciale. Il secondo ci è più personale, e riguarda le indennità che il Governo Rumeno dovrà acconsentire pei sudditi nostri che furono vittima di quella persecuzione. Il terzo infine è relativo alla smentita oltraggiosa che il Governo Rumeno diede alle asserzioni, confermate nel modo più positivo da tutti i Consoli, del Console Imperiale sulle persecuzioni stesse; è necessario, mi disse il Barone di Beust, che il Governo Rumeno ritratti quel documento in cui si osa dare del calunniatore all'Agente dell'Imperatore.

Avendo sul finire del colloquio parlato al Barone di Beust delle lettere Sovrane che avea avuto l'onore di pregarlo di far pervenire all'alto loro indirizzo, egli mi disse, che l'Imperatore ne avea provato una vera soddisfazione, come anche delle cortesi ed amichevoli parole che S. M. Nostro Augusto Signore si degnò di dirigere al Barone di Kubeck intorno alla lettera diretta alla Maestà Sua dall'Imperatore.

(l) -Cfr. n. 307. (2) -Questo telegramma venne comunicato da Menabrea a Nigra con t. 646 del 21 maggio con la seguente aggiunta: «Je désirerais savoir si M. de Moustler est disposé à nous faire une semblablc communicatlon ».
311

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA. AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1130. Parigi, 20 maggio 1868, ore 16,30 (per. ore 18,30).

J'ai mis sous les yeux de Moustier à titre de communication verbale votre dépeche du 15 (l) sur les affaires de Tunis. Je l'ai aussi communiquée au méme titre à Lyons. Ce dernier m'a dit qu'il avait suggéré à Moustier de faire donner par écrit, et par l'entremise de l'ambassade de France à Londres, l'assurance à Stanley que la France ne se prévaudra pas du décret du Bey sans s'étre mise d'accord avec les Puissances intéressées. Si l'assurance que Moustier à déjà donné à Lyons et à moi est donnée par écrit, Lyons pense que Stanley enverra probablement au consul anglais à Tunis l'instruction de ne pas s'opposer à ce que le Bey accorde à la France le décret qu'elle exige.

(l) D. 360, non pubblicato.

312 IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1133. Lisbona, 20 maggio 1868, ore 19,16 (per. ore 3,15 del 21).

Le Roi m'a dit qu:il sera toujours lleureux d'ètre intermédiaire entre Notre Auguste Souverain et le Saint-Père. Roi de Portugal eonsent avee plaisir à faire remettre lettre royale dont il est question dans votre télégramme (l). M. d'Avila, d'après ordre du Roi, m'a dit qu'ordres en eonséquenee seront donnés à l'ambassade portugaise à Rome. S. E. regrette que l'ambassadeur due de Saldanha soit déjà absent de sa résidenee pour l'été, ear un tel personnage aurait plus de poids pour eette mission qu'un ehargé d'affaires ad interim, quoique neveu du due de Saldanha; d'après eette observation, j'ai fait suspendre instruetions jusqu'à un nouvel ordre, que je prie V. E. de me télégraphier (2).

313

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1134. Cagliari, 21 maggio 1868, ore 9,35 (per. ore 11,55).

Si-Selim portait réellement, pour ètre ratifié, eontrat signé à Paris entre Si-Rustem et socié,té générale. Il m'a réussi de savoir, dans la voie la plus secrete, que par l'artide 8ème les premiers reveus de la Régence sont affectés par privilège au payement régulier de la rente perpétuelle à créer. A cet effet une commission sera instituée à Tunis, qui fonctionnera aux conditions et suivant le mode qui résulteront d'un accord entre le Gouvernement français et le Bey. Ce serait l'aneien projet réproduit sous une autre forme, un moyen détourné pour arriver au mème but.

314

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 363. Firenze, 21 maggio 1868.

J'ai reçu la dépèche par laquelle vous m'avez rendu compte de l'entretien que vous avez eu le 14 de ce mois avec M. le Marquis de Moustier au sujet des affaires de Tunis (3). Vous avez parfaitement bien expliqué, en cette occa

sion, à S. E. M. le Ministre impérial des Affaires Etrangères les vues du Gouvernement du Roi. J'approuve entièrement votre langage. Vous m'avez écrit que

M. le Marquis de Moustier avait jugé à propos de vous rassurer au sujet des intentions de la France envers la régence de Tunis, en repoussant, de la façon la plus énergique, l'idée d'une annexion des Etats du Bey à la Colonie française d'Alger. Les intérets de la France se bomeraient, d'après les déclarations qui vous ont été faites, à assurer aux affaires de la Tunisie une marche régulière afin que les perturbations pouvant surgir dans ce pays par suite du désordre administratif et financier, ne finissent par causer, dans les provinces limitrophes de l'Algérie, des embarras que le Gouvernement Français est intéressé à éviter.

Quoique nous n'ayons songé à porter la discussion sur un pareil terrain, nous ne pouvons néanmoins que nous déclarer très reconnaissants envers le Gouvemement de l'Empereur pour la déclaration qu'il a bien voulu nous faire parvenir par l'organe de son Ministre des affaires étrangères. Le devoir de l'ltalie étant de sauvegarder les intéréts d'une colonie prospère de près de quarante deux mille sujets italiens établis dans la Tunisie, le Gouvernement du Roi n'est pas moins intéressé que celui de l'Empereur à l'établissement d'une administration régulière à Tunis, ainsi qu'au maintien du statu quo dans la situation politique et dans les relations intemationales de la Régence avec toutes les puissances étrangères. Vous pouvez donner à M. de Moustier les assurances les plus formelles que tous nos efforts ne tendent qu'à ce but, et vous pouvez lui dire que nous sommes heureux de constater que, sur ce point, nos propres vues ne diffèrent en rien de celles de la France.

Quant au différend qui, depuis quelques semaines, forme l'objet d'une discussion entre les Gouvernements dont les sujets ont des intéréts commerciaux engagés à Tunis, c'est avec un véritable plaisir que nous avons pris acte des bonnes dispositions de M. de Moustier pour concilier ce qu'il considère comme une question de dignité pour la France avec le respect des droits de tous les négociants étrangèrs ayant stipulé des contrats réguliers avec le Gouvernement du Bey. M. de Moustier vous a donné l'assurance que le Gouvernement français ne se prévaudra jamais du décret du Bey avant de s'etre entendu avec les Cabinets de Florence et de Londres. De notre coté nous avons prescrit au Consul du Roi à Tunis de ne rien faire qui fftt ou pftt paraitre contraire aux exigences de la dignité de la France et par conséquent de restreindre son action à une réserve explicite de tous les droits des Italiens. Vous savez,

M. le Ministre, que le Gouvemement du Roi n'a jamais considéré ce différend qu'au simple point de vue des intéréts commerciaux qu'il est de son devoir de défendre et de protéger. J'espère donc que M. de Moustier voudra bien admettre qu'un acte du Gouvernement impérial est devenu nécessaire pour sauvegarder les intéréts qui nous sont confiés, surtout en présence des droits positifs dont ne tarderaient point à étre investis certains créanciers français du Bey après que celui-ci, en adhérant aux demandes de la France, aurait publié le décret contre lequel ont protesté les Consuls d'Italie et d'Angleterre à Tunis.

Une garantie réelle, à nos yeux, consisterait dans une déclaration du Cabinet des Tuileries de ne vouloir se prévaloir du décret du Bey que dans un sens favorable au respect de tous les engagements régulièrement contractés par le Gouvernement tunisien envers des sujets étrangers sans distinction. Et si le Gouvernement impérial voulait en meme temps nous apprendre qu'il n'a aucune difficulté à admettre la parité des droits des Puissances principalement intéressées à concourir à la formation de la Commission internationale financière qu'il s'agit d'instituer à Tunis, nous pensons que la question aurait fait un grand pas vers sa solution. Nous sommes convaincus en effet qu'en maintenant la question sur ce terrain, il sera très facile d'en venir à un accord entre toutes les Puissances, et vous pouvez, dès à présent, dire à M. le Marquis de Moustier que, de notre còté, nous mettrons la meilleure volonté possible pour écarter les obstacles qui pourraient entraver une entente pour la réussite de laquelle nous faisons les voeux les plus sincères.

En vous autorisant à entretenir dans ce sens M. le Ministre Impérial des Affaires Etrangères...

(l) -Cfr. n. 305. (2) -Menabrea rispose con t. 648 del 22 maggio: <<La lettre que Sa Majesté écrit au Pape est celle de falre part du mariage du prince royal. Un slmple chargé d'affaires pourralt donc la présenter ». (3) -R. 669, non pubblicato.
315

L'INCARICATO D'AFFARI A STOCCARDA, GERBAIX DE SONNAZ, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 58. Stoccarda, 21 maggio 1868 (per. il 25).

S. A. I. il Principe Napoleone ha fissata l'epoca della sua visita a Stoccarda e giungerà qui uno di questi prossimi giorni nell'entrante settimana. S. M. il Re Carlo ne fu avvertito ieri. Il Ministro di Francia continua a dire che il Principe Napoleone non ha alcuna missione per le corti del mezzodì della Germania: ma il mondo politico non presta la menoma fede a questa dichiarazione. Pare che Sua Altezza Imperiale è incaricata di una missione per Stoccarda consimile a quella che ebbe occasione di compiere 50 giorni fa presso le corti della Germania Settenkionale. Esso dovrà, sotto il pretesto di fare una visita al suo cugino il Re Carlo, esaminare lo stato dell'opinione pubblica nel Wtirttemberg, e quali sono le sue risorse specialmente sotto l'aspetto militare. Tale sarà pure la sua missione in Baviera se esatte sono le mie notizie.

Le informazioni che il Principe Napoleone ricaverà a Stoccarda non daranno probabilmente a Parigi una idea molto favorevole del Wtirttemberg e delle sue forze militari, giacché Sua Altezza Imperiale troverà qui tre partiti politici in lotta accanita fra loro senza che nessuno dei tre abbia il sopravvento. Uno il più intelligente si appoggia a Berlino, gli altri due, il democratico cioè e l'ultramontano o retrogrado, senza avere un programma ben fisso sono alleati momentanei tutto col non dismettere niente affatto i loro antichi rancori. Il Governo poi non avendo per lui un vero partito compatto si vale dell'appoggio della mostruosa alleanza di cui vengo di fare cenno. In quanto all'esercito , Esso troverà un corpo d'ufficiali valoroso e pieno di buona volontà ma pocò istrutto ed esperto nell'arte difficile della guerra; fra questi ufficiali dominano i partigiani e gli amici della Prussia. La bassa forza da parte sua, essendo uscita dalle classi popolari le più lavorate in vario senso dai partiti, ha poco spirito militare, una disciplina rilassata, non è addestrata con buone ma-novre perfino il suo armamento coi fucili ad ago prussiani non è ancora completo. Alla perfine l'organamento delle forze militari del Wtirttemberg si risente in questo momento della confusione inevitabile che nasce da una vecchia organizzazione che cede ad una nuova che deve venire posta in attuazione.

Riguardo a quanto ebbi l'onore di scrivere all'E. V. nel mio rapporto politico n. 57 (l) debbo aggiungere che avendo questi giorni avuto l'occasione di parlare col Barone di Rosemberg ho potuto constatare, con un vero piacere che il suo linguaggio era molto meno accentuato in senso bellicoso e che esso pareva non avere più verun timore di un conflitto almeno per l'estate salvo però sempre i casi imprevisti.

316

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL r.oNSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 674. Parigi, 22 maggio 1868 (per. il 26).

Con telegramma del 20 corrente (2) l'E. V. mi fece l'onore d'informanni che Le si scriveva da Londra essere stato detto da Lord Stanley che il Governo Inglese avrebbe ordinato al Console di S. M. Britannica a Tunisi di non più opporsi a che il Bey firmi il Decreto richiesto dalla Francia appena il Governo francese avrebbe confermato per iscritto al Governo Britannico che sarebbero rispettati gl'impegni assunti verso gli interessi inglesi e che l'Inghilterra sarebbe rappresentata sopra un piede d'eguaglianza nella Commissione finanziaria. L'E. V. collo stesso telegramma m'espresse il desiderio di sapere se il Marchese di Moustier fosse disposto a fare al Governo del Re una comunicazione identica.

In seguito a questo telegramma mi recai ieri dal Marchese di Moustier e domandai a S. E. se era sua intenzione di far al Gabinetto di Firenze una comunicazione simile a quella che era annunziata al Gabinetto di Londra. Il Marchese di Moustier mi rispose che era diffatti intenzione sua d'incaricare il Barone di Malaret di far all'E. V. una comunicazione nel senso medesimo di quella destinata a Lord Stanley. Però S. E. non disse nè a Lord Lyons nè a me quali fossero i termini precisi di questa comunicazione, la quale, a quanto pare, è contenuta in un dispaccio abbastanza esteso e destinato ad esser rimesso in copia.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 309, nota 2.
317 L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 13. Vienna, 22 maggio 1868 (per. il 25).

Mi affretto a segnar ricevuta all'E. V. de' di Lei pregiati dispacci politici fuori serie e s. n. del 16 e 19 maggio e n. 4 (1), nonché degli importanti documenti politici annessi, de' quali presi notizia col più vivo interesse.

Debbo confermare con maggior precisione quanto avevo l'onore di scrivere a V. E. con rapporto politico n. 11 (2), sui passi fatti circa un mese fa dalla Francia a Londra e a Pietroburgo per ottenere semplicemente che quei Gabinetti consigliassero alla Grecia di lasciare ripartire per Candia gli emigrati cretesi. A ciò si limitavano tali entrature assai più moderate delle richieste fatte con certa pressione in Atene dal Conte di Gobineau.

Secondo rapporti che mi vengono riservatamente comunicati, Lord Stanley rispose che l'Inghilterra non avendo preso nessuna parte al trasporto dei cretesi in Grecia non credeva di avere ad intromettersi per il loro ritorno in Candia.

Secondoché mi risulta da altre autentiche informazioni il Principe Gortchakoff precisò in tale occasione il suo modo di vedere in una lettera al Generale Ignatieff, il cui senso è in riassunto che la Russia non vedrà se non con piacere che i Cretesi possano ritornare in Candia quando un miglioramento delle condizioni dell'isola ne faccia nascere in essi il desiderio.

Cercai inoltre di rendermi un conto più preciso del modo di vedere del Barone di Beust in proposito e della vera sostanza della parziale divergenza di vedute che egli professa verso la politica francese nella questione cretese. Mi risulta ora da parole che so avere egli pronunciato, che mentre il Governo francese considera l'insurrezione di Candia come un pericolo per la pace dell'Oriente, pericolo che esso crede necessario anzitutto di far cessare, il Barone di Beust invece ha espresso l'opinione che la continuazione di uno stato di cose anormale in Candia sia alla fine de' conti un derivativo (disse un exutoire) meno pericoloso e più utile di quanto si potrebbe credere a prima vista, essendo probabilissimo che durante lo stato di cose creato in Oriente dall'insurrezione stessa nessun movimento avrà luogo per parte degli Slavi.

Intl!nto il Ministro di Grecia qui è inquietissimo delle minaccie come egli le chiama del Conte di Gobineau, e andò fino a domandarmi privatamente se tali passi del Ministro di Francia, fatti evidentemente con un certo appoggio per parte del Governo austriaco che dichiara essere d'accordo colla Francia nella sostanza di tale questione, non potrebbero costituire per parte del Governo del Re un motivo di chiedere almeno in via ufficiosa, o a Parigi o a Vienna, se i due Governi intendano di portare sopra un terreno nuovo quella questione alla quale l'Italia come grande Potenza ebbe e deve continuare ad avere ingerenza.

Non volli naturalmente neppure in via privata, esprimere qualsiasi parere in proposito.

Non so se non sia un fermarsi a troppo lievi indizii, il riferire a V. E. che un diplomatico esprimeva pochi giorni sono la previsione che l'Inghilterra si sarebbe impadronita tra poco con qualche sua proposta della questione cretese.

(l) -Non pubblicati. (2) -Cfr. n. 310.
318

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 649. Firenze, 23 maggio 1868, ore 11,20.

On m'annonce de Londres (l) que lord Stanley ayant eu communication d'une note du marquis de Moustier dans laquelle des garanties sont assurées au sujet de Tunis, trouve que ce n'est plus le cas de s'opposer à la sanction du décret exigé par la France. Mais comme aucune communication semblable nous est encore parvenue, nous attendons pour donner de nouvelles instructions à notre consul (2).

319

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

T. 650. Firenze, 23 maggio 1868, ore 11,20.

Veuillez dire à lord Stanley que jusqu'à présent nous n'avons point reçu de communication de la part du marquis de Moustier relative aux garanties offertes pour l'affaire de Tunis. Elle nous est annoncée pour l'arrivée de M. de Malaret. Nous devons par conséquent nous réserver de donner de nouvelles instructions à notre consul jusqu'à ce qu'elle nous soit parvenue.

320

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1142. Londra, 25 maggio 1868, ore 6,55 (per. ore 9,30).

Il y avait dans la note Moustier au sujet de Tunis une phrase obscure au sujet de laquelle Stanley demandait explication: il l'a reçue aujourd'hui et en

est satisfalt; France s'engage à ne pas donner exécution au décret avant de s'étre entendue avec les intéressés. Instructions envoyées à Wood de cesser opposition avaient jusqu'à présent un caractère provisoire. Mylord m'a dit qu'il va maintenant les donner d'une manière définitive.

(l) -Con t. 1137 del 22 maggio, non pubblicato (2) -Con t. 1139 pari data, ore 17,55, Nigra comunicò: «J'al falt savoir à Moustter que vous attendiez une communication analogue à cette fatte à Stanley pour donner nouvelles instructlons au consul ltallen à Tunis ».
321

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 676. Parigi, 25 maggio 1868 (per. il 28).

Ieri ho avuto l'onore di rimettere nelle mani di S. M. l'Imperator.e Napoleone la lettera con cui S. M. il Re, nostro augusto Sovrano, annunzia a S. M. Imperiale il matrimonio fra S. A. R. il Principe di Piemonte e S. A. R. la Principessa Maria Margherita di Savoja.

L'Imperatore accolse con soddisfazione questa comunicazione e mi disse che si sarebbe fatto premura di rispondere alla lettera di S. M. il Re.

S. M. Imperiale s'informò poi con interesse di tutte le circostanze che accompagnarono la celebrazione di questa bene augurata unione e delle dimostrazioni di cui essa fu oggetto per parte delle popolazioni italiane.

Prego l'E. V. di voler portare queste cose a notizia di S. M. il Re, nostro augusto Sovrano ...

P. S. Unisco al presente dispaccio una cifra.

ALLEGATO.

ANNESSO CIFRATO.

J'ai profité de l'audience que j'ai eu de l'Empereur pour lire à Sa Majesté la seconde partie de votre lettre particulière (1). J'ai lu à Rouher; j'en espère quelques bons résultats. J'ai appelé l'attention de l'Empereur sur l'affaire des passeports et sur l'utilité d'avoir pour Agents chez nous des hommes modérés et animés de sentiments amicaux envers l'Italie. Quant à la presse française, l'Empereur m'a dit que malheureusement il n'en est pas maitre, et il m'a clté le journal Le Pays qui prend fait et cause pour l'Archévèque d'Alger contre le Gouvernement. Je dois constater du reste que l'esprit de réaction fait des progrès continuels en France, qu'il tache de forcer la main au Gouvernement que les événements extérieurs ont faibli dans l"opinion publique. J'ai demandé à l'Empereur s'il avait quelque chose à me dire à l'égard de la retraite des troupes dc Civitavecchia. Sa Majesté m'a répondu qu'il désirait retirer les troupes le plus tòt possible, mais qu'il devait encore attendre. Cette réponse m'a fait croire que la paix n'est pas encore aussi certaine dans son esprit que pourrait le faire croire le langage de ses Ministres.

(1) Non rinvenuta.

322 L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1145. Londra, 26 maggio 1868, ore 17,35 (per. ore 21,20).

Le fils de Garibaldi est allé à Glasgow, et de là a fait un tour en Ecosse. Il y a vu ses amis, mais tout porte toujours à croire que son voyage n'a pas de but politique. Il est à Edimburg strictement surveillé. Dois-je continuer les dépenses? (l)

323

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL CONTE VIMERCATI (2)

L. P. Firenze, 27 maggto 1868.

Je vous accuse réception et vous remercie en mème temps de vos dernières lettres qui renferment des renseignements précieux dont je ferai mon profit. Je travaille à tenir ma promesse et j'espère ètre bientòt à meme de faire una exposLtion pratique de la questiorn. Lorsqu'on entre dans les détails c'est plus difficile qu'il ne parait au premier abord, car il faut ici s'entendre sur presque toutes les branches d'administration qui sont réciproquement en contact les unes avec les autres dans les deux pays.

Vous aurez vu que le Roi vous a arrangé selon votre desir; Nigra est également averti officiellement que vous conservez la qualité de Conseiller de Légation honoraire; ainsi votre position est je crois, telle que vous la souhaitiez.

Notre jeune princesse monte de triomphe en triomphe, Elle a essentiellement le don de charmer tous ceux qui ont l'honneur de la voir; aussi elle contribuera beaucoup à faire pénétrer dans les nouvelles provinces l'amour de la dynastie. Les démonstrations qui ont eu lieu à l'occasion du mariage du Prince héritier sont bien significatives; l'enthousiasme qui s'est manifesté a éclipsé complètement les partis hostiles qui se croyaient bien plus forts, et dont la voix n'a pas mème pu percer à travers l'expression monarchique Sabauda presque unanime du pays.

Le dernier vote qu'a donné la Chambre, prouve également que malgré l'hétérogénéité des éléments qui composent la Chambre, il y a une atmosphère de bon sens et de volonté qui domine et qui sauvera le pays. Il ne faut pas

qu'on croye que nous allons nous arreter après cette première victoire; nous n'avons jusqu'à présent que placé la pierre angulaire de l'édifice; maintenant il faut édifier là dessus et nous travaillerons et le parlement nous aidera. Je pense que l'incident de Tunis sera bientòt terminé puisqu'il y a bonne volonté de part et d'autre d'en venir à de bons arrangements.

(l) -Con d. 88 del 27 maggio Melegari informò Maffel che il Ministro dell'Interno «a fronte del risultati insignificanti sin qui ottenuti, e della spesa non indifferente che ne deriva, non crede sia il caso di continuare a fare ulteriormente sorvegliare gli andamenti di Rlcciotti Garibaldi, e che ritiene del pari che (atteso il mistero in cui continua ad essere ravvolto l'affare delle armi, e atteso le informazioni che la polizia di Londra ha promesso di fornire) non possa essere neppure il caso di continuare a valersi, per invigllare la fabbrica Hunt, di un agente privato, cessando cosi anche questa spesa che pel momento non pare più necessaria». (2) -Da ACR.
324

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 82. Madrid, 27 maggio 1868 (per. il 5 giugno).

Unitamente al dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore di rivolgermi li 19 del presente, Serie Politica n. 17 (l), ricevetti l'articolo in cifra, pel quale si compiacque ragguagliarmi come il Ministro di Sua Maestà a Lisbona riferisse quel Governo aver concepite serie inquietudini per le velleità annessioniste attribuite alla Spagna, e m'incaricava, in pari tempo, di fornirLe precise informazioni in proposito.

Se il Rappresentante di Sua Maestà in quella residenza avesse aggiunto qualche dato sull'origine di siffatte voci, sui mezzi di esecuzione, sulla qualità de' partiti che le mettevano innanzi, sarebbe stato per me più agevole di constatarne la portata ed il fondamento.

Mancando di siffatti ragguagli io non posso investigare il vero se non che prendendo ad esame la situazione di questi partiti, le loro aspirazioni, le probabilità dell'avvenire. Epperò vengo a sottoporre all'E. V. il risultato delle diligenti ricerche da me fatte a questo riguardo; Ella ne farà, nella sua saggezza, quel caso che crederà opportuno.

Non v'ha dubbio che la Spagna versa in gravi condizioni. I rancori lasciati dalla guerra civile di successione, i mali Governi che seguirono, le malversazioni generali, gli arbitrii della Corona, e sovratutto i costanti sforzi di questa per far rimontare la nazione contro la corrente della civiltà moderna, produssero a poco a poco tale un cumulo di ire e di disprezzi che nulla più inspira confidenza nello Stato; delle quali disposizioni dello spirito pubblico fanno fede i moti rivoluzionarii divenuti ormai periodici in questo paese. Dopo la caduta di Espartero, due uomini principalmente si manifestarono che seppero, ad intervalli successivi, tenere in freno questi elementi agitati, o trionfare prontamente dei moti che vi si riprodussero.

Il Maresciallo O' Donnell cadde l'indomani d'una segnalata vittoria riportata sulla rivoluzione, e spirò nella terra dell'esilio, vittima d'un intrigo di Corte cagionato, in gran parte, dalla vendetta giuratagli dai nemici d'Italia. Questa morte privò l'« Unione liberale» del suo capo, ma lasciò negli animi de' suoi seguaci segni di sdegno implacabile. Poco appresso un'altra illustre tomba ebbe ad aprirsi, e nel Maresciallo Narvaez la Nazione perdette un'effi

cace difensore dell'ordine, la monarchia un valido e leale sostegno. Il Gonzales Bravo ne raccolse la successione, ma la sua riputazione è tale che la sua assunzione al supremo potere suscitò un grido universale di disapprovazione. La Camera continuò bensì a votare tutte le leggi presentate dal Governo, chè questi rappresentanti son tutti sue creature. Ma nel Senato l'opposizione si mostrò ribelle, astenendosi dall'assistere alle sedute, e rendendo così impossibile di formare la Camera. Di modo che il Ministero veniva infine costretto a prendere la determinazione di chiudere la Sessione. Venne poscia il matrimonio dell'Infanta Isabella col Conte di Girgenti, il quale, in tali disposizioni d'animi, non fece che aumentare sempreppiù il generale malcontento. Già ebbi l'occasione di riferire all'E. V. come alle feste che seguirono in quella circostanza regnasse un generale sentimento d'indifferenza e di tristezza. Le Regie Sale invero si riempirono di Grandi di Spagna, d'impiegati d'ogni sfera, di forestieri spettatori. Ma certe astensioni non ponno a meno d'aver fatto una penosa impressione sull'animo della Maestà della Regina. Il Miraflores, il Llorente, il Bermudez de Castro, perfino il Maresciallo Serrano, altre volte tanto accetto alla Corte, brillavano pella loro assenza. Le feste finirono, e la vera situazione del paese riapparve sotto più tetro aspetto. S'incominciò a parlare di crisi ministeriale, ma un giorno il Ministero riuscì a riunire il numero legale nel Senato per passare certe leggi, e si disse salvo. E quali sono queste leggi? L'una quella dell'istruzione primaria, che l'E. V. conosce, l'altra peli'istituzione del credito fondiario, cui gli interessi personali assai più che quelli dello Stato procurarono la vittoria. La crisi ministeriale fu momentaneamente sventata, ma s'incominciarono ad intendere vaghe voci di prossimi rivolgimenti, ed ora siffatte voci si ripetono ad ogni angolo di strada. Chi sta alla testa di siffatte macchinazioni? Da qual parte verrà il segnale del fuoco? Quando fia che scoppii? Nessuno sa rispondere a queste quistiioni, ma un vago sentimento d'inquietudine invade gli animi, senza che alcuno possa affermare se sia l'effetto d'un vero principio di cospirazione, oppure un timor panico sparso a disegno da chi lo desidera. Che sorgerà da questo stato di cose? L'E. V. comprenderà quanto sia difficile di rispondere a questo quesito. È sempre arduo di predire l'avvenire, ancor più arduo in un paese dove esistono tante divisioni di partiti, tanta complicazione d'interessi personali, ed in mezzo a questa confusione nulla di sacro, nulla di solido. A segno che s'intendono le persone più distinte per carattere ed intelligenza affermare che la Spagna cammina a gran passi verso una rivoluzione che tutto travolgerà nel suo turbine, nulla lasciando in piedi dell'antico, che si passerà pel caos e l'anarchia, e da essi ne sorgerà un nuovo stato di cose, poiché le nazioni non muojono.

Io non so veramente fino a qual punto siffatti pronostici saranno per verificarsi. Qualche tentativo d'insurrezione è probabile che occorra, ma l'epoca non può prevedersi, che anzi persone generalmente ben informate m'assicurano che nulla sarà pronto prima di due mesi, e che probabilmente il moto non sarà di grande entità quest'anno. Se adunque il Governo riesce a soffocarlo sul principio, esso non avrà servito che a fornir pretesto di maggiori rigori, ed a prolungare così il presente ordine di cose. Se il moto venisse a trionfare, esso passerebbe pei soliti stadj delle grandi rivoluzioni. Gli iniziatori del moto sarebbero sopraffatti da altri, ne nascerebbe probabilmente una

27 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

guerra civile, tutti i mali dell'anarchia si scaglierebbero sulla Spagna; e chi può dire che ne uscirebbe? L'E. V. conosce quali siena i candidati messi innanzi dalle persone che aspirano ad un mutamento radicale della cosa pubblica. Si parlò, altra volta, di S. A. R. il Duca d'Aosta, più tardi del Re Don Ferdinando di Portogallo. Ora non s'intende qui far menzione di siffatte candidature. Quella che trova maggior favore in questo momento è la Reggenza

o l'assunzione al Trono della Duchessa di Montpensier, omettendo di nominare il Duca, sia perché è forestiero, sia perché se ne temerebbe l'opposizione della Francia. Ma essendo questo un modo assai ingenuo di ovviare alla difficoltà, mi parrebbe dubbio che sia menato buono al di là de' Pirenei, se veramente non si volesse un principe d'Orléans sul Trono di Spagna. Viene in seguito l'Infante Don Carlo, chiamato dai legittimisti Carlo VII; figlio dell'Infante Don Giovanni e nipote del Conte di Montemolin. Quest'Infante ha 20 anni e si dice aver ricevuto in Austria un'educazione distinta, ed essere stato preparato alle possibili eventualità. Alcuni asseriscono che in caso di rivoluzione egli spiegherebbe una bandiera liberale e tenterebbe la sua sorte. Questo candidato possiede i due vantaggi d'essere sconosciuto e Spagnuolo, ed ho inteso dire non esser egli quello che avrebbe in fin de' conti mi.nor probabilità di riuscire.

Nessuno dei partiti che sostengono questi candidati manifestò mai alcuna velleità sul Portogallo.

Viene in seguito il partito repubblicano, che consiste della parte estrema del progressista. Ora l'E. V. conosce come il partito repubblicano sia generalmente animato da sentimenti di solidarietà patriottica, epperò non è impossibile che esso estenda le sue simpatie umanitarie oltre le fmntiere. So anzi che da taluni di essi fu pronunziato il nome di Confederazione Iberica, onde evitare d'eccitare la ripugnanza sempre manifestata dai Portoghesi contro l'Unione. Ma è da osservarsi che questo partito è al certo il meno numeroso ed il meno influente in !spagna, e che, se anche riuscisse ad imporsi in momenti di crisi, non sarebbe che per ben breve intervallo, e verrebbe ben presto rovesciato da una unive.rsale reazione, la nazione Spagnuola sembrandomi la meno atta alle istituzioni repubblicane. Vi è un ultimo partito, ed è formato da quelli, che, affine d'evitare ogni causa di discordia, propongono si distrugga tutto il presente e si lasci poscia alla Costituente il decidere delle sorti dello Stato. E questi sono gli elementi su cui deve fondarsi il nuovo ordine di cose. A me pare adunque risultare dalle cose predette che lo stato attuale della Spagna è talmente precario che non debba inspirare inquietudine alcuna ai vicini. E che se alcun movimento venisse a scoppiarvi, o sarebbe prontamente soffocato e le cose ritornerebbero nello stato primitivo, o la rivoluzione spiegherebbe il suo volo, ed allora la Spagna cadrebbe in tale stato di confusione che, non che manifestare velleità annessioniste, avrebbe gran pena a provvedere alla propria esistenza. Senonché la vicinanza e le relazioni che esistono fra Spagna e Portogallo panno fare che i moti dell'una abbiano a produrre un contraccolpo nell'altro, ma gli effetti che ne sarebbero per venire dipenderebbero unicamente dalle condizioni in cui si troverebbe questo Stato in siffatta contingenza.

Queste sono le notizie e considerazioni che ho tratto dalle più autorevoli sorgenti, ed all'E. V. ho l'onore di sottometterle, stimando che da esse, meglio che dall'esposizione di qualche opinione individuale, potrà dedurre quale influenza le cose di Spagna possono esercitare sulle sorti del Portogallo.

(l) Non pubblicato ma cfr. n. 271.

325

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 365. Firenze, 28 maggio 1868.

Col mio dispaccio 17 aprile (l) ho chiamato la sua attenzione sulla condotta alquanto singolare di alcuni Agenti Consolari francesi in Siria nell'occasione in cui dai loro colleghi d'Italia si celebrava l'anniversario della nascita dell'Augusto Nostro Sovrano. Sullo stesso argomento io avevo pure scritto al Ministro del Re in Costantinopoli dal quale ebbi in risposta un rapporto che qui unisco in copia (2).

Il Cav. Bertinatti, tenendo conto di quanto da vari anni si pratica in Costantinopoli, crede che anche nelle provincie l'uso delle visite ufficiali dei Consoli nel giorno della festa del loro Sovrano sia stato abolito. Ciò non è esatto, perocché risulta da molti 11apporti consolari recenti, che tali cortesie sono invece mantenute in uso in quasi tutte le Città del Levante. Senza insistere però maggiormente su tale argomento è mia intenzione precisa di ordinare a tutti gli Agenti del Re in Turchia di astenersi assolutamente da qualsiasi dimostrazione nel giorno festivo dell'Imperatore Napoleone, se prima di quel tempo il Governo Imperiale non avrà dato soddisfacente spiegazione sulla condotta de' suoi Agenti. V. S. forse saprà come sino a questi ultimi anni, per una speciale deferenza verso una Corte di famiglia, il R. Governo si facesse sempre rappresentare alle cerimonie religiose che le Legazioni di Francia sogliano far celebrare il 15 agosto. Sarebbe con vera dispiacenza che mi vedrei costretto a diramare istruzioni per impedire che siffatte dimostrazioni abbiano luogo in questo anno.

Dal rapporto del Cav. Bertinatti Ella vedrà inoltre quanto sia infondata la pretesa dell'Agente francese in Aleppo di impedire che senza il consenso di lui si potessero celebrare funzioni religiose in onore del Nostro Augusto Sovrano. Sovra questo punto, che interessa principalmente la protezione delle Chiese cattoliche in Oriente, non conviene a noi di suscitare incidenti che in questo momento la Francia farebbe risolvere a suo esclusivo vantaggio, ma non è neppure intenzione del Governo del Re di ammettere cosa alcuna che possa far credere che da parte sua si riconosca fondata la pretesa di quell'esclusiva protezione.

(l) -Cfr. n. 240. (2) -Non pubblicato.
326 L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1034/426. Londra, 28 maggio 1868 (per. il 4 giugno).

Ho l'onore di segnarle ricevuta del Dispaccio politico n. 87 (1), il quale regolarmente mi pervenne coi suoi annessi.

Presi conoscenza dei tre rapporti del R. Console in Tunisi dali'E. V. inviatimi e mi recai quindi da Lord Staley per f,argli osservare, secondo il desiderio da Lei espressomi, come mentre dall'Italia e dall'Inghilterra si erano aperte delle trattative per guarentire gl'interessi dei proprii connazionali, la Reggenza avrebbe stipulato a Parigi un nuovo contratto finanziario.

Chiamai a questo riguardo tutta l'attenzione di Mylord sull'articolo 8 di tale contratto, mercè il quale la Francia finirebbe per conseguire il suo intento, mettendo l'Italia e l'Inghilterra in disparte, e come dice il Signor Pinna: «annullando le conversioni dell'anno scorso col destinare in garanzia della nuova operazione finanziaria les premiers revenus de la Régence, che sono appunto quelli affetti alle conversioni dell'anno scorso».

Sua Signoria ricevette questa informazione con segni del più vivo interesse, e mi pregò di porgere a V. E. i suoi ringraziamenti per avermi incaricato di comunicargliela. Mi disse però che stando alle dichiarazioni scritte dal Marchese di Moustier, dichiarazioni che taluno forse potrebbe avere l'intenzione di violare, ma che nulla per ora dà diritto a ciò supporre, il Decreto del Bey non sarà, come Ella già conosce, posto ad esecuzione senza una previa intesa coll'Italia e coll'Inghilterra, per la tutela dei loro interessi. Non potendosi dunque porre in dubbio la buona fede del Governo Francese, secondo Lord Stanley sarebbe impossibile dopo una così fatta promessa che il Gabinetto delle Tuileries cercasse con un qualche raggiro a mettere l'Italia e l'Inghilterra in disparte, e che evitasse di dare al Decreto in parola un'applicazione equa e conforme alle esigenze dei nostri diritti, punto sul quale Lord Stanley ha precisamente esatto con particolare insistenza una spiegazione. Egli mi espresse confidenzialmente di essere inclinato a credere che tutti questi progetti finanziarii patrocinati in Francia, siano piuttosto da tenersi come la creazione di Agenti secondarii Francesi, i quali ciò farebbero con animo di tentare una speculazione di Borsa che come la vera opera del Governo Imperiale.

Non disconobbe però la convenienza di stare all'erta, ed è per ciò specialmente che Egli m'incaricò di ringraziare V. E. per la comunicazione affidatami.

Circa la preghiera da V. E. rivoltami di essere presto informata se Lord Stanley ritiene che una precisa intelligenza sul modo di stabilire una commissione internazione a Tunisi possa essere presa separatamente, ovvero se la medesima debba essere il risultamento di un convegno di rappresentanti delle Potenze interessate, Mylord mi disse che giudicava prudente di astenersi da qualunque atto che potesse essere interpretato dalla Francia come una coali

zione contro di essa. Io osservai che ammettendo la convenienza di un tale procedere, pure parevami necessario di stabilire da prima confidenzialmente un accordo onde avere una base comune, ed evitare il rischio di pregiudicarci a vicenda con un'azione separata.

Lord Stanley mi diè ragione su questo, ma mi palesò che facile riusciva un tale accordo se si sceglieva come base di trattativa le due più volte espresse condizioni: rispetto, cioè, alle convenzioni preesistenti, ed uguale rappresentanza delle parti interessate in seno alla commissione.

Per maggior chiarezza chiesi a Sua Signoria se per parità di rappresentanza intendeva dire che questa dovesse essere regolata dall'importanza ed estensione dei diritti di ciascun Stato; ma il Ministro degli Affari Esteri mi rispose che non sarebbe stato del nostro interesse di invocare un tale principio, avendo la Francia dei diritti più vasti dei nostri nella Reggenza, e che perciò consigliava di attenerci ad un altro partito, quello cioè di pretendere che nessuna Potenza avesse una preponderanza nella futura Commissione.

Circa l'ordine pure datomi dalla E. V. col precitato dispaccio n. 87 di difendere presso Lord Stanley la condotta del R. Console in Tunisi contro le infondate insinuazioni dei giornali Francesi, ho la soddisfazione di annunziarle, Signor Conte, che da molti giorni io avevo ciò fatto, e come la cosa mi stesse a cuore Ella avrà potuto rilevare da mio rapporto politico n. 423 (1), in cui le rassegnava di aver detto appunto lo stesso all'Ambasciatore di Francia. Tuttavia quanto V. E. mi ha suggerito su tal particolare venne da me oggi esposto a Mylord, il quale mi ha ripetuto di non aver mai dubitato della equità e moderazione osservata dal Signor Pinna in tutta questa difficile e delicata controversia.

Nell'accommiatarmi dissi al Nobile mio interlocutore che se la prima e più complicata parte dell'incidente era ora appianata, rimaneva però sempre la questione di fondo, politicamente meno grave, ma pure importante e non agevole. Sua Signoria non mi celò di essere dello stesso parere sulle difficoltà che ancor s'incontreranno e sulla necessità di agire con prudenza.

(l) Non pubblicato.

327

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 41. Pietroburgo, 28 maggio 1868 (per. il 4 giugno).

Il Signor Rystich ministro del Principe Michele di Serbia è qui venuto in missione come l'E. V. ben sa dopo essere stato a Berlino e coll'intendimento di condursi partendo di qui a Parigi ed a Firenze. Scopo della sua missione si è quello di ottenere dalle potenze l'abbandono per la Serbia della giurisdizione consolare, a quel modo che lo si procaccia di ottenere dai Governi di Rumenia e d'Egitto. Il compito del Signor Rystich in Pietroburgo non era di

malagevole adempimento poiché Egli trovò la Cancelleria Russa dispostissima a fare tal concessione ai Serbi, per i quali essa è così ben disposta come tutti sanno. Il Principe Gortchacow non fece veruna osservazione o restrizione alla sua dimanda e dissegli « Vous enfoncez une porte ouverte » come per esprimergli che egli preveniva quasi un suo desiderio. Il tutto sarà quindi regolato per mezzo di istruzioni da inviarsi ai Consoli Russi, ingiungendo loro di rilasciare ai tribunali indigeni la giurisdizione dei processi così civili come penali, cosi pendenti tra nazionali come misti. Né il Gabinetto di Pietroburgo crede che sia mestieri di regolare questo assunto in Serbia per mezzo di una speciale convenzione la quale al contrario esso è venuto nell'opinione che sia necessaria nei Principati Uniti, attesa la maggior guarentigia che per suo avviso offrono i tribunali e generalmente le istituzioni del Principato Serbo.

Il Signor Rystich fu due volte a visitarmi e mi pregò di prevenire l'E. V. del suo prossimo viaggio in Firenze, non dubitando che il R. Governo dimostrerebbe in questa occasione come in tutte le altre le sue buone disposizioni verso il popolo di Serbia e verso l'amministrazione del Principe Michele.

Qualche obiezione alla riforma che il Signor Rystich è incaricato di chiedere fu sollevata dal Conte di Bismarck, secondo che già è noto all'E. V. per un rapporto della R. Legazione in Berlino. Le obiezioni Prussiane si riferiscono ai processi misti i quali occorrono bene spesso in seguito della Fiera di Lipsia ove molti alemanni intervengono che hanno interessi e possessioni in Serbia. L'inviato Serbo rimise sopra questo argomento una sua memoria al Conte di Bismarck il quale promise di dargli in proposito risoluzione definitiva al suo ritorno. Io porto opinione che le accennate difficoltà saranno di leggieri superate per effetto dei buoni ufficii della Russia, e degli adoperamenti che a tal'uopo fu pregato di fare presso il suo Governo il Principe di Reuss, il quale è personalmente del tutto favorevole alla desiderata concessione.

Posso confermare all'E. V. le notizie già date col mio dispaccio di questa serie N. 37 in data 10/22 aprile u.s. (l) col quale annunziava il viaggio probabile dello Czar per Kissingen nella prossima estate ove Egli andrà per raggiungere l'Imperatrice a cui l'uso di quei bagni fu prescritto dai medici. Un qualche dubbio era sorto in questi ultimi giorni sulla esecuzione di cotal disegno ma la prescrizione suddetta fu dai medici rinnovata alla Maestà Sua in una più recente consultazione; però vengo assicurato che il viaggio avrà luogo, ed anzi sono al caso d'informarla che potrebbe anche aver luogo dopo la dimora di Kissingen una gita dell'Imperatrice in Como, che Le sarebbe stata prescritta eziandio per motivi di salute. Non potrei aggiungere veruna particolarità per ora a tal notizia, che per anco non ha verun carattere di certezza, ma terrò certamente a mio debito di fornir precise informazioni al R. Governo quando essa si confermi.

Il Signor Stremoukow Capo della Direzione Asiatica a questo Ministero parte fra pochi giorni in congedo, e si propone di visitare l'Italia verso il fine dell'entrante mese. L'importanza di tal personaggio a cui è riserbata la parte

(l} Non pubblicato.

più cospicua della Diplomazia Russa, e il suo fine intendimento renderanno senza alcun dubbio grata ed utile all'E. V. la sua conoscenza, ond'io certo non ho mestieri di raccomandargliela altrimenti.

Mi pregio segnare ricevuta al R. Ministero dei dispacci politici n. 15 e 16 in data del 16 maggio conente (l) non che dei n. 55 documenti relativi alla vertenza Tunisina e di altri n. 13. Le offro Signor Ministro, quelle grazie che posso magg.iori per i preziosi ragguagli non che per le utili e sagge istruzioni contenute nei dispacci e nei documenti suddetti. Il rapporto di questa Legazione del 22 aprile (non ve n'ha che uno) porta questa data perché il 22 aprile fu scritto e spedito il 24 col corriere di Francia, e con preghiera alla Legazione di Sua Maestà in Parigi per la pronta spedizione. Altro non avrei da aggiungere all'E. V. su questo particolare.

(l) Non pubbl!cato.

328

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 652. Firenze, 30 maggio 1868, ore 17,20.

Le baron de Malaret m'a lu la dépeche du marquis de Moustier relative à l'affaire de Tunis, (2) et m'en a ensuite donné une copie. J'ai donné à notre consul à Tunis (3), en conséquence de cette communication l'ordre de s'abstenir de tout acte d'opposition qui aurait pour but de maintenir le Bey dans son refus aux demandes de la France.

329

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1147. Tunisi, 30 maggio 1868, ore ... (per. ore 14,20 del 2 giugno).

Consul anglais ayant reçu l'ordre de retirer son opposition à la suite des assurances données par la France, le Bey, par l'entremise du premier ministre, a transmis ce matin au consul de France la lettre de ratification du projet de commission, sous la réserve des modifications qui pourront y etre apportées de commun accord entre les trois Puissances intéressées. Sur quoi, le consul de France a rétabli les rel,ations avec le Bey, et m'en a informé par une lettre qui répète la réserve susdite.

(l) -Cfr. nn. 300 e 301. (2) -Non pubblicato. (3) -Con d. 19 del 29 maggio, non pubblicato.
330 IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 14. Vienna, 30 maggio 1868 (per. il 2 giugno).

Ho tardato a scriverle imperocché non ho potuto vedere il Ministro Beust che ieri soltanto e quindi non avea nulla di molto importante prima d'oggi a comunicarle.

La questione più grave, sulla quale Ella desiderava delle informazioni, era certo la questione dei Principati, posso fin d'ora completamente rassicurarla sull'intenzioni tanto del Gabinetto di Vienna quanto del Gabinetto di Pesth. Il Cancelliere dell'Impero mi disse nel modo più formale che egli non domandava al Governo Rumeno che una semplice rettificazione intorno all'operato del Console Austriaco. Il Governo di S. M. l'Imperatore non può, mi soggiunse il Barone di Beust, tollerare che un Governo estraneo calunni i suoi rappresentanti. La calunnia non può essere messa in dubbio, poiché il Governo Rumeno stesso ha dovuto confessare che le persecuzioni contro gli Ebrei ad Iassy furono putroppo incontrastabili. Le domande del Gabinetto Austriaco sono così moderate, continuava il Cancelliere dell'Impero, che esse sono state intieramente approvate dai Gabinetti di Parigi e di Londra. È falso che il Governo Austriaco domandi il ritiro di Bratiano, è falso che il Governo Ungherese abbia colto questa occasione per minacciare l'indipendenza dei Principati. Tanto il Conte Andrassy che il Barone di Beust non domandanò ai Principati che una cosa sola, di avere un Governo indipendente e nazionale. Ciò che credono di non dovere, né potere tollerare egli è che sotto un Governo nazionale si nascondino delle influenze straniere ed ostili agli interessi dell'impero. In quanto alle indennità domandate dal Governo Imperiale per i sudditi austriaci ed ungheresi, il Barone di Beust m'incaricò di assicurare il Governo del Re che esse saranno ristrette nei limiti i più ragionevoli ed i più equi.

Io porto opinione, Eccellenza, che le informazioni che Le pervennero, e di cui Ella intrattenne il Barone di Riibeck, non siano esattissime e credo fermamente che, mentre il Governo Austriaco ha intendimento di tutelare efficacemente il proprio decoro e gli interessi dei suoi amministrati, non abbia almeno per ora nessuna intenzione ostile all'indipendenza dei Principati. Tuttavia non mancherò di cercare informazioni esatte su questa questione e di tenerla minutamente informata. Anzi Le dirò a questo proposito che l'Ambasciatore di Turchia, che vidi ieri, mi parve aver ricevuto le medesime impressioni da un lungo colloquio che esso ha avuto col Barone di Beust. Mi disse però cosa, che io riferisco a V. E. con ogni riserva ed alla quale credo non si debba dare maggior peso di quello che merita. Il Rappresentante della Porta mi fece conoscere che nel caso che il Governo Rumeno avesse proclamato la propria indipendenza, il Governo Turco sarebbe immediatamente intervenuto e che egli avea ragione di credere che in simile evenienza anche l'Austria sarebbe intervenuta.

Io ho poscia intrattenuto direttamente il Barone di Beust sull'estradizione del brigante Gallotti e qui debbo confidenzialmente sottoporre a V. E. alcune considerazioni. Il Barone di Beust, mentre non esita a dividere con noi l'orrore che ci ispirano i delitti del brigantaggio, tuttavia non può a meno di farci osservare che la questione politica non è intieramente estranea ad esso. Egli non mancò di farmi conoscere come in faccia all'Imperatore e sopratutto all'Imperatrice, sorella dell'ex Regina di Napoli, questa questione era molto delicata. Egli mi promise che dal canto suo avrebbe sempre cercato di soddisfare alle nostre domande, ma che egli sperava che dal canto del Governo Italiano si sarebbe proceduto a queste domande colle maggiori cautele e colle maggiori moderazioni possibli.

Io non mancai di far conoscere al Ministro degli Esteri come questa questione si fosse pure agitata colla Francia e come fosse stata risolta intieramente nel nostro senso. Sarebbe, aggiunsi, un pericoloso precedente per tutti i governi quello di permettere che gli assassini più infami si coprissero con una bandiera politica. I Borboni stessi di Napoli pel loro decoro dovrebbero essere i primi a ripudiare la solidarietà fra la loro causa e quella di malfattori rapaci e sanguinari. Io però debbo francamente dire a V. E. che io credo che il Governo Italiano debba pesare molto le considerazioni del Barone di Beust, poiché esse sono dettate da uno spirito informato ai migliori sentimenti per noi. Sarebbe follia, oso dirlo, il disconoscere la importanza di certe influenze che non bisogna offendere e che anzi è opportuno molte volte cattivare con delle concessioni innocue e sovente più di forma che di sostanza.

Parlai pure al Barone di Beust della questione intorno all'art. VIII del trattato di Vienna. A dire il vero mi parve che egli fosse di questo affare pochissimo informato e mi riservo di parlarne domani col Barone di Altenbourg, che durante l'assenza del Barone di Meysenbug compie l'ufficio di aggiunto, e di renderne conto all'E. V. con ispeciale rapporto. Credo che però non ci sarà nessuna difficoltà da parte dell'Austria alla riunione di una nuova Commissione speciale. Il nostro Ministro delle Finanze nella sua Nota del 27 aprile (annesso al dispaccio ministeriale affari in genere n. 30) {l) pare sia alieno dal scegliere Vienna per tenere le riunioni di questa Commissione e ciò per due ragioni, l'una per le spese, l'altra, perché a Vienna non si potrebbero avere i dati necessari per risolvere definitivamente quella intricata questione. In quanto alla prima obiezione, mi pare che la spesa sarebbe di molto diminuita se si nominasse per esempio il Cavaliere Blanc per trattarla, benché io non possa a meno di osservare con tutto il rispetto che debbo all'E. V. che non capisco francamente a che servano le Legazioni presso le grandi potenze se per tutti gli affari i più gravi (come avvenne fin ora nella Legazione di Vienna) si nominano delle Commissioni speciali. Quanto alla seconda obiezione il Gabinetto Austriaco sostiene invece che tutti i documenti per la soluzione di questa questione si trovano negli archivi di Vienna.

Non mancai poi in questa circostanza di pregare il Barone di Beust a norma di istruzioni avute dal Gabinetto italiano, di permettere che quell'impiegato austriaco che è tornato da Costantinopoli fornisse a questa Legazione

tutti gli schiarimenti opportuni intorno ai falsificatori di buoni italiani a Costantinopoli ne ebbi favorevolissimo riscontro, per cui mi occuperò subito di raccogliere i dati richiesti.

Nell'accomiatarmi dal Barone di Beust toccai per ultimo della sanzione accordata dall'Imperatore alle leggi confessionali e gliene feci i miei sinceri rallegramenti. Egli si mostrò molto soddisfatto del modo con cui egli avea condotto questo affare e ciò tanto rimpetto all'Imperatore, quanto rimpetto alla popolazione. Allorquando furono votati dalle Camere questi progetti il partito cattolico dipinse a Sua Maestà con foschi colori la situazione. Egli osò affermare che l'Impero era in preda ad una agitazione anarchica simile a quella del 1848. Facendo indugiare due mesi la promulgazione di queste leggi, io ho provato all'Imperatore, continuava il Cancelliere, che il sentimento che le avea ispirate era vero non fittizio, calmo non disordinato, e che egli non avea nulla di comune colle aspirazioni demagogiche del 1848. Il partito rivoluzionario non avrebbe aspettato con calma due mesi. Egli avrebbe immediatamente compromesso sotto il pretesto di queste due leggi, la quiete e la tranquillità dell'Impero. Le riforme che mantengono l'ordine non sono riforme volute da un partito, ma riforme domandate dall'intera nazione. D'altra parte desiderava mostrare al paese che l'Imperatore firmando quelle leggi non cedeva alle pressioni ed alla volontà delle Camere, ma cedeva alla voce della propria coscienza ed alla persuasione del proprio intelletto. Se Sua Maestà avesse apposto la sua imperiale firma immediatamente ne avrebbe scapitato grandemente la sua autorità e ne sarebbe diminuito il prestigio di questa riforma. Il partito cattolico che è potentissimo in Austria non per numero, ma per influenza, avrebbe provocato dei disordini e si sarebbe lasciato trascinare a delle intemperanze funeste. Oggi dopo due mesi che le leggi sono votate il calore sacerdotale si è molto raffreddato: Roma stessa considera la questione con molta maggior calma di prima, benché il Nunzio abbia protestato, le notizie che oggi stesso sono giunte da Roma fanno sperare che questa complicazione si risolverà con un temporale senza fulmini. Ho creduto possa essere gradevole all'E. V. di conoscere questi particolari che non sono per verità privi di interesse.

(l) Non pubbl1cato.

331

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1137/428. Londra, 31 maggio 1868 (per. il 5 giU(JnoJ.

Fln da quando leggeva in uno dei Rapporti del Commendatore Blanc in data dell'8 corrente (1), da codesto Ministero mandatimi, che delle comunicazioni erano state ultimamente scambiate tra Vienna e Londra sulla opportunità di agire di concerto presso i Gabinetti di Parigi e di Berlino per un disarmo, aveva l'intenzione di scandagliare a questo riguardo l'animo non solo di Lord Stanley, ma di investigare l'opinione degli Ambasciatori di Francia e di Prussia.

Per quanto rispetto abbia per le informazioni di un distinto diplomatico come il Commendator Blanc, la predetta notizia aveva destato in me un sentimento di dubbio, conoscendo per esperienza essere una simile iniziativa poco in armonia col carattere di Lord Stanley.

Difatti Sua Signoria mi negò l'esistenza di tali comunicazioni, come pure l'annunzio dato dalla Neue Freie Presse di Vienna del 22 corrente che l'Inghilterra stava preparando una dichiarazione da essere proposta a tutte le Potenze pel mantenimento della pace, di cui già aveva dato comunicazione al Gabinetto Austriaco.

Il Ministro degli Esteri mi disse che le opinioni del Governo Britannico sul mantenimento della tranquillità Europea erano conosciute, e che egli non ne facea mistero ogni qualvolta se ne presentava l'occasione; ma esservi lungi da ciò ad un tentativo di negoziati ai quali nessuna delle due parti interessate avrebbe prestato ascolto. «No», proseguì Lord Stanley, «molto più che la voce dell'Inghilterra dovrebbe avere potere sull'animo dell'Imperatore dei Francesi i gravi pesi del bilancio imposto al suo popolo, e il malcontento che destò nell'Impero la nuova legge per l'organamento dell'armata. Se tutto questo non esercita sopra di lui alcuna influenza chi mai il potrebbe?».

Debbo inoltre informare l'E. V. che avendo pure, come dissi, consultato con ogni prudenza gli Ambasciatori di Prussia e di Francia, ricevetti da loro la piena conferma del diniego datomi da Mylord, e l'ultimo di essi andò più lungi, dicendomi enfaticamente che l'Inghilterra sapeva benissimo non essere l'Imperatore disposto a trattare attualmente la proposta di un disarmo.

Tale è dunque lo stato delle cose circa la situazione politica del momento per ciò che concerne l'attitudine dell'Inghilterra nella questione che tiene tanto agitati gli animi in Europa.

Riferendomi alla precitata conversazione che ebbi con Lord Stanley, non voglio omettere il rassegnare a V. E. come egli mi abbia espresso la sua soddisfazione pel modo in cui la cosa pubblica procede in Italia, e come in generale gli ultimi voti sulle leggi d'imposte abbiano fatto buon effetto in questo paese, accrescendo ancora, se possibile, la già esistente fiducia nel Gabinetto presieduto dall'E. V.

Discorrendo di ciò con Sua Signoria io dissi che se l'Italia potesse traversare un periodo di alcuni anni di pace avrebbe facilmente rimarginato le sue ferite, e citai l'esempio del Piemonte il quale sebbene prostrato e vinto nel 1849, mercé un lustro di riposo sotto un'illuminata e provvida amministrazione già trovavasi alla fine del 1854 pronto a prender parte alla gloriosa campagna di Crimea.

Lord Stanley mi rispose che nessuno più di lui aveva fede nelle risorse del nostro paese, ma che non un solo lustro di pace richiedeva l'Italia per diventare quella influente nazione che è chiamata dal destino a rappresentare, ma bensì un intervallo di venti o trenta anni di tranquillità interna durante i quali ogni giorno crescerebbe la sua potenza.

In conclusione Mylord mi ha ripetuto quanto già ebbi occasione di rassegnare alla E. V., che cioè nell'interesse d'Italia egli sperava che essa al par dell'Inghilterra sarebbe rimasta all'infuori d'un conflitto tra Francia e Prussia.

(l) Cfr. n. 283.

332

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 91. Firenze, 1° giugno 1868.

Le segno ricevuta del di lei rapporto delli 28 maggio (l) pervenutomi oggi.

Non voglio tardare a mettere la S. V. in grado di far conoscere a Lord Stanley che trovandoci ora, a seguito delle comunicazioni fatteci da Parigi, nella condizione stessa in cui travasi la Gran Bretagna rimpetto alla Francia nella questione tunisina, noi aderiamo pienamente ai concetti che S. S. Le ha espresso nella conversazione della quale Ella mi ha reso conto col citato rapporto.

Ella vedrà anzi tutto da un estratto di una relazione del R. Agente e Console Generale in Tunisi (2) che sino al 26 maggio non era stato proposto al Bey alcun nuovo contratto finanziario che avrebbe potuto pregiudicare le questioni intorno alle quali pendono le trattative. L'accordo completo fra i due agenti d'Italia e d'Inghilterra sulla condotta da tenersi in casi di simili tentativi, destinati a produrre nello stato presente delle cose novità nocive agli interessi italiani ed inglesi, avrà certamente contribuito a far ritardare, se non abbandonare completamente, il progettato contratto finanziario. E' importante che questo accordo non venga meno pel tratto successivo.

Consentiamo anche noi nell'opinione del gabinetto inglese sulla opportunità di non dare alla Francia alcun pretesto di credere che nella vertenza tunis,ina le Potenze si siano contro di Lei coalizzate per secondi fini che nè l'Italia nè l'Inghilterra hanno realmente. Ma con molto accorgimento V. S. faceva osservare a Lord Stanley essere quasi impossibile lo intendersi in modo pratico colla Francia se le potenze che hanno identici interessi da tutelare non si intendono fra di loro preliminarmente sulle proposte che intendono sostenere a comune vantaggio dei loro sudditi rispettivi. Al qual proposito giova riflettere che stando ai termini del dispaccio del Marchese di Moustier, rimessomi in copia dal Barone di Malaret, le Potenze cointeressate dovrebbero presentare di comune accordo al Bey di Tunisi le modificazioni riconosciute utili da introdursi nel decreto costitutivo della commissione internazionale finanziaria. Noi siamo perfettamente d'accordo con Lord Stanley sulla convenienza di sostenere i due principi del rispetto cioè dovuto alle regolari Convenzioni preesisteti, e della equa rappresentanza di tutte le parti interessate in seno della Commissione, ma a noi sembra che le molte particolarità risguardanti l'applicazione di quei due principi possano dare argomento di non poche dubbiezze, a risolvere le quali non pare si possa giungere colla conveniente speditezza se non si stabilisce che le questà.oni di simile natura debbono essere esaminate in un convegno dei rappresentanti degli Stati interessati. Dappoichè il dispaccio del Marchese di Moustier al Signor di Malaret in data del 21 maggio sembra voglia appunto accennare ad un esame delle situazioni reciproche delle varie potenze nella vertenza che forma oggetto di discussione fra le

medesime noi saremmo d'avviso che s'abbia ad appoggiare questo concetto accettandolo nel senso che in un convegno dei rappresentanti delle potenze interessate si abbiano appunto ad esaminare le situazioni rec,iproche ed a redigere quelle nuove proposte che di comune accordo dovranno essere fatte al Bey di Tunisi.

Desidero ch'Ella spieghi queste mie idee a Lord Stanley e poscia mi faccia conoscere l'opinione di S. S. al riguardo.

(l) -Cfr. 326. (2) -Non pubblicato.
333

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1038/429. Londra, 1° giugno 1868 (per. il 5).

Fra i documenti diplomatici trasmessimi da codesto Ministero, ho trovato un interessante rapporto del R. Incaricato d'Affari a Vienna, in data delli 19 scorso Maggio (1), in cui era detto che n Governo Inglese era stato sollecitato da quello di Francia ad impegnare i suoi buoni uffizii presso il Governo Ellenico per indurre quest'ultimo ad invitare d. rifugiati Cretesi a ritornare nella loro Isola.

Infatti una conversazione a questo riguardo ebbe luogo recentemente tra l'Ambasciatore Francese e Lord Stanley. Alle aperture del Governo Imperiale il Ministro Inglese rispose che, non avendo la Gran Bretagna mai unita la sua opera a quelle delle altre Nazioni che trasportarono i fuggitivi Candioti sul territorio Ellenico, non credeva di dovere intervenire in qualunque guisa nella questione del loro rimpatrio. Esservi poi a suo avviso molte considerazioni da non tenersi in non cale prima di raccomandare l'adozione di una tal misura. Anzi tutto essere necessario lo investigare se i rifugiati medesimi desideravano rientrare nel loro suolo natio. In secondo luogo, se una sorte più misera ancora dell'attuale non li avrebbe aspettati in Candia. Da ultimo, se sarebbero stati trattati dai Turchi con quei riguardi che avrebbero avuto diritto ad attendere.

Tutte queste ragioni rendevano dunque Lord Stanley assai riluttante ad accettare la proposta Francese, e Sua Signoria, da quanto mi disse il Principe La Tour d'Auvergne, si sarebbe limitata a dire in modo assai vago che, ove le precitate difficoltà fossero appianate ed un accordo con iscopo umanitario conchiuso fra le varie potenze, allora forse avrebbe potuto considerare nuovamente la convenienza di dare un consiglio al Governo Greco a questo proposito.

Il fatto è che il Segretario di Stato per gli Affari Esteri della Regina continua ad occuparsi ben poco dei casi di Creta e della causa filo-Ellena. Del resto questo sentimento può dirsi comune qui a tutti i partiti. V. E. fu già da me informata come nella presente sessione Lord Russell, con altri distinti personaggi dell'opposizione Whig, abbia approvato la politica di astensione seguita da Lord Stanley nella questione di Creta. Aggiungerò ora che lo stesso Lord

ll) Cfr. n. 310.

Russell mi confessò, non ha guarì, che si pentiva di avere favorito quando era al potere la cessione delle Isole Jonie, tanto poco felici ne erano i risultati. Molto ancora rimane a compiere alla Grecia prima di cattivarsi le simpatie degli uomini di Stato Inglesi.

Questo Governo, dietro alle comunicazioni fattegli dall'Inviato Ellenico, pare, almeno pel momento, rassicurato sulle complicazioni che il progetto di introdurre in seno alla Rappresentanza Greca un certo numero di Deputati Cretesi, sembrava dover fare scoppiare. L'Inghilterra naturalmente è d'accordo colle altre potenze nell'osteggiare siffatto disegno.

Intorno al conflitto tra i Principati Danubiani e l'Impero d'Austria, sollevato dalla persecuzione degl'Istraeliti nella Rumenia e dalla nota emanata dal Gabinetto di Bukarest in cui vengono smentite le asserzioni del Console Austriaco, rassegnerò a V. E. che il Conte Appony ha chiesto, d'ordine del Signor di Beust, l'appoggio dell'Inghilterra per ottenere una soddisfazione dal Governo del Principe Carlo.

Lord Stanley si mostrò assai restio da principio ad acconsentire alla domanda rivoltagli dall'Ambasciatore d'Austria. Ma, trovando in complesso moderate e giuste le reclamazioni del Gabinetto di Vienna, finì per cedere e promettere al Conte Appony il sostegno del Console Inglese in Bukarest.

334

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 684. Parigi, 1° giugno 1868 (per. il 4).

Dopo aver ricevuto il dispaccio confidenziale che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi in data del 28 Maggio scorso (serie Politica n. 365) (l) mi recai oggi da s. E. il Marchese di Moustier al quale ricordai come fin dallo scorso Aprile io gli avessi segnalato la condotta singolare tenuta da alcuni agenti consolari francese in Levante all'occasione in cui i loro colleghi d'Italia celebravano l'anniversario della nascita del Re Nostro Augusto Sovrano. Dissi al Marchese di Moustier che io aveva ricevuto dall'E. V. un recente dispaccio, dal quale risultava che finora nessuna spiegazione era pervenuta al Governo del Re su questo proposito. Il Marchese di Moustier mi rispose che fin dal 24 aprile egli aveva scritto all'Ambasciatore di Francia a Costantinopoli e che aveva ricevuto in risposta un dispaccio del Signor Bourée del 6 Maggio scorso, col quale l'Ambasciatore Imperiale accusando ricevuta deJ Dispaccio del Marchese di Moustier, annunziava che avrebbe scritto agli Agenti Consolari francesi che io aveva segnalato d'ordine dell'E. V. e che non dubitava che questi Agenti avrebbero riparato all'uopo, le mancanze di riguardo che fosser state commesse.

Il Marchese di Moustier non ricevette finora, da quanto mi disse, altre risposte né dall'Ambasciata Imperiale a Costantinopoli, ne dai Consoli francesi a Beyrouth, Tripoli ed Aleppo. Egli però mi disse che avrebbe avuto cura di

domandare una risposta categorica all'Ambasciata Imperiale a Costantinopoli e che d'altra parte ne avrebbe scritto alla Legazione di Francia a Firenze.

Io intanto annunziai al Marchese di Moustierr che non potevo dispensarmi dal fargli sapere che era intenzione del Governo del Re di dare istruzioni precise perchè gli agenti del R. Governo s'astengano dal prender parte a qualsiasi dimostrazione, festa o cerimonia che fosse fatta dagli agenti diplomatici

o consolari di Francia in Italia o fuori, all'occasione del giorno festivo dell'Imperatore Napoleone, se prima il Governo Imperiale non avrà dato soddisfacente spiegazione sulla condotta dei suoi agenti.

(l) Cfr. n. 325.

335

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 686. Parigi, 1° giugno 1868 (per. il 5).

Le voci corse di negoziati tendenti ad un disarmo della Francia e della Prussia mi diedero occasione di parlare di quest'argomento sia col Marchese di Moustier, sia col Conte Goltz Ambasciatore di Prussia.

Dalle cose dettemi da entrambi risulta che non vi fu mai e non è questione di pratiche fatte sia direttamente sia per mezzo di altre potenze per un disarmo reciproco. Per quanto riguarda la Francia, i Ministri dell'Imperatore, mentre però dichiarano esplicitamente che il Governo francese non pensa a suscitare complicazioni che turbino la pace d'Europa, concordano nel dire che sarebbe impossibile alla Francia il disarmare in questo stesso momento in cui è messo in prova il nuovo sistema d'armamento. Avendo avuto oggi l'occasione di vedere il Maresciallo Niel ed avendo condotto la conversazione su questo argomento, il Maresciallo mi disse che nel rimettere l'esercito francese in una condizione d'armamento, che non eccede lo stato di pace, ma che è conforme alle nuove esigenze, il Governo francese non pensò e non pensa a provocare conflitti, ma vuol essere in misura di parare ad ogni evento, e sopratutto vuol dar confidenza al paese, il quale sapendosi forte e rispettato sarà perciò meno suscettibile e più tranquillo.

Il linguaggio del Maresciallo Niel fu in somma improntato d'un carattere

essenzialmente pacifico.

336

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA

D. 55. Firenze, 3 giugno 1868.

Alcuni giorni or sono l'Incaricato d'affari di S. M. il Re di Grecia venne a darmi lettura di vari documenti dai quali risulterebbe che il Gabinetto di Atene era entrato in qualche apprensione in seguito di certe comunicazioni fattegli recentemente dall'Inviato di Francia Conte di Gobineau. Questi avrebbe chiesto al Governo Greco di astenersi dal promuovere nuove emigrazioni di Cretesi in Grecia, di impegnare gli emigrati Cretesi a rientrare nell'isola, di impedire che bastimenti di bandiera ellena rechino provvigioni e soccorsi a Candia.

Sembrerebbe poi che alle osservazioni che gli andava facendo il Ministro Elleno pell'impossibilità nella quale travasi il Governo greco di aderire alla seconda ed alla terza di quelle domande, e sulla astensione assoluta osservata dal Governo Elleno in tutto ciò che riflette l'insurrezione di Candia, il Ministro francese rispondesse dover egli in nome del proprio Governo ripetere seriamente le fatte istanze, e consigliare alla Grecia di accettarle ove non volesse esporsi alle conseguenze gravi di un rifiuto.

Stando a quanto mi comunicò l'Incaricato d'Affari Elleno, poco dopo questa seria comunicazione del Governo francese, il Governo di Atene riceveva per parte dell'Austria un altro simile avvertimento in appoggio alle rimostranze fatte dalla Francia. Il Signor di Beust confessa di non avere egual titolo che il Governo francese per dar consigli autorevoli alla Grecia; ma se l'Austria non è Potenza protettrice dell'Ellade è però, come grande potenza, grandemente interessata al mantenimento della pace e della quiete in Oriente.

Il Governo del Re Giorgio, preoccupandosi del contegno verso di lui assunto dalla Francia e dall'Austria ci fa chiedere se, presentandosene l'occasione, egli può far assegno sull'appoggio del Governo Italiano per sostenere i propri interessi nella vertenza di Candia. Il Governo Greco ritiene che una soluzione soddisfacente di quella vertenza non si potrà ottenere se le sorti dell'isola non saranno radicalmente mutate.

Ho risposto all'Incaricato d'Affari di Grecia che io non avevo avuto notizia alcuna da Parigi che mi potesse far credere che il linguaggio del Signor Gobineau fosse autorizzato sino a giungere alle minacce. Aver io invece saputo da Vienna che veramente l'Inviato francese aveva tenuto un linguaggio assai vivo, che l'Austria appoggiava nella loro sostanza le dimande della Francia, ma in termini più miti.

Noi desideriamo quant'altri mai, soggiunsi io, che la pace si mantenga in tutto l'Oriente, e si ristabilisca dove fu turbata; ma noi desideriamo egualmente lo sviluppo della civiltà e degli interessi legittimi dei popoli. Non è l'Italia nel numero delle Potenze garanti della Grecia, non ha quindi ragione di intervenire in quei rapporti più intimi che esistono fra il Regno greco ed i suoi protettori; ma l'Italia è interessata in tutte le quistioni generali dell'Europa, ed in quelle dell'Oriente in particolar modo, dove la sua azione, dopo essersi spiegata per più mesi nel senso che sembrava più conforme agli interessi di tutti, ora devesi più particolarmente rivolgere a far prevalere quella politica di prudente astensione che si professa coll'applicare il principio di non intervento alle varie vertenze che possono prodursi. Ma se poi per avventura dovesse accadere che questa politica di non intervento non fosse egualmente da tutti applicata, allora il Gabinetto di Firenze potrebbe forse trovarsi nel caso di introdurre qualche variazione alla linea di condotta che per ora si è prefisso di seguire.

Le parole del Signor Gobineau, sebbene indicassero che nelle idee del Governo francese si è prodotta una mutazione non certo favorevole alla causa della Grecia, non bastavano però a mio credere a dare fondato motivo di temere che si volessero adoperare contro il Governo del Re Giorgio atti violenti, per imporgli condizioni che questi non crede di poter accettare.

Qualunque del resto sia lo stato vero delle cose, noi non possiamo giudicare che dai fatti che si producono, essendo pressochè impossibile comprendere come l'Inviato francese in Grecia possa tenere un linguaggio così severo al Governo Elleno in nome di quello stesso Gabinetto che poco più di un anno fa sembrava ritenere necessaria alla Grecia l'annessione della Tessaglia dell'Epiro, e di non so quali altre Provincie. Ma in ragione appunto di una così grande mutabilità di concetti, poco gioverebbe fin d'ora preoccuparsi di dimostrazioni verbali, e basterà che V. S. stia sull'avviso per prontamente informarmi dei sintomi più gravi che potessero prodursi nella situazione degli affari internazionali di codesto paese.

Intanto sarà bene che Ella faccia sentire al Ministro di S. M. il Re Giorgio che noi siamo molto sensibili alle comunicazioni che egli ci volle fare, e nel ripetergli che l'Italia desidera il mantenimento della pace ed il trionfo delle cause che interessano l'incivilimento dei popoli, vorrà inoltre dimostrargli la necessità di non discostarsi da quella linea di prudente politica che sembrò finora servir di guida al Gabinetto del Signor Bulgaris. Una simile condotta avrà certamente per effetto di assicurare alla Grecia le simpatie dei paesi che desiderano anzitutto evitare in questo momento complicazioni internazionali, ed acquisterà non poco credito al Governo Elleno il quale avrà dimostrato savio accorgimento in circostanze oltremodo difficili.

337

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

D. 5. Firenze, 3 giugno 1868.

L'Inviato d'Austria presso questa R. Corte venne ieri da me per farmi leggere nel Rinnovamento (giornaletto che si pubblica in Venezia) la notizia che «il Principe Umberto dopo la commissione dei cittadini italiani domiciliati a Trieste, ricevette pure un'altra commissione di Triestini, che gli presentò un indirizzo di felicitazione. Abbiamo veduto, dice il giornale, lo scritto che fu decorato di stupende miniature, ... ammirammo le vedute dei due Porti di Trieste e di Pola e di alcuni edifizi principali della prima di queste due città italiane». E l'articolo finisce colle parole «Un saluto dal cuore ai bravi confratelli dell'Italia».

S. E. il Barone di Ktibeck desiderava sapere se il fatto è vero. Egli mi diceva inoltre di avere saputo che alla inaugurazione del tiro a segno in Venezia si vedevano figurare fra le bandiere italiane quelle del Trentino e delI'Istria velate a bruno. Il Ministro austriaco mi faceva osservare la poca convemenza di consimili dimostrazioni delle quali però egli non vuole far carico al Governo del Re, bastandogli di sapere che questi ha fatto alle Autorità da lui dipendenti le opportune osservazioni perché simili atti non s'abbiano a rmnovare.

28 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

Ho risposto al Signor Barone di Kiibeck ch'io ignoravo completamente il fatto narrato nel Rinnovamento; gli dissi che il Governo del Re avea dato istruzioni precise al suo Console Generale in Trieste di non ricevere indirizzi di sudditi austriaci e di usare della sua personale influenza per dissuadere da simili dimostrazioni coloro che per avventura sembrassero volerne fare. Il tiro a segno in Venezia è una festa autorizzata dal Governo, ma non dal medesimo ordinata, le autorità locali non potrebbero quindi essere chiamate responsabili di tutto quanto durante quelle feste si produsse. Promisi però di assumere informazioni e di fare quelle raccomandazioni alle Autorità che possono certamente contribuire ad evitare che si rinnovino fatti che senza avere alcuna seria importanza nuocciono alle ristabilite relazioni di pace e di amicizia fra due Stati che hanno ogni interesse di vivere in buoni termini di vicinato.

Avrei forse potuto osservare al Barone di Ktibeck che quand'anche fosse esatto il racconto del giornale il Rinnovamento, poteva essere contestabile al punto di vista degli usi diplomatici che l'Inviato di una potenza estera pretendesse sindacare un atto della vita extra-ufficiale di un Principe della Famiglia Reale. Né mi sarebbe stato difficile far notare al Barone di Kiibeck come nel modo stesso che all'incoronazione del Re d'Ungheria, in ricordanza delle storie passate, si recavano innanzi al Re bandiere di popoli non soggetti al dominio austriaco, così anche a Venezia, doveva sembrare naturale, che nelle feste pubbliche, trovassero luogo le ricordanze storiche di quella illustre città, e ciò tanto più dacché le feste alle quali erano intervenute le bandiere di paesl sottoposti all'Austria, non avevano che un carattere municipale epperò indipendente dalla direzione governativa. Ma siffatte osservazioni avrebbero forse potuto dare all'incidente una importanza maggiore di quella che realmente al medesimo si voleva attribuire dal rappresentante d'Austria, epperò io non volli dal canto mio aggravarne l'importanza con repliche alle quali il Barone di Kiibeck sarebbe forse stato imbarazzato a rispondere.

Di tutto ciò informo la S. V. perché ove il Signor Barone di Beust le parlasse di questi affari possa tenere un linguaggio conforme al mio, evitando però di prendere l'iniziativa di una conversazione foss'anche privata ed amichevole al riguardo se S. E. il Ministro degli Affari Esteri di S. M. l'Imperatore non le tiene pel primo discorso intorno a quell'argomento.

338

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. 71. Firenze, 4 giugno 1868.

Il giorno stesso in cui giungevami il rapporto di V. S. n. 124 di questa serie <1), un poscritto nel quale accennava alla nomina di Franco Effendi al

posto dl Governatore del Libano, Rustem Bey impedito da leggiera indisposizione di recarsi da me, mi comunicava, con un suo biglietto particolare la notizia ufficiale pervenutagli telegraficamente della scelta di quel funzionario a succedere, con rango di Muscir, a Dawùo Pacha, chiamato al Dicastero de' Lavori Pubblici.

Ella sa, Signor Ministro che il regolamento per l'amministrazione del Libano, conchiuso a Costantinopoli il 9 giugno 1861, fu il risultato di accordi intervenuti tra la Sublime Porta ed i rappresentanti d'Inghilterra, Francia, Austria, Prussia e Russia, mentre l'Italia, esclusa dai negoziati, avea dovuto limitarsi a riservare i propri diritti colla protesta 22 settembre 1861. Ella sa del pari che quel primo regolamento, nonché il protocollo addizionale, che lo susseguiva, furono confermati col protocollo del 6 settembre 1864, nell'occasione in cui sancivansi tuttavia alcune modificazioni secondarie del primitivo regolamento. Le è noto infine che così l'antico come il nuovo regolamento stabiliscono la necessità di certi requisiti nel Governatore della Montagna, e che, a termini del protocollo del 1861, la nomina di quell'alto funzionario dovrebbe essere argomento di intelligenza tra la Sublime Porta e le potenze; locché fu implicitamente riconosciuto dal Divano Imperiale allorché consentì acché della proroga quinquennale dei poteri conferiti a Daoud Pacha si facesse espressa menzione nel protocollo sovramenzionato 6 settembre 1864.

È vero che l'Italia, come fu esclusa la prima volta così lo fu pure in codesta seconda occasione, locché diede luogo alla nuova protesta del 24 settemore 1864. Ma Ella non ignora, Signor Ministro, che, in sul principio del 1867, essendosi risollevata la questione della partecipazione dell'Italia agli accordi relativi al Libano, la questione stessa fu finalmente sciolta nel senso da noi propugnato. La nota di S. A. Fuad Pachà, in data 7 marzo 67, annessa al rapporto di codesta R. Legazione, n. 105 politico, delli 8. stesso mese (1). non lascia luogo ad alcun dubbio circa il riconoscimento, per parte della Sublime Porta, del diritto che essa ci avea fino ad allora contrastato.

Ignoro se il Governo del Sultano voglia strettamente attenersi al disposto degli accordi internazionali concernenti il Libano nella congiuntura della nomina di Franco Effendi a governatore della Montagna: ad ogni modo non è nostro intendimento di prendere l'iniziativa di una sollecitazione qualsiasi In proposito. Però, noi non potremmo, in verun caso, tollerare che qualche atto

o qualche omissione, per parte del Governo Imperiale riesca a menomare 11 diritto, che ci è ormai officialmente acquisito, ad un pari trattamento colle altre potenze che, per lo addietro, parteciparono esclusivamente ai concertt riflettenti il Libano.

La prego pertanto, Signor Ministro, di voler tenersi informata colla massima diligenza, degli offici che la Sublime Porta si proponesse eventualmente, di fare, o già avesse fatto, nella presente occasione, presso le altre potenze, riferendomi tosto se la nomina di Franco Effendi abbia formato o sia per formare argomento di qualche nota ufficiale ai rappresentanti delle potenze costì, od ai rappresentanti della Sublime Porta presso le potenze, con istruzione di

darne Ct:rffiUhicazione parimenti officiale ai rispettivi Ministri degli Affari Esteri. Le indicazioni che V. S. sarà per fornirmi in proposito serviranno di norma per le nostre eventuali risoluzioni.

P. S. Segno ricevuta de' Suoi pregiati rapporti di Serie politica fino al

n. 125 inclusivamente e le trasmetto qui uniti 4 documenti diplomatici.

(l) Non pubbllcato.

(l) Cfr. serle I, vol. VIII, n. 251.

339

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 687. Parigi, 4 giugno 1868 (per. l'B).

Ho comunicato oggi a S. E. il Marchese di Moustier quanto l'E. V. mi fece l'onore di scrivermi col Dispaccio del 31 maggio scorso, sotto il n. 368 di Serie Politica (l). Dissi al Ministro Imperiale degli Affari Esteri che l'E. V. lo ringraziava della comunicazione fattagli sugli affari di Tunisi dal Barone di Malaret il 30 maggio scorso, e che pigliando con piacere atto delle assicurazioni contenute in quella comunicazione, l'E. V. aspettava che il Governo francese Le facesse conoscere in qual modo pratico il Gabinetto delle Tuileries pensava che si potesse promuovere l'accordo delle potenze interessate sulle modificazioni che si credeva necessario d'introdurre nel Decreto del Bey di Tunisi, acciocché i diritti di tutti sieno ugualmente guarentiti e rappresentati nel·· la Commissione finanziaria.

Il Marchese di Moustier cominciò coll'annunziarmi che il Bey di Tunisi aveva finalmente fatto rimettere al Console Generale di Francia il Decreto promesso, e che quell'atto era stato accompagnato da tutte le circostanze di forma che si potevano desiderare per la soddisfazione della dignità della Francia, giacché il Kasnadar, e il Generale Raffo, entrambi in uniforme erano venuti essi stessi al Consolato di Francia a rimettere il Decreto del Bey. In seguito a ciò il Console Generale di Francia aveva ripreso ufficialmente le relazioni interrotte col Governo di Sua Altezza. Passando poi a rispondere alla mia domanda, la quale mi era stata fatta ugualmente poco prima dall'Ambasciatore di S. M. Britannica, il Marchese di Moustier mi disse che, a suo giudizio, conveniva procedere col metodo scientifico (cito la sua espressione), cioè coll'esame preventivo dei fatti. Il Ministro Imperiale degli Affari Esteri propone quindi che i Rappresentanti delle Potenze interessate espongano reciprocamente, in Parigi i fatti, i documenti e lo stato dei crediti dei loro nazionali verso la Reggenza, ed esaminino di concerto quali di questi crediti siano incontestati ed incontestabili, quali siano assicurati da anteriori privilegi o concessioni, quali infine si trovino in contraddizione o in contestazione. Quando questo preventivo esame sarà stato fatto, allora, secondo l'avviso del Marchese di Moustier, le Potenze potranno occuparsi del modo di formazione della Commissione finanziaria e delle sue attribuzioni, e conseguentemente delle modi

ficazioni da introdursi nel Decreto del Bey. L'opinione del Marchese di Moustier si è che la Commissione finanziaria deve avere piuttosto un carattere di sorveglianza che quello d'un Corpo deliberante e giudicante quasi senza controllo. Secondo esso, tanto meglio e più facilmente si risolveranno le questioni, quanto minore sarà la latitudine lasciata all'azione della Commissione. A suo avviso le principali questioni devono essere risolte non già a Tunisi dalla Commissione, ma in Parigi dagli stessi Governi interessati.

Tale è in sostanza la risposta fattami dal Marchese di Moustier che creao sia conforme a quella da esso data a Lord Lyons. Mando ad ogni buon fine copia del presente Dispaccio alla R. Legazione a Londra. Ho l'onore d'accusar ricevuta del Dispaccio dell'E. V. del 30 maggio scorso

n. 367 (l) pel quale Le offro i miei ringra~iamenti.

(l) Non pubblicato ma cfr. n. 328.

340

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 210. Berlino, 5 giugno 1868 (per. il 10).

En exécution du protocole annexé au règlement du 9 juin 1861, la Sublime Porte avait provoqué une entente entre les Puissances lors de l'expiration des pouvoirs de Dawuo-Pacha. Ses pouvoirs furent prolongés pour cinq années. Dawuo-Pacha ayant été maintenant remplacé dans le Gouvernement du Liban, par Franco Effendi, il s'agirait de savoir si conformément au protocole précité et au règlement du 7 septembre 1864, une entente ne serait pas également requise entre la Turquie et les Puissances relativement au nouveau titulaire.

Comme il est assez probable que cette question sera soulevée à Constantinople par une des Puissances ga,rantes, M. de Thiele m'a exprimé le désir de connaitre notre manière de voir à ce sujet.

En priant V. E. de me mettre à meme de répondre à ce désir... (2).

341

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 212. Berlino, 5 giugno 1868 (per. il 10).

Plusieurs des organes de la presse officieuse française ont, une fois de plus, fait fausse note dans leurs appréciations sur le dernier discours du Roi de Prusse. Les rectifications ont suivi coup sur coup de la part des journaux

12) Per Ia risposta cfr. n. 355.

de Berlin. Là où il n'était question que des traités d'alliance offensive et défensive et du traité constitutif du Zollveretn, le Constitutionnel, la Patrie etc., ont voulu restreindre la portée du traité de Prague, lequel admet pourtant l'éventualité d'une union plus étroite entre le Nord et le Midi de l'Allemagne. La Correspondance de Berlin le rappelle par cette déclaration nette et précise: «Le jour où les Allemands auront décidé de se rattacher par un lien politique, ce jour là, aux termes mèmes de l'article IV des stipulations de Prague, les deux parties actuelles de l'Allemagne n'en feront plus qu'une ». Il en est de mème pour la Convention du 15 septembre, que chacun des contractans comprend à sa manière, à cette différence près, qu'il y figure le nom de la France, tandis que celle-ci n'a point souscrit aux arrangements de la paix entre la Prusse et l'Autriche, quelle qu'ait été la part qu'elle a prise dans les négociations préliminaires. Il lui manque donc, strictement parlant, le titre d'immixtion, à moins qu'elle ne veuille s'arroger le droit de contester le fin où tendent la Prusse et l'Allemagne, et s'opposer, par un étroit calcul d'égoi:sme, aux développements naturels d'une nation voisine.

Ces divergences d'opinion avaient irrité les esprits. En Prusse notamment, le Gouvernement avait été averti des reconnaissances, opérées d'une manière très ostensible, par le Général de Division Ducrot, à Kehl, sur les bord du Rhin. En outre, un officier français de passage ici avait eu l'indiscrétion d'avouer une mission dans le but d'étudier les défilés de la Thuringe. L'Empereur Napoléon, pour expliquer ces faits, aurait allégué la nécessité de ne pas refroidir le zèle qui préside en ce moment à la réorganisation de l'armée et à la refonte de l'armement. Pour que cette tàche ftìt poursuivie avec ardeur, il convenait que l'on ne semblàt pas perdre de vue les éventualités de la guerre. Mais Sa Majésté Impériale serait parfaitement décidée à ne pas s'écarter en réalité d'une politique pacifique.

Bref, depuis peu de jours la polémique de la presse est devenue moins acrimonieuse. D'ailleurs, on a reçu la nouvelle que le Maréchal Niel aurait donné l'ordre qu'un nombre assez considérable de chevaux de l'armée fussent placés en dépòt chez les fermiers, ce qui écarterait le péril d'un conflit imminent. On sait aussi que l'efficacité du fusi! chassepot n'est pas telle que la représente une publication récente du Moniteur. Des expériences nombreuses ont été faites ici, et il a été constaté que l'arme rate souvent, et que dans tous les cas le Zilndnadel ne lui est pas inférieur, sans compter que le soldat français est loin d'ètre aussi bien exercé au maniement, que ne l'est le soldat prussien, et surtout l'officier qui, depuis de longues années, sait commander, diriger et modérer le feu. En outre, la garde mobile est une institution qui pourrait présenter plus de dangers que d'avantages, dans un pays où les passions sont si difficiles à régler.

Quoi qu'il en soit, le Comte de Bismarck persiste à se montrer optimiste. L'orage, si orage il y a, passerait sans éclater. Une guerre serait une telle folie, une telle calamité, qu'il ne peut admettre que l'Empereur Napoléon songe sérieusement à une agression contre le territoire germanique. A son avis, tant que le Cabinet de Berlin n'aura pas la certitude moral que la lutte devra avoir lieu quoi qu'on fasse, son premier devoir consiste à l'éviter et à donner une marge suffisante au temps, pour délivrer l'Europe d'un état de choses qui renferme un pareil danger. C'est dans ce sens qu'il s'est exprimé vis-à-vis de quelques notabilités parlementaires. C'est la meme pensée qui l'a guidé, lors de l'affaire du Luxembourg, bien que son Pays fut en avance sur la France, tant au point de vue des armements, qu'à celui de l'organisation militaire.

J'ai su aujourd'hui par M. de Thiele, à propos du voyage du Prince Napoléon en Allemagne et en Orient, que le Cabinet des Tuileries, absolument comme lors de sa course à Berlin, a laissé entendre aux Gouvernements des différents Pays qui auraient sa visite, que Son Altesse Impériale n'a aucune mission. La déclaration, d'après ce que mande le Baron de Werther, en a été faite d'une manière positive à Vienne notamment. Le Baron de Beust se flattait que l'Auguste voyageur s'abstiendrait de se rendre en Gallicie. A son passage à Bade, il a dit à la Reine de Prusse qu'il avait rapporté de Berlin, au mois d'avril, des impressions favorables au maintien de la paix, et que tout ce qu'il avait observé depuis lors à Paris avait corroboré cette manière de voir, à moins qu'un débordement des esprits en France, débordement nullement à prévoir, ne vint à modifier la situation.

Le Comte de Bismarck, atteint d'une pleurésie dont le caractère alarmant a disparu, est alité. Les médecins lui ont enjoint une abstention complète des affaires. Aussitòt qu'il sera en état de voyager, il se rendra pour deux mois dans sa terre en Poméranie. Le Parlement fédéral terminera sa session vers le 20 Juin. Les députés sont harassés de fatigue à tel point, qu'on se borne à leur soumettre les projets de loi les plus urgents. Ainsi que me l'a dit le Président de la Chancellerie, nous n'arriverons plus à temps pour la convention consulaire. Quant à la Convention postale, il est vrai qu'elle pourrait entrer en vigueur sans l'approbation préalable de la Chambre, pour autant que les postes allemandes conservent leur groschen, ou 12 1/2 centimes, de port intérieur. J'ignore si nous pourrions nous passer du meme consentement. Dans le cas contraire je regretterais que notre Ministère des Travaux Publics n'ait pas pu me transmettre plut tòt les instructions que j'avais sollicitées.

Le Roi partira vers le 24 de ce mois pour les bains. Nous sommes à la veille d'entrer dans la saison morte. La plupart de mes collègues se disposent déjà à prendre des congés.

(l) Non pubblicato.

342

PIO IX A VITTORIO EMANUELE II (l)

L. Dal Vaticano, 7 giugno 1868.

Dall'Incaricato del Re di Portogallo presso questa S. Sede Mi fu consegnata una lettera di Vostra Maestà dei 24 Aprile. In questa lettera V. M. Mi partecipa il matrimonio fra il Suo figlio Principe Umberto e la Principessa Margherita di Savoja. Prego Iddio a spargere le sue Benedizioni su questa coppia reale, e se ne giovi, se è possibile, a migliorare le condizioni d'Italia, che tutti dicono con Me che declina al peggio. Io non tesserò qui la serie dei

mali che la opprimono, ma accennerò solo qualche tratto più culminante. D'altronde accennarli tutti non è descrizione da potersi fare entro i limiti di una lettera. Perché, domando Io, il Governo si vuoi rendere responsabile della iniquità dei cattivi Preti e dei pessimi Frati? Qualunque di costoro si ribella al proprio Superiore è sicuro di a vere una provvista, una decorazione, e quello che è peggio di tutto una cattedra per appestare e corrompere, con altri cattivi professori, la gioventù. Qual frutto può ricavare il Governo di V. M. da questa protezione così male collocata? Quella gioventù che si educa pel disprezzo della legge di Dio e della Chiesa saprà disprezzare molto più facilmente il Governo al quale appartiene, e saprà minarlo dai suoi fondamenti. Taccio dello spoglio della Chiesa e della povertà nella quale sono piombati la massima parte dei Vescovi, taccio la licenza della stampa, taccio quello che riguarda i gemiti di tante Vergini di Gesù Cristo, moltissime delle quali sono prive di tutto. Taccio moltissimi altri mali che esistono, giacché non sono qui per fare le parti di Geremia con V. M. E sì che farei quelle di Natan, se potessi sperare di essere ascoltato. Dalle cose dette ed accennate facilmente potrà convincersi la M. V. quanto sia difficile per Me, a non dire impossibile, di aprire le orecchie a certi inviti che Mi vengono fatti da certi amici e servitori di V. M. per vie indirette, coi quali si chiede che Io mi metta d'intelligenza col suo Governo per ottenere quella schietta e buona armonia che deve regnare fra li Stati vicini e limitrofi. Però prego V. M. di riflettere che Io dal suo Governo non ho ricevuto che spogliazioni e soprusi. Le prime dal suo Governo stesso, li altri dai suoi dipendenti. Con questo sistema permanente posso Io abbandonarmi e confidarmi al suo Governo? Potrò pregare per V. M. e per i Suoi, potrò invocare la grazia di Dio sopra i Suoi Ministri, ma confidare in loro non mai. Termino col pregare caldamente V. M. a fare tutto quello che può ed impiegare tutta quella influenza della quale può disporre per fare cessare, o almeno diminuire i mali che aggravano l'Italia, specialmente quelli che si riferiscono alla Chiesa e alla morale. La prego a nome di Dio, della Religione, e della Società. Ripeto che Io non mi stanco di pregare Iddio per la Sua Persona, per

la Sua Augusta Famiglia, e per tutta la infelice penisola che amo assai.

(l) Ed. !n PrRRI, vol. III, pp. 182-184 e in Lettere Vittorio Emanuele II, vol. II, pp. 1313-1314.

343

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 15. Vienna, 7 giugno 1868 (per. il 10).

Ho ricevuto oggi medesimo la di lei lettera serie politica n. 5 (l) che mi avverte di alcune osservazioni fatte dal Barone di Kubeck intorno a degli indirizzi presentati da alcuni istriani.

Il Barone di Beust che vidi ieri non me ne ha fatto parola, ed io mi conformerò esattamente alle istruzioni di V. E. e non sarò mai il primo a muovere

parola sopra di ciò. Debbo però in questa occasione richiamare l'attenzione di

V. E. sulla legge d'iniziativa parlamentare intorno ai diritti da conferirsi agli Italiani non sudditi dell'augusto nostro Principe, legge che per avventura potrebbe dar luogo ad altri richiami da parte di questo Governo.

(l) Cfr. n. 337.

344

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1044/432. Londra, 8 giugno 1868 (per. il 12).

Ho l'onore di segnarle ricevuta del pregiatissimo di Lei dispaccio politico del l o corrente n. 91 (l).

Non ho potuto vedere Lord Stanley prima d'oggi, e mi sono recato a dovere di esprimergli che trovandosi ora il Governo del Re, in seguito alle comunicazioni fattegli da Parigi, in una posizione identica a quella dell'Inghilterra rimpetto alla Francia nella questione di Tunisi, l'E. V. provava nuovamente la soddisfazione di aderire pienamente alle idee da Lui recentemente espostemi, e da me comunicate a codesto Ministero li 28 Maggio scorso (2).

La copia del rapporto in data delli 4 Giugno mandatami dal Signor Cavaliere Nigra, col quale questi rassegna a V. E. il tenore dell'ultima conversazione che Egli ebbe col Marchese di Moustier, mi facilitò grandemente, Signor Conte, l'incarico che Ella mi affidò, di chiamare cioè l'attenzione di Lord Stanley sulla convenienza che vi sarebbe per che le Potenze aventi interessi eguali da tutelare a Tunisi, s'intendessero preliminarmente sulle proposte da farsi al Bey a comune vantaggio dei sudditi rispettivi.

Eseguii gli ordini dell'E. V., servendomi colle debite cautele delle istruzioni trasmessemi in cifra col precitato dispaccio n. 91.

Ho intanto la soddisfazione di annunziarle che Lord Stanley, -sulla assicurazione che gli diedi che tanto nel suo dispaccio al Barone di Malaret in data 21 maggio, come nella sua conversazione delli 4 giugno col Cavaliere Nigra, il Marchese di Moustier pareva appunto desiderare che i rappresentanti delle Potenze interessate si esponessero reciprocamente lo stato dei crediti dei loro nazionali verso la Reggenza e che procedessero insieme all'esame di tutto ciò che ad essi si collega, -convenne con me che, certo, resterebbe cosi svanito ogni pericolo di insospettire il Governo Francese con un'azione in comune, dal momento che verrebbe da lui stesso suggerita. Che egli riconosca tutta l'utilità della medesima, non havvi il menomo dubbio, e quanta importanza ponga poi, nell'interesse dei nostri diritti, al mantenimento dell'accordo che ha fin ora esistito, viene messo in rilievo dalle seguenti parole da lui dettemi e che citerò testualmente: «We shall never be too much together ».

Ciò non di meno Lord Stanley mi palesò che siccome le comunicazioni da lui rdcevute da Par.igi non andavano tant'o,ltre quanto le nostre, non poteva

fin d'ora pronunciare un giudizio sul modo in cui si sarebbe ulteriormente proceduto in questa vertenza.

La sola cosa intorno alla quale aveva avuto informazioni positive, essere circa il desiderio del Marchese di Moustier di passare anzitutto all'esame dei debiti generali della Reggenza, o in altri termini al metodo scientifico, di cui fa menzione il prefato Cavaliere Nigra nel citato di lui rapporto.

Io chiesi a Sua Signoria se questo esame non potrebbe divenire il principio di quell'azione tra i varii plenipotenziar1i residenti a Parigi, che tutti desideravano; ma Mylord risposemi che non sapeva ancora in qual guisa il Ministro Imperiale degli Affari Esteri intendeva trattare questo stadio preparatorio dei futuri negoziati, e che aspettava tuttora degli schiarimenti in proposito da Lord Lyons.

Prima di lasciare Lord Stanley ho ripetuto ancora tutte le ragioni che militavano in favore di una previa intesa fl'a i varii stati, soprattutto per sciogliere interamente ogni punto di controversia ed evitare delle reclamazioni ulteriori.

P. S. Pregiomi pure accusarle ricevuta dei dispacci politici n. 88, 89 e 90 (1), che mi giunsero regolarmente coi documenti diplomatici ad essi allegati. In quanto al primo di questi dispacci, mi sono conformato agli ordini dell'E. V. e mi 'riserbo di farle pervenire il conto generale delle spese da me incontrate per la pratica a cui desso aveva tratto.

(l) -Cfr. n. 332. (2) -Cfr. n. 326.
345

IL CONSOLE GENERALE A TRIESTE, BRUNO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. S. N. Trieste, 9 giugno 1868 (per. l'11).

Appoggiato alle superiori determinazioni dell'E. V. statemi comunicate con Dispaccio rtservato del 17 maggio p.p. uff. 3° Divisione Consolati (2), io ho ricusato di promuovere la celebrazione di qualsiasi funzione religiosa nella ricorrenza della festa dello Statuto, sebbene molti fra gli italiani qui residenti ne avessero espresso vivissimo il desiderio. Per dare tuttavia una qualche soddisfazione al sentimento degli italiani si è profittato di quella circostanza per procedere all'elezione della Rappresentanza dell'Associazione italiana di bene,f,icenza, che mercè il generoso concorso della migliore parte di questa colonia si è qui felicemente istituita coll'osservanza di tutte le formalità prescritte dalle leggi locali. A tale effetto i vari sottoscrittori furono convocati in un'aula della società del Gabinetto della Minerva e coll'intervento di un consigliere di Polizia si è proceduto all'elezione dei Direttori a suffragio segreto. La funzione procedette colla più grande irregola11ità (sic) e fu chiusa con un evviva al Re ed all'Italia.

Volendo poi esprimere la mia riconoscenza e dare un contrassegno di stima a quelli che con me cooperarono a promuovere ed a raccogliere le sottoscri

zioni necessarie per l'istituzione della società di beneficenza, ho nel giorno stesso riuniti in casa mia a banchetto tutti i componenti il Comitato promotore. Mentre si era in tavola, e mentre io ero lontano dall'attendermi sì ingrata sorpresa, si assembrarono sotto le finestre della mia abitazione buon numero di ,individui di ogni c1asse, e si posero a gridare degli evviva all'Italia, al Re, a Garibaldi e di altre specie.

Temendo io che questa dimostrazione si facesse più seria coll'approssimarsi della notte io mi affacciai al balcone ed invitai con segni gli astanti a ritirarsi. Si ritirarono difatti ma per ricominciare più tardi di modo che io fui costretto, per evitare maggiori inconvenienti, di presentarmi per una seconda volta al balcone e poscia una terza dopo la quale ognuno si è ritirato. La polizia non avendo fatto ufficiale atto di presenza non successero inconvenienti. Solo nella notte, mi è stato riferito, si fecero scoppiare due petardi, uno sul balcone della casa dove abita il Console pontificio e l'altro vicino al corpo di guardia.

Non ho bisogno di dire all'E. V. che i fatti accennati spiacquero non poco alle autorità preposte alla tutela dell'ordine pubblico, e ciò tanto più in quanto che nel giorno stesso avevano già avuto motivo di lamentare altra più imponente dimostrazione della quale devo pure tenere discorso all'E. V.

Per uno stratagemma, io credo, del partito che qui avversa la dominazione austriaca, e che io credo pure nemico non meno al Governo del Re, erasi sparsa fin dal 6 corrente la voce che col piroscafo della Compagnia Peirano Danovaro, il quale arriva per l'ordinario in Trieste tutte le domeniche verso il mezzogiorno, doveva giungere Menotti Garibaldi diretto ad uno stabilimento balneario della Germania. Questa notizia sparsa, come dissi e per quanto credo, ad arte ha avuto per conseguenza che appena segnalato il piroscafo un gran numero di persone si è assembrato sul molo. Giunto il piroscafo e non vedendosi passeggeri si fece correre la voce che, per deferenza al Console e per non promuovere dimostrazioni, Menotti Garibaldi era rimasto a bordo, più tardi poi si cercò di fare credere che egli era sceso incognito in casa mia e che era nel numero dei miei commensali e con questo stratagemma si è ottenuto lo scopo di fare sotto il mio balcone, dove stava inalberata la bandiera nazionale, le dimostrazioni di cui ho sopra parlato.

Oggi poi si è presentato a me il Direttore di polizia e mi ha riferito che cogliendosi il pretesto della festa di Santa Margherita si prepara una nuova dimostrazione da farsi domani sera 10 corrente sotto le finestre della mia abitazione, e che a tale effetto molti inviti scritti a mano erano stati distribuiti nella città. Egli mi ha inoltre soggiunto che l'autorità, la quale aveva chiusi gli occhi alle dimostrazioni che ebbero luogo domenica, era decisa ad impedirne qualsiasi altra anche colla forza ove ciò fosse stato necessario, e che sarebbero stati immediatamente decretati di sfratto gli Italiani di qualsiasi condizione che fossero arrestati in atto di fare qualsiasi ovazione o dimostrazione. Io ho risposto al Consigliere Krony che per il primo deploravo i fatti già avvenuti e che ove ne avessi avuto il mezzo avrei volentieri con lui cooperato onde impedire che abbiano a ripetersi. ma che del resto io non aveva punto a prendere qualsiasi ingerenza nelle determinazioni che la poli

zia sulla propria risponsabilità crederà di prendere, né per approvarle né per condannarle.

Ho stimato dover mio di portare quanto sopra a cognizione dell'E. V. affinché nel caso in cui il Governo austriaco credesse di fare qualche osservazione in ordine ai fatti avvenuti, ovvero questi venissero alterati od esagerati dal giornalismo, Ella sappia come rispondere ai reclami e come apprezzare le relazioni contrarie alla verità.

(l) -Non pubbllcati. (2) -Non pubbllcato.
346

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1155. Belgrado, 10 giugno 1868, ore 23,25 (per. ore 1 dell'11).

Le prince Michel Obrenovitch a été assassiné ce soir à 6 heures et quart dans le bosquet de Copchidère faisant une promenade avec les dames de sa famille, sa cousine Anka Costantinovitch a été tuée aussi. Les trois assassins sont inconnus. Grande consternation. A Belgrade l'ordre n'est pas troublé. Des mesures ont été prises pour le maintenir.

347

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL CONSOLE GENERALE A BEIRUT, MACCIO'

D. 10. Firenze, 10 giugno 1868.

I di Lei rapporti politici mi giunsero regolarmente sino al N° 33 inclusivamente. La ringrazio infinitamente pella zelo veramente distinto col quale Ella segue lo sviluppo degli avvenimenti di codesti paesi dell'Impero Ottomano e pel modo col quale Ella diligentemente me ne informa.

La nomina di Daoud Pacha al Ministero dei lavori pubblici in surrogazione del defunto Agathon Effendi ha, ad un tratto mutata la situazione degli affari del Libano sotto il punto di vista dei rapporti internazionali delle potenze interessate nelle questioni politiche della Montagna.

Riandando i rapporti della S. V. trovo che alla occasione in cui le Potenze avrebbero dovuto riunirsi per decidere in base al regolamento delli 7 settembre 1864 e del protocollo annesso al regolamento delli 9 giugno 1861 intorno ai poteri da conferire al Governatore generale del Libano, Vf!.rie quistioni importanti avrebbero dovuto essere discusse.

Sarebbesi infatti dovuto probabilmente investigare se nella posizione sinora fatta al Governatore generale della Montagna rimpetto al Valì della Soria, non eravi per avventura alcuna utile modificazione da proporre avrebbero forse i rappresentanti delle Potenze stimato opportuno esaminare se bisogni veri e ben dimostrati consiglierebbero alla Porta dl introdurre qualche variazione nelle circoscrizioni territoriali ora esistenti in codeste contrade. E certamente i rappresentanti medesimi avrebbero dovuto prendere atto delle varie posizioni dei paesi che chiedono la loro annessione al Governo del Libano.

L'esame di queste questioni non potrà, a quanto sembra, aver luogo per ora dacché il Sultano avendo chiamato Daoud Pacha a far parte del Divano, la nomina di Franco-Effendi venne decisa in via d'urgenza e senza che precedessero quegli accordi che regolarmente avrebbero dovuto aver luogo.

Prima di ricercare quali conseguenze pratiche possa questa mutata situazione della cosa produrre sullo svolgimento degli avvenimenti della Soria reputo conveniente ricordare i dissidi non mai composti fra il patriarcato Maronita i partigiani di un governatore indigeno e Daoud Pacha, dissidi che a mala pena comprendesi abbiano potuto resistere a cauti ripetuti tentativi di riconciliazione se non fossero in qualche maniera segretamente fomentati.

Mentre tante gravi quistioni avrebbero consigliato la Porta Ottomana a cercare nell'accordo delle Potenze un fondamento sicuro alla sua azione futura nel Libano, sembra invece che a Costantinopoli sia prevalso un avviso contrario. Della qual cosa peraltro potrebbesi forse trovare una spiegazione nel desiderio della Porta di sottrarsi indirettamente a quella tutela che gli atti diplomatici le hanno imposto per ciò che concerne il governo di codesta parte del suo Impero.

L'Italia, meno assai delle altre potenze, è interessata, come Ella sa, a suscitare incidenti diplomatici in Oriente. Noi non intendiamo dunque prendere l'iniziativa dei richiami che potrebbero essere fatti al governo del Sultano in base agli atti internazionali sovra ricordati. Ma noi dobbiamo attentamente considerare se nell'insieme dei fatti già accaduti e di quelli che si prevedono non travasi un indizio che valga a dimostrare che nelle sue ultime decisioni riguardo al Libano, la Porta non ha unicamente agito per iniziativa e per impulso proprio, bensì dietro ispirazione e suggerimento di una potenza che nello apparecchiarsi di nuove cause di inevitabili disordini può forse trovare una condizione di cose favorevole ai suoi lontani disegni.

Ella conosce, Signor Cavaliere, a quali intendimenti il Governo del Re è deciso di conformare la sua politica. Politica di non intervento e di astensione in tutto ciò che non tocca ai nostri legittimi interessi politici e commerciali. Ora è nostro vivissimo interesse che non venga a stabilirsi in Siria, né nel Libano, né nei luoghi santi alcuna preponderanza straniera ed Ella adoperandosi, come ha fatto sinora, a mantenere la posizione dell'Italia allo stesso livello di quello che compete alle altre potenze ha fatto opera commendevolissima e conforme alle intenzioni di questo Ministero. Dalle cose dette apparirà chiaro alla S. V. in quale direzione Ella deve sovra tutto rivolgere le di Lei investigazioni ed io gradirei, per esempio, ch'Ella ben si accertasse, se le petizioni rimesse ai di Lei colleghi di Austria, Francia, Gran Bretagna, Prussia e Russia contro l'amministrazione di Daoud Pacha non siano state suggerite per indirette vie da chi sembra essersi prefisso lo scopo di impedire all'Italia di prendere anche nelle cose di Siria quel posto che le spetta. Non mi sembra infatti poter rilevare dalle di Lei passate corrispondenze, che siffatta esclusione dell'Italia sarebbe stata ugualmente operata dagli aderenti del cessato governatore del Libano, ossia da coloro che rappresentano in codesta regione la causa dello sviluppo progressivo delle istituzioni guarentite da tutte le Potenze, e del mantenimento dell'ordine e della quiete mercé il rispetto delle legittime influenze de' vari governi interessati.

348

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. P. Parigi, 10 giugno 1868.

J'ai enfin à vous signaler une amélioration dans la situation. J'ai lu la seconde partie de votre lettre du 13 Mai (l) à l'Empe~reur, je l'ai lue également à M. Rouher et à M. de Lavalette qu'en cessant d'etre Ministre n'a pas cessé d'exercer un certaine influence dans les conseils du Gouvernement. La lecture de cette lettre a fait une sensation visible sur l'Empereur. J'ai eu soin de la compléter par des explications verbales et je n'ai pas eu de peine à faire comprendre à Sa Majesté qu'il était de son intérét de ne pas mécontenter un Gouvernement qui avait à sa tete des hommes qui devaient lui inspirer toute confiance. L'Empereur a en effet parlé en ce sens soit à M. de Moustier soit à M. Rouher. Voici maintenant le résultat de ces démarches. Quant à la question du visa des passaports, M. Pietri, Préfet de Police a dù envoyer des instructions pour qu'on évite, dans l'exécution des prescriptions en vigueur, tout ce qui peut avoir le caractère d'une vexation inutile. En effet depuis quclques temps je n'ai plus reçu de plaintes à cet égard. D'autre part

M. de Moustier m'a promis formellement de vous faire pervenir des explications satisfaisantes au sujet de la conduite des Consuls de France à Tripoli, à Alep et à Beyrouth. Comme M. de Moustier oublie quelquefois, involontairement, de donner suite à des affaires méme importantes, j'ai eu soin d'aUer m'assurer chez M. Desprez, directeur de la division politique, que cette affaire aurait une suite convenable et immédiate. Je pense qu'à l'heure où vous recevrez cette lettre, M. Malaret vous aura déjà fait une première communication sur cette matière. L'affaire de Tunis a eu une solution satisfaisante pour la partie la plus délicate et la plus urgente de la question. Il reste maintenant à examiner le fond de la question elle-mème et j'attends pour cela vos instructions ultérieures lorsque vous vous serez concerté avec le Cabinet de Londres. Je me suis appliqué à faire disparaitre les dernières traces de l'animosité et de la mauvaise humeur qu'il était facile d'apercevoir dans le langage de M. de Moustier dans cette négociation délicate. Tout en maintenant strictement notre droit j'ai taché de mettre dans mon langage et dans ma conduite autant de modération et de calme, que M. de Moustier avait mis de vivacité dans ces discours et dans ses dépéches. Vous avez sans doute remarqué que dans cette question comme dans beaucoup d'autres j'ai dù recourir bien souvent à des communications écrites. Cette méthode n'est pas sans inconvénients, mais les inconvénients seraient bien plus graves et plus nombreux si on n'y avait pas recours avec un Ministre tel que M. de Moustier. Ce Ministre, qui a du reste des qualités remarquables et qui au fond n'est pas mal disposé pour nous, a un grand défaut au point de vue des affaires; il oublie souvent ce qu'on lui dit verbalement et quelquefois il oublie ce qu'il a dit lui meme. Il est par conséquent indispensable de recourir à des communications écrites meme pour les affaires qui seraient plus convenablement traitées en forme verbale.

Il est question de faire les élections générales au mois d'Octobre. Malgré les considérations que j'ai fait valoir ic,i, je ne saurais prévoir la retraite des troupes françaises de Civitavecchia avant que les élections aient lieu. L'Empereur m'a dit explicitement qu'il ne voulait pas laisser ses troupes en Italie, mais il n'a pas voulu s'expliquer sur l'époque à laquelle la retraite pourrait avoir lieu.

Il est évident que le Gouvernement Français veut pouvoir compter sur l'appui du clergé dans les élections. La réaction cléricale est toujours dans une période ascendante. La discussion qui a eu lieu au Sénat à propos de l'enseignement de l'ecole de médecine le prouve à l'évidence. Cette tendance des classes les plus élévées de la société fmnçaise est vraiment déplorable, et je cra,ins bien qu'elle ne prépare de mauvais jours à l'Empereur mais elle existe, c'est un fait indiscutable, et le Gouvernement de l'Empereur croit qu'il faut en tenir compte. Il est vrai, du reste, que l'équipée coupable de Garibaldi et les déporables événements qui ont eu Ueu en Italie l'automne dernier, ont contribué beaucoup à augmenter cette tendance en France.

Le Gouvernement français continue à se préoccuper de l'impòt voté par notre Chambre sur les titres de la rente italienne. Cet impòt aura pour résultat l'exclusion de la cote de la bourse de Paris des valeurs italiennes de toute nature qui seraient émises à l'avenir. J'ai vivement combattu cette mesure d'exclusion auprès de M. de Moustier et auprès de M. Rouher, mais l'un et l'autre ont maintenu leurs propositions.

Je crois pouvoir vous affirmer que le danger d'une conflagration a disparu pour cette année. J'ai trouvé l'Empereur assez pacifique et je l'ai franchement encouragé dans cette voie. Le langage du Marquis de Moustier, de M. Rouher et mème celui du Maréchal Niel, est également pacifique. Je n'ai pas manqué une seule occasion de m'exprimer avec ces Ministres dans les sens de la nécessité absolue de conserver la paix.

P.S. -Lorsque l'Empereur, en répondant à ma demande sur la convenance de retirer ses troupes de Civitavecchia, m'a dit qu'il ne croyait pas encore que le temps f1ìt venu de le faire, j'ai cru un instant que peut etre il pensait à l'éventualité d'une guerre avec la Prusse et que dans ce cas il voulait avoir dans ses mains un moyen d'action vis-à-vis de l'Italie. Je vous ai alors écrit que la réponse de l'Empereur sur cette question me faisait croire à des idées moins pacifiques que celles de ses Ministres. Mais maintenant j'ai la conviction que le retard apporté à la retraite des troupes tient à la question intérieure, et que l'Empereur désire sincérement le mainten de la paix. J'a vu hier le Comte Stackelberg, qui désire vous etre rappelé, il pense lui aussi, d'àpres le langage que l'Empereur et ses Ministres lui ont tenu, que la paix est assurée pour cette année.

(l) Non rinvenuta.

349

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1156. Belgrado, 11 giugno 1868, ore 11,20 (per. ore 18,35).

Je reçois à l'instant comunication du ministre des affaires étrangères qu'une régence provisoire s'est constituée conformément aux lois du pays. Elle se composera du président du sénat Marinovitch, du ministre de la justice et gard des sceaux Lechanine, et du président de la cour de cassation Pétrowitch. Ministère, sénat, tous les fonctionnaires publics restent à leur poste. Ordre tranquillité publique règnent partout. Mademoiselle Caterina Costantinovitch fille de Madame Anka et le fils ainé de Garachanine aide de camp du prince qui étaient avec Son Altesse ont ètè blessés, la première à l'épaule, le second au bras droit par deux balles. Le valet de chambre du prince a été blessé aussi par une balle dans le bras. Il se peut que cet horrible crime n'ait pas une cause politique mais simplement soit vengeance particulière des frères Radovanovitch, dont un condamné pour faux escompte sa peine au bain, un autre banqueroutier est un des trois assassins. Il a été arrèté ce matin par la police, qui cherche encore les deux autres complices. Cependant on dit que les Radovanovitch sont partisans enragés de Karageorgevitch. Anka Costantinovitch était haYe par le père, mais le prince ainé est vìv,ement regretté.

350

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1157. Pera, 11 giugno 1868, ore 20 (per. ore 0,55 del 12).

A la suite de délibèratìons pris.es dans le conseil des ministres tenu aujourd'hui grand vizir a adressé au Gouvernement serbe dépèche télégraphique dans le sens que la Sublime Porte considère Gouvernement provisoire comme offrant des garanties suffisantes pour le maintien du bon ordre et pour la régularité de l'élection. La Cour suzeraine désire que le résultat des élections qui doit ètre soumis à la sanction du Gouvernement impérial réponde aux besoins légitimes du pays et que la nation serbe exerce son droit avec toute la liberté compatible avec la tranquillité publique et conformément aux lois. Cette dépèche vient de m'ètre communiquée officiellement par Fuad pacha ainsi qu'aux autres représentants des Puissances garantes.

351

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 214. Berlino, 11 giugno 1868 (per. il 15).

J'ai reçu, il y a trois jours, la visite de M. Ristich, Ministre des Affaires Etrangères de Serbie. Il m'a donné, sur sa mission à Pétersbourg et à Berlin, des renseignements analogues à ceux que j'ai déjà transmis à V. E. (1). Il se proposait de se rendre également à Florence.

Il ne s'agissait pas, disait-il, d'une abolition, mais de modifications pratiques des capitulations. Les modifications projétées ne seraient nullement contraires aux traités, qui reconnaissent l'autonomie serbe dans son administration intérieure. Ces réformes n'offriraient d'ailleurs aucun inconvénient, dans un Pays où les Tribunaux rendent justice avec impartialité. Si elles devaient étre appliquées en Egypte nommément, il serait le premier à faire opposition, car, dans ces régions, les privilèges de juridicition consulaire ont surtout pour objet de soustraire les étrangers à des lo,is dictées par les principes du Coran. S'il s'adressait séparément à chacune des Puissances, c'est qu'il croyait que c'était là le meilleur moyen d'arriver à un résultat. Dans une conférence proprement dite, l'entente serait assez malaisée à établir, et la Sublime Porte sait, elle méme, par expérience, combien ce mode de procéder est défectueux. En attendant, le consentement de la Russie était acquis, et l'Autriche témoignait de ses bonnes dispositions. Quant à la Prusse, M. Ristich ne comprenait guère la valeur d'une prétendue opposition de la part des négociants de Leipzig, et il espérait ne point partir d'ici sans amener le Gouvernement fédéral à une appréciation plus exacte du véritable état des choses.

Dans le cours de la conversation, je l'ai interpellé sur les rapports de la Principauté avec l'Autriche. Ces rapports s'étaient sensiblement améliorés. Il se pourrait néanmoins que la Cour Impériale n'eut point rayé de son programme les prétentions que, à tort ou à raison, on lui attribuait sur la Bosnie et l'Herzégovine, provinces qui lui serviraient de contrefort vers l'Adriatique. Mais l'Empire d'Autriche n'inspire plus aujourd'hui les mémes inquiétudes. La Hongrie a un puissant intérét à se concilier les Serbes, à ne pas froisser leurs aspirations. Mon interlocuteur me citait, à l'appui, le langage qui lui a été tenu, dans le courant de cette année, par le Comte Andrassy: «non seulement la Hongrie ne se soucierait pas d'une acquisition de la Bosnie et de l'Herzégovine, mais, vous nous les offririez sur un plateau d'argent, que nous refuserions de l es accepter >>.

Quant à la concentration de troupes turques en Bulgarie, vers les frontières de la Serbie, M. Ristich en niait l'importance.

M. de Thiele, que j'ai vu hier, m'a annoncé qu'il avait appris la facheuse impression produite à Leipzig par la nouvelle du projet relatif à l'abolition de la juridiction consulaire. Les négociants de cette ville prétendent que le crédit qu'ils accordent aux étrangers établis en Serbie subirait une grave atteinte, si ces derniers étaient soustraits au régime des capitulations. Dès lors, le Secrétaire Général a pris sous sa responsabilité de donner une réponse déclinatoire à M. Ristich, en lui laissant entendre que, s'il n'avait pas jugé à propos d'en parler au Comte de Bismarck, vu l'état de sa santé, les impressions reçues d'un centre de commerce aussi important que celui de Leipzig, n'auraient fait que corroborer les répugnances déjà manifestées par le Président du Conseil.

M. de Thiele croyait savoir que, d'ici, l'Envoyé Serbe irait directement à Florence.

On ignore encore à Berlin, dans quel sens se prononceront la France et l'Angleterre, et ce t te considération aura également contribué à tenir en suspens la résolution définitive de ce Gouvernement. Je dis définitive, car, en déclinant, il n'a pas entendu donner un refus catégorique. En attendant, il est curieux

29 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

de constater que l'Autriche et la Russie rivalisent, pour des motifs diamétralement opposés, dans leur condescendance en faveur des Serbes. Je doute fort que le terrain leur soit aussi propice à Londres, où du moins on ne concluera rien, sans une entente préalable avec la Cour Suzeraine.

M. Ristich est revenu chez moi, après ma visite au Sous Secrétaire d'Etat. Sans avouer que celui-ci avait déclinè d'acceuillir pour le moment ses ouvertures, le Ministre Serbe a simplement allégué que, ne pouvant avo-ir comme à son premier passage ici, un entretien avec le Comte de Bismarck, M. de Thiele l'avait engagé à ne pas insister avant le rétablissement de la santé du Président du Conseil, et à faire, dans quelques semaines, une nouvelle course à Berlin. Il comptait donc, dans l'intervalle, poursuivre sa tournée auprès des différentes Puissances. Il avait l'intention de se rendre d'abord à Florence, si je lui fournissais quelques indications qui lui laissassent espérer que nous agréérions sa proposition, sans attendre le résultat de sa mission en France et en Angleterre.

Ne voulant pas préjuger les déterminations de V. E. je me suis tenu sur la réserve, en prétextant que j'attendais encore des instructions. J'ai cependant déclaré que, dans cette question comme dans toute autre, nous n'étions 1iés envers aucune Puissance prise ·isolément. Nous n'avions pas entre autres, comme l' Autriche, engagé notre politique à emboiter le pas de la France pour les affaires d'Orient. Ainsi, le Gouvernement du Roi s'arréterait au parti qui conviendrait le mieux à ses intéréts, tout en tenant compte de ceux des populations serbes pour lesquelles, en maintes occasions, il avait témoigné de ses sympathies. D'après mon opinion particulière, on ne saurait nier en principe le bien fondé de la réforme dont il me parlait et qui tòt ou tard devra ètre accomplie. Au reste, la Turquie l'ava-it déjà mise sur le tapis, quand elle se montrait prete à permettre aux étrangers de posséder des immeubles, pour autant que les propriétaires ne fussent plus judiciairement sous la dépendance trop directe de leurs représentants. Mais, si les institutions de la Serbie présentent des sécurités, il n'en serait pas de mème pour d'autres Pays placés, vis-à-vis de la Porte, dans des conditions politiques analogues. Il semblerait, de prime abord, presque odieux d'accorder aux uns, ce qu'on hésiterait au moins à concéder aux autres. Il y aurait de plus une question de forme qui sera probablement soulevée à Londres, si les vues de Lord Loftus sont partagées par son Gouvernement. Le Cabinet de S. James tiendra peut étre à se concerter d'abord avec la Turquie surtout depuis que la Russie est allée de l'avant sans se préoccuper de l'opinion du Suzerain, en entrainant ainsi le vote de l'Autriche, désireuse de contrebalancer, autant qu'il peut dépendre d'elle, l'influence russe sur les Slaves du Sud. Il rentrerait d'ailleurs dans l'esprit du Traité de Paris, que les Puissances garantes procédassent d'un commun accord.

En suite de ces considérations, je n'étais pas à méme de donner une assurance positive sur les intentions de mon Gouvernement, ni pour le fond, ni pour la forme.

M. Ristich me fit alors l'aveu que la conduite du Ministère à Bukarest, dans ces derniers temps-persécution des Israélites-nuisait au succès de sa missiòiì. Mais, puisque je n'étais pas en mesure, pour des motifs dont il appréciait la

valeur, de lui laisser entrevoir hic et nunc notre acquiescement, il se décidait à partir dès aujourd'hui pour Paris et Londres, et ensuite pour Florence.

Il me priait, en attendant, de recommander sa proposition à V. E., et de Lui faire part de l'opinion particulière et bienveillante que je venais d'exprimer à ce sujet.

J'espère, M. le Comte, que vous voudrez bien approuver mon attitude réservée. Il m'a semblé que mieux valait laisser l'Envoyé Serbe diriger d'abord ses pas vers la France et l'Angleterre, en nous laissant ainsi le loisir de nous renseigner sur l'issue de ses démarches auprès de ces Puissances et de nous prononcer alors en plus parfaite connaissance de cause. Le Cabinet de Berlin n'a pas agi autrement. Je me souvenais d'ailleurs d'une depéche de V. E. qui traçait quelle devait étre, dans les conjonctures actuelles, notre politique dans toutes les questions ayant trait à l'Orient.

(l) Con r. 211 del 5 giugno, non pubblicato Launay aveva riferito sulla disponibilità della Russia a rinunciare alle capitolazioni in favore della Serbia e sull'atteggiamento di attesa della Prussia.

352

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, A PARIGI, NIGRA, A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, A VIENNA, PEPOLI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

T. 657. Firenze, 12 giugno 1868, ore 14,45.

Veuillez me faire connaitre l'impression produite à ...... par la mort du prince de Servie, quelle interprétation l'on donne à ce fait, et quelles en seront les conséquences probables. Il nous importe spécialement d'étre renseignés sur ce dernier point, et sur les intentions des Puissances.

(Per Pietroburgo) Est-il vrai que Russie a donné la qualité d'agent diplomatique à son agent à Belgrade? (1).

353

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1158. Parigi, 12 giugno 1868, ore 19 (per. ore 20,30).

Moustier, à qui j'ai demandé ses impressions sur les événements de Belgrade, m'a dit qu'il en est très préoccupé et qu'il croyait que les Puissances devaient échanger leurs impressions et leur manière de voir sur ces événements et sur leurs conséquences possibles. Moustier a parlé en ce sens aux ambassadeurs des Puissances et à moi, en nous demandant d'inviter nos Gouvernements respectifs à un échange d'idées. Je vous ai écrit par courrier. Moustier n'a pas pu nous dire quoi que ce so1t sur les intentions ou sur les prévisions du Gouver

nement français car I'Empereur n'est pas à Paris et d'autre part on n'a des détails sur ce qui est arrivé, ni aucun indice sur les conséquences. Dans le public tout en condamnant hautement le crime on ne s'est pas ému beaucoup. On ne l'attribue pas à cause politique. La bourse ne s'est pas ressentie. On croit qu'on nommera un autre prince probablement dans la famille Karageorgevitch en tout cas la paix ne sera pas troublée; c'est là l'opinion du public. Quant au Gouvernement impérial il n'en a pas encore et il demande celle des autres Puissances.

(l) Per le risposte cfr. nn. 353, 354, 361, 362 e 363.

354

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1159. Vienna, 12 giugno 1868, ore 20,25 (per. ore 22,30).

Je vous ai écrit aujourd'hui dépeche. Tout dépendra de l'élection du nouveau prince. Prince Monténégro amènerait complications. Je vous tiendrai renseigné.

355

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 79. Firenze, 12 giugno 1868.

Mi affretto a rispondere al suo dispaccio del 5 corrente (l) col quale Ella mi dice che il Signor De Thile le ha espresso il desiderio di sapere il nostro modo di vedere intorno alla nomina fatta recentemente dalla Sublime Porta di un nuovo Governatore Generale del Libano.

La lettura dei carteggi scambiati fra il R. Ministero e la Legazione di Sua Maestà in Turchia nonché dei vari altri recenti documenti diplomatici relativi agli affari di Soria avrà fatto conoscere alla S. V. l'importanza speciale che noi annettiamo a questa quis!;ione. Noi avremmo preferito che il Governo del Sul,.. tano si fosse in nulla dipartito in questa circostanza dagli atti diplomatici che reggono gli affari del Libano, ma non vorremmo pronunciarci sulla linea di condotta da lui prescelta prima di conoscere da quali intendimenti i vari Governi sono animati al riguardo. Fin d'ora però ci sembra che ove le Potenze si accordassero sull'accettare le parziali deroghe fatte dalla Porta a quanto stabiliscono gli atti internazionali concernenti il Libano, i diversi Governi cointeressati dovrebbero riservare la pienezza dei diritti che lo,ro competono in un apposito documento.

E in questo senso che io scriverò al Ministro del Re in Costantinopoli col primo corriere.

(l) Cfr. n. 340.

356

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 374. Firenze, 12 giugno 1868.

Ho preso in attenta disamina quanto Ella mi ha riferito esserle stato detto dal Ministro Imperiale degli Affari Esteri nell'occasione in cui V. S. lo avea interrogato sul modo pratico di giungere ad un accordo fra le Potenze sulle modificazioni da introdursi nel decreto del Bey di Tunisi; modificazioni che, secondo la nostra aspettativa questo Sovrano ha diggià in massima accettate.

Per verità non sembrami che la risposta del Signor Marchese di Moustier sia stata così esplicita da potersi facilmente intendere quale sia il sistema ch'egli preferirebbe vedere adottato. Se non m'inganno, il Ministro Imperiale degli Affari Esteri proponebbe che in Parigi si esaminassero i diritti dei singoli creditori della Reggenza e si facesse una specie di giudizio di graduazione de' vari crediti che i sudditi esteri hanno verso il Governo tunisino. Ridurrebbesi per tal maniera H compito della Commissione ~nternazionale a Tunisi ad una semplice sorveglianza per garantire l'esatta esecuzione di quanto sarebbe stato convenuto fra le Potenze. Quando questi lavori preliminari fossero compiuti, il Signor di Moustier crede che si potrebbe intendersi sul modo di formazione della Commissione medesima.

Ella sa, Signor Ministro, che in tutto il seguito della lunga discussione alla quale diede luogo la presente vertenza, noi abbiamo sempre chiesto il rispetto dei contratti stipulati anteriormente dal Bey con vari nostri sudditi e l'uguaglianza di diritto dei crediti italiani con quelli appartenenti ad altri ::,udditi esteri. Noi abbiamo inoltre fatto formale richiamo contro qualsiasi preponderanza che una potenza od un gruppo di creditori pretendessero ottenere dal Bey nella composizione della Commissione internazionale.

Partendo da questi principi, non ci sembrerebbe difficile lo intenderei fra le potenze che hanno maggiori interessi a Tunisi per comporre una commissione che risponda interamente alle giuste esigenze di tutti. Alla Commissione cosi stabilita si ingiungerebbe anzi tutto rispettare i contratti anteriormente conchiusi fra il Bey e gli stranieri e si delegherebbero quelle altre attribuzioni di riscontro e di sorveglianza che sono nell'interesse di tutti.

Lo esaminare in Parigi i vari contratti esistenti fra il Bardo ed i privati suoi creditori, sarebbe opera lunga e difficile. Potrebbesi inoltre con qualche fondamento dubitare del diritto che avrebbero i Governi di erigersi giudici per istituire una graduazione fra creditori, i contratti dei quali non ammisero sin qui eccezione di sorta nella loro puntuale esecuzione per parte del Bey e del suo Governo. Finalmente, ove da noi si accettasse di prender parte al proposto preventivo esame dei titoli di ciascun creditore, si rinunzierebbe implicitamente a quella nostra domanda che già fu ammessa, che cioè in nessun caso l'istituzione della Commissione internazionale potesse avere per effetto di mettere in discussione i contratti già perfetti prima che il Bey aderisse all'idea di formare la Commissione medesima.

Per tutte queste ragioni noi saremmo d'avviso che ove si sostituisse al metodo proposto dal Signor Marchese di Moustier, quello che sovra abbiamo accennato si terrebbe una via più spedita e più facile, pienamente conforme alle massime prestabilite sulle quali si formò il primo accordo delle potenze che ha preceduto la ratifica del decreto del Bey che instituisce la commissione internazionale finanziaria in Tunlsl.

Queste sono le obbiezioni ch'io La autorizzo, Signor Cavaliere, ad opporre al Ministro Imperiale degli Affari Esteri quando questi La interrogasse sul nostro modo di vedere intorno a questo affare.

Se però lo dovessi credere a voci persistenti che seguitano ad andare in giro, sembrerebbe poco probabile il caso in cui S. E. il Marchese di Moustier avesse per ora a sollecitare dalla S. V. spiegazioni sui nostri intendimenti riguardo agli accordi da stabilirsi. Pare infatti che tutt'ora si coltivino attivamente dal principale gruppo dei creditori francesi certe pratiche per condurre a buon termine una combinazione finanziaria avente per !scopo di rimborsare quei creditori esteri del Bardo i quali ripetono i loro diritti dai contratti di conversione di una parte del debito non consolidato. Sarebbe però un calcolo erroneo quello che da altri si facesse, credendo che col soddisfare questi crediti si potrebbero disinteressare definitivamente gli italiani e gli inglesi nella questione della composizione della commissione finanziaria. Gli interessi locali e permanenti della nostra numerosa colonia e del nostro vasto traffico nella Tunisia superano di gran lunga gli interessi di uguale natura che la Francia possiede in quel paese.

A meno che l'Ambasciatore di S. M. Britannica invitasse la S. V. a fare qualche passo nell'interesse comune, io reputo pertanto migllor consigllo rlmenarcene per ora nell'aspettativa delle proposte formali od almeno più precise e concrete che il Gabinetto delle Tuileries cl vorrà fare. Le ho espresso il nostro modo di vedere sulle cose dette a Lei da ... soltanto pel caso in cui questi La invitasse ad este.rnare un'opinione al proposito Cl).

357

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA

D. 20. Firenze, 12 giugno 1868.

La ringrazio particolarmente delle informazioni favoritemi sulla missione del Signor Ristich in Russia (2). Ne' documenti diplomatici che Le invio oggi Ella troverà un rapporto della R. Legazione a Berlino (3) il quale conferma quanto V. S. mi scriveva sulle difficoltà mosse dal Governo Prussiano ad aderire senza restrizioni alla chiestagli abolizione delle capitolazioni in Serbia anche

nel processi misti. Io le sarei grato se Ella potesse col tratto successivo infor

marmi degli adopramenti che la Russia farà probabilmente a Berlino per in

durre la Prussia a seguirlo nel partito da lei adottato.

Intanto le trasmetto qui unito un documento che mi fu consegnato con

fidenzialmente risguardante il regime che la Russia avrebbe proposto di sta

bilire nei Principati Uniti in surrogazione di quello delle antiche capitolazioni.

Prendendo cognizione di questo documento Ella vedrà quale immensa differenza la Russia stabilirebbe ne' suoi rapporti fra la Serbia e la Rumania in questa quistione. Sebbene gli ultimi avvenimenti che si ebbero a deplorare in Rumania e le informazioni che si hanno sull'amministrazione della giustizia ne' Principati diano purtroppo una facile spiegazione a siffatta differenza, tuttavia, l'impressione che questo produce al punto di vista puramente politico, è a mio avviso assai grave e tale in ogni caso da destar l'attenzione di alcune fra le Potenze che in questo affare dovranno pronunciarsi.

Ella già conosce, Signor Marchese, che noi propendiamo piuttosto per una sospensione anzichè per una abolizione completa delle capitolazioni nei paesi danubiani, ma non essendo ancora stati direttamente interpellati dal Governo di Belgrado non ebbimo occasione di emettere alcuna opinione in proposito.

Colla posta d'oggi le trasmetto N.... (1) documenti diplomatici, ed il seguito dei carteggi .risguardanti gli affari di Tunisi fino al N. . . . (l).

ALLEGATO.

ANNESSO CIFRATO (2).

J'appelle votre attention sur les deux rapports de Tanger que vous trouverez parmi les documents diplomatiques que je vous envoie. La cession de l'ile dont il est question dans le second de ces deux rapports serait un fait très grave.

Tàchez de connaitre confidentiellement l'impression que cette nouvelle fait sur le Ministre des Affaires Etrangères de l'Empereur.

(l) -Con r. 696 del 18 giugno Nigra comunicò: «Avendo però avuto oggi l'occasione d"intrattenermi col Marchese di Moustier, questi non mi parlò degll affari di Tunisl. Lord Lyons mi ha detto che nemmeno ad esso il marchese di Moustier aveva !atto parole di questa questione». (2) -Cfr. n. 327. (3) -R. 211 non pubblicato.
358

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

D. 9. Firenze, 12 giugno 1868.

Le notizie che Ella mi ha favorito sul contegno dell'Austria nelle difficoltà sorte in Rumenia e le assicurazioni datele dal Signor de Beust sulle intenzioni del Governo dell'Imperatore verso quel principato mi riuscirono di grande soddisfazione. Il linguaggio che a Lei tenne il Cancelliere dell'Impero era quello stesso che aveva meco tenuto il Barone di Ktibeck, il quale anzi mi aveva chiesto se noi non avremmo potuto appoggiare i passi che faceva il suo Go·

{l) Il numero manca

verno presso quello del Principe Carlo per ottenere una pronta e soddisfacente soluzione delle quistioni sorte in seguito alle persecuzioni dirette contro gli Israeliti.

Io avevo fatto conoscere al Signor di Klibeck tutti gli adoperamenti che in vario tempo erano stati fatti dal nostro Governo in questa quistione, sempre, ben inteso, nel senso di persuadere il Gabinetto di Bucarest a mettersi in una via di franco ed assoluto rispetto di quei principi di civile e religiosa tolleranza che tutti i popoli debbono professare. Aveva anzi promesso al Signor di Ktibeck di rinnovare le mie istruzioni all'Agenzia politica del Re in Bucarest nel senso sovra espresso, quando mi pervenne l'annuncio che il principale motivo di dissidio coll'Austria era stato dal Governo Rumeno eliminato coll'aderire a quanto da lui chiedeva il Gabinetto di Vienna.

Non era dunque più il caso che io scrivessi a Bucarest nel senso che il Barone di Kubeck aveva desiderato, bastando, per ciò che concerne il contegno che il titolare della R. Agenzia ne' Principati Uniti deve tener nella quistione degli Israeliti, le istruzioni generali che gli furono più volte confermate. Gli ultimi fatti accaduti nei Principati Rumeni non possono che contribuire sfavorevolmente all'esito delle dimande fatte dal Governo di Bucarest per l'abolizione delle capitolazioni. Ella troverà ne' documenti diplomatici che Le trasmetto oggi vari rapporti che hanno tratto a questo argomento. L'Inviato d'Austria presso la R. Corte venne a parlarmi delle pratiche che a tale riguardo fanno i Governi di Rumenia e di Serbia e mi ha detto che il Barone di Beust aveva consentito a prendere in esame questo affare senza però impegnarsi a rinunziare alle capitolazioni prima che fosse bene dimostrato che l'Amministrazione della Giustizia era sufficientemente guarentita nei due paesi. Il Barone di Kubeck mi aveva soggiunto che si sapeva a Vienna da fonte sicura che la Russia non aveva consentito a sottoporre i propri sudditi alla giustizia Serba se non alla condizione che le sentenze sarebbero soggette ad una revisione dei tribunali Russi; pretesa questa che 11 Governo di Belgrado aveva respinto.

Se però debbo prestar fede alle relazioni concordi che mi pervennero da

Belgrado e da Pietroburgo, confermate anche da quelle che ho ricevuto da Ber

lino, le informazioni che aveva il Barone di Ktibeck si riferirebbero ad un pe

riodo anteriore dei negoziati tra la Serbia e la Russia, e quest'ultima avrebbe

recentemente aderito senza restrizioni alla abolizione delle capitolazioni nel Prin

cipato. Un diverso sistema invece il Governo di Pietroburgo avrebbe adottato

pei Principati Uniti, ai quali proporrebbe in questo momento di sostituire alle

capitolazioni esistenti una convenzione speciale, le basi della quale sono espres

se in una memoria di cui Ella troverà copia nella spedizione d'oggi.

Il luttuoso avvenimento ·che ha tolto alla Serbia il Principe che ne reg

geva il Governo nelle vie della civiltà, farà forse sospendere per qualche tempo

le decisioni delle Potenze intorno a questo affare, che, come ogni altro risguar

dante le Provincie Danubiane, ha per noi un grande e vero interesse.

Segno ricevuta del suo rapporto n. 60 (1).

(2) Analogo annesso cifrato venne inviato in pari data a Berllno allegato al d. 80, non pubbllcato e a Vienna allegato al n. 358.

(l) Numero errato.

359 IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 92. Belgrado, 12 giugno 1868 (per. il 18).

Sottometto a V. E. qualche altro dettaglio sull'orribile attentato del 10 andante. Ho detto nel mio precedente rapporto che il Signor Garachanine si trovava a Topeidere dove era andato per diporto colla moglia. Egli venne subito informato quasi ad un tempo, da un gendarme e dal cameriere del Principe che nel fuggire aveva ricevuto una palla nel braccio e cadendo al suolo si finse morto, e potè così salvare la vita, ed appena gli assassini disparvero egli corse ad annunziare il doloroso avvenimento, e trovato il Signor Garachanine gli raccontò come il Principe e tutte le altre persone del suo seguito fossero stati uccisi; il Signor Garachanine gli domandò se era sicuro di ciò che diceva, e se qualcuno viveva ancora, rispose « nessuno, tutti sono morti! » Allora disse alla sua moglie «andate a raccogliere i morti io corro a salvare il Governo», e si gettò nella carrozza e a tutta briglia si fece condurre a Belgrado.

La sua intenzione era di prevenire lo scoppio della rivoluzione o soffocarlo sul nascere. Malgrado la velocità colla quale correvano i cavalli la sua carrozza è stata oltrepassata da altra carrozza e chi la conduceva non cessava di battere il cavallo da forsennato perché raddoppiasse di velocità, ordinò allora al suo cocchiere di raggiungere questa carrozza per vedere chi erano coloro che avevano tanta fretta di giungere in città; scorse ch'era condotta dall'avvocato Radovanovitch fratello d'uno degli assassini. Il Signor Garachanine allora abbenché ignorasse il nome degli assassini, conoscendo che questi era un nemico del Principe, e partigiano di Karagiorgievitch gli venne in pensiero che volesse giungere a Belgrado prima di lui per dare il segnale della rivolta, e per questo fece raddoppiare di velocità la sua carrozza e giunse in città prima del Radovanovitch. Scese al palazzo del Ministero degli esteri e dell'interno, chiese subito all'ufficiale di guardia se i suoi soldati avevano le armi cariche; le armi erano vuote, le fece caricare, inviò a cercare una compagnia di soldati, avvertì i ministri ed il Signor Marinovitch dell'evento, i quali incontanenti si riunirono. Intanto giunse la compagnia dei soldati, ed in un baleno si provvide d'accordo in modo che il Governo si trovò in caso di far fronte ad ogni eventualità. Un'ora dopo la rivoluzione na impossibile.

La Damigella Catterina ha ricevuto 3 ferite e non una, gli furono estratte 3 palle.

Essa ignora la morte di sua madre e del Principe, si spera di salvarla.

Madama Tomania soprafatta dal dolore è indisposta. Madama Anna sua sorella di gracile temperamento, quando seppe la funesta notizia cadde ammalata. La ferita del figlio di Garachanine non peggiora. Quella del cameriere di Sua Altezza è leggiera.

È stato arrestato la sera stessa l'avvocato Radovanovitch che voleva giungere in città prima del Signor Garachanine e molti altri. L'assassino Radovanovitch è stato confrontato e riconosciuto per uno degli assassini dal cameriere del Principe, e si dice che è anche stato riconosciuto dalla Damigella Catterina, domani sarà confrontato col capitano Garachanine.

Jeri ebbe luogo il funerale di Madama Anka Costantinovitch, essa non era amata ma è tale l'indignazione l'orrore e la pietà che ha destato nella popolazione la tragica fine dell'infelice Principe e della sua cugina, che questa è stata accompagnata all'ultima dimora da una folla immensa, nessuno dei consoli ad eccezione del console di Prussia accompagnava il feretro, essi non furono avvertiti. II Signor Milivoi come amico particolare della defunta era il solo ministro presente al convoglio funebre.

Lunedì prossimo avrà luogo il funerale del Principe. Non si è ancora potuto trovare il testamento d~l Principe, s'incomincia a credere ch'egli non ne ha fatto alcuno.

La Skouptschina non potrà essere riunita prima d'una ventina di giorni. Chi proclamerà essa a successore, df'l compianto Principe Michele Obrenovitch III, nessuno potrebbe dirlo con certezza. Se la Skouptschina potesse essere riunita in questo istante, il che è impossibile, io so bene che tutte le probabilità sarebbero in favore del Milan figlio di Effrem Obrenovitch. Il popolo è troppo sdegnato, addolorato e compreso d'orrore contro gli assassini per credere diversamente, se non che proclamando Milan è necessaria una reggenza.

La reggenza dovrebbe durare 4 anni perché Milan non ha che 14 anni, e la storia c'insegna che rare sono le reggenze che hanno profittato allo Stato.

Ma fra 20 giorni non è impossibile che il mobile popolo, influenzato dai partigiani del Karagiorgievitch, che faranno a questo fine ogni sforzo possibile, muti d'opinione, e nomini non il padre ma un figlio di Karagiorgievitch. Non pertanto se questi è veramente compromesso direttamente o indirettamente, come sin'ora tutto induce a crederlo, in questo orribile attentato, e che la nazione ne sia persuasa non lo proclamerà per certo.

Quando Alessandro Karagiorglevitch fu balzato dal trono, Garachanine è stato sul punto d'essere proclamato Principe, ora egli non è simpatico al partito liberale, per la sua costante opposizione a concedere la menoma libertà al paese, e non credo che la nazione vorrà proclamar lui o Marinovitch od altro uomo pur eminente ch'el sia, non bisogna però dimenticare che questi due uomini particolarmente il primo sono influentissimi, ed anche il Milivoi ha dei partigiani, come ne ha il vecchio ed ignorante Stevca (russofilo) ed 11 maggiore Miscia padre della moglie di Marinovitch e della moglie d'un nipote di Karagiorgievitch, uomo di bassa estrazione, che fece in pochi anni, mediante la sua intelligenza, ajutato dalla protezione e dalla corruzione dei turchi una fortuna favolosa, accenno al Miscia perché alcuni pretendono che allora della caduta di Alessandro Karagiorgievitch egli pure aveva la velleità di farsi proclamare Principe di Servia; esso si trova in questo momento a Belgrado (credo ch'era a Topeidere colla sua figlia Madama Marinovitch quando ebbe luogo l'orribile misfatto), vi era venuto per prendere il Signor Garachanine nominato arbitro in una causa di 2 o 300 mila zecchini, vertente a Vienna, e nella quale da quel che mi hanno riferito il Miscia è attore.

Dico che non credo che la nazione vorrà proclamar Principe nessun uomo per eminente ch'e·i sia avvegnaché con ciò creerebbe una terza dinastia; ora la Servia non può dimenticare che dal 1833 sin'oggi 2 sole dinastie provocarono tre rivoluzioni, rovesciarono 3 principi, ed arrecarono immenso danno al paese, e forse le conseguenze lontane o vicine di questo luttuoso avvenimento ne produrranno una quarta; non sembra dunque possibile che la nazione sia disposta a creare una terza dinastia.

Il nome di Obrenovitch è caro alla Servia, il Principe Michele lo fece venerare e benedire dal popolo nella sua persona, egli era piuttosto il padre che il sovrano della nazione, e pertanto quantunque il Milan appartenga al ramo collaterale egli è pur sempre un Obrenovitch, e questo nome suonerà sempre caro, sempre simpatico alla nazione, il partito che è oggi al Governo sembra volerlo sostenere. Epperciò, non ostante l'inconveniente della reggenza, il partito di Milan potrebbe trionfare. In questo caso si potrebbe sin d'ora indicare chi saranno i tre membri che la Schoupstchina eleggerà per la Reggenza. Io credo che il Signor Garachanine ed il Signor Marinovitch saranno i primi ad essere eletti.

Unisco al presente un albero genealogico della famiglia Obrenovitch più dettagliato di quello ch'ebbi l'onore di rassegnare a V. E. in calce del precedente mio rapporto.

Unisco anche la traduzione della proclamazione della Reggenza (l).

Le acchiudo pure un annesso cifrato.

ALLEGATO.

ANNESSO CIFRATO.

Il y a des indices qui font soupçonner qu'Osman-Pacha et Karageorgevitch ont trempé dans l'affreux crime qui a plongé la Serbie dans la douleur et dans le deuil.

360

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1160. Vienna, 13 giugno 1868, ore 15 (per. ore 15,50).

Prince Napoléon croit qu'il n'est pas probable que des difficultés surgissent sur la question de Serbie. L' Autriche calme la Turquie. On parle de réunir une conférence, mais on croit que la Russie s'y opposera. On parle, comme candidat, du prince Charles ou du prince Obrenovitch enfant qui est à Paris.

(l) Non sl pubblica.

361 L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1162. Berlino, 13 giugno 1868, ore 16 (per. ore 22,20).

Comte de Launay parti pour remettre lettre de créance à Cobourg et à Meiningen. Nouvelle meurtre prince de Servie a causé ici impression de douleur et d'indignation. Quoique la S. Porte n'ait pas réconnu loi de Servie de 1859, d'après laquelle le neveu du défunt succéderait, on croit que Turquie a trop intérèt à la paix en Orient pour ne pas transiger. On a connaissance du télégramme de Constantinople à Belgrade pour exprimer confiance en sagesse de la Régence et dans l'éléction qui devra ètre sanctionnée par la Puissance suzeraine. Conversation entre le comte de Goltz et Moustier concorde pour abstention et exclusion d'une action isolée des Puissances, et entente entre elles. D'après le Cabinet de Berlin le danger pourrait surgir d'une lutte intérieure qui pourrait amener intervention des Puissances voisines. Vu l'assurance des meilleures intentions de la Russie, on ne voudrait voir danger possible que du c6té de l'Autriche. Télégramme reçu ce matin du consulat prussien à Belgrade rapporte le bruit que derrière les assassins se trouve le parti Karageorgevitch et le mécontentement du commissaire turc pour le vivat des troupes au neveu du prince défunt.

362

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1161. Londra, 13 giugno 1868, ore 19,18 (per. ore 21,50).

Reçu votre chiffré d'hier (1) et parlé lord Stanley aujourd'hui. Il m'a dit ètre trop dépourvu de nouvelles pour se prononcer sur le sort futur de la Serbie, mais l'Angleterre ne soutiendra aucun candidat et réconnaitra celui élu par les serbes et approuvé par la Turquie. Celle-ci a reconnu Gouvernement provisoire et va laisser pleine liberté d'élection. On parle de candidature du jeune Obrenovitch neveu du défunt. Turquie ne ferait qu'objection de forme par rapport à droit héréditaire, mais finirait par accepter. On ne parait pas craindre ici complication immédiate.

(l) C!r. n. 352.

363

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1164. Pietroburgo, 14 giugno 1868, ore 14,50 (per. ore 17,50).

Prince Gortchakow vient de me dire qu'il regardait le Gouvernement provisoire de Serbie camme donnant garantie suffisante d'ordre, que France, Angleterre et Russie s'étaient mises parfaitement d'accord pour établir le principe de non intervention et laisser l'assemblée libre d'élire le nouveau prince régent. Gortchakow a déjà donné instructions à Constantinople pour empécher envoi d'un commissaire de la Turquie à Belgrade, et lui ayant demandé s'il considère le principe héréditaire camme base du droit d'intervenir, il m'a répondu que l'hérédité n'était admise que pour la branche d'Obrenovitch actuellement éteinte et que la Russie ne croit pas devoir l'invoquer.

364

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1163. Parigi, 14 giugno 1868, ore 15,05 (per. ore 16,35).

Tous les hommes politiques à qui j'ai parlé s'expriment dans le sens qu'il faut laisser les serbes procéder tranquillement à l'éléction du nouveau prince et qu'il n'y a lieu à aucune intervention, tant qu'il n'y a pas de troubles dangereux pour la paix d'Europe. Les nouvelles de Belgrade portent que le prince détroné Karageorgevitch ne serait pas étranger au crime et que les vocux des populations semblent se porter sur le jeune prince Milan.

365

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL CONSOLE GENERALE A TRIESTE, BRUNO

D. 4. Firenze, 14 giugno 1868.

La ringrazio della comunicazione ch'Ella mi ha fatto di quanto avvenne in occasione della festa dello Statuto in codesta residenza (l). Approvo pienamente il contegno riserbato che Ella mantenne in quella circostanza tanto rimpetto a coloro che vollero fare dimostrazioni politiche, quanto verso le autorità del paese. Il linguaggio che Ella tenne al Signor Consigliere Kraus ha parimenti incontrato la mia approvazione. In presenza di quanto era già accaduto nel di anniversario della concessione dello Statuto, ben comprendo

che codeste autorità si mostrassero disposte a mostrare particolare rigore verso coloro che avessero tentato di rinnovare pubbliche dimostrazioni; cionondimeno mi sembra che la polizia di Trieste sarebbe andata troppo oltre se avesse decretato lo sfratto dei sudditi del Re dimoranti in codesta città i quali con qualche pubblica dimostrazione di gioia avessero voluto festeggiare nel giorno di Santa Margherita l'onomastico della Principessa di Piemonte. Epperò trovo che la di Lei risposta al Consigliere Kraus, che le annunziava questa deliberazione presa dal Governo austriaco fu quale si conveniva fredda, dignitosa e conveniente.

Non è mestieri ch'io Le dica quanto il Governo del Re ravvisi inopportune le dimostrazioni e le ovazioni che non approdano ad altra conseguenza fuorché quella di creare difficoltà ai due Governi d'Italia ed Austria nei reciproci loro rapporti. Per convincersi di ciò basti il considerare in quale grave imbarazzo sarebbesi trovato il Governo del Re se a seguito di qualche intempestiva dimostrazione fatta nel dì dl Santa Margherita, la polizia di Trieste avesse cacciato da quella città taluno fra i numerosi sudditi del Re che vi hanno stabile dimora. È dunque mestieri che la S. V. si adoperi a fare intendere ai sudditi italiani di astenersi da tutto ciò che potrebbe produrre a loro danno spiacevoli provvedimenti per parte delle autorità locali. Il vero patriottismo è quello che si spiega a secondare l'opera illuminata e liberale del Governo del Re, non quello che prorompendo in inconsulte dimostrazioni, non tiene a calcolo le esigenze del proprio paese.

Pria che avvenisse questo nuovo incidente la S. V. mi avea informato del rumore che facea in Trieste quel processo di stampa al quale dava luogo l'accusa portata da un giornale contro un giudice di aver sparlato del Re di Italia. Il fatto non ha di per sé alcuna importanza ed Ella molto bene fece a non ingerirsi in quell'affare; ma tenendo conto di tutto quanto è occorso a tale riguardo puossi scorgere facilmente come ogni minimo affare il quale in qualche modo diretto od indiretto concerne il nostro paese, acquisti immediatamente un carattere speciale ed un valore esagerato agll occhi del pubblico triestino.

In ogni circostanza pertanto (io ne sono convinto) Ella non si vorrà mai dipartire da quella linea di condotta savia, accorta e prudente per la quale il Governo del Re ebbe più volte ad esprimerle la sua approvazione. Cosi facendo ed adoperandosi presso i sudditi di S. M. il Re nel senso sovra espresso, Ella renderà nuovi ed importanti servigli che si aggiungeranno al molti che già onorano la sua operosa carriera.

(l) Cfr. n. 345.

366

~ CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1165. Belgrado, 15 giugno 1868, ore 14 (per. ore 23,50).

M. Ristich doit etre déjà à Paris. Il a ordre d'amener immédiatement à Belgrade Milan Obrenovitch qui a novante chances contre dix d'etre proclamé prince de Serbie. Les sympathies de h Turquie sont pour ce butor de Crésus qu'on appelle le majeur Micha et aussi pour Karagéorgevich, celles de la Russie sont pour Milan surtout à cause de la régence.

Milan souverain c'est une régence de quatre ans et ses inconvénients. Si le parti Milan ne s'entend pas préalablement de sérieuses complications, de désastreux dissentiments peuvent surgir lors de l'électlon des corégents. Si on proclame un Karagéorgevitch, soit le père, soit le fils (le père me paralt encore plus improbable que le fils) c'est la guerra civile (voir mon rapport d'aujourd'hul) (l). V. E. ne veut-elle pas faire parvenir quelques mots de condoléance au Gouvernement serbe?

367

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1166. Vienna, 15 giugno 1868, ore 19,05 (per. ore 22).

Ministère autrichien appule note française qui demande soit fixé temps de durée en fonctions du nouveau gouverneur du Liban. Il verrait avec plàisir la proclamation de Milan Obrenovitch comme prince de Serbie.

368

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (2)

D. 377. Firenze, 15 giugno 1868.

M. le Baron de Malaret m'a communiqué une Dépeche de M. le Marquis de Moustier, portant la date du 19 mars et dont vous trouverez ci-joint une copie, en réponse à celle que je vous ai adressée le 24 janvier dernler (3).

M. le Ministre Impérial des Affaires Etrangères en constatant l'empressement que nous avons mis à répondre à l'appel qu'il nous faisait pour nous convier à un échange amicai d'explications et d'idées sur les moyens d'améliorer les rapports mutuels de l'Italie et du St. Siège, se montrait tout d'abord préoccupé et déslreux de connaitre « quelles mesures le Gouvernement du Roi serait dans l'intention et la possibllité de prendre pour empecher désormais la formation de nouveaux dépòts d'armes, les enròlements plus ou moins clandestins que l'on essayerait de faire encore, et les attaques qui seraient dlrlgées une seconde fois contre le territoire pontlflcal1>.

M. le Marquis de Moustier ajoutalt que « la certitude que le Gouvernement Impérial pourrait avolr à ce sujet justifierait sa confiancP. et l'aiderait à la faire pénétrer dans le sentiment public 1>.

A cette interpellation je n'hésite r.as, M. le Ministre, à répondre, de la manière la plus catégorique, que le Gouvernement du Roi est fermement résolu à faire respecter la loi, à empécher par tous les moyens la formation de dépòts d'armes, les enròlements clandestins et les attaques à main armée contre les territoires voisins. Nous regarderions ces tentatives comme des atteintes à la sureté intérieure de l'Etat, et vous pouvez donner à M. le Marquis de Moustier l'assurance que le Gouvernement du Roi a, non seulement la volonté, mais les moyens de s'y opposer. Nous croyons que l'ère des révolutions, des sectes, des conspirations et des initiatives individuelles extralégales doit etre définitivement close pour l'Italie; aussi nous nous appliquons de toutes nos forces à relever et à raffermir partout le principe d'autorité, à ramener le calme dans les esprits, en faisant disparaitre toute trace d'agitation qui serait un obstacle à l'établissement solide de l'ordre et de la liberté. Appelée par sa position à prendre piace parmi les Grands Etats, l'Italie doit étre un élément de concorde et de tranquillité pour l'Europe, et elle saura remplir sa mission avec fermeté et loyauté.

Les faits qui viennent de se passer sont une preuve que nous ne présa.:. geons pas trop du succès de la ligne politique que nous suivrons. Le Gouvernement est d'ailleurs parfaitement secondé, dans l'accomplissement de sa tache, par la sagesse et le bon esprit des populations. En effet, on a vu, sous l'influence de menées subversives, des pays qui passent pour etre des plus solidement assis et des plus éclairés de l'Europe, se trouver en prole à des troubles et à des émeutes qui ont appelé des répressions sanglantes, tandis que l'Italie, malgré les tentatives de désordre et les' grèves qui ont eu lieu sur quelques points du Royaume, n'a du recourir à aucun moyen extréme pour maintenir la tranquillité.

Je crois avoir ainsi répondu péremptoirement et avec la plus entière franchise à la question que M. le Marquis de Moustier nous a posée dans sa note du 19 mars. Je ne me dissimule pourtant pas que ces déclarations, que je fais du reste volontiers, puisqu'elles répondent à un besoin impérieux et généralement senti dans notre pays, ne suffiront pas à dissiper les préventions que les partis hostiles à l'ltalie cherchent à exerciter contre elle en France comme à Rome. Toutefois, afin que le Gouvernement de l'Empereur puisse se convaincre que nous avons épuisé, par cette démarche, tous les moyens qui sont en notre pouvoir pour entrer en rapports de bon voisinage avec le St. Siège, nous n'hésitons pas à donner au Cabinet des Tuileries, dans un memorandum que vous trouverez ci-joint, les éclaircissement qu'il nous demande sur la portée générale ainsi que sur les détails pratiques de la négociation qu'il s'agirait d'ouvrir sur les points les plus importants de notre projet de modus vivendi et plus spécialement sur la conclusion d'une union douanière entre l'Italie et le St. Siège.

Nous désirons sincèrement que les efforts que le Cabinet Impérial est prét à faire, dans sa bienveillante médiation, aboussent à un résultat sérieux et pratique, et nous voudrions pour cela qu'il rencontrat auprès du St. Siège les mémes dispositions dont nous sommes animés. Mais nous craignons que, tant que le St. Siège pourra se prévaloir de l'espèce d'immunité que lui procure l'appui indéfini de la France, il ne veuille abandonner ses espérances, et

renoncer au statu quo actuel pour accepter une solution équitable qui rétablirait de fait entre les deux pays les rapports réclamés par l'intéret des populations.

Vous etes autorisé à donner lecture de cette dépeche, ainsi que du Memorandum qui y est annexé, à M. le Ministre Impérial des Affaires Etrangères, et à lui en laisser copie s'il en exprime le désir O).

ALLEGATO

La note que le Général Menabrea a adressée à M. Nigra, en date du 24 Janvier dernier, contient l'indication sommaire des arrangemens qui devraient etre compris dans le modus vivendi à intervenir, par l'intermédiaire de la France, entre le Royaume et le St. Siège.

Ces arrangemens se rapporteraient, en substances, aux points suivants:

Douanes et monopoles,

Postes,

Télégraphes,

Répression du brtgandage,

Transit des troupes royales,

Passeports,

Libération des prisonniers politiques originaires des provinces du Royaume.

Ce dernier point n'a pas besoin de commentaires; la seule énonciation suffit à prouver la stricte légitimité de la mesure qu'on demande au St. Siège. Les autres points seront successivement développés au double point de vue de la situation actuelle et des améliorations dont ils sont susceptibles.

Douanes et monopoles

La base générale de tout accord au sujet des douanes respectives, devrait étre la liberté pleine et entière de l'entrée et de la sortie des produits des deux territoires. L'application de ce principe implique évidemment l'établissement d'une union douanière entre les deux territoires. Cette union douanière pourrait étre réalisée par deux systèmes différents, dont voici les conditions principales:

A. D'après le premier des deux systèmes d'union douanière, on devrait s'entendre sur les arrangements suivants:

1°) Abolition de la ligne douanière intérieure, c'est à dire de la ligne qui est actuellement établie le long de la frontière entre les deux territoires, en sorte qu'il ne resterait à l' Administration pontificale que la ligne de douane du còté de la Mer. Cette mesure aurait pour effet de diminuer de 600.000 francs environ la recette du trésor italien aussi bien que celle du trésor pontificai; mais elle donnerait lieu, en méme temps, à une épargne de 500.000 francs environ dans les frais supportés actuellement par chacune des deux Administrations. Ce ne serait donc, en définitive, pour le Trésor pontificai qu'une perte nette d'environ 100.000 francs. Le Gouvernement italien serait disposé, d'ailleurs, à tenir compte de cette perte dans les arrangements à intervenir entre les deux Administrations si, conformément au projet actuel, il y avait lieu à procéder entre elles à une répartition des revenus douaniers;

S. -M. l'imperatore e di esaminarne maturamente il contenuto. Egli soggiunse però che la lettura di essi gli aveva fatta favorevole impressione».

30 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

2°) Assimilation des Tarifs et des règlements respectifs; accession de la part du Saint Siège aux Traités actuels et futurs, stipulés par l'Italie en matière de commerce, de navigation et de Douane; liberté absolue de trafic entre les deux territoires; liberté et franchise absolues au profit du commerce de colportage exercé par les ressortissants de l'un des deux Etats sur le territoire de l'autre; traitement national assuré, réciproquement et sans aucune restriction, aux batiments appartenants aux deux pays.

3°) Extension aux provinces pontificales de la législation italienne en ce qui concerne le contròle des métaux précieux; établissement d'une Administration unique fonctionnant dans les deux Etats pour les monopoles qui sont du ressort de la régie; égalité parfaite dans l'application des droits de consommation aux produits des deux territoires.

4°) La répartition des produits douaniers de l'union entre les deux Administrations pourrait étre effectuée sur une base à déterminer d'après les principes admis en général, en pareille matière. Sans fixer en faveur de l'Administration pontificale un minimum absolu, ce qui présenterait plusieurs inconvénients, on pourrait adopter un système de répartition d'après lequel la quote-part dévolue à l'Administration pontificale se composerait de deux éléments: le premier serait une partie du produit net total des douanes de l'union, proportionnelle à la population, le deuxième serait une prime sur les perceptions effectuées directement par les douanes pontificales du còté de la mer. Le coefficient de cette prime devrait étre, à son tour, l'objet d'accords spéciaux, à l'occasion desquels on pourrait tenir compte de la perte de 100.000 francs environ que l'Administration pontificale supporterait par suite de l'abolition de la douane du còté de terre. Un exemple fera mieux comprendre le mécanisme pratique du système qu'on propose. Nous prendrons pour base les chiffres approximatifs résultant des données que nous possédons. Supposons que le total des produits nets perçus par l'union douanière, dans le courant d'un mois, se monte à 6.600.000 francs, supposons encore que les populations respectives du Royaume et de l'Etat Pontificai soient dans le rapports de 30 à l; admettons que la prime ai t été arrétée au chiffre de 20 %; supposons enfin que les perceptions des Douanes pontificales se montent, pendant la mème période d'un mois, à 200.000 francs. D'après l'application du coefficient seul des populations respectives la quote-part affé

1 rente au St. Siège serait de 6.600.000 x = 220.000; mais la prime du 20% se montant, 30

20 dans l'hypothèse actuelle, à 200.000 x il faudrait encore ajouter 40.000 au chiffre

100 de 220.000. Ce serait donc un total de 260.000 francs qui seraient dévolus au Trésor pontificai. La liquidation et la répartition des avoirs respectifs des deux Administartions aurait lieu chaque mois.

5°) De son còté le St. Siège, tout en conservant son autonomie, au point de vue de l'Administration aussi bien qu'à celui de la perception, consentirait à ce que le Gouvernement italien déléguat des contròleurs auprès de ses bureaux des Douanes. Une Commission mixte serait, en outre, établie à Florence, sous la Présidence du Directeur Général des Douanes Royales, afin de régler les affaires concernant les intéréts généraux de l'union douanière, et surtout les comptes entre les deux Administrations.

B. Indépendamment de ce premier système d'union douanière, on pourrait en réaliser un autre plus simple auquel le Gouvernement italien donnerait la préférence. Ce système consisterait à concentrar le service douanier sur toute l'étendue de l'union dans les mains de l'Administration Royale, sauf à allouer une somme fixe au Gouvernement Pontificai. Dans cette hypothèse, l'unification absolue devrait comprendre également les services de la régie.

C. Dans le cas où il ne serait pas possible de réaliser dès aujourd'hui aucun de ces deux systèmes d'union douanière, on pourrait accepter, comme un acheminement vers des rapports plus intimes, les arrangements suivants:

1°) Les marchandises importées, et celles en transit, dont le transport aurait lieu par Chemin de fer sur des Wagons susceptibles d'etre plombés, seront affranchies à la frontière de toute formalité de déclaration, déchargement, visite, ou scellé des colis. Ces formalités pourront etre remplies, le cas échéant, au bureau du lieu de destination,

2°) On établirait des Douanes mixtes à Passo Corese, Ceprano et Orbetello (ou bien à Montalto), ainsi qu'un bureau mixte à la gare de Rome pour la visite des bagages;

3°) La frontière, sur le chemin de fer qui longe le Tibre, étant donc censée étre établie à Passo Corese, la visite des voyageurs n'aurait lieu, au bureau d'Orte, que pour ceux qui monteraient ou descenderaient à cette dernière gare;

4°) Les colis scellés, en transit ou destinés aux entrepòts de la Douane, seraient affranchis de toute visite;

5°) Les produits naturels du sol, à l'exception de ceux soumis au manopole de la régie, ainsi que tous les objets qui seront désignés, d'après les exigences locales, et surtout en vue des besoins de l'agriculture, seraient admis en franchise, sous la réserve, cependant, de règlements spéciaux, à établir d'un commun accord;

6°) Les autres produits et les échantillons seraient égaiement admis en franchise s'ils sont destinés aux foires, aux marchés ou aux entrepòts: cependant la franchise accordée dans ces cas serait seulement provisoire, c'est à dire qu'elle serait subordonnée à la condition que les droits seront payés, le cas échéant, et conformément aux règlements qui seront concertés à cet égard, si les objets dont il s'agit auront été vendus.

7°) Les objets exempts de droits, pourront etre introduits d'un Etat dans l'autre sur quelque point que ce soit de la frontière; 8°) Le tabac et le sel de la régie pourraient traverser en franchise le territoire pontificai. 9°) Les deux Administrations se concerteraient pour la répression de la contrebande.

Il serait entre autres convenu que la libération des acquits à caution délivrés pour les marchandises introduites dans l'un des deux Etats pour etre réexportées dans l'autre devra étre toujours subordonnée à la constatation du paiement des droits pour l'entrée dans ce dernier Etat (1).

Postes

L'échange des correspondances entre les deux territoires a lieu depuis les accords passés entre l'Administration italienne et l'Administration pontificale au mois d'Avril 1867, à des conditions assez satisfaisantes. Le tarif, entre autres, est le méme que celui

qui est en vigueur pour l'intérteur du Royaume. Quelques améliorations seraient toutefois encore à souhaiter; voici les principales: 1°) Les bureaux ambulants sur les chemins de fer devraient avoir la faculté de poursuivre sans interruption leur course entre Florence et Naples et vice-versa. 2°) On devrait autoriser, de part et d'autre, l'émission de bons ou mandats sur les bureaux de la Poste de l'autre Etat.

Télégraphes

Les conditions actuelles du service télégraphique entre les deux territoires sont aussi satisfaisantes que celles du service postal. L' Administration italienne désirerait toutefois que la réduction du tarif qui vient d'étre arrétée pour les dépéches échangées à l'intérieur du Royaume, fùt appliquée égaiement aux dépéches échangées entre le Royaume et l'Etat pontificai. D'après ce nouveau tarif, la taxe serait fixée à l frane pour les Dépéches simples.

L' Administration i tali enne désirerait aussi étre autorisée à établir le long d es chemins de fer des fils télégraphiques de jonction entre les différentes lignes intérieures du Royaume; ces fils seraient exclusivement réservés aux dépéches échangées entre les provinces septentrionales et méridionales du Royaume.

Extraditions

La matière des extraditions devrait etre réglée par des arrangements plus précis que par le passé. La St. Siège a dernièrement consenti, à la vérité, à l'extradition de plusieurs malfaiteurs dont la remise lui avait été demandée; mais des cas isolés de refus ou de simple expulsion sans avis préalable, qui se sont également produits, font désirer au Gouvernement italien la conclusion d'accords ayant pour effet d'empécher, à l'avenir, la répétition de semblables inconvénients.

Les stipulations qui sont plus généralement en vigueur entre les Etats européens, pourraient étre prises comme base pour spécifier les crimes auxquels l'extradition devrait étre appliquée.

Le Saint Siège s'engagerait, en outre, à ne pas faire de distinction entre les malfaiteurs dont le Gouvernement du Roi demanderait l'extradition, quelque soit la province à laquelle ils appartiendraient, et il s'interdirait la faculté d'expulser de son territoire des sujets italiens sans en donner un avis préalable aux Autorités royales.

Repression du brigandage

Les Conventions militaires renouvelées dernièrement entre les Commandants des troupes respectives, en vue de la répression combinée du brigandage sur la frontière, devraient étre maintenues. On pourrait également stipuler, sans toutefois étendre les limites de ces arrangements, que des accords spéciaux pourraient étre pris directement entre les Commandants respectifs dans des circonstances particulières, afin de mieux assurer la coopération des troupes échelonnées des deux còtés de la frontière.

Transit des troupes italiennes

On pourrait emprunter le territoire pontificai pour le transit des troupes italiennes des provinces septentrionales aux provinces méridionales du Royaume. Il serait toutefois convenu que ce transit aurait lieu exclusivement par chemin de fer.

Passeports

Les passeports seraient abolis; les moyens admis par les règlements intérieurs de l'un des deux Etats pour constater l'identité personnelle de chaque citoyen suffiraient pour la libre circulation dans le territoire de l'autre.

Il serait expressément convenu que les ressortissants respectifs, dont l'identité aurait été constatée, jouiraient du meme traitement que les habitants du pays pour ce qui concerne le commerce, la navigation, le libre établissement, l'accès aux tribunaux et bureaux publics, et les impòts ou contributions de tout genre.

Les arrangements dont il est question dans ce mémoire devraient étre pris entre les chefs des Administrations respectives qui seraient en outre autorisés à s'entendre directement entre eux, pour faciliter l'exécution et étendre l'application de ces arrangements.

Si le modus vivendi qu'on propose était établi entre les deux territoires contigues, l'amélioration des rapports économiques, qui en serait le résultat nécessaire offrirait au Saint Siège, non seulement des bénéfices matériels dont il ne saurait méconnaitre la valeur, mais encore et surtout des gages sérieux de sécurité qui remplaceraient avantageusement les garanties douteuses que les postes douaniers actuellement existant le long de se frontière peuvent lui fornir. La tàche des Autorités civiles et militaires chargées de faire respecter l'ordre et l'inviolabilité des deux Etats serait, en effet, grandement facilitée par la cessation de cet état de surexcitation que les intéréts lesés entretiennent chez les populations.

(l) -Per la risposta cfr. n. 371. (2) -Ed. in LV 14, pp. 58-65. (3) -Cfr. n. 68. (l) -Con r. 698 del 21 giugno Nigra comunicò: «Diedi jerl lettura di questi due documenti a S.E. il Marchese di Moustier, a cui ne lasciai copia conformemente al desiderio da esso man1festatoml. Il Ministro Imperlale degli affari esteri m'incaricò di ringraziare l'E. V. per questa importante comunicazione, e mi disse che si riservava di sottomettere i documenti stessi a

(l) Cfr. due relazioni del Direttore Generale delle Gabelle Bennatl d! Baylon del 26 e 30 maggio a Menabrea sulla questione del rapporti doganali con la Santa Sede.

369 IL MINISTRO A CARLSRUHE, ARTOM,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 24. Carlsruhe, 15 giugno 1868 (per. il 19).

Esponendo all'E. V., col mio Rapporto n. 9 serie politica (1), le considerazioni suggeritemi dalle condizioni attuali della Germania meridionale, io non dissimulavo a me stesso che quelle osservazioni erano forse troppo generiche perché il Governo del Re potesse desumere da esse un'immagine esatta e fedele dello stato presente di questi paesi. Io mi proponevo quindi di completare quel mio rapporto con altre indicazioni d'indole confidenziale, desumendole, per quanto mi fosse possibile, da colloqui privati con personaggi autorevoli. Se non che, la necessità in cui mi sarei trovato di assentarmi spesso e per molti giorni dal posto assegnatomi, ed il pericolo d'invadere il campo d'attività di altri miei colleghi m'impedirono finora di eseguire il mio disegno. Io mi limiterò quindi a riferire all'E. V. quanto venne a mia notizia per vie indirette, o mediante conversazioni con persone abitanti fuori del Granducato, e che ebbi la fortuna di conoscere qui od a Baden.

Mi parve in primo luogo importante di cercar di sapere in qual modo le popolazioni dell'Assia Cassel, del Nassau, di Francoforte e di parte dell'Assia Darmstadt abbiano accolto il nuovo ordine di cose che fu la conseguenza del trattato di Praga.

Temuti e rispettati dappertutto, i Prussiani non sono in generale amati dagli abitanti di quei paesi. Però, ove si eccettu la città di Francoforte, ove le ire prussiane oltrepassarono forse i limiti della buona politica, niuno nell'Assia Elettorale e nel Nassau fa voti per un ritorno dell'antico Governo o per un intervento francese. Si sopportano come una dura necessità le nuove tasse ed i pesi imposti dalla organizzazione militare e se le simpatie per l'Austria sopravvissero presso alcuni alla battaglia di Sadowa, il concetto della potenza austriaca fu quasi completamente cancellato dagli ultimi avvenimenti. Un'Austria ch'è costretta a scendere a patti cogli Ungheresi ed a discutere con essi non solo sulla politica interna ma sull'indirizzo a darsi alla politica estera ha perduto anche quel po' di prestigio che Magenta e Solferino avevano lasciato all'antica famiglia di Habsbourg. Le ultime leggi finanziarie sancite dal Parlamento viennese debbono poi finire di rompere quella solidarietà d'interesse che tuttora lega i capitalisti di questi paesi al sistema finanziario austriaco. L'ideale della potenza prussiana giganteggia invece ed invade essa sola le fantasie della popolazione della Germania meridionale; e la Prussia preferisce incutere timore e rispetto anziché pro cacciarsi con concessioni che stima pericolose una popolarità che non tiene in gran conto. Evitando studiosamente d'imitare il procedere di certi Governi provvisorii i quali scemano o tolgono le tasse e cercando facili applausi lasciano poi difficoltà infinite alle amministrazioni ulteriori, la Prussia impiantò ruvidamente nei suoi nuovi acquisti tutte le sue istituzioni militari e finanziarie. Essa serba cosi intatta la sua ottima organizzazione e se offende forse da principio gli interessi e le suscettibilità delle

nuove popolazioni, getta però le radici della vera unificazione. È noto infatti che le provincie della Slesia austriaca divenute prussiane nella seconda metà del secolo scorso, e le provincie sassoni staccate nel 1815 dal regno di Sassonia e riunite alla Prussia, dopo avere per molti anni rimpianto i precedenti dominii sono ora le più affezionate ed entusiaste del governo degli Hohenzollern. Mentre quasi tutte le altre città del Regno formularono proteste contro la guerra del 1866 e nella stessa città di Berlino si accusava il Municipio di fomentar disordini fra gli operai per far nascere un'insurrezione e rovesciare il Ministro Bismarck, Breslau fu la sola città che abbia votato indirizzi al Re a favore della guerra. L'esperienza storica autorizza dunque a credere che fra alcuni anni le popolazioni del Nassau, dell'Assia Casse! e dell'Assia Darmstadt avranno presa l'abitudine e del servizio militare e della burocrazia prussiana e ne sentiranno i vantaggi. In ogni caso poi una guerra fra la Francia e la Prussia non farebbe, giova ripeterlo, che accelerare il processo di unificazione.

Ignoro se possa dirsi lo stesso dell' Annover e dei nuovi possedimenti prussiani nel Nord. L'E. V. è troppo bene informata da Berlino perché io osi estendere fin là le mie indagini.

La cosa mi sarebbe d'altronde assai malagevole, e benché io desideri, per molti rispetti soggiornare qualche tempo a Frankfurt od a Colonia, non oserei senza il permesso del Governo, assentarmi lungamente dal mio posto.

Ma il concetto della formidabile potenza prussiana non s'arresta sulle sponde del Meno. Malgrado le stipulazioni di Praga esso ha valicato il fiume e tutte le popolazioni della Germania meridionale sentono timore e rispetto della forza prussiana. V'ha poca differenza, sotto questo rapporto fra l'una e l'altra riva del Meno. Nel Nassau e nell'Assia Casse! s'istituiscono confronti fra il nuovo Governo ed i deboli e ridicoli Governi cessati. Nel Wurtemberg e nella Baviera lo stesso paragone si fa fra le istituzioni e le dinastie locali e le istituzioni d'un grande Stato avente un grande esercito, un grande Ministro, un Re glorioso ed ormai popolarissimo. I deputati ritornati dallo Zollverein, se poterono vantarsi presso i loro elettori d'avere impedito che quell'Assemblea doganale si mutasse in un parlamento politico, dovettero però fare dei singolari confronti fra quanto videro a Berlino e quello che trovarono nei loro paesi. «La Baviera», mi diceva pochi giorni sono il Signor Mohl, già ministro Badese a Frankfurt ed ora accreditato a Monaco, «è una piccola Austria non rigenerata da Solferino e da Sadowa. L'istruzione popolare è obbligatoria, ma è tutta in mano del clero. Le classi medie non mostrano alcuna attività industriale ed economica, l'aristocrazia vi è povera, corrotta, non colta. A Corte v'ha ancora qualche simpatia per l'Austria, non v'ha però un partito francese. Il Re non s'occupa d'affari; passa i giorni col Wagner e fantastica di diventare Imperatore della Germania del Sud. Non è guarì più amato dal suo popolo, né più esperto di cose politiche il Re del Wurtemberg. I cortigiani serbano ancora le simpatie austriache ed odiano con pari ardore la Francia e la Prussia. Il partito radicale è fortissimo nel paese; esso mira a dare alla Germania le istituzioni repubblicane e federative della Svizzera. Si sospetta la Francia di favorire segretamente queste tendenze».

Il solo Stato che abbia elementi veri di vita è il Baden. I Prussiani non vi sono forse più amati che altrove, ma l'impulso energico dato dal defunto Signor

Mathy spinge l'opinione pubblica nelle vie unitarie. Tutti coloro d'altronde che conformano le loro opinioni a quelle del Sovrano, nascondono, se ancora le hanno, le loro simpatie per l'Austria, e si mostrano favorevoli alla politica che il Granduca, genero del Re di Prussia, abbracciò con ardore.

I radicali vi sono poco numerosi, né possono costituire un partito di opposizione in un paese in cui la dinastia è assai popolare ed il Sovrano si è fatto il capo del partito nazionale. Ma la morte del Mathy fu una grande perdita pel Granduca. La direzione politica data da quell'uomo di Stato, passando in altre mani, non guadagnò di fermezza e perdette il prestigio dell'autorità. Piace alla Prussia che almeno uno degli Stati meridionali si mostri impaziente di entrare nella Confederazione del Nord; ciò porge al Conte di Bismarck frequenti occasioni di far mostra della sua moderazione e di provare alla Francia ch'egli, anziché accrescere il moto unitario, ha gran pena a frenarlo. Ma <:odesta parte politica assegnata al Baden ed adempiuta forse con zelo ingenuo e soverchio, non è seevra d'inconvenienti né all'interno né all'estero. Essa non appaga pienamente le popolazioni del Granducato, le quali volentieri e di buon animo si associerebbero al resto della Germania se l'annessione alla Prussia divenisse ad un tratto od una politica necessità (come in caso di guerra) od il desiderio unanime del mezzodì; ma che da sole rinuncerebbero con pena alla loro presente autonomia. Rispetto alla politica estera poi è evidente che uno Stato di frontiera, la cui capitale dista di sole poche miglia dalle fortezze francesi, va incontro a non pochi inconvenienti armeggiando per un'annessione che la Prussia stessa non osa favorire, anzi sconfessa palesemente. Io ho creduto di bene interpretare le intenzioni del Governo del Re facendo notare questa circostanza geografica, nel tempo stesso che non taccio le mie simpatie per l'unità tedesca. Mi sono trovato in ciò d'accordo col Barone Schweizer, Ministro del Baden a Parigi da quasi quarant'anni. Questo vecchio diplomatico che travasi ora in congedo a Carlsruhe, mi tenne in una lunga visita da lui fattami, a un dipresso questi stessi discorsi. Anch'egli è convinto che con molta prudenza qui ed a Berlino la guerra si potrà evitare, senza che per ciò sia meno certa, benché più lenta, l'unificazione politica della Germania. Importa però che l'unificazione morale preceda quella dei territori; ed è questo, a mio avviso, il fine cui mira la politica prussiana.

Sarei grato alla E. V. s'Ella degnasse farmi conoscere se questo mio modo di giudicare è conforme alle tendenze generali deUa politica del R. Governo.

(l) Cfr. n. 224.

370

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 94. Belgrado, 15 giugno 1868 (per. il 22)

Se si deve giudicare dal numero degli arresti che si fanno, le ramificazioni della congiura si estendono più particolarmente fra i partigiani del Karagiorgievitch. L'ordine e la tranquillità continuano inalterabili tanto a Belgrado che nell'mterno del paese.

La copia d'un telegramma che si vuole sia stato spedito da Semlino a Pest dopo l'esecrabile assassinato e diretto al segretario o cassiere del Karagiorgievitch, è pervenuta a mani di questo Governo: esso dice presso a poco cosi:

«La prima partita della mercanzia è venduta, l'altra partita è ancora da esitare, siamo dentro, inviate altre merci per Kubin ». firmato: Costa (nome simulato)

Ora il Segretario o Cassiere del Principe Alessandro Karagiorgievitch non è stato mai negoziante; Kubin è un gmèl villaggio dei confini militari austriaci sulla riva del Danubio quasi dirimpetto a Semendria, cioè tra Semendria e Pojarevatz (due città del Principato), quella non è la strada doganale per nessuna merce: evidentemente il telegramma allude a cose che riguardano la cospirazione, e si potrebbe interpretare in questa guisa.

Il Principe è spento.

La seconda parte cioè la rivoluzione o l'uccisione dei ministri non ha potuto ancora aver luogo. Inviate per Kubin denari (oppure uomini). Siamo nell'interno del paese. Il Governo chiese all'autorità di Semlino l'originale di questo dispaccio

ch'e,va stato spedito, credo, il giorno 11 corrente, ma l'autorità rispose che non esisteva all'ufficio del telegrafo di Semlino un tale dispaccio; eppure questo Governo ha delle ragioni per essere convinto che il telegramma è stato spedito dall'ufficio di Semlino.

Il nipote del Principe Alessandro Karagiorgievitch, Giorgio Karagiorgievitch, ammogliato colla figlia del maggiore Miscia è venuto a Semlino, e quest'oggi correva la voce che anche il Principe Alessandro si trovava colà. Dalle informazioni che ho assunte questa voce non ha fondamento alcuno; ma il nipote vi era di fatto, ed è partito da Semlino col suo suocero Miscia.

Insomma tutti i giorni aumentano gl'indizi sulla complicità del Principe Karagiorgievitch. Io credo che il partito repubblicano rappresentato dal giornale la Zastva di Neusatz si è inteso ed unito a quello del Karagiorgieviteh per tentare la rivoluzione in Serbia contro il Principe Michele, e che tutti e due sono gravemente compromessi nell'orribile ed infame uccisione.

Il 2 luglio prossimo venturo l'assemblea nazionale sarà riunita a TopeiderP per proclamare il successore del compianto Michiele Obrenovitch ed occorrendo eleggere la Reggenza.

Secondo il mio modo di vedere i soli che possono aspirare ad essere eletti coreggenti sono i seguenti:

0 ) Garachanine Presidente del Consiglio dei ministri, ministro per gli affari esteri e senatore in ritiro, è conosciuto favorevolmente da tutta l'Europa. 2°) Marianovitch Presidente del senato è giudicato russo-filo. Egli ed i1 Garachanine sono i due uomini più eminenti della Servia.

3°) Milivol ministro della guerra, è giudicato molto abile e molto intelligente, ma ambizioso e senza principi per cui si pretende che per pervenire poco gli costerà di appoggiarsi alla Russia, all'Austria, alla Turchia o ad altra potenza; purché giunga a soddisfare la sua ambizione, dicono molti, egli non baderà ai mezzi. Io viconosco che vi è molta verità in questo severo giudizio, ma vi è anche dell'esagerazione. Del resto gli avvenimenti che stanno per com·· piersi lo faranno meglio conoscere, egli è in questo momento il più forte fra i suoi competitori, perché da quanto si afferma l'armata gli è favorevole.

4°) Ristich Giovanni è l'amico di Milivoi è popolare fra il partito liberale, l'E. V. già lo conosce (vedi i rapporti confidenziali del...) (1).

5° Tzernobaratz senatore, ministro dell'istruzione pubblica e del culto giureconsulto distintissimo, uomo liberale, di non comune capacità, ma ambizioso; io lo stimo buon patriota, altri pretendono, e più particolarmente i suoi nemici, che il soverchio amore che ha per l'oro, e la sua ambizione potrebbero farlo deviare dal suo patriottismo; io non sono di quest'avviso, perché conosco ch'egli ha molto amor proprio per essere capace di bruttarsi con azioni indegne d'un buon cittadino e d'un uomo di stato: ha poi un carattere indipendente e piuttosto orgoglioso.

6°) Christich Filippo è stato il predecessore di Garachanine come presidente del consiglio dei ministri e ministro per gli affari esteri, è senatore appartiene al piccolissimo gruppo dell'opposizione del senato il cui capo era Tzernobaratz, è creduto piuttosto liberale ed anti-russo, uomo di poca energia e di mediocre capacità cognato del Ristich.

7°) Stevca presidente del Senato in ritiro, predecessore del signor Marinovitch; vecchio senza capacità, creatura della Russia, bandiera dell'Omladina Serbska (gioventù serba) cioè del partito liberale, ma io non credo ch'egli sappia cosa vuol dire libertà. Il Principe Michele un giorno mi raccontava di lui, che essendo stato attaccato vivamente da un giornale, si presentò a Sua Altezza per chiedere giustizia delle cose poche lusinghiere che il giornale suddetto gli diceva. Il Principe gli rispose: non giungo a capire le vostre istanze, prima di tutto se vi trovate offeso dovete rivolgervi al tribunale competente, in secondo luogo voi che siete liberale, che volete la libertà della stampa non vedete che le vostre lagnanze dimostrano che difendete dei principi che non conoscete, questo di cui vi dolete è uno dei piccoli inconvenienti della libertà della stampa di cui siete partigiano.

Infine il maggiore Miscia: ma questo Creso che la fortuna colossale acquistata non ha punto ingentilito, che ha ancor la ruvida corteccia ed i rozzi principi del marinaro del Danubio, del contrabbandiere di sale, occupazioni ch'egli eserciva nella sua gioventù, e prima che il Pascià di Vidin gli rimettesse una certa somma dicendogli: « non è meglio che tu faccia il commercio onorevole invece del contrabbando? Prendi questi denari, traffica, se avrai intelligenza e pertzia potrai moltiplicarli ed allova me li restituirai»; non sarà mai altra cosa che uno speculatore.

Egli ebbe molta intelligenza per arricchirsi, ma non ha nessuna istruzione, è coll'aumentare in ricchezza che si accrebbe la sua ambizione. Egli è devoto alla Turchia, ma non avendo i requisiti dalla legge voluti, è impossibile ch'egli sia eletto a CO['eggente, a meno che il suo oro e l'appoggio della Sublime Porta siano più possenti della legge, il che non credo. Ma siccome si parla anche di lui così io pure ho creduto di farne menzione.

Sono dunque sette quelli fra i quali è probabile che si sceglieranno; i tre che, a termini della legge, devono comporre la Reggenza, se non che fra essi vi sono delle incompatibilità, ad esempio. Il Ristich ed il Cristich Filippo credo che non potrebbero essere tutti e due ad un tempo coreggenti, nè uno coreggente e l'altro ministro perchè parenti (cognati).

Nasce poi il dubbio se la legge che vuole che i coreggenti siano eletti tra i membri del ministero, del senato, della corte di cassazione e d'appello intende escludere quelli fra questi membri che ora sono in ritiro, come il Garachanine e lo Stevca. Il Signor Garachanine, che da quanto pare non desidera di far parte della Reggenza, accampa quest'obiezione per provare la sua incampa tibilità.

Marinovitch poi ha dichiarato ch'egli non accetterà d'essere coreggente senza il Garachanine.

Per contro Milivoi fece capire che se il Garachanine farà parte della Reggenza, egli non solo rifiuterà d'essere coreggente, ma anche d'essere ministro, e temo che Ristich farà la stessa obiezione, perchè questi due sono nemici dichiarati di Garachanine.

Eppure Garachanine quantunque inviso al partito liberale, è popolarissimo nel paese e fuori di esso, ed è l'uomo più energico, il più capace, il più adatto al disimpegno di cosi importanti ed ardue funzioni.

Quindi se non si giunge a conciliare queste tre personalità, non sarà impossibile che allorquando si tratterà di nominare la Reggenza sorgano delle serie e delle deplorabili complicazioni che potrebbero scindere il grande partito del Milan in oggi al potere, e che è composto degli uomini più eminenti della Servia. Questa sventura potrebbe trarre a rovina il paese.

Milan non ha che 15 anni li compisce in agosto prossimo venturo, è vero che dimostra aver talento e piuttosto buona indole (me lo ha detto or sono due anni il suo precettore Huet) ma chi può affermare che queste doti si svilupperanno e perfezioneranno? non potrebbe invece riuscire un cattivo Principe? Questa incertezza ha anche il suo peso.

L'elezione del Karagiorgevitch padre la credo impossibile. Io non conosco nessuno della famiglia Karagiorgievitch, ma di lui si parla come d'un uomo inetto, devoto all'Austria e alla Turchia.

Il suo figlio Pietro ha fatto i suoi studi alla scuola politecnica di Parigi ha inviato ultimamente all'accademia della gioventù serba una traduzione del libro intitolato « la libe•rtà » di Stuart Mill. E' questo Principe che i pa.rtigiani di Karagiorgievitch vorrebbero porre sul trono di Serbia. Ma se veramente è compromesso nell'atroce massacro del 10 corrente, come tutto sin qui tende a farlo supporre, egli non sarà certamente eletto, e poi si crede ligio all'Austria, il che è un grande ostacolo per giungere al trono di questo Principato.

Prima di tutto non credo possibile che nessuno della famiglia Karagiorgievitch abbia la menoma probabilità d'essere proclamato sovrano della Serbia, ma se contro ogni evidenza, un membro di questa famiglia giungesse ad afferrare la corona del Principato cosa potrebbe avvenire?

Io dubito che il grande partito rappresentato dagli uomini più notabili della Serbia, vorrà scendere dal potere, vorrà cedere pacificamente il terreno, vorrà lasciarsi perseguitare; è probabile che una piccola parte di esso, per patriottismo, non farà alcuna opposizione, resterà neutrale, ma la grande maggioranza resisterà e la guerra civile avrà luogo.

Dunque l'elevazione al trono di Milan Obrenovitch è la Reggenza di 3 anni (perchè il Milan compierà 15 anni nel prossimo mese di Agosto) con tutti gl'inconvenienti relativi alla medesima, ed alla tenera età del Principe.

L'elevazione d'uno dei Karagiorgievitch è la guerra civile.

La Turchia si opporrebbe alla nomina d'un princLpe stmniero e d'altronde non è menomamente questione di ciò. I serbiani vogliono un Principe nazionale, sin'ora vogliono un Obrenovitch. Le simpatie della Turchia sono per Miscia e per Karagiorgievitch.

Quelle dell'Austria sono sin qui meno apparenti, ma credo di non errare affermando che anch'esse sono per Karagiorgievitch. Quelle della Russia sono evidentemente per il Milan Obrenovitch e per la Reggenza.

Quanto alle simpatie della Francia e della Prussia nulla posso dire fin'ora.

Per quel che concerne l'Inghilterra Lord Stanley ha ordinato al Console inglese di rispettare la volontà del popolo serbo, di non dire verbo, di non far cosa che possa direttamente o indirettamente influenzare l'elezione del suo Principe la quale dev'essere lasciata affatto libera.

In una circolare diramata ai capi dell'esercito, il ministro della guerra fa capire chiaramente, che l'intendimento del Governo è che il successore del compianto Principe Michele sia Milan Obrenovitch.

Pare che questa circolare, l'esistenza della quale vien ora negata dal Governo, fece cattivo senso in taluno de' miei colleghi e specialmente in quello d'Austria. Fece pure cattivo senso in taluno de' miei colleghi due articoli furibondi del Vidov-dan contro Karagiorgievitch, e nei quali si dice che solo Milan Obrenovitch è, e dev'essere proclamato Principe di Servia (acchiudo una traduzione del l o di questi articoli).

Il Governo è stato male inspirato di permettere la riproduzione di detto articolo nel giornale ufficiale. Mi sembra ch'egli dovrebbe astenersi il più che possibile dal farsi patrocinatore evidente della candidatura del Milan. Tutti sappiamo ch'egli è il candidato del partito ch'è al potere, ma ostensibilmente il Governo dovrebbe evitare d'influenzare l'opinione pubblica, non che la libera elezione della Skouptschina per non dar appiglio ai partiti avversari (quello di Karagiorgievitch ed il cosidetto Repubblicano quest'ultimo è pigmeo), ed a coloro che li appoggiano.

Il comandante dell'esercito è il colonnello Giorgievitch serbo di nascita, ma è stato lunghi anni nell'armata russa; era maggiore quando ha abbandonato, or fanno circa 6 anni, la Russia per prendere servizio in Servia col grado di tenente colonnello, egli ha conservate vive simpatie per quel paese. Questi osservò al Ministro Milivoi in merito alla circolare, che l'esercito era pronto ad ubbidire al Governo, ma che non gli pareva cosa prudente di mischiare l'armata nell'elezione del Principe, nè di farla parteggiare più per uno che per

l'altro; la sua missione, egli disse, è di ubbidire ciecamente al Governo costituito e nulla più. Mi pregio acchiuderle un annesso cifrato ...

P. S. Vengo in questo momento informato che la SubHm.e Porta ad onta delle sue ben conosciute simpatie ha fatto sapere al Governo serbo per mezzo del comissario Aly Bey ch'essa lascia piena libertà al popolo serbo di scegliere il suo Principe.

II signor Ristich ha ricevuto l'ordine di recarsi a Parigi per accompagnare il futuro Principe Milan Obrenovitch a Belgrado, e di qui il Governo ha inviato allo stesso scopo colà il capitano d'artiglieria Tikomir Nicolitch marito di una cugina del Principe figlia di Giovanni Obrenovitch ed un membro della corte d'appello, signor Moja Gabrilovitch, devoto alla famiglia Obrenovitch, e siccome si vociferava che si voleva attentare alla vita anche del fanciullo Milan cosi il Governo prese ad ogni evento le necessarie cautele.

(l) La data manca nel testo.

371

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO

T. 659. Firenze, 16 giugno 1868, ore 10,55.

Je vous ai écrit hier (l) pour condoléances au Gouvernement serbe. Dites aux régents que le Gouvernement du Roi vous a prescrit d'exercer votre action dans le sens de conserver au peuple serbe la liberté la plus absolue dans l'exercice de ses droits électoraux.

372

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA

D. 57. Firenze, 16 giugno 1868

I di Lei rapporti politici mi pervennero regolarmente sino al n. 176 inclusivamente. La ringrazio per le informazioni che i medesimi contengono tanto sulle cose interne di codesto regno, quanto sulla situazione degli affari di Creta.

Nella mia spedizione d'oggi Ella troverà un rapporto del R. Incaricato d'affari in Londra il quale, in data del 9 corrente (2), mi scrive come quel Gabinetto nutrisse serie preoccupazioni per lo stato presente del Regno Ellenico. A questo riguardo io non saprei tacerle come, non molto tempo addietro. lo stesso R. rappresentante parlando con uno dei personaggi più distinti del partito Wigh che ebbe la parte principale nella cessione delle isole Ionie ebbe a

\l) Cfr. d. 24, in realtà del 14 giugno, che non si pubblica.

sentire esprimere giudizi severi intorno al Governo greco e persino manifestare rincrescimento per la fatta cessione (1).

Di un tale stato di cose noi pure dobbiamo preoccuparci perocchè il Governo del Re non potrebbe certamente essere indifferente ad un qualsiasi rivolgimento che potesse avere per conseguenza mutamenti più gravi.

È anche in vista di tutto ciò ch'io non saprei nasconderle la spiacevole impressione che ha prodotto in me la lettura di un rapporto direttomi dal

R. Console in Corfù in data delli 11 corrente (2). Gli adoperamenti del partito reazionario in quell'isola sono ormai abbastanza noti perché sovr'essi debba fermarsi la nostra attenzione. Poche settimane or sono gli organi della pubbilcità devoti alla causa dei principi spodestati d'Italia, hanno insistito con una particolare cura sulle visite fatte a quell'isola da taluno fra quei principi e sulle accoglienze vere o pretese delle quali i medesimi sarebbero stati oggetto per parte di quella popolazione. Ciò potrebbe essere un lontano preludio allo stabilimento eventuale di un principato indipendente di nome, che però di fatto obbedirebbe ad influenze ostili al reggimento attuale d'Italia e servirebbe al disegni de' nostri nemici.

Non saranno queste che previsioni poco fondate e forse anche unicamente suggerite da un fortuito concorso di circostanze diverse, ma in argomento di siffatta importanza è bene in ogni caso tenere gli occhi aperti anche per potere all'uopo impedire illusioni ed aspirazioni contrarie assolutamente ad ogni nostro interesse.

Vorrei pertanto ch'Ella riprendendo seriamente a parlare coi Ministri del Re Giorgio della loro condiscendenza nel lasciare che in Corfù e nelle altre isole Ionie si creino istituti di propaganda reazionaria, loro facesse chiaramente intendere i pericoli ai quali volontariamente espongono l'unità del Regno Ellenico con grave pregiudizio delle simpatie che il loro paese inspira ai Governi liberali di Europa. Nella stessa occasione Ella dovrebbe ripetere in nome nostro quei consigli di prudenza e di moderazione che sono conformi alle esigenze della situazione presente dell'Europa e particolarmente della Grecia. Quando il Gabinetto di Atene sappia mantenersi in questa via, non avrà a temere conseguenze funeste in previsione delle quali forse si preparano da agenti reazionari disegni contrari così allo sviluppo delle nazionalità elleniche, come all'interesse politico del nostro paese. Epperò Ella vorrà far conoscere al Gabinetto di Atene la poco gradita sorpresa che ha prodotto in noi il vedere che, non tenendo conto de' nostri. avvisi precedenti, egli si sia ormai deciso a lasciar creare in Corfù un altro stabilimento unicamente destinato a rinvigorire l'azione della reazione in quelle Isole tanto vicine all'Italia. Noi avremmo avuto ragione di credere che la voce di un governo sinceramente amico ed interamente favorevole alla Grecia sarebbe stata meglio ascoltata. Ed Ella soggiungerà che noi saremmo veramente dolenti di dover acquistare il convincimento che i nostri avvisi al Gabinetto di Atene non bastano perché egli sappia trovare quanta energia occorre per resistere all'azione che sovra di lui esercitano non già altri governi costituiti ma bensì soltanto persone devote a propagande reazionarie più o meno accette.

(2) Non pubbl!cato.

(l) -Cfr. n. 333. (2) -Non pubblicato.
373

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1169. Londra, 17 giugno 1868, ore 15 (per. ore 17).

Reçu v otre dépéche politique n. 93 (l). Stanley m'a di t que dans la question du nouveau gouverneur du Liban il s'est associé au parti adopté par la France et l'Autriche, c'est à dire de faire remarquer à la Porte que les conditions du protocole à l'égard de la consultation des Puissances préalable à nouvelle nomination doivent étre observées. Ceci n'a été fait d'une manière collective, mais séparément par chaque Gouvernement. Cette démarche n'a pas le caractère d'une protestation, mais tend seulement à faire constater les droits des Puissances.

374

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1172. Parigi, 18 giugno 1868, ore 18,35 (per. ore 19,48).

Moustier m'a dit qu'il envoyait instructio.ns à l'ambassadeur à Constantinople pour que les représentants des Puissances signent un protocole pour consacrer la nomination du gouverneur du Liban. La durée de cette charge devrait etre fixée dans ce protocole pour cinq ans. Moustier espère que V. E. partage cette manière de voir et qu'elle enverrà des instructions dans le meme sens au ministre du Roi à Constantinople.

Quant à la question serbe Moustier a dit à moi et aux ambassadeurs des Puissances qu'il y a lieu de faire connaitre au Gouvernement de Belgrade que les Puissances confiant dans la sagesse et dans l'esprit d'ordre du peuple serbe le laissent libre de pourvoir à la nomination du nouveau prince, d'autant plus que le choix ne peut tomber que sur un indigène.

375

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. 74. Firenze, 18 giugno 1868.

L'Envoyé de la Sublime Porte m'a donné lecture et m'a laissé copie d'une dépéche de son Gouvernement concernant la nomination de Davoud Pacha au poste de Ministre des Travaux pubblics de S.M.!. le Sultan et son remplacement

par Franco-Nasri Pacha, en qualité de GouverneuLr du Mont-Liban. Vous trouverez, sous ce pli, une copie de ce document qui porte la date du 3 juin, et qui ne diffère en rien de celui dont vous m'aviez vous-m~me envoyé un exemplaire.

Après s'~tre attachée à démontrer que les qualités éminentes de Davoud Pacha et les connaissances administratives dont il a fait preuve le désignaient à ::;on souverain pour le poste important auquel il a été élevé, la Sublime Porte déclare que dans la nomination du nouveau gouverneur, elle a tenu à procéder avec tous les ménagements que ce choix exigeait, ne se laissant guider que par le désir d'assurer les bienfaits d'une bonne et stable administration au Mont-Liban. Le Ministre Impérial des Affaires Etrangéres dit dans sa dép~che à Rustem-Bey que les attributions du nouveau gouverneur restent telles qu'elles sont définies dans !es règlements de 1864, mais S. A. Fuad-Pacha s'applique, en m~me temps a démontrer les raisons d'opportunité qui ont suggéré à la Sublim0 Porte de ne plus faire mention d'un terme dans les pouvoirs conférés au gonverneur de la Montagne, afin de ne point amoindrir l'autorité de ce fonctionnaire.

Le Gouvernement de S.M.!. le Sultan exprime la ferme conviction que nous voudrons bien partager cette manière de voir qui est, dit-il, conforme à l'esprit et à la lettre des règlements organiques du Liban, et par conséquent conforme à l'entente établie, à ce sujet, entre la Sublime Porte et les Puissances.

Nous devons, M. le Ministre, féliciter, avant tout, la Sublime Porte d'avoir apprécié avec tant de justice les importants services que Davoud Pacha a rendus à la cause de l'ordre et de la civilisation pendant son administration. Vous n'ignorez point que en maintes circonstances, nous avons nous m~mes, reconnu que la conduite éclairée de ce fonctionnalre distingué a suffi pour emp~cher le renouvellement de faits qui auraient pu donner lieu à de graves complicati o ns.

Nous sommes également persuadés que le nouveau gouverneur choisi par la Sublime Porte, après avoir conféré avec tous les représentants des puissances coYntéressées dans les affaires du Mont-Liban, répondra parfaitement aux besoins auxquels le Gouvernement de S.M.!. le Sultan s'est proposé, avant tout de pourvoir. Ce que vous m'avez appris Vous m~me, M. le Ministre, lorsque S.A. Fuad-Pacha, vous a entretenu du choix que la Sublime Porte avait l'intention de faire pour remplacer Davoud-Pacha, ainsi que les reinseignements que Rustem Bey m'a fournis, d'après l'ordre de son Gouvernement, sur les qualités qui font de Franco-Nasri Pacha un des hommes les plus remarquables de l'Empire Ottoman, ont confirmé l'opinion avantageuse que le Gouvernement du Roi s'était déjà faite d'un fonctionnaire avec lequel la Légation à Constantinople avait, depuis nombre d'années, de très fréquents rapports.

Aussi notre adhésion au choix a-t-elle été acquise, comme Vous le savez, aussitòt q'il nous a été connu.

Nous avons pris acte, avec une véritable satisfaction, de la déclaration du Gouvernement ottoman de ne vouloir introduire aucune innovation en ce qui concerne les pouvoirs du gouverneur du Mont-Liban qui resteront réglés par les actes de 1861 et de 1864 ainsi que par le protocole du 9 juin 1861. Les nouvelles que le gouvernement du Roi a reçues sur l'état des choses et les dispositions des esprits dans le Liban, nous font apprec1er à leur juste valeur les raisons d'opportunité qui ont engagé le Gouvernement du Sultan à procéder d'urgence à la nomination d'un nouveau gouverneur. L'intéret que nous attachons toutefois au respect de tous les droits que les actes internationaux ont solennellement garantis, nous oblige à émettre en cette circonstance le voeu que, lorsque les memes motifs d'urgence et d'opportunité ne se présenteront plus, l'application littérale du protocole du 9 Juin '61, en ce qui concerne la nomination du gouverneur du Liban, formera l'objet des soins les plus scrupuleux de la Sublime Porte.

Nous devons également exprimer le désir que les pouvoirs de Franco-Nasri Pacha soient limités à un nombre fixe d'années. S'il en était autrement, l'engagement pris par la Sublime Porte de ne jamais révoquer le Gouverneur du Liban de ses fonctions, sans que la révocation soit prononcée à la suite d'un jugement, pourrait transformer les pouvoirs récemment donnés à Franco-Nasri Pacha en une charge à vie, ce qui dépasserait peut-etre les intentions du Gouvernement Impérial. La condition d'un jugement préalable consentie par la Sublime Porte dans le protocole du 9 juin 1861, est une des garanties essentielles de la bonne administration d'un pays qui a déjà plus d'une fois été l'objet de la sollicitude des Puissances. Nous ne pensons point qu'il soit sage et prudent de chercher à introduire une modification aussi importante dans les arrangements pris, sans qu'un nouvel accord des Puissances intéressées n'intervienne. Aussi vous voudrez bien, M. le Ministre, vous appliquer à faire connaitre à S.A. Fuad-Pacha que notre désir de voir fixer un délai aux pouvoirs du nouveau gouverneur du Liban ne nous est suggéré que par l'esprit essentiellement conservateur que nous apporterons dans l'appréciation des actes internationaux concernant l'organisation actuelle de la Montagne.

En remerciant tout particulièrement le Ministre Impérial des Affaires Etrangères pour la communication dont Rustem Bey a été chargé auprès de moi, vous devez lui donner les assurances les plus formelles que les réserves que le Gouvernement du Roi entend faire par cette dépéche nous sont uniquement dictées par la crainte que nous inspire l'introduction d'innovations dangereuses dans un système dont les résultats obtenus jusqu'ici avaient été satisfaisants.

Vous voudrez, M. le Ministre, donner lecture de cette dépeche au Ministre des Affaires Etrangères de S.M.!. le Sultan et lui en laisser copie, s'il le désire.

(1) Non pubblicato.

376

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

D. 13. Firenze, 18 giugno 1868.

Le accuso ricevuta dei di Lei rapporti N. 18, 19 e 20 di questa serie (l). All'oggetto del primo di essi ho già risposto in parte anticipatamente coll'in

viarle sino dal 16 corrente copia della relazione fattami dal R. Console Generale in Trieste sulle dimostrazioni avvenute colà nel giorno dello Statuto (l) e sull'incidente al quale le medesime diedero causa. Io le inviava anche copia della risposta ch'io avea scritto al Cav. Bruno (2), dal quale documento Ella ha potuto vedere come da noi si biasimano quelle dimostrazioni intempestive, benché si contesti in ogni caso il preteso diritto della poUzia di Trieste di dare lo sfratto a quelli fra i sudditi del Re che in omaggio al loro Sovrano avessero voluto celebrare l'Onomastico di una Principessa cara a tutta Italia. Siccome però anche queste ultime dimostrazioni potevano sembrare meno opportune, fui lieto di sapere che nel giorno festivo di S. Margherita nulla avvenne che potesse dare sospetti alle Autorità di Trieste.

Ora rimarrà a provvedere per le future ricorrenze della festa nazionale, acciocché con convenienza si rispettino da una parte le suscettività delle Autorità Imperiali dall'altra il decoro nazionale, perocché non sembra possibile il contestare agli italiani del Regno, tanto numerosi in Trieste, di riunirsi in luogo chiuso per un banchetto o per altra festa in un giorno che presso di noi, per legge, si deve considerare come festività nazionale. La presenza e l'intervento del Console di Sua Maestà potrebbero sembrare per verità la migliore guarentigia che in ogni caso l'ordine e la legalità presiederebbero a quelle riunioni. Non è ora certamente il caso di prescrivere a quel R. funzionario la linea di condotta ch'egli dovrà seguire un altr'anno in tale occasione, ma avendomi egli con suo recente rapporto proposto che in simili ricorrenze il Governo del Re lo autorizzi ad assentarsi per qualche giorno dalla sua residenza, io brame,rei avere intorno a questa proposta il di Lei avviso (3).

(l) Non pubblicati.

377

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO

D. 26. Firenze, 18 giugno 1868.

Le malheur dont la Serbie vient d'etre frappée ne produira peut-etre pas toutes les conséquences funestes auxquelles on aurait pu s'attendre, du moment que, grace à l'intelligence et au patriotisme éclairé des hommes d'Etat appelés par la Constitution à former le Conseil provisoire de la régence, tout danger de commotions intérieures a été, pour le moment, complètement écarté.

La calme et l'esprit d'ordre de la population de la Principauté sont une garantie que la tranquillité si nécessaire dans l'état des choses actuel, ne sera point troublée.

Vous savez déjà d'après mes instructions télégraphiques dans quel sens l'action diplomatique de l'Italie sera dirigée en présence des événements dont

(-2) Cfr. n. 365.

31 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

la Serbie a été théatre et de ceux qui pourront en résulter. Conformement aux principes qui dirigent notre politique, nous nous abstiendrons de tout acte ayant pour effet de créer des entraves à la manifestation légitime des suffrages de la Skuptchina nationale régulièrement convoquée. Nous désirons vivement que la liberté la plus absolue soit laissée aux Serbes pour l'élection de leur Prince dans les limites tracés par les actes qui ont déterminé le droit public intérieur de la Principauté.

Les nouvelles que nous avons reçues jusqu'ici des autres grandes Puissances de l'Europe, nous portent à eroire que notre manière de voir est partagée par tous les Cabinets européens, et nous espérons que le concert qui parait s'étre ainsi établi entre eux tacitement et sans aucun accord préalable, contribuera beaucoup à maintenir les affaires de la Serbie dans leur voie régulière.

Je vous autorise, M. le Chevalier, à donner lecture de cette dépéche à

M. le Ministre des Affaires Etrangères de la Principauté et à lui en laisser copie s'il le désire.

(l) -Cfr. n. 345. (3) -Per la risposta d! Pepol! cfr. n. 385.
378

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

T. 662. Firenze, 19 giugno 1868, ore 17.

Je reçois de Paris l'avis télégraphique (l) que la France envoie à son ambassadeur à Constantinople des instructions pour engager les représentants des puissances à signer un protocole pour consacrer la nomination du gouverneur du Liban et fixer la durée de cette charge à cinq ans. Avant de prendre aucun engagement veuillez m'en référer et sachez me dire quel accord il y a sur ce point entre les divers représentants (2).

379

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1175. Pera, 21 giugno 1868, ore 16,05 (per. ore 18,25).

Ristich et Elliot désirent un protocole pour régulariser la position de Franco-pacha. Ils sont moins exigeants sur la durée de ses pouvoirs pour ne pas obliger le Sultan à modifier son firman. Mes autres collègues sont à la campagne. J'irai les voir et je vous informerai ensuite.

(l) -Cfr. n. 374. (2) -Per la risposta cfr. n. 379.
380

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 379. Firenze, 21 giugno 1868.

Ho ricevuto il di Lei telegramma del 18 corrente (l) col quale Ella mi fa sapere che il Gabinetto delle Tuileries ha dato istruzioni al Suo rappresentante a Costantinopoli per firmare un protocollo unitamente ai rappresentanti delle altre Sei potenze, allo scopo di sanzionare la nomina di Franco Nazri Pacha come governatore Generale del Libano per un termine di cinque anni.

Ella mi soggiungeva in quel suo dispaccio telegrafico che il Gabinetto Imperiale sperava che anche noi divideremmo il Suo modo di vedere in questa questione.

Mi affrettai a rispondere alla S. V. (2) che infatti il Governo italiano era d'avviso che convenisse lo stabilire un termine ai poteri di Franco Nazri Pacha in conformità di quanto dispone il protocollo del 9 Giugno 1861. Noi abbiamo a questo proposito indirizzato un dispaccio a Costantinopoli (3) in risposta a quello che Rustem Bey ci aveva comunicato, per ordine del suo governo, circa i motivi che avevano indotto la Sublime Porta a non più stabilire preventivamente la durata dei poteri del suo governatore generale del Libano. Probabilmente il Governo del Sultano ci farà conoscere più tardi l'impressione che gli avrà fatta quella nostra comunicazione la quale in ogni caso riservava pienamente i diritti che la Turchia ha riconosciuto alle Potenze negli atti internazionali anteriori. Se, come abbiamo fiducia, il Divano Imperiale vorrà riconoscere la convenienza di stabilire che la durata dei poteri del Nuovo Governatore del Libano abbia ad essere limitata ad un numero d'anni determinato, forse potrebbe egli stesso prendere l'iniziativa della decisione necessaria al riguardo pubblicando una aggiunta al primo decreto di S.M.!. il Sultano col quale Franco Nazri Pacha venne investito dell'alta Sua attuale dignità.

Se così fosse, sl eviterebbero forse le pratiche sempre indispensabili per ottenere che tutte le Potenze si mettano d'accordo per firmare un atto collettivo. Dal canto nostro vorremmo possibilmente evitare che anche nella delicata questione del Libano si abbia a confermare col fatto di un atto diplomatico, non firmato da tutte le Potenze, che l'accordo delle medesime più non esiste. Non vedremmo per verità che cosa abbia a guadagnare l'autorità del concerto europeo dal rinnovarsi di atti che confermerebbero il disaccordo, o quanto meno l'astensione di qualche grande Stato. Per questi motivi, io Le ho scritto per telegrafo che reputavo opportuno, prima di aderire alla proposizione di firmare in Costantinopoli un protocollo, verificare se l'adesione di tutte le Potenze era assicurata a quell'atto.

(l) -Cfr. n. 374. (2) -T. 661 del 19 giugno, non pubblicato. (3) -Cfr. n. 375.
381 IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 224. Berlino, 21 giugno 1868 (per. il 25).

Je me suis empressé de communiquer au Sous-Secrétaire d'Etat le contenu de la dépeche de V. E. N. 79 en date du 12 Juin -Série politique (1).

En me remerciant de cette communication, il m'a confirmé les termes du télégramme du Chevalier Tosi du 17 Juin (2), à savoir que le Cabinet de Berlin s'était associé à Constantinople à la démarche dont la France avait pris l'initiative au sujet du Liban. Une dépeche du Marquis de Moustier avait été lue ici à cet effet par M. Benedetti à M. de Thile. Les représentants des Puissances en Turquie auront à s'entendre pour régulariser la nomination du nouveau Gouverneur Général, et pour fixer la durée des pouvoirs de FrancoPacha.

Je dois supposer que la meme démarche aura été faite à Florence par le Cabinet des Tuileries, et que celui-ci n'aura pas agi à notre égard avec le sans-façon dont la Turquie vient de donner une preuve à toutes ou à presque toutes les Puissances. La Prusse, aussi bien que nous et l'Angleterre, n'a appris que comme un faìt accompli le choix de Franco-Pacha. M. de Thile a claìrement laissé entendre à Aristarchi-bey, que si la Sublime Porte voyait peut-etre une sorte de leçon à son adresse dans les instructions transmises à Constantinople, cette leçon était bien méritée.

382

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 666. Firenze, 22 giugno 1868, ore 10,50.

Le protocole qui met fin à la répartition de la dette pontificale sera terminé à la fin de la semaine. Des raisons d'opportunité parlementaire nous font désirer que ce protocole soit signé non pas à Rome mais à Florence entre le ministre des finances et M. de Malaret. Veuillez obtenir que M. de Moustier envoie des instructions dans ce sens à ce dernier. Cette affaire pourrait etre ainsi terminée dans quelques jours, selon le désir que le Gouvernement impérial nous en a exprimé tout dernièrement.

383

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1176. Pietroburgo, 22 giugno 1868, ore 13,45 (per. ore 21,33).

Gortchakov vient de me dire qu'il est parfaitement d'accord avec la France pour la formation d'un nouveau protocole à Constantinople qui prolongerait au terme de cinq ans les pouvoirs du gouverneur du Liban. Détails par poste.

(l) -Cfr. n. 355. (2) -Non pubblicato.
384

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 81. Firenze, 22 giugno 1868.

I suoi rapporti segnati coi nn. 213-14-15 di questa serie (l) mi pervennero regolarmente. Quanto Ella mi ha scritto circa la missione del signor Ristich relativa alle capitolazioni in Serbia mi ha messo in grado di farmi un concetto preciso delle disposizioni della Prussia e delle concessioni della Russia a tale riguardo. Gli ultimi casi avvenuti nel Principato faranno probabilmente sospendere per alcun tempo i negoziati relativi a questo affare, ma in ogni modo La approvo di aver fatto capire al Signor Ristich l'opportunità di prima intendersi al proposito coll'Inghilterra e colla Francia, e poscia di venire a trattare con noi.

I nostri interessi commerciali colla Serbia sono di pochissimo conto, epperciò un giusto sentimento di deferenza verso i paesi maggiormente interessati ci fa desiderare di non essere fra i primi a pronunciare! in questa questione che tocca direttamente agli interessi materiali degli stranieri in quel Principato. Sarò pertanto tenuto alla S. V. se Ella vorrà continuare a tenermi esattamente informato delle disposizioni del Gabinetto di Berlino a questo riguardo, tostoché le trattative saranno riprese.

Giorni addietro ebbi una conversazione col Conte di Usedom sulla situazione presente delle cose in Serbia. Il Gabinetto di Berlino aveva ordinato al suo rappresentante di interrogarmi al proposito. Ho riscontrato con piacere che le istruzioni date dal R. Governo al suo Agente in Belgrado sono pienamente conformi al modo di vedere della Prussia in questo affare. Nella stessa occasione ho espresso al Signor d'Usedom i motivi di opportunità che inducono il Governo del Re ad astenersi dall'emettere un avviso sulla facoltà che avrebbero o no i Serbi di scegliere per loro Principe una persona estranea al Principato. Nella mia spedizione d'oggi Ella troverà un mio dispaccio al Ministro del Re a Costantinopoli in data del 18 corrente (2) ed un altro mio dispaccio al R. Ministro in Parigi in data di ieri (2), nei quali due documenti esprimo il nostro modo di vedere al riguardo.

385

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENADREA

R. 24. Vienna, 23 giugno 1868 (per. il 26).

Le accuso ricevimento del suo dispaccio n. 13 serie politica (3) e mi affretto a risponderLe.

Per verità nessuno oserebbe contestare il diritto ai sudditi di Sua Maestà di riunirsi per festeggiare in un banchetto vuoi l'onomastico di un Principe della Famiglia Reale, vuoi l'anniver3ario dello Statuto.

È questo un diritto così sacro che il disconoscerlo o il porvi ostacolo sarebbe certamente per parte del Governo del Re un a.tto di paurosa condiscendenza che egli pertanto non farebbe e che, io oso dirlo, non consiglierei mai.

Ma le riunioni che hanno avuto luogo a Trieste non erano unicamente composte, a quanto dicesi, di italiani sudditi del Re, ma erano composte eziandio di sudditi italiani di S. M. l'Imperatore d'Austria. La questione sta in ciò: e quindi io convengo con V. E. che giovi ad ogni patto impedire delle dimostrazioni che sono non solo inopportune ma potrebbero diventare pericolose per i buoni rapporti fra i due paesi. Mi pare quindi che se le riunioni legittime dei sudditi italiani servono di pretesto a sterili agitazioni, i sudditi italiani debbono evitarle, per affetto verso il loro paese, e per deferenza verso il loro Governo.

Non bisogna farsi illusioni: a Trieste si fa da taluni una propaganda attiva in senso italiano; a questa propaganda che il Governo del Re condanna energicamente, come può persuadersi chiunque abbia conoscenza dei dispacci di V. E. non bisogna dar nessun pretesto, nessun alimento. Se la presenza del Console italiano a Trieste nel giorno dello Statuto può essere di pretesto e di scusa agli agitatori, è più onesto che egli si allontani. A me par però che egli dovrebbe avere abbastanza autorità sull'animo degli Italiani suoi connazionali per persuaderli a serbare la calma necessaria.

V. E. mi condoni la franchezza delle mie parole! Ella mi chiese la mia opinione ed io non ho potuto a meno di esprimerla.

(1) -Cfr. n. 351; gll altri rapporti non sono pubbllcat!. (2) -Non pubbllcato. (3) -Cfr. n. 376.
386

IL CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 47. Tunisi, 23 giugno 1868 (per. il 27).

Vedendo che l'intenzione della Francia era di appoggiarsi sulla preponderanza dei crediti francesi verso del Governo tunisino onde avere una maggiore rappresentanza in seno della progettata Commissione finanziaria, ho trattato nel mio precedente rapporto (l) della non minore importanza dei crediti italiani ed insieme delli altri europei. Oggi stimo prezzo dell'opera di accennare eziandio ad altri interessi nazionali non meno rilevanti, quali sono gl'interessi locali e permanenti, in cui la Francia trovasi in grado di gran lunga inferiore all'Italia.

E cominciando dalla navigazione, basta solo consultare le statistiche de' differenti Consolati per vedere che la bandiera italiana rappresenta essa sola oltre la metà delle navi che approdano ne' differenti scali della Reggenza.

Non meno importante è il commercio diretto coll'Italia, sebbene non si possa dire che giunga a pareggio quello colla Francia; ma sotto di questo

rapporto non devesi perdere di mira che gli scambi con Marsiglia sono fatti per la più gran parte da case italiane e per conto d'italiani.

Meritano di essere presi del pari in considerazione i crediti fluttuanti degl'italiani verso degl'indigeni, che senza tema di esagerazione si possono calcolare dai 14 ai 15 millioni di Lire.

Né sono da tacersi i beni urbani e rurali che possiedono gl'italiani nella Tunisia in enfitèusi, od a titolo ipotecario; solamente nel Sahel de' 200 e più mila alberi di olivo ipotecati agli europei, oltre della metà appartiene agl'italiani, il che tutto insieme dà un valore approssimativo di altri 15.000.000.

Vale pure infine qualche cosa il presente e l'n.vvenire della nostra colonia che senza contestazione è tra tutte la più numerosa, e a un tempo la più florida.

Ora tutti questi sono degl'interessi reali ed importantissimi su cui deve estendersi l'influenza del Governo del Re, e che devono avere un qualche peso nelle trattative pendenti a Parigi intorno alle cose tunisine.

Se non se per poco che si tardi a prendere un provvedimento qualunque, il male diventerà insanabile, e generale la rovina. Onde parare alle esigenze del momento si sciupano largamente le rendite future, e con ciò va crescendo a dismisura il debito fluttuante. Nel Sahel si sta esigendo innanzi tempo il Khanun, ossia l'imposta sulli olivi; ma siccome quelle popolazioni sono esauste dalle annate cattive e dalle continue spoliazioni, il Governo ne ha convertito le quote individuali in tant'aglio da consegnarsi alla raccolta, che ora vende a metà prezzo. Eppure il prodotto di questo balzello fa parte delle garanzie affette all'imprestito del 1865...?

Una volta dunque che si è messa la mano sulle piaghe incancrenite di questo disgraziato paese, sarebbe grandemente a desiderarsi che le 3 Potenze non tardino più oltre a combinare di comune accordo i mezzi opportuni a puntellare il crollante edifizio, onde non si rinnovi il caso Dum Romae disputatur, Saguntum periit.

Dall'altra parte ho sempre luogo a temere che si cerchi di fare un imprestito di L. 100.000.000 effettive. Non posso certo addurre delle prove materiali; ho però più d'un dato da credere che questa sia l'idea fissa del Khasnadar per disinteressare i creditori italiani ed inglesi, c quind'intendersi più facilmente colla Francia. Da qualche giorno si buccinava la partenza del Generale Baccusci per Parigi, il quale oltre di essere strettamente legato colla Casa Erlanger è la più intima creatura del Khasnadar; ora sono assicurato ch'ei parte decisamente col vapore di domani. In somma si lavora in tutti i sensi per neutralizzare l'influenza dell'Italia e dell'Inghilterra, e lasciare libero il campo alla Francia.

Non tralascerò per altro di notare a V. E. le migliori disposizioni che mi è sembrato di trovare nel mio Collega di Francia; non saprei però dire se queste muovano da propria convinzione, oppure da nuove istruzioni del suo Governo. Comunque, il Signor Botmiliau ritorna adesso a parlare delle cose locali, ed è più espansivo di prima, locché mi diede occasione in una delle ultime conversazioni di evocare l'affare de' debiti de' Principi Tunisini, che a malgrado dell'impegno assuntone dal Khasnadar di pagarli ex proprio nel termine di un anno in 4 rate differenti non si riuscì sinora che ad avere de' piccoli acconti, come il saldo della prima rata ed un decimo della seconda, vale a dire meno di un milione di Piastre, e convenendo meco sulla necessità di un'azione comune, mi disse che per poco io mi fossi fatto innanzi, el mi sarebbe giunto appresso. In questo accordo entrò pure il Console inglese, ed il risultato ne fu che vi sono già pronte Piastre 700 mila, le quali sabato al più tardi saranno portate ad un milione, mediante il quale verranno estinti i 2/3 delle obbligazioni relative del Ministro. Questa somma appartenendo per lo più ai piccoli commercianti arriva assai a proposito per riattivare le transazioni della piazza che da qualche tempo giacevano in perfetto ristagno.

(l) Non pubblicato.

387

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

T. 668. Firenze, 24 giugno 1868, ore 22,15.

J'ai lieu de croire que tous vos collègues sont d'accord pour signer un protocole relatif à la nomination du gouverneur du Liban. Vous devez donc leur faire savoir que vous avez reçu de votre Gouvernement les instructions nécessaires pour prendre part à cet acte.

388

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1058/441. Londra, 24 giugno 1868 (per. il 28).

Sono informato che in questi ultimi giorni, l'Ambasciatore Britannico a Costantinopoli ha avuto una conversazione col Sultano sugli affari di Creta, nel corso della quale il Signor Elliot avrebbe consigliato l'invio di un Governatore Cristiano nell'Isola, siccome la Porta stessa accennava nel tempo di voler fare.

Il Sultano non si sarebbe opposto in massima alla proposta dell'Inviato Inglese, ma avrebbe detto che pel momento non credeva opportuno di disgiungere il potere civile e militare dalle stesse mani, e che di più la scelta di un Governatore Cristiano era un'opera difficilissima e lunga. Questa concessione non sarebbe dunque respinta ma solo rimandata.

Il Principe di La Tour d'Auvergne ha nuovamente intrattenuto Lord Stanley sulla questione del rimpatrio dei rifugiati Cretesi.

Sua Signoria gli ha risposto press'a poco nella stessa guisa che io già rassegnava a V. E., col mio rapporto Politico n. 429 del 1° corrente mese (1), ammettendo però che era questo un argomento di molta importanza e che meritava tutta l'attenzione dei Governi.

(l) Cfr. n. 333.

389 IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

ANNESSO CIFRATO (1). Belgrado, 25 giugno 1868.

Tandis que le Ministre Milivoi entretient les Consuls des puissances occidentales de la politique pacifique et antirusse de la future régence, je sais de source certaine qu'il entretient aussi des rélations avec le parti Jugo-slave, dont le chef principal est Strossmayer. Je pense qu'il cherche son appui, mais il m'est d'avis que ce parti ne le dui donnera qu'à la condition que le futur Gouvernement Serbe ait à travailler sérieusement à la délivrance de Bosnie et de l'Herzégovine. J'espère pouvoir connaitre prochainement si le membre ou chef du conseil de la prochaine Régence a fait quelque promesse dans ce sens, et il doit en avoir faite car ce part.i me parait disposé à lui préter tout son appui.

L'autre jour Milivoi m'avait presque assuré qu'il s'était décidé à proposer pour troisième membre du Conseil de régence, son ami le Ministre Tzernobaras, dont il m'a fait l'éloge. Le jour après il avait changé d'opinion. Jusqu'à hier au soir il n'etait pas encore fixé sur le choix de ce troisième candidat, mais il parait certain que ce sera un automate quelconque.

390

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A WASHINGTON, CERRUTI

D. CONFIDENZIALE 11. Firenze, 26 giugno 1868.

Da alcun tempo vanno spargendosi nel pubblico e nella stampa tanto nazionale che forestiera singolarissime voci le quali tutte in costanza condurrebbero a voler far credere che nuovi tentativi del partito di azione italiano contro Roma e fors'anche contro l'ordine monarchico costituzionale che ci regge troverebbero un sicuro e valido appoggio nel Governo degli Stati Uniti od almeno per parte della squadra navale della confederazione americana che ha recentemente visitato i principali porti e le coste italiane. Io non istarò a ripeterle, Signor Ministro, una ad una tutte quelle voci né i commenti ed i riflessi ai quali le medesime diedero luogo. Era per me cosa evidente che siffatte novelle doveano essere messe in giro ed accreditate da coloro che forse si propongono valersene per illudere la gioventù e trovar seguaci per le loro pazze imprese, e da coloro che hanno in mira di rappresentare all'Europa il nostro Paese come in preda ad una continua minacciosa agitazione rivoluzionaria. Tale essendo il mio pensiero, era necessario ch'io di tutto ciò parlassi a cuore aperto col Rappresentante degli Stati Uniti in Firenze, e traessi dal colloquio che avrei avuto con lui argomento per ismentire convenientemente tutte le dicerie che, a danno del nostro Paese, si vanno propagando.

Invitai pertanto il Signor Marsch ad un convegno e questi essendosi prontamente da me recato, gli esposi che, stando ad una relazione fattami da chi ordinariamente avea esatte informazioni, l'Ammiraglio Farragut avrebbe passato 24 ore alla Caprera ave avrebbe preso formale impegno verso il Generale Garibaldi di prestargli appoggio in un movimento che questi coi suoi volontari farebbe contro Napoli per proclamarvi la propria dittatura. Quindi soggiunsi che sebbene non prestassi fede a simili notizie, cionondimeno, ragioni di convenienza richiedevano ch'egli si mettesse in grado di smentirle appoggiandomi alle dichiarazioni del Rappresentante degli Stati Uniti presso il R. Governo.

Alle quali cose il Signor Marsch mi rispose che quantunque in America esistano molte simpatie per la persona di Garibaldi, il Governo degli Stati Uniti non ne sentiva alcuna per il partito al quale Garibaldi si è accostato. Ben lungi da ciò il Governo Federale stima ed ama il Governo Italiano e non permetterebbe ad alcuno dei suoi Agenti un atto qualsiasi che gli fosse contrario ed ostile. Non era quindi possibile che l'Ammiraglio Fanagut avesse promesso il suo concorso alla impresa di Garibaldi. Ignorar egli se l'Ammiraglio Americano ed il Generale si fossero veduti; aver però fondato motivo di credere che ciò non fosse. Inoltre, soggiunse il Signor Marsch, Farragut e la sua squadra sono attualmente partiti pel Baltico, né ritorneranno probabilmente nel Mediterraneo che per isvernare. Io avrei vergogna, mi disse il Signor Marsch nell'accomiatarsi, di servire un Governo che si adoperasse in un modo qualunque a favorire atti di simile natura.

Rimasi assai soddisfatto del colloquio ch'ebbi col Rappresentante d'America, colloquio che lasciò in me la migliore impressione essendo, come Ella ben sa, tanto vantaggiosamente conosciuta presso di noi la persona stessa del mio interlocutore. Epperò non voglio frapporre indugio nell'informarla di questa conversazione, affinché Ella possa, quando il Signor Seward gliene tenesse discorso, averne dal medesimo, come non dubito, una piena conferma.

(l) Al r. 101, non pubblicato.

391

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

ANNESSO CIFRATO (l). Belgrado, 26 giugno 1868 (per. il 2 luglio).

M. Milivoi m'a dit que le parti Russe ne s'agite plus, il est brisé. Ristich est d'accord de lui céder la suprématie dans le Conseil de régence et de le reconnaitre en quelque sorte comme chef.

<< Moi », dit-il, «je garderai entre mes mains la force du pays, Ristich s'occupera de la diplomatie. Voici, Excellence, la situation de la Serbie: un Prince mineur de fait élevé dans des idées françaises, car il s'agit de confier à son Précepteur actuel M. Huet, français, la direction de l'éducation du Prince, et

M. Huet parait disposé à l'accepter moyennant des conditions, entre autres, que tous les maitres et professeurs dont le Prince aura besoin, meme celui de langue Serbe, relèvent directement de lui seui.

La Serbie aura donc un Prince dont les penchants seront plutòt du còté de la France que du còté de la Russie; une régence Milivoi-Ristich-Gabrilovitch dont Milivoi sera le chef reconnu. Sous cette régence, jusqu'à tant qu'elle aura l'appui de tous les hommes politiqucs rcmarquables de la Serbie et surtout de Garachanine et de Marinovitch, jusqu'à tant que l'accord règnera entre Milivoi et Ristich le pays marchera bien, la politique nationale du Prince Michel continuera, les forces matérielles de la Principauté s'augmenteront, le progrès et la prospérité du pays se développeront de plus en plus.

Milivoi pouvant disposer des forces du pays sera la plus fort, et il est à présumer que Ristich n'essayera pas de le renverser. Milivoi représente la politique anti-russe et anti-autrichienne; on dirait qu'il veut serrer des liens politiques très étroits avec les Magyars; cependant il les a combattus en 1849 sous le commandement de Kuicianin, lorsque la Serbie a envoyé quelques milliers d'hommes au secours de l'Autriche, ou plutòt des croates et des serbes a u trichiens.

V. E. connait déjà son programme politique. Il s'agit de savoir si c'est bien celui qu'il se propose de suivre tout le temps qui durera la régence.

A 18 ans le Prince aura encore le besoin d'un mentor. Si les choses marchent camme Milivoi parait les préparer, il n'y a pas de doute que lui seul sera le mentor. Mais la Russie poùrra-t-elle se contenter du role sécondaire que Milivoi lui a fait? N'essayera-t-elle pas de renverser cet état de choses et reconquérir son influence? Quant à moi je le crois: mais le temps le dira.

En attendant la France affecte de se tenir à l'écart, mais son Consul s'entend très bien avec M. Huet et Milivoi. M. Longworth parait se bercer de l'espoir d'arriver à exe,rcer une influence décisdve en Serbie, mais il m'est d'avis que ce ne sera pas l'Angleterre qui se substituera à l'influence Russe, mais la France ou la Prusse, puisque, pour le moment, l'Italie n'en veut pas. Du reste, Milivoi prétend parvenir au Gouvernement de la Bosnie et de l'Herzégovine sans l'influence d'aucune puissance. Mais ce sont là des rèves. En attendant la Russie est complètement débordée; Milivoi a démontré d'ètre un homme très intelligent, très capable et d'une énergie peu commune. Le jour après l'assassinat le Métropolita.in (1), grand partisan de la Russie, s'est rendu chez le Gouvernement provisoire pour demander qui pensait-on de proposer pour successeur au Prince. Milivoi lui a répondu: « Nous voulons Milan Obrenovitch, et vous? ». « Moi, dit le Métropolitain, je ne suis pas encore fixé, j'y penserai>>. «Mais pardon, lui répond Milivoi, il faut vous prononcer tout de suite ». «Eh bien, répondit le Métropolitain j'irai chez moi je réfléchirai » «mais c'est impossible, lui a dit Milivoi, il faut que je le sache immédiatement ». Alors le Métropolitain s'est retiré un moment dans le jardin du Ministère pour réfléchir. Un quart d'heure après est retourné chez Milivoi pour lui déclarer qu'il donnait sa pleine adhésion au candidat du Gouvernement. Milivoi a pu de cette manière empècher le Métropolitain d'aUer se consulter avec le parti Russe, et il l'a pour ainsi dire obligé à se déclarer pour Milan Obrenovitch.

J'ai déjà rapporté à V. E. que d'après ce que mon collègue de Russie m'a fait comprendre il n'était pas contraire à ce que Milan fut le successeur du Prince, mais il pensait qu'on élirait au Conseil de la Régence Garachanine et Marinovitch. Du reste tous étaient un peu de cet avis, mais on a pas compté avec l'énergie, la résolution et l'habilité de Milivoi. On a cru que ces deux hommes éminents se donneraient du mouvement pour etre élus à la régence. On n'a pas prévu que non seulement ils se tiendraient en dehors de toute intrigue, mais ils appuyeraient une régence Milivoi.

A cela il faut encore ajouter que Stevca a été décidément écarté dans la combinaison de la Régence.

Tout celà a singulièrement découragé le parti Russe et je crois que Milivoi a eu raison lorsqu'il m'affirmait que ce parti était brisé. Il n'y a donc pour le moment que ceux qui n'aiment pas la Russie qui ont raison de se réjouir de la situation actuelle et de celle qui se prépare, car quoiqu'on dise que la Skouptchina fera une sérieuse opposition aux propositions du Gouvernement, il faut que je le voie pour le croire. Dans tous les cas je ne pense pas qu'elle aurait le dessus. Mon collègue de France et d'Angleterre, ainsi que celui d'Autriche, me paraissent très satisfaits de l'état des choses. Celui de Prusse affecte l'indifférence, mais j'ai lieu de le croire très content. Il n'y a, en résumé, que le Représentant de Russie qui soit mécontent.

(l) Al r. 102, non pubbl!cato.

(1) Les Métropolitains Serbes soit dans cette Principauté soit en Autriche jouent un grand ròle dans la politique de leur pays. [Nota del documento].

392

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 670. Firenze, 27 giugno 1868, ore 22,30.

Depuis quelques semaines on parle à Florence d'enròlemens de volontaires destinés à la Prusse. D'autre part, on a écrit d'ici à des journaux de Paris, et on a publié dans des journaux italiens que six volontaires qui se dirigeaient vers la Pologne ont été arrètés en Prusse. Veuillez prendre des informations, et me dire si je puis officiellement démentir tous ces bruits avec lesquels on cherche de créer une agitation factice.

393

IL MINISTRO DELL'INTERNO, CADORNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

N. RR. Firenze, 27 giugno 1868 (per. il 2 luglio).

Sono ben lieto di corrispondere alla richiesta fattami dal mio Onorevole Collega, il Ministro degli Affari Esteri, Presidente del Consiglio, colla sua lettera particolare del 23 corrente (1), alla quale era acchiuso un Pro-memoria Tii>ervato, sulle condizioni della Pubblica Sicurezza nel Regno.

Già da più mesi la mia attenzione era chiamata e si rivolgeva indefessa sulle voci che si andavano spargendo che si facessero nel Regno vasti arruolamenti, che si concentrassero individui sospetti, e specialmente di ex-Garibaldini, lungo le frontiere pontificie, che si incettassero nello Stato e arrivassero armi dall'estero e finalmente che il partito d'azione, d'accordo e simultaneamente cogli altri partiti che pullulano in paese sotto le più svariate denominazioni, si intendessero nello scopo comune di agitare e sconvolgere l'attuale ordine di cose. Sopra varii di questi punti io ho già in varie occasioni intrattenuto n Ministero degli Esteri, ma, riassumendo i fatti passati e lo stato attuale delle cose, Le darò qualche generale informazione che Le faccia conoscere lo stato attuale del paese.

Arruolamenti.

È indubitato che da circa tre mesi si vanno spargendo voci di clandestini arruolamenti, e che se ne fanno taluni. Ma l'importante si è il sapere chi li fa e a quale scopo e con quale riuscita. Quando la prima volta io metteva sull'avviso i Prefetti, ne riceveva quasi da tutti l'assicurazione che essi non ne avevano sentore. Alcuni pochi constatavano che varii giovani pretendevano essere stati arruolati, che altri chiamavano i loro amici ad andare ad arruolarsi. A Modena, a Rovigo, in qualche altro paese di minore importanza, per opera specialmente d'un antico servitore della Casa d'Este, e, dicesi, di qualche prete, si invitavano giovani di poco conto ad andare a Roma ad arruolarsi sotto le bandiere pontificie e ne ricevevano un premio di L. 50. Gli arruolati a questo modo non credo possano essere più d'una ventina. A Genova, a Milano, a Livorno ad Ancona un arruolamento si diceva fatto per Buenos-Ayres. Alcuni giovani dicevano esservisi prestati, e si sa di due emigrati che, recatisi a Livorno con denari avuti a Genova, non trovarono mai l'ufficio che li arruolasse. Ad Ancona, sette giovani partiti da Teramo, invitati ad arruolarsi, vi ebbero la stessa sorte e dovettero essere rimandati alle loro case. E così dicendo, è positivo che qualche fatto d'arruolamento intervenne e che queste notizie sparse e ingrandite, e soprattutto volonterosamente accettate dal gran numero di individui stati spostati da tante cause e allontanati dal lavoro, diedero luogo a domande, a tentativi, e sovratutto alla speculazione politica e finanziaria di chi ha interesse di tener viva la propria influenza e di distruggere quella calma, alla quale l'Italia tanto aspira, e vi è convitata dal benessere che le procurano ora i buoni raccolti, il risveglio del credito pubblico e la stanchezza delle avventure. Ma da chi sono promossi questi arruolamenti? Difficile è dirlo, appunto perché non essendovi un centro, non uno scopo solo, tutti questi conati si spargono in varie parti d'Italia, si mischiano e sì confondono e non hanno punto un carattere né un'importanza tale da preoccupare di tropp·o il Governo. Agli arruolamenti del Papa vanno aggiunti quelli che sono fatti da speculatori privati per Buenos-Ayres, quelli che in Napoli e in altre provincie del Mezzodì si fanno, dicesi, a conto del Brasile coll'aiuto del Console di quell'Impero a Napoli, finalmente quelli altri reconditi che indicavano l'opera di chi volesse fare uno sbarco sulle coste della Spagna e precisamente a Valenza. Dal sin qui detto facile è il dedurre come un vero arruolamento unico e deciso, con uno scopo determinato, non esista, e come fatti speciali e isolati non abbiano importanza alcuna, e come, generalmente parlando, sia difficile, per non dire impossibile, che, ove un arruolamento avvenisse, il Governo non ne abbia ad avere cognizione. Il fatto solo di un ingaggio, per uscire dalla sfera di una semplice iscrizione di nome, ha bisogno di fatti estrinseci che saltano all'occhio, di viaggi di arruolatori, d'invii e partenze d'arruolati. Ora tutto questo non avviene, finora almeno, in proporzioni riflessibili, cosicché io non posso conchiudere in altra sentenza che questa, d'essere, cioè, le voci d'arruolamenti in Italia l'esagerata sintesi di fatti parziali, e sopratutto di desiderii nudriti da quell'ingente numero di individui che, ritrosi dalle occupazioni modeste e dal lavoro, sono sempre all'erta d'occasioni per tentare la fortuna nelle imprese avventurate, o il ritorno nei loro paesi d'onde furono esclusi. In ogni modo però imprese di questo genere in proporzioni gravi non le credo possibili, se non quando il Governo vi presta mano, o colla tacita adesione, o col diretto intervento. L'esempio della spedizione della Sicilia, e l'infelice orgia finita a Mentana ne sono la prova la più luminosa.

Concentramenti sui contini.

È assolutamente infondata la notizia che sui confini Pontifici, e neppure in altre località del Regno, vi sieno concentrati corpi di volontarii. La sola classe che può dirsi concentrata in determinate località è quella degli Emigrati, ma da due mesi a questa parte non più di 400 di essi si trovano raccolti nei paesi che stanno sulla grande periferia dello Stato Romano da Grosseto a Isoletta, e questi emigrati sono fra quelli che più specialmente danno buon conto di loro stessi e non minacciano né l'ordine esterno né l'interno dello Stato. Ogni elemento di disordine è sempre allontanato col maggiore rigore, e se ne ha una prova nelle personali lagnanze che tutto di compajono sui giornali, senza che perciò l'opera mia a questo riguardo si rallenti un solo giorno. Non devo poi tacerle che mi è occorso varie volte di vedere transitare da qui per Parigi, e venienti dalle note agenzie legittimiste di Roma, dispacci assolutamente menzogneri, denuncianti pericoli sulle frontiere affatto insussistenti, e che ho osservato che tali notizie erano sempre sparse in Europa, quando il Governo Pontificio voleva esagerare la situazione delle cose per iscopi suoi. Così è periodico l'annuncio dei pericoli, ogni qualvolta le truppe francesi sgombrano qualche parte del territorio, o lasciano credere di volerlo sgombrare totalmente.

I paesi che circondano lo Stato Pontificio sono piccoli abitati e un concentramento di persone non vi potrebbe essere fatto senza saltar subito all'occhio delle autorità. Ventimila persone possono rimanere non vedute o non osservate a Napoli, a Firenze, ma cento persone estranee alla località non possono sfuggire alla vigilanza delle autorità di Grosseto, di Terni, di Perugia, di Sora, di Caserta, ecc.

Io posso quindi assicurare essere insussistente la voce di corpi concentrati sotto forma di volontarii, come assicuro che, non appena io avessi il più piccolo sentore che ciò avvenisse, interverrei immediatamente e con tutta energia per impedire anche il principio di un fatto che, lasciato aggravarsi, sarebbe più difficilmente vinto.

Incetta d'armi.

Bisogna premettere che disgraziatamente nessuna legge è meno osservata in Italia che nol sia quella del Porto d'armi. Alla facilità di contravvenirvi nascostamente, alla impossibilità legale che si oppone alle perquisizioni, si aggiunge il fatto che le sole armi distribuite legalmente dal Governo alle Guardie Nazionali del Regno sommano a circa un milione e 200 mila fucili. Se si aggiunge a questi, tutte le armi che, in causa degli avvenimenti degli scorsi anni, penetrarono in Italia, o legalmente o in frode, e tutte quelle che, sfuggendo anche attualmente all'occhio delle autorità, sono introdotte dai partiti rivoluzionarii di tutta Europa, gli è certo che un buon numero di esse sono fra le mani del popolo. Non va poi dimenticato che, all'epoca di Mentana, molti fucili delle Guardie Nazionali furono dal Governo fatti dare, o lasciati dare ai volontarii, e che, sebbene un buon numero di essi fossero ripresi all'epoca del disarmo dei Garibaldini, molti ancor ne rimangono celati. Nella sola Sicilia, per tradizioni e abitudini locali antiche, ogni famiglia possiede un piccolo arsenale. Ultimamente poi fu avvertito come in Inghilterra si fabricassero fucili ad ago, destinati a Palermo.

Io non ho mancato di dare di ciò avviso al Ministero delle Finanze e questo ha diramato ordini assai precisi a tutte le dogane, e ai varii approdi di mare, e la sorvzglianza la si esercita con ogni cura, tanto per gli arrivi dall'Estero, quanto sulle fabbriche nazionali. In ogni modo non risulta che alcun deposito d'armi vi sia, e molto meno poi d'armi e munizioni da guerra. Alcuni sequestri dell'uno e dell'altro genere furono fatti in varie occasioni, si sorveglia continuamente, e in tutto quanto lo consentano le leggi imperanti su questa materia.

Preparativi di agitazione.

Se per preparativi a moti rivoluzionarii si intende quello stato di cose che accenna ad un movimento più o meno vicino, diretto ad ottenere uno scopo determinato, io non esito a dire che non v'è per ora nulla a temere. Non è che la voglia manchi a molti. Manca lo scopo comune, l'intendimento dei varii partiti in una meta unica. Mazzini vuol andare a Roma, e Garibaldi pure, ma il primo non si fida del secondo, che teme vi proclamerebbe il Regno d'Italia, il secondo è geloso dell'altro, dal quale sarebbe scavalcato appena ottenuto lo scopo. Questa mancanza d'accordo, fra i due soli uomini capaci di fare qualche cosa di serio, li rende quasi impotenti ambedue. Mazzini può in Italia sconvolgere le menti, ma non riuscirà a nulla che esca dai limiti d'una échauftourée dei pochi suoi adepti. Il paese non vuol di lui, perché sa che Egli non fonderà nulla, e non è mai riuscito a nulla. Il solo pericolo che minaccia l'Italia per parte di quell'uomo e del suo partito è la congiura segreta, il pugnale, le bombe e la corruzione che mette in tutte le menti e in tutto l'organismo. Le sue sette, le sue società sarebbero cose puerili se Egli non avesse il denaro che gli fornisce l'Europa rivoluzionaria e nessuno parlerebbe più di lui. Garibaldi è più serio e alla sua voce si può temere una levata di scudi, ma, prima che questa abbia luogo, Egli stesso ha bisogno di prepararla. A Sarnico, in Toscana preparò Aspromonte e Mentana, ma è notorio che, nell'un caso e nell'altro, il principale appoggio se l'ebbe dal Governo, e, malgrado questo, è risaputo come alla sua voce non accorressero che gli emigrati e tutta la feccia delle provincie Papaline. Nello stesso Piemonte, ove tanto si predicò, nella Lombardia che diedegli sempre un forte contingente, pochissimi risposero all'appello. È probabile che Egli si rechi ai Bagni d'Ischia, che v,iaggi, che predichi la guerra al Papa e sommuova ancora la questione, ma se al primo suo apparire e al primo suo contravvenire alle leggi, che devono essere applicate a lui come a tutti, il Governo lo tratta come tratterebbe chiunque altro, si può esser certi che il suo scopo andrebbe fallito. Perché Egli riesca, gli è d'uopo o di aver connivente il Governo, o almeno di farlo credere tale, perchè in allora trova le popolazioni, e sopratutto le autorità, compiacenti, ma se il Governo fin dal principio dimostra, non con parole, ma con fatti, che l'accordo non esiste, si può star sicuri che Egli, già sfatato di molto, non troverà nè popolo, nè, autorità che lo aiutino. Il malcontento in Italia è grave. Molte ne sono le cause, le quali tutte si possono ridurre ad una sola, quella che l'Italia fu fatta in sette anni, distruggendo un passato secolare. Contribuenti, impiegati, nobili e preti, ricchi e poveri tutti hanno perduto qualche cosa materialmente, tutti furono disturbati nelle loro abitudini, tutti subirono un cambiamento. Non è strano quindi che questo malcontento generale, sebbene prodotto da cause affatto fra loro diverse, renda il paese facile a commoversi e ad abbracciare qualunque occasione gli si presenti per manifestarlo. Ma dall'esternarsi in clamori e querimonie, al prorompere in atti ostili e in sedizione aperta vi è gran differenza, e noi abbiamo veduto che lo spirito di conservazione è così radicato nel paese che, malgrado questo stato di malcontento, il Governo, quando volle e seppe fare, ottenne senza alcuna difficoltà quello che in altri paesi sarebbe stato impossibile di ottenere. Il culto a Garibaldi non impedì al Governo di arrestarlo più volte, farlo retrocedere e mandarlo quasi a confino. Il Ministero attuale ha disarmato e fatto internare in meno di 15 giorni, più di 8/mila garibaldini e emigrati (in ragione di circa 800 al giorno) senza che succedesse il benchè menomo disordine. In pochi giorni le cose si composero e alle terribili scosse del finir d'Ottobre successe in pochi giorni una calma che non fu più alterata. Tutto questo dimostra che, quando il Governo lo vuole, nessuno ha più autorità di lui per comandare, e mi rende perciò tranquillo che esso saprebbe all'evenienza del caso, prevenire o reprimere qualunque tentativo

di disordine si volesse far nascere, giacchè è mio avviso che se si tiene d'occhio, e si comprime a tempo e luogo quella accolta di agitatori di mestiere, i quali più per interesse personale che per amor di patria tentano in ogni occasione di spingere il paese fuori dal suo regolare andamento, la calma generale non correrebbe pericolo. In questi ultimi tempi specialmente, la dovizia dei raccolti, e l'aumento della ricchezza pubblica hanno sparso un ben'essere e una quiete che da anni era sconosciuta. Se il paese fosse lasciato a sè, nulla vi sarebbe a temere, ma disgraziatamente quelli che per ragioni proprie personali, o che per altri interessi politici hanno bisogno del torbido, non si ristanno dal congiurare contro queste generali tendenze alla quiete, e al lavoro. Non posso sapere se il Farragut presti aiuto a Garibaldi, e non sono lontano

dal crederlo quando penso alla tendenza politica degli Stati Uniti d'America

in Europa.

Ma, quand'anche il Farragut non intervenisse, la sua parte è ugualmente fatta da altri. A Roma la cospirazione contro l'Italia è continua, e là, clericali, Borbonici e legittimisti non se ne stanno inoperosi, e le insidie vestono tutte le forme. Se si avesse a credere le mezze confessioni d'alcuni confidenti in questa guerra sorda fatta al Governo Italiano entrerebbe pure qualche alto impiegato della Legazione Prussiana, ma ciò che resulta più provato è che tutti questi arruffoni politici d'ogni colore e d'ogni partito, tutti si accordano nel prepararsi per l'epoca che essi credono vicina, d'una guerra fra la Francia e la Prussia, avvenendo la quale si vedranno tutti questi partiti parteggiare colla Prussia per rompere l'accordo colla Francia, e impedire all'Italia tanto l'unirsi alla Francia, quanto il contegno neutrale fra i due contendenti. Ove non bastasse a dar prova di ciò l'entusiasmo col quale fu accolto il Principe di Prussia da paesi e da persone i cui sentimenti avversi sono noti, questa previsione la si deduce ogni giorno dai giornali ed era chiaramente detta in tutta la voluminosa corrispondenza che fu sequestrata al Colonnello D'Equivillier, e dall'interessamento che la Legazione Prussiana prese per la Nielsen. D'altronde i rapporti di Mazzini con Bismarck sono noti a codesto Ministero degli Esteri, e le visite continue che la Squadra Prussiana fa ai porti Italiani, alternativamente coll'Americana non è senza un significato.

Ma, lo ripeto, l'atmosfera Italiana non è ora gravida di rivoluzione generale, e tutti gli sforzi di questi strani alleati potranno forse far nascere qualche subbuglio parziale, appoggiandosi alle cause locali di malcontento, ma non attecchiranno a nulla, né produrranno un grave male, se il Governo, sempre vigile ed energico, terrà ferma la mano e colpirà tutte le prime manifestazioni. In questo solo modo la pace interna sarà assicurata, il partito governativo prenderà forza e rimarrà padrone della situazione, e a questo solo modo il Governo potrà trovare il paese docile e fiducioso, per appoggiarlo in quelle disposizioni d'alta politica esterna che, alla evenienza di gravi complicazioni all'estero, Egli stimerà utile e prudente di prendere.

(l) Non pubbl!cata.

394

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1180. Berlino, 28 giugno 1868, ore 15,30 (per. ore 17,55).

Le Comte de Launay est à Oldenburg. J'ai parlé à M. de Thile des bruits répandus par les journaux italiens et français (1). Il repousse avec indignation, il ne sait comprendre sur quoi peuvent étre basées ces suppositions.

32 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

(l) Cfr. n. 392.

395

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI

T. 671. Firenze, 29 giugno 1868, ore 13.

Nous sommes surpris de l'indignation manifestée par M. de Thile (1). Nous n'avons jamais eu l'idée de soupçonner la connivence du Cabinet de Berlin dans les enròlements. Nous avons fait mention de ces bruits malveillants dans le but de les démentir, et il nous importait surtout de savoir si il était vrai que six volontaires italiens auraient été arretés en Prusse.

396

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1183. Berlino, 30 giugno 1868, ore 4,35 (per. ore 11).

Nous pouvons officiellement démentir les bruits d'enròlemens et arrestation de six volontaires. L'indignation de Thile ne s'appliquait qu'à la légèreté ou malveillance de certains journaux.

397

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 46. Pietroburgo, 30 giugno 1868 (per. l'8 Zuglio).

Gli avvenimenti di Serbia e le conseguenze possibili dell'attentato di Topchideré continuano ad essere una delle più vive preoccupazioni della pubblica opinione in questo paese, avvegnaché le gravi emergenze che ne poteano derivare non sembri nell'ora presente che siano per avverarsi. L'E. V. riceverà senza alcun dubbio dall'agente locale più pronti e più minuti ragguagli, che io non possa di qui fornirle, segnatamente quanto alla vera o presunta complicità del Principe Alessandro Karageorgevitch nel misfatto. Potrei dirle solamente che qui l'opinione degli uomini informati è inchinevole a crederla verosimile, e si ritengono come certe in generale le cause politiche della cospirazione.

Il Principe Michele godeva senza alcun dubbio dell'affetto del popolo Serbo, ma la condiscendenza di che egli era accagionato alcuna volta rispetto al Governo Austriaco poneva in forse di quando in quando la sua popolarità e provocava le ambiziose speranze del principe Alessandro, comeché fosse questo ancora fortemente avvalorato dall'Austria. Un giornale Serbo (Morawskara Orlitza) asseriva non ha guari che alcuni agenti di un Comitato di quel paese avessero offerto il trono di Bosnia al Karageorgevitch; e un altro diario (la Zastara) negando il fatto asseriva invece quei pretesi inviati del Comitato chiarirsi per agenti austriaci, altra cosa non essendo quel Principe che un docile

!strumento dell'Austria e dei Magiari. Vero è altresì che negli ultimi tempi anteriori al suo misero fine, il Principe Michele erasi visibilmente dipartito dalle mosse del Gabinetto di Vienna, di guisa che dai fogli ufficiosi di quella Capitale era anzi accusato di devozione al Gabinetto di Pietroburgo. D'altra parte l'evacuazione delle fortezze Serbe aveva accresciuto il malanimo della Porta verso il Principe Michele; onde la sola politica la quale possa salvare quella provincia Danubiana dalla guerra civile e l'Europa dai gravi conflitti, che ne potrebbero conseguire, si è quella del non intervento accettato per ora dai grandi Potentati secondo la dichiarazione fattami dal Principe Gortchacow: politica tanto sana ed onesta nei suoi intendimenti, per quanto difficile ad essere osservata scrupolosamente.

La voce sparsa da alcuni diarii Francesi e Belgi della protezione spiegata dal Governo Russo in pro della Candidatura del Principe di Montenegro, qui mi si assicura esser notizia del tutto menzognera, e mi si fa credere che in uno di questi prossimi giorni ne sarà pubblicata una smentita ufficiale sul giornale di Pietroburgo, smentita, che per avventura il telegrafo avrà già trasmessa all'E. V. prima che questo mio rapporto le pervenga. Il foglio Moscovita il Goloss, dal quale i diarii anzidetti avean tolta la notizia invalidata, non pone già la candidatura del Principe Nicolò, lasciando stare, che quando bene quel giornale s'el facesse, ciò non proverebbe punto una intenzione conforme per parte del Governo Russo, con cui il foglio suddetto, che si fa parte da se stesso, non ha vincoli di sorta. Pure il Goloss altro non fece che enumerare i varii candidati possibili al trono di Serbìa, fra i cui nomi era registrato ancor quello del Duce Montenegrino.

I mutamenti proposti pella composizione del Consiglio di Reggenza e segnatamente l'uscita del Marinovitsch e la sua surrogazione dal Czernobaraz genera qualche inquietudine nella Cancelleria dell'Impero, perciò ché il Czernoboraz è qui tenuto per uomo propenso a favorire le mene Austriache. Vero è che la nomina del Ristich a suo collega sembra bilanciare in favore della Russia le forze che avrebbero acquistato gli avversarii del movimento Slavo in Belgrado. Quanto alle mire ultime della diplomazia russa rispetto agli eventi di Serbia io non credo che alcuno le possa prevedere per l'appunto, ma certo è che ogni sforzo sarà adoperato dal Principe Cancelliere, a causare ogni occasione di guerra, e che la Russia s'interporrà al possibile nei maneggi di quel paese, più presto per vie officiose, che per ufficiali dichiarazioni, poniamo ancora, che alcuna cosa intervenisse di contrario ai suoi intendimenti, come sarebbe per esempio la reggenza della principessa Giulia, vedova del morto Principe, la quale eventualità posso assicurare l'E. V. che il Gabinetto di Pietroburgo farebbe opera d'impedire ad ogni costo.

(l) Cfr. n. 394.

398

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1188. Belgrado, 2 luglio 1868, ore 16,05 (per. ore 23,55).

Skouptchina réunie à 6 heures. Marinovitch, membre du Conseil de régence, a prononcé un discours à dix heures. Régence provisoire remerciée, prince reconnu; liste du Gouvernement arretée. Régence reçoit serment du prince et des membres de la nouvelle régence. Prince acclamé avec immense enthousiasme. Membres de la régence sont Milivoi, Ristich, Gavrilovitch. Assemblée approuve sans discussion que Milivoi soit en méme temps ministre de la guerre. Sur cinq cent quatre députés cinq cent trois étaient présents. Il n'y a pas eu une voix d'opposition. Le corps consulaire assistait. Nouveau Ministère pas encore formé. Je crois sénateur Senitch justice, Radibeau, frère de Ristich intérieur. Si cela se vérifie, on peut considérer Ristich comme le vrai ministre de l'intérieur. Autres ministres pas encore connus, il se peut que Tzernobaras ait un portefeuille. Belgrade a quitté son deuil à dix heures; elle est toute pavoisée. Tout s'est passé dans le plus grand ordre et tranquillité.

399

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO DELL'INTERNO, CADORNA

D. S. N. Firenze, 2 luglio 1868.

Il sottoscritto rende infinite grazie all'Onorevolissimo suo collega il Ministro dell'Interno per l'interessantissimo suo rapporto sulle condizioni interne della tranquillità e sicurezza del Regno (l).

Delle indicazioni di varia indole contenute e sviluppate in quella relazione lo scrivente può valersi sin d'ora per porre un argine all'invasione di false notizie che all'interno ed all'estero si spargevano in questi ultimi giorni da molte parti e per motivi ed interessi diversi, benché tutti tendenti a screditare, forse per diversi fini, l'amministrazione attuale. Da sua parte il Ministero scrivente non tralascia di mantenere vivo lo zelo dei suoi agenti all'estero per averne tutte le notizie che cogli scarsi mezzi di cui dispongono, possono talvolta riuscire a procurarsi. D'ogni fatto interessante la sicurezza e la tranquillità dello Stato, anche quando il medesimo trovasi soltanto accennato in qualche giornale, il sottoscritto non manca d'informare i suoi dipendenti all'estero per quelle verifiche che sono del caso. Ed ebbe il Ministero scrivente a persuadersi che, nella maggior parte de' casi, quelle voci e quelle notizie non hanno alcun fondamento e sono di pura invenzione di corrispondenti di giornali che hanno attinenze note con persone ostili al Governo presente.

Così a ragion d'esempio fu riscontrata insussistente affatto la notizia dell'arrivo di volontarj italiani in Prussia e quella dell'arresto di alcuni arruolati del nostro paese che, traversando la Prussia, recavansi in Pologna.

Un'inchiesta fatta d'accordo col ministero della marina, ha parimenti fatto conoscere che quanto si disse sulla presenza di arruolati o volontarj italiani a bordo d'un legno americano che andò ad investire lungo le coste dell'Adriatico, non avea alcun fondamento di verità. Quel legno fu soccorso da uffiziali e marinaj italiani i quali rimasero più ore a bordo mentre tutti gli uomini ch'erano imbarcati lavoravano per trarre il legno dal cattivo passo nel quale

s'era posto. Nessuno si avvide che italiani fossero imbarcati su quella nave. Eppure, asseverentamente i giornali ostili al Governo Italiano affermarono che, andate le nostre autorità a bordo di quel bastimento americano, furono non poco sorprese di vederlo ingombro di volontarj garibaldini.

Non sa il Ministero scrivente sino a qual punto l'autorità del Governo possa estendersi sopra i corrispondenti di giornali stranieri quando questi si fanno spacciatori di false notizie con iscopo evidente di nuocere al buon istradamento che prendono le cose nel nostro paese; ma sembra al sottoscritto che siffatto argomento sia degno di attento studio, affinché si possano adottare i necessari provvedimenti per impedire la continuazione d'uno stato di cose tanto nocivo al credito dello Stato. Sulla qual cosa lo scrivente gradirebbe avere l'avviso del suo collega dell'Interno, giudicando che dall'opera coordinata dei due ministeri possa nascere qualche utile e pratico risultamento in tutto ciò che concerne la tranquillità del Regno ed il giusto indirizzo della pubblica opinione in ciò che riguarda l'Italia ed il suo interno reggimento.

(l) Cfr. n. 393.

400

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 674. Firenze, 3 luglio 1868, ore 16,30.

L'Univers publie une note du 24 janvier sur le modus vivendi. Nous croyons que cette indiscrétion ne peut venir que de Rome si le Gouvernement impérial a communiqué au Saint Siège texte de la note. Veuillez en parler au marquis de Moustier afin qu'il prenne ses précautions pour l'avenir, les publications prématurées ne pouvant que nuire au bon résultat des négociations {1).

401

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 232. Berlino, 3 luglio 1868 (per. il 7).

Il ne résultait aucunement au Ministère des Affaires Etrangères de Prusse qu'une réunion de la démocratie européenne eut eu lieu à Berlin, le 23 ou le 24 Juin échu, ni à toute autre date. Ainsi tomberait le bruit que Mazzini eut été du nombre des invités. On comprendrait difficilement en effet, que le parti dont il s'agit choisit, pour centre de ses conspirations, une capitale où la police est des plus vigilantes, et où d'ailleurs l'exaltation qui conduit à l'assassinat politique répugne au caractère allemand. Les Blind, les Oscar Becker, ont été des énergumènes, agissant de leur propre chef et sans complices. Les passions politiques n'ont pas pénétré ici les masses, et les crimes isolés de ces

gens sont plus affaire de tHe que de tempérament, et l'orateur qui proposerait un attentat, entre autres, contre l'Empereur Napoléon, serait mis au pilori de l'Assemblée et de l'opinion publique.

Le Marquis Pepoli a donc eu parfaitement raison de ne pas prHer foi aux prétendues révélations, qui probablement ne lui avaient été offertes, par un portugais, que sous l'appàt d'un gain.

M. de Thile, à qui j'en ai parlé, n'hésitait pas à se montrer des plus incrédules, en se réservant pourtant, dans le cas où la police ferait quelques découverte, de m'en donner avis.

«Au reste, me disait-il, les fausses. nouvelles pullule:nt dans ce moment. On ne saurait trop se tenir sur ses gardes, pour ne point faire fausse route. Ainsi le Comte d'Usedom nous communique des récits sur des enròlements pour la Prusse, sur l'arrestation ici de volontaires italiens. Nous aurons soins de démentir, de notre còté, ces bruits qui n'ont aucun fondement '>.

En joignant à cette dép~che une lettre particulière pour V. E ....

(l) Per la risposta di Nigra cfr. n. 419.

402

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE 60. Firenze, 4 luglio 1868.

Non ignora la S. V. quante difficoltà il Governo del Re dovette vincere nel primo periodo dell'anno corrente sia per ridonare al paese la quiete e la calma necessarie, sia per ristorare alquanto il credito nazionale politicamente e finanziariamente depresso. Gli intendimenti dell'Amministrazione attuale furono sin dal principio quelli stessi che si vennero poscia gradatamente sviluppando ed applicando tanto nelle nostre relazioni internazionali quanto negli ordinamenti interni. Uno spirito di giusta indipendenza ed una conveniente fermezza furono scorta sicura al Gabinetto attuale in tutti gli atti che ha compiuto sì all'estero che alJ',lnterno ed ormai il Governo del Re poteva dichiararsi soddisfatto dei prìmi risultamenti diggià ottenuti e dedurre da essi fondati pronostici di un più lieto avvenire pel nostro paese.

Ed infatti a chiunque tenga conto del modo in cui in seno alla Camera si bilanciavano gli opposti partiti nelle prime sue tornate, e ricordi le violenze dell'opposizione parlamentare incontrata dall'attuale Ministero, l'eccitamento delle passioni e delle ire politiche, l'agitazione morale e materiale dominante in tutto il Regno, deve aver recato meraviglia lo scorgere come poscia una maggioranza sicura e decisa formatasi in quella stessa assemblea abbia dato il suo voto a quelle stesse leggi contro le quali si sollevavano tante ripugnanze ed il vedere che il paese perdurava nella calma e nella tranquillità la più assoluta malgrado gli eccitamenti dei nemici del reggimento attuale ed il malcontento inevitabile che sempre produce nei contribuenti lo stabilimento di nuove ed onerose imposte.

Questo stato di cose doveva produrre i migliori effetti anche nell'ordine

economico, epperò Ella avrà notato, come, sebbene colpita essa pure dall'1mposta della ricchezza mobile, la rendita italiana si sia ora rialzata sino ad avere un corso costante di circa 58 lire per ogni cento, mentre sul finire dell'anno passato vendevasi al prezzo di sole L. 42. Epperò dacchè l'Italia da più mesi mostrava di aver ripreso quell'assetto che nasce dal consolidamento dell'ordine e dal trionfo dei sani principii di governo, sembrò al Ministero fosse venuto il momento opportuno di fare un passo innanzi verso la soluzione della quistione di Roma, aderendo così alle istanze del Governo francese che c'invitava a formulare in un documento diplomatico un piano del modus vivendi da stabilirsi fra il Regno italiano e la Santa Sede.

Senonché al tempo stesso in cui il Governo del Re inducevasi a porre le basi concrete di un accomodamento pratico che avrebbe servito di sicuro istradamento ad un miglior avvenire per la Nazione si è cercato di suscitare nel pubblico si all'estero come all'interno infondate apprensioni, collo spargere sinistre voci sulle condizioni della tranquillità e della pubblica sicurezza nel nostro paese. Né ciò deve per modo alcuno sorprenderei.

Non ignora il Governo del Re che un partito sovvertitore d'ogni ordinamento civile tenta di sollevare segretamente le classi inferiori della società in tutta Europa. Sempre pronto a cogliere ogni occasione che gli si presenta per favorire ed accrescere l'agitazione che da solo è impotente a promuovere, quel partito che ha i suoi seguaci anche in Italia si fa alleato di chiunque per qualsiasi motivo e fine cerca di creare imbarazzi al Governo e di proporre ostacoli al consolidamento dell'ordine monarchico costituzionale che felicemente ci regge. Quindi le voci scaltramente messe in giro da taluni fra i nostri nemici, furono subito accuratamente raccolte e propagate da tutti coloro che nello stabilimento di una Italia forte ed ordinata vedono un ostacolo insuperabile ai loro disegni sovversivi ed un pericolo pei loro interessi personali. Epperò in pochi giorni, dato che fu il segnale, i giornali, sovratutto quelli che si pubblicano all'estero, furono ripieni di notizie singolarissime, alcune delle quali senza ombra di fondamento, altre invece maliziosamente trasformate ed esagerate a talento.

Affinché la S.V. ben comprenda quale danno reale nelle circostanze presenti possa produrre nel nostro paese una cospirazione la quale si limiti anche soltanto a divulgare false od esagerate notizie, basta ch'io Le ricordi come a seguito dei rivolgimenti politici dell'agro romano più migliaia di emigrati delle provincie pontificie sono tuttora sparsi in varie località del Regno più

o meno lontane dal paese dal quale furono esclusi, e come una numerosa classe di individui, ritrosi dalle occupazioni modeste e dal lavoro sia sempre presso di noi alla ricerca di occasioni per tentare fortuna in avventurate imprese. E qui giova riflettere che una siffatta condizione di cose è talmente nota che da varie parti ed a parecchie riprese si tentarono di fare negli scorsi mesi arruolamenti per l'estero e persino per Roma. Ad una ventina circa sommano in tutta Italia gli arruolati sotto le bandiere pontificie; ma si tentarono pure arruolamenti per le repubbliche americane del Sud e pel Brasile e per imprese rivoluzionarie in altri Stati d'Europa. Quando le leggi patrie non vietassero espressamente questi fatti d'arruolamento per l'estero, la regione politica basterebbe a proscriverli, e di qui la necessità per coloro che li tentano e per coloro che vi aderiscono di nascondersi alla sorveglianza dell'Autorità, la quale gelosa del riposo interno non meno che del mantenimento delle buone relazioni internazionali del paese, ha ovunque ed ognora spiegato la sua azione per impedire simili atti. Senonché al primo spargersi che si fa di notizie d'arruolamenti quella massa d'individui che tante cause hanno spostato ed allontanato dal lavoro volenterosamente le accetta ed ingrandisce, e per tal modo nascono le domande ed i tentativi i quali favoriscono singolarmente la speculazione politica e pecuniaria di coloro che hanno interesse di tener viva la loro influenza e di distruggere quella calma alla quale l'Italia tanto aspira ed alla quale contribuisce anche il benessere che le procurano ora i buoni raccolti, il risveglio del credito pubblico e la stanchezza di avventure. Quindi si vede un certo numero di giovani disoccupati agitarsi e muoversi in cerca del luogo d'arruolamento e benché il Governo spieghi tutti i mezzi che sono in sua facoltà nei limiti del rispetto della libertà individuale, non gli è dato di impedire totalmente i fatti isolati che creano un principio di agitazione politica e rivoluzionaria. Né è da tacersi che l'emozione fittizia prodotta in quella massa, costituisce per se stessa una difficoltà pel Governo, difficoltà però agevolmente superabile da quelle medesime Autorità governative che seppero vincerla in circostanze sotto ogni rispetto ben più gravi delle presenti.

Epperò la S. V. andrà lieta di sapere che l'occhio vigile del Governo sta aperto sovra tutte queste mene, le quali altro scopo non hanno fuorché quello di affievolire l'azione governativa, e produrre il discredito politico ed economico della Nazione. Le relazioni che il Governo ha sovra tutti i tentativi che si fanno nel Regno permettono di riassumere in questi pochi cenni la situazione delle nostre cose interne.

Un vero arruolamento diretto ad uno scopo unico e determinato non esiste. Avvennero fatti speciali ed isolati di poca importanza, ma generalmente parlando un vero arruolamento non potrebbe accadere senza che il Governo ne abbia cognizione. Il fatto solo di un ingaggio per uscire dalla sfera di una semplice iscrizione di nomi, ha bisogno di fatti estrinseci che saltano all'occhio, di viaggi di arruolatori, d'invii e partenze d'arruolati. Ora tutto questo non avviene, finora almeno, in proporzioni riflessibili, cosicché noi possiamo conchiudere che le voci di arruolamenti in Italia sono l'esagerata sintesi di fatti parziali. È poi assolutamente infondata la notizia che sui confini pontifici!, e neppure in altre località del Regno siansi concentrati corpi di volontari. La sola classe che può dirsi concentrata in determinate località è quella degli emigrati. Ciò consigliano la prudenza ed il bisogno di esercitare sovra quella classe un'attiva ed efficace sorveglianza. Epperò il Governo del Re è in grado di sapere che da due mesi a questa parte non più di 400 emigrati si trovano raccolti nei paesi che stanno sulla grande periferia dello stato romano da Grosseto ad Isoletta, e questi emigrati sono fra quelli che più specialmente danno buon conto di loro stessi e non minacciano l'ordine esterno né interno dello Stato. Ogni elemento di disordine è sempre allontanato col maggior rigore e si ha una prova del modo serio e risoluto col quale l'opera del Governo si spiega nelle continue lagnanze che contro gli Agenti governativi compaiono nei giornali. Ma l'opera del Governo non si rallenta perciò, né si affievolisce perché anzitutto importa che la tranquillità e l'ordine siano mantenuti nell'interesse vero della Nazione. V. S. sa che i paesi che circondano lo Stato pontificio sono piccoli abitati dove un concentramento di persone non potrebbe farsi senza saltar subito all'occhio delle Autorità ed ove queste avessero il più piccolo sentore che ciò fosse per accadere, interverrebbero subito e colla necessaria energia per impedire anche il principio di un fatto che, ove si aggravasse, sarebbe più difficilmente vinto.

Meno asseveranti possono essere, e ben lo si comprende, le smentite che noi possiamo opporre alle notizie che si vanno spargendo sovra depositi ed incette d'armi. Questi possono essere ignorati dal Governo, benché dal medesimo si adoperi la maggior diligenza possibile per iscoprirli e per impedire in ogni caso la formazione di simili depositi e l'introduzione clandestina di munizioni e di armi nello Stato. Alcuni sequestri dell'uno e dell'altro genere furono operati in varie occasioni, la sorveglianza è continua, e quanto si è sin qui scoperto mostrò sovente esagerate le notizie che si aveano.

Esclusa per tal modo l'esistenza degli arruolamenti e del concentramento di elementi pericolosi per l'ordine interno ed esterno dello Stato e dimostrato che la sorveglianza del Governo si esercita attivamente sopra tutto ciò che allo interesse della quiete generale si riferisce, dovrei reputare sufficientemente dimostrata l'operosa e sincera condotta del Governo del Re in cospetto delle difficoltà che si tenta di suscitar contro di lui; ma io non avrei forse pienamente informata la S. V. sullo stato vero delle cose s'io Le tacessi essere a cognizione del Governo del Re che il partito che mette capo a Mazzin! da alcun tempo a questa parte si agita e fa segretamente proseliti, registra nomi, tenta di creare Società ed anche, a quanto affermasi, di produrre un qualche moto o nello Stato Pontificio, o nel Regno, o forse contemporaneamente nei due luoghi. Queste mene conosciute sono deplorevoli, ma non certamente pericolose. Una perturbazione provvisoria dell'ordine in qualche punto dello Stato sarebbe certamente un doloroso fatto, ma il Governo non mancherebbe in nissun caso al dover suo, e chi la tentasse altro non mostrerebbe che l'impotenza e la malvagità del proprio partito. La congiura segreta, il pugnale, le bombe, non esercitano più oggidì quella influenza sulle menti italiane che purtroppo esercitarono in altri tempi. Perché la sedizione abbia a riuscire occorre denaro, ed è necessaria la persuasione nell'esito dei tentativi che si preparano. Le somme somministrate dal partito rivoluzionario di Europa forniscono in parte il primo di questi mezzi, si procura di supplire alla mancanza del secondo collo spargere notizie di sicuri appoggj che la rivoluzione repubblicana in Italia troverebbe presso esteri potentati.

Ed è qui luogo ch'io Le parli senza reticenze delle voci che si spargevano or sono pochi giorni di arruolamenti che facevansi in Italia per conto della Prussia. Quindi un accorrere di alcuni giovani disoccupati ed alieni dal lavoro alla Legazione prussiana in Firenze per offrire se stessi. Venne a spiegarsi meco il Rappresentante del Governo di Berlino e le dichiarazioni le più esplicite date dal Signor De Thile, ora dirigente il Ministero degli Affari Esteri in Prussia, al Signor Conte De Launay (1), misero in luce la falsità di tali novelle.

Consimili aperte e leali spiegazioni io ebbi col R~ppresentante degli Stati Uniti d'America (1), dappoiché andavasi pur dicendo e propagando che Garibaldi contasse in modo certo sull'appoggio dell'Ammiraglio Farragut e della squadra americana per tentare qualche moto. Dal Signor Marsch io m'ebbi le più formali assicurazioni in contrario, né dubito che le medesime mi saranno fra breve confermate dall'Inviato del Re presso il Governo di washington. E siccome con ispudorata e maliziosa pervicacia alcuni fogli si profferivano garanti di sì false notizie, quale ad esempio quella della presenza di parecchi volontari italiani a bordo di un legno da guerra americano che avea dato in secco nelle vicinanze di Brindisi, il Governo del Re fece interpellare tutte le Autorità e gli Uffiziali della Real Marina andati a soccorrere quel Legno e n'ebbe prova sicura della falsità dell'asserto.

Ho creduto opportuno entrare in queste particolarità perocché importa che la S. V. sia in ogni miglior maniera informata del vero stato delle cose, e possa con ogni asseveranza smentire le voci sparse, e ribattere le accuse infondate mercé le quali sperasi neutralizzare l'azione che il Governo del Re è deciso a spiegare ferma e risoluta pel mantenimento dell'ordine e pel sicuro trionfo dei principii che lo informano. Epperò io faccio assegnamento sul concorso di Lei perché in ogni occasione e particolarmente nei colloqui! ch'Ella avrà coi Ministri dello Stato presso il quale Ella è accreditata, possa valersi delle nozioni da me sommlnistratele per uniformare ad esse il suo linguaggio.

(l) Cfr. nn. 394, 396.

403

IL MINISTRO DELL'INTERNO, CADORNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

N. 2188. Firenze, 4 luglio 1868 (per. il 6).

Dal giorno in cui il sottoscritto ebbe a far conoscere all'Onorevole suo Collega lo stato attuale delle cose in Italia per rapporto alla sicurezza pubblica (2), quanche nuovo indizio sui progetti dei partiti avversi venne a di Lui conoscenza ed Egli si affrettò a trasmetterlo a codesto Ministero, rispondendo così, implicitamente, alle due note 2 luglio corrente n. 44 (Prussia) e n. 138 (Francia) (3).

Ricorda codesto Ministero che il Console Italiano in Malta segnalò la par

tenza da quel porto di due navi cariche di polvere da fuoco. Fu attivata una

rigorosa sorveglianza tanto dalle Autorità dipendenti dal sottoscritto, quanto

da quelle del Ministero delle Finanze, sia nei porti del continente, che in quelli

delle isole, ma senza che nulla mai si scoprisse. Da notizie che giungono ora

da varie parti si avrebbe motivo di credere che due Navi, i cui segnalamenti

corrisponderebbero a quelli dati dal Console suddetto, avrebbero sbarcato tutto

-o parte del loro carico sulla spiaggia di Ostia, Provincia Pontificia. Questo

fatto, se vero, verrebbe a confermare e a completare altre notizie pervenute da altre parti che, cioè, dal partito Mazziniano, aiutato in ciò da legittimisti e clericali si vogliono sollevare a ribellione le popolazioni papaline. Evidente è lo scopo di questo piano, e viene a corroborare l'avviso già dato dal sottoscritto sulla difficoltà d'un accordo preliminare fra Mazzini e Garibaldi. Il primo di questi si studia di far sorgere un tale stato di cose che spinga l'altro a prendere una decisione, e per verità, se nelle Provincie Pontificie si riuscisse a qualche movimento, il grido di dolore di quelle popolazioni potrebbe essere talmente sfruttato che non mancherebbe di produrre una forte pressione sul Governo Italiano, massime se qualche parola o qualche fatto di Garibaldi venisse ad aiutarlo col patrocinio del suo nome, e coll'agitazione degli elementi garibaldini e degli Emigrati.

Codesto Ministero ricorda come, mesi or sono, le località che circondano il porto d'Ostia fossero state indicate come un luogo ove, anche per opera dell'ex-Re di Napoli, si lavorava a mettere insieme una banda di volontari!, che avrebbe simulato di essere un corpo di Truppa Pontificia, ma che doveva reclutarsi specialmente fra i sudditi delle finitime Provincie Italiane.

Evidentemente il lavorio delle varie sette, fra loro accordate, nel comune scopo di gettare il disordine, ha la base delle sue operazioni in quelle località. Arr1mettendo che tale sia il piano di Mazzini, si spiega il perché non si facciano veri arruolamenti, ma tutto si disponga in vista di eventi possibili. Riuscì al sottoscritto di avere, fra gli altri, uno stampato che si fa girare segretamente fra gli adepti Mazziniani per la fondazione di una Società Repubblicana, la quale tenta attivarsi in Italia per opera sempre dei soliti individui di troppo già conosciuti. Di tale Statuto se ne acchiude una copia (1), fatta stampare sulla Gazzetta del Popolo di questa città, perché la parte sana del paese la conosca, e perché, essendo il mistero l'ausiliare più forte se non il solo, che più giova alle sette nemiche, questo aiuto gl[ sia tolto. Non vi ha, a parere del sottoscritto, momento più propizio dell'attuale per chiamare il paese a studiare sui pericoli, cui lo espongono quelli che si chiamano suoi amici, ora che il credito pubblico, rinascente con una progressività che nulla arresta, lo invita alla quiete, al lavoro ed al benessere.

Non crede il sottoscritto che l'attività e soprattutto la ricchezza del partito Mazziniano sia tale da permettergli di lanciare nel paese centomila copie di Proclami, come asserisce il Prefetto del Rodano, ed anzi risulterebbe che pochi sono sinora gli esemplari che sono in giro.

Ignora poi il sottoscritto quale sia e sino a qual punto giunga l'appoggio che l'America del Nord presti e promette ai perturbatori del nostro Stato. Propende invece il sottoscritto a credere che, essendo pur vera o almeno verosimile la base di queste notizie, se ne esagerino, tanto in Francia che in Italia, e la portata e gli effetti. L'agitazione è voluta e propagata da un Comitato Centrale, la cui sede è a Londra, e il suo fine è quello di dar soccorso a tutti quelli elementi di disordine che si trovano sparsi in ogni Stato in Europa, qualunque ne sia il colore, qualunque lo scopo e qualunque la moralità. Gli è così che lo stesso nucleo di persone appoggia le selvaggie imprese dei

Feniani, e le cupe aspirazioni dei clericali, e che stende la mano alla Polonia, mentre si assassina in Serbia, e si proteggono gli accoltellatori di Ravenna, e i falsarii di monete. Al servizio di questa turpe causa, che si ammanta di forme filosofiche e umanitarie, destinate a colpire la immaginazione dei giovani e degli ingenui, si trovano facilmente persone che o per paura o per vanità fanno anche sacrifizii di denaro. Ma questa raccolta va essa poi tutta realmente adoperata allo scopo politico? Sarebbe permesso il dubitarne, quando si volesse cercare la spiegazione del come tanti individui, noti altre volte per la pochezza delle loro risorse, si vedano ora ricchi di capitali, e abili a menare esistenza di lusso, e capaci di viaggi continui. E un'altra prova se ne potrebbe dedurre anche dai conti resi oggi palesi della spedizione affogata a Mentana.

L'esigua somma messa dal partito al servizio di quella impresa, pur tanto preparata, sarebbe essa bastata alla più meschina impresa, se non avesse avuti gli insperati aiuti d'un Governo che parteggiò con lui? Gli è appunto questa mancanza di denaro che obbliga quel partito a dare speciale attività alle sue preoccupazioni finanziarie, inventando prestiti Mazziniani, e casse di Mutuo Soccorso, e a fingere compra d'armi in proporzioni impossibili. E utilissimo ausiliare trova nel giornalismo che sparge sognate imprese, e ancor più sognate promesse. Disgraziatamente le nostre leggi sulla stampa non colpiscono punto questo commercio di false notizie, che è sempre produttivo di larghi guadagni in varie sfere della società. Non solo non v'ha modo di reprimere questo abuso all'estero, ma neppure all'interno è possibile farlo giacché la vigente legge sulla stampa non vi provvede, e bisogna, perché esso cada sotto la sanzione del Codice Penale, che assuma quei caratteri dolosi che permettano di considerarlo come volto allo scopo di trarne diretto profitto. Gli è anche questa una delle tante lacune che si trovano nelle nostre leggi, che ne rendono l'applicazione difficile e molte volte inutile. Lo scandalo però che la stampa presenta da qualche tempo, lo spettacolo dell'impotenza in cui si trova il Governo di reprimerlo sono due fatti che il Paese da alcun tempo in qua si è messo ad esaminare ed anche a discutere, per lo che non è alieno il sottoscritto dal credere che si è arrivati sulla strada migliore per giungere alla meta desiderata. Una riforma delle parti in cui le nostre leggi, tanto sulla stampa che sulla pubblica sicurezza, sono così mancanti, che mentre sembrano armare di forza il Governo lo rendono invece impotente più che se esse non esistessero, non è lontana. Ma quella riforma che, promossa e proposta dal Governo potrebbe a taluni dare sospetto di un piano concertato di reazione, quando sarà invocata dalla pubblica opinione, scossa dagli eccessi, vestirà invece il carattere d'una garanzia data alla libertà contro la licenza, e lo sarà realmente.

La sola cosa che per ora possa fare il Governo, per riparare al danno delle false notizie è quella di usare sulla più larga scala dello stesso mezzo di pubblicità, collo smentire il falso e far conoscere il vero, appellandosi così al giudizio della stessa pubblica opinione, e mettendo il paese in avvertenza contro gli agguati. Gli è quello che il Sottoscritto fa continuamente, dando la più estesa pubblicità a quei documenti che vanno serpeggiando nel paese, e che se trovano qualche ghiottone finché è frutto proibito, produrrà la sazietà e lo schifo quando lo si troverà in vendita in tutti i trivii della città.

(l) -Cfr. n. 390. (2) -Cfr. n. 393. (3) -Cfr. n. 399; l'altro documento non è pubblicato.

(l) Non si pubblica.

404

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

ANNESSO CIFRATO (1). Belgrado, 5 luglio 1868 (per. il 13).

Lorsque j'ai informé V. E. (vedi annesso cifrato del Rapp. n. 102 del 26 giugno politico) (2) qu'il paraissait que Milivoi voulait serrer des liens polltiques très étroits avec les Magyars, j'étais dans le vrai. Quand le Prince Napoléon et Tiirr se trouvaient à Pesth, Orescovitch a été envoyé par Milivoi dans cette ville avec mission de voir S. A. Impériale et de tacher à connaitre quelles étaient les vraies dispositions de l'Empereur son cousin envers la Serbie. Il devait aussi s'aboucher avec Andrassy pour connaitre les vraies intentions du Gouvernement des Magyars à l'égard de la Bosnie et de l'Erzegovine. Dans le cas qu'elles fussent favorables. aux Serbes il devait obtenir de lui la promesse formelle que lor.sque la Serbie entreprendrait l'oeuvre de l'annexion on se serait entendu pour former une Confédération Serbe ou Jugo-Slave-MagyareCroate, et je pense, que la Roumanie n'en serait pas excluse. Cette confédération serait une barrière contre la Russie. On laisserait seule la Bulgarie qui, maintenant croyant aux promesses de la Russie, parait très peu disposée de faire cause commune avec la Serbie; elle se berce de l'espoir d'ètre délivrée de la Turquie et ériger un Royaume indépendant par la Russie. Orescovitch croit que cette espérance jamais se réalisera si on parviendra à former la Confédération dont il est question. Lorsque la Principauté Unie s'en sera convaincue, elle trouvera son intérèt à s'adresser à la Serbie pour conquérir son indépendance et à s'unir à elle par les liens personnels. Le Prince Napoléon lui aurait dit que si l'Empereur avait des garanties que les Serbes se détacheront complètement de la Russie, il ne fera pas d'opposition et qu'il verrait avec plaisir surgir une Confédération capable de s'opposer à l'ambition Moskovite. Andrassy aurait assuré Orescovitch que le Gouvernement Magyar n'avait aucune vue ambitieuse sur la Bosnie et l'Erzégovine, qu'il ne s'opposera à l'annexion de ces deux provinces à la Serbte et qu'il s'opposerait au contraire à une intervention armée de l'Autriche, et enfin qu'il était favorable à la Confédération. Andrassy aurait en outre assuré à M. Orescovitch que le Gouvernement Magyar était disposé à faire aux Croates les concessions les plus larges. On aurait aussi parlé de l'utilité qu'il aurait d'obtenir de l'Autriche la suppression du système militaire des Grenzer et lui substitueT l'administration civile de Pesth. Orescovitch a été en Croatie et chez l'Evèque Strossmayer, chef du parti national. Les Croates d'après lui, non seulement consentiraient à l'annexion de la Bosnie et l'Erzégovine à la Serbie, mais ils l'aideraient, quant à Strossmayer, avant de se reconcilier tout-à-fait avec les Hongrois il voudrait octroyer à la Croatie les concessions qu'elle réclame et surtout l'abolition du système militaire parmi les Grenzer.

{l} Al r.s. 106, non pubblicato. {2) Cfr. n. 391.

Quant à mol Je doute que les choses Slaves sont si avancées, et surtout, que les Magyars et les Croates ayent si facilement pris le parti de laisser les Serbes libres de s'annexer les dites prov.inces et méme à a,ider cette annexton car, ce ne serait pas la première fois qu'Orescovitch prendrait des simples paroles blenveillantes pour des assurances formelles. Du reste il m'est difficile

de déchiffrer toute entière la vérité dans cette affaire par les monosillabes et les obscures demi confidences qu'Orescovitch m'a faites, malgré la recommandation que Milivoi lui a faite de garder le secret le plus absolu, mème envers moi. Mais j'espère de pouvoir peu à peu parvenir à mieux la connaitre. C'est MHivoi lui méme qu'a trahi le premier le secret, lorsqu'il m'a dit qu'il était assuré que les Magyars s'opposeraient à l'intervention Autrichienne. C'est aussi par ses paroles que j'ai pu déviner qu'il travaille à s'entendre intimement avec eux.

Je crois que le Général Tilrr est dans cette affaire la cheville ouvrière.

405

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, A VITTORIO EMANUELE II (l)

L. P. Firenze, 6 luglio 1868.

Ho l'onore di rassegnare a Vostra Maestà varii documenti che la possono interessare: 1°) Un nuovo rapporto del Ministro dell'Interno sulla sicurezza dello Stato (Copia) (2); 2°) Una copia di una lettera del Conte Sclopis relativa al Consorzio Nazionale colla mia risposta; 3°) Due sunti di Conversazioni avute dal Conte Fé (3) con alcuni personaggi di Roma.

Io ebbi questa mattina alcune lettere assai interessanti da Parigi; il Cavalier Nigra mi scrive che l'Imperatore ha letto con soddisfazione il Nostro progetto di Modus Vivendi col Papa. Egli promette di fare tutti gli officii più premurosi onde farlo adottare, ma con poca speranza di potervi riusctre, il che sarebbe, a dire del Nigra, uno dei motivi determinanti dell'Imperatore per ritirare le sue truppe da Roma.

Nigra crede alla pace per quest'anno, ma scorge nella Francia elementi gravi di rivolgimenti per cui si dovrà forse ricorrere alla guerra per evitare mali maggiori.

Per altra parte, una lettera di un militare dice che l'Imperatore non sta bene; al Campo di Chàlons Egli tentò due volte di montare a cavallo e non vi poté stare più di un'ora; epperciò si dubita che egli possa, in caso di guer

ra, mettersi alla testa dell'esercito, per cui l'Imperatore semnra volere rimovere la guerra, mentre tutto l'esercito è animato dal massimo ardore per ricuperare alla Francia quella preminenza che ebbe sino a questi ultimi tempi.

Le cose in Firenze vanno pacatamente, e la Camera è alquanto svogliata, ma Ja tratterremo s'in dopo la votazione della legge sui Tabacchi. Pare che le adesioni a codesta legge aumentano però non bisogna dissimularci che darà luogo ad una battaglia che abbiamo probabilità di vincere. Ieri l'altro molti sedicenti refugiati Romani volevano fare, sulla piazza della Signoria una dimostrazione contro il Modus vivendi, ma i capi furono avvisati che quanti si sarebbero mostrati per le strade, tanti si sarebbero mandati a meditare in prigione; e la dimostrazione non ebbe luogo.

n Principe e la Principessa di Piemonte partono domani martedì alle 2 p.m. per la Germania, passando per il Brennero. Mentre i nostri principi si allontanano, abbiamo una breve visita della Granduchessa Alessandra moglie del Granduca Costantino di Russia, che il giorno 13 corrente verrà passare tre giorni a Venezia con due de' suoi figli per quindi recarsi in Grecia presso la Regina sua figlia. Essa prenderà la via di Brindisi e viaggia affatto incognito.

Il Ministro della Guerra ha quasi combinato l'affare della Guardia di Vostra Maestà. Si prenderanno 80 fra i Carabinieri delle varie legioni, i più sicuri ed i più distinti, essi saranno comandati da quattro subalterni che faranno successivamente il loro giro di servizio. La difficoltà sarà per i cavalli; per ora non si potrebbero provvedere che quaranta cavalli di statura adatta al servizio cui sarebbero preposti. Tuttavia nel caso che tutta la Compagnia dovesse figurare, si troverebbe modo di somministrare i cavalli mancanti. Se si volesse modificare la divisa di codesta guardia, la spesa dovrebbe essere fatta dalla Casa di Vostra Maestà. Queste sono le notizie principali che ho da rassegnare a Vostra Maestà.

Auguro che il tempo che in Firenze è alquanto incerto, permetta alla Maestà Vostra di compiere felicemente la Sua campagna di caccia nella bella montagna di Val d'Aosta.

(l) -Da ACR. (2) -Cfr. n. 403. (3) -Il conte Alessandro Fé d'Ostlanl sl era recato a Roma per aprire trattative con la Santa Sede per un accomodamento fra l due Stati. I documenti su tale missione che, secondo l'Inventario delle Carte del Ministero degll Ester! del periodo 1861-1887, dovrebbero essere conservati nella busta 20 Gabinetto non sono stati rtnvenutl. Cfr. !n proposito Moar, pp. 335 sgg.
406

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 385. Firenze, 7 luglio 1868.

Approfitto della partenza di un corriere inglese per trasmetterLe in via affatto confidenziale riservata, un rapporto del mio collega il Ministro dell'Interno, sulle condizioni presenti della sicurezza pubblica dello Stato (l). La lettura di questo documento nonché il mio dispaccio d'oggi (n. 384) di questa serie (2), darà certamente alla S. V. un'idea esatta e precisa del conto nel quale vogliono essere tenute le voci che si spargono al solo scopo di far credere all'estero che noi siamo una continua minaccia ed un incessante pericolo

per la Santa Sede. Epperò conoscendo il fine che si propongono coloro che lanciano contro l'Italia ed il suo governo ogni sorta d'accuse, noi non ci saremmo forse risoluti a prendere atto di quelle calunniose affermazioni se non avessimo, con nostro grave rammarico, dovuto accorgerci che a quelle voci maliziosamente sparse si inclinava a prestare credito anche all'estero e segnatamente in Parigi laddove ci pervenivano in questi ultimi tempi ripetuti avvisi sui progetti del partito d'azione, sugli intendimenti dei capi di codesto partito, sulle mene, sui preparativi, sulle speranze dei medesimi.

Per verità tutti questi cenni assai vaghi non erano d'indole a poter condurre ad alcuna importante scoperta, anzi la maggior parte di essi appariva altro non essere che la riproduzione, con alcune leggiere modificazioni, di quelle stesse notizie che il R. Governo già possedeva. Le medesime, raccolte probabilmente dagli Agenti Francesi in Italia, trasmesse a Parigi, ci ritornavano, ritardate assai dai molti giri amministrativi percorsi, quando talvolta gli avvenimenti ne avevano già dimostrato la falsità e l'esagerazione.

Noi siamo cionondimeno ben riconoscenti al Governo Imperiale della sollecitudine che egli ci dimostra nel trasmetterei simili avvisi, perocché anche l servizi di pubblica sicurezza meglio ordinati possono talvolta essere colti in difetto, e la sorveglianza anche la più attiva può in alcuni casi essere ingannata. E ciò noi dobbiamo credere che avvenga, soprattutto considerando quanto ci si riferisce essere anche recentemente accaduto sul territorio pontificio.

Non ripeterei qui quanto io ebbi nei mesi passati occasione di far conoscere alla S. V. sulle mene che si fanno dai legittimisti d'ogni nazione e dai borbonici ne' paesi dell'agro romano per preparare qualche moto a danno della tranquillità interna del nostro paese. Ricorderò soltanto come, or sono alcuni mesi, le località che circondano il porto d'Ostia fossero state indicate come un luogo ove, anche per opera del pretendente di Napoli, si lavorava a raccogliere armi che poi venivano nascoste in un bosco in vicinanza di Terracina. Ora avvenne che, poche settimane or sono, il Console di Sua Maestà a Malta segnalava al R. Governo la partenza da quel porto di due navi cariche di polvere da fuoco destinate all'Italia. Una rigorosa sorveglianza, attivata tanto dalle autorità dipendenti dal Ministero dell'Interno quanto dagli Agenti Doganali sul continente e nelle isole, non avea condotto ad alcuna scoperta; ma ora da notizie giunte da varie parti si ha motivo di credere che due navi i cui segnalamenti corrisponderebbero a quelli dati dal Console suddetto, avrebbero sbarcato tutto o parte del loro carico sulla spiaggia di Ostia. Questo fatto, se vero, verrebbe a confermare ed a completare altre notizie pervenute da varie parti, che cioè, dal partito mazziniano, aiutato in ciò da legittimisti e borbonici, si vogliano spingere le popolazioni del territorio pontificio ad una insurrezione. Evidente è lo scopo che i due partiti si propongono.

Un accordo preliminare fra Mazzini e Garibaldi incontra tutt'ora, a quanto si afferma, delle difficoltà; il primo di questi studiasi dunque di far sorgere un tale stato di cose che spinga l'altro a prendere una decisione. Se nelle provincie pontificie si riuscisse a qualche movimento difficilmente Garibaldi potrebbe ricusare di ajutarlo col patrocinio del suo nome e dell'opera sua.

Per altra parte, i borbonici ed i legittimisti calcolano che, ove un simile movimento si avesse a produrre, l'agitazione degli elementi garibaldini e degli

emigrati, il risveglio dei sentimenti di dolore che la repressione cagionerebbe in Italia, potrebbero esercitare tale una pressione sul Governo italiano da metterlo al cimento o di arrischiarsi ad un'impresa pazza, o di affrontare i pericoli di un grave commovimento interno. Ella ben comprende, Signor Ministro, che nell'un caso e nell'altro, quei nostri avversari sperano la sicura rovina dell'unità italiana che è la sua principale nemica.

Ma checché ne sia degli intendimenti più o meno manifesti di coloro che per diversi fini cospirano contro il nostro paese, egli è evidente, agli occhi nostri che il lavorio delle varie sette, fra di loro d'accordo nello scopo di gettare il disordine e lo scompiglio in Italia, ha la base delle sue operazioni in località che sfuggono alla nostra sorveglianza.

Quindi si spiega il perché dai borbonici come dai mazziniani non si facciano veri arruolamenti, ma tutto si disponga in vista di eventi possibili. Ed infatti, mentre arrivano da una parte al R. GovGrno avvisi che indicano come dai fautori della caduta monarchia borbonica si studii il modo di organizzare bande destinate ad essere, a tempo opportuno, lanciate contro il territorio italiano, mentre qualche fatto di arruolamento e di iscrizioni di nomi per conto degli amici di cessati governi furono scoperti, per altra parte pervengono alle mani delle nostre autorità quei soliti stampati che si fanno segretamente girare fra gli adepti mazziniani per tentare di stabilire una società repubblicana.

Quale e quanta possa essere l'importanza di queste mene che si vanno facendo dagli avversari dell'attuale ordine di cose in Italia, appena sarebbe necessario ricercare ove non si avessero, come ho detto sopra, positivi indizi che tanto dai legittimisti e borbonici, quanto dai mazziniani si fa assegnamento sull'influenza che sullo spirito pubblico in Italia potrebbe, a loro avviso, produrre un moto insurrezionale nello Stato pontificio. Ora il migliore modo di rendere vani questi calcoli, quello è certamente di impedire che sul territorio della Santa Sede vadano raccogliendosi i mezzi necessa1.1i per produrre un qualsiasi commovimento. Ma la S. V. che non ignora di quali elementi si componga buona parte dell'amministrazione pontificia, comprenderà di leggieri come da noi si debbano necessariamente concepire gravi sospetti e fondati timori nel sapere che i preparativi sovversivi si andrebbero facendo sul territorio della Santa Sede senza che l'autorità li impedisca ed anzi col favore di tutte le sette fra di loro d'accordo nel comune scopo di nuocere all'Italia.

Né giova il dire che la diversità dello scopo finale che i vari gruppi de' nostri nemici si propongono di conseguire basta da solo a scemare il danno ed i pericoli che per la sicurezza del nostro paese risultano da quella strana alleanza.

Coloro che vorrebbero distruggere l'unità italiana per ristabilire i caduti governi, non ignorano quanto ristretto sia il numero dei seguaci del partito mazziniano in tutta la penisola. Questo partito sarebbe ben presto vinto da coloro stessi che ora vorrebbero farsene uno strumento per raggiungere il loro fine di mettere il Governo del Re in una dolorosa e pericolosa alternativa nella quale sperano vedere infrangersi l'edifizio della nostra unità nazionale.

Questi pochi cenni basteranno certamente perché Ella possa, Signor Ministro, parlare di questo argomento in quei termini che l'importanza e la

33 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

gravità del medesimo richiedono, ed io sono convinto che quando il Governo dell'Imperatore sarà stato esattamente informato del vero stato delle cose, potrà, confrontando la condotta leale del Governo italiano colle mene del partito al quale si accorda libero campo a favore a Roma, convincersi che se una sorveglianza è necessaria in Italia, una non meno attiva vigilanza sarebbe indispensabile su quanto accade nello Stato pontificio.

(l) -Cfr. n. 403. (2) -Non pubblicato.
407

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 386. Firenze, 7 luglio 1868.

Ho preso cogmzwne con vivissimo interesse di quanto Ella mi ha scritto addl 2 e 4 di questo mese (l) sulla presentazione che Lord Stanley, aderendo al desiderio espressogli dal Gabinetto Francese, ha ordinato all'Ambasciatore inglese a Parigi di fare un elenco dei crediti che i suddetti britannici hanno verso il Bey di Tunisi.

È rimarchevole il tuono deciso e risoluto delle riserve che accompagnano quella presentazione.

Ella sa, Signor Ministro, che noi entriamo pienamente nelle idee espresse in quest'occasione dal Gabinetto inglese. Col mio dispaccio de' 12 giugno (2) già Le ho esposto quali, a nostro avviso, sono i principi che servir debbono di base ad un pratico accomodamento dell'incidente tunisino; non crederei convenga scostarsi da quelle basi. Ove Ella fosse richiesta di presentare una nota dei crediti italiani verso la Reggenza, io non potrei autorizzarla ad aderire a tale proposizione che circondando tale presentazione delle cautele e delle riserve espresse da Lord Lyons in nome del suo governo.

Ho ricevuto in questi ultimi tempi vari documenti importanti sull'indole e sull'importanza delle cose di Tunisi. Sarà mia cura di mettere a tempo opportuno quei documenti nelle mani della S. V. se sarà necessario ch'Ella se n'abbia a servire. Intanto sembrami che stando fermo il principio che nella commissione internazionale da istituirsi in Tunisi nessuna potenza e nessun gruppo di creditori debba avere una preponderanza sovra gli altri, non si comprende a quale pratico risultamento condurrebbe un particolareggiato esame di tutti i debiti tunisini verso creditori stranieri.

Il Governo Francese non avendo però sinora dato seguito alla sua proposizione relativa all'esame della quistione tunisina col concorso dei Rappresentanti delle Potenze interessate, desidererei conoscere quali siano gl'intendimenti del Ministro degli Esteri di S. M. l'imperatore a tale riguardo.

(l) -Non pubblicati. (2) -Cfr. n. 356.
408

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 101. Firenze, 8 luglio 1868.

Affinché Ella possa seguire con quella diligenza che la distingue i passi che fa la vertenza di Tunisi a Parigi, io Le invio qui unito copia di varie comunicazioni che ebbero luogo intorno a questo argomento.

Aderendo alle istanze del governo francese Lord Stanley ha fatto comunicare al Signor di Moustier un elenco dei crediti inglesi verso la reggenza, circondando però tale comunicazione da riserve e cautele molto accorte e prudenti per modo da escludere in ogni caso l'ipotesi che si voglia esaminare

o discutere in Parigi il valore relativo dei diritti dei singoli creditori del governo tunisino. Non essendoci stata fatta alcuna esplicita domanda in questo senso, noi ci siamo astenuti dal presentare un simile elenco dei crediti italiani verso lo Stato di Tunisi, ed Ella vedrà da un mio dispaccio che posta la data di ieri, diretto al Signor Cavalier Nigra in Parigi (l), quali motivi ci consigliano per ora quell'astensione.

A quei motivi potrebbesi forse aggiungere le difficoltà gravissime che da noi si incontr.erebbero ave si volesse compilare un simile elenco perocché nel medesimo potremmo comprendere soltanto quei crediti che per aver dato luogo a contestazioni pervennero a cognizione dell'agente di Sua Maestà in Tunisi e dovremmo fare una riserva esplicita per tutti quei crediti che potrebbero bensì esistere senza che dagli agenti consolari del R. Governo se ne sia avuta sin qui cognizione.

Molte ed importanti notizie ho già raccolto intorno all'indole ed all'entità de' vari debiti della reggenza di Tunisi verso gli stranieri. Queste notizie che mi riserbo trasmetterle, se col tratto successivo ciò sembrerà necessario, mi hanno dimostrato che conviene assolutamente mantenerci fermi nei principi già tante volte enunciati nella discussione di questa vertenza.

Riassumendo pertanto in pochi punti quanto, a nostro avviso, occorrerebbe stabilire, mi sembra che le basi di ogni ulteriore negoziato dovrebbero essere: 1° Formazione della Commissione internazionale finanziaria a Tunisi;

2° Esclusione d'ogni preponderanza nella composizione della Commissione medesima, e ciò tanto per quel che concerne la parte che vi debbono avere le varie potenze interessate, quanto per quel che riguarda la parte che vi si potrebbe concedere ai singoli gruppi di creditori stranieri;

3° Limitazione dei poteri della Commissione internazionale ad una semplice sorveglianza sull'amministrazione finanziaria tunisina per assicurare l'adempimento degli impegni che questa ha assunto verso i suoi creditori stranieri;

4° Esclusione d'ogni ingerenza tanto della Commissione internazionale quanto delle Potenze riunite in Parigi per giudicare della validità e del grado di privilegi de' vari crediti esteri verso il Governo del Bey.

Per verità queste basi risultano come già quasi stabilite d'accordo fra i due gabinetti di Firenze e di Londra. Bramerei però, prima di indicarle al Ministro del Re a Parigi come norme positive di condotta nei negoziati con la Francia, avere la certezza che intorno alle medesime il nostro accordo coll'Inghilterra è completo.

(l) Cfr. n. 407.

409

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA

D. 22. Firenze, 10 luglio 1868.

Le rendo molte grazie per i rapporti ch'Ella mi diresse sotto varie date sino al N. 48 inclusivamente. Approvo il linguaggio ch'Ella ha tenuto con S. E. il Principe Gortchakoff parlandogli delle varie questioni della giornata. L'atteggiamento riservato della Russia nelle ultime vicende della Serbia mi sembra degno d1 attenzione. Raccolgo dai rapporti che mi giunsero da varie parti che il Gabinetto di Pietroburgo si sarebbe mantenuto affatto all'infuori d'ogni maneggio nelle combinazioni che condussero all'elezione del giovinetto principe Milan. I fogli ufficiosi del paese che contende alla Russia l'influenza esclusiva nei paesi jugo-slavi, non cessano dal cantar vittoria e menar vanto della sconfitta toccata alla politica moscovita nei recenti casi della Serbia. Potrebbesi però dubitare assai tanto delle difficoltà superate dagli avversari della Russia in questa circostanza, come dell'esito definitivo di una lotta di influenze che si impegnasse più tardi sovra quel terreno. Non può sfuggire a chi considera pacatamente la situazione delle cose il riflesso che tutti gli uomini che ebbero sin qui la parte più distinta nel Governo del Principato, si sono tenuti in disparte e nessuno fra quelli che avrebbero potuto concorrere alla candidatura principesca, ha preso posto tra i candidati alla reggenza. Questa circostanza mi sembra di molto rilievo epperò mi pare che nella medesima possa facilmente ravvisarsi un sintomo di future forse non lontane complicazioni.

Avrò però molto piacere se la S. V. mi vorrà di quando in quando informare delle opinioni che il Cancelliere Imperiale ed i personaggi più influenti della Russia emetteranno sugli andamenti del Governo costituito in Serbia; molto interessandomi di conoscere il contegno del Gabinetto di Pietroburgo verso il Principato per poter rendermi un conto abbastanza esatto della situazione degli affari d'Oriente.

Sembra anche che un mutamento, in senso però assai favorevole, si sia prodotto nelle disposizioni del Governo Imperiale verso i Principati Uniti. Il Governo del Re che vedeva non senza qualche inquietudine lo stato di tensione nel quale per alcun tempo si trovarono i rapporti di quel Governo principesco con codesto Impero, va lieto di poter rallegrarsi ora di avere in parecchie occasioni insinuato tanto a Bucarest che a Pietroburgo sentimenti di conciliazione inspirati unicamente dal desiderio di allontanare i pericoli di maggior complicazione ne' paesi di Levante.

410

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 22. Firenze, 10 luglio 1868.

Ho veduto, non senza qualche rammarico, dalla di Lei corrispondenza che mentre in Parigi non si giunge neppure ad iniziare il negoziato che dovrebbe tendere a ristabilire l'ordine finanziario in Tunisi con vantaggio economico e politico di tutti gli Stati cointeressati, continuano i maneggi, il cui scopo finale sarebbe di consolidare in mani francesi il debito estero di Tunisi il che vale, nello stato attuale di cose mettere l'oberata reggenza in mano ad un solo potente e pericoloso creditore. Epperò io approvo che V. S., cogliendo la insolita occasione in cui potè essere ricevuto da S. A. il Bey senza che fosse presente alcun suo ministro, abbia avvisato Sua Altezza dei pericoli e dei danni gravi che potrebbero sorgere a seguito di un'altra rovinosa operazione fatta in Francia.

Ben comprendo per altra parte le gravissime difficoltà che prova il tesoro tunisino a far fronte agli impegni i più urgenti senza ricorrere a nuove operazioni di credito.

Informazioni segretissime ma che mi giunsero da ottima fonte mi portano a credere che una società inglese di banchieri nella quale sarebbe pure interessato un italiano si proporrebbe di fare una operazione che avrebbe per effetto di assestare le cose in Tunisi sol che dalle principali Potenze si assicurasse l'indipendenza della reggenza.

Le proposizioni di questa società inglese, che sembra seria, avrebbero già prodotto un cambiamento sensibile nelle disposizioni del Bardo. I negoziatori che trovavansi in Parigi avrebbero ricevuto ordine di sospendere le trattative colle case commerciali di Francia e di intavolare invece pratiche coi nuovi offerenti.

Tutte queste notizie comunico alla S. V. sotto la condizione espressa della più assoluta riserva.

Nella condizione presente delle cose di Tunisi parmi che si potessero evitare nuovi prestiti all'estero si eviterebbero altre e forse più gravi complicazioni. Ma dappoiché sembra invece che il Governo Tunisino non sappia o non possa desistere dal suo progetto di stipulare un nuovo prestito all'estero, non può essere dubbio che l'interesse nostro ci consiglia di adoperare la nostra influenza in senso da impedire che lo Stato di Tunisi oberato dai debiti contratti in Francia abbia a trovarsi in balia esclusiva di un vicino potente che più volte già ha accennato di voler annettere alla sterile sua colonia il fertile territorio che compone lo stato del Bey.

Ella ben intende, Signor Commendatore, che noi non vorremmo dar consigli al Bardo senza esserne richiesti; ma però è bene che di fronte ad un interesse tanto grave per le sorti di una cospicua colonia italiana Ella conosca per qual partito di preferenza si pronunzierebbe il Governo italiano in siffatta questione. Conoscendo questo nostro modo di vedere, Ella potrà, tenendo tuttavia segrete le informazioni che le ho dato, rivolgere la di Lei azione in un senso che anche indirettamente potrà far sì che si allontanino i pericoli che nascerebbero se un nuovo prestito fosse dal Bey conchiuso in Francia.

411

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 139. Costantinopoli, 10 luglio 1868 (per. il 17).

Non credo metter la falce nella messe altrui, né tampoco essere smentito, se, prima che il Commendatore Cerruti sia in grado di fare analoga risposta al dispaccio dell'E. V. del 26 pp. giugno (l) (uno fra gli annessi al dispaccio della stessa data a questa R. Legazione), io mi provo di antivenire quella del Signor Seward rispetto alla pretesa connivenza tra l'Ammiraglio Farragut ed il Garibaldi allo scopo di rovesciare l'ordine stabilito nell'Italia Meridionale, per instaurar quindi la strana Dittatura del vinto di Aspromonte e di Mentana.

Premetterò che il maneggio della politica estera degli Stati Uniti essendo intieramente in mano al segretar~o di Stato, che le dà quell'indirizzo che egli crede migliore, e ciò senza la minima opposizione delle parti politiche che sono, nel resto, in lotta fra loro nelle quistioni interne, non rimane che a discernere qual sia l'opinione del medesimo in ordine al Garibaldi per inferirne in seguito quale appoggio egli potrà eventualmente sperare ed incontrare nelle forze navali Nord-Americane, qualora quest'uomo irrequieto nato per disfare da una mano quel che può aver fatto di buono dall'altra, desse opera ad una nuova spedizione o contro Roma, o contro il Governo del Re.

Rammenterà probabilmente l'E. V. una lettera inserita alcuni anni or sono nei giornali Europei dal Signor Canisius, Console degli Stati Uniti a Vienna, e diretta al Garibaldi prigioniero alla Spezia dopo la disfatta di Aspromonte, nella quale quell'Agente Consolare esortavalo a condursi agli Stati Uniti, mentre si esprimeva sul Governo nostro in termini tutt'altro che moderati.

Appena presa notizia di questa lettera io mi recai dal Seward onde chiedergli se la lettera mandata attorno nei periodici era autentica, e quindi fargli quelle avvertenze che erano del caso. Il Segretario di Stato, senza !asciarmi entrare più oltre in materia, chiese, e mi mostrò ipsofatto il registro di Vienna, in cui lessi un suo dispaccio del giorno antecedente, nel quale il Canisius era severamente biasimato per quella sua missiva e quindi sospeso dalle sue funzioni per ordine espresso del Presidente. Poscia soggiunse: «Volli antivenire i vostri giusti reclami provocando questa misura e suppongo che dovete essere soddisfatto».

Quando più tardi il Garibaldi chiese di pigliar parte alla guerra degli Stati Uniti contro i ribelli del Sud, ed a condizioni atte piuttosto a ferir l'amor proprio del Governo di Washington anziché a propiziarselo, il Signor Seward gli fece domandare anzitutto se esso Garibaldi, qual Generale al servizio di

S. -M. il Re d'Italia, aveva ricevuta la debita autorizzazione di passare al servizio di un Governo estero. Questa domanda la cui portata non poteva certamente essere fraintesa, bastò senz'altro per troncar le trattative, e l'eroe di Marsala rinunciò agli allori che sollucheravano la sua ambizione guerresca, e sperava cogliere nel campi della Virginia e della Carolina.

Ove si dicesse che 1 tempi sono mutati, e che gli Stati Uniti potrebbero

fare al dì d'oggi quello che non fecero in passato, io avvertirei:

1° -Che l'Ammiraglio Farragut, che conosco altrettanto aperto quanto

modesto, non sarà in ogni caso l'uomo adatto per intendersela col Garibaldi,

e per ordire insieme con lui una indegna trama a danno d'Italia.

2° -Gli Stati Uniti, e Seward particolarmente non hanno dimenticato, né

potranno facilmente dimenticare la nostra leale condotta a loro riguardo du

rante la guerra del Sud; epperciò non v'ha ragione di temere che essi ci dieno

un serpente, quando ricevettero da noi un pesce che lor fece gran prò.

3° -La politica Nord-Americana, per quanto ·i Russi vaglino far credere 11 contrario, è e sarà ancora per molti anni quella inaugurata da Giorgio Washington e raccomandata ai suoi successori, e conseguentemente aliena da ogni alleanza od ingerenza nelle faccende del vecchio continente.

4° -Allorché gli annunziai la mia promozione mercé il mio traslocamento a Costantinopoli, il Seward mi rispose con una lettera, che conservo preziosa, e che comincia coi seguenti termini: «l'am unselfish enough to be able to congratulate you upon your promotion, although it removes another of the supports which have made my own position here tenable, and benefictal to my country, and, I hope, to mankind ».

Colle quali espressioni il segretario di Stato allude evidentemente ai negoziati da me condotti, dietro la preghiera del Marchese di Montholon, e coll'assenso, mancomale, del Signor Drouyn de Lhuys, onde evitare una collisione colla Francia, e nel modo che il Ministero conosce dalla mia passata corrispondenza.

Come potrebbe ora darsi che chi mi chiamò e m'ebbe suo cooperatore per far quel bene che egli dice, voglia in giornata scambiar le parti, e mettersi da quella del Garibaldi onde nuocere al mio Governo ed alla mia patria?

Il Seward non è capace di tanta infamia, e se tali fossero gli Stati Uniti, essi dovranno, io sono convinto, dapprima dare il cambio all'abile ed onesto Statista che dirige le loro relazioni esterne.

P. S. -Essendo probabile che il Signor Burlingam, oggidì in Washington qual Plenipotenziario dell'Imperatore cinese, si rechi più tardi in Firenze onde compiere la sua missione stimo conveniente di richiamar alla memoria dell'E. V. che 11 medesimo, quando era membro del Congresso degli Stati Uniti, promosse un apposito bill perché la Legazione Nord-americana in Torino fosse collocata fra quelle di primo rango, e ciò mercé un bellissimo discorso che doveva riuscir tanto onorevole, e grato all'Italia quanto tornò ingrato e molesto al Governo Austriaco.

Nominato più tardi Ministro a Vienna dal Presidente Lincoln il Burlingam venne recisamente ricusato dal Gabinetto imperiale appunto per la simpatia da lui mostrata in favor nostro. In conseguenza di questo rifiuto il Burlingam

tu inviato alla Cina. Quando il rividi nel 1866, in congedo temporario a Washington, ed in casa del comune amico, e collega, Sir Fred Bruce, Ministro d'Inghilterra, il Burlingam mi disse: «Vous le savez que mes sympathies pour l'Italie m'ont fait chinois, et j'en suis bien aise. Je serai toujours pour votre beau pays malgré le mauvais vouloir de l'Autriche à mon égard >>.

(l) -Cfr. n. 390.
412

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO

D. 27. Firenze, 11 luglio 1868.

Le rendo distinte grazie pei rapporti coi quali Ella venne mano mano informandomi così delle disposizioni prese dalla Reggenza provvisoria, come delle circostanze che accompagnarono l'elezione del nuovo Principe. Le cose che V. S. mi ha esposte sugli intendimenti politici manifestati da chi regge ora la cosa pubblica in Serbia mi riusciranno utilissime per farmi un concetto esatto della via che sarà per seguire codesto Governo fino da' suoi primi passi.

Noi, come Ella sa, fummo solleciti ad esprimere il voto, diviso anche dalle altre potenze, che la Serbia dovesse usare nella scelta del nuovo Principe di quella massima ed assoluta libertà che le riconoscono il diritto pubblico interno del Principato e le relazioni determinate e stabilite fra il Governo principesco ed il Divano Imperiale da atti solenni. Ora però che la scelta ebbe luogo, e che la nomina del giovane Principe Milano è un fatto compiuto, noi possiamo considerare la nuova situazione assai più liberamente che per lo passato dappoiché ai nostri riflessi, qualunque essi sieno, non potrebbesi in alcun caso attribuire il segreto scopo di esercitare una indiretta influenza sull'elezione del Principe o de' suoi Consiglieri. Ora dunque, a noi come ad ogni altro Governo interessato al mantenimento della pace e della tranquillità in Europa, deve essere concesso di riflettere seriamente sullo stato di cose che l'elezione di un Principe minore di età ha sostituito in Serbia al Governo affatto personale che il compianto Principe Michele teneva fermo nelle sole sue mani. Non si potrebbe infatti nascondere che grandi pericoli corre codesto paese, per trovarsi ad un tratto aperto l'adito nelle sfere più elevate del Governo ad influenze di cui non si tarderanno a scorgere le conseguenze. Nulla infatti di più probabile che il veder realizzarsi molte delle funeste previsioni che presso i principali Gabinetti si concepirono quando si conobbe l'intenzione del popolo Serbo di consacrare nel Principe MHano la successione nella casa del defunto Principe Michele. Gli inconvenienti sempre gravissimi di una Reggenza in qualsiasi Stato, diventano in Serbia anche maggiori per le circostanze speciali in cui versa codesto paese. Quindi è che, a nostro avviso, consigli di moderazione e di saviezza politica che i Gabinetti d'Europa daranno in questo momento al Governo Serbiano saranno la più sicura prova dell'interesse che prendono alle sorti del Principato. Epperò, noi che professiamo per codesto popolo una viva e sincera simpatia non dobbiamo mancare le occasioni che si potranno presentare per consigliare ai Reggenti di non dipartirsi dalla sola via che non sembra presentare pericoli, da quella cioè che è unicamente tracciata dall'interesse vero del popolo Serbo, e che evita accuratamente gli scogli delle influenze rivali delle potenze straniere.

È in questo senso che io autorizzo pertanto la S. V. a ragionare cogli uomini di Stato che governano il Principato, ogni volta che simile linguaggio possa sembrarle opportuno.

413

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1084/453. Londra, 11 luglio 1868 (per. il 17).

Ho l'onore di trasmetterle gli ultimi dispacci in relazione colla spedizione d'Abissinia Cl), stati presentati alle Camere, e che giungono fino al termine della Campagna.

Questa settimana il Governo introdusse in Parlamento un progetto di legge a termine del quale viene accordata a Sir Robert Napier una rendita di 2.000 lire sterline, riversibili alla sua morte al di lui figlio primogenito.

Di più il Signor Disraeli annunziò venerdì ai Comuni che Sua Maestà aveva deciso di innalzare l'illustre generale alla dignità di Pari sotto il titolo di «Lord Napier of Magdala ».

La facilità colla quale la guerra d'Abissinia fu condotta, ed il successo da cui fu coronata, hanno reso meno amaro al pubblico il pensiero della spesa maggiore che quest'anno è a carico del bilancio Inglese. Dessa da quanto si può calcolare non sarà molto più di sei milioni di lire sterline; si crede in ogni ~aso che non oltrepasserà i sette milioni, e ciò che rende l'attuale Ministero superbo, si è di poter far fronte a tale gravezza senza aver ricorso a nuove tasse.

Il Signor Gladstone e molti altri membri liberali del Parlamento, hanno avuto la lealtà di lodare l'abilità colla quale il Governo pensò a tutti i bisogni dell'armata, e la savia determinazione da lui presa per dare i più ampj poteri al generale Napier, circostanza che contribuì non poco al felice esito della campagna.

È innegabile che, da impopolarissima, questa spedizione è diventata oggetto del favore generale; il successo che ha coronato le armi inglesi ha qui esercitato un gran prestigio, e la Nazione Britannica capisce che i milioni da lei sborsati in questa circostanza non mancheranno di fruttarle in avvenire.

Sul continente corre l'opinione che nulla valga a trarre l'Inghilterra dal

letargo in cui pare essere caduta relativamente alla politica estera.

La Campagna d'Abissinia ha ora dimostrato che, se questo paese ha realmente adottato il partito di non immischiarsi in nessuna questione Europea che non lo concerna direttamente, desso non indietreggia però davanti a qualunque sacrificio di sangue e di danaro appena la sua influenza e i suoi vari interessi sono in pericolo.

Le mutate condizioni della politica generale hanno avuto per risultato di far comprendere agli Inglesi che il loro centro di gravità non è più in Europa.

Ciò ebbi altra volta occasione di esprimere a V. E. che Lord Stanley stesso appartiene a quella scuola, la quale trova ogni giorno maggiori seguaci, avente per principio di considerare che la prosperità della Gran Bretagna consiste interamente nelLa sua tranquillità interna e nello sviluppo del suo stabilimento coloniale.

La guerra contro il Re Teodoro è la conseguenza di simile politica.

In questa spedizione, da tanti riguardata come una follia, l'Inghilterra ben sapeva quali interessi avesse a difendere; quantunque spinta dal sentimento di vendicarsi degli insulti del Re Abissino, essa profittò dell'opportunità per accrescere il suo prestigio sulle rive del Mar Rosso, ed il trionfo di Magdala può certamente considerarsi come un contrapposto alla influente posizione acquistata dalla Francia in Egitto da che si pose mano ai lavori del taglio del'istmo di Suez.

Tutta la storia dell'Impero Britannico dimostra come esso si sia di rado sobbarcato ad una guerra per un'idea, o per assicurarsi una preponderanza più chimerica che reale.

Queste teorie non ricevettero nessuna alterazione dai tempi, ed oggi quasi vengono ancora più strettamente osservate; il giorno tuttavia in cui i suoi interessi siano veramente posti a repentaglio allora questo paese, abbandonando la consueta riserva, entrerà sempre in lizza, come fece ora in Abissinia, coll'energia e la risoluzione che assicurano la vittoria. E così è che malgrado la sua numerica inferiorità militare, l'Inghilterra può spesso coll'intervenire al momento opportuno, decidere in gravi emergenze lo scioglimento delle più intricate complicazioni (1).

Queste sono le idee che i recenti trionfi dell'armata Inglese hanno qui sviluppato nel pubblico, e che come tali ho creduto mio debito di rassegnare V. E.

(l) Si allude alla spedizione iniziata nel luglio-agosto 1867 da Lord Nap!er contro !l Negus Teodoro I e conclusa nell'aprile 1868 con l'assedio e la presa di Magdala (cfr. C. GIGLIO, La politica africana dell'Inghilterra nel XIX secolo, Padova, 1950, pp. 438-440.

(l) Cfr. quanto comunicò Nigra con r. 718 del 10 agosto dopo un Incontro con Stanley: «Lord Stanley m! parve verament!' rispondere all'Idea favorevole che da lungo tempo i suo! concittadini si fec!'ro di lui. È aff,ab!le di modi, benché riservato, prudente e sobrio nelle parole, fornito d! molta coltura letteraria e scientifica; dotato di perseverante volontà. Sua Signoria m! sembrò convinto della durata della pace, e certamente desideroso di essa. Ma se per conservare al mondo questo grande benefizio, fosse necessario che l'Inghilterra, uscendo al fine dalla lunga astensione praticata finora, facesse atto di energica volontà e scendesse dalle paroleal fatti, non credo che Lord stanley sarebbe l'uomo da spingere Il suo paese In questa via, a meno che gl'Interessi speciali dell'Inghilterra fossero direttamente Impegnati. Tanto per propria convinzione, come per temperamento, Lord Stanley appartiene a quella scuola d! prudente astensione che non ammette che l'Inghilterra abbia ad Intervenire coll'azione materiale nelle cose del continente, salvo il caso d! lesione grave del propri interessi. Quindi è che egli è avverso ad ogni novità in Europa ~ sp~c!almente in Oriente. Tale è l'impressione !asciatami da Lord Stanley ».

414

IL CONSOLE GENERALE A TRIESTE, BRUNO,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 19 Trieste, 11 luglio 1868 (per. il 13).

Ieri doveva aver luogo una seduta straordinaria del Consiglio Municipale per trattare d'urgenza due mozioni, l'una concernente un rescritto della Luogotenenza relativo alla esecuzione della legge scolastica, l'altra riflettente una protesta contro la recente Allocuzione del Papa, ma non poté aver luogo perché i Consiglieri presenti non erano in numero sufficiente a dare legalità alle deliberazioni del Consiglio. Essendosi proceduto all'appello nominale, le gallerie che erano stipate di gente accolsero con fischi ed urli i nomi degli assenti e specialmente di quelli che sono conosciuti per devoti al partito clericale.

Una gran quantità di gente si radunò poscia sulla piazza sottostante e proruppe in grida sediziose finché giunta la notte si avviò all'abitazione del Console Pontificio dove dopo aver gridato abbasso il Papa fece in pezzi lo stemma che stava sulla porta d'entrata. Più tardi si diresse verso la Chiesa dei Cappuccini, la cui costruzione non è ancora terminata, e trovandosi la casa del Consolato d'Italia sulla via si arrestò pochi minuti gridando viva l'Italia. Mi assicurano che ove non fosse accorso buon nerbo di soldati di Polizia e di guardie territoriali sarebbesi forse messo il fuoco alla chiesa dei Cappuccini. Si dice siansi fatti degli arresti.

Il pubblico sensato deplora i fatti avvenuti, ma non approva la condotta tenuta dalla Polizia; si pretende che ove essa non fosse intervenuta da principio, la folla si sarebbe spontaneamente dispersa.

P. S. I fatti che ho sopra riferito essendo più estesamente e senza esagerazioni raccontati in un lungo articolo del giornale Il Cittadino, io mi reco a debito di trasmetterne qui unito all'E. V. un esemplare.

415

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1197. Costantinopoli, 1.1 luglio 1868, ore 6 (per. ore 13).

La France propose dix ans pour les fonctions de Franco pacha. Mes collègues paraissent disposés à se rallier à cette proposition. Le ministre des affaires étrangères se réserve de consulter le Divan pour nous réunir samedi prochain dans une seconde conférence. Si je ne reçois pas d'instructlons contraires, je signerai le protocole avec la majorité.

416

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 391. Firenze, 13 luglio 1868.

Ieri il Signor Barone di Malaret mi ha comunicato verbalmente il contenuto di un dispaccio del suo Governo, nonché di una lettera del Console Imperiale, di Francia in Aleppo, relativa alle Lagnanze che io La invitava a fare presso S. E. il Marchese di Moustier per il contegno assunto da vari Consolati francesi in Siria in occasione della festa anniversaria della nascita del nostro Augusto Sovrano.

Il Vice Console italiano, scrive l'Agente Consolare francese in Aleppo, non volle che si chiedesse l'autorizzazione al Consolato Imperiale per celebrare un officio divino in una chiesa cattolica, ma lo stesso Agente soggiunge, ch'egli si era recato in uniforme a far la visita d'uso al suo Collega d'Italia nel giorno in cui festeggiavasi la nascita di S. M. il Re d'Italia.

Il Signor Marchese di Moustier nel trasmettere il rapporto del Console Imperiale di Aleppo soggiunge di aver dato istruzioni perché in simili occasioni le autorizzazioni siano date preventivamente e senza aspettare che siano domandate.

Ho ringraziato il Signor Barone di Malaret della comunicazione fattami facendogli però osservare che la medesima non toglieva di mezzo nessuno de' motivi, che io riteneva fondati, di lagnanza contro quegli Agenti, e fra gli altri contro quello di Beirouth, i quali si erano astenuti dal fare le visite d'uso ai Consoli italiani in occasione della festa del Re. Sta in fatto che dispensandosi dall'osservare la pratica sin qui seguita da tutti i suoi colleghi, il Console francese in Beirouth ha omesso a bello studio di usare in quel giorno le cortesie che si sogliano reciprocamente adoperare dagli Agenti esteri in Levante. Né sin qui mi risulta in nessun modo che quell'Agente francese abbia dato al nostro Console un motivo plausibile per iscusare la sua omissione.

Lo stesso avvenne in Tripoli di Soria. Per verità le lagnanze ch'io La invitai a porgere sino dal 17 aprile ultimo passato (l) non hanno condotto sin qui a quel risultamento che noi eravamo in diritto di aspettarci.

Ora che il tempo stringe io mi vedrò costretto di ordinare ai nostri agenti in Siria di assumere per il 15 Agosto lo stesso contegno che tennero verso di loro gli agenti francesi il 14 marzo.

In ordine poi alla pretesa della Francia di esercitare un patronato esclusivo sopra le chiese cattoliche di Siria e di valersi dei diritti che soltanto un vero patronato può attribuire, giova osservare che la pretesa non è nuova, non è neppure nuovo il nostro rifiuto di ammetterla. Ricorda questo Ministero che mentre la Sardegna teneva un suo Consolato in Gerusalemme una discussione simile a quella sorta recentemente ad Aleppo, ebbe luogo e la questione portata a Roma. fu allora sciolta nel senso che le pretese francesi non avevano

fondamento. Non vogliamo ora entrare col Governo francese in una discussione a questo proposito, ma non vogliamo neppure pregiudicare la situazione di diritto col fare atti che più tardi potrebbero venire citati come prove di nostra tacita acquiescenza. Epperò il R. Governo ha approvato che i suoi agenti si siano astenuti dal chiedere o dal far chiedere ai Consolati francesi il permesso di celebrare religiose funzioni in chiese sulle quali la Francia non ha un patronato speciale.

Nel mentre del resto Le do queste informazioni per di Lei particolare norma, noi vogliamo per ora !imitarci a mantenere integro il diritto senza entrare in discussioni, che potrebbero, intempestivamente provocate, far risolvere la questione in modo a noi sfavorevole. Parlando col Signor Di Moustier di quanto avvenne in Aleppo sarà bene ch'Ella eviti pertanto di accettare in qualsiasi modo il discorso sul diritto, al quale la Francia pretende, di autorizzare i chierici a celebrare religiose funzioni, limitandosi invece ad osservare che della singolare condotta degli Agenti francesi di Beirouth e di Tripoli di Soria non fu ancora data conveniente spiegazione.

(l) Cfr. n. 240.

417

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 710. Parigi, 16 luglio 1868 (per. il 20).

Con dispaccio del 12 giugno scorso n. 374 di Serie Politica (1), relativo alle cose di Tunisi l'E. V. mi dava istruzione di non riparlare pel primo di questa questione e d'attendere che S. E. il Marchese di Moustier m'invitasse ad esternare un'opinione sopra di essa, o che l'Ambasciatore di S. M. Britannica in Parigi m'invitasse a far qualche passo nell'interesse comune. Ora né il Marchese di Moustier mi mosse parola delle cose di Tunisi, né Lord Lyons m'invitò a fare qualche ufficio al riguardo. Quest'ultimo si limitò a comunicarmi, secondo le istruzioni di Lord Stanley, la lista dei crediti inglesi e la nota verbale con cui egli la trasmise al Marchese di Moustier, conformemente a quanto ebbi l'onore d'esporre all'E. V. coi miei dispacci del 2 e 4 corrente (2).

Ora però, dopo aver ricevuto il nuovo dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il 7 corrente sotto il n. 386 di Serie Politica (3), mi recai dal Marchese di Moustier per domandargli quali erano gli intendimenti attuali del Governo Imperiale intorno alla vertenza di Tunisi. Il Marchese di Moustier mi rispose, che le intenzioni del Governo Imperiale sono sempre le stesse e quali dovettero essere esposte all'E. V. colla nota di cui il Barone di Malaret Le rilasciò copia a suo tempo. Queste intenzioni, proseguì il Marchese di Moustier, sono di costituire a Tunisi una commissione finanziaria d'accordo e col concorso delle Potenze interessate. Il Marchese di Moustier mi disse inoltre che essendo stato occupato presso il Corpo Legislativo per la discussione del

Bilancio, non aveva ancora potuto portare la sua attenzione speciale sulla parte esecutiva di questo progetto di Commissione, sulla cui sostanza le Potenze interessate erano cadute d'accordo in principio. Avendo io fatto cenno al Marchese di Moustier di certe pratiche che si andrebbero facendo sul mercato di Parigi per un prestito al Bey di Tunisi, questo Ministro mi assicurò recisamente che il Governo francese non consentirebbe a nessuna operazione finanziaria in Francia relativamente a Tunisi, prima che la Commissione fosse stata costituita d'accordo colle Potenze. Il Marchese di Moustier m'autorizzò a portare questa sua dichiarazione a notizia dell'E. V.

Il Marchese di Moustier non avendomi domandato questa volta che io gli comunicassi la lista dei crediti italiani, m'astenni dall'entrare in siffatto argomento.

(l) -Cfr. n. 356. (2) -Non pubblicati. (3) -Cfr. n. 407.
418

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 22. Monaco, 17 luglio 1868.

Il Principe di Hohenlohe è da jeri sera di ritorno dal suo viaggio nel Wurtemberg e nel Granducato di Baden.

Ebbi stamane una conferenza con Sua Altezza dalla quale mi vennero in parte confermate le notizie date dai giornali intorno allo scopo del suo viaggio. Siccome già ebbi ad annunciarlo a V. E. una Convenzione era stata conchiusa tra il Wurtemberg e la Baviera onde regolare tra di loro l'occupazione mista della fortezza di Ulm; al momento di effettuare lo scambio delle ratifiche di questo accordo erano sorte alcune difficoltà che avevano tratto piuttosto alla forma che alla sostanza della Convenzione.

Il Principe Hohenlohe colse il destro da questo incidente per procurarsi un abboccamento col suo collega Wurtemberghese e pol'll'e le basi di un ulteriore accordo tra i quattro Stati della Germania meridionale onde organizzare un sistema comune di difesa. A questo effetto la Baviera propose che si riunisse in Monaco una commissione in cui sarebbero rappresentati i quattro Stati; credo di potere sin d'ora annunciare a V. E. che il Governo Wtirtemberghese accolse favorevolmente le prime proposte bavaresi; il Granducato di Baden rispose che le avrebbe prese in considerazione; in quanto all'Assia, da quanto ho potuto comprendere, la sua adesione è più incerta a causa degl'impegni contratti anteriormente ne' suoi rapporti militari colla Prussia, in seguito ai quali rimane in certo modo limitata la sua libertà di azione.

Altre Conferenze avranno pure luogo in Monaco alle quali prenderanno parte tutti i Governi germanici i cui rapporti militari mutarono in seguito al trattato di Praga; ma questo non avrà altro scopo che di stabilire il riparto del materiale attualmente esistente nelle fortezze di Ulm, Radstadt e Lindau.

Sebbene questi convegni sembrino non rappresentare che interessi locali, ho creduto mio dovere di darne un cenno a V. E. per rettificare quanto la stampa europea potesse a questo riguardo erroneamente annunciare.

419

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 711. Parigi, 17 luglio 1868.

Nel segnalare a S. E. il Marchese di Moustier la pubblicazione fatta nel Giornale francese l'Univers il 1° luglio corrente del Dispaccio direttomi dall'E. V. il 24 gennajo scorso e relativo al modus vivendi proposto tra l'Italia e la Santa Sede, espressi l'ipotesi che una tale indiscrezione provenisse da Roma. Il Marchese di Moustier mi osservò che era impossibile che la cosa venisse da Roma, giacché il Governo francese non aveva comunicato copia di detto dispaccio al Governo Pontificio. Egli aggiunse che era ugualmente certo che l'indiscrezione non era stata commessa al Ministero Imperiale degli Affari Esteri.

D'altra parte mi affretto ad assicurare l'E. V. che il dispaccio predetto non uscì dalla R. Legazione a Parigi. Una sola copia vi fu fatta e questa fu da me rimessa nelle mani del Marchese di Moustier.

420

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. 80. Firenze, 18 luglio 1868.

Il R. Console in Belgrado mi ha comunicato copia del rapporto che Le ha diretto per informarla del desiderio della reggenza di Serbia di vedere appoggiati i passi che sta per fare presso il Divano Imperiale affinché il Berat d'investitura del Principe Milano Obrenovitch sia a lui rilasciato come Principe per eredità e non solamente come Principe eletto. La questione è assai grave se si vuole considerare in principio tanto se la si esamina al punto di vista del diritto, quanto se si tien conto delle condizioni speciali in cui versa il Principato.

Il R. Governo non ha elementi per conoscere in qual senso opinano i vari Governi interessati in siffatta questione, epperò desidera evitare di pronunziarsi in un argomento così delicato prima di conoscere quale sarà il contegno degli altri governi a questo riguardo.

Ella vorrà pertanto, Signor Cavaliere, interpellare riservatamente tutti i di Lei Colleghi delle grandi Potenze intorno all'accoglienza che ciascuno di essi avrà fatto alla domanda di appoggio della Serbia nella presente questione, e le sarò grato se mi farà conoscere sollecitamente quali sono le disposizioni dei rappresentanti d'Austria, Francia, Gran Bretagna, Prussia e RUSsia. Dal canto mio procurerò di avere direttamente da quei Governi informazioni precise sulle loro disposizioni e mi affretterò di farne oggetto di comunicazione alla S. V. affinché Ella abbia sopra queste cose ogni desiderabile notizia.

421

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 713. Parigi, 18 luglio 1868 (per. il 22).

In uno degli ultimi colloquii ch'io ebbi con S. E. il Marchese di Moustier, domandai a questo Ministro che cosa il Governo imperiale pensasse della convocazione del concilio ecumenico, ed osservai come per una serie strana d'avvenimenti il Governo francese sarebbe condotto (ove non avvisasse in tempo) a proteggere col suo appoggio morale, e forse anche coll'appoggio materiale un consesso che per avventura potrebbe pretendere a convertire in dogma della chiesa cattolica il potere temporale dei Papi, e certamente poi a confermare coll'autorità ecumenica le aberrazioni del Syllabus e la condanna di tutti i principii civili e politici su cui è fondata la società moderna e con essa il sistema del Governo imperiale in Francia. Ad una interpellanza fatta su questo argomento nel Corpo legislativo, il Signor Baroche rispose in termini riservati e generici, tenendosi piuttosto accanto alla questione ed evitando d'esaminarla a fondo. Il Marchese di Moustier tenne meco un linguaggio non dissimile. Egli mi disse che il Governo imperiale stava preoccupandosi di questa questione, ma che finora non era stato condotto a farne oggetto di maturo esame, il che farebbe certamente più tardi. Il Marchese di Moustier, come il Signor Baroche, hanno entrambi tendenze liberali ed appartengono alla scuola che ha per principio non solo l'indipendenza dello Stato dalla Chiesa, ma la preponderanza di quello su questa, scuola che combatte ogni ingerenza della Chiesa nelle cose di Governo, e della quale il defunto Procuratore generale Dupin era uno dei capi più autorevoli, e certamente il più arguto. Questi due Ministri a cui si deve aggiungere, con una gradazione anche più marcata, il Signor Duruy, potrebbero chiamarsi gallicani, se questa parola avesse ancora un significato in Francia.

È probabile che il Governo francese non ammetterà quindi quella parte delle decisioni del Concilio che potesse toccare i principii della legislazione dell'Impero. Ma d'altro lato, la reazione clericale ha preso un tal piede in Francia che si può prevedere che il Governo imperiale lascierà compiersi tranquillamente la riunione del Concilio, non impedirà che i vescovi francesi vi intervengano, e subirà fino ad un certo punto le conseguenze delle decisioni ecumeniche. Se un tale Concilio si fosse riunito in tempi ordinarj e normali, forse esso sarebbe stato origine di gravi dissidj nell'episcopato cattolico. Dirò di più, forse in tempi normali una tal riunione sarebbe stata impossibile ed in ogni caso i suoi risultati sarebbero stati o nulli, o poco apprezzabili, e forse anche contrarj alla Santa Sede. Ma i pericoli a cui le avventatezze garibaldine esposero la Santa Sede e la persona stessa del Papa produssero nel clero cattolico d'Europa, e specialmente nel clero e nelle classi elevate di Francia una tale reazione in favore del Papato temporale, che oramai i prelati riuniti in Roma non saranno preoccupati che d'una cosa, cioè di dare al Pontefice, non solo delle cose spirituali, ma nelle temporali, un appoggio unanime, cieco, illimitato, incontestato.

Parlando di queste cose col Marchese di Moustier, gli domandai se l'Imperatore Napoleone fosse stato invitato a farsi rappresentare al Concilio, conformemente alle tradizioni. Il Marchese di Moustier mi disse che nessun invito era stato diretto a S. M. imperiale né al suo Governo. Egli aggiunse che pare vi sieno nel Sacro Collegio due distinte tendenze. Una parte dei Cardinali propenderebbe ad opinare che i Sovrani cristiani indistintamente, anche i non cattolici, dovrebbero essere invitati ad assistere, o a farsi rappresentare al Concilio, secondo la tradizione antica e costante della Chiesa; ma un'altra parte dei Cardinali, alla cui testa è il Cardinale Segretario di Stato, opinò che si lasciasse a quelli fra i Sovrani, che credono d'averne diritto, la cura di far valere questo diritto e quindi d'ottenere d'assistere o di farsi rappresentare al Concilio. So che il Marchese di Moustier, senza entrare a discutere per ora questa questione che dichiarò di voler riservare intatta, fece qualche osservazione in proposito a Monsignor Chigi, Nunzio a Parigi della Santa Sede. Il Marchese di Moustier notò a questa occasione la calcolata inconseguenza della Corte di Roma, la quale invoca la tradizione quando le è utile, e ne fa buon mercato quando la crede contraria alle sue idee o ai suoi interessi. Il Ministro imperiale degli affari esteri osservò ancora al Nunzio pontificio che la Chiesa essendo la riunione dei fedeli, e non soltanto quella del clero, era necessario che la potestà laica, legittima rappresentante dei popoli, intervenisse in un concilio ecumenico, come del resto aveva sempre fatto.

Non so che cosa Monsignor Chigi abbia risposto al Marchese di Moustier. Ma ben si può supporre che cosa pensi la Corte di Roma di queste osservazioni. Essa penserà certamente che non è la Santa Sede ch'è inconseguente, ma bensì quei Sovrani che si dicono cattolici e che non riconoscono l'autorità assoluta, incondizionata, data da Dio stesso al Sommo Pontefice sulla sua Chiesa e sui Re della terra, e che i veri, i soli, i legittimi rappresentanti dei fedeli sono i vescovi, naturali e sacri pastori del gregge, sotto la direzione e l'autorità indiscutibile del Sommo Pontefice.

Occorre qui un'osservazione di fatto che mi permetto di accennare come semplice indicazione storica. Secondo la tradizione ecclesiastica ed anche secondo il diritto canonico, se pur ricordo esattamente le lezioni del Prof. Nuytz, i Sovrani eretici e scismatlci devono essere invitati al Concliio ecumenico, e ciò appunto perché abbiano l'occasione di conoscere la verità e di ritornare nel grembo della Chiesa cattolica. Anche i Sovrani su cui pesano le scomuniche e le censure ecclesiastiche hanno diritto di seggio al Concilio, ed è espressamente ordinato nei testi di diritto canonico che durante il Concilio sono sospesi gli effetti della scomunica e della censura.

Nel discorrere di questo argomento ovvia si presenta la riflessione che i concilii ecumenici, generalmente convocati per distornare i pericoli di scisma e le eresie, ebbero per risultato di confermare le scissioni della chiesa cristiana. Anche il Concilio di Trento, che in qualche parte fu utile, specialmente per la parte disciplinarla e per la correzione dei costumi del clero, che altro risultato ebbe fuori quello di confermare la scissione prodotta dal grande movimento della riforma? Eppure, se la Corte di Roma e con essa l'intero episcopato cattolico non fossero acciecatl da un'incurabile aberrazione di spirito, se non fossero conturbati dalle terrene ambizioni, dalla passione del dominio

34 -Documenti diplomatici • Serle I -Vol. X

temporale, e da una violenta animosità contro i progressi incontrastabili della scienza moderna, il Concilio ecumenico convocato da Pio IX a Roma offrirebbe una bella e grande, e forse irrevocabile occasione per conciliare l'antica istituzione del Papato colla scienza moderna e colla società moderna, e forse anche per far scomparire le secolari scissioni che separano tanta parte della chiesa cristiana. Esso potrebbe offrire più specialmente l'occasione di far cader le barriere che interdicono Roma all'Italia, e l'Italia a Roma. Ma è vano il soffermarmi in una tale illusione. Il nuovo Concilio, se si radunerà, farà precisamente tutto l'opposto. Esso renderà, per quanto dipenderà da esso, più profondo l'abisso che separa i principj della libertà dello spirito umano e l'indipendenza della scien2la dal sistema dell'auto.rità indiscutibile ed infallibile del Papa. Rendendo più inconciliabile il Papato ·colla società moderna e l'Italia col Papato, renderà più inevitabile e più vicina la caduta de~ potere temporale.

422

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 50. Pietroburgo, 20 luglio 1868 (per. il 26).

Accuso ricevuta all'E. V. dei pregiati dispacci della Serie politica n. 21 confidenziale e n. 22 in data del 4 e 9 Luglio scorso (l) nonchè degli importanti documenti che li accompagnavano, in numero di 63.

Nel condurmi ieri a visitare il Cancelliere dell'Impero ebbi occasione, accennando alle cose d'Italia, di fargli parola delle nostre migliorate condizioni economiche e politiche e di smentire la voce sparsa dei pretesi arruolamenti garibaldini, avvalorandomi di tutti quei preziosi ragguagli che si contengono nel sovraindicato dispaccio n. 21. Il Principe fu lieto di questa dichiarazione, e mi rispose che Egli altresì non credeva, dall'Italia dovesse venire per l'ora presente occasione di pericolo per la quiete di Europa, e si mostrò, aggiungendo qualche parola generalissima sulle condizioni della politica odierna, incerto dell'avvenire e disposto a parare alquanto dalle sue cure [sic] nella stagione corrente. Disse che la nebbia continuava sempre ad ingombrare l'orizzonte politico, ma che la bufera penava ognor più a scoppiare, del che Egli era contento perchè stanco e bisognoso di ristorare le sue forze, onde mi ripetè che era sulle mosse della partenza anch'esso, come prima l'Imperatore avesse intrapreso il suo viaggio.

Avendolo io poscia interrogato sulle cose della Servia il Principe Cancelliere mi dimostrò gli istessi sentimenti d'incertezza e di indifferenza, notò solamente che l'esclusione del Marinovitch e del Garachanine dal consiglio di Reggenza a lui particolarmente era tornata increscevole, e che non ne avea dissimulato il suo rammarico, ma che quanto all'indirizzo definitivo che prendevano gli eventi del Principato, bisognava aspettar tempo perchè ciascun governo potesse determinare con fondamento il giudizio e l'operazione.

Il diplomatico Russo mi parve in questo abboccamento plù riservato ciel consueto, e la sua presente attitudine corrispose a quel concetto di abbandono

-o almeno di sosta che emerge in generale dalle osservazioni che occorrono da alcun tempo in qua sulla politica russa nelle più gravi vertenze internazionali. Per quanto mi risulta dalle informazioni de' miei colleghi questa medesima disposizione di apparente svogliatezza nelle cose della politica fu notata anche da' rappresentanti degli altri Governi nelle loro conversazioni col Cancelliere dell'Impero. Accenna essa davvero ad un intendimento di astensione temporanea, e di calma, ad un più profondo raccoglimento, o piuttosto al principio di qualche mutazione o transizione che s'incomincerebl)e ad operare nella politica Russa? Ciò mi riuscirebbe, Signor Ministro, molto difficile a definire, nè credo che sarebbe per ora ad ogni modo possibile il raccogliere documenti bastevoli a risolvere cosiffatto dubbio, che i prossimi successi potranno solamente chiarire. S. -M. l'Imperatrice partì il 30 giugno 1 12 luglio per Kissingen, ove l'Imperatore Alessandro sarà per raggiungerLa tra pochi giorni. Nulla di certo e di stabilito quanto all'itinerario dei due Sovrani dopo la dimora di Kissingen: è noto solamente che lo Czar è atteso di ritorno in Varsavia per assistere alle grandi manovre del campo quivi ordinato per la seconda metà di Settembre. Laonde tutte le notizie che alcuni organi della stampa si son dati a divulgare in questi ultimi giorni di ritrovi dello Czar con altri Sovrani, voglionsi considerare almeno come premature. P. -S. Unito al presente un annesso in cifra (1).

(l) Cfr. n. 402, inviato a Pletroburgo con numero d! protocollo 21. Il d. 22 non è pubbllcato.

423

IL MINISTRO A WASHINGTON, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 42. Washington, 20 luglio 1868.

Mi sono successivamente giunti i di Lei dispacci, serie politica n. 9, 10, 11 i due primi alla data del 23 e l'altro a quella del 26 Giugno u.s. (2).

Ringrazio V. E. della comunicazione datami della nota del Principe Gortchakow relativa alle palle esplosive, e saprò dirle a suo tempo se il Barone Stoeckl ministro di Russia avrà fatto simile comunicazione e qual risposta gli sarà stata data.

Ho letto l'annesso in cifra e ne ho fatto l'uso dovuto.

Sabato sera mi recai a casa del Signor Seward allo scopo di chiedergli una udienza per parlargli di ciò che forma argomento del dispaccio di V. E. n. 11, lo trovai nel giardino avendo accanto il Postmaster Generai ed il Conte Lottum addetto militare di Prussia; appena mi vide entrare mi chiese ad alta voce

con quel tuono giocoso che gli è familiare e che non manca talvolta d'essere compromettente. «Ebbene cosa mi dite dei complotti di Garibaldi e di Farragut a Caprera per invadere Roma? » aggiunse poi con accento più dimesso «Come mai avete potuto pensare per parte nostra una cosa consimile?». Trovai modo di far cambiare la conversazione e gli dissi che lunedì passerei al dipartimento di Stato. Vi andai oggi diffatti, ma non lo trovai essendo Egli stato chiamato a lunga Conferenza dal Presidente. Vidi il f,iglio (sottosegretario di Stato) ed il Signor Hunter (secondo sotto segre·tario) ma nessuno di loro ha letto finora la corrispondenza del Signor Marsh su questo argomento.

Soltanto mi dissero entrambi che l'Ammiraglio Farragut è troppo rigido nell'esecuzione dei Suoi doveri per essersi lasciato indurre ad avere con Garibaldi rapporti della natura sovraindicata (1).

Non è del tutto esatto che gli Stati Uniti sopprimano i loro rapporti diplomatici colla Santa Sede. Soltanto è vero che il Signor Rufus King non torna più a Roma perché il Congresso non ha approvato quest'anno la somma destinata a quella Legazione. La mozione di questa economia venne dal Senatore Sumner il quale, a dir vero, me ne avea parlato nello scorso inverno dicendomi confidenzialmente che la proponeva sotto forma di economia per rendere accettevole la soppressione, ma ch'egli intendeva fare tutto il possibile per far abolire la Legazione e ciò, mi aggiunse egli, per le sue simpatie verso l'Italia. Vidi Sumner jer se.ra e mi confermò quanto mi avea detto allora; anz~ m'aggiunse che si era fatto avere come compenso al Signor Rufus King un lucroso posto nella dogana di New York. A meno adunque di eventi imprevedibili pare non si manderà alcun rappresentante a Roma sebbene da colà si facciano impegni per averne uno (2).

Oggi il Signor Federico Seward mi assicurò a proposito delle cose di Roma che il Console Americano colà era stato severamente censurato dal Ministero per le opinioni emesse all'epoca delle complicazioni dell'anno scorso.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 390, g!l altri dlspaccl non sono pubbllcatl.
425

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 110. Belgrado, 20 luglio 1868 (per. il 29).

Sono informato da persona degna di fede che S.A.I. il Principe Napoleone aveva missione ili trattare un'alleanza offensiva e difensiva fra la Francia e la Turchia, ma avendo trovato la Sublime Porta poco favorevole a questa proposizione il Principe è partito da Costantinopo1i senza nulla conchiudere.

Quest'alleanza che secondo il mio modo di vedere, non poteva rivolgersi che contro la Russia, mi suggerisce alcune considerazioni ch'io sottometto all'apprezzazione dell'E. V. per quel poco o nulla che possono valere.

Se veramente l'Imperatore Napoleone ha voluto stringere alleanza offensiva e difensiva colla Turchia, è probabilmente perchè si prepara ad una guerra contro la Prussia, guerra che potrebbe in certe eventualità estendersi anche alla Russia. In questo caso la Francia pare dovrebbe contare inoltre sulla alleanza dell'Austria, giacchè la sola alleanza della Turchia sarebbe di nessun giovamento alla Francia, e lo sarebbe di ben poco malgrado l'alleanza dell'Austria.

A voler che le forze della Turchia possano essere di qualche ajuto alla sua alleata, sarebbe necessario che la Sublime Porta fosse sicura che le popolazioni greche, latine e slave del suo impero non insorgeranno, mentr'ella sarà impegnata nella guerra, in caso diverso le forze tutte della Turchia mal potrebbero bastare a far fronte all'insurrezione, e perchè questo sollevamento abbia luogo la Russia non ha bisogno di radunare sulle frontiere della Turchia e sul Prut alcuni corpi d'armata ed un grosso esercito sulle frontiere della Galizia per tenere in !scacco l'Austria.

Ammesso anche che le ostilità comincino soltanto fra la Prussia e la Francia le popolazioni cristiane della Turchia ne profitterebbero per tentare di scuotere il giogo ottomano.

Se poi malgrado l'atteggiamento minaccioso della Russia il quale incoraggerebbe le dette popolazioni, l'Austria intervenisse contro di queste la guerra si generalizzerebbe, e l'Austria non solo avrebbe a combattere la Russia in Galizia ed in Turchia, e con essa le popolazioni insorte, ma si esporrebbe di di più (se sono sincere le proteste che l'Ungheria ha fatte e fa al Governo serbo) ad una forte opposizione dell'Ungheria ed al malcontento e forse peggio dei serbo-croati delle sue frontiere militari, i quali probabilmente non comporterebbero in pace che l'Austria ajuti i turchi contro i loro fratelli d'oltre Sava e d'oltre Danubio, senza parlare della parte ingrata ed odiosa che toccherebbe all'Austria liberale non che alla Francia di combattere contro le nazionalità cristiane che tentano di costituirsi, mentre all'autocrata Russia, la quale senza badare ai mezzi cancella la nazionalità dei popoli che sono sotto il suo dominio, toccherebbe la parte gloriosa di difendere le nazionalità cristiane dell'Oriente, ed acquisterebbe cosi l'influenza alla quale aspira per poscia realizzare i reconditi piani della sua secolare politica, giacché non mi pare ragionevole d'ammettere ch'essa si tormenti cotanto a rovinare l'Impero Ottomano per sola filantropia verso gli ortodossi d'Oriente.

Come si potrebbe dunque evitare H pericolo d'un'insurrezione del popoli greci, slavi e fors'anco latini della Turchia? Come evitare che la Russia o l'Austria profittino d'una guerra fortunata per realizzare le loro aspirazioni in Oriente? Come mantenere intanto l'integrità della Turchia e renderla ad un tempo più forte e cosi più utile ai suoi alleati? Io non vedo che un solo mezzo efficace, quello cioè di staccare la Serbia dalla coalizione dei popoli cristiani suddetti.

La Serbia (1.200.000 anime) è il Piemonte slavo, essa dispone di una milizia (prima classe o classe attiva) quasi mobilizzata, non ancora agguerrita, ma coraggiosa e robusta dì circa 7 mila uomini, dì una riserva (seconda classe) di 80 battaglioni (45 a 90 mila uomini) di 42 batterie rigate, cioè 6 da montagna e 36 da campagna, 24 delle quali montate, e di un parco d'artiglieria d'assedio di circa 120 cannoni fra rigati e lisci, e circa 80 mila fucili di riserva oltre l'armamento della milizia. (Vedansi le più ampie Informazioni nella memoria annessa al presente).

Queste non solo le sole forze di cui dispone la Serbia, essa aveva al tempo del Principe Michele un grande prestigio, ispirava una grande fiducia a tutte le popolazioni cristiane della Turchia, e questo prestigio, questa fiducia quantunque si fossero già alquanto diminuite dopo che il Signor Garachanine ha lasciato il ministero e che in oggi abbiano sofferto un grande crollo, perché la Reggenza ed il ministero sono composti (a meno forse il Milivoi) di persone sconosciute non solo al di là della Drina e del Timok, ma anche nell'interno del Principato stesso, e che perciò non inspirano ancora molta confidenza, pure ne conserva ancora tanta da poter continuare con qualche successo la propaganda nazionale, e questa fiducia non tarderà ad accrescersi se la Reggenza darà prove di perfetto accordo fra i suoi membri, di saviezza, di prudenza, di capacità, di indipendenza, insomma di buon governo.

È noto a V. E., che la concessione della moschea fatta dal compianto Principe Michele ai pochi turchi di Belgrado aveva prodotto una favorevolissima impressione fra i Musulmani di Bosnia e di Erzegovina. Se la Reggenza batterà questa strada tracciata dall'illustre Principe facendo altre concessioni che valgano a convincere i Bey della Bosnia del fermo proponimento in cui sono 1 serbi del Principato di voler trattare i serbi musulmani come loro concittadini, come loro fratelli ammettendoli alle più alte cariche dello stato, non molestandoli menomamente nel libero possesso dei loro beni attuali, e diritti acquisiti, e rispettando la loro religione, la popolazione serbo-musulmana. che è il nerbo della Bosnia, farà alla fin fine causa comune colla Serbia. tanto più che quella popolazione di Bey è assai malcontenta del Governo Ottomano. Ma per ciò conseguire la Serbia ha bisogno di tempo, di sagacia, e di nettarsi di quella poca ruggine di esclusivo che ancor la brutta.

Il prestigio della Serbia si estende anche nella vecchia Serbia e nell'Erzegovina, questi paesi sperano ch'essa li toglierà al dominio della Turchia che detestano.

Anche in Bulgaria la Serbia ha molti aderenti, e potrà averne assai più

malgrado l'influenza russa che vi domina, se ella saprà acquistarsi la fiducia

di quelle popolazioni.

La Serbia è anche un poco la speranza del partito nazionale Jugo-slavo dell'Austria, H quale vorrebbe vederla accresciuta dell'Erzegovina e della Bosnia onde appoggiarvisi.

I Croati pensano che quando la Serbia avrà acquistata la Bosnia e l'Erze

govina, e formerà uno stato di due a tre milioni, essi assai più istruiti e assai

più civilizzati dei serbi giungerebbero presto a raccogliere nelle loro mani la

parte importante del Governo dello Stato, ed a far prevalere questa loro su

periorità a vantaggio dell'idea Jugo-slava.

La Serbia adunque fra qualche tempo potrebbe essere per la Turchia una nemica formidabile e sin d'ora una amica utilissima.

Come nemica essa potrebbe combinare i suoi sforzi con quelli della Grecia e dell'insurrezione delle altre provincie· greche e slave (direi anche rumene se non che ognuno conosce che conto si può fare di questo straziato e debole stato).

Come amica essa può mettere subito a disposizione della Turchia una gran parte delle sue forze, del suoi armamenti, paralizzare l'influenza russa nei paesi slavi della Turchia e contrariare una rivoluzione in Bulgaria.

Che potrebbero allora intraprendere le provincie greche della Turchia, e la Grecia stessa contro l'Impero? nulla di formidabile, giacché sicura delle provincie slave, cioè di 8 circa milioni di cristiani la Turchia potrebbe bastare a vincere la Grecia e l'insurrezione delle provincie del suo impero abitate dall'elemento greco, ma è da presumere che se la Serbia fosse l'amica e l'alleata della potenza alta sovrana, la Grecia non ardirebbe a muovergli guerra, né le provincie greche della Turchia oserebbero insorgere.

Resta ad esaminare in che modo si potrebbe staccare la Serbia dalla coalizione dei popoli cristiani d'oriente e farla amica ed alleata della Turchia.

Questo modo consisterebbe nel persuadere la Sublime Porta a concederle amichevolmente il Governo della Bosnia e dell'Erzegovina sotto il vassallaggio della Turchia, con questa concessione l'integrità dell'Impero Ottomano sarebbe mantenuta, la Sublime Porta aumenterebbe d'un lauto tributo le finanze dello stato, le sgraverebbe dell'enorme spesa da cui sono in oggi gravate per il mantenimento dell'esercito d'osservazione che circonda la Servia e le provincie vicine, e l'Impero sarebbe rafforzato dal contingente delle milizie serbo-bosnesi il cui numero verrebbe fissato d'accordo fra la Potenza alta sovrana e la vassalla.

Io non mi faccio illusione, scorgo benissimo che malgrado tutti questi vantaggi alla Sublime Porta non gradirà né all'Austria quest'accomodamento; la prima vi scorgerebbe, come si suoi dire, l'incominclamento della fine, e l'Austria un grande ostacolo di più alla realizzazione delle speranze che ad onta delle sue denegazionl qui si persiste a credere ch'essa nutre sopra queste due provincie.

Ma quest'accomodatura può invece convenire moltissimo all'Italia e fors'anca alla Francia ed all'Inghilterra stessa, perché di questo modo la questione d'Oriente rimane pressoché risolta, e si rende assai più difficile se non del tutto impossibile all'Austria ed alla Russia di realizzare le loro aspirazioni in questi paesi.

Di più la Serbla potrebbe coll'andar del tempo escludere dalla Bulgaria l'influenza Russa, ed impiantarvi la sua tutta nazionale e scindere profondamente il Panslavismo facendosi centro della propaganda Jugo-slava come Mosca lo è del Panslavismo.

Dissi che con questa combinazione quasi si risolve la questione d'Oriente, e di fatti: la Serbia per molti anni sarebbe occupata a civilizzare i paesi mezzo barbari della Bosnia e dell'Erzegovina e fors'anca della Vecchia Serbia, ed a

compiere la civilizzazione del Principato che è anch'esso molto arretrato; a farli prosperare tutti, a farvi nascere l'industria, ad attivarvi il commercio, a migliorarne l'agricoltura, etc. ed a prepararsi diciamolo pure, a porsi in luogo della Turchia, quasi senza strepito d'armi, quasi senza commozione, quando questa non potrà più sostenersi nella penisola dei Balkan.

Questi erano i disegni del Principe Michele, che dopo la caduta di Garachanine aveva modificati in questo senso che prima egli voleva raggiungere il suo scopo colla insurrezione e fors'anco colla guerra poscia ed attualmente invece si cerca di arrivarvi colla pace e la persuasione, e questo è programma politico che il Signor Milivoi fece accogliere alla Reggenza.

Ora rimane a sapere se la Reggenza saprà coi suoi atti, e senza nulla precipitare procacciarsi dalla Sublime Porta e dalle Potenze Garanti quella reputazione e quella fidanza che sono indispensabili alla realizzazione del suo programma.

Se poi la Turchia come è presumibile non si presterà a questa composizione, allora essa sarà in un lasso di tempo più o meno breve funestata da rivoluzioni, da sconvolgimenti tali che la rovineranno a profitto forse dell'Austria

o della Russia.

Prima di chiudere questo già lungo rapporto mi occorre far menzione delle relazioni esistenti fra questo Governo ed il Maggiaro, esse continuano molto amichevoli, ma farebbe d'uopo conoscere se sono sincere, o non sono invece che uno stratagemma per addormentare i Serbiani in previsione di prossimi avvenimenti, cullandoli della speranza dell'appoggio maggiaro contro l'Austria, pella conquista della Bosnia e dell'Erzegovina. Io però non sono ancora in grado di emettere sopra di ciò un giudizio qualunque.

Molti cittadini di Belgrado e persino alcuni membri del Governo sono d'opinione che l'Austria e la Turchia siano implicate se non nell'orribile assassinio del Principe, almeno nella cospirazione che doveva rovesciarlo dal trono, nessuno però osa palesarla apertamente, se la comunicano sottovoce, ma essa però intrattiene una certa avversione contro queste due Potenze.

-425.

IL REGGENTE IL CONSOLATO A RUSTCHUK, DE REGE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1207. Rustchuk, 21 luglio 1868, ore 19,05 (per. ore 19,47).

On signale le passage de plusieurs bandes venant de Turquie ainsi que troubles sérieux sur différents points des Balkans. Il y a eu des morts et des blessés de part et d'autre. Les choses paraissent prendre une tournure assez grave.

(l) -Con r. 50 del 19 settembre Cerruti comunicò: «Posso intanto già dirle avermi Egli assicurato che dalle corrispondenze dell'Ammiraglio Farragut risulta in modo ben esplicitoche giammai Egli diede il minimo incoraggiamento a partiti avversi al Governo e che anzi le nostre lstltuzloni sostenute qual sono dall'attuale Gabinetto sono state l'oggetto della sua piùviva simpatia. Del resto non è certamente un Governo che ebbe gli esempi dell'assassinio d! Lincoln e del tentativo d'assassinio di Seward e dé suoi figli che si farà incoraggiatore di cospirazioni all'estero». (2) -In realtà la sospensione dello stanziamento di b\lancio per la legazione di Rufus Kingsegnò la rottura definitiva dei rapporti fra USA e Santa Sede.
426

VITTORIO EMANUELE II A PIO IX (l)

L. Firenze, 21 luglio 1868.

Mi pervenne la lettera autografa che Vostra Santità si degnava indirizzarmi (2) in risposta all'annunzio (3) che io mi recava ad onore di darle del matrimonio già seguito fra l'amatissimo mio figlio primogenito colla Principessa Margherita figlia del compianto mio fratello Duca di Genova. A nome mio ed a nome de' diletti sposi, io ringrazio la Santità Vostra per la prece che porge a Dio onde spanda le sue benedizioni sopra di essi. Quelle preci saranno efficaci, ed io spero che il Signore farà loro la grazia di sostenerli nell'ardua via che debbono percorrere. Mentre esprime a mio riguardo sentimento di benevolenza de' quali Le sono sommamente grato, Vostra Santità deplora le condizioni in cui versa l'Italia e si lamenta di non pochi atti del mio Governo. La Santità Vostra non vorrà certamente che io ne imprenda la giustificazione. Mi basti il dire che se nella rapida trasformazione che ha subito l'Italia alcuni fatti hanno potuto destare non infondate lagnanze, non è men vero che n mio Governo si adopra di giorno in giorno a far trionfare i principi! dell'ordine e della moralità. Soggiacciono i popoli ad inevitabili rivolgimenti politici e sociali, tali sono i decreti impenetrabili della Divina provvidenza; a noi rimane soltanto il difficile compito di dirigere pel bene sociale le tendenze contro le quali sarebbe inutile anzi pericoloso il volere lottare. Così fece il mio Governo, e sembra che qualche gratitudine si dovrebbe a chi ha potuto fra tante agitazioni mantenere salva la bandiera dell'autorità e risparmiare così all'Italia le violenze che funestarono tanti altri paesi. In tale opera di ricostituzione, il mio amore, il mio profondo rispetto per la nostra Santa Religione non vennero mai meno; mentre mi duole assai che da taluni dei reggitori della Chiesa questi miei sentimenti siano stati sconosciuti. Tuttavia io nutro speranza che Vostra Santità vorrà riconoscere che il mio Governo è lungi dall'essere ostile al suo, e che per il bene della Religione e dell'Italia è a desiderare che i loro mutui rapporti diventino più amichevoli. Guidato da questi sentimenti il mio Governo ha rassegnato a quello dell'Imperatore de' Francesi un progetto da sottoporre a Vostra Santità onde stabilire un Modus vivendi il quale, senza pregiudicare alcun principio, valga, nell'interesse comune, a rendere più facili le nostre relazioni. La Santa Sede troverà in tale sistema la miglior garanzia desiderabile e consentita dalla condizione delle cose. Cosi rimovendo i sospetti e gli ostacoli che si oppongono al ravvicinamento oramai indispensabile delle popolazioni, si faranno sparire i motivi più fondati di lamenti e si giungerà a stabilire lo spirito di conciliazione, e di pace che tanto giova alla felicità dei popoli ed al trionfo del sentimento religioso. Io ho n più vivo e sincero desiderio che la Santità Vostra non respinga tali proposte dalle quali può dipendere l'avvenire, e mentre prego Iddio che voglia esaudire questi miei voti chieggo a Vostra Santità la Sua Apostolica Benedizione.

(l} Ed. in PIRRI, vol. III, pp. 184-186 e !n Lettere Vittorio Emanuele II, vol. II, pp. 1345-1346.

(2) -Cfr. n. 342. (3) -Cfr. n. 251.
427

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1210. Belgrado, 22 luglio 1868, ore 17,40 (per. ore 23,50).

Agent roumain a reçu la nouvelle qu'une centaine de bulgares armés se sont réunis dans une ile à la droite du Danube vis-à-vis de la Valachie et sont entrés en Bulgarie. Beaucoup de bulgares qui travaillaient au chemin de fer et aux récoltes en Roumanie ont quitté les travaux, et on dit qu'ils se préparent à suivre leurs compatrlotes. Ce sont des bulgares dissidents de Bukar:est qui poussent ces pauvres gens à mort. Il ne me conste pas que le Gouvemement serbe soit de connivence. Je suis persuadé du contraire.

428

IL MINISTRO A CARLSRUHE, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 33. Carlsruhe, 23 luglio 1868 (per. il 26).

Il comunicato della Gazzetta di Carlsruhe di cui ho trasmesso all'E. V. la traduzione col mio precedente rapporto, riflette nella sua ambiguità le incerte disposizioni di questo Governo Granducale sulla proposta Conferenza permanente. Non sapendo decidersi né ad accogliere francamente i negoziati, né a respingerli risolutamente, il Ministero Badese colse il pretesto dell'impossibilità di riunire la Conferenza pel 15 luglio, per dichiarare ch'egli non s'era trovato in grado di accettare l'invito. Però piovono da tutti i diplomatici al Ministro degli Esteri le interpellanze sul vero significato della fatta dichiarazione: ed avendogli io detto che l'avevo interpretata nel senso che non fosse esclusa la possibilità di ulteriori negoztati, il Signor di Freidorf mi disse avere io colto nel segno.

Quello che aumenta l'imbarazzo di questo Governo si è che la Prussia evita in ogni modo di lasciar credere ch'essa combatta la proposta bavarese, ed anzi, sino ad un certo punto la favorisce. Io ebbi a questo proposito col Conte Fleming, Ministro di Prussia, una lunga conversazione, di cui mi pare acconcio riferire il sunto a V. E.

Si parlò dapprima della situazione generale dell'Europa, delle disposizioni del Governo Francese verso la Prussia e del valore reale delle dichiarazioni pacifiche fatte al Corpo Legislativo. Io non dubitai di esprimere l'avviso, che, malgrado la contraddizione esistente fra gli armamenti indefessi, e le indefesse affermazioni di pace, l'Imperatore Napoleone desideri realmente di mantenere la pace. Dissi al Conte Fleming che un gran mutamento erasi fatto in Francia clall'anno scorso in poi: allora tutti i capi dell'opposizione spingevano alla guerra perché l'Imperatore non era in grado di farla, e volevano in tal modo accrescere l'impopolarità in cui il Governo Imperiale era caduto in seguito alla battaglia di Sadowa. Quest'anno invece il Signor Thiers, Jules Favre, ecc., s'avvedono che una guerra non favorirebbe gli interessi della libertà: giacché se l'Imperatore vince una grande battaglia sul Reno, non saranno certo le franchigie parlamentari che approfitteranno della vittoria: se la Francia è sconfitta, né il partito orleanista né quello dei repubblicani moderati potranno contenere la rivoluzione. L'Imperatore poi sa benissimo che all'età sua non gli sarebbe facile mettersi alla testa d'un esercito e guadagnar personalmente degli allori, ch'egli non vorrebbe né potrebbe senza pericolo lasciar conquistare ad altri. Gli basta perciò d'aver riacquistata egli stesso e ridonata alla Francia la coscienza della sua forza: ma, certo, sarà costretto a ricorrere alla spada se si commettono improntitudini in Germania, non a Berlino, diss'io, ma sul Reno.

Il Conte Fleming mi disse essere d'accordo con me in queste apprezzazioni: però aver luogo di credere che il partito ultramontano ha ricevuto da Roma l'ordine di spingere dappertutto alla guerra, e che agisce in questo senso nel Wurtemberg, in Baviera ed anche nel Baden. A Berlino, diss'egli non v'ha alcuno che desideri la guerra, come non v'ha alcuno che sia pronto a far concessioni meno che onorevoli per evitarla. Il nostro programma politico rimane sempre quello formulato dal Conte di Bismarck nella circolare del 7 settembre 1867: accogliere il Sud se chiede spontaneamente di riunirsi al Nord della Germania, ma evitare pur l'ombra d'una violenza fisica o morale, aspettare che n partito nazionale unitario acquisti il sopravvento.

Feci plauso naturalmente a queste dichiarazioni: dissi che l'Italia augura alla Germania di giungere all'unità per mezzo della pace, e chiesi notizie del Conte di Bismarck che ebbi l'onore di conoscere personalmente.

Il Ministro di Prussia mi disse averne ricevuto di buonissime da una lettera del Signor Abeken, redattore principale del Ministero degli Esteri. Parlò poi della gita del Principe di Hohenlohe qui, e del comunicato della Gazzetta di Carlsruhe. Tutto ciò che promuove un'unione, diss'egli, non sarà mai combattuto dalla Prussia. Noi abbiamo quindi veduto senza rammarico la proposta del Gabinetto bavarese e speriamo che essa verrà modificata in modo da poter essere convenientemente discussa nel mese prossimo coll'intervento del Governo Badese. Cercai allora di conoscere se la Prussia sarebbe invitata anch'essa ad assistere alla Conferenza. Il mio interlocutore mi disse che ciò non entrava finora nel programma della Baviera: ignorare però quali modificazioni esso avrebbe potuto subire in appresso.

Non sono in grado di dire all'E. V. sino a qual punto n Conte Fleming sia partecipe della vera politica del Conte di Bismarck: suppongo anzi che n Generale Beyer, Ministro della Guerra del Granduca, sia ora il vero agente del Gabinetto Prussiano a Carlsruhe. Però mettendo insieme le parole del Conte Fleming con quelle del Signor di Freydorf sono tratto a conchiudere che il Governo Prussiano non ha dissuaso il Governo Badese dall'entrare in codesti negoziati o che, per lo meno, vuole lasciare a lui tutto l'imparazzo e la responsabilità di questa decisione.

V'ha poi, a mio avviso, un punto di vista sotto n quale la proposta del Gabinetto di Monaco potrebbe avere anche agli occhi della Prussia una certa utilità. Mentre il Baden ha quasi compiuta la trasformazione del suo esercito e la sua riorganizzazione sul modello Prussiano, la Baviera ed il Wurtemberg procedono in ciò con una studiata lentezza, che non può piacere a Berlino. La proposta Commissione permanente di difesa, se da un Iato appagherebbe l'ambizione della Baviera che aspira all'eg.emonia nella Germania del Sud, e potrebbe parere alla Francia una guarentigia dell'indipendenza di questi paesi ed un'arra di pace, potrebbe dall'altro Iato essere efficace strumento ad affrettare gli armamenti nel Wurtemberg e nella Baviera ed a metter questi ritrosi governi sulla stessa linea del Baden, per quanto spetta all'organizzazione militare. Secondo il programma del Principe di Hohenlohe, la Commissione permanente di difesa ha per iscopo di mettere le istituzioni militari dei tre Stati meridionali in armonia con quelle del resto della Germania. I trattati d'alleanza offensiva e difensiva esistenti colla Prussia dovrebbero quindi avvalorarsi di efficacia per l'istituzione proposta: ed ecco in qual modo la Prussia che vuole soprattutto poter disporre in caso di guerra delle forze militari di tutte le popolazioni tedesche, potrebbe veder senza gelosia e favorir fors'anche un progetto sul cui vero valore regnano forse a Parigi grandissime illusioni.

Abbandono al sagace giudizio dell'E. V. questa mia supposizione. Non è nelle Legazioni secondarie che possono scoprirsi i veri intendimenti delle grandi Potenze, le quali non sogliono confidare il loro segreto pensiero a persone che non abbiano grande autorità politica. Ma poichè anche le induzioni e supposizioni erronee possono, per chi ha mezzi di controllo, essere scala a giungere alla scoperta del vero, io mi avventuro a manifestare all'E. V. questa ipotesi, certo in ogni caso che le mie parole non potranno indurre in errore il Governo del Re.

Avendomi il Conte Fleming chiesto notizie di S. A. R. H Principe Umberto che avevo veduto il giorno prima a Francoforte, ho creduto mio dovere di dirgli che Sua Altezza Reale aveva suo malgrado rinunciato al suo divisamento di far visita ad Ems al Re ed alla Regina di Prussia per non dar fondamento alla asserzioni di certi giornali che avevano trasformato un viaggio di nozze e di diporto in una missione politica. Il Conte Fleming mi parve soddisfatto di questa spiegazione che il Conte De Launay deve avere dal canto suo fornita al Governo Prussiano con autorità molto superiore alla mia.

429

IL CONSOLE GENERALE A TRIESTE, BRUNO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE S. N. Trieste, 23 luglio 1868 (per. il 25).

:Il: mio dovere di portare a cognizione dell'E. V. un fatto che fece la più triste impressione sui cittadini Italiani, residenti a Zara, e che forse non tarderà ad essere divulgato col mezzo della stampa italiana.

Il 16 corrente giungeva in Zara a Bordo del Piroscafo «Fantasia » l'Imperia! Vice Ammiraglio CavaLiere de Tegetthoff e veniva accolto con grandi dimostrazioni di onore da quella Municipalità, la quale gli rimetteva il Diploma di cittadinanza onoraria, statagli conferita dopo l'avvenimento di Lissa. I legni austriaci ancorati nel porto inalberarono, per ordine superiore, la bandiera in segno di festa e ciò sta bene, ma si volle pure imporre Io stesso obbligo ai Capitani dei bastimenti Nazionali, che colà pure si trovavano. Quest'ordine, affatto sconveniente, venne ad ognuno di essi ripetutamente e personalmente intimato da un pilota del Porto o dovettero obbedire per non incorrere in qualche penaLità, sebbene ravvisassero l'ordine ricevuto come ingiurioso alla Bandiera Nazionale.

Qui unito trasmetto all'E. V. un verbale (1), che per accertare questo fatto, venne steso dal R. Agente Consolare a Zara, e mi valgo della via confidenziale per lasciare l'E. V. in piena libertà di prendere quelle determinazioni, che crederà di maggiore convenienza.

Io non dubito che l'idea, che consigliò di obbligare i legni Italiani ad inalberare la bandiera nazionale per festeggiare il vincitore di Lissa, non fu altra che quella di farci uno sfregio, e se le politiche convenienze Io permettessero sarebbe a mio avviso opportuno di cogliere quest'occasione per dare una lezione di convenienza alle Autorità della Dalmazia, onde apprendano a meglio rispettare in avvenire la nostra Bandiera.

In attesa dei di Lei ordini...

430

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 28. Vienna, 24 luglio 1868 (per. il 28).

Domenica, 26 corrente, avrà luogo a Vienna il terzo tiro federale Tedesco. L'aggettivo adottato di federale (cioè di una federazione che più non sussiste) basta per se medesimo a definire Io scopo e l'indole di questa pubblica festa. Né dell'indole ostile alla Prussia gli organizzatori della festa fanno un mistero.

Gli Austriaci vogliono protestare contro la loro separazione dalla madre comune, gli Annoveresi e i Francofortesi contro la loro annessione alla Prussia, i Bavaresi ed i Wurtemberghesi contro le aspirazioni unitarie del Gabinetto di Berlino. La città di Francoforte ha inviato un premio, credo di 500 talleri, chiuso in un cofanetto che porta per iscrizione: «La città di Francoforte già libera ~.

Ad ogni balcone, ad ogni finestra sventoleranno le bandiere austriache, bavaresi, e, ciò che è certamente anormale, le bandiere dell'antica Confederazione Germanica che più non esiste.

Il Gabinetto Austriaco che in sul principio aveva favorito questa festa nazionale, ora ne è grandemente preoccupato. Dicesi che il Barone di Beust siasi appositamente allontanato per non esser costretto a pronunciare qualche discorso, o ad assistere a qualche dimostrazione compromettente. Il Re di Hannover è stato pregato di allontanarsi, e credo che egli parta domani. II Go

{l) Non al pubbllca.

verno Austriaco avrà quindi ogni modo di sciogliere la propria responsabilità ed evitar qualunque complicazione diplomatica. Il Comitato organizzatore ha promesso al Ministro dell'Interno d'impedire qualunque discorso violento, ed a questo fine corre la voce che egli collocherà presso alla Tribuna alcuni tamburi per soffocare in caso la voce di qualche imprudente Demostene.

Fino a ieri la Commissione non aveva potuto ottenere dal Ministro della Guerra le bande musicali per accompagnar il corteggio.

L'imperatore che dava promessa d'intervenire il primo giorno par che esiti: certo è che i Viennesi muovono vive lagnanze della meschinità dei doni inviati dal Sovrano, e del rifiuto di partecipare alla festa degli Arciduchi. Gli Ungheresi assistono di poco buon umore a questa manifestazione del partito tedesco in Austria.

La festa però sarà splendida e numerosa. Si parla di oltre 20.000 tiratori che debbono giungere dalle diverse parti di Germania, ed i cittadini di Vienna son veramente scossi dal loro consueto torpore.

Parmi che da quanto ho esposto si possa argomentare che il Governo in questo momento desidera di mostrarsi animato verso la Prussia di sentimenti benevoli, ma che le popolazioni di queste provincie invece vogliono protestare energicamente contro l'articolo del Trattato di Praga che loro impedisce di partecipare all'unità germanica.

Il Municipio ha invitato tutti i proprietari ed abitanti delle case sotto l cui balconi passerà il corteggio di ornarle. Io in conformità col consiglio avuto da V. E. (l) e da altra parte autorevole ho semplicemente ornato con tappeti la casa della Legazione senza esporre nessuna bandiera.

Mi farò poi un pregio Lunedi d'informare V. E. di quanto sarà successo, e la mattina durante il passaggio del corteggio ed al pranzo che offre la città ai tiratori.

P. S. Una persona bene informata mi dice ora che gli studenti di Berlino hanno risposto all'invito degli studenti di Vienna dichiarando che per essi il trattato di Praga non esiste, e che essi interverranno alla festa del tiro federale.

431

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1217. Vienna, 25 luglio 1868, ore 18 (per. ore 18,50).

Dépéche du Cabinet des Tuileries à Gramont annonce que les troubles de Bulgarie s'aggravent et que le Gouvernement des Principautés est positivement complice malgré ses déclarations. Gouvernement autrichien n'en a pas reçu de ses agents, seulement communication verbale de l'ambassadeur ottoman qui au nom de son Gouvernement appelle l'attention des puissanceg garantes sur ces faits.

(l) T. 687 del 23, non pubblicato.

432

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI MINISTRI A LISBONA, OLDOINI, A MADRID, CORTI, A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, A PARIGI, NIGRA, A RIO DE JANEIRO, CAVALCHINI GAROFOLI, E A VIENNA, PEPOLI

D. RR. I (1). Firenze, 25 luglio 1968 (2).

Dai pubblici fogli Ella è già stata certamente informata della dimanda di interpellanza fatta in una delle ultime tornate della Camera dei deputati, dagli onorevoli Ferrari e Mancini al Gabinetto ch'io ho l'onore di presiedere, sugli intendimenti suoi di fronte alla convocazione per il giorno 8 dicembre 1869, di un Concilio ecumenico in Roma. La risposta del Ministro Guardasigilli e la mia posero la S. V. in grado di conoscere come il Governo del Re reputi prematuro il manifestare un'opinione al proposito ed intenda invece mantenersi in una linea di condotta che, riservandogli piena libertà di giudizio e di azione, gli assicuri ad un tempo il mezzo di meglio provvedere, secondo le circostanze, agli interessi veri del paese ed alle esigenze di avvenimenti che non possono, a così grande distanza di tempo, essere facilmente preveduti.

Però nel mentre è nostro fermo proposito di non dipartirei per ora da questa norma generale di condotta noi non ci dissimuliamo punto e la gravità dell'avvenimento annunciato e la necessità pei Governi di esaminare e studiare sin d'ora le varie quistioni che al medesimo si annettono. Tenendo conto dell'influenza grande che esercitano le decisioni conciliari sulle coscienze cattoliche, importa infatti a tutti i Governi che hanno sudditi appartenenti a questa credenza di impedire che, togliendo pretesto dai decreti del futuro Concilio di Roma, s'abbia a creare un'agitazione pericolosa per lo Stato ed a costituire una resistenza organizzata contro l'applicazione dei principii che informano le leggi dei Governi civili.

La S. V. dovrà dunque anzitutto indagare accuratamente l'impressione prodotta in codesto paese tanto nella pubblica opinione che presso gli uomini del Governo dall'annunzio del Concilio, dal tenore della bolla Eterni patris, nonché dalla omissione che nella medesima si riscontra della formola colla quale, per lo addietro, e segnatamente nella bolla di indizione del Concilio Tridentino, furono indistintamente convocati ad assistere alla riunione dell'episcopato cattolico, ed in persona o per mezzo de' loro inviati, gli Imperatori, Re, Duchi e Principi Cristiani senza eccezione. Il contegno dei vari governi in questa grave circostanza non può invero rimanere senza influenza sulle decisioni che noi stessi dovremo pigliare più tardi quando cioè sarà venuto il momento di pronunciare!.

Intanto però già occorre notare una palese tendenza della fazione che in ogni maniera tenta di imporsi a Roma per dare credito all'opinione che al

l'esame del Concilio ecumenico del 1869 saranno unicamente sottoposte qui

stioni le quali sfuggono all'azione della potestà civile quasi che non bastasse leggere la bolla d'indizione pubblicata addì 29 dello scorso Giugno, per vedere quanto tale supposizione manchi purtroppo di fondamento. Sebbene infatti in questa bolla non siano indicate partitamente tutte le materie intorno alle quali i padri saranno chiamati a dare i loro voti, il testo accenna abbastanza chiaramente ai motivi della convocazione perché sia facile lo avvedersi che nel Concilio saranno appunto ventilate quistioni le quali per la stessa loro indole e per l'affinità che hanno con quelle riguardanti il civile consorzio, possono facilmente condurre quel religioso consesso a varcare nelle sue decisioni i limiti assegnati alla ecclesiastica potestà dalla distinzione dei due Poteri.

Per prevenire conflitti che più tardi divenivano cagione di gravissime perturbazioni interne gli Stati ove la maggioranza della popolazione professava la religione cattolica, ebbero costume di giovarsi di diritti e privilegi che la Chiesa stessa ha più volte in diritto od in fatto ammessi e riconosciuti. Fra questi notevolissima è la facoltà non mai contestata ai vari Governi di farsi rappresentare nel seno stesso del Concilio dai loro legati incaricati non già di entrare nelle dispute relative alle materie dogmatiche, ma di impedire sovratutto che le discussioni conciliari si scostassero dagli argomenti di religione. Quando infatti erano riuniti in un solo consesso i Vescovi ed i prelati di vari paesi, ben si comprendeva che i singoli Governi riputassero conveniente e necessario di esercitare sovra di essi quella influenza che era necessaria per rinfrancarne l'opposizione alle tendenze delle fazioni fanatiche e talvolta anche per far conoscere in tempo quale accoglienza l'autorità civile farebbe alle loro decisioni ove le medesime non fossero compatibili col pieno esercizio della sua potestà.

Ma se per queste e per altre ragioni che qui non è luogo né tempo di ampiamente sviluppare, i singoli Governi civili ebbero ed hanno per diritto proprio facoltà di usare di tutti quei mezzi che valgono a tutelare l'ordine interno da qualsiasi perturbazione, e così anche da quelle alle quali i decreti di un Concilio potrebbero per avventura fornire qualche pretesto, per altra parte è per noi fuor di dubbio che le deliberazioni dell'episcopato cattolico, convocato in Roma, debbono essere pienamente libere in tutte le materie che concernono la fede. E siccome a questa stessa libertà nulla sarebbe più nocivo che la protezione che l'uno o l'altro dei Potentati d'Europa pretendesse attribuirsi sopra la riunione dei Vescovi della Cristianità, così noi non dobbiamo esitare a dichiararci sin d'ora assolutamente contrari a qualsiasi pretesa di simile natura la quale, ove fosse ammessa, avrebbe per inevitabile conseguenza di ridurre nelle mani di un solo Governo la direzione di cose sulle quali tutti gli Stati hanno uguale ed inalienabile diritto di vegliare. Né a quest'ultima circostanza io accenno qui soltanto come ad una lontana ipotesi, perocché V. S. ben sa come, malgrado le serie guarentigie che l'Italia offre alla indipendenza della Santa Sede ed alla libertà delle deliberazioni del Concilio, regnando tuttavia in Roma una tendenza a confondere il Principato civille coll'ecclesiastico, colà indefessamente si lavori ad estendere a questo la protezione materiale che a quello è tuttora concessa dal Governo Imperiale di Francia. Se gli sforzi che hanno il loro centro di direzione nella stessa curia romana dovessero raggiungere la meta che i loro autori si propongono di toccare, il Governo del Re non potrebbe rimanere indifferente a così anormale situazione.

Non vogliamo qui farci ad esaminare quali potrebbero essere i provvedimenti da adottarsi né soffermarci a considerare se sarebbero in nostre mani mezzi adeguati allo scopo di impedire che sotto la dipendenza di uno o più estranei potentati si organizzi in Roma una vigorosa azione da esercitarsi in tutta la cattolicità in servizio di interessi esclusivi dei protettori; ma sin d'ora si può affermare che il paese al quale appartengono i Vescovi che più numerosi accorreranno in Roma, non potrebbe rimanere nell'inazione in cospetto delle pericolose pretese che altri accampasse.

Presenterebbesi forse, in simile ipotesi, il caso di esaminare qual grado di responsabilità personale incomberebbe ai singoli prelati per aver esercitato in Roma contrariamente agli interessi legittimi ed ai diritti dello Stato una parte di quella autorità episcopale che i medesimi hanno sui territori del Regno soggetti alla loro pastorale giurisdizione. Ma noi preferiamo per ora escludere dalle nostre previsioni simili dolorose ipotesi e contemplare invece il consolante spettacolo dell'Episcopato italiano pienamente libero di recarsi all'invito del Pontefice per deliberare in Roma intorno ad argomenti di pura competenza ecclesiastica, ossequioso alle leggi del proprio paese, rispettato da tutti, prova patente del come in Italia l'attuazione del diritto nazionale non iscema anzi guarentisce la libertà e l'indipendenza della religione.

Ella infatti non ignora che se al semplice annunzio della riunione di un Concilio ecumenico manifeste furono le preoccupazioni che invasero il mondo cattolico ed i principali Governi, ciò avvenne appunto perché facile era il comprendere di quanta importanza possa essere questa ecclesiastica adunanza per la definizione dei futuri rapporti fra la Chiesa e lo Stato. La situazione mal definita di questi rapporti oggidì esistente pressoché in tutti i paesi dà una ragione sufficiente dell'agitazione che nelle popolazioni cattoliche produce l'avvicinarsi di un momento così solenne per l'avvenire della loro religione.

Proclamando il principio della propria indipendenza, escludendo dalla cerchia della sua azione tutto ciò che appartiene unicamente allo Stato, la Chiesa potrà rinfrancarsi e divenire veramente grande ed universale in mezzo ai progressi del mondo civile aprendo la via alla riconciliazione delle Chiese dissidenti, oppure, sacrificando la propria indipendenza alla pretesa di esercitare una potestà che non le appartiene, sancirà essa stessa le divisioni che separano le varie comunioni cristiane ed allargherà ancor maggiormente la distanza che tende a dividere la Chiesa Romana dalla moderna Società.

Tale sarà il risultamento finale dell'opera del Concilio convocato in Roma, epperò le cause che possono condurre a così gravi conseguenze meritano certamente ogni nostro studio.

Queste sono le considerazioni principali sulle quali conviene sin d'ora fissare la nostra attenzione; e sebbene questa mia comunicazione sia d'indole affatto confidenziale, cionondimeno la S. V. non si scosterà dalle idee del Governo del Re se nello scandagliare gli intendimenti del Governo presso il quale Ella è accreditata conformerà i suoi discorsi ai concetti che Le venni oggi esponendo.

35 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

(l) -La numerazione romana è quella del documenti della serle speciale riservatissima relativa al conc111o ecumenico. (2) -A Monaco di Baviera e a Vlenna n dispaccio venne inviato n 29 luglio e a Parigi

11 1 o agosto.

433

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI MINISTRI A LISBONA, OLDOINI, A MADRID, CORTI, A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, A PARIGI, NIGRA, A RIO DE JANEIRO, CAV ALCHINI GAROFOLI, E A VIENNA, PEPOLI

D. RR. II. Firenze, 25 luglio 1868.

Le invio oggi un dispaccio d'indole molto riservata (l) di cui importa non si conosca il contenuto e neppure l'esistenza.

È occorso che poche settimane or sono un mio dispaccio al Cav. Nigra fosse pubblicato in uno de' giornali più notoriamente ostili all'Italia malgrado tutte le diligenze usate per mantenerlo segreto (2). Se in questa circostanza la pubblicazione indiscreta fatta da quel giornale non ha prodotto alcuno degli effetti che i suoi autori si erano probabilmente proposti, è cosa nondimeno incresciosa che siffatta indiscrezione abbia potuto essere commessa senza che si sia potuto scoprirne l'origine.

La riunione del Concilio potrà dare luogo ad altre comunicazioni successive del R. Governo con codesta Legazione epperò, io desidero fin d'ora avvisarla che tutto ciò che concerne questo argomento deve essere tenuto colla massima riserva e discrezione.

A questo proposito invito la S. V. a volersi sin d'ora occupare di sapere quali prelati di codesto paese si recheranno probabilmente in Roma per assistere al Concilio. Vorrei che mettendo a profitto il tempo che ci separa dall'apertura del medesimo Ella prendesse note accurate sopra ciascuno di quei prelati indagando segnatamente a quale opinione ognuno di essi si accosti nella grave quistione dei rapporti della Chiesa col Principato civile e non trascurando tutti quegli altri appunti che del carattere e del valore individuale di ogni Prelato possono fornire un esatto criterio.

Di questi appunti, e di tutto ciò che concerne il Concilio Ecumenico Ella vorrà tenere una separata corrispondenza con apposita numerazione in cifre romane.

434

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 30. Vienna, 27 luglio 1868 (per. il 30).

Sabato mi recai a visitare il Barone di Becke che fu dal Cancelliere dell'Impero incaricato di ricevere durante la sua assenza il Corpo Diplomatico. Io gli tenni parola degli affari di Roma e gli chiesi se i negoziati col Pontefice procedessero favorevolmente. Mi parve conoscere che egli non avea molta fiducia nella riuscita dei medesimi e che egli non si preoccupa molto della questione.

Mi narrò che essi avevano avuto sicurè notizie da Roma che il Governo francese avea fatto delle rimostranze per non essere stato invitato ufficialmente al Concilio, e che a Roma si era risposto che la situazione in cui il Papa si trovava rimpetto all'Imperatore d'Austria ed al Re d'Italia rendeva impossibile che la Curia potesse invitare personalmente i sovrani cattolici europei. D'altra parte il Cardinale Antonelli aveva fatto osservare al Signor di Sartiges che la bolla pontificia invitava al Concilio chiunque vi avea diritto e che se la Francia credeva avervi dritto non avea che ad intervenire.

Egli soggiunse ritenere però che dei negoziati avevano luogo a questo proposito fra Roma e Parigi. Proseguendo a parlare poi di Roma e della questione religiosa mi fece notare con singolare compiacenza che il Barone di Beust era ultimamente passato pel Tirolo e che avea avuto da quella popolazione cattolica una splendida ovazione. I contadini si affollavano intorno in lui gridandogli: « tenete fermo, non cedete a Roma » (l).

(l) -Cfr. n. 432. (2) -Cfr. n. 419.
435

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 31. Vienna, 27 luglio 1868 (per. il 30).

Alcuni giornali francesi e tedeschi vanno ripetendo in modo formale la voce che i rapporti politici fra la Prussia e l'Austria si siano per modo migliorati che una nuova alleanza fra i due Governi sia forse possibile. Io ho cercato di conoscere se vi è fondamento di verità in questa notizia, e debbo dichiararLe che ho dovuto convincermi che essa non ha nessun carattere ufficiale.

L'Ambasciatore di Francia afferma in modo reciso e formale che essa è una pura menzogna giornalistica, e che i rancori fra i due paesi sono come prima vivaci e irreconciliabili. Ma alle asserzioni del Duca di Gramont conviene prestare una limitata fiducia, imperocché il progetto di alleanza fra Berlino e Vienna si tratterebbe segretamente, e sovratutto si cercherebbe dagli uomini di Stato tedeschi di occultarlo al Gabinetto delle Tuileries.

Io ho voluto risalire alle origini ai queste voci: indarno però ho voluto copertamente studiarmi di conoscere le opinioni di alcuni fra i Ministri degli Stati Germanici qui residenti e che sono ordinariamente bene informati, io non ho potuto conoscere altro in fuori di ciò, che cioè quelle voci furono poste in giro dal partito feodale, pel quale la preponderanza prussiana è meno pericolosa che il Governo della libertà. Gli uomini più influenti di quel partito e che avvicinano l'Imperatore, credono che se si potesse stringere una alleanza schietta e sincera fra i due Monarchi, il Governo Austriaco potrebbe riprendere quella autorità che ha perduto in Ungheria e nelle provincie cisleitane,

e che potrebbe opporsi con efficacia alla corrente rivoluzionaria che, a quanto essi affermano travolge la gran patria tedesca. È la risurrezione della Santa Alleanza che essi sognano contro le idee moderne. Essi contano per riuscire sul turbamento della coscienza cattolica dell'Imperatore d'Austria, e sugli istinti dispotici del Re di Prussia.

Io francamente non credo che siffatti progetti possano riuscire imperocché l'Imperatore è oggi dominato dal partito ungherese, ma è difficile poter fare degli apprezzamenti esatti sovra gli intendimenti di un Governo cui manca completamente l'unità di azione. L'Imperatore ha una volontà propria: cede sovente, ma cede per necessità: converrebbe dunque conoscere a fondo l'animo suo in questa questione. Il Barone di Beust dirige la politica estera; ma egli non può far trionfare la propria volontà imperocché si trova a fronte di due Gabinetti indipendenti, che crederebbero perdere la propria dignità se lasciassero per anco sospettare che essi subiscono l'altrui pressione, e che hanno una politica estera in perfetta opposizione.

Il Gabinetto Ungherese desiderava vivamente che lo statu quo si mantenga: nella debolezza del partito tedesco pone la propria forza. Il Gabinetto cisleitano tende invece a rialzare l'elemento tedesco per riassicurare la propria influenza. In una cosa però i due Gabinetti si trovano perfettamente in armonia, ed è nel volere che all'interno si proceda colla libertà. Il Gabinetto Cisleitano abbonda anche più in questo senso che il Gabinetto Ungherese imperocché egli reputa che il miglior mezzo di combattere in Germania l'influenza Prussiana è di appoggiarsi francamente sull'elemento democratico.

Da quanto ho esposto credo che l'E. V. verrà in chiaro come sia difficile per tutti il potere costatare la linea dl politica che segue o seguirà il Gabinetto di Vienna, e se il progetto di alleanza di cui si mena tanto scalpore sia una semplice aspirazione di un partito come io credo, oppure se egli sia segretamente vagheggiato dall'Imperatore, o dal Barone di Beust; ipotesi questa che io francamente per ora respingo.

Tuttavia non è fuori di luogo osservare i sintomi che si sono prodotti nella occasione del terzo tiro federale in Vienna, perché questi sintomi forse potrebbero rischiarare le tenebre che oggi coprono la situazione politica dell'Austria. Da un lato vediamo l'Imperatore rifiutarsi ad assistere all'apertura di esso, il Barone di Beust allontanarsi da Vienna, il Re di Hannover pregato a starsi tranquillo in un castello lontano, ed udiamo il Barone di Becke a cui Beust ha affidato interinalmente il portafogli degli esteri, dichiarare che quella festa non ha nessun carattere officiale, che egli non vi assisterà, e il Ministero Ungherese approvarlo con delle riserve, dall'altra vediamo invece il Ministero Cisleitano assistere ed incoraggiare la festa e lo vediamo per bocca del suo principale ministro Giskra bere alla salute della grande patria tedesca, al cospetto di una folla entusiasta e commossa che lo applaudiva con quella medesima energia con cui poco prima aveva applaudito lungo la via specialmente ai tiratori Sassoni. Io non voglio certamente a questi sintomi dar maggiore peso di quello che meritano, ma l'istoria ci rammenta che non bisogna neppure trascurarli completamente. Essi sono talvolta gli inconsapevoli precursori di una politica che se non esiste ancora nella mente degli uomini di Stato, esiste in germe ed in realtà nella situazione reciproca ed inevitabile dei partiti.

(l) Con r. 29 del 24 luglio Pepoli aveva comunicato: «L'ultima volta che ebbi l'onore di vedere il Barone di Beust gli toccai dell'argomento del Concilio... gli chiesi ciò che il Gabinetto austriaco intendeva di fare! Se l'Imperatore si sarebbe fatto rappresentare officialmente. Ho creduto accorgermi che è questo un argomento sul quale !l Ministro Austriaco non desidera per ora esporre le sue idee. Se il Barone di Beust non fosse vincolato dagli scrupolidell'Imperatore credo che in quella opportunità egli agirebbe molto energicamente, ma ripeto per ora egli non può pronunziarsi>>.

436 IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1221. Costantinopoli, 28 luglio 1868, ore 10,25 (per. ore 12,35).

J'ai signé avec mes collègues protocole Liban dont le terme est fixé à dix ans. Après conférence Fuad pacha nous a signalé les faits qui viennent de se passer sur le Danube et nous a déclaré que des doutes planent sur la conduite du Gouvernement moldo-valaque; il croit qu'il est de l'intéret des Puissances garantes autant que de la S. Porte que ces doutes soient éclairées, et il a recours aux représentants des Puissances pour que, par l'intermédiaire de leurs agents et consuls généraux à Bucarest, ils mettent en clak la justesse de ces soupçons et informent en mème temps leurs Gouvernements du résultat de leurs démarches.

Cette communication fait l'objet d't•n télégramme identique à nos Gouvernements. J'ai déjà télégraphié à Bucarest, en invitant le vice-consul à s'y conformer.

437

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 88. Firenze, 28 luglio 1868.

Ella ebbe a quest'ora notizia non solo delle interpellanze mosse al Gabinetto che ho l'onore di presiedere ma anche della risposta che ho fatto all'Onorevole Deputato La Marmora allorché questi insistette per conoscere se il Ministero accettava o no la sua interpellanza.

Ben risoluto a non consentire a che si entrasse in una discussione retrospettiva sugli avvenimenti del 1866, mi valsi con molta soddisfazione delle dichiarazioni fattemi dal Conte d'Usedom intorno al carattere non ufficiale del rapporto dello Stato Maggiore Prussiano per toglier subito di mezzo ogni dubbio ed equivoco e per dare una palese dimostrazione dei buoni rapporti che esistono e si mantengono fra l'Italia e la Prussia. Benché io non dubitassi dei sentimenti amichevoli del Governo Prussiano a nostro riguardo cionondimeno l'avermi messo in grado di fare così esplicite e soddisfacenti dichiarazioni fu prova novella del desiderio del Gabinetto di Berlino di render facile il compito del Governo del Re a fronte delle opposizioni che egli incontra sul suo cammino. Epperò desidero che per così benevole testimonianze Ella porga vivissime grazie al Governo di Prussia cogliendo l'occasione per dimostrare che il Ministero che io presiedo tenendosi all'infuori delle ire e dei rancori de' partiti, ha ferma fiducia che le polemiche che si son aperte in questi giorni sui fatti del 1866, non possono avere alcuna influenza sulle disposizioni reciproche dei Governi e sulle relazioni conformi ai rispettivi loro interessi.

438

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

D. 20. Firenze, 28 luglio 1868.

Ella troverà qui unito un rapporto del R. Console a Trieste (l) al quale vanno annessi due altri documenti per dimostrare che nell'occasione in cui l'Ammiraglio austriaco Tegethoff recavasi a Zara per ricevervi un diploma di cittadinanza a lui concesso da quel Municipio per la battaglia di Lissa, le autorità di quel luogo costrinsero i bastimenti italiani che trovavansi in porto ad inalberare la loro bandiera in segno di festa.

Non è la prima volta che quelle Autorità si mostrano ostili ad una bandiera che debbono riconoscere e trattare come amica, epperò conviene che a prevenire qualche disgustoso incidente che potrebbe un giorno o l'altro accadere in uno di quei porti, il Governo Imperiale dia opportune istruzioni a quelle Autorità. Noi siamo convinti che il Governo dell'Imperatore saprà disapprovare la condotta di coloro che per festeggiare un distinto ufficiale austriaco hanno voluto costringere marinai italiani a far segno di allegrezza in ricordanza di una sventura della loro patria.

Ritengo che la S. V. otterrà tanto più facilmente che le istruzioni suaccennate siena sollecitamente impartite, inquantoché ogni volta l'occasione si è presentata in cui si vollero fare dimostrazioni italiane in quei paesi, la condotta degli Agenti del Re fu, quale si doveva essere, piena di prudenza e di circospezione. Ancora recentemente, nell'occasione del funerale del giovane Farisi, alcuni bastimenti italiani avevano inalberato bandiera a mezz'asta in segno di lutto, ed il Console di Sua Maestà, di ciò avvisato, mandò a bordo di quei legni la ingiunzione di astenersi da consimili politiche dimostrazioni.

Non intendiamo con ciò sollevare un incidente diplomatico, ma desideriamo che al Governo Austriaco sieno fatte quelle osservazioni che la circostanza esige, perché si abbiano ad evitare col tratto successivo maggiori e più gravi inconvenienti.

440

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 24. Monaco, 28 luglio 1868.

Or sono pochi giorni avendo avuto l'occasione d'incontrarmi col Principe Hohenlohe portai la conversazione sulla questione della convocazione del Concilio Ecumenico.

Non ho bisogno di dire a V. E. che, ignaro sino ad ora del modo di vedere del mio Governo sopra un affare di tale importanza, m'imposi in ciò fare la più grande riserva; il mio scopo era dunque quello solo d'indagare anticipata

mente quali fossero a questo riguardo le viste del Governo bavarese. Il Principe Hohenlohe mi disse che già aveva portata la sua attenzione sul fatto importante di non essere stata annunciata questa riunione ai differenti Governi europei e principalmente ai cattolici; che si proponeva in questi mesi d'estate approfondire lo scopo che può la Corte di Roma proporsi e che avrebbe studiata la questione onde porsi in grado di manifestare in proposito la propria opinione; che intanto da notizie private ricevute gli risultava non trovarsi la Corte di Roma assolutamente aliena dall'ammettere in esso l'intervento dei rappresentanti delle potenze europee siccome si praticò per altri ecumenici Concili!, e che d'altronde gli atti di questo consesso ecclesiastico dovendo essere ricevuti e avere all'estero il loro effetto è ben naturale ch'essi non ne vengano esclusi: discorrendo tuttavia dei motivi che possono aver imposto alla Corte pontificia questa specie di riserva, mi soggiunse Sua Altezza credere che ciò sia cagionato dallo stato delle relazioni del Vaticano con alcune potenze.

Il viaggio del Re di Baviera a Kissingen sembra, da quanto mi si assicura, fissato a Sabato prossimo; Sua Maestà incontrerà colà l'Imperatrice di Russia e questo è, da quanto sembra, lo scopo principale se non l'unico di questo viaggio.

La notizia del progetto di matrimonio di Sua Maestà colla Granduchessa Alessandra acquista per conseguenza qualche maggiore consistenza, sebbene nelle regioni officiali si persista a negarla.

Il mio Collega Commendatore Barbolani è qui di passaggio e partirà stasera alla volta d'Italia.

440. IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE A BUCAREST, GLORIA

T. 690. Firenze, 29 luglio 1868, ore 15,45.

Dans les démarches qui auront lieu à propos de l'enquéte ordonnée sur l'action d es comités bulgares. établis en Valachie (l), qui ont donné lieu aux dernières collisions avec les troupes turques, veuillez agir avec beaucoup de circonspection, et vous abstenir de tout ce qui peut sembler malveillant envers le Gouvernement roumain, tout cherchant à connaitre la vérité.

(l) Cfr. n. 429.

441

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA

T. 691. Firenze, 29 luglio 1868, ore 15.30.

On parle de nouveau d'un congrès européen qui serait provoqué par l'Angleterre d'accord avec la Russie. Veuillez m'informer de ce qu'il y a de vrai dans ces bruits, qui sont assez insistants. J'expédierait bientòt un courrler, qui pourra apporter votre réponse.

(l) Cfr. n. 436.

442 L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1225. Tunisi, 29 luglio 1868 (per. ore 2,45 del 30).

Je viens de voir premier m:inistre qui m'a parlé du plan financier dont a été portée copie par général Keredine, concerté à Paris entre ce dernier et banquiers génois et français par l'entremise baron de Castelnuovo. Faute de temps, je laisse détail projet qui d'ailleurs doit étre connu V. E. Bey approuve pourvu que les trois Puissances acceptent. Un des banquiers est attendu à Tunis.

443

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, E A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA

D. R.I. Firenze, 29 luglio 1868.

Unitamente a questo mio dispaccio Ella riceverà copia di un'istruzione (l) che ho indirizzato a tutti i rappresentanti di S. M. il Re presso le corti Cattoliche, relativa al Concilio ecumenico dalla Santa Sede convocato in Roma per gli otto Dicembre dell'anno venturo. Le invio pure con questa stessa occasione gli estratti di due rapporti che i di Lei Colleghi di Parigi e di Vienna mi hanno indirizzato sovra quello stesso argomento prima di aver ricevuto le mie istruzioni (2).

Il Governo presso il quale Ella è accreditata non sarà probabilmente rimasto indifferente all'annunzio di un avvenimento che avrà prodotto una viva emozione tra le popolazioni cattoliche a lui soggette. Non è dunque fuori del caso che a Lei occorra di parlare di questo argomento cogli uomini di Stato della Prussia (Russia), ed in tale ipotesi Ella potrà prendere norma di quanto io scrissi ai Ministri del Re presso le Corti Cattoliche per regolare il di Lei linguaggio.

* (Per S. Pietroburgo). L'influenza grande che ebbe ognora l'elemento religioso nei rivolgimenti interni della Polonia e l'appoggio, almeno indiretto che quei rivolgimenti hanno trovato ovunque in Europa ha radice il partito ultramontano, potrebbero forse consigliare al Governo Imperiale un contegno speciale verso i Prelati che dalla bolla Pontificia del 24 Giugno furono convocati a Roma.

(Per tutti). Potrebbe anche supporsi che in vista dei bravi interessi politici che si connettono colla riunione di un Concilio tanto per ciò che concerne l'ordine interno dei paesi dove in gran numero sono gli abitanti cattolici, quanto per ciò che risguarda l'influenza che certe decisioni conciliari potrebbero esercitare sulle relazioni internazionali de' vari Stati f,ra di loro la Russia (Prussia) intendesse valersi del diritto antico che non voleva esclusi dalle adunanze generali della cattolicità anche i rappresentanti dei popoli Cristiani dissidenti dalla Chiesa Romana. Ove ciò fosse, o sia che la Russia (Prussia) voglia farsi rappresentare come Stato, qual'è politicamente riconosciuta, o sia che voglia soltanto assicurare alle popolazioni cattoliche che le appartengono una speciale partecipazione al Concilio, sarebbe cosa per noi utilissima conoscere in tempo le determinazioni che il Gabinetto di San Pietroburga (Berlino) sarà per prendere, ed io riposo sicuro nel di lei zelo per essere di ogni cosa diligentemente informato. Sono persuaso che nel conversare del Concilio, delle sue conseguenze, del diritto pubblico che trova in simili circostanze la sua applicazione, le verrà fatto di indagare accortamente le intenzioni di codesto Governo *.

Intanto non meno importante, per noi è il sapere quali prelati di codesto paese si recheranno probabilmente a Roma per assistere alla Cattolica riunione, quali di essi potrebbero per avventura considerarsi come più particolarmente obbedienti. Vorrei che senza indugio Ella cominciasse a raccogliere notizie accurate sovra ciascuno di quei prelati indagando segnatamente a quale opinione ognuno di essi si accosti nella grave questione dei rapporti della Chiesa collo Stato e non trascurando tutti quegli altri appunti biografici che del cara-ttere e valore individuale d'ogni prelato possono fornire un esatto criterio.

Di questi appunti e di ogni cosa che concerne il Concilio ecumenico Ella vorrà tenere una corrispondenza separata e distinta con apposita numerazione in cifre romane.

Appena poi è necessario ch'io qui aggiunga che le comunicazioni riflettenti questo argomento sono tutte d'indole riservatissima. Delle istruzioni che le invio in copia importa non si conosca il contenuto e neppure l'esistenza. Poche :settimane or sono è occorso che un mio dispaccio al Cavalier Nigra fosse pubblicato in uno dei giornali più notoriamente ostili all'Italia, malgrado tutte le diligenze usate per mantenerlo segreto. Se in questa circostanza la pubblicazione indiscreta fatta da quel giornale non ha prodotto alcuno degli effetti che i suoi autori si erano probabilmente prefissi, è cosa non di meno rincrescevole che siffatta indiscrezione abbia potuto avere luogo senza che si sia potuto scoprirne l'origine. È per questo motivo che io Le raccomando più particolarmente di gelosamente custodire le carte riflettenti la riunione del Concilio, anche perché è grande l'interesse che si annette a Roma a conoscere gli intendimenti delle varie Potenze al riguardo (l).

(l) -Cfr. n. 432. (2) -Cfr. nn. 421 e 434, nota l, p. 485.

(l) Dispacci analoghi, ma privi del brano fra asterischi, vennero inviati in pari data a Costantinopoli, Carlsruhe e Stoccarda, il 3 agosto a Londra, Il lO agosto a l'Aj a e il 17 settembre ad Atene

444

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL CONSOLE GENERALE A TRIESTE, BRUNO

D. 5. Firenze, 29 luglio 1868.

Le accenno ricevuta dei di Lei rapporti confidenziali del 15 e 17 Giugno e dè 6, 11, 13, 17, 19 e 23 Luglio (1), coi quali Ella mi ha accuratamente informato dei tristi casi avvenuti in Trieste. La prego di volersi uniformare alle prescrizioni delle ultime circolari ministeriali colle quali furono stabilite le norme pel riparto delle corrispondenze. Gli argomenti trattati nei citati rapporti avrebbero dovuto tutti far parte delle Serie politica; la semplice indicazione di Confidenziale delle quali Ella si è valsa per controdistinguere alcune di quelle sue pregiate relazioni, può ugualmente applicarsi ai rapporti delle varie serie, quando trattano di materie di indole riservata.

Sono ben soddisfatto della condotta che Ella tenne nell'occasione degli ultimi torbidi, e la invito a voler perseverare in quella medesima via da Lei seguita sinora rinchiudendo la propria sfera di azione, tanto nè suoi rapporti coll'Autorità, quanto nel contatto indispensabile colle persone del paese entro la cerchia degli affari Consolari, lasciando in disparte tutto ciò che potrebbe far credere che da noi si voglia esercitare un'influenza politica sovra codesta Città.

La approvo parimenti per aver fatto desistere le navi italiane che erano in porto da qualsiasi manifestazione nell'occasione dei funerali del Parisi. Ma appunto perché furono da Lei fatti osservare strettamente i doveri che incombono ai nostri naviganti, io ho creduto necessario di mettere il Ministro del Re a Vienna in grado di fare quelle rimostranze che la condotta delle Autorità del porto di Zara meritava. Non è la prima volta, gli scrissi io, che quelle Autorità si dimostrano ostili ad una bandiera che debbono trattare come amica; epperò conviene che per prevenire qualche disgustoso incidente che un giorno o l'altro potrebbe accadere in uno di quei porti, il Governo Imperiale dia opportune istruzioni alle sue Autorità. Noi siamo convinti che il Governo dell'Imperatore saprà disapprovare la condotta di coloro che per festeggiare un distinto Ufficiale Austriaco hanno voluto costringere marinai italiani a far segno di allegrezza in ricordanze di una sventura per la loro patria.

445

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 146. Costantinopoli, 29 luglio 1868.

Cogliendo l'occasione in cm 1 Rappresentanti delle Potenze Garanti erano riuniti nel suo Jali di Kanlidja per firmare il protocollo relativo al Libano,

S. -A. Fuad Pacha ci parlò sottosopra nella seguente sentenza: «È noto alle

E.E. V.V. siccome bande armate siensi introdotte nel territorio dell'Impero dopo aver tragittato il Danubio dalla sponda Valacca. Da più mesi si parla di bande Bulgare, e, per quanto noi abbiamo cercato di attirar l'attenzione del Governo Moldo Valacco sulle medesime, sempre ci si rispose che queste erano apprensioni gratuite, e tali da non essere giustificate dalla realtà dei fatti. Quel che succede nella presente circostanza prova ad evidenza che, come il Governo del Sultano non s'appose in passato, così non si appone in giornata intorno alle conseguenze che ne possono derivare. A quest'uopo io informo senz'altro i Rappresentanti delle Potenze Garanti perché facciano dal canto loro le dovute indagini e per mezzo dei rispettivi Consoli nei Principati Uniti, onde scoprire se il Governo Rumeno sia o no connivente colle bande medesime, che so armate di fucili di precisione e provenienti dall'arsenale di Bucharest in numero di 2.500. I miei sospetti sul Governo Moldo-Valacco sono appoggiati ad argomenti di varia indole; io invito ed esorto conseguentemente le E.E. V.V. a verificare, ciascuna dal suo lato, se io sia in inganno oppure se abbia colto nel segno. Nel primo caso io sarei lieto di ricredermi, nel secondo io prego l signori diplomatici qui presenti perché eccitino i loro Gabinetti a fare collettivamente al Governo Moldo-Valacco quelle rimostranze che giudicheranno opportune nella loro alta saviezza».

Austria, Francia, ed Inghilterra appoggiarono senza esitazione la proposta di Fuad Pacha, ed il Barone Prokesh si mise a redigere séance tenante un progetto di telegramma identico da spedirsi ai nostri Governi, nonché al nostri consoli in Bucharest, e quale io già trasmisi al Ministero nPlla mattina di ieri (l).

Il Generale Ignatiew, mentre cercava di attenuare i fatti, e prometteva di scrivere in proposito al Console Russo in Bucharest, si mostrava però avverso a qualunque azione collettiva, dicendo che non aveva apposite facoltà.

L'incaricato d'Affari di Prussia, Barone Webel, inclinava anch'egli ad attenuare il carattere degli avvenimenti attuali sul basso Danubio, e dava piuttosto la mano al collega Moscovita anziché agli altri. Quanto a me, che mi tenni riservato e silenzioso nel principio della conversazione non mi peritai a riunirmi ai miei colleghi, i Signori Bourée, Elliot e Prokesh come tosto vidi dove andava a parare il colpo sì oppol'tunamente ed abilmente scagliato da Fuad Pacha.

Qual sia la veracità del Governo Rumeno, noi lo vedemmo nel recenti fatti di Bakou a danno degli Israeliti, e da esso pertinacemente negati in faccia di tutti i Consoli che avevano buon per le mani onde provare il contrario.

Quanto al mio collega di Russia, capisco che in giornata la sua posizione è tutt'altro che facile; e, nello stesso modo con cui egli si adoprò quanto seppe e poté negli scorsi giorni per impedire che Midhat Pacha fosse di nuovo inviato in Bulgaria, dicendo che era un voler dare troppa importanza agli avvenimenti attuali al cospetto d'Europa mercé l'invio di sì alto personaggio sul Danubio; così è naturale che egli rifugga dal promuovere un'inchiesta, il cui risultato può per avventura, non tornar troppo favorevole a lui, né al suo

Governo. Il vero s1 e, (come me lo affermò confidenzialmente il mio collega d'Inghilterra) che il giorno prima che le bande tragittassero il Danubio, il Console Russo già avea annunziata la loro invasione.

Checché ne sia, ho spedito al Console di Sua Maestà in Bucharest, il telegramma identico sovraccennato, ed aspetterò intanto quelle informazioni che esso mi trasmetterà, nonché le istruzioni che l'E. V. crederà darmi in tempo opportuno per conformare la mia condotta ed il mio linguaggio al tenore delle une e delle altre.

(l) -Non pubblicati; s! riferiscono a scontri tra elementi etnie! Italiani e slovenl avvenuti a Trieste.

(l) Cfr. n. 436

447

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE A BUCAREST, GLORIA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 144. Bucarest, 30 luglio 1868 (per. il 7 agosto).

Quando giunse agli Agenti delle Potenze Garanti in Bucarest l'ordine telegrafico dalle rispettive legazioni in Costantinopoli di procedere ad una specie d'inchiesta sugli affari di Bulgaria cioè di rispondere categoricamente se si credeva o no che il Governo Rumeno fosse complice dei Comitati Bulgari, io era a Giurgevo per cercare il Vice Console domandatomi dall'E. V. col pregiato dispaccio N. 490 in data 13 luglio corrente (l) e nello stesso tempo vedere coi miei propri occhi quanto vi fosse di vero negli arresti che si dicevano fatti da quelle autorità di Bulgari compromessi nei moti ora avvenuti in Bulgaria. Il Barone d'Offemberg radunò in Conferenza tutti i reggenti le agenzie delle Potenze Garanti e si discusse sulla colpabilità o no di questo Governo. Egli lo difese a tutta possa ed il Reggente l'Agenzia di Prussia fu del suo parere. Quelli d'Austria d'Inghilterra e di Francia al contrario si dichiararono per la colpabilità e si separarono senza mettersi menomamente d'accordo e ciascuno scriss& a Costantinopoli secondo le sue idee.

Di ritorno nella stessa sera mi recai dal Barone d'Offemberg e dal Reggente di Francia da cui seppi l'esito della conferenza ed udii tutte le ragioni addotte da ciascheduno in favore e contro questo Governo. Quanto a me credo che il Bratiano ha molto torto in questa questione quantunque non possa fare di lui il capo e l'istigatore del movimento. Egli lasciò fare e vide come sempre con piacere che si faceva un movimento qualunque contro la Turchia.

Manderò domani all'E. V. copia del Rapporto oggi da me indirizzato a Costantinopoli dove sono più lungamente descritte le fasi di questo movimento, il contegno e la posizione del Governo Rumeno in questo tempo. Intanto se si procederà ad una seria inchiesta internazionale mi farò un dovere di attenermi strettamente agli ordini che l'E. V. ebbe la gentilezza d'impartirmi col di lei dispaccio telegrafico di ieri (2), dispaccio che fui obbligato a rimandare all'Ufficio telegrafico per la correzione di alcune cifre sbagliate.

4'17.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. II. Firenze, 1° agosto 1868.

Aspettavo mi si presentasse un'occasione sicura per spedirle il mio Dispac

cio che Le invio oggi sotto il I (l), quando ricevetti il di Lei pregevolissimo

rapporto del 18 luglio (2) relativo alle questioni che naturalmente si affac

ciano in presenza all'annunziata riunione di tutto l'episcopato cattolico in

Roma.

La semplice lettura di quel mio dispaccio, nel quale mi studiai di compen

diosamente riassumere gl'intendimenti del R. Governo in siffatte quistioni, ba

sta a dimostrarle che io approvo il linguaggio ch'Ella tenne al Marchese di

Moustier per indagare quali sono, in simile occorrenza, i propositi del Governo

F·rancese. Ove sopra questo stesso argomento Le verrà fatto di avere altre

ufficiali conversazioni, Ella potrà togliere dalle generali istruzioni contenute

nel già ricordato mio dispaccio una norma più precisa di linguaggio. Vorrei

però che salvo un'indicazione espressa da parte [mia], tutto quanto Le scrivo

c.ggi ed in generale tutto il carteggio che si riferisce a questo delicato tema del

Concilio abbia a rimanere segretissimo per modo che s'abbia persino ad igno

rare che quest'argomento formi oggetto di corrispondenza tra il R. Governo

ed i suoi rappresentanti.

Sebbene quanto Ella mi scrive in data del 18 luglio confermi in gran parte l'opinione che tutti si fanno sulle disposizioni che recheranno al Concilio i prelati francesi; cionondimeno non potrebbe esser senza qualche pratica utilità lo indagare sin d'ora quali prelati di Francia si recheranno a Roma, ed il raccogliere note ed appunti biografici intorno ai medesimi sia per conoscerne l'opinione sulla fondamentale quistione dei rapporti della Chiesa col Principato civile, sia per formarsi un esatto criterio del carattere e del valore individuale di ciascuno d'essi. Di questi appunti che Ella vorrà certamente occuparsi di raccogliere, nonché d'ogni altra comunicazione riflettente il Concilio, Ella vorrà tener meco una corrispondenza separata con apposita numerazione in cifre romane.

Gravissimo fatto è certamente quello accennato dalla S. V. della sparizione di quel partito potente che appoggiato ai principi della Chiesa Gallicana coadiuvava grandemente il Governo nel respingere le pretese esagerate del Clero nelle materie che cadono sotto l'impero della potestà civile. Ma non sarà forse interamente improbabile che nel numero grande di prelati che trovansi in Francia, si trovi un nucleo di vescovi che voglia mostrarsi più tenace di principii agli usi antichi della Chiesa Nazionale, cercando nel Governo Imperiale quell'appoggio che, com'Ella mi dice, da alcuni degli attuali Ministri dell'Imperatore potrebbe avere. Qualunque fatto avvenga in quest'ordine di cose potrà sem

pre essere attentamente esaminato, n::m foss'altro per conoscere fino a qual punto domina nelle alte sfere la frazione che purtroppo è prepotente in Roma.

In ordine alla partecipazione delle Potenze al Concilio Ecumenico, e segnatamente ai passi che la Francia avrebbe fatti a Roma per essere particolarmente invitata a sedere in quella cattolica adunanza, chiamo l'attenzione di Lei sopra un rapporto fattomi dal Marchese Pepoli dn data 27 luglio (l) circa una conversazione da lui avuta con chi regge in questo momento il dipartimento agli Affari Esteri in Austria. Ella troverà qui unito un estratto di quel rapporto, nonché di un'altra lettera dello stesso R. Inviato (2) dalla quale appare che il Barone di Beust si mostrava assai riservato in queste quistioni.

(l) -Non pubblicato (2) -Cfr. n. 440. (1) -Cfr. n. 432. (2) -Cfr. n. 421.
448

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

D. I. Firenze, 3 agosto 1868.

Pria di prender congedo da me il Signor Pioda il quale partì in questi giorni in congedo, m'interpellò sugli intendimenti del Governo del Re nelle quistioni risguardanti la riunione di un Concilio ecumenico in Roma.

Risposi all'Inviato della Confederazione Elvetica in questi precisi sensi: il Governo Italiano non ha preso alcuna definitiva determinazione intorno al contegno ch'egli dovrà assumere al momento in cui il Concilio si riunirà in Roma. I principii che informano il reggimento civile d'Italia stabiliscono però sin d'ora alcune norme che serviranno certamente di guida al Gabinetto di Firenze per determinare la sua cond:Jtta. Finché l'episcopato italiano discuterà sovra materie di dogma o di vera ecclesiastica disciplina, la maggiore libertà sarà certamente assicurata alle sue deliberazioni, ma se, eccedendo i limiti tracciati alla potestà della Chiesa, i prelati volessero invadere il campo della potestà civHe, o mostrassero di voler creare in Italia una perniciosa agitazione, il Governo italiano è risoluto di valersi di quei mezzi coi quali lo Stato ha ognora difeso l'integrità dei proprii diritti a fronte delle esagerate pretese dei chierici.

Non so se il Signor Pioda avesse ricevuto incarico dal suo Governo di interpellarmi su queste materie, ma egli non mi sembrò istruito dell'impressione prodotta nei cantoni cattolici della Svizzera dalla promulgazione della bolla d'indizione del Concilio. Le mutazioni avvenute nella costituzione federale dell'Elvezia faranno sì probabilmente che questo Governo non abbia a credersi erede del diritto che altre volte esercitarono i cantoni collo spedire appositi Legati; al Concilio di Trento per esempio i legati dei Cantoni Svizzeri figuravano accanto a quelli dell'Imperatore, del Re Cristianissimo, del Duca di Baviera e della Serenissima Repubblica Veneta. Ma se la Svizzera qual è presentemente ordinata non si considererà forse come uno Stato particolarmente

interessato ad avere una speciale rappr2::entanza nella congregazione dei dignitari del Clero e dei rappresentanti delle popolazioni cattoliche, potrebbero forse alcuni dei singoli cantoni, dove la fede cattolica è più generalmente professata, aspirare essi a farsi rappresentare se non direttamente, almeno indirettamente ed officiosamente in seno alla religiosa adunanza. Potrebbero per esempio questi cantoni delegare a taluno fra i Vescovi della Svizzera di vegliare agl'interessi particolari della Chiesa elvetica non fosse altro per evitare futuri conflitti che facilmente sorgerebbero in seguito quando di questi interessi particolari non si fosse tenuto debito conto nelle deliberazioni.

La S. V. che tanto perfettamente conosce l'ordinamento interno di codesto paese, potrà probabilmente sin d'ora esporre a questo Ministro dove potrebbe estendersi la libertà dei Governi cantonali in tutto ciò che risguarda il concilio e la pubblicazione dei decreti del medesimo.

Le sarei dunque molto grato s'Ella fin d'ora esaminasse la questione della rappresentanza nel Concilio della Confederazione Elvetica, o dei singoli cantoni che la compongono al punto di vista dell'odierno diritto pubblico interno della Svizzera. E qualora alla S. V. risultasse che il Governo federale od i Governi cantonali potessero per avventura anche oggidì rivendicare il diritto esercitato in altre occasioni precedenti, bramerei ch'Ella indagasse le intenzioni di codeste autorità allo scopo di conoscere a quale partito esse si appiglierebbero nelle circostanze presenti.

Intanto il Ministero desidererebbe che mettendo a profitto il tempo che ancora ci separa dall'apertura del Concilio, Ella si accingesse a prendere informazioni accurate sovra i singoli prelati svizzeri che si recheranno a Roma, indagando segnatamente a quale opinione ognuno di essi si accosti nella grave questione dei rapporti della Chiesa col Principato civile, e non trascurando tutti quegli altri appunti che del valore e del carattere individuale d'ogni prelato possano somministrare un esatto criterio.

Ritengo che una parte importante possa essere chiamato ad avere nel Concilio Monsignor Vescovo di Ginevra. L'eloquenza e l'ingegno aveano dato all'Abate Mermillod una parte distinta in quella classe del clero che della relazione esistente fra le questioni ecclesiastiche e le circostanze dei tempi si preoccupa maggiormente. Ora importerebbe conoscere se, rivestito della dignità episcopale, questo prelato abbia conservato quella posizione ch'egli già aveva acquistato, in qual senso egli spiegherebbe la sua influenza e se intorno a lui si sia formato un partito di qualche considerazione nell'alto clero.

(l) -Cfr. n. 434. (2) -Cfr. n. 434, nota l, p. 485
449

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. 86. Firenze, 3 agosto 1868.

Prima di recarsi per alcune settimane alle acque di Recoaro nel Veneto, Rustem-Bey mi comunicò, pochi giorni sono, varie notizie ch'egli avea ricevute dal suo Governo sullo stato delle cose in Candia, sulla relazione che la Porta ritiene esistere fra l'insurrezione Cretese ed i moti della Bulgaria, nonché sulla partecipazione che il Governo del Sultano credeva dimostrata, del Governo Rumeno nei preparativi dell'invasione accaduta recentemente in quest'ultima provincia per parte dei rifugiati bulgari dimoranti in Valachia.

Ringraziai l'Inviato di Turchia delle sue comunicazioni dicendogli che, avendomi la S. V. fatto conoscere che S. A. Fuad-Pacha aveva già chiamato l'attenzione dei Rappresentanti delle Potenze in Costantinopoli sulla condotta delle autorità Rumene, io aveva subito dato al reggente dell'agenzia e Consolato generale di Sua Maestà in Bukarest le istruzioni di adoperarsi a scoprire la verità sovra quanto si andava dicendo a questo riguardo.

Ho notato però che nella comunicazione fattami da Rustem-Bey non si accennava ad una vera proposta di ordinare un'inchiesta sulla condotta del Governo o delle autorità Rumene, e, se è vero quanto gli agenti Ottomani dicono sulla insignificante importanza del movimento bulgaro, è assai probabile che ogni maggiore indagine circa il contegno della Rumenia verso gli emigrati Bulgari possa sembrare superflua. Le notizie di fonte turca tendono tutte a fare credere che le bande erano composte di poche decine di insorti ed, in tal caso, la responsabilità del Governo dei Principati Uniti per aver permesso che nel suo territorio si formassero quelle bande sembra assai diminuita in ragione stessa del piccolo numero d'uomini che avrebbero concorso a comporle. Che se invece fossero esatte le notizie che per altra sorgente ci pervennero, dalle quali risulterebbe che il movimento bulgaro potrebbe avere una vera importanza e produrre serie conseguenze, noi persisteremmo nell'avviso già emesso, che cioè convenga alla Turchia non rinnovare in Bulgaria gli errori commessi in Candia, dove le tarde concessioni della Porta furono respinte, mentre fatte in tempo (quando cioè le potenze lo consigliavano) avrebbero potuto impedire lo scoppio dell'insurrezione.

450

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 54. Tunisi, 4 agosto 1868 (per. l'B).

Col postale della settimana passata non avendo fatto per mancanza di tempo che accennare al piano finanziario sottomesso al Bey dai Signori William Hope e William Blackmore rappresentanti una società di banchieri inglesi, francesi, tedeschi ed italiani piano di cui era latore il Generale Kheredin, compio oggi al dovere di portarne a notizia di V. E. le principali condizioni che mi sono state verbalmente comunicate dal Primo Ministro di Sua Altezza.

Stando a questo progetto il Bey assume l'impegno di far versare tutte le rendite della Reggenza in mani di una Commissione finanziaria mista da istituirsi in Tunisi per essere le medesime distribuite nel modo seguente.

1°. -Si preleveranno annualmente 8 milioni di franchi per il budjet ordinario dello Stato, ed un altro per le spese straordinarie. 2° -7 % all'anno saranno affetti al pagamento dell'interesse sul debito tunisino consolidato.

3° -La somma rimanente verrà impiegata nell'ammortizzazione del debito, ed in qualche opera di pubblica utilità.

4° -Il Bey s'intenderà colla Commissione suddetta affine di ridurre le sue forze militari e navali, il numero degl'impiegati, come pure ogn'altra spesa non necessaria al mantenimento dell'ordine ed al regolare andamento dell' amministrazione.

5° -Sarà stabilita una seconda Commissione finanziaria a Parigi, di cui faranno parte un membro nominato dal Bey, uno destinato dal Governo francese, ed un terzo delegato dai banchieri che intraprendono l'operazione.

6° -Il Bey s'impegna inoltre verso i Governi d'Italia, di Francia e d'Inghilterra d'introdurre leggi organiche nello Stato e radicali riforme nell'amministrazione.

7° -Per l'esecuzione finalmente delli oggetti e delle condizioni che precedono, i Banchieri suddetti riceveranno a titolo di commissione la somma di

8.250.000 franchi e non più anche se l'unificazione oltrepassasse l'ammontare di 125.000.000.

Di questo progetto due punti richiamarono specialmente la mia attenzione, cioè l'unificazione de' debiti tunisiiili che ne forma la base, e l'istituzione di una seconda Commissione a Parigi; secondo le spiegazioni però datemi dal Ministro l'unificazione sarebbe sempre volontaria (!), e la Commissione non avrebbe altra incombenza che di ricevere i fondi necessari al pagamento dei tagliandi.

Sentendo nell'istesso tempo che il Bey sottoponeva la sanzione del piano finanziario in discorso al gradimento delle Potenze interessate, mi sono limitato a ringraziare il Generale Si Mustafa della comunicazione fattami, e a dichiarargli che io l'accettava semplicemente ad referendum.

Da parte mia non istarò pertanto a pronunziarmi sul merito della progettata combinazione finanziaria, né sul punto di convenienza della medesima; giovami solo notare che le cose sono qui arrivate al punto che per poco si lasci ancor andare sarà tardo ogni rimedio. A mano a mano che cresce il dissesto nelle finanze, guadagna l'anarchia nell'amministrazione, e la mia voce, come quella dei Consoli di Francia e d'Inghilterra non hanno più forza a difendere i rispettivi interessi nazionali, onde la nostra posizione si è resa ormai impossibile. In questo medesimo senso si sono meco espressi tanto i Signor Wood, che il Signor di Botmiliau, anzi l'un l'altro mi assicurarono di avere pur'essi rilevato ai loro Governi la necessità di venire ad una pronta soluzione della vertenza tunisina.

451

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 105. Firenze, 5 agosto 1868.

Ella sa che i provvedimenti che il Governo Tunisino avrebbe dovuto adottare, d'accordo coll'Italia, la Gran Bretagna, la Francia e la Russia, per una migliore amministrazione finanziaria della Reggenza non ebbero sinora alcun

36 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

seguito perché il Gabinetto delle Tuileries al quale incombeva di muovere i passi necessari per condurre a conclusione gli intrapresi negoziati, si è astenuto sin qui di farci conoscere i suoi intendimenti, e le sue proposizioni. Suppongo che la stessa condotta il Governo Francese abbia seguito a Londra ed a Berlino, mostrando per tal modo di non essere troppo sollecito in ciò che potrebbe condurre la vertenza tunisina a quel termine che sarebbe riuscito di comune soddisfazione per tutte le potenze interessate.

Desiderando dal canto suo il Governo del Re di lasciare al Gabinetto delle Tuileries ogni maggior facilità per comporre a suo bell'agio i suoi particolari interessi con Tunisi, perché questi non fossero lesivi degli interessi e dei diritti degli Italiani, noi ci siamo astenuti dallo insistere a Parigi per una soluzione che a tutti i Gove,rni cointeressati era però sembrata urgente e necessaria.

Senonché mentre da noi si aspettavano le nuove proposizioni della Francia, persistenti voci e replicati avvisi ci annunziavano che in Parigi andavasi combinando una nuova operazione finanziaria fra la Société générale e il Generale Roustan incaricato del Governo Tunisino, operazione il cui scopo era l'unificazione di tutto il debito della Reggenza in mano di una compagnia francese, cosa questa che avrebbe ridotto l'amministrazione interna della Tunisia sotto l'esclusivo ingerimento della Francia.

In altri miei dispacci io chiamai l'attenzione speciale della S. V. sovra queste combinazioni che si andavano preparando in Parigi, con grave pregiudizio pegli interessi economici della colonia italiana e dell'inglese e con non lieve pericolo per gli stessi interessi politici generali dell'Inghilterra e dell'Italia.

Le informazioni che si poterono raccogliere dippoi hanno fatto palese che il Generale Roustan avea infatti già firmato un contratto colla Société générale sulla base dell'unificazione di tutti i debiti Tunisini, ma il Governo del Bey sinora ha ricusato di dare le sue ratifiche a quella convenzione.

Artato dal bisogno di soddisfare gli interessi scaduti dei suoi prestiti anteriori, il Governo di Tunisi spera sempre di trovare un rimedio alla deplorevole situazione finanziaria in una vasta operazione di credito ed a questo effetto ha inviato un altro suo funzionario a Parigi acciocché procurasse di trovare condizioni migliori di quelle contenute nel contratto firmato dal Generale Roustan.

Il nuovo mandatario del Bardo non avrebbe tardato a stabilire le basi di un contratto con una casa bancaria di Francia e, se le nostre informazioni sono esatte, le condizioni principali del capitolato sarebbero le seguenti:

una casa bancaria francese, nella quale diconsi però impegnati vistosi capitali inglesi, si obbligherebbe verso il Governo del Bey ad unificare tutto il debito tunisino convertendolo in titoli di rendita consolidata al 7 %. Per riuscire in questa operazione la detta casa bancaria si proporrebbe di intendersi sia coi singoli attuali creditori del Bardo, sia coi varii governi i quali hanno sudditi interessati negli affari riguardanti il debito pubblico tunisino.

I nuovi contraenti col Bey vorrebbero però imporgli certe condizioni che è qui mestieri anzitutto annoverare.

1° Dovrebbe il Bardo obbligarsi a versare nella cassa di una Commissione finanziaria tutto ciò che lo Stato percepisce. La Commissione sarebbe costi

tuita in Tunisi; per mezzo (par l'entremise) del Governo Francese, d'accordo coi Governi italiano ed inglese. 2° Tutte le rendite della Reggenza verrebbero indeclinabilmente distribuite nel modo che segue.

Anzi tutto si preleverebbe la somma occorrente per il pagamento degli interessi del nuovo consolidato 7 %; quindi si retrocederebbero al Governo Tunisino otto milioni per sopperire alle sue spese. Un milione sarebbe tenuto in deposito per le straordinarie emergenze. Fisserebbersi col seguito le somme occorrenti per la periodica estinzione del debito dello Stato, o pel riscatto delle obbligazioni e quanto rimarrebbe in più dovrebbe il Governo del Bey impegnarsi a spendere unicamente in opere di pubblica utilità.

Ed affinché questo riparto possa aver luogo e la somma assegnata alle spese del Governo possa bastare ai bisogni ordinari della Reggenza, questa assumerebbe un impegno preciso di ridurre col concorso della Commissione finanziaria le sue forze di terra e di mare, il numero dei suoi impiegati amministrativi ed ogni altra spesa, a quanto è strettamente necessario per il buon andamento degli affari del paese.

Nè tutto ciò basta ancora. La Commissione internazionale in Tunisi incasserebbe tutte le rendite della Reggenza ed un'altra Commissione stabilita in Parigi riceverebbe e distribuirebbe le somme destinate al pagamento degli interessi, alle periodiche estinzioni ed al rimborso di titoli del debito pubblico tunisino. Quest'ultima Commissione sarebbe composta di un delegato del Governo di Tunisi, di un delegato del Governo francese e di un altro Commissario nominato dai banchieri che si assumerebbero l'operazione.

Si stipulerebbe per ultimo una solenne promessa da farsi dal Bey ai Governi d'Italia, Francia ed Inghilterra di voler d'ora innanzi governare i suoi Stati con leggi organiche che determinerebbero i diritti ed i doveri di ogni singolo impiegato del Governo dando guarentigia di una retta e regolare amministrazione principalmente in ciò che concerne le imposte.

Come Ella vede le clausole sovra riferite hanno tratto a due ordini di cose fra di loro molto distinti sui quali importa separatamente fissare la nostra attenzione.

Considerando gli effetti della progettata operazione finanziaria al punto di vista degli interessi privati degli italiani, attuali possessori di titoli di credito verso il Governo di Tunisi, noi dobbiamo anzi tutto domandarci quale è la posizione di ciascuno di essi di fronte al Governo della Reggenza.

Da un elenco che il Governo del Re ha fatto recentemente compilare risulta che i creditori italiani del Governo del Bey possono ripartirsi nei seguenti gruppi:

lo Creditori della la conversione per 6.443. 762 Lire italiane; 2° Creditori della 2a conversione per 8.830.466 Lire italiane; 3° Creditori della 3a conversione per 4.198.946 Lire italiane; 4° Detentori di obbligazioni del prestito triennale per 1.450.000 Lire italiane; 5° Creditori a titoli diversi (debito fluttuante) per 5.089.300 Lire italiane.

Ora, stando alle informazioni avute, i varii titoli di credito de quali 1

R. R. sudditi sono in possesso, sono ben lungi dall'avere tutti un identico valore. Questo varia secondo la maggiore o minore guarentigia che a quei titoli offrono i pegni consentiti dalla finanza tunisina, epperò mentre il valore di quei crediti che non hanno nessuna particolare guarentigia può considerarsi presso che nullo, quello invece dei titoli derivanti da taluna delle conversioni si mantiene assai sostenuto sebbene, per effetto di cattiva amministrazione, anche le più sicure guarentigie si trovino in fatto spesse volte considerevolmente scemate.

Non potrebbesi quindi ammettere con giustizia che in una operazione di unificazione del debito della Reggenza, tutti i crediti tunisini avessero ad essere pareggiati e noi crediamo invece che del valore dei singoli titoli di credito attualmente esistenti si dovrebbe tener conto in simile operazione.

Ma v'ha dippiù in certi contratti, nelle ultime conversioni per esempio, il Governo del Bey ha formalmente assicurato i suoi creditori contro ogni pericolo di una forzata, svantaggiosa conversione dei loro crediti, obbligandosi al rimborso integrale delle somme dovute qualora la Reggenza volesse unificare il suo debito con una nuova, vasta e generale conversione.

Senza entrare nel merito delle discussioni alle quali in linea di diritto e di fatto l'apprezzamento di tutte le obbligazioni del Governo del Bey riconosciute, darebbe certamente luogo, noi possiamo !imitarci per ora ad osservare che in presenza di una siffatta situazione di cose una laboriosa liquidazione diverrebbe indispensabile quando il Bey volesse unificare il suo debito ed in questa liquidazione i singoli creditori avrebbero probabilmente fondato motivo di invocare l'appoggio dei rispettivi Governi per sostenere, a fronte della finanza tunisina, l'integrità dei loro diritti. In ogni caso poi occorrerebbe dimandare chi sarebbe incaricato della liquidazione dei titoli esistenti, dietro quali criterii questa potrebbe eseguirsi ed in ultimo importerebbe che fra i vari Governi corressero precise intelligenze e reciproci accordi affinché non avvenga che seguendo essi una linea diversa di condotta i sudditi dell'uno dovessero trovarsi in migliore o peggiore condizione di quella in cui troverebbersi quelli degli altri.

Venendo poi ad esaminare le conseguenze politiche che il progettato contratto potrebbe avere è mestieri anzitutto osservare a quale fra i Governi che hanno vistosi interessi da tutelare in Tunisi spetterebbe invigilare sulla esatta osservanza dei fatti che la Reggenza verrebbe ad accettare col nuovo contratto finanziario.

La casa bancaria che stipulerebbe il contratto essendo francese, non vi ha dubbio che, ove sorgessero difficoltà nell'esecuzione del contratto medesimo, la Francia sarebbe per proprio diritto chiamata ad appoggiare le ragioni della casa creditrice verso il Governo Tunisino. Ora se si osserva da una parte come le clausole del contratto finanziario comprendano obbligazioni riflettenti tutta l'interna amministrazione civile e militare della Reggenza e d'altra parte come le clausole stesse mancano di precisione nei termini nei quali esse sono concepite, non è difficile lo scorgere sin d'ora quanto estesa sarebbe l'ingerenza che eventualmente il Governo Francese potrebbe assumere nelle cose

interne dello Stato di Tunisi con gr::.c'.'e discapito degli interessi esteri non direttamente collegati col credito della Reggenza.

Il Governo del Bey assumerebbe, come dissi, un impegno formale di ridurre le sue forze di terra e di mare, il numero dei suoi impiegati amministrativi ed ogni altra spesa a quanto è strettamente necessario per il buon andamento degli affari del paese. Ora se a questo impegno il Governo Tunisino venisse meno o se la Casa bancaria sua creditrice giudicasse che le riduzioni dell'esercito, della flotta e del personale amministrativo non fossero sufficienti, a quale Governo potrebbe essa sporgere i suoi richiami? È per sé evidente che la Casa parigina dovrebbe rivolgersi al Gabinetto delle Tuileries il quale potrebbe per tal modo essere chiamato ad esercitare un sindacato sovra tutto ciò che concerne l'andamento delle cose interne della Reggenza.

A molti degli accennati inconvenienti potrebbesi per verità rimediare collo stabilire fra tutti i governi cointeressati, precisi accordi e formali intelligenze circa la composizione della Commissione internazionale in Tunisi e le attribuzioni che alla medesima dovrebbero venir affid81te. L'istituzione di questa Commissione, presenta infatti il mezzo più acconcio di sostituire all'ingerimento esclusivo di una Potenza nelle cose interne di Tunisi, quello collettivo di tutti i Governi interessati. Ma una simile delegazione che i vari Governi farebbero alla Commissione internazionale di esercitare sull'amministrazione della Reggenza una generale sorveglianza nel senso voluto dagli impegni finanziari dalla medesima assunti, implicherebbe a nostro avviso una guarentigia dello statu quo politico e territoriale della Tunisia e fors'anche quella dell'autonomia assoluta di questo paese onde evitare che gli avvenimenti politici, ai quali un grande Stato quale è l'Impero Ottomano non può rimanere estraneo, non abbiano a produrre perturbazione nell'andamento regolare e prestabilito delle cose interne della Reggenza tunisina.

È questa una grave quistione politica sulla quale prima di pronunciare una opinione definitiva noi desideriamo conoscere le intenzioni dei Governi cointeressati e segnatamente quelle del Gabinetto inglese. Considerazioni di politica generale dovrebbero probabilmente prevalere nel giudizio che tratterebbesi di pronunziare sulla opportunità e convenienza di porre l'effettivo Governo della Reggenza di Tunisi sotto l'immediata dipendenza di una Commissione internazionale e di assicurare perciò allo Stato Tunisino la sua politica autonomia ed il mantenimento dello statu quo territoriale. Ma anche altri particolari riflessi debbono entrare a calcolo trattandosi di prendere una simile decisione. Così, ad esempio, può sembrare che mentre l'indipendenza del Governo del Bey sarebbe molto diminuita pel fatto stesso dell'ingerimento che avrebbe la Commissione internazionale in ogni cosa relativa all'interna amministrazione del paese, sarebbe nel tempo stesso considerevolmente scemata la rsponsabilità del Bardo per tutti gli atti suoi verso i Governi od i sudditi esteri anche in quelle materie che non concernono il suo debito pubblico.

Si supponga che per effetto di male amministrazione, per abuso di potere, fanatismo od altra causa illegittima sia recata grave offesa alla dignità od agli interessi di una delle Potenze; la Tunisia posta sotto l'egida di una gurentigia europea potrebbe forse meno facilmente essere condotta a riconoscere i suoi torti ed a risarcire i danni arrecati. I mezzi di coazione verrebbero necessariamente a mancare contro il Bardo quando questi sapesse che la sua politica autonomia gli è in ogni caso guarentita. E fors'anca il Bey rinvierebbe alla Commissione internazionale le più giuste dimande di risarcimento che gli verrebbero sporte declinando ogni facoltà di disporre delle entrate della Reggenza.

Questa condizione di quasi assoluta irresponsabilità, nella quale verrebbe collocato il Governo di Tunisi, merita a nostro avviso seria riflessione; perché all'infuori degli interessi assai vistosi impegnati nelle operazioni di credito col Governo, non si può dimenticare che esistono altri interessi, fors'anche più considerevoli, che la navigazione e lo stabilimento di numerosi sudditi hanno creato per gl'Italiani nella Tunisia.

Venne riferito a questo Ministero che il Governo inglese travasi a quest'ora pienamente informato della progettata nuova operazione finanziaria proposta al Governo Tunisino non che degli impegni che i varii governi sarebbero chiamati ad assumere per assicurarne la riuscita. Noi brameremmo dunque che Ella avesse a questo proposito una conversazione esplicita con Lord Stanley allo scopo di bene conoscere quale impressione abbia prodotto quel progetto sull'animo di Sua Signoria; siccome noi persistiamo nell'intendimento di non separarci dall'Inghilterra, in un argomento nel quale gli interessi generali e particolari dei due paesi non potrebbero essere più identici, così ho stimato opportuno di mettere, con questo mio dispaccio, la S. V. in grado di far conoscere al Ministro degli affari esteri della Regina quei primi riflessi che la conoscenza dell'ideata operazione naturalmente ci ha suggerito.

L'opinione che il Governo di Sua Maestà ha sempre espresso per mezzo del suo Agente e Console Generale in Tunisi è che a qualsiasi nuova operazione finanziaria che il Bardo potesse fare, si dovesse possibilmente preferire la pura e semplice esecuzione dei contratti già esistenti. Epperò in questa opinione a noi sembra dover persistere subordinando la concessione del nostro appoggio a nuove operazioni finanziarie, alla condizione che ne venga dimostrata l'assoluta necessità.

Il Governo del Re pronto ad unirsi a quelle altre Potenze che giudicassero conveniente istituire sulle vere condizioni finanziarie ed economiche della Tunisia un esame accurato, ha ordinato sin d'ora al suo Agente e Console Generale di procurargli varie notizie e di assumere parecchie informazioni che per formarsi un'esatta idea della situazione gli sono tutt'ora indispensabili.

452

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. 88. Firenze, 6 agosto 1868.

Dalle relazioni ch'Ella avrà ricevute dal R. Consolato di Scutari, avrà potuto scorgere come lo stato dell'Albania vada aggravandosi di giorno in giorno in modo da costituire ormai un vero ed imminente pericolo per la tranquillità interna di quelle provincie dell'Impero Ottomano. Nel capo-luogo stesso delle provincie avvengono fatti dolorosi che indicano una grande animosità fra Cristiani e Musulmani e nelle altre parti della Albania ferve un malcontento che potrebbe essere causa di grave perturbazione.

È debito nostro di chiamare l'attenzione speciale della Sublime Porta sovra un simile stato di cose tanto più che dalle relazioni avute risulterebbe che l'autorità locale nulla fa per !scongiurare i pericoli e per mantenere l'ordine e la sicurezza in quel paese.

Il R. Console, Signor Perrod, Le avrà probabilmente riferito a che giova la continuazione di questa deplorevole situazione di una provincia sulla quale, pella sua posizione geografica, noi dobbiamo attentamente vigilare. Mentre la Sublime Porta lascia quella parte del suo Impero senza governo, emissari di un vicino Stato la percorrono in tutti i sensi e Vi rinvigoriscono quella influenza preponderante che sull'elemento cattolico dell'Albania, l'Austria ha sempre esercitato.

Una simile condizione di cose deve necessariamente chiamare la nostra attenzione sopra tutto in questo momento in cui, da quanto si afferma, ragioni di politica interna, debbono aver fatto rinunziare per ora all'Austria di mettere ad esecuzione i suoi disegni sopra altre parti dell'Impero Ottomano. Le intelligenze della Serbia coll'Ungheria, allo scopo di condurre ad una conciliazione il partito nazionale di Agram col Gabinetto di Pesth, non possono avere altra base fuorché una rinunzia per parte dell'Austria alle idee che le si attribuiscono di poter annettersi le due più importanti provincie Slave della Turchia. Ora siffatta rinunzia, che forse non sarebbe che temporanea, lascerebbe al Gabinetto di Vienna piena facoltà di rivolgere ad altro territorio i suoi progetti di annessione, e forse anche gli permetterebbe di incominciare ad estendersi lungo le coste per poscia guadagnare più facilmente quello che sinora mancò in profondità ai suoi territori adriatici.

A tutto ciò, ancora che non si trattasse per ora che di semplici congetture, noi non possiamo rimanere indifferenti. Noi vediamo una profonda irritazione nelle popolazioni cattoliche dell'Albania pronta a scoppiare in moti violenti; vediamo inoltre l'Austria proteggere da sola quelle popolazioni contro le violenze dei musulmani. Ed in mezzo a tutto ciò l'autorità turca apatica rappresentata da un governatore destituito che sembra lieto di vedere che il disordine si aggrava sul paese dacché gli furono tolti i suoi poteri. Intanto ogni cosa si predispone, e se un moto venisse a scoppiare, non sarebbe forse impossibile che vedessimo l'Austria accorrere a proteggere i cristiani albanesi contro i loro compaesani di diversa religione. È dunque sommamente importante che a queste estremità non si abbia a giungere, e che la Porta prenda in tempo quei provvedimenti che sono necessari incominciando dal ristabilire in Scutari una saggia e rigorosa autorità la quale dia a tutti quella soddisfazione che procura l'amministrazione imparziale della giustizia. Sarà pure sommamente opportuno che le popolazioni cattoliche albanesi non abbiano a credere che la sola Potenza che le protegge sia l'Austria. È mestieri che si accorgano che l'Italia non rimane indifferente alle loro giuste lagnanze. E dappoiché Monsignor Vescovo di Pulati si è rivolto al R. Console in Scutari per ottenerne l'appoggio in una questione che potrebbe condurre Cristiani e Musulmani a deplorevoli scene di sangue, io reputo molto conveniente che la S. V. appoggi con sollecitudtne ed energia i passi che il R. Consolato, a seguito delle istruzioni che gli invio non mancherà certamente di fare.

Questa occasione porgerà forse l'opportunità alla S. V. di esprimere a S. A. Fuad-Pacha tutto l'interesse che noi annettiamo a che la Porta non faciliti colla sua condotta delle perniciose mutazioni nelle sue provincie dell'Adriatico. Simili mutazioni, anche parziali, non potrebbero infatti accadere senza che tutto il sistema sul quale poggia l'integrità dell'Impero Ottomano abbia ad essere profondamente scosso.

453

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 32. Vienna, 6 agosto 1868 (per. il 9).

Non appena mi giunse il di lei riverito dispaccio al n. 20 serie politica (l) in cui mi trasmetteva un rapporto del Console Generale a Trieste e mi accennava alla condotta poco benevola delle autorità austriache in Zara, mi recai immediatamente dal Barone di Beust.

Non ebbi d'uopo di molte parole nè di svolgere la mia domanda. Il Barone di Beust mi chiuse la bocca dicendomi che egli disapprovava la condotta di quelle autorità locali, che egli avrebbe dato ordini precisi perché simili fatti non si rinnovassero. Egli soggiunse desiderare che il Gabinetto Italiano fosse persuaso che egli avea per compito di mantenere tra i due paesi i più cordiali ed i più amichevoli napporti.

Ho creduto di non insistere maggiormente e di prender atto delle promesse fatte dal Governo Austriaco per uniformarmi esattamente alle istruzioni contenute nel di lei citato rapporto.

454

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 33. Vienna, 6 agosto 1868 (per. il 16).

Essendomi ieri recato a visitare il Barone di Beust che da Gastein è tor

nato per alcuni giorni in Vienna, gli mossi parola sulle voci che corrono di

un riavvicinamento probabile fra il Governo Austriaco ed il Governo Prussiano.

Egli mi rispose nel modo più reciso che queste voci non avevano fondamento alcuno di verità, e meravigliarsi altamente che alcuni uomini di stato in Europa vi avessero potuto prestare credenza. A che, disse egli, una alleanza intima fra l'Austria e la Prussia? Quale scopo avrebbe questa politica per le rela:?Jioni dei due paesi? Vuole forse il Gabinetto di Berlino aiutare l'Austria

S06

a ricuperare la sua influenza in Germania? Può forse il Gabinetto di Vienna aiutare la Prussia ad assorbire la Germania del Sud? Nessuno dei due Gabinetti può farlo anche se lo volesse. Le circostanze sono più forti di essi!

Il Governo Austriaco rimane fedele ai trattati; sul terreno dei trattati esso si studia di non u~tare la Prussia né le aspirazioni tedesche. Egli dal giorno che ha assunto il portafoglio degli Esteri in Austria è rimasto sempre fedele a questi principi e si è mostrato sempre conciliante verso la Prussia. Ma si può egli dire altrettanto del Gabinetto di Berlino?

Apriamo un libro a partita doppia. Dal lato dell'Austria voi potete vedere come nell'affare del Lussemburgo essa si sia adoprata a cercare un modo onorato di soddisfare il sentimento nazionale tedesco e le convenienze del Gabinetto di Berlino; potete leggere come essa abbia a Salisburgo respinto fermamente le offerte francesi, come essa abbia cercato di stringere colla Prussia rappo,rti commerciali, come nell'affare dello Sleswàg la sua politica sia stata conciliante, come anche nel recente affare del Tiro federale abbia dato prova di moderazione, anzi, dirò più, di abnegazione.

Ed io personalmente, aggiunse, non ho fatto forse rendere al Re di Prussia i suoi reggimenti austriaci? Non ho cancellato così l'offesa che gli era stata fatta dopo Sadowa? Ora esaminiamo la colonna in cui stanno scritti les procédés della Prussia verso l'Austria. In primo luogo le note del Ministro Werther non solo sono state pubblicate, ma il Ministro che le ha redatte è stato mantenuto al suo posto. E questa fu al certo grave offesa e non indizio di amicizia!

Quale concessione ci fu fatta nell'affare dello Sleswig? E poi, disse conchiudendo, noi troviamo la Prussia cospirante contro noi a Praga, a Pest, e a Vienna medesima: può essa dire di trovare l'Austria ad Annover, a Francoforte, a Dresda?

No! queste voci non hanno che uno scopo, ed il Governo che ho l'onore di presiedere lo conosce e l'apprezza. Si vuole gettare il sospetto fra l'Austria e la Francia! Si vogliono rompere quei buoni accordi che esistono fra i due paesi!

Se l'Austria cessasse di procedere concorde colla Francia voi vedreste che la Prussia ottenuto l'intento, raddoppierebbe il suo mal volere contro di noi, e la sua politica si accentuerebbe sempre più in un senso ostile a annessionista.

No! l'Austria rispetta i trattati, non sogna rivincite, intende solo a svolgere il suo programma interno, per raggiungere questo scopo non ha d'uopo che di mantenere la pace! non ha d'uopo d'intimi accordi colla Prussia. La sua mano lealmente nella mano della Francia è il vero mezzo per conseguire questo risultato. Per questa volta gli artifici dei nostri avversari furono tesi in modo troppo grossolano perché i nostri occhi non si aprissero subito.

Io ho voluto riferire minutamente a V. E. le parole che mi furono dette dal Barone di Beust, imperocché credo che ciò possa tornarLe gradito. Tuttavia io non posso dissimularLe che informazioni che oggi stesso mi pervennero e la cui origine è molto seria, mi condurrebbero a credere che il Barone di Beust è qui tornato appunto per combattere l'idea di questa alleanza, idea che è carezzata nelle alte sfere del Governo. Come Le accennai nel mio rapporto politico n. 31 (l), il partito feodale e conservatore è spaventato dal predominio che prende la democrazia in Vienna! Esso è pure allarmato dagli intimi accordi del Gabinetto attuale con la Francia che assolutamente la coscienza nazionale ripudia.

Questo partito crede possibile una politica che scindesse la Germania in due Confederazioni, alleate contro la influenza francese, e riconducendo alle antiche forme despotiche i due Governi.

Io credo queste speranze sogno di fantasie malate, ma è però positivo che le paure che erano in Corte contro l'ambizione Prussiana sono molto diminuite, e che i timori contro le idee democratiche sono invece grandemente aumentati. La mano forse di Roma non è estranea a questo risultato. Le coscienze dei Principi educati despoticamente sono sempre timide e paurose, e sopratutto quando esagerano a se medesimi i consueti trascorsi della loro vita domestica.

Rimarrebbe però ad esaminare questa questione dal punto di vista Ungherese! Si pretende, ma finora io credo con poco fondamento, che il Conte Andrassy non sarebbe ostile a riavvicinare la dinastia di Absburgo colla dinastia di Hohenzollern! nè ho detto a caso dinastia di Absburgo invece di Monarchia Austriaca, perché si vuole che gli uomini di Stato Ungheresi cercherebbero che la loro patria usufruttasse largamente della nuova amicizia.

In ogni modo mi riassumo: credo che per ora le cose procederanno come per il passato: il Barone di Beust non stenderà la mano mai al Conte di Bismark: ciò è positivo. Nè credo che la Corte oserebbe mutare per ora l'indirizzo liberale degli attuali Ministri.

Se potrò raccogliere nuovi indizj e formarmi nuovi criterj, La terrò informata come è mio debito.

(l) Cfr. n. 438

455

IL MINISTRO A BRUXELLES, DE BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. I. Bruxelles, 8 agosto 1868.

Le Chevalier Jeraczewski m'a remis avant hier à son arrivée ici les deux dépeches (très réservées) que V. E. a bien voulu m'adresser en date du 1° courant sous les N. I e II (2), et auxquelles étaient joints 18 documents diplomatiques dont j'ai pris connaissance avec le plus vif interet.

D'après une conversation que j'ai eue hier matin avec le Ministre des Affaires Etrangères, je puis dès-à-présent informer sommairement V. E. des appréciations du Gouvernement Belge à l'égard du futur Congrès qui doit se tenir à Rome, et de l'attitude qu'il compte adopter dans cette circonstance. Jusqu'à présent le Gouvernement Belge n'a reçu aucune invitation ni directe ni indirecte de s'y faire représenter, et à moins que toutes les autres Puissances n'y envoient des Plénipotentiaires, son projet bien arreté est de se tenir complètement en déhors de tout ce qui peut avoir rapport à une réunion où, selon

M. -van der Stichelen, l'élément lai:que, s'il venait à y etre convoqué, n'aurait qu'à écouter et pour ainsi dire enregistrer les décisions de l'Assemblée des Eveques.

Le Ministre des Affaires Etrangères a ajouté que dans un pays libre comme la Belgique et où la séparation entre l'Eglise et l'Etat est à peu près complète, le Gouvernement laissera toute liberté aux Eveques de se rendre à Rome, et qu'il ne doute pas que tous répondent avec empressement à l'appel du St. Siège. Parmi les membres de l'Episcopat, le plus fougueux d'entre tous et Monseigneur Montpellier, Eveque de Liège, véritable Dupanloup de la Belgique.' Quant aux dispositions du haut comme du bas Clergé en général, dont l'ardeur ultramontaine est un fa;it connu de tout le monde. M. van der Stichelen ne met pas en doute qu'il suive aveuglement l'impulsion et les instructions données par les Eveques, mais il a motif de croire que l'époque de la réunion du Concile étant encore éloignée, il n'y a encore absolument rien de déterminé à cet égard.

P. S. -J'ai immédiatement fait parvenir à M. le Chevalier Martuscelli le pii faisant partie de l'envoi qui lui était destiné.

(l) -Cfr. n. 435. (2) -Cfr. nn. 432 e 433.
456

IL MINISTRO A STOCCARDA, GREPPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. I. Stoccarda, 8 agosto 1868.

Ebbi l'onore di ricevere la importante comunicazione che l'E. V. degnassi di f,armi in data delli 29 lugLio (N. I riservato) (l) sull'argomento del Concilio ecumenico dal Pontefice convocato in Roma per gli 8 dicembre del prossimo anno.

Penetrato dalle sagge istruzioni impartitemi dalla E. V. io porrò massimo studio per ragguagliarla d'ogni occorrenza che si colleghi all'importante questione di cui giustamente preoccupasi il Governo del Re.

Da quanto mi venne fatto di sapere il Governo del Wtirtemberg nella istessa guisa che gli altri Governi, non ebbe nessuna comunicazione diretta circa la convocazione del concilio ecumenico nè per le leggi vigenti, tollerantissime, e che lasciano al clero cattolico pienissima libertà d'azione, abbisogna il solo vescovo cattolico che abbia residenza nel regno, quello cioè di Rottenburg, di speciale permesso per recarsi quando gli aggradi a Roma.

Il Barone di Varnbuler godendo d'alcune settimane di congedo non sono in grado in oggi di precisare gli intendimenti e l'opinione del governo Wurtemberghese sopra tale materia. Le popolazioni, protestante e cattolica, non sembrano per ora dare segno di commozione ma sono d'avviso che non tarderanno, in sensi opposti, dall'agitarsi a mano a mano si farà più vicina l'epoca della convocazione, a mano a mano si faranno più pressanti le istruzioni che Roma manderà ai vescovi cattolici di Germania al fine di isvegliare lo zelo religioso.

Ritengo del pari mio dovere trovandomi in uno dei centri germanici, 1 più civili e più istrutti, ed ove gli studii storici hanno grande sviluppo, di trasmetterle all'occorrenza tutte quelle pubblicazioni che potranno recare lume ed informazioni su una questione vitale per lo stato nostro.

Ringrazio l'E. V. dell'avvertimento espressomi sul modo di custodire gelosamente le carte tutte relative al concilio ecumenico avvertimento che osserverò religiosamente ...

(l) Cfr. n. 443, nota l, p. 491.

457

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 31. Alessandria, 8 agosto 1868 (per. il 14).

Dopo il mio ritorno non ebbi occasione che di discorrere una sola volta con il Viceré sulle riforme giudiziarie, nei pochi giorni che rimase in Alessandria, e come per lo passato gli ripetei ancora che una quistione di sì grave interesse non poteva trattarla con una, o due sole grandi Potenze, poiché le altre non si lascerebbero guidare dalle decisioni che queste prenderebbero separatamente. Egli come per lo passato mi rispose che non era affatto suo intendimento di trattare sia con la Francia o con l'Inghilterra soltanto, ma con tutte le grandi Potenze, alle quali dimanda una Conferenza internazionale, a cui sarebbero sottomesse le proposte riforme; che se Nubar si tratteneva in Francia si era perché non aveva potuto ancora ottenere il visto di quel Governo per una conferenza internazionale, ma che attenutolo andrebbe per lo stesso intento a Londra, Berlino, Firenze e Vienna.

Partito il Viceré, e troncata fin da Firenze quella corrispondenza particolare, che autorizzato dall'E. V., mantenevo con Nubar Pascià, ignorai per qualche tempo il corso delle trattative di questo Ministro, perché qui perfino dal Reggente nulla se ne sapeva.

Informato dai giornali della discussione fattasi nel Parlamento britannico, e benché io partecipi l'opinione che una riforma giudiziaria sia indispensabile, non potetti certamente approvare gli argomenti sviluppati dal Signor Layard per dimostrarne la necessità, argomenti falsi ed offensivi per alcuni Consolati, e trovandomi con il reggente Scerif Pascià non mi trattenni di combatterli acremente. Ed entrato in questo discorso, più amichevole che ufficiale, ritornai sul dubbio che Nubar potesse commettere l'errore di trattare soltanto con la Francia e l'Inghilterra, lusingandosi che le altre Potenze accetterebbero le decisioni che per avventura si prendessero da queste separatamente.

Senza istruzioni di V. E. non osai dir molto, contentandomi di far intender bene che l'Italia, conservando piena libertà di azione, non si lascerebbe guidare che dai propri interessi. Dolente che il dispaccio di V. E. del 25 luglio scorso, N. 19 serie politica (l) mi sia giunto diversi giorni troppo tardi, pure fu per me di grande soddisfazione l'aver saputo prevedere gli ordini dell'E. V.

Scerif Pascià ha compresa tutta l'importanza del mio ragionamento poiché ne ha fatto rapporto a Sua Altezza. Questa mattina mi ha invitato al suo Ministero, e mi ha comunicato un telegramma di Sua Altezza nel senso seguente: «Assicurate De Martino che non tratto la questione delle riforme giudiziarie con la Francia e con l'Inghilterra sole, ma che per ora Nubar ha lavorato ad un accordo fra le grandi Potenze per esaminare le mie proposizioni: si è trattenuto in Francia perché vi ha trovato grandi difficoltà che aderisse ad una Conferenza internazionale: ora è in Inghilterra ed ottenutane l'adesione passerà a Berlino e Firenze. In Prussia hanno creduto anche a torto che io non facessi caso del loro voto. De Martino conosce invece quanto io conti sull'appoggio e sull'amicizia disinteressata dell'Italia».

La Russia e l'Austria avendo già aderito ad una Conferenza internazionale in Alessandria, il Ministro Egiziano non andrà in quelle Capitali.

Credo mio debito prevenire l'E. V. ch'Ella troverà in Nubar Pascià un uomo superiore, e che ha chiare idee non solo sull'Egitto, ma anche su tutte le questioni d'Oriente.

(l) Non pubblicato.

458

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. 89. Firenze, 9 agosto 1868.

Col di Lei rapporto del 29 luglio (145) Cl) ebbi cognizione del testo del protocollo che la S. V. ha firmato il 27 dello stesso mese a Kanlidja, unitamente ai di Lei colleghi di Austria, Francia, Gran Bretagna, Prussia e Russia.

Approvo che la S. V. abbia firmato quel documento dal momento che non risulta che altri fra i Rappresentanti delle Grandi Potenze si sarebbe opposto all'accettazione della redazione preparata dal Signor Bourée d'accordo con

S. A. Fuad Pacha. Non era conveniente forse in simile congiuntura farci innanzi per muovere obbiezioni le quali avrebbero susmtJato diftlcoltà al Governo Ottomano che, in questa vertenza, avea mostrato dal canto suo di essere verso di noi animato da ottimi sentimenti. Ma dappoiché Ella mi scrive che il Signor Bourée avea avuto l'avvertenza di comunicare il testo del protocollo da lui redatto, individualmente ai suoi colleghi prima della riunione ufficiale di Kanlidja, avrei desiderato ch'Ella si adoperasse a far !scomparire nel testo medesimo una frase che per molti rispetti non conveniva fosse conservata in quel documento.

Sta scritto nel protocollo:

« Les représentants des Puissances signataires du règlement organique du Liban, en date de 9 mai 1861 et du 6 septembre 1864, ainsi que le Ministre de S. M. le Roi d'Italie, réunis en conférence etc. etc.».

Queste parole contengono una distinzione fra il titolo dal quale derivava il diritto di firmare il protocollo nei di Lei colleghi e quello dal quale nasceva

nel rappresentante italiano un consimile diritto, mentre invece l'esattezza storica richiedeva che una siffatta distinzione non avesse luogo dappoiché le proteste e le riserve fatte dai di Lei predecessori tanto nel 1861 che nel 1864 facevano all'Italia una posizione identica giuridicamente a quella delle altre Grandi Potenze.

Sembra a me che una semplice osservazione fatta dalla S. V. al Signor Bourée, quando Le venne preventivamente comunicato il testo del protocollo, avrebbe dovuto bastare a fare accettare un'altra redazione, non essendo certamente nell'intenzione delle Potenze di stabilire nell'atto che si trattava di firmare una distinzione fra i diritti dell'Italia e quelli degli altri Grandi Stati, nella quistione del Libano. Sono persuaso che se Ella avesse fatto osservare che accettando la redazione proposta, Ella veniva in qualche modo ad ammettere, non fosse che indirettamente, una distinzione contro la quale stavano gli atti diplomatici anteriori del Governo ch'Ella rappresentava, non avrebbe dovuto incontrare grave difficoltà ad ottenere, prima della riunione della conferenza, una modificazione nel senso che da noi sarebbesi potuto desiderare.

Alle parole sovra citate Ella avrebbe pure potuto suggerire si sostituissero quest'altre: «Les représentants d'Autriche, de France, de la Grand Bretagne, d'Italie, de la Prusse et de la Russie, ayant pris en considération le règlement organique du Liban etc. etc. se sont réunis etc. etc. et ont été unanimes etc. ».

Una simile redazione non avrebbe potuto, a nostro avviso, suscitare difficoltà per parte delle altre Potenze; e qualora taluna di esse avesse voluto muovere qualche obbiezione, sono convinto che le altre avrebbro appoggiato la nostra proposizione. Nessuna ragione d'urgenza avrebbe potuto essere addotta in questo caso per fare accettare alla S. V. una frase che meritava, quanto meno, di fermare l'attenzione del Nostro Governo.

Venendo ora alla sostanza del protocollo ch'Ella ha firmato il 27 Luglio ultimo passato sembra a noi che il medesimo abbia per effetto di dare al nuovo Governatore del Libano poteri a vita. Fuad Pacha ha dichiarato nel nuovo protocollo «que la durée du mandat de Franco Nazri Pacha ne sera pas moindre de dix ans, à dater du jour de sa nomination ». Ma nello stesso protocollo è detto che le stipulazioni del protocollo del 9 giugno 1861 relative al caso di revoca resterebbero in vigore sia prima, sia dopo lo spirare del termine sovraindicato; dunque, salvo il caso in cui la condotta di Franco Nazri Pacha fosse tale da rendere possibile una revoca dell'ufficio dietro processo regolare, il nuovo Governatore del Libano non potrà più cessare dalle sue funzioni in altro modo che per ispontanea rinunzia.

Il dire che la durata dei poteri del Governatore del Libano non sarà minore di dieci anni, ed il ricordare, subito dopo, il disposto per cui la revoca delle funzioni non può aver luogo senza un regolare processo, estendendo anzi gli effetti di questa disposizione anche dopo trascorso il termine dei dieci anni, equivale esattamente a dire che Franco Nazri Pacha rimarrà Governatore del Libano finché gli piaccia di dimettersi, ovvero si renda colpevole di tali atti da renderlo passibile di un regolare procedimento.

Ora era appunto sovra questa conseguenza del firmano imperiale che noi avevamo chiamato l'attenzione della Sublime Porta con la nota 17 giugno ed avremmo veduto con piacere che la S. V. si fosse valsa delle osservazioni

accennate in quel documento, per fare almeno notare ai di Lei colleghi come coll'accettazione del protocollo proposto si giungesse appunto alla conchiusione poc'anzi riferita.

E qui giova avvertire che se per avventura tutti i di Lei Colleghi si fossero mostrati unanimi nell'accettare la redazione presentata dall'Ambasciatore francese, senza tener conto delle nostre osservazioni, queste avrebbero pur sempre avuto per effetto di dimostrare che, se ad altri può sembrare meno interessante l'opporsi alla crescente influenza francese in Siria, noi non saremmo certamente fra coloro che mostrano una assoluta noncuranza di tutto ciò che concerne quella parte dell'Impero Ottomano.

Intanto è nostro desiderio ch'Ella veda il più presto possibile Fuad Pacha e gli dica che per deferenza verso la Porta e le altre Potenze, Ella non fece alcuna osservazione sulla redazione del protocollo del 27 luglio; ma che il

R. Governo Le ha ordinato di dichiarare che non accetta nessuna delle conseguenze che si potrebbero dedurre dal modo inesatto col quale furono indicate le Potenze chiamate a firmare quel protocollo, e che contro qualsiasi deduzione m.eno favorevole per i diritti dell'Italia a prender parte alle quistioni relative al Libano, Ella deve in nome del proprio Governo fare, fin d'ora, le più esplicite ed assolute riserve.

Non è infatti che sotto queste riserve che noi accettiamo il protocollo del 27 luglio, contro il quale, in caso diverso noi dovremmo protestare.

Ella comprende, Signor Ministro, che la comunicazione di cui è incaricata, richiede una risposta precisa per parte di S. A. il Ministro degli Affari Esteri di S. M. il Sultano, ed Ella vorrà per conseguenza dichiarare a Fuad Pacha che la di lui risposta sarà ufficialmente trasmessa al R. Governo.

Per ultimo importa che io Le ricordi che il Ministero manca di varie indicazioni necessarie risguardanti questo affare. Rimane infatti per noi tuttora un mistero come una conferenza dei Rappresentanti riuniti a Costantinopoli ed autorizzata d'accordo fra i vari Governi allo scopo di limitare ad un periodo fisso i poteri concessi al nuovo Governatore del Libano, si sia invece lasciata condurre a firmare il protocollo nel quale le Potenze vengono invece ad ampliare quei poteri, assicurando ai medesimi, prima e dopo il compimento d'un decennio, l'applicazione del disposto del protocollo del 1861. Speriamo avere dalla S. V. spiegazioni soddisfacenti sopra questo incidente, perocché nello stato presente delle cose è giuoco forza riconoscere che al Governo del Re sarebbe stata fatta una singolare posizione in questo affare.

(l) Non pubblicato.

459

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 34. Vienna, 11 agosto 1868 (per. il 16).

Il giorno dopo che io Le ebbi scritto il dispaccio n. 33 (Serie Politica) (l) il Barone di Beust intervenne al tiro federale e vi pronunziò un lungo di

scorso. Corre voce che la pubblicazione della nota dl Usedom, e le voci poste in giro dalla Prussia lo abbiano determinato ad uscire dalla riserva che si era saviamente proposto. In ogni modo il suo discorso fu oltremodo prudente: benché il testo ne sia stato alterato nel dispaccio telegrafico, pure egli ha dichiarato che l'Austria non s'immischia negli affari prussiani, ma non può impedire le dimostrazioni di simpatia a suo riguardo. Egli ha parlato di torrenti, di canti, di armonie, ed ha così bene nascosto sotto gli orpelli il suo pensiero, che a molti il suo discorso è rimasto oscuro, ambiguo. In ogni modo questo fatto non muta in nulla la situazione che io Le ho tracciato del paese, e credo che per ora non si possa sperare di vedere succedere ai rancori delle due grandi Potenze quegli accordi che erano stati annunziati dalla stampa europea.

(l) Cfr. n. 454.

460

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. I. Vienna, 11 agosto 1868 (per. il 16).

Ho ricevuto il di Lei dispaccio riservato insieme alla circolare che tratta del Concilio (l) ed espone gl'intendimenti del Governo del Re a quel proposito.

Ella può esser sicuro che mi atterrò strettamente alle istruzioni avute, e che cercherò di procurarmi quei dati che Ella accenna di desiderare. Non ho mancato nell'ultimo colloquio con Beust di cercare di indurlo a parlare su questo argomento, ma egli mi ha invariabilmente risposto che il Concilio essendo convocato fra altri dodici mesi vi era tutto il tempo di occuparsene, e che egli per ora non aveva esaminato la questione. Non mancherò però a suo tempo di ritornar su questo argomento e La terrò informata prontamente e riservatamente di quei dati che potrà raccogliere.

461

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1236. Tunisi, 12 agosto 1868 (per. ore 13,30 del 13).

Baron de Castelnuovo m'a remis traité. Nous venons de voir ministre. Tout va bien mais, afin d'éviter entraves, il serait utile de m'envoyer le plus tòt possible ple.ins pouvoirs, ainsi que faculté spéciale de signer. Article secret concernant agents tunisiens est la seule difficulté du moment pour arriver à la conclusion.

(l) Cfr. nn. 432 e 433.

462

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 53. Pietroburgo, 12 agosto 1868 (per. il 21).

Il rappresentante della Sublime Porta presso questo Governo non restò dall'insistere perché desso le si associ nel richiamare il Governo Rumeno ai doveri di leal e fedel vicino, e perché riconosca la colpevole di lui tolleranza nella ultima formazione delle bande, e nel mancato movimento Bulgarico. Ma la Cancelleria Russa rifiuta di prender parte a verun atto che implichi riconosciuta colpabilità del Governo di Bucharest: non vuol saper di inchiesta, allegando la moderazione usata, e l'inchiesta già non provocata in più gravi frangenti, come in quello di Candia: né altro per ora mostrasi disposta a fare dopo l'invio del telegramma ai Consoli per richiedere informazioni sull'accaduto, informazioni che fino all'ora presente non pervennero a Pietroburgo.

Quanto alle cose di Servia credo che questo Governo non abbia molto da andarne lieto avvegnaché dissimuli il suo malcontento. Non vi è che ii Ristich stato fin'ora vero amico della Russia nel Consiglio di reggenza, e questi ancora benché appartenente al partito nazionale, uomo grandemente cauto e riguardoso. Gli uomini politici di questo paese non stimano che sulla rivoluzione cui soggiacque presentemente la Servia l'ultima parola sia detta, e solo li distoglie da una politica più vigorosa il desiderio che oggi in essi è dominante di evitare perturbazioni e conflitti.

Il Berat d'investitura della Porta al Principe Milan contenente riconoscimento del principio ereditario non solo passò come era ben naturale, senza opposizione veruna per parte del Gabinetto di Pietroburgo, ma questi se ne mostrò lietissimo, e fece pervenire alla Sublime Porta l'espressione delle sue lodi per la nobile iniziativa presa in questa occasione.

463

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. l. Pietroburgo, 12 agosto 1868 (per. il 21).

Accuso ricevuta del pregiato dispaccio N. l risguardante la convocazione del Concilio Ecumenico (1), e dei tre annessi in quello contenuti. Nel ringraziare l'E. v. delle istruzioni inviatemi, La prego al tempo istesso di credere che avrò cura di osservarle puntualmente.

Già nel conferire ieri col Senatore Westmann, Gerente il Ministero di Affari Esteri durante l'assenza del Principe Gortchacow, lo interrogai sugli intendimenti della Russia in vista della suddetta eventualità. Dissemi non credeva che il suo Governo avesse in animo di farsi rappresentare al Concilio, attesa

37 -Documenti diplomatici -Serie l -Vol. X

la sua posizione rispetto alla Sedia di Roma con la quale avea fin'anco cessato da alcun tempo le sue relazioni diplomatiche. Non mancai di far notare al mio interlocutore che gli interessi religiosi e politici impegnati nelle deliberazioni del futuro Concillo erano di un ordine cosi superiore da provocare in un modo speciale l'attenzione del Governo Russo, potendone escire l'affermazione di qualche principio che venisse a turbare nel suo corso l'azione della potestà civile; e mentovai il diritto antico che non voleva esclusi da cosiffatti religiosi consessi i rappresentanti di confessione cristiana dissidente. Tal notizia parve giunger nuova al Signor Westmann che non si mostrava ben capace della utilità di questo intervenimento per le nazioni protestanti e scigmatiche. Risposi che oltre il principio del diritto ecclesiastico positivo e tradizionale, militava in favore di tal partito anche la ragione naturale e filosofica, poiché durante le discussioni del Concilio i dissidii che han tratto alle discipline e al dogma si dove ano in generale risguardare come sospesi e privi di soluzione; lasciando stare che per quanto la scuola neo-cattolica si affaticasse ad invocare la libertà reciproca della Chiesa e dello Stato, né questa, né veruna altra libertà non era nei consigli della Sedia Romana, onde la civile autorità era astretta a premunirsi contro la possibile proclamazione di principii che poteano in qualche modo minacciare di turbare il pieno uso delle sue prerogative. Il diritto pubblico della Corte Pontificia è tuttavia, io diceva, quello del medioevo, e se la lotta fra le due potestà era oggi men fiera e accanita che non fosse al XII o al XIII secolo, ciò si dovea attribuire al progredito incivilimento della moltitudine non già a più temperati consigli del clero. Il Coadiutore del Principe Cancelliere non mi sembrò apparecchiato ad esaminare una così alta e così complessa questione; mi chiese dell'epoca in cui la bolla Eterni Patris indica la convocazione, e avendo inteso come questa non dovesse avverarsi prima del dicembre del prossimo anno, ebbe egli a notare come fino a quel tempo non pochi avvenimenti poteano prodursi che avrebbero pur attivamente determinato le risoluzioni delle potenze sovra un così grave assunto.

Insistetti alquanto sulla importanza dell'argomento e toccai della prevalenza che la Francia avrebbe potuto acquistare atteggiandosi come protettrice del Papato e della Cattolicità non senza pericolo dell'equilibrio e della buona intelligenza degli Stati d'Europa. Ma non posso tralasciare di rendere avvertita l'E. V. che molto malagevole mi riuscirà di trattare qui in modo pratico una sì grave vertenza, né di penetrar quali siano le considerazioni che rispetto ad essa prevarranno nei Consigli dell'Impero mentre non sia reduce alla direzione degli Affari Esteri il Principe Gortchacow che è il solo uomo per il suo grado e per la sua mente, capace di avvisare in modo proporzionato alla serietà della emergenza.

(l) Cfr. n. 443.

464

IL MINISTRO A CARLSRUHE, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. I. Baden, 13 agosto 1868.

Per occasione particolare, e per questa ragione forse alquanto in ritardo, mi è pervenuto il pregiato dispaccio del 30 luglio scorso, Divisione Politica N. I. (l). Ho letto col massimo interesse i due documenti annessi al medesimo e porrò la maggior cura possibile affinché questa importante comunicazione e le altre dello stesso genere che all'E. V. piacerà indirizzarmi conservino, per quanto sta in me, il loro carattere confidenziale. Sono grato all'E. V. d'avermi fatto conoscere il modo di vedere del R. Governo circa la riunione del Concilio, e non mi scosterò nel mio linguaggio dalle norme saggiamente tracciate da V. E. Prevedo però che dal canto mio ben poco d'interessante potrò riferire a V. E. su questo proposito. Finora né il Governo Granducale né la pubblica opinione si preoccuparono punto di questo avvenimento. Il Ministro degli Affari Esteri mi disse che nella sua qualità di Governo protestante esso non credeva d'avere né diritto né interesse d'intervenire al Concilio. Soggiungerò che in ogni caso questo Governo non farà né più né meno di quello che sarà per fare il Governo Prussiano. Benché poi la maggioranza della popolazione di questo stato professi la religione cattolica, non v'è, sopratutto dopo la morte di Monsignor Vicari Arcivescovo di Friburgo, alcun eminente dignitario ecclesiastico che possa per ingegno ed autorità assumere una parte ragguardevole nella futura riunione dell'Episcopato cattolico. Monaco, Magonza e Colonia sono i veri centri del movimento religioso nella Germania del Sud: il clero cattolico di questo granducato non farà che seguire l'impulso che gli verrà dato dai personaggi importanti che occupano quelle sedi vescovili. Mi auguro perciò, più che non lo speri, di potere avere qualche cosa d'interessante a riferire all'E. V. su questo argomento.

466

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, A PARIGI, NIGRA, A VIENNA, PEPOLI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. (2) Firenze, 14 agosto 1868.

L'Inviato Ottomano presso questa R. Corte mi ha dato comunicazione della nota che in data del 1° Agosto S. A. Fuad Pacha ha indirizzato ai Rappresentanti delle grandi Potenze a Costantinopoli per chiamare la loro particolare attenzione sovra la partecipazione del Governo Rumeno negli ultimi fatti di Bulgaria. Alla copia di quella nota Rustem Bey ha unito parimenti copia di un dispaccio direttogli dal suo Governo col quale sempre più si insiste per un'azione delle Potenze presso il Gabinetto di Bukarest per richiamarlo all'osservanza dei rapporti di buon vicinato che gli sono imposti anche in ispecial modo dai suoi doveri verso la Potenza Alto Sovrana.

Ho ringraziato Rustem Bey della sua comunicazione, ma non gli tacqui che la questione sulle quale egli chiamava la mia attenzione era assai grave e molto complessa, come quella che collegavasi naturalmente colle difficoltà interne contro le quali lotta da più mesi il Governo Rumeno.

Non espressi quindi alcuna opmwne al riguardo, riservandomi di ciò fare quando meglio mi siano note le intenzioni degli altri Gabinetti intorno a questo affare. Epperò invito la S. V. a voler chiedere a S. E. il ministro degli affari esteri quale risposta egli farà alla domanda sporta dalla Turchia per un intervento diplomatico in questa questione. Nel fare però questa domanda al Ministro degli affari esteri vorrei che Ella parlasse come in nome proprio e senza lasciar supporre in verun modo che dagli intendimenti di codesto Governo da noi si voglia prender norma per il nostro contegno in questa occasione (1).

466 .

. . . AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY (2)

L. P. Firenze, 14 agosto 1868.

Le unisco due lettere (in copia) dalle quali risulta sempre meglio dimostrata l'opportunità di una mutazione nel personale subalterno della Legazione Prussiana in Firenze.

Senza che da noi si annetta grande importanza alle cose riferite nelle lettere qui annesse, le quali hanno però carattere ufficiale non ci è possibile nascondere che i maneggi di alcuni membri di quella legazione potrebbero alla fine riuscire nocivi anche ai rapporti esistenti fra i due paesi. In un paese costituzionale la condizione principalissima perché un diplomatico sia gradito quella è che non abbia il medesimo a mescolarsi in questioni di partiti politici interni. L'animosità personale che anima alcuni membri di questa legazione di Prussia contro taluno dei nostri uomini di Stato, loro rese, a quanto sembra, assai difficile anche per lo addietro l'osservanza di questo precetto. Non sembra d'altra parte che da loro si sia fatto alcun sforzo per comprimere il personale risentimento ed anzi, facendo entrare le loro particolari vedute negli atti che compiono in modo quasi ufficiale, finirebbero per far credere ad una segreta direzione ricevuta dal loro Governo contro la quale stanno le replicate dichiarazioni fatte alla S. V. dalle persone che rappresentano il Governo di Berlino nelle sue relazioni estere. Ho dovuto quindi pregare particolarmente la S. V. di voler far sentire al Governo prussiano il desiderio nostro che s'avessero a richiamare da Firenze quei membri della Legazione di Prussia i quali per il loro contegno e sopra tutto per i loro rapporti intimi con persone dei partiti antigovernativi mostrano di non sapersi uniformare alle intenzioni ufficialmente espresse a tante riprese dal loro Governo, il quale si dimostrò sempre interessato ad appoggiare l'azione riparatrice del Governo del Re onde questi s'avesse a rinvigorire e potesse essere un elemento di forza e di sicurezza per tutta l'Europa.

«Accusez à la Porte réceptlon de la note de Fuad pacha relative aux affalres de Bulgarie. Dites que vous l'avez transmise au Mlnistère e.t que vous attendez instructions ».

Ma oggi 10 debbo particolarmente fissare la di Lei attenzione sopra 1 fatti attribuiti al Signor De Bernhardi all'occasione della pubblicazione dell'opuscolo del quale qui unisco un esemplare. Quand'anche questo Signore cercasse di fornire scuse al suo operato in questa circostanza egli è evidente che il giudizio della pubblica opinione sul suo contegno in Italia non si potrebbe modificare e presso le persone savie e prudenti la sola supposizione che un agente prussiano possa adoperarsi in simili maneggi nuoce assai più al buoni rapporti fra i due Governi di quello che possa giovare alla Prussia lo sterile applauso degli uomini di certi partiti. In conseguenza credo dover insistere nel modo il più formale perché il Signor De Bernhardi sia richiamato dal posto ch'egli occupa presso la legazione prussiana in Firenze.

Sono convinto che quando Ella abbia fatto conoscere i motivi che ci inducono a desiderare il richiamo degli Uffiziali della Legazione prussiana de' quali ho sopra fatto cenno, il Gabinetto di Berlino comprenderà che, aderendo alla nostra dimanda, ci darà la miglior prova del suo buon volere a nostro riguardo.

(l) -Cfr. n. 443, nota l, p. 491. (2) -n dispaccio venne inviato a Berlino col n. 90, a Parigi col n. 397, a Londra col n. 107 e a Vienna col n. 23. Per le risposte cfr. nn. 483, 492, 493, 520.

(l) Lo stesso 14 agosto Menabrea Inviò a Bertlnattl il seguente telegramma col n. 698:

(2) La lettera è priva di firma.

467

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1240. Parigi, 15 agosto 1868, ore 15,30 (per. ore 16,40).

Moustier m'a dit que l'Empereur avait appris avec regret que le marquis Pepoli, dans une conversation avec Beust, avait énoncé le projet d'une alliance entre l'ltalie, l'Autriche et la Prusse. J'ai répondu à Moustier que je croyais que le Gouvernement du Roi ne pensait pas à un tel projet et que probablement les paroles de Pepoli avaient été mal rendues ou mal interprétées par Beust et Gramont. Probablement Malaret sera chargé de vous parler de cet incident.

468

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. R. CONFIDENZIALE 398. Firenze, 15 agosto 1868.

Credo opportuno di mandarle copia di una lettera che ricevo da Roma da persona interamente imparziale e degna di tutta fede (l). Essa è interessantissima, perché ci svela l'origine dell'allarme in cui si vive o per meglio si dire si finge di vivere in Roma per una temuta invasione garibaldina.

Noi che vediamo tutto il paese tranquillo e principalmente assorto nelle cure del suo interno riordinamento, noi che vediamo la parte spinta stessa della opposizione mostrarsi aliena da qualsiasi impresa contro il territorio

pontificio, non sapevamo veramente renderei ragione delle insistenze con cui si facevano correre così assurde voci.

Or si verrebbe dunque a sapere e in modo non dubbio, che la polizia stessa pontificia si è quella che organizza simili complotti e cerca attirare nella rete giovani troppo fidenti ed incauti.

Lo scopo a cui essa mira, in ciò fare, è ben manifesto. Si vuol dimostrare coi fatti che l'Italia non desiste da imprese arrischiate contro Roma, che il suo governo è complice od impotente ad opporvisi, e che per conseguenza si rende necessaria la occupazione francese, la quale ferendo sensibilmente l'amor proprio e la suscettibilità degli Italiani, si spera possa essere sorgente di future complicazioni.

Io vorrei che Ella cogliesse una propizia occasione per portare tutto ciò a conoscenza di S. M. l'Imperatore. Egli che è vero e leale amico dell'Italia non vorrà certamente tollerare che in Roma si faccia un così strano abuso della protezione dalle armi francesi sì ché essa sia tutta rivolta a nostro danno e contribuisca a disfare l'opera di ricostituzione, di pacificazione, e di conciliazione puranco a cui dirigiamo e dirigeremo tutti i nostri sforzi.

Questa occupazione prolungata ormai troppo, contro lo spirito e la lettera della convenzione di settembre che da noi è stata fedelmente adempiuta in tutte le sue parti, alienando gli animi degli italiani dalla Francia, inceppa e sconvolge l'andamento di tutta la nostra politica estera e non ci lascia liberi nei nostri movimenti.

Noi dobbiamo dunque fare un nuovo e pressante appello a S. M. l'Imperatore perché faccia cessare uno stato di cose sì pregiudizievole sotto tutti i riguardi. Sua Maestà ben sa che noi offriamo tutte le garanzie che possono desiderarsi, quelle cioè che nascono dalla pacificazione degli animi e da una chiara intelligenza de' nostri veri interessi. È il miglior pegno che l'Imperatore possa avere della sincerità dei nostri propositi.

(l) Non rinvenuta.

469

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 259. Wiesbaden, 15 agosto 1868 (per. il 21).

J'ai eu l'honneur de vous informer de la bonne impression qu'avaient produite ici les assurances que le Baron de Beust avait fait donner au Cabinet de Berlin au sujet de l'attitude que le Gouvernement Autrichien entendait garder en présence des manifestations politiques auxquelles le Schutzenfest pouvait donner lieu.

Ces manifestations ont eu lieu, mais V. E. aura remarqué que d'anti-prussiennes qu'elles étaient au commencement, elles ont peu à peu changé de caractère: c'est le parti de la Grande Allemagne (grossdeutsche Partei) qui a voulu exploiter les rancunes de 1866 pour affirmer son drolt de reprendre l'oeuvre ébauchée en 1848, et derrière elle les idées socialistes universelles n'ont pas fait défaut.

Le Gouvernement Prussien ne pouvait que se réjouir de voir paraitre au grand jour des tendances de cette nature. Si un accord est impossible entre le parti de la grande Allemagne voulant fondre la Prusse dans la patrie commune, et la Prusse voulant au contraire s'assimiler peu à peu les autres Provinces allemandes, l'Autriche de son còté ne serait pas moins menacée dans son existence par les patriotes qui ont essayé de l'enguirlander au Schutzenfest. Elle en est si bien convaincue que M. de Beust s'est empressé de sortir de sa retraite, et dans son discours, bien digne d'un homme d'Etat consommé et ayant une longue expérience de l' Allemagne, il a remis les choses à leur piace, tranquillisé les Hongrois et les Tchèques, et fait assez clairement comprendre qu'il n'était point disposé à jouer le ròle de dupe des reve-creux.

C'est là le jugement porté en Prusse sur l'incident auquel la ville de Vienne a servi de théatre, et l'impression produite par le discours du Chancelier Autrichien.

M. de Thile s'exprimait dans ce sens dans une conversation avec le Chevalier Tosi: « Nous devons pour la seconde fois en peu de temps, disait-il, nous réjouir de voir nos ennemis manoeuvrer assez maladroitement, pour aboutir à un résultat diamétralement opposé à celui qu'ils se proposaient ».

Il est permis de croire que le Baron de Beust, en repoussant nettement toute solidarité avec les manifestations du tir fédéral, aura voulu aussi empecher qu'elles ne fussent un aiguillon qui décidat M. de Bismarck à précipiter dans son sens le mouvement allema::1d pour déjouer promptement les manoeuvres des ennemis de la Prusse.

Quoi qu'il en soit, je persiste à croire, comme j'ai eu l'honneur de vous l'écrire, que les rapports entre la Prusse et l'Autriche sont excellents en ce moment: tout comme je ne vois point de raison pour admettre comme bien fondés les bruits d'une véritable alliance. Seulement des deux còtés on en est aux petits soins: on évite soigneusement tout ce qui peut offusquer. Comme pendant du discours du Baron de Beust, j'en vois une preuve dans l'article de la feuille officielle Prussienne qui a fait l'objet de mon rapport -Série Politique -N. 258 (l) et qui, selon moi, dans les nuages de son contenu, voudrait cacher le souvenir des projets de 1866 sur la Hongrie.

470

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. I. Wiesbaden, 15 agosto 1868.

J'ai déjà eu l'honneur de vous accuser réception des dépeches dont le Courrier de Cabinet, M. Villa, était chargé pour cette Légation. Je m'empresse maintenant de me conformer aux instructions que j'ai reçues, en répondant par un rapport d'une série séparée, à la dépeche de la Division Politique,

N. -I (1), accompagnée des documents diplomatiques N. I, II, III, et de la copie d'une dépéche politique, très réservée, de V. E. (2), dans laquelle vous avez résumé les reflexions que dictait au Gouvernement du Roi la pensée du Concile Ecuménique qui doit se réunir à Rome en Décembre 1869, et vous m'avez indiqué quels étaient les points essentiels auxquels, dans cette matière, je devais vouer une attention spéciale.

Je ne manquerai pas. M. le Comte, de vous fournir exactement tous les reinseignements que je pourrai recueillir sur les diverses points que vous me signalez, ainsi que, en général, sur cette question, considérée au point de vue des intéréts et de la politique de l'Allemagne du Nord.

Pour le moment, il serait prématuré de vouloir pénétrer à quels principes s'inspirera la conduite du Gouvernement du Roi Guillaume vis-à-vis du futur Concile. Sans compter que, ici, on est bien moins intéressé qu'en Italie ou en France à tout ce qui se passe à Rome, et que d'autres préoccupations priment de beaucoup celle du Concile, ce qui, indépendamment de tout cela, tient la politique en suspens, c'est l'absence du Comte de Bismarck, l'àme du Cabinet Prussien. Dans ce moment de calme général o n l'entoure des plus grands soins: on dirait qu'on veut retremper son esprit, pour le mettre en mesure de soutenir bientòt quelque nouvelle lutte gigantesque. Aussi, à moins d'une urgence extrème, on ne laisse pas arriver les rumeurs de la politique jusqu'au seui! de sa retraite.

Il est permis toutefois de présumer dès à présent, en s'appuyant sur des conversations encore assez récentes, quelle sera l'attitude du Chancelier de la Confédération dans la question qui nous occupe.

M. de Bismarck a eu l'occasion de manifester à plusieurs reprises, et nommément l'année dernière à la funeste époque de Mentana, comme il résulte des rapports de cette Légation, qu'il est d'un grand intérét pour la Prusse de ménager les sentiments des catholiques allemands. La Prusse ne tait pas la guerre au Pape, tel était le mot dans lequel il résumait sa pensée, et je crois assez que ce mot concernait tout aussi bien la guer.re diplomatique. On ne considère pas ici le catholicisme comme un danger pour la Prusse, au moins dans ses proportions actuelles: tandis que, si l'an mécontente les catholiques, on sait qu'ils enverront au Parlement des députés hostiles à la politique du gouvernement, on craint que les particularistes du Midi n'exploitent ce mécontentement à leur profit, en fournissant peut-etre meme à la France les moyens de gagner des simpathies dans les Provinces catholiques du Rhin. II en résulte que, dans toutes les questions où les intéréts des catholiques comme tels sont en jeu, ici on se tient sur ses gardes, on aime assez voir d'abord ce que les autres gouvernements décident, avant de prendre un parti. Aussi, je pense que les Prélats de la Prusse pourront se rendre en toute liberté à Rome, et méme que, quelles que soient les décisions auxquelles ils prendront part, ils n'auront à craindre que les attaques des journaux et des nombreuses écoles philosophiques de l'Allemagne, sans que le Gouvernement ne s'y mele pour rien.

Le chevalier Tosi, dans un entretien qu'il a eu avec M. de Thile, a amené la conversation sur le concHe, en prenant pour point de départ le démenti de la nouvelle de l'établissement d'une nonciature à Berlin, dont il est rendu compte dans la dépéche Politique N. 255 (l). Il a pu se convaincre que la question du concHe n'avait pas encore été prise en considération d'une manière sérieuse. Suivant M. de Thile, le Comte d'Arnim avait obtenu un congé et quitté Rome depuis une quinzaine de jours, mais on n'en avait pas encore de nouvelles le Saint Père ne songeaU certes pas à inviter des protestants à un concHe catholique: on ne pouvait cependant pas se dissimuler la gravité de cet événement, car tous les progrès de la société moderne allaient étre passés au crible des principes de la doctrine catholique.

En Prusse, il existe deux Archevéques, celui de Posen et celui de Cologne, un prince évéque à Breslau, et huit autres évéques, si je ne me trompe. Le contingent prussien au concHe ne sera donc pas bien nombreux. Il n'y a pas de doute, je crois, sur le dévouement sans bornes pour le Saint Siège de la presque totalité des évéques qui accoureront à Rome pour répondre à un appel qui ressemble à un cri d'alarme et de détresse. Peut-étre cependant les avis seront partagés sur l'opportunité pratique de certaines déclarations! Dans sa conversation, M. de Thile rappelait au Chevalier Tosi une circonstance, à laquelle il ne parait pas qu'on ait donné de la publicité, et qui se réfère à l'époque de la proclamation du dogme de l'immaculée conception de la Sainte Vierge, époque à laquelle M. de Thile était Ministre de Prusse à Rome. Le Saint Père, à cette occasion, fit adresser à tous les évéques et aux principales autorités du monde catholique en fait de théologie, les deux questions suivantes: s'ils croyaient à la doctrine de l'Immaculée Conception, et s'ils pensaient qu'il fut opportun de la proclamer comme dogme. Les prélats consultés furent environ 1500, à ce que racontait le Sous-Secrétaire d'Etat, qui ne garantissait cependant pas l'exactitude absolue de ce qu'il avançait dans une simple causerie. Dans ce nombre, trois seulement s'abstinrent de faire une réponse nettement affirmative à la première question, mais beaucoup de prélats répondirent que la proclamation du dogme était inopportune et peut-étre dangereuse. Les Evéques de Prusse furent du nombre, et l'un d'eux, mort maintenant, écrivit particulièrement au Saint Père pour lui représenter le danger qu'il y aurait eu à ranimer, par un défi solenne!, le protestantisme qui, suivant lui, perdait chaque jour du terrain.

Ces détails peuvent, il me semble, avoir une certaine importance, car ils autorisent la supposition qu'une partie des évéques jugera convenable, par des considérations pratiques et dans l'intérét méme du Saint Siège, de ne pas adopter le système politique de rompre ouvertement en visière avec tous les principes modernes.

(l) -Non pubblicato. (l) -Cfr. n. 443 (2) -Cfr. n. 432.

(l) Non pubblicato.

471

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 702. Firenze, 16 agosto 1868, ore 9.

La conversation que l'on prete à Pepoli (l) m'étonne; il doit y avoir un malentendu, car jamais le Gouvernement n'a songé au projet que Pepoli aurait énoncé. Je télégraphie immédiatement à Vienne (2) pour etre informé; en attendant, vous pouvez démentir auprès de l'Empereur toute interprétation dans le sens supposé.

472

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1241. Vienna, 16 agosto 1868, ore 15,10 (per. ore 17,30).

Vous devez avoir reçu dépeche n. 33 (3) qui rend compte de ma dernière conversation avec Beust. Je n'ai rien à y ajouter ou à y retrancher. Vous pouvez lire toutes mes dépeches et voir quelle est mon opinion. Je vous écris par poste aujourd'hui (4). Voulez-vous que l'on parle à Beust ou à Gramont?

473

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 36. Vienna, 16 agosto 1868 (per. il 19).

Il di Lei dispaccio telegrafico in data del 16 Agosto (2) mi ha sommamente meravigliato. In primo luogo è mio costume di attenermi scrupolosamente alle istruzioni ricevute e non emettere mai alcuna opinione personale.

In secondo luogo Ella può convincersi leggendo i miei dispacci come io giudicassi impossibile ad effettuarsi il progetto di un ravvicinamento fra la Prussia e l'Austria, e come anche prima di parlarne col Barone di Beust lo avessi recisamente smentito.

Io dunque non posso credere che il Barone di Beust abbia potuto denunziarmi alla Francia come fautore di quel progetto. Io chiedendo al Cancelliere dell'Impero se quel progetto avesse fondamento di realtà, gli dissi sorridendo che l'Ambasciatore di Francia l'avea pochi giorni prima smentito, ma che la voce dell'Ambasciatore di Francia su questo argomento non era molto autorevole, imperocché correva voce che questo progetto d'alleanza non fosse precisamente accarezzato a Parigi.

Anzi rammento nel modo più preciso e formale che aggiunsi (ciò che esclude qualunque proposta di triplice alleanza) che l'Italia non desiderava altra cosa che la pace si perpetuasse, e non si allarmava di nulla in fuori di ciò che poteva turbare la pace in Europa.

Se esprimere il desiderio che le grandi Potenze s'avvicinino tra loro e stringano vincoli di pace, vuol dire propugnare una politica ostile alla Francia ne viene di conseguenza che la Francia segue e desidera una politica di perturbazione europea alla quale certamente io non ebbi istruzioni da V. E. di aderire e che credo sarebbe in me colpa di qui accarezzare.

Io non posso quindi che altamente dolermi di ciò che è accaduto e questo proviene forse da ciò che l'Ambasciatore di Francia avrebbe desiderato trovare in me un compiacente satellite della sua nazione.

Rappresentante qui di una grande e libera nazione io informerò sempre il mio linguaggio alle istruzioni del mio Governo e mi rammenterò sempre che ciò che ha fatto la gloria della diplomazia piemontese è stata la sua nobile indipendenza.

(l) -Cfr. n. 467. (2) -T. 701 pari data, non pubblicato. (3) -Cfr. n. 454. (4) -Cfr. n. 473.
474

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

T. 704. Firenze, 17 agosto 1868, ore 13,30.

J'ai lu v otre dépeche n. 33 (l). Il n'y est pas e n effe t question d'une alliance que vous auriez proposée entre l'Italie, la Prusse et l'Autriche. J'aurais toutefois désiré que votre télégramme (2) eiì.t été plus explicite à cet égard, afin d'étre à méme de m'en prévaloir. Vous pouvez parler de cet incident à Beust afin d'éviter tout malentendu. Quant à Gramont, si c'est lui qui a fait le rapport erroné, il serait utile de le lui faire comprendre. Il est inutile d"ajouter que notre politique est toujours celle d'abstention et que nous désirons la paix avant tout, parce qu'elle nous est nécessaire.

(l) -Cfr. n. 454. Tale rapporto venne Inviato In copia a Nigra perché potesse rendersi conto della reale portata del colloquio fra Pepoli e Beust. (2) -Cfr. n. 472.
475 IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1244. Vienna, 17 agosto 1868, ore 21,50 (per. ore 22,30).

Sur mon honneur je n'ai jamais tenu au baron Beust un Iangage différent de celui avec lequel vous terminez votre télégramme (1). Je vous remercie de m'avoir autorisé à parler avec Beust, mais comme il ne reviendra que samedi, je vous prie de m'autoriser à aller à mes frais à Gastein. Je crois qu'il serait très prudent prévenir M. de Beust avant qu'il ait vu due de Gramont. Quant à ce dernier, je vous demande ne lui parler qu'après mon entrevue avec Beust (2).

476

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

ANNESSO CIFRATO RR. (3). Lisbona, 17 agosto 1868.

Le Ministre de France a dit hier au Roi que l'Ambassadeur de France à Rome fait pressentir à Paris que Napoléon III pourrait bien ~tre seui invité exceptionnellement à se faire représenter par un délégué au futur Concile. Le Roi a répondu qu'il n'y croyait pas mais qu'en ce cas, malgré son amitlé et déférence pour l'Empereur, le Portugal protesterait immédiatement contre cette exception soit comme pays catholique soit comme une des quatre Cours qui ont le privilège de veto égal à la France. Le Roi de Portugal et son Gouvernement sont tout à fait dans nos idées par rapport au Concile. Je suis déjà en mesure de répondre à vos dép~ches réservées du 25 JuiUet (4), mais les postes intermédiaires, surtout Espagnoles, en ce moment, sont si peu sures qu'il faut attendre occasion particulière, très rare ici, pour expédier mes informations détaillées. Je sais que dans une lettre Napoléon III a répondu au Roi de Portugal qu'il approuve droit d'asile et sa conduite envers le Due de Montpensier: il a en m~me temps prévenu Sa Majesté que les affaires d'Espagne vont très mal.

477

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1126/476. Londra, 17 agosto 1868.

L'andamento di tutto ciò che concerne la questione di Tunisi mi preme troppo per che io negligentassi di chiedere a Lord Stanley in quasi ognuno

dei colloquj che ebbi recentemente con lui, se era a sua cognizione che la vertenza fosse per entrare in una fase la quale permettesse di contemplare come non lontano il suo scioglimento definitivo.

A queste mie domande Sua Signoria invariabilmente replicò che ogni cosa a siffatto riguardo giaceva in un completo «statu quo »; che il Marchese di Moustier era notoriamente lento nel prendere una decisione, e che credeva perciò inutile o fuor di proposito che il Governo Inglese facesse qualche passo per sollecitare da lui una risposta.

Quando, l'ultima volta che vidi il Segretario di Stato prima della sua partenza per la Svizzera, io posi la conversazione sul terreno degli affari della Reggenza, egli non mi disse nulla di più di ciò che ho avuto l'onore di riferire a V. E.; solo però m'aggiunse: «Fra di noi, debbo confessarvi che sotto a tutto questo credo si nasconda una speculazione finanziaria. Non parlo già del Marchese di Moustier, ma bensì delle persone che sono interessate nelle cose della Tunisia». Con siffatto linguaggio, che l'E. V. ben il rammenta, già in altra occasione Sua Signoria aveva meco tenuto, evidentemente egli voleva far allusione ai disegni d'imprestiti, di cui V. E. mi fece parola col suo dispaccio di serie politica n. 105 (l). Quantunque questo ufficio non mi fosse a quel momento ancora pervenuto, tuttavia siccome è da qualche tempo che queste combinazioni si stanno preparando a Parigi, non mancai di chiamare l'attenzione di Lord Stanley sui pericoli che, ove uno schema di tale natura fosse per realizzarsi, ne potrebbero nascere per gli interessi commerciali e politici dell'Italia e dell'Inghilterra nella Reggenza.

Il precitato dispaccio di V. E. mi giunse alcuni giorni dopo che il Segretario di Stato s'era allontanato per recarsi presso Sua Maestà, e mi toccherà aspettare il di lui ritorno per cercare di scoprire quali sieno gli intendimenti del Governo Inglese circa i progetti che si vanno agitando nella Capitale Francese.

Sebbene sia persuaso che Lord Stanley non permetterà mai che i diritti de' creditori inglesi vengano offesi, sia da una nuova e generale conversione di tutti i debiti del Bardo sia da qualunque altro ingiusto provvedimento, non posso dire ch'egli accordi tutta quella importanza che sarebbe da desiderarsi, alla questione politica che a Tunisi gravissima sorge a fianco della commerciale.

Su questo punto l'ho sempre trovato piuttosto indifferente alle considerazioni, che, d'ordine di V. E., io gli andava esponendo, nel corso di tutta questa controversia, e, siccome pure V. E. il rammenterà, la prima volta che io feci un quadro a Mylord degli inconvenienti che avrebbe un imprestito conchiuso sotto gli auspicj Francesi, equivalendo ciò ad assicurare di fatto quella influenza sulla Tunisia contro la quale Italia ed Inghilterra hanno sì strenuamente combattuto, egli, tuttoché apparentemente consentisse nelle stesse idee, rispondevami però, che gli sarebbe stato difficile in tal caso interporsi tra il denaro e i creditori.

Né può darsi che questa indifferenza sia prodotta da ciò che l'Agente Britannico a Tunisi non divida le stesse nostre idee sui pericoli che dalla ognor crescente influenza Francese la Tunisia è minacciata, poiché ho saputo da fonte sicura (dall'ex Segretario della Ambasciata della Regina a Parigi) che l'anno scorso il Signor Wood, il quale trovavasi allora in congedo, pareva essere d'opinione che, ove la Francia non avesse già tanti corpi d'occupazione all'estero, avrebbe forse potuto contemplare una dimostrazione militare contro la Regg.enza sotto il pretesto di tutelare i suoi interessi commerciali.

Non entrerò qui ad esaminare la più o meno grande probabilità di tale supposizione, essendo solo mio scopo di provare a V. E. che Lord Stanley dovrebbe essere consapevole de' rischi ai quali l'indipendenza del Bey può essere esposta da un momento all'altro.

Ciò non astante, forse perché meno direttamente di noi interessato, egli, a mio avviso, non se ne preoccupa abbastanza. Si è perciò che, quando, al suo ritorno, cercherò d'avere con lui una conversazione esplicita allo scopo di conoscere quale impressione abbia prodotto sul suo animo il progetto d'accordare tali poteri alla commissione inter"ìazionale, da ridurre la Tunisia in uno stato di quasi assoluta irresponsabilità, bramerei di sapere se, onde imprimere forza maggiore ai miei ragionamenti, V. E. m'autorizzerebbe a lasciare a Mylord una nota verbale compilata sul contenuto del più volte citato di lei dispaccio n. 105, in cui con tanta chiarezza e precisione vengono esposte le fasi attuali della quistione di Tunisi.

Son sicuro che Mylord la gradirebbe, e, nella speranza vorrà favorirmi un cenno a questo proposito ...

(l) -Cfr. n. 474. (2) -Per la risposta di MenabrEa cfr. n. 479. (3) -Al r. 9, non pubblicato. (4) -Cfr. nn. 432 e 433.

(l) Cfr. n. 451.

478

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. FUORI SERIE. Parigi, 17 agosto 1868.

Mi pregio d'accusar ricevuta dei dispacci riservati che l'E. V. mi fece l'onore di scrivermi in ordine alla convocazione del Concilio Ecumenico sotto i nn. I e II, Divisione Politica, in data del P agosto corrente (l).

La ringrazio di queste due importanti comunicazioni, al cui contenuto avrò cura di conformare il mio linguaggio e la mia azione.

Ho colto un'occasione propizia per discorrere col Marchese di Moustier di questo argomento, e per conoscere quale attitudine il Governo francese intenda assumere in presenza del fatto abbastanza grave della convocazione d'un Concilio in Roma. Dalla conversazione ch'ebbi col Ministro Imperiale degli affari esteri venni a sapere che il Governo francese, dacché ebbi l'onor d'inviare all'E. V. il mio dispaccio del 18 Luglio scorso (2), fece fare dall'Am

basciatore di Francia a Roma una comunicazione alla Santa Sede intorno alla convocazione del Concilio Ecumenico. Lo scopo principale di tale comunicazione si fu di fare un'esplicita riserva dei diritti tradizionali della Francia d'ogni natura e relativi a tutte le quistioni implicate nell'argomento. Con questa comunicazione il Governo Imperiale riserva i proprj diritti, senza toccare la quistione se esso intenda farli valere, e come intenda praticarli. Se così posso esprimermi, il dispaccio del Marchese di Moustier al Conte di Sartiges costituisce un semplice atto conservatorio.

L'E. V. nel precitato dispaccio N. 11 tocca a proposito la quistione, se e quanti fra i prelati francesi si recheranno al Concilio, e con quali disposizioni. Non mancherò d'assumere al riguardo ed a suo tempo confidenziali informazioni che in questo momento sarebbe prematuro il ricercare. Io non dubito che i prelati francesi, salvo qualche grave incidente che non sembra prevedibile, accorreranno in massa al Concilio, se questo si raduna. Nè penso che il Governo Imperiale voglia opporsi alla loro partenza. Credo poi che se il Governo Imperiale volesse occuparsene seriamente e facesse conoscere le sue intenzioni all'episcopato francese, potrebbe facilmente ottenere che una parte almenò di esso andasse a Roma col proposito d'opporsi a sanzionare ogni proposizione che fosse .incompatibile sia coi principii di civiltà e di progresso sociale, sia coi principii su cui è fondato il Governo imperiale in Francia. Ma è dubbio che il Governo Imperiale si decida a pigliare una simile attitudine.

(l) -Cfr. nn. 432 e 447. (2) -Cfr. n. 421.
479

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

T. 706. Firenze, 18 agosto 1868, ore 13,20.

Les soupçons qu'avait fait naitre votre prétendue conversation avec Beust, étant dissipés, je ne pense pas qu'une course à Gastein serait nécessaire. Cela ferait naitre de nouvelles suppositions, auxquelles il est mieux de ne pas donner occasion. Puisque M. Beust doit bientòt revenir à Vienne, il est mieux de l'attendre et tàchez de le voir avant qu'il ait parlé avec Gramont, puisque vous croyez que cela est plus convenable.

480

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 37. Vienna, 18 agosto 1868 (per. il 21).

Il Dispaccio telegrafico che Ella mi fece l'onore di spedirmi jeri 17 corrente (l) mi fece conoscere che Ella avrebbe desiderato che la mia risposta fosse più esplicita onde V. E. potesse prevalersene presso il Governo francese.

Le confesso che il Dispaccio del Cavaliere Nigra mi aveva profondamente turbato, poiché francamente io non potevo spiegarmi come si avesse potuto seriamente attribuirmi delle proposte e delle parole così erronee, anzi, oso dire, così poco prudenti.

Ne' precedenti miei Dispacci, che oserei pregare V. E. di richiamare, io mi sono studiato di dimostrare come quelle voci d'intimi accordi fra la Prussia e l'Austria, non potessero avere fondamento di verità, e come esse fossero al tutto insussistenti. E come avrei mai potuto io poi, dimenticando quanto Le avevo in precedenza scritto, tenere un diverso linguaggio al Barone di Beust, e cercare di persuaderlo a stringere un'alleanza che io aveva giudicato poco prima di impossibile conseguimento?

Queste voci però sono così strane che io non posso !asciarle cadere ed ho necessità di una leale spiegazione col Barone di Beust, e ringrazio V. E. di avermi autorizzato a provocarla.

Io non ho mancato però di fare un severo esame di coscienza per spiegarmi quali mie parole avessero potuto autorizzare il Barone di Beust, contro ogni uso diplomatico e contro ogni lealtà di procedere, a tenere parola con il Duca di Gramont di questa pretesa proposta di triplice alleanza fra l'Italia, la Prussia e l'Austria.

Ed io non potrei per verità trovare l'origine di queste voci, che nella dichiarazione ch'io feci al Barone di Beust allorquando gli chiesi, sorridendo, se era vero che l'Europa stava per assistere al suo connubio politico col Conte di Bismarck. E quale fu questa mia dichiarazione? « Nè chieggio ciò, dissi, per tema che abbia il mio Governo di questa concordia, imperocché tutto ciò che tende a far scomparire i germi di dissidi in Europa è anzi da noi accolto favorevolmente, perché l'Italia come l'Austria, ha bisogno, sovra ogni altra cosa, di vedere consolidarsi la pace; e l'Italia, sinceramente amica della Prussia, non può che essere lieta di veder ristabilire fra essa e l'Austria degli accordi che sono una guarentigia e una sicurezza comune».

Questo discorso intendo, che riferito forse ed ampliato all'Ambasciatore di Francia, non gli sia andato a garbo, poiché egli segue una politica completamente opposta alla nostra, cioè egli si studia sempre d'inasprire l'Austria colla Prussia e di mantenere vivo un dualismo pericoloso alla pace Europea e favorevole all'ordine d'idee che propugna la Francia.

E che quest'ordine d'idee non sia inventato a caso da' giornalisti lo provano le stesse parole del Barone di Beust, allorquando mi dichiarò, come prova della sua moderazione, che a Salisburgo aveva rifiutato le offerte francesi.

Ma poiché sono venuto in questo discorso, mi pe.rmetta, Signor Ministro, di esporLe quale via ho sempre tenuto qui in Vienna co' miei Colleghi del Corpo Diplomatico.

Io ho creduto di uniformarmi alle Sue istruzioni e di servire agli intendimenti del Governo, usando sempre un linguaggio di conciliazione, ed invece d'inasprire e rinfocolare le passioni, di cercare di moderarle e di calmarle.

Questa non è la politica che segue qualche altro diplomatico che ha missione, come dissi più sopra, di mantenere ed accrescere anzi l'abisso che divide l'Austria dalla Prussia. Egli naturalmente parla del Governo Prussiano in termini poco convenienti: non lascia un'occasione di biasimarne e di censurarne la politica e gli atti, ed applaude sempre a tutti coloro che a quel Governo mostrano di essere ostili.

Quel Diplomatico forse sperava d'avermi docile seguace in questa sua politica: invece io tutte le volte che egli ha voluto biasimare al mio cospetto la Prussia, ho accolto le sue parole col silenzio ed ho troncato il discorso.

Ed oso francamente affermarle che i sospetti che molti avevano sul conto mio sono completamente scomparsi, ed ognun sa che l'Inviato d'Italia a Vienna segue francamente e lealmente la politica di moderazione e di conciliazione che gli ha tracciato il suo Governo, e che egli non si lascia trascinare nell'orbita di nessun altro Ministro, poiché ho sempre creduto di tenere la stessa linea di condotta e verso il Ministro di Prussia, e verso il Ministro di Russia, che verso l'Ambasciatore di Francia.

Né io tengo soltanto questa linea di condotta, perché io debba obbedire agli ordini del Governo superiore, ma la tengo eziandio perché questa linea di condotta è quella che è conforme alla mia coscienza di cittadino. E per quanto mi sia grato ed onorevole di servire il mio paese sotto gli ordini di un uomo che ha salvato colla sua moderazione e colla sua fermezza l'Italia, io però non potrei certamente essere l'interprete di una politica che tendesse a far uscire il mio paese dalla neutralità, e lo spingesse a mischiarsi degli intrighi diplomatici o della Francia o della Prussia.

Io confido, Eccellenza, che dopo il mio colloquio col Barone di Beust verremo in chiaro della verità e che forse in fondo di questo, che mi limito a chiamare equivoco diplomatico, rintracceremo come movente il rancore che provano in genere tutti i diplomatici Francesi, quando non trovano negli Inviati di quell'Italia, che debbe a loro dire la sua esistenza alla Francia, quella arrendevolezza di propositi che essi si credono in diritto di esigere.

Non creda però che intenda seguire qui una politica ostile alla Francia: ciò non potrà essere per molte ragioni: ed io non sono fra quegli ingrati che dimenticano la riconoscenza che dobbiamo sempre all'Imperatore Napoleone per quanto fece per noi.

Intendo allontanare da me e dal mio Governo ogni sospetto che la Politica Italiana sia ostile alla Prussia e parteggi per delle idee e per delle combinazioni che sarebbero opposte al programma di V. E., che è quello della più completa neutralità e della più leale conciliazione.

(l) Cfr. n. 474.

481

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO DESTINATO A BUENOS AIRES, DELLA CROCE

ISTRUZIONI. Firenze, 20 agosto 1868.

Chiamando V. S. ad assumere l'ufficio di R. Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario presso la Repubblica Argentina, il Governo del Re porge segnalata testimonianza della propria fiducia nello zelo e nella intelligenza operosa, di cui V. S. ha dato già prove non dubbie nel corso della sua carriera.

38 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

Il posto di Buenos Ayres ha difatti, una importanza affatto speciale per effetto degli interessi considerevoli che l'Italia ha impegnati in quelle contrade e soprattutto per rispetto alla ragguardevolissima colonia nazionale che vi ha preso stanza.

Sudditi italiani sono disseminati sopra tutto quanto il territorio argentino, e non è raro il caso in cui il viaggiatore così ardito da tentare il varco dal versante orientale al versante occidentale delle Ande, oda risuonare la nostra favella nei villaggi più remoti del Rioja e del Tucuman. Però gli oriundi della penisola nostra spesseggiano di preferenza nelle regioni lambite dall'estuario del Plata e da quella maravigliosa fiumana che è il Paranà. Risalendo il corso del Rio si incontrano frequenti sulle due sponde abitanti pressocché esclusivamente italiani, e nelle isole stesse del fiume ove le vergini foreste racchiudono appena anima viva, sono per lo più lombardi quei coraggiosi ed intraprendenti boscaiuoli che attendono, tra mille stenti e pericoli, all'opera laboriosa del taglio del legname.

Ma si è soprattutto a Buenos Ayres e nella provincia dello stesso nome che il rapporto numerico degli Italiani in confronto colla intera popolazione raggiunge un coefficiente maggiore. Un rapporto ufficiale del Segretario della Legazione britannica presso la Repubblica argentina, scritto in sullo scorcio del 1866, constata come nella provincia di Buenos Ayres, sopra una popolazione totale di 450.000 anime, 70.000 fossero italiani, e come 40.000 fossero gli Italiani residenti nella capitale ove la popolazione totale ascende all'incirca a 150.000 anime.

A chi si facesse a considerare le proporzioni enormi della colonia italiana nella Repubblica Argentina e non tenesse conto di veruna altra circostanza, potrebbe sembrare per avventura più arduo che non sia il compito assegnato al Rappresentante del Re presso la Repubblica Argentina. Il Ministro del Re a Buenos Ayres aggiunge difatti alle funzioni strettamente diplomatiche ch'egli esercita rimpetto all'Autorità locale, altre attribuzioni che sono d'indole piuttosto amministrativa che politica. È d'uopo difatti ch'egli sia, in mezzo alla colonia italiana, il centro attorno al quale si raggruppino gli interessi e le aspirazioni della colonia stessa, considerata come difatti è un corpo pressoché autonomo ed avente bisogni, tendenze ed indole del tutto speciali. La qual missione riesce tanto meno facile a compiersi inquantoché il R. Rappresentante, spoglio di quella giurisdizione assoluta che costituisce la forza principale degli Agenti del Re nei paesi di Levante, deve far assegnamento esclusivo sopra il prestigio della propria qualità ufficiale e sull'ascendente che il suo contegno e pubblico e privato avrà saputo procacciargli.

Nondimeno è stretta giustizia il constatare come la colonia nazionale dell'Argentina abbia costantemente agevolata l'opera della R. Legazione, mostrandosi ossequiente e devota alla Rappresentanza del Sovrano, ed associandosi con meravigliosa spontaneità di istinto a quelle idee stesse che sono divise tra noi dalla maggioranza sana ed onesta del paese. Recandosi a Buenos Ayres, Ella non avrà difficoltà ad accorgersi come sia oramai completa ed assoluta la fusione tra gli elementi varii in cui altra volta si scomponeva la colonia italiana e che per effetto della situazione politica della penisola avevano altrettanti centri quanti erano i Governi regnanti in Italia. Ella udrà da quanti seguirono lo svi1uppo del nostro risorgimento nazionale presso codeste contrade, coine venissero tosto meno, non appena proclamata l'unità del Regno, quegli antichi rancori di parte che avevano trovato fino allora albergo ed esca in animi inaspriti dai patimenti e dall'esilio. L'unificazione della colonia italiana di Buenos Ayres, e la concordia mirabile nei propositi liberali e monarchici, la quale si rivelò in ogni sua pubblica manifestazione, sono il più valido argomento del retto senso che prevale tra quegli industri compatrioti nostri, e debbono esserle di efficace incoraggiamento ad intraprendere con fiducia l'opera che Le fu affidata.

Colla situazione della colonia nazionale è intimamente connessa la questione della emigrazione; non già di quella emigrazione deplorevole che ci fa apparire agli occhi del mondo civile come se fossimo ancora quel popolo per cui le sciagure e la oppressione erano scusa se i figli suoi andavano attorno raminghi e supplichevoli a cercare un pane dalla carità straniera. La tratta dei piccoli suonatori ambulanti, della quale si preoccupò di questi ultimi tempi in modo speciale il R. Governo, non è flagello che affligga le contrade ove Ella è chiamata a dimorare.

Ma la stessa emigrazione che intende, nei propositi almeno di coloro che vi partecipano, a trovare in regioni ove è ubertoso il suolo e rara la mano d'opera, lucrosa occupazione e gli elementi di più larga agiatezza, non è scevra di gravi inconvenienti, e porse sovente occasioni a tristissimi episodii.

Qual sia in proposito il pensiero del Governo del Re io ebbi recentemente occasione di dichiararlo con forma solenne al Parlamento. Agli occhi nostri l'emigrazione allorquando si compia liberamente e con iscopi legittimi allorquando non sia il frutto di raggiri e di inganni per parte di speculatoni. avidi di disumani guadagni, allorquando infine non sia in contraddizione colle leggi ed abbia luogo in conformità delle discipline vigenti per siffatte materie, è fenomeno economico rimpetto al quale sarebbe assurdo applicare altro criterio all'infuori di quello di una saggia astensione. Inceppare l'iniziativa privata allorché questa, senza prosciogliersi dai vincoli che astringono i cittadini alla patria loro si fa solamente a cercare campo migliore e più fruttifero in estere contrade, salvo poi a ricondurre sul suolo natio le ammassate ricchezze e gli accumulati risparmii, sarebbe invero cosa troppo difforme da quei principii liberali che noi professiamo così in argomento politico come nelle materie economiche.

Però, appunto perché l'apprezzamento nostro, per rispetto alla emigrazione è quello che Le venni testè esponendo, il Governo del Re non ristarà mai dal rivendicare anzitutto la rigorosa osservanza degli obblìghi de leva e degli altri che obbligano i cittadini verso lo Stato, e dallo illuminare, in ogni opportuna maniera la pubblica opinione intorno al vero carattere delle speculazioni colle quali si allettano quelle fra le popolazioni nostre che sono più facili alla tentazione dell'emigrare. Le spese inevitabili del rimpatrio degli indigenti, lo sfregio che reca al nome italiano lo spettacolo, fortunatamente raro nelle regioni del Plata, del vagabondaggio e della mendicità di nazionali nostri, sono titolo più che sufficiente per l'adozione di misure suggerite dalla dolorosa esperienza del passato.

Ed a tal riguardo gioverà singolarmente la cooperazione di Lei, mediante la diligente trasmissione di ogni notizia che valga a far presumere con fondamento della possibilità pratica delle colonizzazioni annunciate di tratto i.n

tratto, dal governo e dai privati della repubblica Argentina, e segnatamente mediante una rigorosa sorveglianza sopra le operazioni delle Agenzie di emigrazione, e sullo esatto adempimento degli impegni contratti da essa verso gli emigranti nostri.

Altra quistione che ha pure stretta attinenza coll'argomento dell'emigrazione è quella dello stato civile degli emigranti.

La legislazione vigente presso gli Stati europei è, in generale, concepita nel senso che non basti il fatto materiale del trasferimento di domicilio dall'uno all'altro paese per dar luogo ad un mutamento di nazionalità. Così, presso di noi, gli stranieri che cerchino ospitalità nel Regno, fissandovi la loro stabile dimora, conservano indefinitamente la loro cittadinanza a meno che dimandino ed ottengano nelle forme consuete la cittadinanza italiana: ed i figli nati da loro hanno il diritto di optare, giunti alla maggiore età, per la conservazione della loro sudditanza d'origine. Locché riesce a dire che, in base alle leggi nostre ed in genere alle leggi europee, la nazionalità d'origine può trasmettersi indefinitamente di generazione in generazione malgrado la stabile dimora nello Stato.

Si comprende come lo stesso principio non potesse di leggieri ammettersi in America, ove la popolazione indigena non esiste più che allo stato di ricordo ovvero fu respinta nell'interno degli inesplorati continenti. Poiché di siffatto principio sarebbe stata deduzione rigorosa che non vi potessero essere cittadini del paese presso gli Stati americani.

Gli Stati Uniti hanno preso da ultimo, a tal proposito, una iniziativa singolarmente ardita. Una legge che è volgarmente conosciuta sotto l'appellazione di Bill Banks dal nome del Generale che ne fece la prima proposta; e che è ormai definitivamente sanzionata dalle due Camere del Congresso di Washington pone per principio assoluto che una brevissima dimora, cinque anni, basti senza bisogno di speciale dichiarazione né di svincolo per parte dello Stato d'origine, a procacciare all'emigrante negli Stati Uniti la cittadinanza americana. Alcune Potenze d'Europa, e prima d'ogni altra la Prussia, hanno accettato siffatta innovazione mediante convenzioni che ebbero per effetto di tradurre in impegni internazionali quelle che erano, in forza del Bill Banks, disposizioni d'ordine interno negli Stati Uniti. Il Governo del Re sta occupandosi di esaminare se potrà consentir sotto alcune riserve ad un'analoga Convenzione propostagli dal Gabinetto di Washington, e rifletterà se gl'inconvenienti che possono sorgere dalla innovazione adottata, potranno essere compensati dalla maggiore agevolezza di rapporti commerciali ed economici che per essere liberi non saranno però meno efficaci, né meno vantaggiosi.

Non sembra, ad ogni modo, che il Governo Argentino abbia in animo di seguire in tutta la sua estensione l'esempio datogli dalla Repubblica Nord Americana. La questione della cittadinanza dei coloni europei fu sollevata dal Gabinetto di Buenos Ayres nell'Agosto del 1863, e diede luogo, in quella congiuntura, ad un incidente diplomatico del quale Ella rinverrà gli atti nell'Archivio della Legazione che V. S. è chiamata a reggere. Prendendo in considerazione una proposta emanata dalla iniziativa d'un semplice Deputato, il Congresso nazionale stava per discutere un progetto di legge destinato a surrogare la legge anteriore del 1857, e che avrebbe imposto in modo assoluto la qualità

di cittadini, pei diritti come per gli obblighi, ai figli di stranieri che fossero nati nel paese. Gli argomenti addotti dal Gabinetto argentino fondaronsi specialmente sopra la circostanza che la legge del 1857 emanata dalla Confederazione non era di tal natura da vincolare la Repubblica che alla Confederazione era succeduta.

I Rappresentanti europei protestarono contro siffatta alterazione della legislazione in vigore, e dichiararono che qualunque fosse per essere la deliberazione del Congresso argentino, i loro Governi rispettivi non ne avrebbero ammesso il valore. Alle proteste della diplomazia europea fu replicato dal Ministero degli Affari Esteri di Buenos Ayres con corrispondenti riserve in ordine alla dichiarazione che non si sarebbe riconosciuta dalle estere Potenze l'efficacia della nuova legge argentina.

Giacque per tal guisa insoluta la quistione né consta che alcun incidente concreto abbia formato al Governo argentino od alle Potenze l'occasione di valersi delle riserve rispettivamente enunciate in quella occorrenza.

In quanto all'avvenire il Governo del Re è risoluto a non derogare, sopratutto per ciò che riguarda la nazionalità de' figli d'Italiani nati all'estero, finché non siano per avventura mutate le circostanze, ai principii ch'egli professa in proposito. Ma nel tempo stesso egli non intende, in un argomento cosi vitale per codesti paesi, far prevalere in modo assoluto la propria opinione. Considerando la quistione come affatto sospesa, la S. V. avrà cura di evitare tutto ciò che possa comprometterla, astenendosi dallo intervenire attivamente e per via di note. La fortunata circostanza che nella Repubblica Argentina non esiste il servizio militare obbligatorio, ma semplicemente quello della Guardia Nazionale, renderà a questo riguardo più facile il suo compito.

Le gradazioni dell'opinione pubblica, il frazionamento e le tendenze varie de' partiti che sono in generale semplice argomento di osservazione per le altre Legazioni del Re, costituiscono invece una materia di interesse speciale e diretto al Plata, e sopratutto nell'Argentina ove la popolazione italiana è elemento ragguardevole della popolazione totale, e travasi pertanto intimamente associata alla vita politica, alle vicissitudini interne del paese.

La rivoluzione del 1852, quella che, rovesciando la dittatura del Rosas, inaugurò per le contrade del Plata un'era nuova la quale pareva dover essere era di pace e di sviluppo economico, fu in gran parte opera della colonia nostra. Lo spirito liberale, che informa il carattere italiano, mal s'acconciava ad una tirannia che pesava come incubo letale sopra le atterrite popolazioni, e colse con entusiasmo il destro che gli si presentò di cooperare al trionfo della causa della libertà. Dipoi, malgrado le liete previsioni dei primi tempi, fu, infino al 1862, un serie non interrotta di discordie e di lotte intestine, le quali lacerarono e spossarono la repubblica: e gli Italiani si lasciarono travolgere dal turbine di quelle guerre e ne soffrirono, cogli oriondi del paese, i gravissimi danni.

Verso la metà del 1861 l'antagonismo dei partiti era giunto al colmo. Buenos Ayres e la sua ricca provincia, fiorentissima pel rapido sviluppo dei commercii e sottratta alle agitazioni interiori dalla influenza straniera, avrebbero amato conservare ed accentuare sempre più l'autonomia pressoché completa ond'esse godevano.

Il Governo centrale era costituito a forma di semplice confederazione con centro a Paranà città collocata sulla fiumana dello istesso nome a non lieve distanza dallo sbocco. Ed a Paranà facevano capo le pretese delle altre provincie gelose della prosperità di Buenos Ayres, le quali avrebbero voluto che quest'ultima non si sciogliesse troppo dai legami dell'unione e soprattutto che partecipasse in più larga misura agli oneri finanziarli. Di fronte ad una siffatta situazione i due partiti nei quali da tempo immemorabile era scisso il paese, i federali, cioè, e gli unitarii, avevano assunto un singolare atteggiamento che riesce difficile a spiegarsi per chi non tenga conto delle circostanze d'allora. I federali, vale a dire coloro che si sarebbero opposti ad una fusione completa, numerosissimi nelle provincie, appoggiavano caldamente il potere centrale nell'opera di ricostituzione ch'esso aveva intrapreso sotto la direzione successiva dei Presidenti Urquiza e Deraqui. Invece gli unitariJ, quelli cioè che avrebbero preferito un legame più intimo, e che costituivano la immensa maggioranza nella provincia di Buenos Ayres osteggiarono, non potendo essi dominare nelle altre provincie, i disegni del Governo di Paranà, ed a malincuore avevano accettato l'accordo intervenuto in principio del 1860, mercé il quale l'unione federale di Buenos Ayres colle altre Provincie era stata espressamente sanzionata. Il Generale Mitre, personaggio eminente per l'intelligenza, fermezza di propositi, e segnatamente per temperanza di modi, reggeva, come Governatore, la provincia di Buenos Ayres. Alle pretese sempre maggiori che il Presidente della Confederazione, aizzato dai federali ed accusato di troppa pieghevolezza, non ristava dal far pervenire insistentemente al Generale Mitre, quest'ultimo, spintovi dall'opinione del suo partito, assunse infine un atteggiamento risoluto. La situazione facevasi sempre più critica poiché nei primi mesi dell'anno 1861 era scoppiata una insurrezione nella provincia di Cordova, ove supponevasi l'agitazione fosse promossa dagli unitarli a beneficio di Buenos Ayres. Insomma nel Giugno le ostilità poi erano imminenti allorché intromessasi la diplomazia straniera, fu accettata la mediazione di Francia e di Inghilterra per comporre le insorte dissidenze. Ma il tentativo falli: i plenipotenziarii delegati dai contendenti si separarono senza nulla aver conchiuso. La guerra non tardò ad essere dichiarata ed il 17 settembre le truppe di Buenos Ayres comandate dal Generale Mitre si scontrarono al Pavon colle truppe federali comandate dal Generale Urquiza ex-Presidente della Confederazione, e Governatore di Entre Rios ove era ed è tuttora onnipotente. Lo scontro non fu decisivo, e le perdite furono lievi dall'una e dall'altra parte: però la subitanea ritirata dell'Urquiza, il quale non tardò a fare la sua pace separata col Mitre, rese impossibile ogni seria resistenza per parte del Governo federale, al quale la defezione del Governatore di Entre Rios aveva tolto la stessa sue sede di Paranà.

In sul finire dell'anno la Confederazione aveva cessato, di fatto, di esistere. Il partito unitario, vittorioso grazie al successo delle armi di Buenos Ayres, riprese tosto, nella sua pristina integrità, il suo antico programma. Il Congresso Generale, cui fu deferito l'incarico di statuire sulle sorti future del paese, si radunò a Buenos Ayres il 25 Maggio 1852, giorno commemorativo della indipendenza nazionale. Invano progetti varii furono posti innanzi dagli avversari! della provincia oramai prevalente; invano fu proposto persino che una capitale del tutto nuova si fabbricasse. Il nome del Mitre, uscito dall'urna in occasione della elezione presidenziale, escluse tosto ogni contrario disegno e la capitale della Repubblica, sottentrata alla Confederazione fu stabilita a Buenos Ayres.

Malgrado la volubilità che è propria dei partiti politici, malgrado le vicende della amministrazione Mitre, malgrado infine la potenza conservata dall'antico Presidente Urquiza, non sembra per ora che v'abbia probabilità di nuovi mutamenti nella forma costituzionale del paese. S'era temuto, in questi ultimi tempi, allorché si dovette procedere alla nomina di un nuovo Presidente, che codesta fosse giudicata dal partito federale una buona opportunità per tentare una rivincita. Già preconizzavasi unanime l'elezione dell'Urquiza nelle provincie, e siccome sapevasi che Buenos Ayres non avrebbe mai accettato una siffatta candidatura le previsioni spingevansi fino alla possibile eventualità di una guerra civile o quanto meno di una nuova secessione di Buenos Ayre,s dal rimanente della RepubbLica. Tali supposizioni non si sono avverate: l'elezione alla presidenza del Signor Sarmiento, che era candidato unitario e patrocinato dalla maggioranza della Provincia di Buenos Ayres, assicura oramai il paese contro nuovi rivolgimenti.

Per quanto ci concerne, non è dubbio che codesta è guarentigia preziosa pel benessere e per lo sviluppo della nostra colonia nella Repubblica argentina. Non parlo di Buenos Ayres ove la colonia italiana che costituisce oltre il quarto della popolazione totale desidera e deve naturalmente desiderare che rimangano a quella città il prestigio e la importanza di capitale. Ma nelle stesse provincie dell'interno i coloni nostri sono caldi partigiani della unione assoluta, locché si spiega assai facilmente col riflesso dei danni incalcolabili ch'essi soffrirebbero dalla loro separazione da quella città ch'è centro principale dei loro negozi!. Oltre a che la protezione del R. Governo diverrebbe per avventura meno efficace laddove si dovesse esercitare lungi dal mare ove sventola costantemente la bandiera nazionale e presso Governi locali di dubbia responsabilità, è evidente che i rapporti ed i traffici riuscirebbero difficilissimi se pure le vicende di nuove lotte non li sopprimessero affatto.

Benché tali siano i nostri manifesti interessi e benché siano unanimi le aspirazioni unitarie delle colonie nostre stabilite nella Repubblica Argentina, non è d'uopo ch'io Le rammenti come la condotta di Lei, anche per siffatto rispetto debba essere informata ad una prudente riserva. Per quanto siano peculiari le circostanze della missione ch'Ella avrà a sostenere in un paese ove cotanto abbondano gli elementi nazionali, non si potrebbe però adottare da Lei una attitudine troppo spiccata senza contravvenire ai principi! del diritto diplomatico, i quali impongono ai Rappresentanti esteri una assoluta astensione dagli affari interni del paese ove sono accreditati. V. S. gioverà del resto assai più al risultato che è nei nostri desiderii, non urtando, con una Inopportuna intromissione, le suscettibilità estreme di quelle popolazioni: basterà, diffatti, l'incremento del prestigio della colonia nostra per accrescere viepiù vigoria ed influenza al partito unitario e per assicurarne la prevalenza.

La situazione politica della repubblica argentina, per quanto concerne i suoi rapporti esteriori, si riassume tutta nella triplice alleanza che la unisce alla Repubblica dell'Uruguay ed all'Impero del Brasile, e nella guerra che tut

tora si combatte dai tre alleati contro il Paraguay. Lo avvicendarsi degli avvenimenti ha spostato così radicalmente il fondamento ed il carattere della lotta, che riesce oramai ben difficile, a chi esamini solo i fatti presenti, il darsene una chiara ragione: né è quindi fuori di luogo che io ne accenni qui sommariamente le fasi più salienti.

La contigua repubblica dell'Uruguay non cessò fino a questi ultimi tempi di essere in balia di due opposte fazioni, i colorados ed i blancos, fazioni le quali rappresentano rispettivamente il principio liberale ed il principio conservatore, in un senso però che è del tutto speciale a quei paesi e che non si potrebbe confondere colle analoghe appellazioni dei partiti europei. Il partito bianco ebbe, nel 1861, il sopravvento sul partito rivale, ed i più compromessi od i più pertinaci tra i colorados cercavano rifugio nella vicina Buenos Ayres ove trovarono presso gli unitarii, prevalenti in quella città, simpatica e calda accoglienza. Di codesti fuoriusciti, il Generale Venanzio Flores, quello stesso del quale avvenne testé la tragica fine, intraprese, nella primavera del 1863, contro il Governo stabilito a Montevideo, una spedizione, alla quale non pare del tutto estranea, se non la connivenza la tolleranza del Governo argentino. Le sorti della campagna furono per lungo tempo incerte, poiché il Generale Flores trovò bensì certo favore presso le popolazioni del contado e poté avanzarsi fino a tre miglia da Montevideo, ma battuto dalle forze del Governo dovette ripigliare la guerra di guerriglia.

Senonché il favore accordato dalla Repubblica argentina al tentativo di Flores non tardò a suscitare tra i due gabinetti di Buenos Ayres e di Montevideo una acerba polemica, nella quale vennero tosto a trovarsi commisti altri incidenti ed altre quistioni da lungo tempo pendenti tra le due Repubbliche. Invano furono esauriti dalla diplomazia estera, e soprattutto dall'egregio Ministro che rappresentava allora l'Italia presso le Repubbliche del Plata, tutti i mezzi di conciliazione. La situazione facevasi sempre più minacciosa, tantopiù dacché, dall'un Iato il Paraguay, sospettoso delle ambizioni argentine, aveva sposato apertamente la causa di Montevideo, e dall'altro Iato il Brasile, il quale da lungo tempo aveva controversie in sospeso sia col Paraguay sia coll'Uruguay ed aveva recentemente subito da quest'ultimo la ripulsa della propria mediazione, manifestava apertamente le sue simpatie per la causa della Repubblica Argentina. L'attitudine del Brasile aveva poi incoraggiato singolarmente il Generale Flores il quale si avanzò nuovamente verso la capitale dell'Uruguay.

Tale era la situazione nel Giugno 1864; allorché un ultimo tentativo di diretta conciliazione fu indarno esperito tra Montevideo e Buenos Ayres. Non approdò a risultato migliore la mediazione tentata poco di poi dal Cavalier Barbolani. Nell'agosto la guerra fu dichiarata a Montevideo così dalla Repubblica Argentina come dal Brasile, e sussidiato da così potenti alleati il Generale Flores, dopo ostinata resistenza per parte del Governo di Montevideo, si presentò infine vittorioso nel febbraio 1865 sotto le mura della Capitale. Il 19 del mese una Convenzione sanzionò il ritorno dei colorados al potere ed il Generale Flores assunse col titolo di Governatore provvisorio il governo della Repubblica.

Intanto le truppe del Paraguay, troppo distante dall'Uruguay per sostenere efficacemente il governo di partito blanco cui aveva promesso il proprio

appoggio, avevano però invaso la provincia argentina di Corrientes e la provincia brasiliana di Mato Grosso avanzandosi minaccioso d'ambo le parti. La caduta del partito blanco avendo però fatto dell'Uruguay, già suo alleato, un suo nuovo nemico, il Paraguay venne a trovarsi solo contro le forze riunite delle due Repubbliche del basso Plata e dell'Impero brasiliano. Un trattato di alleanza offensiva e difensiva, firmato a Buenos Ayres tra questi tre Stati, impegnò irrevocabilmente la loro cooperazione contro la repubblica del Paraguay.

Non è qui il luogo di esporre le vicende della guerra così pertinacemente e con varie sorti combattuta. Basti il constatare come l'esperienza del passato tolga oramai ogni speranza di pronto successo per parte dell'uno o dell'altro contendente.

E quindi sopratutto desiderabile che si presenti modo di porre un termine ad un conflitto che dissangua e conturba così ricche regioni, senza che appaja uno scopo pratico della guerra. È certo lungi dal pensiero del Governo del Re come pure, per quanto ci consta, da quello degli altri Governi, il proposito di assumere una ingerenza diretta nella controversia. Senza ammettere nella sua assoluta portata la dottrina di Monroe, i Governi europei, e l'Italia in ispecie, si astengono volentieri dall'intervenire in altra guisa che non sia quella di una amichevole mediazione. Non è dubbio però che la continuazione della lotta vuole essere ravvisata con certa apprensione sia per rispetto ai danni inevitabili, sia per le eventualità cui potrebbe dar luogo e che modificherebbero fors'anche una situazione territoriale che sembra la più vantaggiosa agli interessi delle colonie europee. Eppertanto Ella interpreterà sempre saggiamente le intenzioni del Governo cogliendo l'occasione che per avventura Le si presentasse di far udire parole di pace e conciliazione presso il governo argentino.

La guerra attuale ha fornito occasione a talune controversie di diritto pubblico, ch'io non mi farò ad esaminare poiché Ella ne troverà l'esposizione negli atti della R. Legazione. La più importante di esse, quella concernente il blocco dei fiumi, è rimasta, per quanto ci concerne, insoluta in seguito alla riserva reciprocamente enunciata per l'impossibilità di un accordo sui principii. È probabile però ch'essa riceva ora una più concreta soluzione in occasione dell'incidente sopravvenuto di un legno degli Stati Uniti il « Wasp » contro il quale volle farsi valere la ragione del blocco fluviale. Benché siffatta questione non tocchi il Governo argentino, se non per riguardo alla solidarietà che lo lega al Brasile suo alleato, è però codesto argomento di tal rilevanza che V. S. vorrà seguirne con attenzione l'andamento e le fasi successive. Ella rileverà dai documenti esistenti presso la R. Legazione di Buenos Ayres qual sia la posizione di codesta quistione, e quali siano state le riserve formulate dal predecessore di Lei, Cavaliere Barbolani, in occasione della pretesa accampata dall'Ammiraglio brasiliano. Il nostro diritto si appoggia sopra i principii generali che vietano il blocco di un intiero fiume allorquando il suo corso ascendente si ramifica sopra territorii di più Stati. Esso è poi, più espressamente ancora sanzionato dall'Art. 6° dei Trattati del 1853 che dichiara libera, in caso di guerra, la navigazione dei neutri sul Paranà e sull'Uruguay, e dalla adesione presta,ta dal Brasile e dalla Confederazione Argentina al Trattato di Parigi del 1856. Tale sarà il senso nel quale dovrà spiegarsi l'azione di Lei se per avventura sopravvenissero altri incidenti che riponessero sul tappeto la sospesa quistione.

Oltre alle quistioni strettamente politiche altre non poche Le si presenteranno nel corso della gestione di Lei, d'indole privata cui potranno dar luogo gli interessi rilevanti e molteplici dei nostri connazionali residenti nella Repubblica. Intorno a questa categoria di quistioni sarebbe impossibile di porgerle fin d'ora adeguate e concrete istruzioni. I principii di equità e la cura della dignità nazionale saranno la norma generale della condotta ch'Ella vorrà osservare nella trattazione di consimili vertenze. Rappresentante di una grande Nazione, sorretto dal prestigio di una numerosa e fiorente colonia, sussidiato dalla presenza di una stazione navale permanente che, è a piena disposizione della R. Legazione, V. S. dovrà appunto perciò, nelle sue relazioni con gente oltremodo suscettibile e vana, usar linguaggio e modi moderati ed evitare studiosamente tutto ciò che possa dar luogo a gravi complicazioni.

Un'altra considerazione si aggiunge a consigliare siffatta moderazione di contegno, e questa si è la lontananza dei luoghi, la quale vieta che si possa, eccetto in rarissimi casi, regolare preventivamente l'azione di Lei addossandole quindi una responsabilità pressoché esclusiva. L'eccitazione che regna nelle repubbliche ispano-americane dopo la guerra che la Spagna combatté contro le Repubbliche del Pacifico, e dopo la spedizione francese a Messico, è tale che un passo inconsiderato potrebbe impegnare il Governo molto più in là di quel che si sarebbe previsto e voluto. I fatti di Lima e di Valparaiso debbono servirei di utile ammaestramento.

Mi riservo, del resto, di porgerle nei casi speciali quelle più concrete direzioni che le circostanze potranno per avventura consentire.

482

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, COVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. l. Madrid, 20 agosto 1868.

Mi giunsero, a debito tempo, i riveriti dispacci che l'E. V. mi fece l'onore di indirizzarmi il 25 ultimo scorso mese (Divisione Politca N. I e II) (1).

Presi, con tutta dovuta cura, cognizione de' rilevanti appunti contenuti in esse pregiate comunicazioni, e mi farò un dovere di strettamente attenermi alle direzioni ed agli ordini impartitimi in quei dispacci di natura riservatissima.

In grazia dell'azione ·influente che il Clero esercita sulla massa delle popolazioni di questo Regno, avran queste, benché ignare e men curanti di quanto avviene fuori della strettissima cerchia delle loro sterili intestine agitazioni, notato il fatto della convocazione pel seguente anno d'un Concilio Ecumenico in Roma.

Non v'ha dubbio, tenuto conto dello spirito di queste popolazioni, che di tale avvenimento, se tendesse esso per avventura ad un fine altro che quello di un maggior vantaggio spirituale, non sarà malagevole a questo Clero di beneficiare a pro' di sua influenza e di sue tendenze retrive.

La Bolla d'indizione «Eterni Patris ~ non mancò d'esser oggetto di peculiare attenzione per parte della classe intelligente.

I diari clericali spagnuoli, col linguaggio poco misurato, proprio universalmente al partito di cui son organo, si fan a notare l'omissione d'invito ai Potentati Civili d'intervenzione al Concilio, che si riscontra nella Bolla del 29 Giugno ultimo. Alcuni di siffatti organi, con arroganza, risuscitano dalle nebbie dell'età di mezzo le teorie svanite, in principio ed in pratica, con esse, della supremazia assoluta dell'autorità Papale sulle Signorie Civili, e sul vassallaggio, ancora oggidì da essi sognato, di queste a quella. Con siffatta omissione s'avrebbe voluto affermare in tal senso e render più visibile ed efficace il potere di chi dettò la Bolla.

Non celano siffatti diarii reazionarj il loro compiacimento pella futura solenne affermazione, di cui pajono tenersi di già sicuri, per parte del primo Concilio Generale del Vaticano, delle loro dottrine restrittive ed intolleranti; e la influenza maggiore ed applicazione di esse, nel regime delle società civili sembran essi ora con maggior baldanza vagheggiare. Il terreno spinoso su cui, fra pastoje, in questo paese, si volge e move a mala pena l'opinione liberale, non lascia campo agli organi di essa, pressoché muti anche su questo importante avvenimento, d'oppugnare, come si converrebbe, siffatte discipline e d'opporsi efficacemente a cosiffatte tendenze.

La stampa di parte governativa interviene, sostenendo contro le più che malaccorte allusioni degli organi clericali, le prerogative della Podestà Civile, e non è ad essa malagevole, citando antecedenti storici, a cominciare dal Primo Sinodo Generale in Nicea, e ragionando degli otto Concili! Generali della Chiesa Orientale e della convocatoria del Concilio di Trento, e ponendo innanzi gli alti interessi dell'epoca presente, metter in sodo il diritto e l'opportunità dell'intervento dei Governi temporali al Concilio e della loro partecipazione ad alcune fra le sue deliberazioni.

«Grandi vantaggi poi può ricavare <aggiungono siffatte pubblicazioni periodiche aventi tendenze ed affinità Governative) la Chiesa dal futuro Concilio; grandi ugualmente debbon ripromettersene le Società Civili. La causa di tutti i poteri legittimi è, in oggi, una ed identica; allo spirito di ribellione, che penetra in tutte le sfere, s'han ad opporre ed il principio d'autorità e le mozioni esatte del dovere e dell'obbedienza; al materialismo che impicciolisce ogni sentimento nobile e tutta idea feconda di progresso, ha da far fronte quella dottrina di rettitudine che produce i veri, savi e forti uomini di cui han mestieri le moderne Società ».

In !spagna cosi, non il partito clericale soltanto, accenna ed accarezza la eventualità di discussioni e di decisioni nel futuro Concilio o per parte di esso, di dottrine e di massime riferentisi non strettamente all'ordine spirituale. A seconda di qualche opinione seria che s'emette qui sull'assunto, per essere la Bolla d'indizione un documento di carattere generale «Urbi et Orbi ~ non è in essa inserita formola di speciale invito ai Sovrani.

Gli uomini di questo Governo, per quanto ho potuto desumere, non sono alieni dal credere che un siffatto invito ai Principi Cattolici ed alla Spagna in specie, d'intervento all'Augusto Consesso si verificherà per parte del Pontefice.

La stampa Ministeriale accenna come probabile tale eventualità, e con enfasi castigliana, move il quesito, più o meno opportuno (naturalmente per essa non altrimenti definibile che in caso affermativo), se cioè il rappresentante di Donna Isabella II al Vaticano, potrà tener seggio men distinto di quello, preclarissimo, che occupava l'Ambasciatore di Filippo II al Concilio di Trento.

Il concorso dell'Episcopato Spagnuolo al Concilio venturo, così durando le cose in !spagna, non mancherà di esser numeroso e per quanto possibile completo, avvegnaché non verranno ad esso meno tutte quelle agevolezze di cui la Corte ed il Governo furono larghi a questi Prelati nell'occasione solenne del «Centenario».

È presumibile poi che i 59 diocesani Spagnuoli della Penisola e quelli in più d'oltremare, formeranno, nel Concilio, una falange compatta informata ai medesimi principii restrittivi d'ogni libertà religiosa e civile.

(1) Cfr. nn. 432 e 433.

483

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 262. Berlino, 21 agosto 1868 (per. il 25).

Il giorno innanzi che mi pervenisse il dispaccio N. 90, della Serie Politica (1), avevo avuto campo, discorrendo col Sostituto del Segretario di Stato, di studiare in qual guisa questo Governo giudicasse della situazione creata nei Principati Danubiani dai torbidi scoppiati di recente nella Bulgaria e dalle accuse dirette da Fuad Pacha contro il Governo del Principe Carlo. Mi farò quindi ad esporre alla E. V. l'opinione espresami dal Consigliere de Thérémin.

Questi, dopo aver accennato al primo passo fatto da Fuad Pacha presso le Potenze garanti, mi informava della circolare colla quale ora il Ministro del Sultano chiedeva che, dagli Agenti delle Potenze garanti a Bucharest, si procedesse ad un esame, onde mettere in chiaro quale fosse stata la condotta del Governo dei Principati in presenza dei disordini successi di recenti sul Danubio. Il Signor de Thérémin non comprendeva bene, in che cosa dovesse consistere, ed a qual fine fosse per tendere un simile esame: le informazioni già raccolte dimostravano quanto fossero gravi le difficoltà interne, contro le quali lotta il Principe Carlo: questi non dispone di forze materiali sufficienti, e deve appoggiarsi in parte sul Signor Bratiano, la cui influenza è preponderante nei Principati una immistione diretta delle Potenze garanti potrebbe facilmente condurre a gravi conseguenze, ed essere anche un'arma pericolosa in mano di certi partiti.

Mi parve insomma, Signor Ministro, che questo Governo, in tutto ciò che tocca al Principe Carlo, stia grandemente guardingo: mentre da un lato suppone che l'Austria, la Francia e la Russia, questa però assai meno ora che per il passato, sieno segretamente ostili al Principe, sa d'altra parte che la Potenza Sovrana sarebbe contenta di sbarazzarsene, ove lo potesse, e crede infine che il miglior partito per il Principe, in mezzo a tanti scogli sia quello di tenere a bada le fazioni nel Paese, e, con una stretta osservanza della legalità, non dare appiglio per quanto possibile a veruna accusa.

Oggi, questo Ministero degli Affari Esteri aveva ricevuto da Costantinopoli la notizia che la missione affidata al Signor Golesco presso la Sublime Porta aveva ottenuto un risultato favorevole: Fuad Pacha avrebbe anzi espresso il pensiero che, in seguito alle spiegazioni ed assicurazioni date dal Signor Golesco, riusciva superfluo lo insistere presso le Potenze garanti. Di questa ultima circostanza non era interamente certo il Signor de Thérémin, cui stava molto a cuore di vederla confermata e di non sentir più a parlare di un esame a Bucharest. Mi disse inoltre che, per ora, di qui non si sarebbe risposto a Costantinopoli, e che, secondo le informazioni date dagli Agenti Prussiani all'estero, a Londra, Parigi e S. Pietroburgo si era nel medesimo imbarazzo e si ritardava a disegno di riscontrare alla circolare di Fuad Pacha.

Prego l'E. V. di voler gradire tutti i miei ringraziamenti per i tre documenti diplomatici che accompagnavano il dispaccio politico N. 90...

(l) Cfr. n. 465.

484

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (l)

D. 401. Firenze, 22 agosto 1868.

Vous aurez appris par mes dernières communications qu'un protocole fina! sur la répartition de la dette pontificale afférente aux Provinces annexées a été signé à Florence le 31 juillet dernier entre M. le ministre des Finances et M. le Baron de Malaret.

Cet acte, dont l'importance dans les circonstances actuelles ne saurait vous échapper met un terme aux difficultés que !es regrettables événements de l'année dernière avaient fait surgir relativement à l'exécution des stipulations consacrées par la convention du 15 septembre 1864.

Ces difficultés, le Gouvernement de l'Empereur ne l'ignare pas, étaient en effet d'une gravité incontestable. Nous étions en présence d'une occupation du territoire pontificai par !es troupes françaises contre laquelle nous avions cru devoir protester.

L'opinion publique en Italie en fut justement émue et vit dans le fait de cette occupation une infraction manifeste de la Convention de septembre qui autorisait en conséquence le Gouvernement du Roi, si non à refuser, du moins

à suspendre l'accomplissement des engagements qu'il avait contractés par la dite convention, jusqu'à l'évacuation du territoire pontificai par les troupes françaises et c'est dans ce sens qu'un ordre du jour, auquel le Ministère ne crut pas devoir s'opposer, en faisant toutefois des réserves pour l'avenir, fut voté dans la séance de la Chambre des députés du 21 décembre dernier.

C'est de ces réserves que le Gouvernement du Roi vient de se prévaloir en signant, sous sa responsabilité, le protocole final de la répartition de la dette pontificale.

Un plus mftr examen de la question avait en effet conduit le Gouvernement du Roi à reconnaitre que le répartition de la dette pontificale devant étre réglée d'après les stipulations de la convention du 7 décembre 1866, qui est elle meme un acte international entièrement distinct de la convention de septembre 1864, la signature du protocole final ne pouvait etre retardée. De cette manière le Gouvernement italien, en sortant de la position anormale qui résultait pour lui des événements de l'année dernière se replaçait de fait sur le terrain de la convention de 1864 et se trouvait avoir rempli consciencieusement, de son còté, toutes les clauses que cette Convention renferme.

Nous avons pensé que cette conduite serait dftment appréciée par le Gouvernement de l'Empereur et qu'elle aurait pour résultat immédiat le retrait des troupes françaises du territoire pontificai. Nous ne pouvions pas supposer en effet que le Gouvernement im:périal hésitat à répondre à la marque de confiance que nous venons de lui donner, et se refusat à prendre une mesure qui ne serait qu'un acte de stricte réciprocité envers l'Italie et ferait disparaitre tout sujet d'irritation entre les deux pays.

Le Gouvernement de l'Empereur sait que rien ne menace en ce moment, du còté de l'Italie, la sftreté du Gouvernement du Saint Père, et quant à l'avenir nous lui avons donné les assurances et les preuves les plus positives que nous sommes résolus à ne pas tolérer les tentatives d'invasion des frontières pontificales et que nous pouvons au besoin les réprimer avec toute la sévérité de la loi.

Nous avons manifesté d'ailleurs notre désir bien sincère de vivre dans des rapports de bon voisinage avec le Gouvernement du Saint Siège en formulant un projet de modus vivendi que le Gouvernement Impérial a trouvé de tout point raisonnable et satisfaisant.

Il n'y aurait pas de notre faute si la cour de Rome en le repoussant, ne se montrait pas animée des memes sentiments à notre égard.

Cela posé, après l'acte important que nous venons d'accomplir par la signature du protocole en question, vous conviendrez M. le Ministre, que la prolongation de l'occupation du territoire romain par les troupes impériales, ne s'appuyant plus sur aucun motif, ne serait pas comprise de l'opinion publique en Italie et mettrait le Gouvernement du Roi dans une situation des plus difficiles et des plus pénibles. Nous avons trop de confiance dans la droiture et dans la confiance du Gouvernement Impérial pour ne pas etre sftrs qu'il voudra tenir compte des considérations que nous venons d'exposer et dissiper ainsi tout sujet d'appréhension que l'on pourrait avoir conçu en Italie.

Veuillez, M. le Ministre, donner lecture de cette dépéche à S. M. M. le Ministre des Affaires Etrangères et lui en laisser copie, s'il vous en exprim!; le désir.

(l) Ed in LV 14, pp. 68-70 e in Origines diplomatiques, vol. XXII, pp. 53-55.

485

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 707. Firenze, 23 agosto 1868, ore 12,45.

Nous apprenons par les journaux que de graves sévices auraient [étéJ commises contre des ouvriers piémontais à Montceau les mines département Saòne et Loire. Comme des faits semblables se réproduisent depuis quelque temps je vous prie de prendre des informations à ce sujet et d'envoyer au besoin une personne de votre confiance sur les lieux pour avoir des renseignements exacts. Vous me ferez ensuite connaitre votre avis relatif aux satisfactions à obtenir s'il y a lieu et aux mesures à prendre pour l'avenir (1).

486

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1248 (2). Parigi, 23 agosto 1868, ore 18 (per. ore 19).

Je crois que l'envo1 d'un membre de la légation du Roi à Montceau peut avoir des inconvénients vis-à-vis des autorités locales. Consul italien de Lyon qui se trouve presque sur les lieux pourrait y aller avec moins d'inconvénients. Néanmoins je ferai partir un secrétaire de légation sur un mot de vous par le télégraphe. Ici puis il n'est pas possible d'avoir d'autres informations que celles du Gouvernement que j'ai demandé.

487

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 708. Firenze, 24 agosto 1868, ore 15.

Je n'ai pas désigné le consul de Lyon parce que il est seul en ce moment (3). Mon désir est d'avoir sur cette affaire des renseignements exacts

indépendants de ceux que peut fournir l'autorité locale. Je vous laisse le soin d'aviser aux moyens de les obtenir en évitant les inconvénients que vous indiquez.

(l) -Per la risposta cfr. n. 486. (2) -Risponde al n. 485. (3) -Cfr. n. 486.
488

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 402. Firenze, 24 agosto 1868.

Le interruzioni avvenute nelle comunicazioni postali fra l'Italia e la Francia hanno fatto sì che la narrazione dei fatti accaduti il 10 corrente a Montceau les Mines, riferiti nei diarii francesi non cadesse sotto i miei occhi prima di ieri. Le ho tosto telegrafato (l) di procurarmi quelle più esatte informazioni che si potrebbero avere mediante un'accurata verificazione dell'accaduto, ed ho anzi lasciato in di Lei facoltà di mandare sui luoghi un impiegato della

R. Legazione e del R. Consolato, ove una tale visita fosse da Lei reputata necessaria.

Ho letto il racconto di quei fatti nel Journal de Sa6ne et Loire e nel Journal de Miìcon. Nell'uno e nell'altro giornale si annette molta gravità all'ac-caduto sebbene i due fogli non siano poi d'accordo nell'apprezzamento delle cause che possono aver motivato così deplorevoli scene. Rimarrebbe però in qualunque modo dimostrato che nessuna provocazione avrebbe avuto luogo in quel giorno medesimo in cui il villaggio des Alouettes fu invaso dalla turba forsennata dei lavoranti francesi che volevano massacrare gl'Italiani colà dimoranti. La premeditazione che non può essere esclusa negli operai francesi in questo affare ne aggrava assai l'importanza e forse potrà accadere che dopo simili fatti la sicurezza personale dei R. R. sudditi in quella località sia talmente minacciata da costringere gl'Italiani ad abbandonarla. In tale ipotesi non mi par dubbio che in quei R. R. sudditi nasca un diritto ad un risarcimento, come pure sono convinto che un risarcimento pei danni patiti sia dovuto a coloro che furono vittima dei mali trattamenti e dell'aggressioni occorse.

Il numero degl'Italiani che si reca annualmente in Francia a lavorare è talmente grande che noi non sapremmo trascurare in alcun modo tutto ciò che risguarda un così grave interesse. La presenza di tanti lavoratori nostri in Francia non è cosa che interessi esclusivamente il nostro paese, ma è, come Ella sa, quistione importantissima per molti rami di industria dell'impero. Non dubitiamo quindi dell'appoggio che le pratiche che Ella potrà fare presso codesto Governo troveranno nel desiderio di quest'ultimo di tutelare ad un tempo gl'interessi reciproci degl'Italiani e dei Francesi contro la brutalità delle masse ignoranti spinte, non si sa troppo da qual causa, ad atti di riprovevole violenza.

(l) Cfr. n. 485.

489 L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 56. Tunisi, 24 agosto 1868 (per. il 29).

Mi è pervenuto il riverito dispaccio confidenziale dell'E. V. in data 7 corrente n. 23 di questa serie (l).

Profittando della libera scelta !asciatami da V. E. ho creduto opportuno di non mostrare al Barone di Castelnuovo che ero informato appieno delle trattative iniziate a Parigi dal Governo del Bey; ciò che mi ha permesso di non pronunziarmi intorno ad esse e di conservare quella attitudine di aspettativa che mi sembra suggerita dallo stato delle cose e conforme alle intenzioni dell'E. V., tanto più in vista dell'interesse personale che detto Signor Barone porta alla riuscita di quelle trattative; egli invece mi ha riferito dettagliatamente quanto già sapevo intorno alla natura della progettata operazione, la quale, per la parte che concerne l'assentimento del Bey, venne testé menata a conclusione, avendo Sua Altezza firmata la relativa convenzione.

Ora il nodo della questione giace nell'ottenere dai creditori stranieri, o dai Governi ond'essi dipendono il consenso all'unificazione del debito, secondo l'impegno assunto dagli speculatori che intraprenderebbero l'operazione; per eccitare maggiormente lo zelo dei quali il Governo tunisino ha loro promesso segretamente, come venni informato in via confidenzialissima, un premio di 2 milioni di franchi qualora giungano ad ottenere dalle Potenze sia detto consenso che il riconoscimento dell'autonomia politica della Reggenza.

Passando ora a fornire all'E. V. nel miglior modo che mi sarà possibile gli schiarimenti domandatimi, seguirò lo stesso ordine in cui vennero formulati relativi quesiti.

1° Nulla vi ha finora, che io sappia, di determinato circa la natura ed estensione delle Leggi organiche che il Bey s'impegnerebbe a promulgare ed osservare; l'oggetto sostanziale delle medesime sarebbe però, a mio credere, una guarentigia della libertà personale e della proprietà privata, sulle quali fino ad oggi il Bey esercita un assoluto dominio senz'altro limite che il proprio arbitrio o capriccio; si tratterebbe insomma d'una specie di Tanzimat.

Questa guarentigia è vivamente reclamata dai Mamelucchi, specie di oligarchia che accentra in sé potere. onori, ricchezze, e nei quali un esempio recente ha risvegliato il sentimento del pericolo continuo che corrono la vita e le sostanze loro.

Quanto poi alla Costituzione proclamata or san pochi anni e poscia abolita non troverei conveniente che si cercasse di risuscitarla, come si vorrebbe da taluni, come quella che fece in pratica mala prova e fu causa non ultima dei mali ond'è ora afflitto questo paese.

39 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

Se le riforme saranno circoscritte entro i limiti che suppongo e desidero, gli stranieri non potranno che rallegrarsi di Leggi aventi per oggetto di far nascere quel sentimento di sicurezza che è elemento indispensabile di prosperità per uno Stato.

2° Il valore in corso dei vari crediti di RR. sudditi verso il Governo tunisino è il seguente:

la Conversione ................ 62 % 2a detta . . . . . . . . . . . . . . . . 44 % 3a detta . . . . . . . . . . . . . . . . 34 % Triennali e debito galleggiante 20 %.

Mentre pertanto i titoli non compresi nelle conversioni guadagnerebbero moltissimo colla progettata unificazione, non si potrebbe dire altrettanto dei titoli compresi in quelle e segnatamente nella prima, per i quali si osserva una continua tendenza al rialzo e che danno un interesse assicurato del 12 %.

3° Il consenso dei creditori del Governo tunisino all'unificazione sarebbe, dietro generale opinione, subordinato alla condizione che una guarentigia solida ed indipendente dal Governo del Bey assicurasse i nuovi titoli; si vorrebbe in una parola guadagnare sotto il rapporto di maggiore sicurezza quanto st venisse a pardere sotto quello dell'interesse, e questa maggiore sicurezza nou si sarebbe disposti a trovarla che o in una guarentigia delle Potenze o In quella di capitalisti di prim'ordine.

4° Applicando ai contratti fra il Governo del Bey ed i suoi creditori i principj generali di diritto, mi sembra che i creditori sarebbero fondati a reclamare contro una novazione, mediante cui il debitore renderebbe di proprio arbitrio deteriore la loro situazione, riducendo l'interesse, rendendo problematico e, nella migliore ipotesi, lunghissimo l'ammortizzamento del capitale, il quale nello stato attuale, segnatamente per la prima conversione, potrebbe seguire in un breve giro d'anni per poco che i raccolti fossero favorevoli, e diminuendo forse anche la sicurezza col togliere le speciali guarentigie di cui godono le conversioni senza sostituirvene altre. Nel caso però che la grande maggioranza dei creditori accettasse, come avverrebbe senza fallo se l'operazione fosse eseguita e garantita da banchieri di prim'ordine, non credo che il Governo del Re dovrebbe tener conto dell'opposizione e dei reclami eventuali di alcuni pochi; in questo caso dovrebbe dirsi summum jus summa injuria e tale opposizione non potrebbe fare ostacolo ad una misura d'interesse generale e d'innegabile importanza politica per il nostro paese, quale sarebbe il ristauro delle Finanze tunisine.

5° È certo prevedibile che il compito della Commissione internazionale da stabilirsi in Tunisi sarebbe dei più ardui e darebbe luogo a difficoltà ed im'Jarazzi assai gravi pei Governi concorsi a formarla, i quali dovrebbero, perché l'azione sua non fosse illusoria, tenere continuamente gli occhi aperti sul Bardo ed avvisare ai mezzi pratici occorrenti ad impedire che esso, profittando, come è troppo facile, delle antipatie degli arabi verso gli Europei, venisse a deludere l'opera della Commissione ed a stornare parte delle pubbliche rendite; se non che, non occorrendo al pensiero altro mezzo per tentare di dar sesto all'aroministrazione della Tunisia che quello della Commissione internazionale, questo sembra da raccomandarsi in mancanza d'altro migliore, malgrado gli inconvenienti che presenta.

(l) Non sl pubbllca.

490

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

D. 25. Firenze, 25 agosto 1868.

Col Rapporto ch'Ella mi ha indirizzato il 18 corrente (l) ebbi tutte quelle informazioni che il Governo del Re poteva desiderare sull'incidente occorso a seguito delle conversazioni della S. V. col Cancelliere Imperiale d'Austria sulla probabilità di un più intimo accordo fra l'Impero Austriaco ed il Regno di Prussia.

Prima di aver sott'occhio questa di Lei relazione io avea già scritto al Ministro di Sua Maestà a Parigi un dispaccio (2) di cui Ella troverà qui unito copia. Come la S. V. può vedere io mi sono interamente appoggiato in quella mia comunicazione a Parigi ai dati ch'Ella mi avea precedentemente somministrato coi suoi rapporti anteriori a quello sovraindicato. Epperò spero che ìn questo modo l'incidente occorso possa ormai considerarsi come terminato andando noi lieti di vedere che anche per parte del Cancelliere Austriaco sia pienamente ammessa l'esattezza di quanto Ella ha riferito al R. Governo (3).

491

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DELL'INTERNO, CADORNA

D. R. S. N Firenze, 25 agosto 1868.

Il Barone dì Villestreux, Incaricato d'Affari di Francia in questa residenza ha comunicato allo scrivente un rapporto del console di Francia in Milano relativo alle mene del partito d'azione, dal quale rilevasi quanto segue:

« Pianciani annunzia che deve scoppiare sabato un movimento in Roma. Cattabeni deve trovarsi nel bosco di Sora. Menotti Garibaldi, arrivato ieri a Genova prenderebbe tosto con Canzio il comando della spedizione marittima. Garibaldi li raggiungerebbe in alto mare».

Sebbene ritengasi se non del tutto false almeno esagerate alquanto queste notizie, cionondimeno reputa conveniente chi scrive informarne con premura il suo collega dell'Interno pregandolo di far procedere ad una esatta verificazione delle cose suesposte, acciocché qualora esse fossero dettate dagli Agenti

di Francia in Italia per un eccesso di zelo possa il Ministero essere in grado di rispondere agli avvertimenti che gli vengono dati dal Governo Imperiale di Francia.

(l) -Cfr. n. 480. (2) -D. 400 del 20, non pubblicato. (3) -Con R. r. 723 del 25 agosto Nigra informò di aver esposto a Desprez il reale tenore delle conversazioni fra Beust e Pepoli.
492

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 721. Parigi, 25 agosto 1868 (per. il 28).

Secondo le istruzioni che l'E. V. mi fece l'onore d'impartirmi col dispaccio del 14 corrente n. 397 di serie politica (1), mi sono informato confidenzialmente presso il Signor Desprez, Direttore della Divisione Politica al Ministero Imperiale degli Affari Esteri, della risposta che il Governo francese avrebbe fatto alla domanda della Turchia tendente a ottenere dalle Potenze garanti un'azione comune presso il Governo dei Principati Uniti di Valacchia e Moldavia per segnalare la partecipazione o la tolleranza delle Autorità in Rumenia agli ultimi fatti di Bulgaria e per richiamare il Gabinetto di Bukarest alla osservanza delle relazioni di buon vicinato che gli sono imposte dai suoi doveri verso la Porta. Il Signor Desprez mi disse che il Governo francese aveva risposto alla domanda della Porta coll'annunziarle che esso aveva di già prevenuto in qualche guisa i di Lei desiderii, giacché prima che questa domanda gli giungesse, aveva di già ordinato all'agente francese a Bukarest d'informarsi dei fatti e di fare osservazioni al Governo rumeno quando gli risultasse che esso avesse partecipato o tollerato direttamente o indirettamente ai moti Bulgari. Il Governo Francese non è d'avviso, mi soggiunse il Signor Desprez, che sia il caso d'un'azione comune delle Potenze garanti presso il Governo Rumeno.

Appresi poi dal Signor Desprez che il Governo inglese diede istruzioni al Console Britannico a Bukarest d'informarsi dei fatti, e in caso di partecipazione ad essi del Governo Rumeno, di fargli vive e severe osservazioni.

493

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 38. Vienna, 25 agosto 1868 (per. il 28).

A norma delle istruzioni contenute nel suo dispaccio serie politica a. 23 (2) io interrogai personalmente il Barone di Beust sugli intendimenti del Gabinetto austriaco intorno agli affari dei Principati e chiesi se egli avesse mandato al Governo Rumeno una nota sugli ultimi fatti della Bulgaria.

Egli mi rispose che egli avea ultimamente mandato una nota al Principe Carlo però molto mite nella forma perché se egli avea creduto di seguire le tracce della politica francese in Oriente anche in questa vertenza, non avea creduto però utile d'imitare lo stile della nota francese che cominciava dal rammentare lungamente i servizi resi dalla Francia alla Rumania e terminava lamentandosi della ingratitudine del suo Governo. L'Austria benché abbia reso degli importanti servizi ai Principati Uniti ha creduto però utile non rammentarli parendogli che la sua parola sarebbe più autorevole. Egli finì esprimendomi il desiderio che il Gabinetto di Bukarest procedesse d'ora in avanti con maggior lealtà e con maggior indipendenza.

Nell'accusare ricevuta all'E. V. dei pregiati dispacci ministeriali serie politica nn. 21, 22, 23, 24... Cl).

(l) -Cfr. n. 465 inviato a Parigi con numero di protocollo 397. (2) -Cfr. n. 465 inviato a Vienna con numero di protocollo 23.
494

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 39. Vienna, 25 agosto 1868 (per. il 28).

Sabato sera il Barone di Beust ritornò alla perfine da Gastein, ma io non potei vederlo che Lunedì mattina, benché Domenica mi recassi immediatamente al suo palazzo: egli era partito per la sua campagna.

Ella intenderà di leggieri, Signor Ministro, quanta fosse la mia impazienza di vederlo, impazienza aumentata in me pur anca dal tenore dei Suoi precedenti telegrammi.

Io confido che Ella avrà ricevuto Lunedì medesimo il mio dispaccio telegrafico (2), ed avrà potuto convincersi come il fatto riferito a S. M. l'Imperatore Napoleone fosse completamente erroneo.

Io confesso il vero ero molto turbato, poiché io intendevo benissimo come la cosa potesse diventare grave se per avventura il Barone di Beust avesse

o male inteso o adulterato le mie idee. Io era perfettamente sicuro di non aver pronunziato neppure una parola che potesse autorizzare il Cancelliere dell'Impero ad affermare che io avessi enunciato il concetto di una triplice alleanza fra l'Italia, l'Austria e la Prussia ma d'altra parte le affermazioni venute da Parigi erano così positive che io naturalmente temeva che fosse nato un equivoco, o che per fini a me ignoti, si fosse astutamente lanciata contro di me la strana ed incoerente accusa.

Io però senza valermi di nessun artificio diplomatico, senza nessun preambolo esplicativo, entrai subito in argomento, e dichiarai al Barone di Beust che io era altamente meravigliato che il mio Governo avesse ricevuto un dispaccio da Parigi annunziante che l'Imperatore Napoleone «avait appris avec regret que le Marquis Pepoli avait énoncé dans une entrevue avec le Baron de Beust

le projet d'une triple alliance entre l'Autriche, la Prusse et l'Italie ». «Ella sa, Signor Barone, che ciò è completamente falso! Ella sa che lungi di avere partecipato ad idee bellicose in un senso od in un altro, io Le ho sempre parlato a nome del mio Governo in un senso completamente pacifico, Le ho sempre dichiarato nel modo più formale ed esplicito che la politica del Governo Italiano era la neutralità, che le aspirazioni del Gabinetto che il Generale Menabrea presiede, sono aspirazioni eminentemente pacifiche. Se io fossi venuto in segreto convegno ad enunciare od architettare progetti contro la pace del mondo, o contro la sicurezza di una potenza amica, io avrei completamente falsificato le mie istruzioni, ed avrei commesso un inqualificabile abuso di fiducia».

Il Barone di Beust non esitò un istante a convenire meco, senza reticenza alcuna che le mie parole erano strettamente conformi alla verità dei fatti e che egli non intendeva i sospetti, e le inquietudini che agitavano l'Imperatore ùei Francesi.

«Sono appena quindici giorni che l'Imperatore mi fece telegrafare a Gastein, aggiunse il Barone di Beust, onde io sapessi esser egli profondamente ~ommosso dalla notizia pervenutagli che io, in un colloquio col Marchese Pepoli aveva espresso il desiderio di avvicinarmi al Governo Prussiano. E vi confesso che trovai la notizia strana ed inverosimile, poiché io nel colloquio che ebbi con voi anzi vi esposi lungamente le ragioni che militano in un senso affatto opposto». Io qui l'interruppi e gli posi sott'occhio la nota che ho avuto l'onore di scrivere a V. E. (l) e che rende conto esattissimo di un colloquio doppiamente e stranamente falsificato. Io non Le nascondo che provai un senso di alta compiacenza, quando il Barone di Beust, udito che ebbe la lettura di quel documento, mi dichiarò che io avevo riprodotto in modo fotografico le sue idee, e che egli non aveva nulla da aggiungere né da togliere a quanto egli mi disse in quel giorno. Egli convenne pur meco come io gli avessi dichiarato prima di uscire dal suo Gabinetto che anche prima di quel colloquio io fossi profondamente convinto che la notizia del riavvicinamento della Prussia e dell'Austria non avesse probabilità alcuna, come pure mi rammentò che io gli aveva dichiarato non chiedergli conto della verità di quelle voci perché io ne fossi allarmato, ma perché desideravo informare immediatamente il mio Governo, e non mi peritai a convenire che io gli aveva dichiarato che l'Italia fedele alla politica di pace che ella propugna senza ambagi, avrebbe veduto sempre con piacere prodursi dei fatti efficaci e consolidare la pace, e a disperdere ogni probabilità di dissidi e di guerre europee.

Io non proseguo più oltre. La giustificazione mi lusingo non poteva essere né più piena né più immediata: io però sento in me l'obbligo di chiamare l'attenzione di V. E. sopra quanto è successo, imperocché credo sarebbe utile rintracciare l'origine della doppia menzogna che ha offeso la mia onestà di funzionario e la mia dignità di ministro. E credo non andare errato affermando che non sarà difficile il ritrovarla nell'irrequietezza della diplomazia francese che dove non trova dei complici sogna dei nemici (2).

(l) -Non pubblicati ad eccezione del d. 23 di cui alla nota precedente. (2) -T. 1250 del 24 agosto, non pubblicato. (l) -Cfr. n. 480. (2) -Annotazione a margine: «Converrà mandare copia di questo dispaccio al Cav. Nigra».
495 IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

ANNESSO CIFRATO (l) Parigi, 27 agosto 1868.

La nomination de M. Lagueronnière à Bruxelles a fait renaitre les bruits de négociations que la France voudrait entamer avec la Belgique et la Hollande, en prévision de certaines éventualités. J'ignore les instructions données à Lagueronnière, mais le caractère de ce personnage et ses antécédents autorisent à croire que ces bruits pourront bien acquérir quelque fondement à l'avenir.

496

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO .<\ COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. 99. Firenze, 28 agosto 1868.

I rapporti che Ella mi ha indirizzati sino al N. 156 di questa serie mi giunsero regolarmente. Ho preso nota di quanto Ella mi scrive relativamente al Berat d'investitura di S. A. il Principe Milan di Serbia. Era già persuaso che osservazioni di qualche importanza non erano state fatte da alcuna Potenza riguardo a siffatte concessioni, perché nessuno dei gabinetti interessati ci aveva fatto esprimere i suoi particolari intendimenti a questo proposito. Ma ciò che più importava di conoscere era la forma in cui Le era stata fatta la comunicazione del Berat Imperiale.

Col mio dispaccio del 12 corrente (2), Lo ho [prescritto] di dare atto nelle forme consuete a S. A. Fuad Pascià della comunicazione verbale fattami da Rustem Bey intorno allo stesso argomento; ma non rimane però con ciò che rimediato in piccolissima parte all'inconveniente risultante dal non aver le Potenze aderito in nessuna forma scritta e regolare all'atto importante destinato a mutare il Principato elettivo di Serbia in uno Stato mezzo sovrano retto da una dinastia.

È appena credibile che trattandosi di una modificazione così essenziale, nella costituzione del Principato, ed in presenza dei termini espliciti dell'articolo 28 del Trattato di Parigi del 1856, la Sublime Porta possa ritenere di aver contribuito a mettere in istabile assetto le cose interne della Serbia, astenendosi, come ha fatto, dal promuovere dai Governi interessati un atto almeno di separata accettazione. Può infatti sembrare che meglio sarebbesi provveduto alla stabilità dell'ordinamento attuale della Serbia se al medesimo si fosse avvedutamente cercato di assicurare il riconoscimento delle Potenze che firmarono il trattato del 1856. Non saremo noi a sollevare a questo proposito

un incidente presso il Governo del Sultano, mentre tutti gli altri Gabinetti sembrano volersi astenere dal fare osservazioni; ma anche questa astensione dei vari Governi merita la nostra attenzione, perocché nella medesima potrebbesi forse scorgere un indizio del loro desiderio di mantenersi liberi da ogni impegno in ciò che concerne i futuri rivolgimenti della Serbia. Noi non sappiamo se possa essere veramente nell'interesse della Sublime Porta di pregiudicare sensibilmente le quistioni di diritto per accontentarsi di facili trionfi che le pare di ottenere nelle quistioni di pura forma.

(l) -Al r. 724, non pubbl!cato. (2) -Non pubblicato.
497

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. RR. II. Monaco, 31 agosto 1868.

Uniformandomi alle istruzioni impartitemi dall'E. V. cogli ossequati suoi dispacci di questa stessa serie N. I e II (l) riflettenti la convocazione del Concilio Ecumenico mi faccio un dovere d'iniziare a questo riguardo una apposita serie di relazioni.

A causa delle frequenti assenze da Monaco del Principe Hohenlohe non ebbi agio fino ad ora ad intrattenere di quest'importante materia il Ministro degli Affari Esteri del Re Luigi II di maniera che vorrà l'E. V. acconsentire che io mi limiti per ora a riferirle notizie generali ed altre particolari desunte da conferenze e studii extra-ufficiali.

Ella non ignora, Signor Conte, che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa sono in Baviera regolati da un Concordato che data dal 1817 e che accorda alla Corona maggiori privilegi sulla Chiesa che in ogni altro Stato della Germania: da questo stato di cose nasce la ragione degli sforzi che fa qui il clero da lungo tempo per acquistare alla Chiesa l'esercizio degli stessi diritti, degli stessi privilegi ch'essa gode in Prussia.

Il Re nomina i Vescovi, lo Stato provvede alla maggior parte delle parrocchie e dei beneficii vacanti, ha la sorveglianza delle scuole ed inoltre, in seguito di un nuovo progetto di legge sulle scuole, esercita un'autorità esclusiva sull'istruzione pubblica. Con una volontà ferma ed un po' d'energia per parte del Governo potrebbesi dunque in Baviera frenare l'influenza del Clero indigeno e sopratutto quella del clero forestiero. Sotto Massimiliano I diffatti e precisamente durante il Ministero Montgelas vennero proibite tanto nelle vie delle città che sugli stradali nazionali le iscrizioni religiose e le immagini dei Santi. L'ordine dei Gesuiti non poté giammai ottenere l'autorizzazione di stabilirsi nel paese; a Rayensbourg (Ratisbona) soltanto vi stanno in una casa particolare in numero di tre o quattro, i quali non possono né possedere né vi godono dei diritti civili. Mi sembra per tanto da questi fatti poter dedurre che se la Baviera è considerata come un sostegno di Roma sebbene un terzo della sua popolazione sia protestante, e questa rappresenti la parte

pm ricca e più colta del paese, lo si deve anzi che ad altre cause attribuire alla tradizione dell'antica politica dell'elettorato, paese eminentemente cattolico ed alle tendenze personali del fu Re Luigi I il quale come ognuno sa nutriva caldi sentimenti cattolici. Si racconta infatti che quel Monarca non avendo molta fiducia nei sentimenti cattolici del suo figlio Massimiliano Il, che lo credeva protestante segreto e fors'anche ateista, abbia appositamente conferito le mense vescovili vacanti a giovani prelati de' cui sentimenti ultramontani era sicuro; il suo scopo fu evidentemente di impedire che si facessero delle sedi vacanti sotto il regno di Massimiliano, il quale avrebbe forse nominato de' Vescovi liberali e più indipendenti da Roma. Abbiamo però il Vescovo di Ratisbona, Monsignor Sennestrey il quale sebbene nomina,to da Massimiliano II è il più esaltato del clero ultramontano, ma egli deve il suo posto al suo intimo amico e compagno Efistermeister, Consigliere di Stato e Segretario particolare del defunto Re. Credo che Monsignor Sennestrey sia allievo del « Collegium Germanicum » di Roma ed è colà precisamente che si sarebbe reso benemerito al Re Massimiliano, quando egli andò a visitare l'eterna città al quale avrebbe però cercato di nascondere i suoi sentimenti ultramontani. È il basso clero che in Baviera avrebbe forse tendenze più liberali, ma sebbene come dissi più sopra sia lo Stato che conferisce i beneficii vacanti egli è in pari tempo completamente dipendente dal proprio Vescovo il quale si serve del mezzo di interdire loro di concorrere alle vacanze beneficiali allorché si tratta di un prete cui s'attribuiscono principii liberali.

I teologi bavaresi, cui si può accordare il titolo di scienziati, trovansi oggi divisi in due campi opposti; uno tra questi è quello cosi detto dei Germanisti i quali introducono la filosofia nella teologia; per essi la ragione prevale all'autorità e tendono ad emancipare la Chiesa da Roma.

Il Capo di questo partito è il sacerdote Dollinger del quale tenni parola a V. E. nella mia relazione N. I di questa medesima serie (1), egli è tenuto in grandissimo merito è riguardato in Germania come un distinto teologo e reputatissimo storico. Egli appartenne anticamente al partito ultramontano e precisamente sotto il regno di Luigi I sosteneva dottrine improntate al più assoluto fanatismo cattolico. Le sue opinioni hanno poscia subito modificazioni radicali ed è in oggi considerato come uno dei più liberali scienziati cattolici. Già da molto tempo egli sostiene e difende la tesi «che il potere temporale dei Papi non solo non è necessario alla dignità della Chiesa ma che invece arreca ad essa nocumento grande». Si crede che se Roma non ha sin'ora lanciato contro di lui le sue censure e messe all'indice le sue opere si è perché teme l'influenza che esercita il suo partito sopra ciò che havvi di più colto in Germania e per gli effetti che ne potrebbero pur derivare sopra i cattolici liberali dell'Inghilterra, il cui capo Lord Acton fu scolaro al Dollinger. È però vero ch'egli ora scrive poco e tiene una condotta piuttosto riservata, ma conosciuto qual'è a Roma si teme forse di svegliare il can che dorme: ognuno sa quanto prevale nell'eterna città il principio esser meglio che il mondo dorma.

Il centro come già dissi del Germanismo teologico è Monaco. Oltre il Dollinger trovansi all'università di Monaco due altri preti, i cui scritti sono con

dannati dalla Congregazione dell'Indice; l'uno di essi è il filosofo Frohschammer e l'altro il dottore Kichler autore della Storia della separazione della Chiesa Orientale dall'Occidentale: in questo lavoro l'autore sostiene essere l'Occidente ossia Roma la causa della disunione delle due Chiese.

Nella prossima mia relazione narrerò le notizie che ho potuto procurarmi intorno agli uomini che militano nel campo opposto, su cui mi occorre constatare meglio l'esattezza di alcuni particolari.

(l) Cfr. nn. 432 e 433.

(l) Non pubblicata.

498

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 710. Firenze, 2 settembre 1868, ore 17,15.

Tachez de vous mettre en mesure de m'informer exactement des probabilités de guerre et de paix. Veuillez répondre en attendant ce que vous croyez (1).

499

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

-

T. 1255. Parigi, 3 settembre 1868, ore 15 (per. ore 17,25).

La situation est toujours la méme, il n'y a aucune cause speciale et administrative d'inquiétude, mais les causes générales persistent avec la méme intensité. Les assurances de paix se multiplient en méme temps que les armements. L'Empereur dit que maintenant qu'il est armé et fort, il est plus en mesure de maintenir la paix que lorsque il n'était pas pret à faire la guerre. Pour le moment je ne vois pas de danger imminent. Je vous ècrirai par l'occasion de Kirschnel dans quelques jours.

500

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1256. Parigi, 3 settembre 1868, otte 17,35 (per. ore 19,45).

Moustier m'a dit aujourd'hui que l'Empereur tout en étant décidé à retirer ses troupes de Civitavecchia lorsqu'il pourra le faire sans inconvénients, il ne croit pas que le temps soit venu de prendre une pareille détermination, et il ne m'a pas laissé espérer que ce temps viendra avant l'ouverture de notre Parlement. J'enverrai à V. E. détails de la conversation (2).

(l) -Per la risposta cfr. n. 499. (2) -Cfr. n. 504.
501

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 265. Berlino, 3 settembre 1868.

Un pegno di fiducia nel mantenimento della pace è dato da questo Governo. Per ordine del Re, mentre le riserve saranno congedate appena le manovre avranno avuto fine, cioè verso la metà del corrente mese, il nuovo contingente sarà chiamato sotto le armi soltanto al mese di Gennaio, invece di essere riunito al prossimo Ottobre.

È bensì vero che le considerazioni economiche hanno forse la principale parte in questa decisione, e che l'importanza della medesima è in Prussia di minor peso che altrove, se si pon mente all'organizzazione militare del paese. Ma ciò nondimeno dessa non sarebbe conciliabile colla previsione di una prossima guerra. È giudizio degli uomini dell'arte che occorrono sei mesi d'istruzione perché il fantaccino prussiano sia abbastanza formato al mestiere delle armi, onde entrare in campagna, ed un termine più lungo per le altre armi. Il contingente, chiamato sotto le bandiere nell'ottobre, è quindi pronto alla guerra nell'aprile, e non lo è che in Luglio, se vien chiamato al principio dell'anno.

Il Signor d'Abecken, con cui ebbi l'occasione d'intrattenermi stamane, mi esprimeva il suo stupore per la persistenza, colla quale una parte del giornalismo francese teme, o si studia di tener vivo il timore, di vicina guerra. «Non saprei, mi ha detto il mio interlocutore, trovame la ragione, fuorché nelle speculazioni e nei giuochi di Borsa. Il bisogno della pace, l'interesse generale di non turbarla, sono evidenti. Tutte le questioni, che da lungi potevano minacciarla, vengono con somma cura allontanate dai Governi. Ne abbiamo avuto prove recenti nella Serbia e nella Rumenia. I Gabinetti di Bruxelles e dell'Aja protestano contro il progetto di alleanza militare e doganale colla Francia. Il Marchese di Moustier conversando col nostro Incaricato d'Affari a Parigi ha pure respinto la parte, che si attribuiva all'Imperatore in siffatte combinazioni. I congedi accordati in Francia non furono mai sì numerosi. La disposizione presa ora in Prussia di ritardare di 3 mesi il nuovo contingente dimostra la fiducia, colla quale noi consideriamo l'avvenire».

Se però in Europa quell'inquietudine, che tanto nuoce al commercio resiste ancora a tante prove, converrà credere che soltanto una riduzione radicale degli eserciti potrà far rinascere quella calma e tranquillità, che è il voto di ogni saggio Governo.

Toccando della Conferenza dei tre Ministri della Guerra degli Stati Meri· dionali della Germania, fissata al 24 corrente, ho potuto constatare che ne:>suna divergenza esiste finora in tale ordine d'idee fra il Governo del Nord e quelli del Sud. I suddetti Ministri si riuniranno senza programma per ricercare in comune le basi di un accordo: i trattati offensivi e difensivi esistenti colla Confederazione del Nord ne formeranno la base, siccome V. E. sa che ne fu fatto la dichiarazione al Re Guglielmo.

502

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, A ... (l)

L. P. Berlino, 3 settembre 1868.

Il Conte de Launay, partendo da Wiesbaden, mi ha informato della conversazione che aveva avuto con il Signor Abecken, a Ems, circa l'affare Bernhardi. e mi ha lasciato l'istruzione d'informarmi del seguito che dessa avrebbe e di riferirlo alla S. V. Nella occasione che ebbi oggi di parlare col ff. di Segretario di Stato, gli chiesi quindi se avesse fatto qualche passo ed ottenuto a tale riguardo un risultato. Il Signor Abecken mi disse che, appena ritornato da Ems ne aveva fatto parola al Segretario particolare del Conte di Bismarck, onde concertare con lui la migliore via da seguirsi per ottenere lo scopo che si desiderava. Convennero che era necessario riferirne al Conte di Bismarck, e ciò di viva voce e non per iscritto. Ma siccome appunto in quei giorni il Primo Ministro fece la caduta da cavallo, di cui si parlò nei giornali, e ne riportò una scossa fortissima ai nervi ed una recrudescenza al suo malessere, il Signor Abecken stimò che non era opportuno in tal momento trattenerlo di quanto il Conte de Launay gli aveva detto, e si riserva di farlo non appena il Conte di Bismarck starà meglio. «Se avete l'occasione di scriverne a Firenze, aggiunse, fatemi il piacere di dire che, secondo la mia opinione personale, il Signor B. è vittima di qualche malinteso, di una non esatta interpretazione di qualche suo atto. Sapete che egli tiene una corrispondenza privata, non ufficiale. Io ho visto varie sue lettere e so di certa scienza che le opinioni sue, ciò che egli scrive, i suoi sentimenti, sono tutti in favore del Ministero presieduto dal Generale Menabrea. Se il Signor B. ha avuto dei rapporti con qualche persona del partito d'azione, sarà certamente stato per vedere più chiaramente nei calcoli di quest'ultimo. Questa mia opinione vorrei che la faceste conoscere, perché temo che il B. sia la vittima di qualche malinteso. Ciò non toglie però che rimanga fermo quanto si è convenuto, e che io faccia a suo tempo i passi convenuti». Ho ringraziato il Signor d'Abecken di questa sua comunicazione e gli ho promesso di riferirla in lettera privata a Firenze: il che faccio ora, conformandomi anche all'istruzione del Conte de Launay.

La prego di presentare i miei omaggi a S. E. il Conte Menabrea ...

503

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 712. Firenze, 4 settembre 1868, ore 11,40.

Il me semble que la réponse que vous a donné M. de Moustier (2) est assez importante pour qu'il soit nécessaire que je connaisse votre conversation

avec lui. Veuillez donc m'en écrire les dètails (l). Malgré cette réponse je crois devoir insister de nouveau pour que la France remplisse ses engagements et je compte sur des démarches actives de votre part. Vous pouvez faire sentir au Gouvernement de l'Empereur qu'en agissant de cette manière, d'une part il nous crée des difficultés, et de l'autre il s'aliène la confiance qu'avait en lui un peuple qui désire rester ami de la France.

(l) -Il destinatario non è indicato. La lettera è indirizzata al «Fregiatissimo Signor Commendatore ». (2) -Cfr. n. 500.
504

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA (2)

R. 729. Parigi, 4 settembre 1868 (per. il 7).

Avendo il Marchese di Moustier fatto jeri una corsa a Parigi, mi recai al Ministero imperiale degli affari esteri ed ebbi con questo Ministro una conversazione intorno alle cose di Roma ed al contenuto del dispaccio dell'E. V. del 22 agosto scorso (3), del quale io aveva fatto comunicazione uffictale al Governo francese il 28 dello stesso mese.

Ripetendo al Marchese di Moustier gli argomenti sviluppati nel dispaccio dell'E. V., domandai al Ministro imperiale degli affari esteri, se rendendo giustizia all'operato dal Governo del Re e tenendo conto delle nuove condizioni di cose in Italia, * evidentemente migliorate e * affatto diverse da quelle che avevano provocato il nuovo intervento francese negli Stati pontificii, il Governo imperiale fosse disposto finalmente a ritirare le sue truppe da Civitavecchia.

Il Marchese di Moustier mi rispose che aveva conferito con S. M. l'Imperatore intorno al contenuto del dispaccio dell'E. V., e ch'era quindi autorizzato a dichiararmi quanto segue cioè: che il Governo imperiale rende giustizia all'operato dal Governo del Re nello scopo di calmare gli spiriti in Italia e di ristabilire i principii di ordine e d'autorità, e la pubblica sicurezza; che riconosceva come le condizioni fossero migliorate; che teneva conto dell'esecuzione delle stipulazioni relative al debito pubblico pontificio, non che delle proposte fatte dal R. Governo per determinare un modus vivendi fra l'Italia e Roma, i quali due fatti erano tali da inspirare nel Governo francese ogni fiducia nelle rette intenzioni del Governo di Sua Maestà; che il Governo francese manteneva quindi l'assicurazione data che le truppe francesi sarebbero ritirate dal territorio pontificio appena ciò si sarebbe potuto fare senza inconveniente; ma che a giudizio del Governo imperiale questa misura non sarebbe ora opportuna e che non si sarebbe potuta eseguire senza inconvenienti gravi. Domandai al Marchese di Moustier per quali ragioni l'evacuazione immediata non fosse creduta opportuna. Egli mi rispose che quantunque il Governo imperiale riconosca che le condizioni della pubblica tranquillità siano miglio

(-3) Cfr. n. 484.

rate in Italia, tuttavia non erano ancora tali, a suo giudizio, e secondo le sue informazioni, da permettere che le truppe francesi lasciassero Civitavecchia.

s. E. aggiunse che le informazioni pervenute al Governo imperiale constatavano l'esistenza di mene mazziniane nella Penisola, e ch'era a temersi che la partenza della guarnigione francese desse occasione ad agitazioni o tentativi pericolosi.

A questa osservazione io opposi che il Governo del Re era al contrario convinto, come aveva potuto rilevare dall'asseveranza formale contenuta nel dispaccio dell'E. V., che nulla per parte dell'Italia minacciava per ora la sicurezza del Governo pontificio, e che quanto all'avvenire il Governo del Re aveva dato le assicurazioni e le prove più positive ch'egli era ben risoluto a non tollerare tentativi d'invasione, e che aveva il potere e la volontà di reprimerli, all'uopo, con tutta la severità delle leggi. Il Marchese di Moustier insistette sulla questione di opportunità, mantenne l'affermazione d'informazioni sull'esistenza di mene mazziniane in Italia, e disse infine che quantunque tenga nel massimo conto le apprezziazioni del Governo del Re intorno all'opportunità del ritiro immediato delle truppe francesi, il Governo imperiale non può rinunziare alle proprie apprezziazioni sui risultati d'una tale misura, e che queste apprezziazioni sono che il ritiro non potrebbe operarsi in questo momento senza creare * nuove agitazioni in Italia, e * nuovi timori e nuove inquietudini nei paesi cattolici. Io replicai alla mia volta che in presenza d'una tale divergenza, io non poteva che mantenere le apprezziazioni del mio Governo. Soggiunsi poi che l'evacuazione era reclamata dall'opinione pubblica in Italia, e specialmente da quella parte della pubblica opinione che più vivamente aveva combattuto e disapprovato il tentativo garibaldino dello scorso autunno; che la permanenza delle truppe francesi a Civitavecchia avrebbe avuto per risultato d'esarcerbare gli animi in Italia, di ridestarvi le suscettibilità, * e di disgustare il grande partito conservatore; * che perciò l'evacuazione, oltreché sarebbe stata cosa giusta in se stessa e conforme ai pubblici patti, sarebbe stata altresì una misura utile, savia e preveggente. A questo punto ripigliai di nuovo uno ad uno gli argomenti che l'E. V. suggerì nei suoi dispacci, e vi aggiunsi quelli che si presentavano al mio spirito durante questa conversazione.

Il Marchese di Moustier mi ascoltò, a dire il vero, con molta attenzione e in atto di molta benevolenza e di molta cordialità. Ma la sua conclusione fu pur sempre la stessa, cioè: mantenimento dell'assicurazione del ritiro delle truppe nel più breve termine possibile, ma dichiarazione dell'assoluta inopportunità di farlo in questo momento. Spinto da me a spiegarsi intorno alla fissazione d'un epoca eventuale in cui si potesse fare questo richiamo delle truppe francesi, il Marchese di Moustier mi disse che gli era impossibile di fissare un'epoca qualunque, giacché le risoluzioni del Governo imperiale erano subordinate alle condizioni di cose in Italia ed alle informazioni che il nuovo Ambasciatore francese avrebbe inviate da Roma, nonché alle nuove pratiche che questi sarebbe stato incaricato di fare presso la Santa Sede.

Il Marchese di Moustier continuò press'a poco in questi termini: «L'Imperatore desidera sinceramente ritirar le truppe da Civitavecchia. La Francia fu forzata al nuovo intervento. A tutti è noto quanto ciò le sia spia

ciuto. Essa fece ogni cosa per evitarlo. Non mancarono avvisi, non mancarono dimostrazioni. Non fu la Francia che creò questo stato di cose. Essa ha perciò qualche diritto di riservare la sua apprezziazione sull'opportunità di far cessare un fatto ch'essa non ha provocato. Del resto il ritiro delle truppe francesi, nell'attuale stato di cose in Italia e in Europa, è un avvenimento grave del quale debbonsi calcolare le possibili conseguenze. È cosa sulla quale importa riflettere con maturità di giudizio. Il Governo francese ha nominato il Marchese di Banneville a suo nuovo Ambasciatore in Roma. Questi si recherà in breve al suo posto. Avrà ordine d'intavolar pratiche sulle basi del modus vivendi proposto dall'Italia, chiamando l'attenzione della Santa Sede successivamente su ciascuno dei punti proposti. Il Governo francese non può presentare alla Santa Sede il progetto di modus vivendi come un ultimatum, colla minaccia di ritirar le truppe in caso di rifiuto ».

Interruppi qui il Marchese di Moustier per dirgli che quantunque io fossi convinto che la Santa Sede non si piegherebbe ad un equo componimento coll'Italia se non quando vi fosse costretta da un'urgente necessità, tuttavia se il Governo francese non voleva usare nemmen l'ombra di minaccia verso il Governo pontificio, poteva presentare alla Corte di Roma il richiamo delle truppe francesi, non già come una minaccia, ma come un segno di confidenza nella tranquillità della Penisola e nella sicurezza della Santa Sede, resa più certa dall'aumentato esercito pontificio e dalle nuove fortificazioni di Roma e di Civitavecchia.

A questo il Marchese di Moustier rispose che comunque la cosa si presentasse alla Santa Sede, essa sarebbe accolta con vivissimo dispiacere e con grave lagnanza al Vaticano. Conchiuse consigliando d'aver pazienza e fiducia, e affermando i sentimenti di amicizia e di simpatia del Governo imperiale verso il Governo del Re.

Nel prender commiato dal Marchese di Moustier, che riparte oggi stesso in congedo, gli dissi che avrei riferito la conversazione all'E. V., ma non gli celai che la risposta datami avrebbe prodotto una dolorosa impressione sul Governo del Re.

(l) -Cfr. n. 504. (2) -Ed., ad eccezione del brani fra asterischi, in LV 14, pp. 71-73.
505

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. CONFIDENZIALE 730. Parigi, 4 settembre 1868 (per. il 7).

Alle ragioni esposte dal Marchese di Moustier sull'inopportunità del richiamo immediato delle truppe francesi da Civitavecchia, e da me riferite all'E. V. col precedente mio dispaccio Cl), se ne deve aggiungere una di natura confidenziale, che il Marchese di Moustier desidera non sia riferita in un dispaccio ostensibile. Questa ragione consiste, secondo il Ministro Imperiale degli Affari

Esteri, nella necessità in cui U Governo francese crede trovarsi, di non indisporre il Clero francese, e il partito Clericale, oramai lasciato diventare influentissimo in Francia, al momento in cui si preparano le elezioni generali politiche, che dovranno aver luogo nei primi mesi dell'anno venturo.

V'è poi un'altra ragione, che il Marchese di Moustier non mi espose esplicitamente ma mi lasciò indovinare, e consiste nella cattiva impressione che produrrebbe il ritiro delle truppe sull'opinione pubblica an Francia, dove si è inquieti per la possibilità di future complicazioni, alle quali però il Marchese di Moustier mi assicurò di non credere, essendo egli convinto del mantenimento della pace. Nel pensiero del Governo francese, il ritiro delle truppe in questo momento, ferirebbe la maggioranza della pubblica opinione francese, la quale è assai diffidente dell'Italia dallo scorso autunno in poi, e vede nella presenza delle truppe francesi nella Penisola una guarentigia contro velleità ostili dell'Italia contro la Francia.

Ho combattutto l'uno e l'altro argomento, tentando di dimostrare al Marchese di Moustier, come fosse mal fido e pericoloso l'appoggio in tal guisa cercato dal partito clericale in Francia, e come la persistenza dell'occupazione francese andasse direttamente contro lo scopo indicato nel secondo di questi ragionamenti; giacché è chiaro che essa aumenterà appunto le diffidenze che sarebbe utile di far scomparire, e potrebbe far nascere quelle velleità, contro le quali la miglior guarentigia e la più sicura sarebbe un grande atto di giustizia e di fiducia della Francia verso l'Italia.

Il Marchese di Moustier non insistette su questo secondo argomento e ripetè che ha la più intera confidenza nel mantenimento della pace.

Egli è con profondo rammarico che rendo conto all'E. V. di queste cose e degli sforzi indarno tentati per ottenere l'immediata cessazione dell'occupazione francese. Egli è con profondo rammarico che devo ancora constatare come la fiducia verso l'Italia, così gravemente scossa dagli eventi dello scorso autunno, benché abbia ripreso lentamente un po' di piede in questo paese, in seguito agli sforzi patriottici di tutti i poteri del nostro Stato ed al buon senso delle popolazioni, tuttavia nella pubblica opinione più ancora che nel Governo francese, sia ben lontana dall'essere ristabilita.

(l) Cfr. n. 504.

506

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

T. 713. Firenze, 5 settembre 1868, ore 12.

Malgré les motifs développés dans votre rapport (l) je crois utile que vous fassiez la déclaration que je vous avais prescritte par ma dépéche n. 89 (2). Je regrette que vous ayez hésité à vous conformer à l'invitation précise du Ministère. Veuillez donc agir sans retard dans le sens prescrit.

(l} Non pubblicato. (2} C!r. n. 458.

507 IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1258. Parigi, 5 settembre 1868, ore 17 (per. ore 18).

Rouher tient au sujet de l'évacuation de Civitavecchia un langage moins absolu et moins décourageant que Moustier. Je vais tenter nouvelle démarche.

508

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 716. Firenze, 7 settembre 1868, ore 17,05.

Je répondrai à votre dépéche arrivée ce matin (l); auparavant je désire savoir si selon les règles M. de Moustier me fera parvenir par l'intermédiaire du chargé d'affaires de France à Florence une réponse semblable à celle qu'il a faite à vous méme verbalement (2).

509

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1259. Parigi, 7 settembre 1868, ore 17,40 (per. ore 18,45).

La bourse baisse par suite de l'article du Constitutionnel qui est considéré comme belliqueux et en suite du bruit commencé à circuler de votre demande de rappel des troupes françaises à Rome.

510

IL MINISTRO A CARLSRUHE, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 41. Carlsruhe, 8 settembre 1868 (per. l'11).

Il mio predecessore co' suoi Dispacci in data 6, 7, 9 Novembre, 10 dicembre 1867, e 29 Gennaio a.c. n. 119, 126, 121, 192, e 139 di questa Serie (3) riferiva a codesto R. Ministero sulla deliberazione presa dalle Camere di sopprimere la Legazione Badese in Firenze, e ciò ad onta di tutti gli sforzi fatti dal Governo

40 -Documenti cliplomatici -Serie I -Vol. X

Granducale per mantenerla. L'esistenza della Legazione Badese era stata limitata fino alla fine del passato mese di Luglio, ed il Barone di Freydorf malgrado tutte le combinazioni proposte od immaginate, non trovò mai quella, la quale senza distruggere il voto del Parlamento, fosse tale che permettesse al Barone di Schweitzer di continuare a risiedere a Firenze nella sua qualità di Ministro Residente di Baden presso la nostra Corte. Più volte questo Ministro Granducale degli Affari Esteri ebbe a manifestare a me, e ad altri tutto il suo rammarico per essere costretto, in vista di meschine economie impostegli dal Parlamento, a richiamare dall'Italia il rappresentante del Granduca di Baden, e ciò con tanto maggior dispiacere in quanto che né la Baviera pensava a sopprimere la Legazione Bavarese a Firenze, né il Re del Wtirtemberg voleva che fosse soppressa quella Wurtemburghese: Legazioni queste di due Stati che soltanto costretti dagli avvenimenti riconobbero il Regno d'Italia, mentre il Granduca fu il primo, fra i principi Tedeschi, dopo la Prussia, a decidersi a questo passo. È inutile che io aggiunga che S. A. R. il Granduca sincero amico nostro, divideva pienamente a questo proposito, le idee emesse dal suo Ministro degli Affari Esteri.

Ho io oggi il contento di poter portare alla conoscenza dell'E. V. che questa vertenza venne accomodata in modo sodisfacente per tutti. Il Barone di Schweitzer è messo a riposo con quel tanto di pensione a lui dovuto in ragione de' suoi anni di servizio, e S. A. R. il Granduca dispone dalla sua cassetta particolare della somma di tremila fiorini per un anno, a favore del titolare della Legazione Granducale Badese a Firenze, affinché possa egli continuare a risiedervi nella sua primiera qualità officiale.

Credo sia intenzione del Governo Granducale, alla riunione delle Camere, di mettere nuovamente in bilancio la Legazione a Firenze, e senza poter fin d'ora pronunciarmi sulla maggiore o minore probabilità che siano accordati i fondi necessari a mantenerla, mi limito a far voti perché la deliberazione che verrà presa dal Parlamento sia quale sta negli interessi, e nei desideri del Governo Badese.

(l) -Cfr. n. 504. (2) -Nigra rispose con t. 1261 dell'B che Moustier avrebbe risposto per iscritto alla nota italiana tramite la legazione francese a Firenze. (3) -Non pubblicati.
511

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 1148/485. Londra, 8 settembre 1868.

Lord Stanley fece qui ritorno avant'jeri sera ed oggi ebbi l'onore d'essere da lui ricevuto.

Fra le cose da me dettegli, avendo io fatto menzione a Mylord dell'erronea voce sparsa da alcuni giornali francesi circa certe conversazioni che d'ordine del mio Governo gli avrei tenuto, onde esercitasse la sua influenza presso il Marchese di Moustier per ottenere lo sgombro delle truppe imperiali dallo Stato Romano, egli mi rispose che sebbene io non avessi toccato con lui siffa.tto argomento, ne avea egli tuttavia parlato col Ministro degli Affari Esteri di Francia.

Io ringraziai il Segretario di Stato per simile prova d'interesse che dava agli affari di Italia. «Si, mi disse egli, ho espresso in modo amichevole ed officioso al Marchese di Moustier che la presenza della bandiera francese sul suolo romano faceva cattivo effetto in Inghilterra, che gl'Inglesi consideravano l'Italia come una Nazione perfettamente costituita ed ordinata, e che per conseguenza nulla loro avrebbe recato maggior soddisfazione quanto il ritiro del corpo di spedizione da' dominj pontificj ».

Il Ministro Imperiale degli Affari Esteri avrebbe a questo replicato che gli inconvenienti dell'occupazione romana a nessuno erano più palesi che al Gabinetto delle « Tuileries », il quale ben volentieri richiamerebbe le sue truppe ove la cosa gli fosse possibile. Tre ragioni ciò gli vietavano. In primo luogo, nell'opinione del Marchese di Moustier, l'abbandono di Roma sarebbe in Francia impopolarissimo presso ogni classe di cittadini.

Secondo, ciò desterebbe fierissima opposizione nel Clero e Lord Stanley mi significò che quantunque a questo Iìiguardo il suo interlocutore nulla gl,i dicesse, egli credette scorgere sotto tali parole il timore che le elezioni generali eccitano nel Governo francese, e l'importanza che pone perciò a tenersi amico l'elemento clericale.

Terzo, col ritiro dei suoi soldati, la Francia perderebbe tanto l'influenza che ora possiede sulla Corte di Roma quanto la facoltà d'esercitarla.

Su quest'ultimo punto Sua Signoria m'espresse il parere che il Marchese di Moustier intendesse far allusione al futuro, ed alla crisi che l'elezione d'un nuovo Pontefice potrebbe produrre.

La precedente è la conversazione che si passò sulla questione di Roma tra il Ministro degli Esteri della Regina Vittoria e quello dell'Imperatore Napoleone.

Ai detti del Marchese di Moustier Lord Stanley rispose che non stava a lui a discutere i motivi che potevano spingere la Francia a rimanere sul territorio della S. Sede, ma che non poteva fare a meno d'esternare la speranza di veder presto a cessare una condizione di cose, la quale costituiva una situazione anomala e piena di pericoli (l).

Siccome accennai più sopra a V. E. porsi a Mylord i sensi della mia più viva gratitudine per i savj consigli dati al Ministro francese; ed il nostro discorso essendosi aggirato ancora per qualche tempo sullo stato delle relazioni del Regno d'Italia colla Curia romana, io modellai il mio linguaggio sugli ultimi dispacci dall'E. V. mandatimi circa tale argomento, ponendo particolarmente in rilievo la moderazione e dignità spiegata dal Governo del Re sia verso la Santa Sede che verso la Francia.

Sebbene quanto Lord Stanley disse in occasione del suo passaggio in Parigi provi bene quale sia il modo in cui giudica l'occupazione francese, tuttavia le aspirazioni degli Italiani su Roma quale Capitale vengono in certa guisa da lui condannate come poco pratiche, quando poste in paragone delle questioni delicatissime religiose e sociali che sollevano.

Egli è tuttora l'uomo che nel 1864 diceva a' suoi elettori di King's Linn riuniti a banchetto politico:

«Noi altri Inglesi possiamo difficilmente comprendere la suprema import~.nza che pongono gl'Italiani nel possesso d'una città in rovine, la quale non <lffre alcun vantaggio dal punto di vista militare e commerciale, la quale, in una parola, non è più che un nome storico. Ma in ultima analisi se credono trovare il loro conto mettendosi in lotta col clero e i fedeli che formano in Italia un'armata potente, attirandosi la nimicizia dei Governi Cattolici, sono perfettamente liberi di farlo! ».

Tuttoché Lord Stanley ammetta pienamente la rilevanza che avrebbe il ritiro delle truppe francesi per la nostra penisola, pure non è gran tempo parlandomi degli sforzi degl'Italiani onde avere Roma Capitale, ei m'esternava di non intendere siffatto desiderio, che traeva seco sì grandi complicazioni tanto all'estero quanto all'interno, che non rappresentava nulla di pratico, e altre simili cose.

A queste osservazioni di Sua Signoria io non seppi come meglio rispondere che citando il brano di quell'eloquente discorso pronunciato da V. E. sulla quistione romana, nei primi giorni dello scorso dicembre in cui è detto: « Io domando se Parigi fosse in mano di una Potenza estera, degl'Inglesi per esempio, e tutto il resto della Francia avesse un Governo nazionale, che cosa farebbero le provincie della Francia che sono attorno a Parigi? Farebbero come noi...». Chiesi quindi a Mylord che farebbero gl'Inglesi se Londra fosse in mano ai Francesi?

Qualunque possa essere l'opinione di Lord Stanley a questo rispetto, è certamente per me -che durante la mia attuale temporaria reggenza ho sempre insistito sull'importanza pel nostro paese di vedere il richiamo delle truppe imperiali, ogni qualvolta intrattenni il Segretario di Stato degli affari di Roma -cosa ben grata il potere oggi annunciare a V. E. che questi ne ha spontaneamente preso l'iniziativa col Marchese di Moustier.

Prima di por termine al presente rapporto, reputo mio dovere di dare a

V. E. alcuni cenni sullo stato dell'opinione pubblica in Inghilterra intorno a questa vertenza. Nell'interesse d'Italia si crede generalmente che non saranno le istanze del Governo del Re che varranno a smuovere pel momento i soldati francesi dalla loro posizione. Travasi perciò che, fino a quando durerà il sistema politico attualmente in vigore in Francia, ci possa essere più vantaggioso di lasciare all'Imperatore tutta la responsabilità delle gravi conseguenze che il suo secondo intervento può produrre, piuttosto che, impegnandoci a qualche grave concessione, ottenere uno sgombro, il quale in sostanza non scioglierebbe le difficoltà esistenti fra noi e la Corte Pontificia.

A cagione delle cose essenzialmente riservate e di natura confidenzialissime contenute in questo mio rapporto, mi vedo costretto a non affidarlo alle poste francesi, e coglierò una qualche occasione particolare forse ritardandone l'invio di varj giorni.

(l) Di questa conversazione fra Stanley e Moustier Menabrea informò Nigra con d. 412 del 26 settembre.

512 IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1262. Parigi, 9 settembre 1868, ore 18,30.

L'Empereur me fait répondre que l'évacuation est impossible en ce moment pour trois raisons:

lo parceque l es circonstances ne so n t pas tellement changées pour permettre l'acceptation d'un modus vivendi entre les deux Etats; 2° parceque d'après les informations reçues par le Gouvernement impérial le parti d'action se préparc à de nouvelles agitations; 3° parceque l'évacuation en ce moment pourrait faire croire que l'Empereur pense à la guerre. L'Empereur conclut en ces termes: «Quoiqu'il en soit mon Gouvernement ne cessera de travailler à un arrangement qui permette l'évacuation dés que la sécurité sera assurée, mais je désire éviter des secousses qui seraient nuisibles à ma politique sans ètre mème d'une utilité sérieuse pour l'Italie, pour qui je conserve toutes mes sympathies ». En présence de cette communication, je crois inutile toute nouvelle démarche. Je crois qu'il n'y a pas d'inconvénients à ce que vous m'accordiez un congé dont j'ai grand besoin. Je compterais si vous le permettiez de partir vers la moitiè du mais (l).

513

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 1149/486. Londra, 9 settembre 1868.

Ho procurato, nell'abboccamento ch'ebbi con Lord Stanley al suo giungere da Parigi, d'investigare le di lui opinioni sulle quistioni più importanti del momento e sull'impressione da lui ricavata da' colloquj tenuti col Marchese di Moustier, intorno alle cose del continente.

Mylord mi disse francamente di credere alla sincerità delle dichiarazioni tranquillanti che avea ricevuto dal Ministro Imperiale degli Affari Esteri, e che sebbene apprezzasse tutta la gravità della attuale posizione della Francia, pur non disperava di vedere mantenuta la pace. A tale riguardo io mi permisi di rammentare al Segretario di Stato le parole che in altra occasione egli stesso detto mi avea sulla politica Imperiale, e che io rassegnava a V. E., cioè quanto fosse difficile di poter prevedere le probabilità dell'avvenire in un paese come la Francia, ove tutto dipendeva dalla volontà d'un solo uomo. A questa mia osservazione Lord Stanley difatti mi confessò che malgrado il desiderio di tranquillità manifestato dal popolo francese, non credeva impossibile che l'Imperatore Napoleone assalito dalle difficoltà della situazione interna, e col

perduto prestigio all'estero, cercasse di riacquistare la sua influenza in casa e fuori tentando un qualche disperato colpo. Pur tuttavia mi ripeté d'essere d'opinione che le espressioni di pace usate dagli uomini di Stato francese fossero sincere.

Tutto ciò proverebbe, secondo il mio modo di vedere, che le conversazioni passatesi circa questo delicatissimo argomento tra il Principale Segretario di Stato della Regina Vittoria e il Marchese di Moustier non possono aver versato che sopra le consuete tesi generali pacifiche, che oggidì non hanno più forza per alcuno. Che la posizione a Parigi si indebolisca ogni giorno, qui ognun lo dice, e se veramente la Francia s'accosti ad uno di quei momenti che spesso decidono delle sorti d'una dinastia, V. E. è più di me in grado di conoscere. Ciò che ricade però nella stretta cerchia de' miei doveri s'è d'informarLa, Signor Conte, dell'effetto prodotto in Inghilterra dalla crisi che sembra prepararsi per l'Impero Francese e dai disegni del medesimo accarezzati relativamente al Belgio -disegni che non astante ogni dato diniego, fanno tremare quel fiorentissimo Stato per la sua futura indipendenza commerciale e militare.

L'impressione che questo ha cagionato in Inghilterra fu deplorabilissima. L'opinione generale non crede già che la Francia contempli una annessione diretta, ma regna una convinzione profonda che l'Imperatore Napoleone nella necessità in cui travasi di cercare a fare qualche cosa onde rialzare il Suo prestigio, mediti seriamente di conchiudere col Belgio e l'Olanda una unione come quella che la confederazione del Nord ha stretto con la Baviera il Wurtemberg e Baden. Solo qui osservasi, e con ragione, che il caso della Prussia è ben diverso. La convenzione militare venne imposta dal vincitore di Sadowa qual condizione di pace, ed il nuovo Zollverein è fondato su trattati che contano molti anni d'esistenza. Di più questi accordi in Germania non sono che la conseguenza di quel principio di nazionalità che la Francia fu la prima a proclamare (l) .

Ma nell'ipotesi di una unione militare doganale col Belgio, il Governo Francese non avrebbe nessuna di queste ragioni da addurre a giustificazione del suo operato, anche ove giungesse a strappare il consenso del Re Leopoldo; il pretesto della nazionalità che venne invocato in Germania non verrebbe a sanzionare la violazione di quei patti di neutralità su cui poggia il diritto pubblico europeo e che formano la sola base dell'esistenza dello Stato su cui regna la dinastia di Brabante. Prova ne sia il linguaggio della stampa belga, la quale denunziò unanimemente il progetto d'unione, caldeggiato dal Signor di Lagueronnière, qual celato mezzo per giungere ad una annessione.

Queste idee che ho ora avuto l'onore di svolgere ponna considerarsi come il sunto di alcuni documenti importantissimi stati qui inviati da Bruxelles al Signor Van de Veyer, antico Ministro belga presso la Corte d'Inghilterra, acciò ne facesse quell'uso che credea migliore appo il Governo Britannico. Giova rammentare che il Signor Van de Weyer occupa in questo paese una posizione affatto eccezionale. Egli dal 1831 ha rappresentato a Londra i suoi Sovrani fino all'anno scorso. Amico intimo del vecchio Re Leopoldo, per cui la Regina

Vittoria aveva un'affezione particolare, seppe acquistarsi, come dissi poc'anzl, una posizione che supera quella di chiunque altro diplomatico estero; condusse in matrimonio una ricca inglese ed essendosi stabilito definitivamente in questa città la sua influenza, massime nelle sfere di Corte è grandissima.

L'aver dunque scelto detto abilissimo ex Ministro per esercitare una pressione sul Governo Britannico non che sulla pubblica opinione, può dare una idea adeguata del grado di inquietudine risentito in questo momento dal Belgio.

Infatti quello Stato è minacciato non solo da un pericolo esterno, ma racchiude ben anche un elemento nemico all'interno, nella classe cioè dei suoi commercianti e manifatturieri, i quali potentissimi come sono, potrebbero, all'unico scopo di promuovere i loro interessi materiali, rendersi i fautori d'un progetto, che contiene il germe della rovina dell'autonomia ed indipendenza della loro patria.

I documenti in discorso vennero dal Signor Van de Weyer comunicati al Times, e servirono di base al Leading article del 31 agosto, che produsse sì profonda impressione in Francia per la severità deli suoi giudizj circa le precitate intenzioni imperiali.

È un fatto innegabile che il pubblico si è qui seriamente occupato de' gravi ed inaspettati pericoli, che pajono sorgere all'orizzonte. Io ho avuto occasione più volte di esporre a V. E. le tendenze pacifiche che gli uomini di Stato e il popolo dell'Inghilterra nutrivano intorno a molte fra le più rilevanti questioni del giorno, tendenze che avrebbero forse avuto forza d'impedir loro d'associarsi a conflitti. ne' quali in altri tempi si sarebbero creduti direttamente interessa ti.

Or bene la stessa persuasione, che ciò mi dettava, mi fa adesso scorgere che, almeno in una quistione, il sentimento pubblico di questo paese è ritornato alle antiche idee.

Se una guerra tra Francia e Prussia fosse localizzata, certo l'Inghilterra rimarrebbe fredda spettatrice del conflitto. Ma se la lotta s'ingrandisse, se i disegni ambiziosi della Francia s'estendessero sopra uno Stato vicino guarentito da patti speciali di neutralità, e con cui fu tradizionale politica della Gran Bretagna di vedere i suoi interessi legati, credo di non andare errato dicendo, che la medesima, uscendo al fine dalla sua inazione, non sarebbe da trovarsi dal lato delle Aquile francesi.

Una importante circostanza svelatami da Lord Stanley fornirà la prova a V. E. che in ogni caso il Belgio così la pensa. Dessa è la seguente: avendo io chiesto a Mylord se vi fosse qualche nuovo incidente nello schema napoleonico di stringere, mercé una unione doganale, il Belgio e l'Olanda alla Francia, egli mi disse di non aver più inteso nulla a siffatto riguardo, dopo !e informazioni che mi avea date e che io trasmetteva a Firenze col mio rapporto politico n. 465 (l).

Che una proposta a questo effetto non sia stata rivolta al Gabinetto di Bruxelles è esatto, mi soggiunse il Segretario di Stato. Ma che il Governo

(11 Non pubblicato.

Belga creda tuttavia d'esserne minacciato e che conti sull'appoggio dell'Inghilterra per pararsi da tanto colpo fatale, V. E. rileverà dal fatto statomi da Sua Signoria comunicato in modo confidenzialissimo. Non ha guarì il Barone Du Jardin, Ministro del Re Leopoldo presso questa corte, ebbe ordine di fare ogni possibile sforzo per indurre il Governo Britannico ad esigere dalla Francia una smentita delle intenzioni che le sono attribuite, e di dichiararle a nome del Belgio che il medesimo non avrebbe mai consentito a stipulare tali accordi. Lord Stanley rifiutò, è vero, simile incarico, ma raccomandò al Governo di Bruxelles di respingere energicamente qualunque apertura che gli venisse fatta in proposito, e che sarebbe poi allora il caso di vedere se la intervenzione d'una o più fra le Potenze che presero parte all'atto del 1831 potrebbe essere conveniente. Senza di ciò continuò Sua Signoria, se l'Inghilterra, e non il Belgio, prendesse l'iniziativa in questa emergenza, si fornirebbe alla Francia il pretesto di dire che sarebbe la Gran Bretagna, la quale per gelosia cercherebbe d'impedire una combinazione che la Nazione Belga, ove lasciata a se stessa, finirebbe per accettare. Tale è lo stato della questione, concludeva Mylord; a Bruxelles regnano sempre timori di questo genere e forse non a torto.

L'annunzio de' progetti veri o supposti della Francia ha risvegliato in Europa, non è novità per nessuno, un sentimento generale di sospetto. Tutti i Governi hanno chiesto qui ai loro Rappresentanti di cercare a scoprire dall'Inghilterra -la quale per le ragioni che la vincolano al Belgio si reputa sia al corrente della situazione -quanto vi possa essere di vero nelle voci che corrono, specialmente per ciò che concerne le disposizioni che animano l'Olanda, giacché se pochi dubitano della politica che seguirà il Belgio, non si è così sicuri di quella che guiderà gli atti del Governo Neerlandese. Il precedente del Luxemburgo ed altre circostanze atte a risvegliare la diffidenza, come per esempio in questo istante l'appoggio dato dalla Francia alla resistenza opposta dall'Oianda alle domande dello Zollverein, sono la cagione della presente situazione d'incertezza che preoccupa i Governi, e massime quelli del Nord dell'Europa. L'abile diplomatico che sta ora alla direzione degli Affari Esteri della Svezia ha domandato in modo assai particolare al suo Agente in questa Capitale, di tenerlo ben informato di ciò che pensa l'Inghilterra -della condotta del Gabinetto dell'Aja in tutta questa transazione, che può essere si importante per gli Stati Scandinavi.

Sulla docilità del Governo dei Paesi Bassi alle vedute della Francia Lord Stanley non mi disse nulla di ben concludente, adducendomi di non conoscere niente di più oltre alle dichiarazioni fatte dal precitato Governo. Stimai allora di parlarne al rappresentante neerlandese, ed infatti ebbi con lui una conversazione abbastanza interessante. Alle mie domande egli replicò di non saper nulla circa le positive intenzioni del suo Gabinetto, ma sul merito della questione che formava l'oggetto del nostro ragionamento, il Signor Everwijn mi tenne il discorso seguente:

«Allo scoppiar d'una guerra tra Francia e Prussia l'Olanda si troverà in una terribile alternativa. Entrambi i belligeranti ci grideranno: o con noi

o contro di noi -Quale sarà la risposta? È superfluo il dirlo, le simpatie nostre sono più per Bonaparte che per Hohenzollern, e le nostre Colonie del

l'Oceania, che la Francia facilmente potrebbe prenderei con un colpo di mano ci vieterebbero di andare contro di essa».

Se ho dovuto oggi intrattenerla sì lungamente con questo mio rapporto. Illustrissimo Signor Conte, egli è che mi è sembrato sarebbe per tornare non disgradito al Governo di Sua Maestà l'avere un quadro per quant'è possibile esatto del modo con cui viene giudicata la crisi attuale in Inghilterra e delle idee predominanti di questi uomini di Stato.

(l) Per la risposta di Menabrea cfr. n. 514

(l) Del contenuto di questo dispaccio fu informato Nigra con d. 413 del 26 settembre.

514

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 717. Firenze, 10 settembre 1868, ore 14,30.

Je pense qu'il ne convient pas que vous abandonniez Paris (l) avant que notre opération financière soit achevée ou tout au moins assurée. Votre absence pourrait étre interprétée au détriment de nos finances. En attendant la dépéche qui doit m'étre communiquée de la part de M. Moustier au sujet de Rome, je répondrai à votre dernière dépéche (2) sans insister sur de nouvelles démarches qui seraient pour le moment inutiles. Nous restons dans notre droit en laissant au Gouvernement français toute la responsabilité des conséquences que san attitude à notre égard peut entrainer. Il me suffit de répéter que les informations par lesquelles le Gouvernement français cherche à justifier son refus sont erronées et recueillies dans un but malveillant à notre égard. Les faits ont prouvé qu'elles n'avaient de fondement que dans le bruit que font quelques factieux ainsi que cela a lieu en France comme en Italie. Ici la liberté absolue de la presse donne aux manifestations subversives un retentissement qui n'a pas lieu dans les pays où cette liberté n'existe pas. Ici nous les apprécions à leur véritable valeur. Il semble qu'en France on se plait à se méprendre sur leur importance.

515

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1263. Parigi, 11 settembre 1868, ore 16,50 (per. ore 17,25).

Croyez vous que ce soit bien utile d'écrire nouvelle dépéche avant la communication écrite de Moustier? Mon impression est que la multiplicité des dépéches nous est nuisible ici: c'est une impression que je vous soumets pour toute bonne fin (3).

« Dépéche annoncée [cfr. n. 518] est pour vous et nullement destinée à etre communiquée. Lorsque M. de Malaret aura fait communication écrite, Je verrai ce qu'il faut répondre >>.

(l) -Cfr. n. 512. (2) -Cfr. n. 504. (3) -Menabrea rispose con t. 718 pari data:
516

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI

D. 92. Firenze, 11 settembre 1868.

Reputo conveniente prendere atto con questo mio dispaccio di una conversazione che ebbi negli scorsi giorni col Signor Conte di Usedom.

Ragionando insieme della situazione generale d'Europa e delle condizioni dell'Italia egli mi disse di essere autorizzato a ripetermi che la Prussia vuole il mantenimento della pace, e che soltanto si risolverebbe a far la guerra in due casi: cioè se un'estera Potenza pretendesse ingerirsi negli affari interni della Germania, e se alcuna cosa si tentasse contro l'unità d'Italia, unità che la Prussia considera come indispensabile all'interesse europeo.

Ho ringraziato vivamente il Signor di Usedom della comunicazione fattami e gli ho detto che col mantenerci in una linea politica moderata e prudente noi servivamo appunto gl'interessi della pace e che però andavamo lieti di vedere che i nostri sforzi in questo senso secondavano appunto le vedute pacifiche del Governo prussiano.

Sarà bene che tosto che Le si presenterà l'occasione di avere un colloquio con chi dirige gli affari politici del Gabinetto di Berlino, Ella si mostri informato della comunicazione fattami dal Signor Conte di Usedom confermando ad un tempo la soddisfazione che la medesima ha procurato al Governo del Re.

517

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. 104. Firenze, 11 settembre 1868.

I di Lei rapporti di Serie Politica mi giunsero regolarmente sino al N. 158 incl usi vamente.

La ringrazio delle informazioni datemi sul modo col quale i di Lei colleghi hanno accolta la comunicazione fatta loro dalla Sublime Porta di aver concesso l'ingresso negli stretti ad una fregata americana.

Rustem Bey venne per ordine del suo Governo a ripetermi ad un dipresso quelle medesime cose che erano esposte nella nota della Porta, statami trasmessa da V. S. Epperò io non mi espressi coll'Inviato ottomano in alcun senso a questo riguardo limitandomi a prendere atto di quanto egli mi veniva esponendo.

Ora però Ella mi significa col rapporto poc'anzi citato, che due risoluzioni del Governo degli Stati Uniti erano giunte a Costantinopoli quasi contemporaneamente alla dimanda di ingresso per la nave ammiraglia del Farragut.

La navigazione degli Stretti e gli affari di Candia formerebbero, da quanto Ella mi scrive, l'oggetto di quelle due risoluzioni la cui esistenza mi sembra costituire un fatto gravissimo se dovesse indicare negli Stati Uniti l'intenzione di prendere una parte diretta ed attiva nelle quistioni europee. Aspetto pertanto che dalla S. V. mi siano sollecitamente trasmessi tutti quegli schiarìmenti che sono indispensabili perché io mi possa formare una idea esatta e precisa dell'ingerimento che quel Governo americano sembra voler prendere negli affari concernenti la Turchia. Ella comprende agevolmente che in un argomento di tanta importanza il Governo del Re prova il bisogno di essere subito informato del vero significato che si deve attribuire alle pratiche fatte presso il Divano Imperiale dagli Agenti Nord-Americani, del carattere che a quelle pratiche si è dato, e finalmente dell'impressione che le medesime producono in codesta capitale.

Sulla sostanza di quella risoluzione e sugli argomenti delle pratiche intavolate dal di Lei collega Signor Morris, importa ch'Ella osservi molta riservlf' a meno che si trattasse di quistioni sulle quali Ella abbia già campo di conoscere appieno le intenzioni del R. Governo. Anche in quest'ultimo caso converrà che Ella segua una linea di condotta molto prudente perché non sembri che ricerchiamo nell'azione diplomatica che ora esercitano gli Stati Uniti un'occasione di far prevalere il nostro modo di vedere sia rimpetto la Sublime Porta sia rimpetto alle altre Potenze Europee.

Questo ingerimento degli Stati Uniti crea per verità una situazione assai difficile ai rappresentanti delle Corti europee a Costantinopoli, perocché mentre da un lato esse non debbono sacrificare menomamente gl'interessi che sono chiamate a difendere ed a tutelare, dall'altro lato debbono poi evitare tutto ciò che potrebbe in qualche modo pregiudicare le gravissime questioni che l'ingerìmento degli Stati Uniti negli affari puramente politici dell'Europa dovrebbe naturalmente sollevare. Epperò io mi affido a Lei, alla di Lei prudenza e faccio appello alla di Lei attività per essere d'ogni cosa prontamente ed esattamente informato senza che la politica del R. Governo sia in alcun modo impegnata.

518

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (l)

D. 406. Firenze, 11 settembre 1868.

Mi pervennero regolarmente i di Lei rapporti in data del 4 corrente (2) coi quali Ella mi informa della conversazione da Lei avuta con S. E. il Marchese di Moustier circa l'occupazione Cl.l nna parte del territorio pontificio per parte delle truppe francesi.

Ella fece egregiamente conchiudendo il suo discorso col Ministro Imperiale degli affari esteri col fargli osservare la dolorosa impressione che produrrebbero nel governo del Re le risposte che Ella doveva riferirmi. Ed infatti assai penosa è l'impressione che cagionò in noi il sentire che mentre il Governo francese rinnova la promessa fattaci di evacuare il territorio della Santa Sede, appena ciò possa farsi senza inconvenienti, ritiene però che il momento di tradurre in atto quel divisamento non sia ancor giunto.

È sulla questione di opportunità che il Signor di Moustier mi sembrò aver particolarmente voluto insistere allorché, pur ammettendo che le condizioni della pubblica tranquillità sono migliorate in Italia, egli persisteva a dirle che queste non erano tuttavia tali da permettere, a suo giudizio e secondo le sue informazioni, che le truppe francesi partissero da Civitavecchia. Siffatta particolare insistenza del Ministro Imperiale degli affari esteri a parlarle delle informazioni ch'egli aveva intorno alle condizioni presenti della penisola, mi induce naturalmente a farle conoscere, Signor Ministro, due pratiche fatte recentemente presso di me dal Signor de la Villestreux Incaricato d'affari di Francia. Le due volte questo signore venne premurosamente a comunicarmi le informazioni le più precise e particolareggiate di prossimi moti rivoluzionari che dovevano succedere a Roma ed a Napoli. La data del giorno, il nome dei capi, le località di sbarco e d'imbarco, tutto era minutamente descritto. Senonché quelle date sono trascorse, i capi designati, * sottoposti ad una attenta sorveglianza, ·~ non si mossero dalle loro ordinarie dimore, nessuno approdò, nessuno s'imbarcò, insomma ogni cosa riferita fu riscontrata interamente falsa.

Avendo dippoi avuto occasione di vedere di nuovo il Signor de la Villestreux non ebbi difficoltà a dimostrargli come, se in quelle informazioni il Governo imperiale metteva il fondamento della sua politica in Italia, questa non potrebbe *essere guidata che da* (l) una serie di equivoci e di errori (2). Le inquietudini che inspirano al Governo dell'Imperatore informazioni che i fatti non tardano a smentire compiutamente, non potrebbero addursi come argomento per ritardare l'evacuazione del territorio pontificio.

Ma nella conversazione ch'Ella ebbe col Signor de Moustier questi *sembrò volere * (3) accennare ad un altro ordine di consideraz,ioni che impedirebbe al Governo Imperiale di richiamare prontamente le sue truppe da Civitavecchia. '''Oltre al pericolo di nuove agitazioni in Italia*, la Francia vorrebbe evitare di creare nuovi timori e nuove inquietudini nei paesi cattolici.

Ella ebbe già occasione di dire al Signor de Moustier che il Governo del Re voleva e sapeva resistere a qualunque tentativo si cercasse di fare per rinnovare agitazioni perniciosissime all'Italia. Ella fece dunque ottimamente di esprimersi col Signor de Moustier nel senso di dimostrargli che se una cosa può mantenere il germe di una agitazione, che altrimenti sarebbe ormai estinta, questa è appunto l'occupazione di una parte del territorio pontificio da truppe francesi. Il Governo Imperiale sarebbe tratto in gravissimo errore, se non si

rendesse esattamente conto dell'impressione che produce anche sulle persone più savie e moderate, la persistenza ch'egli mette nel voler mantenere l'occupazione di Civitavecchia. È dovere di un governo sinceramente amico della Francia di segnalarle in tempo gli effetti di una politica che *le aliena ogni dì più* (l) gli animi degli Italiani.

Epperò le cose dette dalla S. V. al Signor Marchese de Moustier * mi sembrano tali da bastare a far nascere nel Governo imperiale un concetto esatto * (2) della vera tendenza della pubblica opinione del nostro paese di fronte ad una prolungata occupazione del territorio pontificio. Resterebbero è vero i nuovi timori e le nuove inquietudini che la Francia vorrebbe evitare agli altri paesi cattolici. A questo riguardo debbo anzi tutto osservare che il Governo italiano è interessato al pari di qualsiasi altro a tutelare gli interessi religiosi della grande maggioranza di suoi sudditi e che nulla nella condotta del Governo del Re può autorizzare a credere ch'egli non si preoccupi di

* evitare le'' (3) inquietudini che potrebbero sorgere nelle coscienze cattoliche. Il Governo italiano pur professando un assoluto rispetto per le cose che appartengono alla fede ed alla chiesa, queste cose non confonde con quelle che risguardano la vita civile o politica delle popolazioni. Ma a questo riguardo, senza entrare in più ampia discussione, preferisco limitarmi ad osservare che l'Italia e la Francia essendo state per l'addietro perfettamente d'accordo nello escludere la singolare pretesa eli certi Stati di considerai·e il territorio romano come una mano morta della cattolicità, noi non sapremmo *ammettere che il Gabinetto delle Tuileries abbia ora cosi profondamente modificato le proprie idee prima che il medesimo ci abbia fatto al proposito una diretta ed esplicita comunicazione * ( 4l.

Basterà pertanto ch'Ella ritenga che intorno a ciò le nostre idee non sono punto mutate: noi ci opporremo sempre e nel modo il più risoluto, a qualunque ingerimento che un'altra potenza cattolica pretendesse assumere nelle cose risguardanti i rapporti dell'Italia colla Santa Sede.

Che se nè le informazioni esatte della condizione vera delle cose in Italia, nè la volontà e la forza del Governo presso di noi cost-ituito, nè infine gli impegni che dalle parole del Signor di Moustier si potrebbe supporre avere la Francia assunto verso altri Stati, possono essere motivo valevole per continuare un'occupazione militare sul territorio pontificio, a noi non resterebbe per verità che a cercare nel campo delle congetture la cagione vera di uno stato di cose tanto nocivo, al mantenimento dei buoni rapporti che hanno ognora esistito fra l'Italia e la Francia. Non ispetta a noi il ricercare quale impressione produrrebbe in Francia l'annunzio della completa evacuazione del territorio pontificio, ma noi non ignoriamo che il partito liberale moderato di Europa accoglierebbe con plauso universale la decisione colla quale il Governo francese farebbe sparire persino le ultime vestigia del sistema delle

intervenzioni straniere. Che se per avventura taluno credesse che ad un atto di giustizia a nostro riguardo per parte del Governo Imperiale si potesse attribuire un significato politico diverso da quello che esso avrebbe realmente, cercandone la ragione in eventualità, che ora tengono in sospeso tutti gli animi, noi dovremmo rispondere che siffatte considerazioni non sono d'indole tale da poter distruggere i diritti ed i doveri che esistono fra gli Stati e che mal opinerebbe chi supponesse che dalle intervenzioni straniere si siano potuti mai ottenere benefici risultamenti. Queste hanno ognora distrutte le simpatie, seminati i dissidi, preparate le ostilità fra i popoli ai quali gli interessi reciproci bene intesi avrebbero invece dovuto suggerire di vivere in pace ed in perfetta concordia.

Avendomi Ella fatto sapere che il Signor di Moustier risponderebbe alle mie comunicazioni per mezzo di un suo dispaccio al rappresentante di Francia in Firenze, non reputo conveniente darle per ora altre istruzioni relative a questa pratica, riserbandomi di ciò fare, ove ne fossi il caso, dopo aver ricevuta la risposta del Gabinetto francese. Non volli però che la S. V. ignorasse l'impressione prodotta sul Governo del Re dalle cose dette dal Ministro Imperiale degli Affari Esteri, potendo la esatta conoscenza degli intendimenti nostri giovarle sin d'ora come norma generale di conversazione.

(l) -Ed. ad eccezione dei brani fra astetlschi in LV 14, pp. 74-76. (2) -Cfr. nn. 504 e 505. (l) -In LV 14, invece delle parole fra asterischi: «condurre che ad». (2) -In LV 14 qui aggiunto: «Egli è evidente infatti che». (3) -In LV 14, invece delle parole fra asterischi: «volle pure». (l) -In LV 14, invece delle parole fra asterischi: «ha per sola conseguenza di irritare». (2) -In LV 14, invece delle parole fra asterischi: «dovrebbero esser" più che sufficienti per chiarire il Governo imperiale». (3) -In LV 14, invece delle parole fra asterischi: «togliere ogni motivo alle». (4) -In LV 14, invece del brano fra asterischi: «oggi spiegare! come il Gabinetto delle Tuileries abbia potuto cosi profondamente modificare le proprie idee sopra una questione di tanta gravità senza rendercene prima avvisati ».
519

L'INCARICATO D'AFFARI A MONTEVIDEO, RAFFO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1. Montevideo, 11 settembre 1868.

In esecuzione delle istruzioni sul riporto e numerazione della corrispondenza di Legazione citata nel Dispaccio di V. E. N. 2 del 5 passato Agosto (l) comincio oggi la numerazione delle diverse serie.

Confermando a V. E. i miei precedenti Rapporti in data del 4 e 14 passato agosto (2) relativi alla questione dei reclami antichi nulla più mi occorre rispondere al citato Dispaccio di V. E.

Dopo quella data essendo il Signor Herrera y Obes, Ministro delle Relazioni Esteriori stato assente da Montevideo per una missione in Buenos Ayres avuta dal Presidente, non potei conferire con lui che pochi giorni fa, subito dopo il suo ritorno. Egli mi fece osservare, che per potere proporre od accettare le basi d'una convenzione in cui fosse determinata la quantità da pagarsi per l'estinzione di tutti codesti crediti e il modo in cui dovesse farsi il pagamento era indispensabile che il Potere Esecutivo prendesse notizia sommaria della qualità dei crediti medesimi e ne passasse in rivista i titoli o documenti per poterne apprezzare il valore; e formatosi quindi un criterio, e discusse con me le basi d'una convenzione, informerebbe di tutti questi antecedenti la Camera domandando l'autorizzazione di stipulare la conven

zione progettata. È opinione del Signor Herrera, che convenga evitare il lavoro di liquidazione d'una commissione mista e seguendo il procedimento suaccennato egli spera che non sorgeranno difficoltà per riuscire ad un accordo di mutua soddisfazione. Io lo secondai in questa speranza tanto più f<:tcile a realizzarsi quanto maggiore sollecitudine si porrà da parte sua ad accelerare il momento delle trattative. In conclusione restammo intesi che in risposta alla mia del 14 agosto passato mi avrebbe scritto una Nota per espormi la necessità di avere conoscimento dei titoli di credito depositati nella R. Legazione. Alla qual Nota io risponderò essere disposto a darne vista alla persona, che verrà incaricata dal Governo Orientale di questo esame. Sto ora aspettando la Nota del Signor Herrera y Obes.

Il Signor Contrammiraglio Marchese del Carretto, al quale diedi senza ritardo comunicazione della risposta avuta dal Governo Orientale alla mia Nota di Aprile, vista la piega favorevole che avea preso la questione dei Reclami ordinò alla Pirofregata Regina, e Pirocorvetta Ercole di ritornare in Italia ed ormai contano già un mese di viaggio. Il Signor Contrammiraglio si trova in questo momento assente da Montevideo essendo partito a bordo della Pirocorvetta Etna per una escursione nel Paranà e nell'Uruguay.

(1) -Non pubblicato. (2) -Non pubblicati.
520

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1153/490. Londra, 12 settembre 1868 (per. il 16).

Attenendomi alle riserve da Lei prescrittemi col dispaccio n. 107 di questa serie (l) sul modo con cui Ella m'indicava di parlare a Lord Stanley della Notacircolare rivolta dalla Porta ai suoi Rappresentanti presso le Grandi Potenze circa i moti di Bulgaria, gli ho chiesto come di mio spontaneo impulso quale fosse la di lui opinione sulle domande formulate dal predetto documento diplomatico.

Senza esitazione Sua Signoria mi replicò d'essere decisamente avversa a quel perpetuo sistema d'inchiesta sugli atti della Moldo-Valachia proposto dalla Porta.

« Qual'è », mi disse Mylord, «l'utilità d'una inchiesta circa la partecipazione dei Principati Uniti nei recenti casi di Bulgaria? Ci verrebbero fatte mille proteste sulla falsità dell'imputazione, e nessuno sarebbe mai al caso di sapere la verità a tale riguardo. Il miglior partito, a mio giudizio, per la Sublime Porta è quello appunto che dessa sembra avere adottato -di mandare cioè uno dei suoi migliori generali con buon nerbo di truppe su' punti più minacciati; presa quindi una posizione strategica, aspettare il destro favorevole per dare agl'insorti una buona lezione » (si c)

Lord Stanley non aveva ancor veduto l'Incaricato d'Affari di Turchia, ma nel comunicarmi cortesemente quanto precede. m'assicurò che in tal senso sarebbe la sua risposta.

{l) Cfr. n. 465.

521

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 37. Alessandria, 13 settembre 1868 (per. il 18).

*Ebbi già ad annunziare all'E. V. che Nubar Pascià verrebbe a Firenze per interessare il R. Governo alla riforma giudiziaria* (l) che si è proposta il Viceré *, e chiedere appoggio e consiglio.

Pochi momenti fa il reggente Scerif Pascià mi ha diretta una nota per annunziarmi ufficialmente la missione di Nubar, pregandomi di darne partecipazione all'E. V. Mi affretto rimetterne qui unita una copia *, fatta con gran premura stante l'immediata partenza del postale. * Il Ministro Egiziano espone nella sua nota l'oggetto della sua missione, e mi limito perciò soggiungere ·essere a mia cognizione che il Viceré e il suo Governo fanno grande assegnamento sul nostro appoggio *, e sulla nostra cooperazione per tutto ciò che tende a civilizzare l'indigeno, ed arrecar vantaggi allo straniero.

* Nubar è già partito per Berlino, ave, a giudicare dalle dichiarazioni di questo Rappresentante sempre favorevoli ai progetti del Viceré, non dovrà fare un lungo soggiorno.

Notizie giunte jeri da Costantinopoli affermano che Sua Altezza partirà da quella Capitale il 25 del corrente mese. *

L'Agente e Console Generale Russo trovandosi in congedo, ed il gerente avendomi confidenzialmente detto che di certo al suo ritorno offrirebbe un banchetto al Principe ereditario, profittando anche della circostanza che porterebbe con sé una decorazione per il Viceré, o forse per il Principe stesso, ho creduto prevalermi dell'autorizzazione datami per telegrafo dall'E. V., ed ho invitato il Principe per un pranzo la sera del 16 corrente al quale assisteranno il Consiglio di Reggenza, i Ministri, ed i più alti dignitari dello Stato.

522

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (2)

T. Firenze, 15 settembre 1868, ore 23,20.

Je désire savoir ce qu'a écrit Restelli quand nous nous sommes retirés de la Lombardie en 1848 et si dans ce qu'il a écrit il y a quelque chose d'offensif pour mon père et pour l'armée. Qu'est que a contre nous le ministre des affaires étrangères pour chercher toujours d'agir mal? Donnez-moi des nouvelles de

Rouher et dites-moi quelles sont les dispositions de l'Empereur. Je vous préviens que les consuls français ici n'écrivent à leur Gouvernement que des mensonges, sont tous mes ennemis, le pays est tranquille et les mesures sont prises pour quoiqu'il arrive; je crois qu'en France ce soit bien pire qu'en Italie, le Ministère sera bientòt rimpastato et je crois que nous serons forts. Donnez de vos nouvelles.

(l) I brani fra asterischi sono editi in LV 21, p. 19.

(2) Da ACR.

523

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BUENOS AIRES, DELLA CROCE

D. R. l. Firenze, 16 settembre 1868.

Fra gli interessi gravissimi ai quali il Governo del Re deve porgere ogni sua cura, tiene un luogo distinto quello che si riferisce all'efficacia dei sistemi punitivi onde migliorare la condizione morale del nostro paese. La S. V. non ignora certamente in quali tristi condizioni queste versano in alcune parti d'Italia, ed Ella ben conosce come più volte già il Governo del Re abbia dato opera a ricercare se, col mezzo di stabilimenti penali in lontane contrade e colla deportazione dei rei, non raggiungerebbesi quel miglioramento che, nelle condizioni presenti, è pressoché impossibile ottenere col sistema in vigore della reclusione e dei bagni.

In tempi addietro furono fatti studi per fondare uno stabilimento di simil natura nelle regioni dell'America del Sud e più particolarmente in quelle bagnate dal Rio Negro che i geografi indicano come limite fra i territori dell'Argentina e le regioni deserte della Patagonia. Quel progetto benché sia rimasto allo stadio di semplice studio preparatorio, potrebbe forse utilmente essere coltivato quando difficoltà d'indole politica non venissero ad attraversarlo. Epperò il Governo del Re vorrebbe che la S. V., assunte quelle informazioni che Le sarà agevole procurarsi al suo giungere in Buenos-Aires, subito si adoperasse a scandagliare le disposizioni del Governo della Repubblica Argentina per ciò che potrebbe riguardare l'effettuazione da parte nostra del progetto sovra indicato.

Le terre che da noi si potrebbero occupare a quest'effetto sarebbero scelte tra quelle interamente disabitate e sulle quali non si estende la sovranità effettiva di alcun Stato. Limitata allo scopo poc'anzi accennato, l'occupazione territoriale non avrebbe in vista lo stabilimento di una vasta colonia destinata ad acquistare una importanza politica: quindi è che come assolutamente prive di fondamento si dovrebbero ritenere le apprensioni che da quel nostro progetto potrebbero sorgere nelle repubbliche meridionali dell'America. Noi facciamo assegnamento particolare sulla sagacità della S. V. per tutto ciò che può agevolare il compimento di un disegno che, ove potesse attuarsi, riuscirebbe di molto vantaggioso al nostro paese.

Ella vorrà pertanto, appena avrà raccolto le necessarie indicazioni, riferire al R. Governo il risultamento delle di Lei investigazioni.

41 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

524

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI MINISTRI A LISBONA, OLDOINI, A MADRID, GREPPI, A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, A RIO DE JANEIRO, CAVALCHINI GAROFOLI, E A VIENNA, PEPOLI

CIRCOLARE 60 BIS. Firenze, 17 settembre 1868.

Je dois vuos entretenir aujourd'hui d'une question relative ali. cérémonial diplomatique et sur laquelle je vous engage à appeler l'attention du Gouvernement auprès duquel vous étes accrédité.

Voici d'abord les faits:

Lors du passag.e à Paris de S.A.R. l'Infante Dona Isabelle d'Espagne et de

S.A.R. l'Infant Don Gaétan son époux, les Augustes P.rinces ont reçu en audience, au palais des Tuileries, le Corps Diplomatique accrédité auprès de la Cour impériale de France. Le Nonce du S. Siège, Doyen de droit, avait adressé les invitations à ses collègues les représentants des puissances étrangères en exceptant toutefois le Ministre d'Italie. M. Nigra, n'ayant reçu aucun avis, s'abstint d'intervenir à cette réception. S. E. l'Ambassadeur d'Espagne, informé plus tard du motif de l'absence du Représentant italien, envoya le lendemain un des Secrétaires de l'Ambassade chez M. Nigra pour lui faire l'offre, s'il le désirait, de solliciter en son nom une audience spéciale des Augustes Princes espagnols.

Autre fait. Lord Howard, Envoyé extraordinaire et Ministre plénipotenziaire de sa Mayesté Britannique mourait dernièrement à Bruxelles, lieu de sa résidence. Les représentants diplomatiques des différents pays, présents dans cette ville, intervinrent aux funérailles de Lord Howard sur une invitation qu'ils avaient reçue du Nonce du s. Siège. Le Chargé d'affaires d'Italie seul ne fut point invité et il dut à l'amabilité d'un Ministre étranger d'avoir été prévenu à temps pour assister à la cérémonie funèbre.

En présence de ces deux faits qui se sont succédés à un intervalle de quelques jours seulement, le Gouvernement de Sa Majesté a dù se demander si l'exclusion dont les représentants italiens sont l'objet de la part des Agents diplomat.iques du S. Siège est compatible avec les fonctions que ces Agents exercent dans plusieurs Cours en qualité de Doyens du Corps Diplomatique.

Le Gouvernement du Roi n'a jamais songé à contester aux Légats et aux Nonces du S. Siège le caractère représentatif qui leur est attribué par l'acte de Vienne, et qui leur assure très souvent, dans certains pays, la qualité de Doyens du corps diplomatique; mais le Gouvernement de Sa Majesté ne saurait admettre qu'un représentant diplomatique qui exerce les fonctions inhérentes à cette qualité puisse tenir compte des difficultés existant dans les rapport's de son Gouvernement avec l'Italie, lorsqu'il ne s'agit que d'affaires qui en définitive concernent le cérémonial à suivre dans un pays étranger. En appelant l'attention du Cabinet de ... sur les deux faits dont je viens de vous parler, vous voudrez bien demander à S. E. M. le Ministre des Affaires Etrangères s'il ne jugerait pas à propos de faire observer au Vatican qu'il serait juste et convenable ou que 1es Nonces et les Légats du Pape, chargés des fonctions de Doyens du Corps Diplomatique s'acquittent de leurs attributions sans faire aucune exclusion au préjudice des représentants italies, ou qu'ils renoncent à exercer des fonctions qui sont incompatibles avec l'attitude qu'il prétendent garder envers un Gouvernement ami de ... (1).

525

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. P.S.N. Firenze, 17 settembre 1868.

Depuis à peu près un an on publie à Florence un journal intitulé la Correspondance italienne. La politique modéré que ce journal a défendue jusqu'ici étant conforme à celle du Gouvernement, et les rédacteurs de cette feuille étant généralement assez bien renseignés sur les affaires italiennes, on a supposé que la Correspondance avait des attaches directes avec mon Ministère et que par conséquent la responsabilité de tout ce que cette feuille publiait devait remonter jusqu'au Gouvernement. Rustem Bey est venu plusieurs fois à me parler de ce qu'il appelait le ton malveillant de la Correspondance italienne envers la Turquie. J'ai décliné de la manière la plus formelle toute responsabilité dans la publication de ce journal. Mais cette déclaration bien que souvent répétée, n'a pas suffi, semble-t-il à satisfaire Rustem Bey qui est revenu plusieurs autres fois m'entretenir encore de ce méme sujet. J'avais promis à Rustem Bey de parler en mon propre nom au directeur de la Correspondance afin qu'il évitàt tout ce qui pourrait paraitre hostile à la Turquie et qu'il apportàt le soin le plus scrupuleux dans le choix des nouvelles qui lui parviennent sur les affaires ottomanes. J'ai rempli cette promesse sans toutefois garantir à Rustem Bey le succès de la démarche toute personnelle que j'allais faire.

Comme il parait que malgré tout ce que je viens de dire Rustem Bey ne se montre pas encore satisfait, je tiens à ce que vous entreteniez de cette affaire

S. A. Fuad Pacha et que vous lui déclariez de la manière la plus explicite que le seul journal qui puisse engager la responsabilité du Gouvernement italien est la Gazette o!ficielle du Royaume et seulement dans sa partie officielle. Vous voudrez dire en méme temps à Son Altesse que si Rustem Bey venait de nouveau se plaindre des publications de la Correspondance italienne je me verrais forcé de ne point accepter la conversation sur un sujet que, mes déclarations précédentes ont déjà complètement élucidé.

«La prego di prendere cognizione dl quel mio dispaccio e di volersene servire per fare presso 11 signor de Moustier quegli stess\ uffici che io ho commesso al di Lei colleghi accreditati alle Corti anzidette ».

(l) Con d. 411 del 19 settembre Menabre~ trasmise a Nigra copia di questo documento aggiungendo:

526

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 161. Costantinopoli, 18 settembre 1868 (per. il 25).

Il generale Ignatiew, che mi comunicò confidenzialmente l'unita lettera di Sua Altezza il Gran Vizir al Principe Carlo di Rumenia (1), mi disse che se la Sublime Porta si desistette dal provocare inchieste intorno alla condotta del Governo Rumeno coll'intendimento di chiamarlo in colpa, non solo per non aver impedito, ma per aver anzi favoreggiate le bande Bulgare che invasero il territorio Ottomano, egli è in seguito alle sue proprie rimostranze, mercé le quali riuscì a far mutare avviso al Governo Imperiale.

Egli volle persuadermi che la proposta fattaci a Kanlidja quando eravamo assisi attorno al tappeto verde, ed in conseguenza della quale noi spedimmo un telegramma identico ai nostri agenti Consolari a Bukarest, nonché ai nostri rispettivi governi, aveva per iscopo (nel suo modo di vedere, s'intende) dì preparare un intervento dell'Austria nei Principati Uniti, e che per opporsi appunto a siffatto progetto egli aveva combattuto la proposta, e con essa l'azione collettiva che si voleva provocare presso il Governo Rumeno, come tosto i nostri Gabinetti avessero ricevuto le opportune informazioni.

Lascio al mio collega lo stare nella sua opinione che non saprei dire quanto sia appoggiata nel caso attuale, e preferisco credere, come Io dissi al mio collega d'Inghilterra nel giorno stesso della proposta fattaci, che scopo essenziale della Sublime Porta, nel provocare l'inchiesta immediata dei nostri Consoli, sia stato quello di impedire più tardi un'inchiesta Europea nella Bulgaria a modo di quella da noi proposta in Creta pel tratto di più mesi dell'anno scorso, e che riuscì alla nota collettiva del 29 passato Ottobre.

Fuad Pacha deve avere pensato che se egli avesse promosso simile inchiesta in Creta, quando cominciarono i primi mali umori, e quando ancora la guerra civile non aveva imperversato nell'isola, le Potenze avrian potuto discernere chi soffiava in quel fuoco, epperciò dando la colpa a chi era il vero colpevole, fosse la Grecia o la Russia, o l'una e l'altra isolatamente, non avrian di sorverchio insistito più tardi presso la Sublime Porta per un'inchiesta diretta ai Cretesi medesimi onde conoscere il loro voto, ed il cui risultato non poteva più riuscire ad altro all'ultima ora, se non che ad una separazione sì mercé l'autonomia accordata agli Isolani sotto un Principe Cristiano, sì mercé la loro annessione alla Grecia.

Per antivenire eguale risultato presso i Bulgari, qualora si lasci sviluppare in mezzo a loro la guerra civile e quindi i Cristiani, dopo lunga ed accanita lotta contro i Musulmani chiedano a loro vicenda la separazione, l'autonomia, e che so io, il Governo Ottomano pigliò, a mio avviso, l'entratura dell'inchiesta. Che se in giornata esso si desiste dal promuoverne Io sviluppo ulteriore, ed ama por fede nella lealtà del Principe Carlo, egli non è men vero che le Potenze garanti sanno fin d'ora à quoi s'en tenir sul vero carattere delle invasioni bul

{l) Non si pubblica.

gare allo stesso modo con cui possono conoscere con qual fine e da qual mano esse siena promosse e caldeggiate. Un avvenire non molto lontano metterà, credo, i singoli governi in grado di spiegare la loro opinione in proposito se sono vere le notizie che trasmetto all'E. V. col mio rapporto di oggi n. 162 (1).

527

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 733. Parigi, 18 settembre 1868 (per. il 24).

Il discorso pronunziato dal Re di Prussia a Kiel, trasmesso qui jer l'altro per telegrafo, suscitò di nuovo ed aumentò i timori di guerra. I fondi pubblici precipitarono improvviso. Ieri però, considerate le cose con maggior calma, la Borsa di Parigi riprese un po' di fiducia. Ma rimane tuttavia un'impressione di grande inquietudine. Io non credo che questo discorso possa mutare i proponimenti dell'Imperatore Napoleone. Persisto a pensare che l'Imperatore desidera conservar la pace, ma che è nel tempo stesso deciso a prendere d'or innanzi un'attitudine molto risoluta e ad opporsi ad ogni nuovo passo che la Prussia intendesse fare al di là dei limiti segnati dal trattato di Praga. Siccome però è possibile che una tale attitudine non sia subita, siccome è prevedibile che dalle contrarie tendenze di due Stati, formidabilmente armati, collocati in costante contatto, e di due popolazioni potenti per numero, per ricchezza, per forze militari, irritabili ed irritate l'una contro l'altra, gelose ed orgogliose, scoppii ad ogni menomo urto il .conflitto, è naturale il supporre che l'Imperatore Napoleone, dopo aver pensato agli armamenti, abbia anche pensato e pensi alla questione delle alleanze.

La natura confidenziale e segreta delle pratiche che possono essere state fatte o vadano facendosi dalla Francia presso le varie Potenze, in ordine a questa questione delle alleanze, non permette d'asseverare nulla di ben preciso finora. Non è quindi possibile per ora l'esporre altra cosa che induzioni fondate su probabilità più o meno verosimili. Per quanto io posso giudicare, mi risolverei a credere che l'Imperatore, in caso di guerra inevitabile colla Prussia, desideri che essa si limiti ad una specie di duello tra le due Potenze.

La neutralità delle altre Potenze parmi essere lo scopo, che in caso di conflitto l'Imperatore brami ottenere. Ma è difficile, per non dire impossibile, l'ottenere che le varie Potenze vogliano legare la loro libertà d'azione, e ciò prima ancora che la questione di guerra sia posta sul tappeto. Dirò di più. È impossibile il farne la domanda ad alcuna di queste Potenze, senza porre addirittura in campo la questione di guerra. Una domanda di questo genere, anche avente un carattere puramente eventuale, indicherebbe troppo chiaramente le previsioni bellicose che si ha interesse ad allontanare. Adunque è cosa più che probabile che nessuna apertura di questo genere fu fatta né all'Inghilterra, né alla Russia. Quanto all'Inghilterra, si pensa qui che per poco

ch'essa sia assicurata intorno al mantenimento dello stato attuale del Belgio e dei Paesi Bassi, non si mescolerebbe materialmente nel conflitto. I timori sono ben più gravi dal lato della Russia. Il caso d'una cooperazione di questa Potenza in favore della Prussia non è impreveduta. In questo caso sembra che la Francia speri di poter contare dal suo lato sulla cooperazione in favor suo dell'Impero Austriaco. Le comunicazioni fra Parigi e Vienna sono incessanti. La migliore intelligenza regna fra le due Corti. Il principale ostacolo ad un'alleanza austro-francese contro la Prussia, che è nell'avversione ad una tale alleanza nell'elemento Ungherese, elemento oramai preponderante nell'Impero Austriaco, un tale ostacolo, dico, scomparirebbe dal momento che la Russia entrasse in scena. L'avversione degli Ungheresi verso la Russia, rappresentante delle tendenze slave, vincerebbe senza dubbio ogni altra considerazione, ogni altro sentimento, ogni altro interesse nell'animo dei Magiari. All'azione russa in favore della Prussia si o:gporrebbe quindi l'azione austriaca in favore della Francia. Al Belgio ed all'Olanda, in caso di guerra, la Francia domanderebbe senza dubbio almeno una neutralità benevola. Al Belgio si domanderebbe anche forse il libero passaggio delle truppe francesi. La nomina del Visconte De Lagueronnière come Ministro di Fra-ncia a BrusseHe dà qualche credito alle voci corse di proposizioni di lega doganale e militare che la Francia farebbe al Belgio ed all'Olanda, giacché si sa che queste idee sono vagheggiate da questo personaggio. Comunque si debbano giudicare queste voci, è certo che l'Olanda, che vive in continuo sospetto della Prussia, favorirà, quanto più potrà, l'azione della Francia, ed in allora non rimarrà al Belgio nessuna possibilità d'opporsi a questa medesima azione. Perciò anche da questo lato la Francia si lusinga di non essere inceppata nei suoi movimenti, se pure non ne spera una cooperazione più o meno attiva. Alla Svizzera, alla Danimarca ed alla Svezia, non credo che si penserebbe. Rimane l'Italia. Io sono d'avviso che l'Imperatore Napoleone non ci domanderebbe altra cosa che la neutralità, estesa, ben inteso, agli Stati Pontificii. È diffatti a sperarsi che l'Imperatore se è assicurato che l'Italia rimarrà tranquilla e non susciterà imbarazzi nella questione romana, non le domanderà altro e risponderà anzi con un atto di fiducia ritirando la guarnigione francese da Civitavecchia. Non penso che l'Imperatore ci domandi una alleanza in caso di guerra, perché teme forse che gli si chiegga in contraccambio un prezzo che non potrebbe accordare, Roma. Che se al contrario, in seguito ad una condizione di cose che io giudico affatto impossibile, la Francia non potesse contare sulla neutralità dell'Italia e sul non turbamento degli Stati Pontificii, non è impossibile che in tal caso, ma in tal caso soltanto, la Francia si pieghi ad accettare il concorso più volte offerto, della Spagna. Non ho nessuna ragione di supporre che si facciano adesso pratiche in proposito, e sono certo che non fu detta una sola parola relativa a queste cose al Conte di Girgenti che si trova ora in Parigi. Ma non dubito d'altronde che non ci sia bisogno di molte pratiche per indurre, nel momento opportuno, la Regina di Spagna ad una spedizione a Roma, della quale ha fatto altra volta l'offerta e che sembra esser il voto più vivo e più costante del suo animo. All'Italia ostile e minacciante Roma è adunque prevedibile che si opponga la Spagna, col sussidio di truppe francesi. Io credo questa eventualità affatto impossibile e son convinto che l'Imperatore Napoleone desidera sinceramente che rimanga tale.

L'attitudine degli Stati tedeschi del Mezzodì, nel caso d'una guerra tra la Francia e la Prussia, è difficile a prestabilirsi. L'opinione volgare è che le popolazioni dell'Allemagna meridionale si solleveranno come un sol uomo all'annunzio di guerra, per far causa comune colla Prussia contro lo straniero. Non dubito menomamente dei sentimenti di patriotismo di questa parte delle popolazioni germaniche. Sono convinto che un movimento nazionale si pronunzierebbe, e che questo movimento sarebbe universale e alla fine irresistibile. Ma credo altresì che un grande moto nazionale non si opera improvvisamente. Anche ammettendo che Governi e popoli e partiti cadano subito d'accordo per un'azione comune colla Prussia, il che può anche sembrare incerto, non v'è dubbio che c'è bisogno d'una certa preparazione e d'un certo tempo, per provocare un movimento generale e veramente nazionale. Le masse popolari non si muovono ad un momento fisso e prestabilito. Potrebbe quindi accadere che prima che un tale movimento s'avverasse e prendesse proporzioni efficaci, l'esercito francese, se la vittoria gli sorridesse in primo scontro, si trovasse di già sulla via di Berlino ed impedisse così ogni utile cooperazione della Germania Meridionale. Il movimento nazionale si farebbe senza dubbio. Esso sarebbe un grande elemento di forza per la Prussia in una guerra lunga. Ma al modo con cui si fanno ora le guerre, combattute a precipizio in pochi formidabili scontri, nei quali si getta risolutamente tutta la forza militare disponibile di due paesi, è a prevedere che il moto nazionale dell'Allemagna del Mezzodì giungerebbe tardi, se pure avrebbe avuto il tempo di pronunziarsi in mezzo alle tendenze divergenti, alle irresoluzioni, ed alle lentezze consuete di quei popoli e di quei Governi.

(l) Non pubblicato.

528

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, COVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1272. Madrid, 19 settembre 1868, ore 15 (per. ore 17).

Un mouvement insurr,ectionnel vient d'éclater à Cadix. La marine s'est prononcée contre le Gouvernement qui a de vives inquiétudes.

529

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 1159/l. Londra, 19 settembre 1868.

Al dispaccio riservatissimo sulla convocazione del Concilio Ecumenico (Divisione Politica n. I -3 scorso agosto) (l) cui andavano annessi quattro documenti diplomatici statimi consegnati dal Signor Cavalier Paternò-Raddusa al

suo giungere a questa Legazione, non ho potuto prima d'ora rispondere per l'assenza da questa Capitale non solo del Segretario di Stato degli Affari Esteri, ma di pressoché tutti gli uomini politici più distinti.

A vero dire sarei stato al caso di rassegnare immediatamente all'E. V. che -quantunque la opinione pubblica in Inghilterra non rimanga indifferente all'avvicinarsi di un avvenimento il quale formerà un così segnalato contrasto colle idee della età presente, ricordando agli uomini che tutto muta, sulla terra fuorché il fanatismo della Corte Romana -il Governo Britannico si terrà completamente all'infuori di qualunque partecipazione diretta o indiretta alla Congrega del Gran Sinodo Apostolico e non eserciterà la benché menoma influenza sui prelati cattolici che accorreranno alla voce del Pontefice.

Ma ho però voluto aspettare l'arrivo di Lord Stanley e quello di alcuni altri ragguardevoli personaggi, onde poter più coscienziosamente ragguagliare V. E. dopo di avere -uniformandomi alle istruzioni trasmessemi -parlato secoloro di siffatto importante argomento.

Il risultamento delle conversazioni ch'ebbi non servì che a confermarmi nelle opinioni da me più sopra esposte.

Il Governo Britannico riguarda puramente il Concilio Ecumenico come un fatto religioso, e, non annettendovi nessuna considerazione politica, desso non userà in nessuna guisa la sua influenza sopra checchessia avente tratto tanto alla riunione quanto alle decisioni del futuro Congresso della Prelatura Cattolica.

Al « Foreign Office » ho saputo che l'Incaricato d'Affari Britannico costà, scrisse a Lord Stanley che V. E. lo intrattenne recentemente su questo grave soggetto, il quale a ragione preoccupa le menti in Italia; tuttavia il rapporto del Signor Herries non ottenne altra apprezzazione tranne quella data ad una questione che non è di spettanza dell'Inghilterra ed in cui la medesima non può né brama ingerirsi.

Infatti qualunque sia il Governo che si troverà al potere quando s'adunerà il Concilio è ovvio che o Tory o Whlg -per l'obbligo che ha di cercare l'appoggio del Clero Cattolico in conseguenza dello stato in cui versa l'Irlanda sarà costretto a non opporsi in nessuna maniera all'indirizzo che i Vescovi Inglesi ed Irlandesi vorranno dare alla loro linea di condotta in seno a quella adunanza.

Il Times di quest'oggi contiene un ottimo articolo di fondo su simile eventualità e qui mi pregio trasmetterlo a V. E. pel caso che avesse sfuggito alla di Lei attenzione; esso articolo non è però dettato da un Inglese ma è dovuto alla penna del Signor Gallenga, il quale si propone di stamparne una serie, onde esercitare qualche pressione sul pubblico britannico; ed ove l'E. V. il bramasse potrei parlare a questo distinto pubblicista, onde stenda i Suoi scritti sul rilevante argomento in discorso nel modo che più converrebbe agl'intendimenti del R. Governo.

Mi riserbo fra breve di mandarLe alcuni appunti biografici intorno a quei prelati del Clero cattolico d'Inghilterra e d'Irlanda, i quali non solo non mancheranno di assistere al Concilio Ecumenico, ma che non potranno fare a meno dt prendervi una parte cospicua sia per la elevata loro posizione, sia per l'altra

montanismo eccessivo delle loro opinioni. Di tal novero i principali sono il Cardinale Cullen, l'Arcivescovo Manning, ed il Vescovo Grant.

Il seguente poi è l'elenco dell'Episcopato Apostolico del Regno Unito: l'Irlanda Cattolica è divisa in quattro privincie, e quattro Arcivescovi due de' quali sono Primati, ed uno (quel di Dublino) è ora Cardinale.

Il numero de' Vescovi è di 24 oltre i quattro Arcivescovi. In Inghilterra vi sono solo 12 Vescovi ed un Arcivescovo. La Scozia non è costituita in gerarchia, ed ha solo quattro vescovi in partibus col titolo di Vicarj Apostolici.

Circa al concorso dei medesimi al futuro generale Concilio non si può dir nulla di certo. Sembra però che la massima parte di loro andranno a Roma. Si dice nei circoli religiosi che tutti vi assisterebbero se tutti lo potessero, ma molte circostanze saranno cagione senza dubbio che fra di essi alcuni non pongano ad esecuzione tale desiderio.

(l) Cfr. n. 443. nota l, p. 491

530

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, COVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1275. Madrid, 20 settembre 1868, ore ... (per. ore 21,20 del 21).

Les communications avec l'Andalousie sont interrompues. Tout le Royaume est déclaré en état de siège. La Reine est attendue demain à Madrid. Elle a accepté la démission du Ministère. Le marquis de la Havana a accepté la présidence du nouveau Cabinet qu'il tàche de former. La situation actuelle des choses est grave.

531

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI

T. 722. Firenze, 21 settembre 1868, ore 22,30.

Veuillez me faire connaitre l'impression que les événements d'Espagne ont produit sur le Gouvernement portugais (l).

532

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 723. Firenze, 21 settembre 1868, ore 22,30.

Veuillez me dire ce que l'an pense à Paris dans les régions gouvernementales des événements d'Espagne (2).

(l) -Per la risposta cfr. n. 536. (2) -Per la risposta cfr. n. 534.
533

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL BARONE CASTELNUOVO

L. Firenze, 21 settembre 1868.

Ho preso in attenta considerazione il contenuto della di Lei lettera del 19 corrente (l) relativa alla Convenz.ione finanziaria che V. S. ha presentato a S. A. il Bey di Tunisi e che questi ha accettato.

Riassumendo a sommi capi le disposizioni di quella Convenzione Ella mi scrive che la medesima «si concreta nei seguenti titoli principali: 1° unificazione del debito tunisino, sì interno che esterno: -2° Obbligazione di S. A. il Bey a governare con leggi organiche da promulgarsi a fine di evitare nuove scosse al commercio ed assicurare i crediti e gli interessi individuali: -3° riduzione delle spese del budget tunisino: -4° abbandono delle entrate di quel paese nelle mani della Commissione a sicurezza dei pagamenti per le cedole ( coupons), per l'ammortamento e per le spese amministrative etc.». Il compimento di questa operazione finanziaria sarebbe però subordinato alla guarentigia che la Francia, l'Inghilterra e l'Italia dovrebbero accordare per il mantenimento dell'autonomia dello statu quo politico della Reggenza. La S. V. per ultimo mi interpellava se il governo italiano darebbe la sua applicazione ed il suo appoggio ad un simile progetto.

Rispondendo alla di Lei domanda conviene premettere che tutte le quistioni sulle quali Ella ha chiamato la mia attenzione e che formano argomento degli speciali accordi stipulati da S. A. il Bey colla Società dei Banchieri che si valsero dell'opera della S. V. sono quelle stesse sulle quali corsero in tempo più o meno vicino a noi particolari negoziati fra le varie potenze, negoziati che se non crearono impegni positivi hanno però fatto nascere fra i Governi principalmente interessati una solidarietà di interessi che dal canto suo l'Italia non deve e non può senza suo danno disconoscere. Ciò conduce a dire che l'azione del Governo italiano in tutto ciò che concerne la Reggenza di Tunisi non potrebbe in nessun caso separarsi da quella degli altri Stati cointeressati perocché nell'accordo dei medesimi riposa la sola vera guarentigia dell'integrità politica dello Stato tunisino. Questa integrità ognuno il sa, è negli interessi dell'Italia.

Venendo ora a esaminare partitamente i punti nei quali Ella ha riassunto le disposizioni della Convenzione consentita dal Bey, debbo farle osservare che, dappoiché il Bey crede che l'unificazione del suo debito sia un provvedimento utile alla sua finanza, il Governo italiano non cercherà di opporsi all'effettuazione di siffatta operazione sempre che peraltro siano rispettati i diritti acquisiti degli attuali creditori italiani, diritti che il Governo del Re è chiamato a tutelare.

Intorno alla obbligazione del Bey di governare la Tunisia secondo certe leggi organiche conviene che io osservi che un miglior ordinamento del regime interno della Reggenza è sempre stato ne' desidel'i del Governo italiano il quale vedrà con piacere il Governo del Bey assumere un impegno preciso verso tutte le potenze di mantenere in rigorosa osservanza le dette leggi che dovrebbero però

essere preventivamente comunicate ai singoli Gabinetti interessati. Il buon governo del paese sarà sempre il miglior partito a prendersi dal Governo di S. A. il Bey per garantire la propria indipendenza politica; epperò il Governo italiano non potrà che applaudire alla decisione che prenderebbe il Bardo di ridurre a più limitata somma il passivo del suo annuo bilancio.

Quanto all'abbandono delle entrate nelle mani di una Commissione mista il Governo del Re non potrebbe emettere alcun avviso prima che siano risolute le difficoltà che sulla composizione di detta Commissione sono tutt'ora pendenti. I grandi interessi che ha l'Italia in Tunisi, indipendentemente da quelli che risultano dai crediti verso lo Stato tunisino, sono motivo per cui nella Commissione medesima il Governo italiano non potrebbe accettare una posizione inferiore a quella di qualunque altra Potenza. Per ciò poi che riguarda il mandato che alla Commissione stessa si dovrebbe affidare io ritengo che dai Governi interessati si dovrebbero ricercare i mezzi di assicurare alle entrate della Reggenza l'impiego al quale sono destinate pur conservando alla medesima l'indipendenza che le è indispensabile.

Come Ella vede, Signor Barone, il Governo italiano guidato da questi principii non può non mostrarsi in massima favorevole a tutti i progetti che tornando favorevoli agli interessi della Reggenza di Tunisi ne guarentiscono l'esistenza e l'indipendenza politica ed Ella sa che alla conservazione dell'una e dell'altra noi non abbiamo mai cessato di vivamente interessare!.

(l) Non pubblicata.

534

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1277. Parigi, 22 settembre 1868, ore 13,45 (per. ore 19,40).

Le monde officiel est presque entièrement absent de Paris, et d'autre part les correspondances télégraphiques d'Espagne sont interrompues. Dans ces conditions les prévisions sont incertaines. Dans les sphères officielles on est porté plut6t à croire que le mouvement ne prendra pas ls proportions d'une insurrection. Corti arrivé ce matin à Paris part ce soir méme pour Madrid.

535

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL CONSOLE DESTINATO A SERAJEVO, DURIO

D. l. Firenze, 22 settembre 1868.

Il lungo soggiorno fatto dalla S. V. in molte residenze del Levante e sovratutto quello ch'Ella fece in Belgrado mi dispensano in gran parte dal doverle fare una ragguagliata esposizione delle varie quistioni sulle quali importerà ch'Ella porti la sua attenzione durante il tempo ch'Ella rimarrà in Bosnia. Le difficoltà del nuovo posto ch'Ella va ad occupare consistono unicamente per ora in quella di procurarsi informazioni precise ed esatte e di poter così seguire il movimento delle popolazioni Slave in tutte le sue fasi principali e nei suoi rapporti colla politica di vari Governi. Queste difficoltà nascono dagl'interessi rivali che rappresentano alcuni consolati stranieri nelle residenze di Levante in generale ed in quelle di Bosnia in particolare; ma ancor più da un sistema che non manca d'una certa abilità, seguito dal Governatore di Serajevo il quale si adopera con moltissima e finissima arte a far sì che degli affari del suo Vilayet non si parli nè a Costantinopoli nè all'estero; cosa questa ch'egli ottiene facilmente coll'isolare il corpo consolare e non lasciando arrivare che quelle informazioni che a lui conviene di lasciar diffondere ed accreditare.

Queste avvertenza premesse, eccole, signor console, il concetto che attualmente si forma il Governo del Re sulle quistioni che possono interessare la Bosnia.

La morte del Principe Michele di Serbia ha certamente rotto un piano da lungo preparato, il cui obiettivo sembrava dovess'essere l'annessione dapprima indiretta, più tardi completa della Bosnia e dell'Erzegovina al Principato Serbo. Costituita in forza, la Serbia avrebbe esercitato forse sulle altre popolazioni slave del sud un'attrazione che le avrebbe o tosto o tardi condotte a formare un'unità compiendo così il voto e le aspirazioni di quelle popolazioni. Comprendeva il Principe Michele che il compimento d'un così vasto interesse sarebbe stato compromesso se creando agitazione, o turbolenze si fosse data occasione all'Austria d'intervenire materialmente nelle provincie turche finitime, perocchè simile intervento sarebbe stato certo il srgnale d'uno sconvolgimento generale in tutto l'Oriente europeo. Infatti si sapeva che una simile eventualità avrebbe immediatamente tratto in campo anche la Russia.

In quello stadio che precedette l'assassinio del Principe Michele, potevasi avere una tale quale sicurezza morale che pel fatto della Serbia difficilmente si sarebberò rotte le ostilità e che invece le aspirazioni slave avrebbero procurato il loro compimento in un lavoro lento e perseverante di sviluppo interno e forse anche di parziali accordi colla Turchia stessa e di componimento colle altre Potenze. L'autorità che il defunto Principe s'era acquistata era in tutto ciò la miglior guarentigia che si avesse di una buona riuscita.

Ogni cosa che può allontanare dall'Europa l'eventualità di perturbazioni e complicazioni politiche è troppo conforme all'interesse ben inteso del nostro paese perché il Governo del Re non fosse lieto di vedere che anche la quistione degli Slavi del Sud prendesse tale una via dalla quale non sarebbero probabilmente derivate imminenti difficoltà, pur mantenendosi integro per l'avvenire ogni generale interesse risguardante la costituzione nazionale de' popoli orientali.

Ma dappoiché chiamato alla successione del trono di Serbia un principe mi" nore di età, il Governo del Principato passò nelle mani d'una reggenza, la Serbia stessa, sembrò perdere ogni influenza nella direzione politica de' popoli slavi, i quali nelle persone stesse che compongono la Reggenza sembrano riporre una limitatissima fiducia. Epperò primo effetto de' mutamenti avvenuti nel Governo di Belgrado fu lo scindersi del partito nazionale croato il quale avea prima inclinato a favorire i progetti del Principe Michele. La frazione che non vuole transigere coll'elemento magiaro si ritirò dalla Dieta e l'altra frazione più inchinevole ad una transazione, rimasta ormai sola nella rappresentanza legale, esamina in questo momento l'elaborato di Pest per un accordo tra l'Ungheria e la Croazia, accordo che dopo le recenti vicissitudini sembra aver probabilità di essere accettato.

Questo cambiamento nella direzione delle idee d'un gran numero dei 'membri del partito di Agram non fu per anco da noi accertato, ma s'hanno sintomi vari dai quali si può arguire ch'esso realmente esiste.

Qualunque però sieno per essere le condizioni delle cose in Croazia, giova notare che se per avventura il movimento Slavo non s'è rallentato, sfugge da qualche tempo alle nostre osservazioni, il che indicherebbe quanto meno che il medesimo si compie in un modo meno apparente. Ogni diligenza dovrà quindi essere messa in opera dalla S. V. per tutto osservare e prontamente riferire.

Finché la direzione del movimento degli Slavi del Sud stava in Belgrado, il movimento stesso come quello che procedeva lento e regolare verso il ripristinamento delle autonomie slave, costituiva per se stesso una potente guarentigia contro lo estendersi sulla Bosnia ed Erzegovina d'una straniera dominazione. Il lavoro della interna ricostituzione di quei popoli si operava per forza propria ed il carattere del Principe Michele era il miglior moderatore che si potesse desiderare per mantenere il rivolgimento politico di paesi slavi del sud nelle vie pacifiche e regolari.

Oggidi le cose sono assai mutate e vari sintomi si possono osservare dell'avvenuto cambiamento. L'elezione d'un Principe di minore età, non solo guarentita, ma riconosciuta colla sanzione accordata al Principe ereditario dalla Porta, ha tolto per molti anni al Principato Serbo il solo modo col quale, nelle condizioni presenti della sua civiltà, avrebbe potuto esercitare un primato sugli altri paesi Slavi. Per altra parte notevoli sono gli indizi delle tendenze ognor più manifeste del Governo di Pest a farsi centro d'un grande impero orientale del quale suggerisce l'idea la ricordanza storica non ancora estinta nel popolo magiaro della triplice corona di S. Stefano. L'esito del sistema di dualismo introdotto in Austria avendo ormai assicurato all'Ungheria un'incontestabile preponderanza sulla parte cisleithana, da discordie e da dissidi d'ogni sorta ora più che mai indebolita, non può sembrare fuori d'ogni probabilità che il Gabinetto di Pest si adoperi a preparare in proprio vantaggio l'ingrandimento dello Stato, anche oltrepassando i confini del triregno. E la S. V. non ignora che dirigendo nel campo delle previsioni politiche, delle quali però sarebbe per noi prematuro l'occuparci, da non pochi già si ritiene che l'esecuzione d'un simile piano potrebbe essere l'obiettivo della politica sinora poco conosciuta del gabinetto magiaro.

Fra lo stato di prima, quando cioè la direzione del movimento degli Slavi del Sud era nelle mani di Serbi, e le condizioni presenti, passa un divario grande per tutto ciò che può aver tratto agli interessi politici di vari Stati. Sarebbe difficile in tante incertezze di cose pronunziare un avviso. Importa per ora studiare ed esaminare le tendenze ed i movimenti parziali da' quali si possa trarre argomento per fondare previsioni sicure. Intanto gioverà pure considerare che se le popolazioni slave dell'Austria si associassero definitivamente e sinceramente all'Ungheria, saranno le prime interessate a promuovere tutto quanto può condurre a dar loro una superiorità numerica ed un'importanza territoriale per mezzo delle quali eserciterebbero una assoluta preponderanza sull'elemento magiaro. Il R. Ministero al quale incombe l'obbligo di osservare con occhio attento ogni avvenimento le cui conseguenze immediate turberebbero le proporzioni attualmente esistenti tra le forze degli Stati bagnati dall'Adriatico, commette a Lei il difficile e delicato incarico di fornirgli precise informazioni sulle disposizioni che si possono osservare nelle provincie slave della Turchia che costituiscono il suo distretto consolare. Se lo svolgersi degli avvenimenti dovesse portare qualche mutamento nello stato presente delle cose, quale è descritto in questo dispaccio, il ministero non mancherà di farle avere quelle altre direzioni che la diversità del caso potrà richiedere.

I moti di Bulgaria non sembrano, almeno per ora, collegarsi con quelli che si diceva fossero stati predisposti nelle provincie di Bosnia ed Erzegovina. Non può però esser senza interesse ch'Ella verifichi se questa opinione sia fondata.

Non distolto da continue cure d'affari privati e contenziosi di R. sudditi, Ella potrà applicarsi utilmente anche ad !studiare le condizioni interne del Vilayet di Bosnia. Un moto spontaneo in quella provincia ottomana non potendo facilmente supporsi possibile se non è cagionato dal profondo malcontento delle popolazioni, importa conoscere minutamente quale è lo stato attuale delle cose, e seguire con ogni possibile attenzione ogni cosa che sulle disposizioni delle popolazioni verso il Governo possa esercitare una qualsiasi influenza.

È sovra questo campo quasi esclusivamente politico ch'Ella è chiamata a rinnovare le prove già date a parecchie riprese di zelo e di accorgimento pei quali la S. V. va annoverata fra coloro che possano rendere, in siffatte materie, i più importanti servigi al R. Governo.

Sovra queste distinte doti di Lei faccio pieno assegnamento.

536

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1279. Cintra, 23 settembre 1868, ore 22 (per. ore 24).

Roi de Portugal m'a mandé par télégraphe d'intervenir au conseil des ministres convoqué extraordinairement pour les affaires d'Espagne. Sa Majesté m'a chargé de faire connaltre au Gouvernement du Roi que le Portugal garde une neutralité absolue et cette nuit les fortifications du Tage seront armées de canons rayés de gros calibre pour la faire respecter au besoin par tout parti espagnol qui tenterait l'enfreindre. En outre ordre a été envoyé de garder frontière et ne pas laisser sortir émigrés sans passeport régulier. Montpensier est toujours ici, le Roi est allé le voir et fait sentir difficulté de sa position. Ministre de France avait déjà déclaré d'avance que l'Empereur ne laissait établir en Espagne ni république, ni Orléans ni prince français.

537

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 268. Berlino, 23 settembre 1868.

Nella conversazione che ebbi oggi col Signor d'Abeken, ragionando della situazione politica generale, dei rappol'lti fra la Prussia e la Francia, della moderazione, cui la stampa politica di quest'ultimo paese pareva incominciasse a rassegnarsi, mi dimostrai informato della comunicazione fatta all'E. V. dal Conte d'Usedom e menzionata nel dispaccio confidenziale che Ella mi fece l'onore di dirigermi addi 11 corrente sotto il n. 92 della Serie Politica Cl).

Al Signor d' Abeken parve riuscir nuova la dichiarazione del rappresentante prussiano, però soltanto in questo senso che dagli ultimi rapporti del medesimo non risnltava che egli ne avesse fatto l'oggetto di un'esplicita comunicazione. Il mio interlocutore si affrettava di aggiungere che i sentimenti, cui accennavo, erano quelli che inspiravano le istruzioni date al Conte d'Usedom, e che dalle conversazioni, che questi aveva l'onore di avere coll'E. V. doveva per certo risultarne chiaramente il concetto «Voi già sapete, aggiungeva egli, che l'anno scorso il Conte di Bismarck ed il Signor de Thile vi hanno espresso il medesimo pensiero. Il regno d'Italia, a nostro avviso, è una necessità nell'interesse Europeo». (mio rapporto politico n. 83 16 ottobre 1867) (2).

Ho vivamente ringraziato il Signor d'Abeken delle sue parole, dicendogli quale soddisfazione avessero procurato al Governo del Re quelle del Conte d'Usedom, dalle quali appariva come il Governo Prussiano apprezzasse la politica moderata e prudente, che seguiva il Gabinetto presieduto dall'E. V. nello intendimento di favorire una durevole tranquillità in Europa.

Ho discorso quindi col Signor d' Abeken delle eventualità, che potevano nascere dal mov,imento rivoluzionario spagnuolo. Le scarse ed incomplete notizie, che se ne hanno sinora, non permettono guari di giudicare la situazione, benchè a Berlino si creda che i moti scoppiati in !spagna avranno conseguenze assai più gravi e decisive che non le ebbero gli ultimi tentativi di simil natura. Le poche parole, che ho potuto raccogliere in questi g,iorni, mi farebbero credere che questo Governo deplora i fatti, che minacciano la Corona della Regina Isabella, ma non ne attribuisce la colpa alla Sovrana stessa: che però non vede con dispiacere turbate le fila di un accordo, che stava forse per legare tra loro i regnanti di Francia e di Spagna. Si è parlato troppo spesso di negoziati per una eventuale occupazione spagnuola a Roma in caso di guerra sul Reno, perché qui si potesse essere assolutamente tranquilLi sotto tale rapporto. V. E. sa che il concetto dominante in Prussia si è quello che l'Imperatore Napoleone non sarà tentato di rompere la pace, se non trova a tal fine l'appoggio di qualche alleato; poiché per parlare in modo più generico, nello stato attuale di inquietudine politica europea, un'alleanza, che si producesse, inspirerebbe sospetti e farebbe nascere imminenti pericoli. Non si considera qui siccome tale l'amicizia della Prussia e della Russia, riposando la medesima essenzialmente sulla stima e fiducia reciproca dei due Sovrani, e che perciò appunto potrà difficilmente essere rotta. Si è partendo da questo punto di vista che il Gabinetto di Berlino non tralascia nè sforzi, nè sacrifizi per mantenersi amici i Governi, che potrebbero entrare in tentazione, e pare che f.inora il risultato, lin siffatt.i limiti, non gli sia mancato nè a Vienna, nè a Londra.

Ringraziando vivamente l'E. V. dei sei documenti diplomatici, che accompagnavano il precitato dispacc,io confidenziale ...

(l) -Cfr. n. 516. (2) -Cfr. serle I, vol. IX, n. 324.
538 IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE CIFRATO 25. Lisbona, 23 settembre 1868 (per. il 3 ottobre).

Mon télégramme d'aujourd'hui (l) a déjà fait connaitre à V. E. attitude décidée du Gouvernement Portugais au sujet des événements Espagnols. Les émigrés sont surveillés et ont été prévenus de ne pas compromettre le Gouvernement en abusant du droit d'asile. L'opinion publique est entièrement favorable au Gouvernement pour la neutralité absolue et mesures prises pour la faire respecter.

Ministre de France m'a entièrement confirmé hier ce que Napoléon III a écrit à plusieurs reprises au Roi de Portugal que les sympathies et, au besoir\, l'aide de France ne feront jamais défaut au Portugal, étant dans les intérets français, disait mon collègue, d'avoir ouvert le Tage à la flotte française en toute éventualité meme de préférence aux ports Espagnols.

539

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 1163/493. Londra, 23 settembre 1868 (per. il 1 ottobre).

Facendo seguito a' miei recenti rapporti confidenziali, profitto d'una occasione particolare che mi si presenta per portare a di Lei conoscenza alcune cose dettemi da Lord Stanley, che forse non riesciranno interamente senza interesse pr l'E. V.

Sua Signoria mi significò non più tardi di stamane che notizie pervenutegli da Parigi gli dipingevano la situazione come assai soddisfacente per ogni vero amico della pace. L'ultimo discorso pronunciato dal Re di Prussia avrebbe fatto ottima impressione nelle alte sfere politiche francesi, mentre i successi delle ultime elezioni al Corpo legislativo avrebbero rialzato il morale del Governo Imperiale. In una parola capii che le comunicazioni mandate qui da Lord Lyons facevano presagire, per momentanea che possa essere, una fase migliore di quella che abbiamo traversata da qualche settimana.

Il tuono pacifico del Re Guglielmo, il desiderio di tranquillità manifestato da tutta Europa non sarebbero dunque stati senza effetto sull'animo dell'Imperatore Napoleone. Io non entrerò pertanto ad esaminare qual carattere di sincerità desso possegga, bastandomi di rassegnare a V. E. le opinioni espressemi dal Principal Segretario di Stato per gli Affari Esteri di Sua Maestà la Regina Britannica.

Volgendo lo sguardo agli Affari d'Oriente chiesi a Mylord che caso facesse dell'agitazione vera od esagerata regnante in Bulgaria -agitazione che dava

luogo a varie voci circa risoluzioni eccessive a cui sarebbe addivenuta la Porta, per esempio di traversare il Danubio o almeno di prepararvisi per essere pronta a farlo in ogni momento.

Sua Signoria risposemi che questa ultima diceria non solo non avea fondamento di sorta, ma che era una calunnia sparsa da nemici della Porta i quali, non esservi dubbio, fortemente s'organizzavano nella Servia e nella MoldoValachia.

Unica loro speranza di riuscita limitarsi però alle probabilità di una guerra generale, eventualità che, secondo il Segretario di Stato, non pare ora sì vicina a scoppiare.

(l) Cfr. n. 536.

540

IL MINISTRO A RIO DE JANEIRO, CAVALCHINI GAROFOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R.I. Rio de Janeiro, 23 settembre 1868.

Mi reco a doverosa premura di accusare ricevuta all'E. V. dei pregiatissimi dispacci ch'Ella volle dirigermi in data del 25 luglio ultimo della speciale serie politica n. I e Il riservatissimi (l).

L'E. V. spero non dubiterà che mi atterrò agli ordini contenuti nel n. Il e che osserverò in tutto ciò che mi verrà comunicato sopra il Concilio Ecumenico la massima riserva e discrezione. Sarà poi mia cura servendomi delle istruzioni contenute nel n. I di indagare le disposizioni del Governo e del Clero di questo Cattolico Impero riguardo a tutto ciò che può interessare il Governo del Re circa la futura riunione dei prelati in Roma e specialmente sulla attitudine che osserveranno in tal circostanza i singoli membri dell'Episcopato Brasiliano che si recheranno all'invito del Pontefice.

La Bolla «Aeterni patris » venne pubblicata in Rio Janeiro la domenica ultima 13 di questo mese perciò non è trascorso bastante tempo perché si possa conoscere le disposizioni che verranno prese. Nell'Jmmenso Impero del Brasile, diviso in 23 provincie, solo si contano 11 vescovati ed un Arcivescovato la di cui ;;ede è stabilita nell'antica Capitale del Brasile in Bahia. In questo momento due sedie sono vacanti quella di S. Paolo per la morte accaduta nel mese passato del suo titolare e quella di Rio Janeiro vacante da più tempo alla quale venne ora nominato dal Governo il P. De Lacerda e si attende l'approvazione della Santa Sede.

L'Arcivescovo di Bahia si trova per i molti anni e le infermità ridotto all'impotenza assoluta di uscire dalla sua diocesi. Pastore zelante, ma non politico, vorrebbe una religione pura, vorrebbe disciplinato il clero, vorrebbe bandita la massoneria dall'Impero, e su questo punto convergono tutti i suoi sforzi.

L'E. V. sa che in tutta l'America le logge massoniche sono assai numerose e che il primo passo della gioventù nella vita viene diretto ad iscriversi nella società franca. Il Governo ed il Capo dello Stato stesso si risentono di questo

(l} Cfr. nn. 432 e 433.

4Z -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

stato di cose, perciò il Clero non può prendere un'attitudine politica marcata, non incontrando appoggio in nessuna sfera della Società.

Conosco personalmente il Vescovo di Pernambuco Padre Francesco Cardoso Ayres, Rosminiano, il quale giunto da poco tempo dall'Italia ed accompagnato dal Rosminiano Caccia di Milano, mi dichiarò che la sua missione vescovile si limitava a ridurre il Clero ad una regolare disciplina di troppo rilassata.

Ed infatti mi consta che il Clero secondario di quest'impero, composto in gran parte di preti Napoletani e di altre provincie d'Italia, nonché di Portoghesi ponendo in oblio i doveri e le discipline ecclesiastiche attendono ai negozii speculativi e non di rado agli interessi d'una illecita famiglia.

I primati perciò di questa Chiesa cattolica scelti dal Governo più fra le persone pie, che fornite di altre qualità si occupano specialmente nella riforma dei vizii che serpeggiano nei loro dipendenti evitando ogni incontro colle autorità politiche.

Nel centenario di S. Pietro cinque furono i vescovi che dal Brasile si presentarono in Roma, tutti furono ammirati per la loro pietà, egual numero pare si conterà nel prossimo Concilio e credo che nessuno si porrà in intrigo politico, ma solo faranno valere i bisogni di questa Chiesa Americana e se un eccezione vi sarà, dessa forse verrà dal Vescovo di Marianna il quale nelle sue pastorali non evita allusioni politiche.

L'internunzio di Sua Santità Monsignor Sanguigni uomo scaltro ed irrequieto non incontrerà il terreno molto preparato per fare accettare le istruzioni che per caso gli fossero state trasmesse.

Riservandomi a far conoscere in seguito a V. E. le maggiori notizie che potrò su tal materia ottenere, devo sin d'ora dichiarare che la credenza che il Concilio debba solo trattare di affari di disciplina ecclesiastica è generalmente qui accreditata.

541

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

L. p. Londra, 23 settembre 1868.

Nell'abboccamento ch'ebbi con Lord Stanley, e che mi son dato l'onore di riferire all'E. V. nel mio Rapporto Politico di quest'oggi (1), Sua Signoria mi parlò pure degli affari di Spagna. La situazione vien da lui giudicata gravissima, quantunque esiti ad ammettere che gl'insorti vogliano veramente deporre la dinastia attuale. Egli pare piuttosto inclinato a credere all'abdicazione della Regina in favore del Principe delle Asturie.

La candidatura del Duca di Montpensier veniva considerata inopportuna dal Ministro Britannico, e nella sua opinione dessa non avrebbe servito che a creare un pretendente di più, tacendo poi del malcontento che avrebbe destato presso un potente vicino.

La conversazione essendo caduta sulle voci che corsero ultimamente circa le velleità accarezzate dal Governo Spagnuolo, di offrire il suo ajuto alla Francia per l'occupazione di Roma ove talune eventualità chiamassero altrove le truppe che ora trovansi sul territorio della Santa Sede, il Segretario di Stato mi disse sorridendo che comunque il pensiero di ciò avesse potuto albergare in certe menti, egli era d'avviso che il medesimo fosse rimasto unicamente allo stato di pio desiderio.

Queste cose volsero il discorso verso la questione politico-religiosa sotto il peso della quale geme l'Italia. Rassegnai all'E. V. nel mio rapporto di serie riservata delli 19 corrente (l) che la convocazione del Concilio Ecumenico non toccava direttamente gl'interessi dell'Inghilterra; Lord Stanley però riconosce pienamente tutta la importanza di un simile fatto pel nostro paese, ed i funesti effetti che potrà avere su tutto il Cattolicismo. Egli mi esternò che purtroppo in molti Stati CattoUci vedeva accrescersi il fanatismo clericale, di cui l'Irlanda stessa offriva un esempio: tanto la Gran Bretagna protestante quanto l'Italia Cattolica aver sommo interesse a che ne venga neutralizzato l'incremento; ma le vie della moderazione essere le più sicure ad ottenere tale risultato.

«I have always been a sincere well wisher to Italy » mi disse Mylord, «e trovo che essa ha fatto in questi ultimi tempi più di quello che i suoi migliori amici potessero aspettarsi; ma sulla questione di Roma sono sempre stato e sono tuttavia d'opinione che gl'Italiani devono adottare una politica passiva, lasciando allo sviluppo della civiltà moderna l'infallibile missiOne di raggiungere quella meta che un'azione violenta potrebbe forse compromettere».

Nel porre innanzi queste idee, Lord Stanley non intende ritardare nè osteggiare le nostre nazionali aspirazioni, essendo egli quant'altri interessato alla caduta del Potere temporale del Sommo Pontefice. Le sue parole infatti non riferivansi semplicemente alla nostra situazione, ma avevano pur anco tratto alla posizione generale dell'oltramontanismo in Europa e massime in Irlanda -questione alla quale ogni Inglese accorda speciale rilevanza. Per cui quando Mylord ci raccomanda una linea di condotta piuttosto che un'altra, obbedisce solo al convincimento che dessa possa essere la migliore per la realizzazione di un lungamente desiderato comune scopo.

Il pensiero che i ragguagli che precedono possano tornare di qualche utilità all'E. V. mi rese ardito a qui sottometterli alla di Lei attenzione in forma di lettera privata....

(l) Cfr. n. 539.

542

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 110. Firenze, 24 settembre 1868.

Nella conversazione che V. S. avrà avuto con Lord Stanley, reduce dal suo viaggio sul continente, sono persuaso che l'importante questione degl'interessi tunisini non sarà restata in disparte. Valendosi di quanto Le scrissi in data del

5 agosto (1), Ella avrà potuto già a quest'ora informarsi delle idee del Ministro degli Affari Esteri di S. M. la Regina intorno ai vari punti che nella mia comunicazione sotto quella data sono sviluppati. Ora mi vien fatto di sapere che fra Lord Lyons ed il Signor Marchese di Moustier avrebbe avuto luogo or fa già qualche tempo, una conversazione dalla quale sarebbe emerso che il Gabinetto delle Tuileries per evitare la confusione e le difficoltà che nascerebbero dall'introduzione in una sola commissione di membri di tante nazionalità diverse, proponeva che s'avesse a stabilire in principio, che la Commissione internazionale da stabilirsi d.n Tunisi si dovesse scindere in due sezioni distinte l'una amministrativa, l'altra di controllo. Secondo il concetto del Signor Marchese di Moustier la prima di queste due sezioni non avrebbe dovuto comprendere più di tre membri funzionarti tunisini, ma lasciando in arbitrio del Bey di chiamare a farvi parte qualsiasi straniero esperto in materia di finanze.

Se per una parte l'opinione del Marchese di Moustier intorno alla composizione della commissione ed al compito della medesima può presentare qualche vantaggio, per altra parte è mestieri considerare gl'inconvenienti che dall'effettuazione delle proposte francesi potrebbero derivare. E ciò tanto più devesi fare dacchè pur adottando in massima le proposte medesime si potrebbero facilmente evitare gl'inconvenienti che ne deriverebbero sol che si introducano alcune parziali modificazioni.

Egli è certo che la Reggenza di Tunisi potrà essere meglio governata da una commissione di finanze composta di tre sudditi tunisini che non da una commissione di forestieri. Fortunatamente non mancano da quanto scrive il R. Agente e Console Generale dei funzionarli della Tunisia, i quali per intelligenza e conoscenza dei bisogni locali, non meno che per bene stabilita riputazione d'integrità, sarebbero. pienamente idonei a far parte della commissione amministrativa. L'opera di questa commissione, quando le leggi interne rimovessero le cagioni degli abusi e delle malversazioni (cosa questa alla quale il Bey già si mostra disposto) potrebbe bastare a ripristinare nella Tunisia uno stato di cose favorevoli allo sviluppo del commercio straniero. Non vedrebbesi quindi la utilità e la convenienza di ammettere che il Bey possa chiamare a far parte della detta commissione amministrativa uno straniero giacchè gl'inconvenienti gravi che da questo provvedimento potrebbero nascere non sembrano giustificati da una indeclinabile necessità. Epperò è facile prevedere che la facoltà concessa al Bey di aggiungere un membro straniero alla commissione amministrativa della Reggenza potrebbe ricondurre le cose al punto istesso in cui si trovavano quando l'Italia e la Gran Bretagna unirono la loro voce a Tunisi per impedire che nelle mani di un commissario francese, esperto in materia finanziaria, tutta si riducesse sostanzialmente l'amministrazione tunisina.

Appena è dunque mestieri aggiungere che le idee espresse dal Gabinetto francese non ci sembrano doversi accettare senza qualche modificazione che però sembra di poco conto, se, come vuolsi credere, dalla Francia non si nutre il segreto proposito di ricondurre abilmente le cose allo stato in cui erano quando le proteste d'Italia e d'Inghilterra riunite impedirono che il Bey si piegasse talmente alle esigenze francesi con danno manifesto degl'interessi degli altri paesi.

(l} Cfr. n. 451.

Per norma della S. V. importa ch'Ella sappia che della proposizione francese comunicata a Lord Lyons non ebbi notizia da Parigi. Non sembra che il Marchese di Moustier abbia stimato conveniente farci sapere le sue idee prima di conoscere quale accoglienza alle medesime si farebbe a Londra. Non ho però ragionevolmente motivo di dubitare che le informazioni intorno alle quali si aggira questo mio dispaccio non siano esatte, soltanto credo sia conveniente che nel parlare con Lord Stanley per conoscere il di lui avviso sulle proposte del gabinetto delle Tuirleries, Ella si astenga dal far cenno della fonte meno ufficiale dalla quale quelle informazioni ci pervennero. Parlando di tutto ciò col Ministro degli Affari Esteri della Regina Ella dovrà adoperarsi in modo da fargli comprendere come la presenza di un esperto commissario europeo nella commissione amministrativa di Tunisi lascierebbe aperto l'adito alla Francia di chiedere al Bey l'applicazione delle promesse da lui fatte e sottoscritte in quella parte che consiste nella nomina di un commissario finanziario designato dal Governo Imperiale francese. E se la S. V. non durerà fatica a persuadere Lord Stanley che, quando tutte le pratiche fatte dovessero avere per risultato di stabilire a Tunisi una commissione nella quale (per quella preponderanza che è ben naturale in un europeo esperto di finanze sui membri tunisini) il commissario francese ogni cosa regolerebbe, il Governo italiano e quello britannico dovrebbero considerare l'opera fatta sin qui come sprecata. L'influenza preponderante di Francia e gli stessi conflitti che non tarderebber0 a nascere fra il commissario imperiale ed i Tunisini basterebbero a precipitare una catastrofe che l'Italia e l'Inghilterra hanno interesse identico e comune di prevenire.

(l) Cfr. n. 529.

543

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1281. Madrid, 25 settembre 1868, ore 8,05 (per. ore 12,40).

Je suis arrivé hier matin. Armée royale sur d'autres points isolés s'est prononcée, Catalogne jusqu'ici tranquille. Madrid tranquille. Grande inquiétude sur l'avenir. Le Reine reste à Saint Sébastien par suite de l'avis du président du conseil. Le marquis de la Havane est près de compléter son Ministère.

544

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 734. Parigi, 25 settembre 1868 (per. il 28).

Ho intrattenuto oggi S. E. il Marchese di Moustier del contenuto del dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi in data del 19 corrente, n. 411 di Serie politica e della circolare che vi era annessa (1).

Dopo aver chiamato l'attenzione del Ministro imperiale degli affari ester! sul fatto, spesso ripetuto, che i Nunzi apostolici presso le Corti ove hanno rango di decani del Corpo diplomatico, si astengono dall'adempiere verso i Rappresentanti diplomatici dell'Italia ai doveri inerenti a questa funzione di decani del Corpo diplomatico, domandai al Marchese di Moustier se non credesse a proposito di fare osservazioni al Vaticano, affinché o i Nunzi apostolici adempiano verso i Rappresentanti dell'Italia ai loro doveri di decani del Corpo diplomatico, ovvero rinunzino ad una funzione incompatibile colla loro attitudine verso i Rappresentanti italiani.

Il Marchese di Moustier mi disse che veramente le osservazioni che d'ordine dell'E. V. io gli aveva esposte gli sembravano molto giuste. Mi pregò di 1asciargli copia della circolare, al che ho consentito. Mi assicurò infine che non mancherebbe di parlare al Nunzio, ed all'uopo di scrivere a Roma perché si ponga fine a questo sconcio.

(l) Cfr. n. 524 e nota l, p. 581.

545

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

D. CONFIDENZIALE 31. Firenze, 29 settembre 1868.

Le previsioni che nelle istruzioni datele alla sua partenza per Madrid il

R. Governo faceva per il caso in cui la Spagna, come purtroppo tutto faceva temere, avesse continuato nella via di regresso in cui sin d'allora si trovava, vennero, mano mano verificandosi. Le agitazioni si succedettero e la rivoluzione ha preso ormai proporzioni tali che possono influire sulle sorti future di codesto paese.

Ella ben ricorda, Signor Conte, come il R. Governo le commettesse allora l'incarico di dimostrare alla Spagna quanti vincoli naturali e quanti comuni interessi la legano all'Italia e Ella ha fatto certamente in questo senso tutto quanto L'era stato prescritto. Noi facevamo voti sinceri perché il Gabinetto Spagnuolo si accostasse ad una politica liberale la quale lo avrebbe salvato certamente dai pericoli e dai danni presenti. E' con vero rammarico che oggi noi vediamo i risultamenti della politica seguita dalla Spagna. E noi possiamo con tanta maggior ragione ricordare ciò che avevamo preveduto dappoiché il R. Governo mantenne ognora il più rigoroso rispetto dei doveri internazionali che legano fra di loro i paesi amici. Non fecero deviare da questo cammino la politica italiana nemmeno le recenti manifestazioni che ci avrebbero potuto far credere che a Madrid si nutrissero pensieri contrari ai nostri interessi.

Questo nostro contegno ci ha creato una posizione chiara ed aperta dalla quale possiamo trarre quei vantaggi che dalla medesima derivano.

Gli spagnuoli avranno probabilmente capito che se il Governo italiano si astenne ognora da tutto ciò che avrebbe potuto farlo uscire da una moderata neutralità in presenza delle agitazioni del loro paese, ciò fece essenzialmente in omaggio del principio del non intervento, del quale la Spagna giustamente si è ognora mostrata tenerissima. Qualunque possa essere ora o poi l'esito delle

lotte impegnate tra i vari partiti, gioverà ch'Ella si adoperi a fortificare sempre maggiormente l'idea del nostro assoluto rispetto per la libertà ed indipendenza della Spagna nelle quistioni riflettenti il suo proprio governo.

I fatti hanno d'altronde sufficientemente fatto palese come da noi si sappia rispettare il Governo che la Spagna mantiene per se medesima anche quando questo Governo è !ungi dal cooperare con noi ad accrescere ed a rendere profittevoli le simpatie reciproche delle due nazioni. Ma alla S. V. non mancheranno forse le occasioni di dimostrare pur anche che se l'Italia non volle risentirsi delle poche buone disposizioni che trovava a Madrid, ciò fu appunto nella ferma convinzione che siffatti disegni non avrebbero mai trovato consenziente la nazione spagnola e che questa avrebbe ricusato il suo appoggio ad una politica la quale, allontanandole le simpatie italiane, riesciva dannosa agli interessi della stessa sua indipendenza e libertà.

Il R. Governo aspetta da Lei informazioni precise sovra quanto succede in questo momento in !spagna e sulle disposizioni vere delle popolazioni, dell'esercito e dell'armata.

Sia che il Marchese dell'Avana componga un gabinetto, sia che abbia a costituirsi un altro ministero, noi speriamo che la nuova amministrazione comprenderà che le tendenze politiche dalle quali si lasciò guidare la Spagna, furono quelle che le nocquero maggiormente, avvegnachè mentre le medesime erano contrarie alle aspirazioni liberali del popolo spagnuolo, impedivano lo sviluppo delle naturali simpatie ch'esistono tra i due popoli ed i due paesi.

546

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

D. CIFRATO S. N. Firenze, 26 settembre 1868.

Veuillez déchiffrer vous meme.

Je vous prie de me dire quel parait devoir etre le programme de l'insurrection espagnole. Considérez et examinez bien toutes les chances que pourraient avoir les différentes candidatures dont on a déjà souvent parlé. Outre celles dont on parle dans les instructions générales que vous avez reçues en partant pour l'Espagne (l) il pourrait y en avoir deux sur lesquelles il faut que vous portiez toute votre attention.

lo -celle d'un archiduc d' Autriche. 2° -celle d'une prince de notre maison royale. Pendant votre séjour à Londres et à Paris vous devez avoir vu assez d'émigrés espagnols pour savoir calculer les chances que pourrait avoir cette seconde candidature auprès des partis hostiles à la dynastie actuelle. Tachez de me dire si dans le pays mème une candidature italienne, celle du Due d'Aoste par exemple, pourrait réunir un parti sérieux ayant des probabilités de réussite. Dans le

cas où elle serait possible et jugée convenable dites-moi ce que d'après vous n faudrait faire. Il me revient de Lisbonne que le ministre de France avait déjà déclaré d'avance que l'Empereur ne laissait établir en Espagne ni république, ni prince d'Orleans, ni prince français (1).

(l) Cfr. serie I, vol. IX, n. 158.

547

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1283. Parigi, 27 settembre 1868, ore 19,45 (per. ore 22,15).

Gouvernement français ne favorise pas mouvement espagnol, mais au fond il ne le combat pas.

548

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1289. Londra, 28 settembre 1868, ore 17 (per. ore 20).

En déférant à un désir plutòt de l'admirauté que de Stanley qui y était défavorable, ordres avaient été donnés à deux navires anglais de se rendre dans les eaux espagnoles, il y a trois jours. Gouvernement de Madrid se plaignit de cela et pria Angleterre de donner contrordres. Stanley y consentit, mais un des navires était déjà parti avec instruction de croiser jusqu'à Gibraltar. Aujourd'hui Gouvernement espagnol a plìié Gouvernement anglais de mettre à exécution premier projet et d'envoyer navires, pavillon anglais pouvant empécher insurgés bombarder villes. Stanley est absent, mais on répondra négativement, Foreign Office étant opposé à se méler aucunement dans insurrection espagnole. Navires n'iront en croisèere tant que circonstances spéciales ne le réclameront pas.

549

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 737. Parigi, 28 settembre 1868 (per. il 1° ottobre).

Il Marchese di Moustier, in una conversazione che ebbi recentemente con lui, entrò egli stesso pel primo nel discorso delle cose di Roma. Egli mi disse che desiderava che alla risposta verbale e confidenziale da lui fattami a proposito del dispaccio dell'E. V. del 22 agosto scorso (2) non si desse un'interpretazione troppo sfavorevole.

«La risposta verbale da me fatta, diss'egli, è di natura intima e confidenziale, è una specie di confessione ch'io feci per spiegare la situazione del Governo francese, anche quella dell'interno, relativamente alla questione di Roma. La risposta ufficiale e scritta sarà ben tosto preparata, come pure sarà preparata una risposta intorno alle proposizioni del modus vivendi. Da queste risposte il Governo italiano vedrà che le nostre simpatie per l'Italia non vennero meno, e che la Francia continuerà i suoi sforzi per ottenere un miglioramento nelle relazioni fra l'Italia e la Santa Sede, affine di essel'e in grado di poter in tempo opportuno ritirare le sue truppe da Civitavecchia».

Risposi al Marchese di Moustier che io aveva, com'era mio dovere, reso conto di quanto egli m'aveva detto in risposta al dispaccio del 22 agosto, e che questa risposta aveva naturalmente prodotto un'impressione penosa nell'animo del Governo del Re. Aggiunsi però che non avevo taciuto al mio Governo come la forma con cui egli s'era espresso meco in questa occasione era stata costantemente benevola, e che del resto, avendo io annunziato al Governo del Re una prossima risposta ufficiale e scritta, l'E. V. si riservava di stabilire il suo g.iudizio sopra questo documento che doveva indubitevolmente considerarsi come l'espressione la più autentica del pensiero del Governo imperiale.

Il Marchese di Moustier aggiunse che la risposta francese sarebbe pronta fra otto o dieci giorni.

(l) -Cfr. n. 536. (2) -Cfr. n. 484.
550

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

L. P. Parigi, 28 settembre 1868.

J"interprète la dernière phrase de la dépéche télégraphique que Votre Majesté m'a fai t l'honneur de m'adresser (2), dans le sens que le Roi désire connaitre les tendances actuelles qui peuvent faire présager des événements.

Je commencerai par décrire la situation à l'intérieur, où 1es difficultés ont augmenté à la suite des concessions libérales, notamment en matière de presse, qui déreglée, exerce une influence facheuse dans un pays malheureusement toujours prét à appuyer la critique et à répondre, quand on fait appel aux passions.

Les mesures répressives que l'on a adoptées, ayant eu l'apparence d'oter d'une main ce qu'on avait donné de l'autre, on fait des individus que l'on a poursuivi, des espèces de martyrs, en leur donnant une consistance qu'ils n'auraient certes pas eue autrement.

Des difficultés d'un ordre politique ont surgi, ayant du déposer le bilan des trois dernières années écoulées pendant lesquelles les événemens ont tourné contre les prévisions de la politique impériale.

L'opposition a attaqué la sage théorie du libre échange soutenue par des intéréts froissés dans quelques provinces. Les travaux de la Ville de Paris,

ont ajouté leur contingent au mécontentement qui a rendu le Gouvernement malade. Mais cette maladie n'a pas dépassé certaines limites et on se tromperait fort si on croyait la menace d'une révolution quelconque; on n'est pas là.

Le Gouvernement impérial est encore dans toute la plénitude de sa force, et l'Empereur, j'en suis convaincu, aurait une énorme majorité s'il en appelait nouvellement au suffrage universel.

Son préstige seui est entamé et on juge l'homme dans l'impossibilité de régir par un Gouvernement personnel la France, qui veut par la liberté reprendre son droit de contròle.

Les différents partis exploitent les sentiments divers, ils sont unis pour démolir, séparés et les uns contre les autres, se uniraient, s'il s'agissait de rebatir sur les ruines de la dynastie actuelle, un Gouvernement nouveau.

Le parti clérical que l'on ménage trop et auquel on se plait de donner trop d'importance et trop d'influence, sert aux passions de tous, mais sa puissance d'avenir est minée par la resistance qu'il oppose à toute transaction, la condamnation que le Concile Oecuménique prépare à Rome à toutes les théories qui sont la base et la raison d'étre de la dynastie nepoléonienne, font faire des séri:euses réflexions, quoi qui on en dise.

Au milieu de tant de divisions, le sentiment national, je dirai plus, de chauvinisme, pourrait encore etre le point de ralliement, à la condition qu'on sache l'exploiter et que le sentiment français soit à la tete et non à la remorque des ambitions militaires, car dans ce cas on ne manquerait pas de pressentir auprès la victoire le césarisme et l'anéantissement de toute liberté pour plusieurs

années.

L'Empereur, se rendant compte d'un tel état de choses et plutòt dans un intéret dynastique que personnel, a poussé activement, secondé par le Maréchal Niel et le Ministre de la Marine, les armemens de terre et de mer, et on est arrivé aujourd'hui à pouvoir disposer d'une force formidable, an n'en abusera pas, l'Empereur désire conserver la paix qu'il ne voudrait rompre pour la seule raison qu'il est pret à !aire la guerre, mais il veut que la France à l'étranger reprenne son influence et son préstige. Là est, à mon avis, le danger de conflagration.

Il sera difficile de persuader à l'étranger que tout ce que l'on demande n'est pas un prétexte pour amener une rupture, et plus difficile encore de modérer les susceptibilités françaises, en face des réponses et représailles que cette attitude peut provoquer.

La France se sent actuellement assez forte pour soutenir seule une lutte contre la Prusse et contre tout contingent que l'Allemagne pourrait donner, meme en dehors de la nouvelle conféderation prussienne, c'est donc plutòt des neutralités que des alliances qu'elle a intérét à préparer.

On dit que l'Allemagne se levera comme un seui homme le jour que les armées françaises auront passé le Rhin, je crois jusqu'à un certain point à cet élan, mais il ne m'est pas permis d'oublier que meme dans la confédération prussienne il y a des sentiments d'autonomie blessés et des intérets froissés qui pourraient bien retourner à la surface à la première bataille perdue.

Quant aux puissances Allemandes agrégées à la confédération du midi, je doute qu'elles se laissent entrainer par l'esprit national, dont le triomphe serait l'anéantissement des dynasties régnantes.

L'Autriche, entourée d'embarras, tiraillée par les éléments hetérogènes qui composent le monarchie et actuellement dominée par la prépondérance hongroise, ne prendra pas les armes pour les intérèts allemands, ni s'alliera avec la France, malgré les ressentiments et les susceptibiHtés que la note Usedom et le discours du Roi de Prusse à Kiel ont éveillés. Les Hongrois comprennent qu'avec une Autriche avant Sadowa leur prépondérance serait perdue.

Sa neutralité pourra donc ètre contreposée à la neutralité de la Russie contre laquelle la Hongrie serait prete à entrainer l'Autriche avec tout l'élan des sentiments Magiars.

La Russie embarrassée par ses réformes à l'intérieur et manquant encore des moyens nécessaires pour le rapide transport des troupes que le nouveau système de guerre réclame, on pense qu'elle se tiendra tranquille, surtout si on lui laisse entrevoir quelques concessions favorables à son influence en Orient.

La Belgique et la Hollande pourraient étre ralliées aux intéréts français par des traités commerciaux, mais en cas d'événements ces deux puissances seraient sommées de laisser libre passage aux armées françaises en leur garantissant l'intégrité de leur territoire, surtout pour la Belgique, afin de ne pas reveiller des susceptibilités Anglaises. Les succès militaires cependant seront

seuls juges de leur destinée.

Le Reine d'Espagne dont les prejugés remplacent tout sentiment élevé, aurait eu des velleités de s'entendre avec la France pour l'aider à défendre Rome, si l'Italie profitant d'un moment de guerre voulait s'emparer. La révolution qui a éclaté se charge de faire avorter une idée qui n'avait été avancée et écoutée qu'assez vaguement et qui n'était admissible dans aucun cas, et l'Italie ne serait pas digne ni de ses nouvelles déstinées, ni de la dynastie qui la gouveme si elle permettait à un seul Espagnol de débarquer sur le sol italien.

Quant à s'emparer de Rome par la force, occupée ou non par la France, ce serait une erreur qui renouvellerait les tristes événements du mois d'Octobre, dont les conséquences seraient les plus funestes, car l'Empereur ne pourrait pas faire marché de la papauté, nous donnant Rome directement, pour acquérir la neutralité et mème l'alliance de l'ltalie.

Ce n'est donc que par des marques de confiance réciproques et d'une manière indirecte, que nous pourrons tirer parti des événements qui pourraient avoir lieu, commençant par tàcher d'obtenir la retraite des troupes des Etats Pontificaux mais pour cela il faut se garder de toute démarche prématurée qui pourrait amener un refus, nuisible à l'avenir.

L'Angleterre, ayant intérét à éviter une conflagration, le fera d'abord au nom de l'humanité, des principes libéraux menacés, mais rassurée sur la Belgique, elle finira par accepter les événements qu'elle ne peut empécher, soit par le principe adopté de ne pas s'immiscer au delà d'une certaine limite aux affaires du Continent, soit aussi à cause de sa situation à l'intérieur.

Si on entrait habilement dans les vues anglaises, donnant pour cause de la guerre la restitution au Danemark des provinces non Allemandes du Schleswig, celà pourrait amener mème une neutralité bienveillante.

Sans me laisser aveugler par mes sympathies françaises, j'ai bien examiné ce que l'on a fait du còté militaire et je me suis convaincu que la France peut aujourd'hui disposer de 650 mille hommes dont je retranche 150 mille qui ajoutés à la garde mobile, feront le service des places fortes et suffiront au delà pour maintenir l'ordre dans les villes qui ne sera nullement troublé.

L'armée active qui se mettrait en marche, se composerait de 500 mille hommes, dont 300 mille formeraient le centre commandé par l'Empereur.

Les deux ailes, formées par deux corps d'armée de 100 mille hommes chacune, seraient commandées par deux Maréchaux.

Je doute que le Roi de Prusse puisse opposer une force aussi compacte.

L'armament actuel de l'infanterie française est de beaucoup supérieur à celui de I'infanterie prussienne, le fusi! Chassepot peut tirer à 2000 metres, porte avec assurance au delà de 1000 metres et fait des ravages à 800, tandis que le fusi! à aiguille prussien, perd toute son efficacité et est nul au delà de 600 metres.

L'artillerie française n'est pas encore prete pour atteindre les proportions de l'armée prussienne mais dans quelque temps on pourra la dépasser en nombre. Je ne suis pas en mesure d'en apprécier la qualité, mais on y a beaucoup travaillé et les dernières découvertes que l'on a faites, paraissent etre d'une très grande importance.

La Cavalerie, en nombre de beaucoup supérieure à la prussienne, je ne crois pas qu'elle lui soit inférieure en qualité. L'armée française a à mes yeux l'immense avantage d'un très grande connéxité.

Les Prussiens ont aussi des qualités dont il faut tenir compte, mals elles sont plutòt d'un ordre défensif que d'attaque. Or la défensive sera bien difficile à soutenir à cause de l'.infériorité de l'armement.

La manière dont le Roi de Prusse se tient à la guerre, est militairement plus pratique que celle de l'Empereur, s'il est permis d'en juger par la formation de son état Major, pendant la guerre d'Italie.

La bravoure personnelle du Roi de Prusse ne dépassera certes pas celle de l'Empereur, mais aussi la manière d'ètre en campagne, mérite d'ètre appréciée. Les Princes de la famille Royale donneront par leur bravoure et leurs connaissances militaires, un grand élan aux troupes qu'ils seront chargés de commander.

Si l'on compare les Officiers des deux armées, il se peut qu'il y ait en Prusse quelque général d'un grand mérite, mais la masse des généraux et surtout des Officiers subalternes, est dans l'armée impériale de beaucoup supérieure à la prussienne.

Dans cet état de choses quelle serait la marche à suivre par le Cabinet de Florence, afin de tirer le meilleur parti de la situation et des événemens?

Je laisse à Rattazzi, que j'ai vu à Baden et à ses amis l'hypothèse d'une

alliance prussienne pour une guer~e contre la France, cette pensée n'est pas

admlssible, elle aurait contre elle le noble caractère de Votre Majesté et la

résistance de tout le parti conservateur en Italie.

Une alliance avec la France ne nous sera probablement pas demandée au

commencement de la guerre, pour les raisons que j'ai citées plus haut, et cela nous met fort à l'aise, vis-à··vis du Cabinet de Berlin et meme en face des partisans de la Prusse.

Ce serait donc un engagement de neutralité, stipulant que les deux pays, France et Italie, s'engagent à ne jamais prendre dans aucun cas les armes l'un contre l'autre et dont le Gouvernement du Roi devrait, à mon avis, prendre l'initiative.

Par cet acte le reste de méfiance produit par les événemens d'Octobre dernier, disparaitrait et nous préparerait la voie à tous les arrangemens amiables que le sort de la guerre pourrait créer et meme prédisposerait à une alliance avec la France, si d'autres alliances venaient renforcer l'armée prussienne.

Si une neutralité absolue est avantageuse à l'organisation de l'Italie et à ses finances, la comparticipation à une guerre heureuse, remettrait le préstige du pouvoir et de l'armée en Italie fortement ébranlés par les malheurs de Lissa et de Custoza.

Une alliance française aurait l'apparence de nous faire marcher contre les principes de nationalité que nous avons invoqués pour l'unité italienne, mais H ne faut pas oublier, qu'il y a dans l'intéret de la conservation du pr-incipe meme, des transactions auxquelles il est sage de se preter, et en matière de nationalité, ces transactions ne peuvent se référer qu'à des délimitations géographiques.

On peut me demander quels sont les avantages que l'Italie retirerait par la conduite susindiquée. Le premier pourrait etre celui de l'évacuation des Etats Pontificaux, le second, celui qui en resserrant ses liens avec la France, le Gouvernement du Roi pourrait trouver des dispositions à un accord préalable, en cas de l'événement de la mort du Pape.

Des transactions touchant simplement au pouvoir temporel, seront d'autant plus faciles à faire adopter par le Gouvernement français, qu'on s'éloignera de la question de Rome Capitale, crument posée.

A ces deux avantages il faudra en ajouter un troisième en cas de comparticipation à la guerre, si guerre il y aura, et ce serait celui de nous pos.er en Europe comme vainqueurs à còté de la France, prouvant ainsi que l'Empereur a eu raison de contribuer à l'unité italienne qu'il a retrouvée arnie et alliée au moment du danger.

Voilà, Sire, les appréclations que je me permets de soumettre au Roi avant mon départ pour l'Italie qui aura lieu dans quelques jours. De Paris je me rendrait directement à Varallo rejoindre ma fille. Je donnerai à Votre Majesté avis de mon arrivée pour me mettre à sa disposition, désirant voir aussi le Président du Conseil auquel je prierai le Roi de bien vouloir communiquer la présente.

Après avoir vu le Roi, je me rendrai pour quelque temps à Monza.

(l) -Da ACR. (2) -Non rinvenuto.
551

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1295. Madrid, 29 settembre 1868, ore 15,04 (per. ore 17).

M. Novaliches blessé et repoussé à deux reprises par les insurgés commandés par Serrano. Extrème agitation dans Madrid; soldats fraternisent dans

les rues avec la troupe. Marquis de la Havane n'a pris aucune détermination jusqu'ici.

552

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, :\L PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1304. Lisbona, 29 settembre 1868, ore 20,25 (per. ore 16,50 del 1° ottobre).

Chevalier Patella part demain selon les ordres reçus. Portugal pas du tout agitation et continue sagement dans sa politique neutrale expectante d'après Jécision prise hier au soir. Les deux ministres portugais à Paris et à Madrid, dont le Gouvernements n'a pas été satisfait en cette circonstance vont etre immédiatement remplacés, le premier par le marquis d'Avila, le second par le chevalier de Castro, ministre de Portugal à Florence. Il lui fallait de suite en Espagne un ministre de toute confiance comme celui-ci, mais Sa Majesté Portugaise espère après la solution espagnole le renvoyer à Florence, le sachant agréé par notre Auguste Souverain. A cet effet légation continue etre gérée par le chargé d'affaires actuel.

553

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1300. Madrid, 29 settembre 1868, ore ... (per. ore 7,25 del 30).

Révolution est complète à Madrid. Le Gouvernement n'a essayé aucune défense. M. de la Havana s'est évadé. Le marquis del Duero garde provisoirement commandement de la garnison pour le remettre à Serrano, demain. On dit que les troupes de Novaliches ont passé aux insurgés. En effet, on abat les armes royales et on distribue des armes aux citoyens.

554

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. CONFIDENZIALE 738. Parigi, 29 settembre 1868 (per. il 3 ottobre).

Con telegramma d'oggi (1), ebbi l'onore di rispondere a quello che l'E. V. mi ha ieri indirizzato per domandarmi se il governo Imperiale avesse consentito a prender parte alle conferenze sulla riforma giudiziaria in Egitto proposte dal Governo vicereale. Giusta le notizie verbalmente attinte presso il Ministero imperiale degli affari esteri, informai l'E. V. che il Governo francese aveva respinto l'invito d'intervenire a quelle conferenze.

Mi affretto ora a comunicarle quel di più che potei confidenzialmente sapere dalla Direzione politica del Ministero imperiale.

Allorquando il Viceré fu a Parigi, durante l'ultima espos1z10ne, egli si studiò a guadagnar l'animo dell'Imperatore per la causa dell'abolizione dei capitolati e della riforma giudiziaria. S. M. Imperiale raccomandò difatti al Ministro dell'Estero di far prendere la quistione in seria disamina e di fare tutte quelle concessioni che fossero compatibili colla protezione degl'interessi francesi in Egitto. Ma nel seno della commissione istituita presso il Ministero dell'Estero per occuparsi dell'esame delle proposte egiziane vi fu unanime avversione a mutare checchessia all'ordine presente delle cose, ad ogni altro riflesso prevalendo il convincimento che troppo riescirebbe pericoloso l'abbandonare alla giustizia locale gl'interessi stranieri sotto un Governo più dispotico del turco, in cui il Vicerè, oltre ad essere potere amministrativo assoluto, potere giudiziario, ed in uno esecutivo, è anche il primo negoziante del paese. La Commissione ebbe dunque cura a neutralizzare le concessioni che ammise con condizioni sine quibus non tali che le rendessero inaccettabili dal Governo egiziano.

Nubar Pascià tentò, m pendenza di tali cose, a rendere favorevole ai suoi progetti il Gabinetto inglese, cui con le consuete arti orientali rappresentò disposto a secondario il Governo imperiale. Suscitò poi anche una campagna per la riforma nel giornalismo inglese, e specialmente nel Times. Cosicché Lord Stanley, cui era pervenuta sino da' primi rumori un'energica petizione della colonia inglese d'Egitto pel mantenimento dello statu quo, trovossi titubante tra due correnti dell'opinione pubblica. Ma in fondo pare ch'egli giudichi la cosa come la giudicò la commissione francese. Va notato che anche la colonia francese d'Alessandria si pronunziò contro ogni riforma.

Non pote'i conoscere presso questo Ministero imperiale, che non n'è ancora informato, quale accoglienza abbiano trovato a Berlino i passi fattivi recentemente da Nubar.

L'idea di sottomettere la questione ad una conferenza internazionale in Alessandria avrebbe origine nella speranza di far correre le cose in lungo e di conciliarsi poco a poco i rappresentanti delle Potenze, circonvenendoli sul luogo stesso con qualche artifizio. Invitato a prendervi parte circa un mese fa, il Governo imperiale vi si rifiutò ricisamente.

Guardando dappresso la molla che nella questione della riforma giudiziaria fa agire con sì durevoJe tenacità il Ministro vicereale Nubar Pascià, si scoprirebbero varj moventi puramente personali, a quanto almeno si crede presso questo Ministero degli affari esteri. Il Vicerè avrebbe trovato in questa causa della riforma un desideratissimo pretesto per tenere lontano da sé, in una specie di mascherato esilio, il troppo influente Ministro, cui con rammarico vedrebbe attribuire in ogni occasione il bene che s'opera nel paese, mentre gli errori soli vanno attribuiti a sé.

Alla sua volta Nubar cercherebbe d'avere l'occasione di ritornare in Egitto onde assestarvi le cose sue, liquidare la sua sostanza assai vistosa, e ritirarsi in Europa.

Cessate queste recondite ragioni che ora fanno tenere desta la questione della riforma, si opina che il Governo egiziano non se ne occuperà più. Locché .appare anche meno lontano ove sia vero, come mi si assicura, che la salute

del Vicerè vada crollando e che la demissione del suo principale medico additi un pericolo grave.

P. S. Prego l'E.V. di voler fare del presente dispaccio un uso riservato e confidenziale.

(l) Non pubblicato.

555

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1301. Madrid, 30 settembre 1868, ore 23,30 (per. ore 9,45 del 1° ottobre).

On croit que la Reine en apprenant l'unanimité de l'insurrection et l'abandon du Gouvemement, quittera l'Espagne aujourd'hui ou demain. On institue un Gouvernement provisoire dans lequel Prim et Serrano prédomineront. On réunira ensuite les Cortes constituantes. Veuillez bien me donner instructions sur mon attitude.

556

IL MINISTRO A CARLSRUHE, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 47. Baden, 30 settembre 1868 (per. il 4 ottobre).

Ieri mi sono recato a Carlsruhe per conferire col Ministro degli Esteri. Dopo avergli presentato il Conte Brichanteau addetto a questa R. Legazione, chiesi a

S. E. se potesse fornirmi qualche ragguaglio sui lavori della Conferenza Militare tenutasi a Monaco. Il Signor di Freydorff mi disse non aver potuto ancora parlare col Generale Beyer, plenipotenziario badese a quelle Conferenze, il quale aveva lasciato Monaco per recarsi a Mainau e conferire con S. A. R. H Granduca.

Il Signor di Freydorff mi disse però potermi indicare a grandi tratti le basi del progetto su cui i commissari si sarebbero trovati d'accordo. Esse sarebbero le seguenti:

Sarebbe .istituita una Commissione incaricata di prendere a nome dei tre Stati tutti i provvedimenti necessarii per continuar a tenere in comunione le tre fortezze di Landau, Ulm e Rastadt.

Non è deciso ancora se la Commissione debba avere stabile sede a Monaco, oppure resiedere alternativamente in ciascuna delle capitali dei tre Stati.

Non si trattò della fortezza di Magonza, però sarebbe stato convenuto che vi siano rapporti continui fra la Commissione permanente e la Confederazione del Nord. Il Signor di Freydorff, al quale io domandai quale sarebbe la forma di questo legame fra il Sud ed il Nord della Germania, mi rispose che probabilmente la Confederazione del Nord sarebbe informata delle decisioni e dei lavori della Commissione per mezzo di un Plenipotenziario militare incaricato di risiedere presso la Commissione stessa.

Domandai al Ministro degli Esteri se esistesse già un progetto se non firmato, almeno paraphé. S. E. mi rispose che le cose non erano ancora giunte sino a tal punto; esservi un progetto formulato e discusso, ma non ancora accolto che ad referendum. I Commissari debbono riunirsi di nuovo il 5 di ottobre. Il Wi.irtemberg però farebbe dipendere la sua accettazione definitiva del progetto, da certe concessioni ch'esso desidera ottenere dalla Baviera circa la riunione delle ferrovie wi.irtemberghesi e bavaresi. Avendo io osservato non esser facile di capire quale nesso esista fra due materie così disparate, il Signor di Freydorff disse non esservi infatti alcun rapporto fra le due questioni. Essere però desiderio del Signor di Warbuler, cui stanno molto a cuore le questioni di ferrovie, di strappare alla Baviera il suo consenso m questo affare, facendo valere le concessioni che farebbe al programma militare del Principe di Hohenlohe.

Dopu aver pregato il Ministro degli Esteri di comunicarmi, quando sia in grado di farlo, (il che non sarà che fra 15 o 20 giorni) il testo della Convenzione od almeno qualche informazione più esatta a questo proposito, gli dissi che credevo di bene interpretare le istruzioni dell'E. V. felicitando il Governo Granducale dell'atto di condiscendenza, che ha reso possibili questi negoziati. «Ci voleva un fatto che dimostrasse all'Europa e sovratutto alla Francia che il Governo Badese non vuole suscitare una guerra e compromettere con zelo soverchio i veri interessi della Prussia e della Germania. Permettendo alla Baviera di ottenere un piccolo trionfo diplomatico, che non offre alcun pericolo per lo sviluppo ulteriore della nazionalità germanica, voi avete consolidato l'esistenza del Gabinetto del Principe di Hohenlohe, ch'è il migliore possibile nelle circostanze attuali, e se continuate a mantenervi in buoni rapporti coi vostri vicini del Sud, voi riescirete forse a poco a poco a farvi intermediari fra il mezzodì ed il nord della Germania. Questa è a parer mio la vera missione del Granducato, il quale provvide meglio così all'avvenire della patria comune che non affrettando, contro la volontà stessa della Prussia e con evidente pericolo di guerra, la sua annessione alla Confederazione del Nord ».

Il Ministro mi disse che consentiva pienamente con me in queste considerazioni. <<Non nego, soggiunse egli, che da principio noi ci eravamo lusingati di trascinare col nostro esempio tutta la Germania del Sud ad entrare nella Confederazione del Nord. Ma poiché la cosa non è possibile ora, noi possiamo aderire senza scrupoli ad un modo di progredire più lento ma più sicuro. L'essenziale era per noi di assimilare completamente le nostre truppe ed il nostro armamento agli ordinamenti militari prussiani. Ora che quest'opera è compiuta, può dirsi che l'unificazione è fatta per quanto stava in noi, sotto il rapporto più importante, vale a dire qu2llo della difesa comune. Confidiamo pel resto nei progressi del partito nazionale in Germania e siamo convinti di rendere un servizio all'Europa facendo quanto sta in noi per evitare la guerra, od almeno !asciandone ad altri la responsabilità. Del resto, disse inoltre, non è vero che siasi discusso a Monaco sull'interpretazione a darsi ai Trattati d'alleanza colla Prussia. È evidente che un trattato non può essere interpretato da una sola delle parti contraenti; e la Prussia rimase, come vi dissi, estranea a questi negoziati».

S. M. il Re di Prussia è giunto ieri sera a Baden e rimarrà qui probabilmente, 15 o 20 giorni.

43 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

557 L'INCARICATO D'AFFARI A BRUXELLES, MAROCHETTI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. Il. Bruxelles, 1° ottobre 1868.

Mi pregio indirizzare qui unito all'E. V. il testo della Lettera Pastorale diretta dall'Arcivescovo e dai cinque Vescovi del Belgio al Clero ed ai fedeli delle loro rispettive Diocesi (l).

Il Ministro di Portogallo qui residente interrogato dal Gabinetto di Lisbona circa gli intendimenti di questo Governo relativamente al Concilio fece jeri una risposta di cui si. compiacque darmi lettura e che non differisce punto dalle informazioni partecipate un mese fa dal Signor Conte de Barral all'E. V. (2).

Il Visconte di Seisal nel suo breve rapporto faceva risaltare come il principio di separazione della Chiesa e dello Stato applicato nel Belgio guidava questo Governo nelle sue tendenze a rimanere inoperoso.

Il linguaggio del Segretario Generale degli Affari Esteri, il quale influisce certo sulla maniera di vedere del nuovo Ministro non dissimula che una egoistica indifferenza prevale per il momento negli apprezzamenti del Gabinetto Belga relativi al Concilio.

Egli ben comprende però che interessi particolari possano determinare per altre potenze altri punti di vista, ed osservava che del resto il programma delle quistioni da prendere in esame non era ben definito. Il Barone Lambermont si studiò nel discorso a generalizzare; è però da notarsi la seguente sua osservazione: «Egli è possibile che in considerazione dei fatti compiuti la quistione del poter temporale, se trattata nel Concilio, lo sia con animo di vincolare il Papa ed i Suoi Successori a principj meno assoluti».

Non so se abbiavi luogo di credere che il Concilio Ecumenico del 1869 riconoscerà «l'erreur de la Cour de Rome» che J. De Maistre censurava scrivendo «Sa Santité se croit Souverain, puis Pape; c'est tout le contraire ».

58

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. RR. FUORI SERIE S. N. Madrid, 1° ottobre 1868.

Oggi ricevetti il dispaccio in cifre (Divisione Politica; Fuori Serie) che l'E. V. si compiacque inviarmi pel corriere Longa sotto la data del 26 del passato (3).

Ad una parte delle domande in esso contenute io posso senz'altro rispondere, riservandomi di raccogliere in seguito, e con ogni diligenza, tutte quelle nozioni che possono darvi maggior soddisfazione.

L'E. V. incomincia col domandarmi quale sia il programma dell'insurrezione, che puossi ora meglio chiamare rivoluzione poiché nulla più resta dell'Autorità Reale. Tale programma può riassumersi in una parola, distruzione. Tutti gli elementi che s'erano collocati per rovesciare l'ordine di cose esistente avevano convenuto di non pronunziare una parola sui piani da stabilirsi in Spagna allorché la rivoluzione avesse trionfato. Ma v'ha di più. Io sono profondamente convinto che gli uomini i quali organizzarono e diressero il movimento non avevano e non hanno tuttora alcun piano preconcetto. E ciò per la ragione semplicissima che i due sentimenti predominanti presso la nazione Spagnola sono quello d'odio e ài disprezzo per la dinastia de' Borboni, e quello di avversione per un Principe Straniero. Né io intesi mai da persone ragionevoli parlarsi di repubblica.

Questi sentimenti però dovranno necessariamente modificarsi col procedere degli eventi, imperocché se non si vuole la repubblica ed il ristabilimento de' Borboni è impossibile, sarà pure inevitabile di ricorrere ad un Principe straniero.

Durante il mio soggiorno a Parigi ed a Londra io non vidi nessuno degli emigrati Spagnuoli. I due personaggi più importanti di quell'emigrazione erano il Generale Prim a Londra, il Signor Olozaga a Parigi. Non avendo personale conoscenza né coll'uno né coll'altro, non credetti opportuno di cercarli. Tutti sapevano che qualcosa stavasi tramando contro il Governo della Regina, né mi parve prudente di mettermi innanzi in tali circostanze. Le mie istruzioni, ed un naturale istinto di dignità e di prudenza me l'impedivano. Ed è qui il luogo di dire che, malgrado questa scrupolosa riserva, al mio ritorno a Madrid, seppi da varie fonti che durante il mio soggiorno a Londra fu scritto al Signor Gonzales Bravo che io fui più volte a visitare il Generale Prim. Me ne parlò fra gli altri questo Ambasciatore di Francia, al quale potei per tal modo dichiarare a testa alta che non aveva mai visto il Generale Prim in mia vita. A me parve che fosse della massima importanza che il Rappresentante del Re in questo paese fosse perfettamente netto degli avvenimenti che si stavano preparando e che ora si stanno svolgendo. E questi dettagli riferisco all'E. V. perché in ogni eventualità futura possa dichiarare altamente che il Ministro d'Italia non entrò per nulla nelle complicazioni di Spagna. Se però non vidi gli emigrati Spagnuoli era naturale che nella mia posizione facessi ogni sforzo per procurarmi le più esatte nozioni che per me si potesse sulle loro intenzioni, e ciò potei far meglio per mezzo di comuni conoscenze che non avrei fatto per visite personali. Io credo che mentre stavo in Londra, cioè fino al 15 Agosto, il Generale Prim non avesse concepito alcun progetto concreto di insurrezione. Naturalmente egli stava all'erta aspettando l'occasione, ma fino a quel giorno io credo non avesse conoscenza delle cose che stavano per scoppiare. Egli poco parlava co' suoi amici, né mai aprivasi ne' suoi progetti a venire. La sola vaga espressione che potei trarre da un suo amico fu che in fin dei conti non sarebbe impossibile che il Generale adottasse la candidatura dì Don Carlos (detto dai legittimisti Carlo VII). E questo è tutto quello che potei raccogliere a Londra sul conto di Prim. Ritornerò di nuovo nel corso del presente sul carattere di questo personaggio che stà per rappresentare una gran parte nelle cose di Spagna.

Quanto all'Olozaga seppi al mio ultimo passaggio per Parigi che si teneva certo della riuscita del momento, che però non intendeva mischiare attivamente né far parte del futuro Governo provvisorio. Interpellato sui suoi progetti per l'avvenire fece la solita risposta, non volersi pronunziare ma voler lasciare alle Cortes costituenti di deliberare sulle sorti dello Stato. E messo al muro perché citasse una candidatura fece vagamente menzione del Duca di Genova con una Reggenza. L'E. V. comprenderà lo scopo celato di siffatta idea. Però ripeté più volte il solo scopo che aveva di mira essere quello di rovesciare il trono d'Isabella II. Né altro mi resta a dire sulle nozioni raccolte dagli emigranti Spagnuoli, e passerò a parlare delle candidature di cui mi trattiene l'E. V.

Esse sono primieramente quella di un Arciduca Austriaco. Io veramente non intesi mai fàr menzione di eleggere un Principe della casa di Asburgo. Né lo credo verosimile poiché la Casa d'Austria già regnò per molti anni in !spagna, Filippo II ne è la figura più prominente, ed essa lasciò sciagurate rimembranze presso la nazione Spagnuola. Ora militerebbe in suo favore la via liberale nella quale si è messo H capo di essa, ma questo fatto non mi pare sufficiente per far scordare l'antica avversione.

La candidatura di S.A.R. il Principe Amedeo mi parrebbe presentare assai maggior probabilità di riuscita. L'antico prestigio di Casa Savoia, la lealtà, il valore, le magnanime gesta del Capo di essa, le rare doti di cui già diede prova il giovane Principe non ponna a meno di avergli guadagnato le simpatie ed il rispetto della nazione Spagnuola. Io sono quindi convinto che in fin de' conti questa soluzione sarebbe la più accetta a questa popolazione.

A queste due candidature debbonsi aggiungere quelle altre di cui farò breve menzione.

Tra le voci che si udirono per le vie di Madrid in questi giorni fuvvi quella di Viva la Unione Iberica. Già trattai nella mia corrispondenza di questo argomento, e l'E. V. conosce come il principale ostacolo alla realizzazione di siffatto progetto sia l'invincibile ripugnanza del Portogallo di divenire Provincia Spagnuola. Questa è una voce sparsa piuttosto da' democratici i quali vorrebbero unire l'intiera penisola eliminando l'una e l'altra delle case regnanti, il che non potrebbe farsi che in seguito ad una rivoluzione in Portogallo.

Nacque pure in questi giorni una candidatura di cui non s'era mai inteso parola prima d'ora, ed è quella d'un Principe Inglese. Ma io son persuaso che la riserva del Governo inglese, la tema di suscitare gelosie e complicazioni, e soprattutto l'impossibilità che cambj di religione renderebbero questo progetto d'impossibile esecuzione.

Viene in seguito quella della Duchessa di Montpensier. Ma sebbene la Principessa sia personalmente simpatica grandemente rispettata non di meno essa incontrerebbe due grandi ostacoli, quello d'essere sorella di Isabella II, e l'altro d'avere per marito un Principe Francese.

Lasciando quindi anche da banda le obbiezioni che potrebbero venire dalla Francia Imperiale, pel momento non mi pare che la Duchessa abbia grandi possibilità d'essere chiamata al trono di Spagna. La quarta è quella di Don Carlos, detto da suoi Carlo VII, e questa non sarebbe impossibile dopo che la Spagna avesse attraversato tristi giorni di caos e d'anarchia.

Ed ho per tal modo prese in considerazione tutte le candidature di cui si trattò ne' tempi passati e presenti.

Ma l'E. V. conosce come le vicende umane si modifichino secondo le circostanze e talvolta riescano contrarie alle naturali previsioni. Al fine adunque di portare un giudizio più fondato sulle probabilità dell'avvenire è mestieri considerare in quali circostanze scoppiò la presente rivoluzione, quali elementi vi predominarono, quale carattere assunse dal suo bel principio. Epperò mi farò a sottomettere all'E. V. le osservazioni da me fatte in proposito.

Il primo segnale della rivolta fu dato dagli equipaggi della marina reale che trovavansi nelle acque di Cadice. La popolazione di Cadice, quella di Siviglia, quelle di tutta Andalusia aderirono senza indugio al movimento. Il marchese di Novaliches fu mandato contro gli insorti. Ma non fu che un debole sforzo, e la notizia della sua sconfitta fu immediatamente seguita dall'insurrezione di Madrid. Il Governo non fece neppure l'apparenza di resistenza e se ne fuggi. E la Capitale rimase in balia della popolazione. Ma la cosa era preparata d'altra parte, e ben presto comparvero sull'orizzonte le due figure principali di questa rivoluzione. Il Maresciallo Serrano Duca della Torre, ed il Generale Prim. Che rappresentano questi due personaggi? Il primo è un antico carabiniere, mediocre cultura ed intelligenza. Uscito da modesta classe arrivò per volere di buona fortuna a' più alti gradi nell'armata e nell'amministrazione, fu colmato dalla Sovrana d'onori e di ricchezze, e fu uno de' membri più cospicui dell'Unione liberale. Scomparso dalla scena il Maresciallo O'Donnell che ne era il capo supremo, Serrano dovette raccoglierne la successione. E già dissi all'E. V. come i seguaci di O'Donnell giurassero sulla sua tomba vendetta implacabile contro chi lo mandava a morire sulla terra d'esilio. Ma che altro rappresentava quest'unione liberale senonché un partito moderato, desideroso di potere, del quale usava spesso con modi poco corrispondenti al suo titolo? Esso fece la rivoluzione per rancori personali non pel trionfo di una causa.

Il Generale Prim invece rappresenta il principio democratico. Nato in Catalogna egli ne possiede il carattere irrequieto, ardente, vivace. Sposato a ricca moglie ne scialacquò in breve la fortuna, e poscia cercò di rifarsi colle avventure politiche. Lo si dice assai ambizioso, ed alcuni pretendono che la Corona Imperiale del vicino Sovrano gli turbi i sonni, che gli abbia balenato un istante l'idea di cingere la corona del Messico, che ora vagheggi la dittatura e perfino l'Impero di Spagna. Comunque sia egli fu adottato come bandiera dal partito democratico. Ecco adunque i primi germi del dualismo che non mancherà di manifestarsi nell'avvenire in modo più spiccato. I due Generali si divisero in Andalusia. Il Serrano prese il comando delle truppe che dovevano battere l'esercito reale. Il Prim s'imbarcò per le Coste del Mediterraneo affine di far insorgere quelle provincie. Che accadeva intanto nella Capitale? Fin dal primo momento costituivasi una giunta composta unicamente da elementi progressisti e democratici. Il primo suo atto fu di distribuire una quantità grandissima d'armi all'infima classe della popolazione allegando l'urgenza di mantenere l'ordine pubblico. L'ordine pubblico invero fu mantenuto, ma resta ora il fatto che un trenta mila cittadini sono armati e pronti a sollevarsi al primo cenno de' suoi capi democratici. Le botteghe sono chiuse, tutti i lavori sospesi, le strade piene di turbe miste di soldati disarmati e cittadini armati. Le classi agiate sono piene di sgomento ed emigrano in frotte, gli animi di tutti sono inquieti e timorosi dell'avvenire. Io passeggiai molto per le contrade in questi giorni e non intesi una sola volta il grido di viva Serrano, incessantemente quello di viva Prim. Non v'ha dubbio che l'elemento democratico è onnipotente in Madrid, imperocché una nazione non rovescia un trono, e fa una si grande rivoluzione per vendicare una crisi Ministeriale. A me pare adunque che in un avvenire poco lontano gli unionisti ed il Duca della Torre con essi saranno messi da banda, ed il Prim alla testa del partito democratico eserciterà il supremo potere. E per dir vero questa è forse pel momento la soluzione più desiderabile imperocché nulla sarebbe più fatale a Spagna nelle

presenti congiunture che il dualismo e forse la guerra civile.

L'E. V. comprenderà come in mezzo a siffatte preoccupazioni ed incertezze nessuno s'occupi delle candidature che potrebbero dare a Spagna un Governo solido e rispettato. Se i partiti convennero di non parlarne prima di iniziare il moto con quanta maggior raggione se ne debbono astenere in questo momento in cui essi stanno gli uni in faccia agli altri in arme. E v'ha di più. È duro di scagliar pietre contro un nemico caduto. Ma sta di fatto che il regno di Isabella II portò tanto discredito sul Governo monarchico, aumentò tale una massa di rancori e di disprezzi, che converrà lasciar calmare questi primi sfoghi innanzi di parlare del ristabilimento della Monarchia.

E questo è secondo il mio debole giudizio il quadro coscienzioso della situa

zione attuale di Spagna.

L'E. v. mi fa l'onore di domandarmi quello che secondo me sarebbe da

farsi. Per ora io non vedrei altra condotta possibile all'infuori di quella di una

simpatica riserva. Il cessato Governo non ci diede alcuna ragione per rimpian

gere la sua caduta, il presente stato di cose è troppo incerto e scomposto per

prendere risoluzioni al suo riguardo. Alcuni Ministri Esteri come quello di Rus

sia ed Austria sono assenti, né credo riceveranno l'ordine di recarsi ai loro

posti. Quello di Prussia era già venuto fino a San Sebastiano e ricevette l'or

dine di ritornare a Parigi. L'Ambasciatore di Francia è presente, né ha finora

ricevuto alcun ordine in proposito. Il Ministro d'Inghilterra è parimente al suo

posto, e son persuaso che non sarà richiamato, poiché, come l'E. V. conosce, il

Governo Britannico ha adottato il sistema di sempre riconoscere i Governi di

fatto.

L'Italia non ha ragione alcuna per restare addietro d'Inghilterra, e n'avreb

be piuttosto per andare più innanzi. Le cose sopraddette metteranno l'E. V.

in grado di impartirmi gli ordini che nella sua saggezza crederà convenienti.

Io frattanto non mancherò di tenere l'E. V. al giorno di quanto sarà per

succedere; e in ispecial modo delle voci che sorgeranno riguardo all'assetto

da darsi alle cose di Stato. L'Italia ha ogni interesse politico ed economico a vedere stabilito in questo paese un Governo solido e amico di essa, e certamente fra tutti i Principi che potrebbero essere eletti niuno sarebbe più atto a riempire tali condizioni di un Principe della Casa di Savoja, e son persuaso che niuno potrebbe riunire altrettanti partigiani. Sò inoltre che il nome di

S.A.R. il Duca d'Aosta fu pronunziato in questi giorni, ma naturalmente ai pochi che me ne parlarono, ed erano Italiani, risposi gli Spagnuoli dover deliberare spontaneamente sulle loro sorti, né poter io ingerirmi in verun modo nelle cose interne dello Stato. Il carattere Spagnuolo è eminentemente geloso delle influenze estere, e sebbene il Governo d'Italia sia senza dubbio il più simpatico ai partiti liberali di Spagna, non di meno io sono convinto che siffatta simpatia verrebbe compromessa se venissero in sospetto che si voglia pesare sulle loro deliberazioni. Vi sono altre ragioni politiche le quali non è mestieri che io esponga all'E. V. per consigliare una prudente riserva nei momenti attuali. È sperabile che in breve tempo si calmi l'agitazione attuale, allora si potranno meglio discernere le probabilità dell'avvenire, ed il Reale Governo sarà più in grado di giudicare della politica che converrà d'adottare e delle istruzioni da compartirmi. E frattanto io m'atterrò strettamente alla condotta sovra menzionata.

Non mi resta che a rispondere all'ultimo quesito che riguarda l'opinione emessa dal Ministro di Francia a Lisbona che l'Imperatore non permetterebbe l'assunzione al trono di Spagna né d'un Principe di Casa d'Orléans né d'un Principe Francese. Io dubito assai che l'Imperatore abbia preso una determinazione a questo riguardo,·e sarei propenso a credere che quei Rappresentante di Francia abbia espresso una sua opinione personale. Non v'ha dubbio che l'Imperatore vedrebbe di mal'occhio l'assunzione a questo trono d'un Principe di Casa d'Orleans, e farebbe ogni sforzo per impedirla. Ma non so se andrebbe fino a farne un caso di guerra. Quanto alla elezione d'un Principe Francese la cosa mi pare sì inverosimile che non val la pena di parlarne. Ma delle intenzioni del Governo l<~rancese l'E. V. ne sarà assai meglio informato da altra parte ...

(l) -Non pubblicata. (2) -Cfr. n. 455, in realtà dell'8 agosto. (3) -Cfr. n. 546.
559

IL PRESIDENTE DF.L CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. 732. Firenze, 2 ottobre 1868, ore 13.

Le Gouvernement du Roi se tient rigoureusement au principe de non intervention. Il ne pourra que respecter la volonté de la nation espagnole lorsqu'elle auraconstitué librement un Gouvernement régulier. En attendant que les rapports politiques puissent etre repris, vous devez rester à Madrid afin de maintenir avec le Gouvernement de fait actuel les rapports indispensables dans l'intéret mutuel des deux pays.

560 IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1311. Lisbona, 2 ottobre 1868, ore 14,11 (per. ore 0,40 del 3).

Roi don Fernand m'a dit étre décidé le cas échéant, à décliner toute offre espagnole et croire qu'aucun membre de la famille régnante n'acceptera non plus la couronne d'Espagne. Question ibérique n'est nullement sympatique en Portugal. Le due de Montpensier pense à rentrer en Espagne.

561

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 739. Parigi, 2 ottobre 1868.

I gravi avvenimenti che si succedettero in !spagna e che in pochi giorni posero fine al Regno della Regina Isabella, ebbero un primo importante risultato nel distrarre la pubblica opinione dalle cose di Allemagna e nel produrre una corrente d'idee in un senso pacifico. Senza dare troppo facile accoglienza a previsioni che altri eventi impensati potrebbero rendere illusoria, giova tuttavia constatare queste accresciute tendenze pacifiche, e si può oramai sperare che l'autunno e l'inverno prossimo trascorreranno senza che l'Europa sia insanguinata da una guerra formidabile.

Il Governo francese è vivamente preoccupato dell'avvenire della rivoluzione spagnuola. Questa preoccupazione molto naturale per una potenza che ha tanti e così stretti legami d'ogni genere colla Spagna, è resa più viva dalla incertezza assoluta in cui è il Governo Imperiale dell'esito finale del movimento spagnuolo, e della soluzione che sarà per prevalere al di là dei Pirenei nella costituzione del nuovo ordine governativo. È incontestabile che la rivoluzione ha dovuto il suo successo alla coalizione dei varii partiti e delle varie personalità che li rappresentano, non meno che alla disaffezione generale che la condotta privata e pubblica della Regina Isabella aveva provocato in tutte le classi di persone. Ma questa concordia che si ottenne per rovesciare il trono di Isabella potrà attenersi e perdurare pel compito più difficile di costituire e ricostruire un nuovo edifizio politico? Qui se ne dubita assai, e quindi crescono le incertezze e le inquietudini. Il Governo francese non ha favorito il movimento spagnuolo, ma è giusto il riconoscere che non lo ha nemmeno combattuto. Una grande riserva fu usata a questo riguardo dalla Francia. Questa medesima riserva, a quanto mi si assicura, fu indicata per norma generale di istruzione all'ambasciatore di Francia a Madrid. L'interesse principale e più urgente del Governo Francese è quello d'evitare che si proclami in !spagna una forma di governo repubblicano. La candidatura del Duca di Montpensier non piacerebbe certamente al Governo francese. Ma se fosse costretto a pronun

ciarsi tra questa candidatura e la repubblica non v'è dubbio che accetterebbe di preferenza la prima per quanto essa potesse presentare gravi inconvenienti. Giova tuttavia sperare che né l'una né l'altra di queste ipotesi si verificheranno. Il progetto dell'unione iberica sotto la dinastia portoghese non incontrerebbe, credo, molti ostacoli per parte del Governo Francese, preoccupato sopra tutto dall'idea d'evitare la repubblica prima d'ogni cosa, e poi lo stabilimento d'una dinastia Orleanese.

Comunque sia, e benché la rovina d'un trono dia luogo a gravi riflessi e sia un grande e serio insegnamento, l'Italia deve rallegrarsi che la caduta della Regina Isabella contribuisca al mantenimento della pace in Europa e faccia sparire dal Governo di un'importante nazione un avversario dichiarato ed ostinato dell'unità del nostro paese.

562

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

D. 31 bis. Firenze, 3 ottobre 1868.

Venne ieri da me il Signor Duca di Rivas accompagnato dal Signor Zarco del Valle. Il Signor Duca mi disse che in seguito alle notizie giunte dalla Spagna, egli avea creduto conveniente di spedire le dimissioni dal posto che avea sin qui occupato presso la Real Corte in qualità di Inviato Straordinario e di Ministro Plenipotenziario. Nel partire da Firenze egli lasciava il Signor Zarco del Valle reggente degli Affari della Legazione spagnuola finché a questa non fosse nominato un nuovo titolare.

Ho espresso al Duca di Rivas il mio vivo dispiacere di vederlo partire da Firenze dove egli avea saputo guadagnarsi la stima e la benevolenza di tutti. In virtù del principio di non intervento che l'Italia professa e che noi rispettiamo, il Governo del Re, gli diss'io, continuerà a mantenere col Governo di jatto della Spagna le relazioni ufficiose che sono necessarie pel buon andamento degli affari dei due paesi, salvo a riprendere ufficialmente più tardi i rapporti diplomatici col governo che sarà regolarmente costituito in !spagna.

Appena è necessario ch'io aggiunga in quest'occasione come la condotta del Duca di Rivas nonché quella del Signor Zarco del Valle in queste difficili circostanze siano piene di lode. La S. V. non ignora d'altronde come si' all'uno che all'altro di questi due diplomatici sia in gran parte dovuto se in varie circostanze le relazioni fra Firenze e Madrid poterono essere conservate sul piede d'una discreta amicizia. Ed infatti ove se ne tolga qualche diario oscuro e di nessun conto, la massima parte degli organi della pubblica stampa si palesarono qui moderatissimi nello apprezzare la condotta di coloro che in Firenze rappresentavano in questi ultimi anni un governo che, è pur forza riconoscerlo, non godeva le simpatie di alcun giornale liberale in Italia.

Questi pochi cenni potranno essere di qualche utilità alla S. V. ed a tal fine reputo opportuno comunicarglieli.

563 IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 272. Berlino, 3 ottobre 1868.

De retour à Berlin depuis avant-hier, je m'empresse de reprendre la correspondance au point où l'a laissée le Chevalier Tosi qui a tenu d'une manière si exacte V. E. au courant des divers incidents de la politique durant mon congé.

Les événements d'Espagne sont aujourd'hui le fait le plus saillant. Ainsi que M. de Thile vient de me le dire, le Cabinet de Berlin se bome au réìle de spectateur très-attentif de ces événements. Il n'y a jamais eu de sa part ingérence ni directe, ni indirecte -quelles que soient les accusations lancées à tort et à travers par quelques journaux étrangers. On est allé jusqu'à dire que c'est le Comte de Bismarck qui a encouragé, préparé et fait éclater la révolution dans la Péninsule, juste au moment où le Gouvernement français, tout pret à faire la guerre à la Prusse, allai'.; jeter l'Espagne aux jambes de l'Italie pour l'empécher de broncher à Rome, et pour la neutraliser dans le cas où la Prusse tenterait de l'entrainer de son còté. « Ces imputations, ajoutait M. de Thile sur le ton de la plaisanterie, partent de certains gens qui voudraient attribuer à notre Président du Conseil une complicité dans le premier péché d'Adam et d'Eve! ».

Ce serait, en effet, faire à M. de Bismarck un bras un peu trop long. Ce serait lui préter une complicité à laquelle il n'a pas eu besoin de songer, puisque le Cabinet Impérial d'un còté et le Cabinet Espagnol de l'autre, ont si bien fait ses affaires. Cependant une partie de la presse dans ce pays -je ne parle pas du Gouvernement qui est réservé dans ses appréciations -temoigne une joie ironique en apprenant que la Reine Isabelle a perdu sa couronne dans une insurrection devenue révolution. Cela est parfaitement explicable car lors méme que la Prusse n'a rien à déméler avec l'Espagne, elle n'a pas moins un intérét indirect mais positif, dans les troubles de ce Pays. Intérét qui n'est pas difficile à deviner. Il est assez nature! que les Prussiens se réjouissent à la pensée que le Gouvernement Impévial a une révolution sur ses frontières. Cette révolution est à leurs yeux un échec pour les combinaisons belliqueuses de l'Empire. A tort ou à raison, on est convaincu que I'insurrection coupe une aile au parti de la guerre et on attend avec impatience le développement d ces graves événements. Il est de fait, depuis que tous les regards sont tournés vers les Pyrénées, que l'an parle moins à Paris de ce qui se passe de l'autre còté du Rhin.

J'ai appris indirectement que le bruit courait ici que nous préparerions une démarche à Paris et à Londres pour sonder les dispositions de ces Gouvernements relativement à un projet d'Union Ibérique sous la dynastie de Bragance. Je me borne à relater ce bruit pour le cas où V. E. m'autoriserait à le démentir.

564 IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 273. Berlino, 4 ottobre 1868.

Rien n'a transpiré sur l'entrevue récente de l'Empereur de Russie avec le Roi de Prusse. Mais tout porte à croire qu'elle n'a fait qÙe confirmer les relations d'intimité existant entre ces Souverains qui avaient au reste déjà eu l'occasion de constater l'uniformité de leurs vues à Schwalbach dans le courant de cct été. Ils ne voyaient alors dans la situation générale, du moins le disaientils, ainsi que je l'écrivais de Wiesbaden à V. E., aucun motif ni prétexte de guerre. L'entente est si bien établie entre les Cabinets de Pétersbourg et de Berlin, qu'il n'est nullement indiqué de la consigner dans des accords secrets. Aussi n'a-t-il pas été nécessaire qu'aucun de leurs Ministres assistat à ces entretiens entre parents et amis. Le Prince Gortchacow, entre autres, n'a pas accompagné S.M. Impériale. Ce n'est qu'aujourd'hui qu'il a traversé Berlin pour retourner à St. Pétersbourg.

Profitant de la bienveillance que ce personnage m'a conservée, je lui ai fait visite. Je m'empresse de transmettre le partie saillante de son langage.

Il se félicitait des bons rapports qu'il entretenait avec le Marquis Caracciolo et avec notre Gouvernement. Notre Auguste Souverain venait de donner une nouvelle preuve de san attachement à la Cour de Russie, en recevant luiméme à la frontiere l'Impératrice qui se rendait sur le lac de Come. Le Chancelier de l'Empire prévoyait non pas une guerre imminente, -car il semblat assez d'avis que la révolution d'Espagne en amoindrissait les chances -mais il s'attendait à un hiver très rude, laborieux pour la Diplomatie. Les différentes questions qui agitent l'Europe sont camme voilées par un brouillard, sans qu'on puisse savoir encore quelles sont les inconnues qui s'en dégageront.

«Le Général Fleury me disait, lors de mon dernier séjour à Paris, que la France se contenterait de quelques concessions qui devraient étre faites par la Prusse; si non la guerre serait inévitable. Je lui ai laissé entendre que dans cc cas le Cabinet des Tuileries serait l'agresseur, car la Prusse, je m'en portais personnellement garant -or je ne m'aventure pas à la légère -ne prendrait pas l'initiative d'une attaque. Si l'Empereur Napoléon veut le maintien de la paix, il faudrait des garanties plus solides que ne le sont les discours plus ou moins étudiés qui n'ont pas réussi jusqu'ici à rassurer les Gouvernements pas plus que l'industrie et le commerce toujours en souffrance. J'avais en méme temps parlé avec la plus entière franchise à l'Empereur des Français. «Votre souhait bien nature!, Lui ai-je dit, est de consolider votre dynastie, mais pour que ce souhait puisse s'accomplir, il importerait tout d'abord d'extirper, par des actes, le préjugé qui se fait jour dans l'opinion publique alarmée, que la tranquillité du monde est mise en danger par la présence d'un Napoléon sur le tròne. Votre Majesté a déjà recueilli assez de lauriers camme homme de guerre dans la première partie de san règne. Qu'Elle s'applique maintenant à devenir l'homme de la paix. La France et l'Europe Lui en sauront gré ainsi qu'à sa descendance ».

J'ignore si mes paroles ont porté coup; j'ignore si les circonstances lntérieures de la France n'induiront pas son Souverain à des diversions dangereuses, mais ce dont je suis certain c'est que la Prusse -et quand je dis la Prusse je parle du Comte de Bismarck, l'homme de la situation -est fanatique de la paix par conviction et par intéret. Nous sommes dans les meilleurs termes. De ce còté il y a contrepoids à toute velléité belliqueuse. Je viens encore de recevoir un télégramme très chaleureux du Comte de Bismarck qui est aux regrets que l'état de sa santé ne lui permette pas de venir me serrer la main à mon passage en Prusse.

Nous n'avons aussi qu'à nous louer de l'Angleterre. Nous regretterons son Ministère actuel -battu en brèche par M. Gladstone -nommément Lord Stanley qui en maintes circonstances a témoigné de son bon vouloir, et récemment encore quand, malgré nous, nous avons dù faire un pas en avant dans l'Asie centrale. Mais nous avons lieu de croire que Lord Granville dev:iendra Premier Lord de la Trésorerie (Ministre Président), et que dans ce cas Lord Clarendon aurait le portefeuille des Affaires Etrangères. Je le connais personnellement, je l'ai vu cet été en Allemagne. Je ne puis que rendre justice à son esprit plein de modération, et qui doit avoir perdu de son ancienne francomanie. Quelle que soit au reste la future administration de la Grande Bretagne, sa politique étrangère restera très probablement ce qu'elle est devenue depuis deux ans, gràce aux succès militaires de la Prusse, favorable à cette puissance au moins dans le sens d'une neutralité bienveillante à son égard, si la France voulait jamais tenter le sort des armes vers le Rhin.

Quant à l'Autriche on doit savoir à Paris de différents còtés, entre autres, par les impressions rapportées par le Prince Napoléon de son dernier voyage, que la situation intérieure de ce pays ne lui permettrait pas, à moins de courir les aventures les plus risquées, de chercher à prendre soit isolément, soit comme l'allié des Français, une revanche de Sadowa.

Les événements d'Espagne ne paraissent pas non plus devoir amener un contrecoup violent au delà de ses frontières. Les Pyrénées détournent l'attention du còté du Rhin. Ainsi je le répète, il n'y a pas péril imminent d'une grande guerre. Mais gare aux nuages à l'horizon, si les Gouvernements par leur vigilance et leur sagesse n'élèvent partout des paratonnerres ».

Le Prince Gortchacow m'a demandé si j'avais des nouvelles de Florence relativement aux affaires d'Espagne. Je ne pouvais répondre que négativement et éluder la conversation dans laquelle il voulait m'engager sur les combinaisons qui prévaudraient. Il n'a pas ménagé les critiques sur la Reine !sabelle. La chute de cette Souveraine pourraìt entrainer celle de toute la dynastie des Bourbons. La forme républicaine ne s'adapterait ni aux moeurs, ni aux traditions de la Péninsule. Quant à l'Union Ibérique il supposait que l'Angleterre y serait moins contraire qu'on ne penserait tout d'abord de la part d'une puissance intéressée à conserver son influence prépondérante dans les conditions actuelles du Portugal.

Le Prince Gortchacow m'a interpellé sur nos conditions intérieures. Je lui ai répondu dans le sens de la lettre adressée en date du 27 Juin dernier par

le Ministre M. Cadorna à V. E. (1), lettre dont j'ai reçu une copie par la dépéche -Série politique -sans numéro du 4 Juillet <2). Le Chancelier s'est montré satisfait de ces explications.

565

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1315. Madrid, 5 ottobre 1868, ore 12,15 (per. ore 15,42).

La junte a chargé Serrano de la formation d'un Gouvernement provisoire. On commence à parler d'une candidature de l'archiduc Albert.

566

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI EGIZIANO, NUBAR FASCIA'

L. Firenze, 5 ottobre 1868.

Je m'empresse de répondre à la lettre que V. E. a bien voulu me remettre personnellement le 2 ce mois, rélativement au projet dé réunir une commission internationale composée des délégués de toutes les Puissances intéressées afin d'arriver à un résultat pratique et satisfaisant en ce qui concerne les réformes législatives et judiciaires que S. A. le Vice Roi se propose d'introduire dans ses Etats.

Cette commission aurait pour but d'examiner les garanties que présenterait la composition des tribunaux égyptiens, de délibérer sur la manière dont un code de procédure devrait étre rédigé, ansi que sur les amendements que l'on devrait introduire dans les lois de l'Egypte pour pouvoir appliquer celles-cl à toutes les questions qui surgissent entre les indigènes et les étrangers. V. E. ajoute que cette commission préparerait ainsi les résolutions définitives de toutes les parties intéressées dans la question.

Persuadé que l'état des choses actuel en ce qui concerne le régime judiciaire en Egypte laisse beaucoup à désirer, le Gouvernement du Roi n'hésite point à adhérer en principe à toutes les mesures ayant pour but de préparer une réforme que l'on s'accorde généralement à croire nécessaire. Une pareille décision est suggérée au Gouvernement de Sa Majesté non seulement par les désir qu'il éprouve de faciliter, par tous les moyens possibles, le développement du progrès moral et économique d'un pays ami de l'Italie, mais aussi par les grands intéréts commerciaux que les nombreuses colonies italiennes représentent en Egypte.

Des explications verbales que V. E. a bien voulu ajouter à sa communication ècrite, il ressort que la commission européenne qu'il s'agit de réunir ne devrait que préparer les études indispensables afin que chaque Gouvernement puisse ensuite délibérer en pleine connaissance de cause. Cette commission ayant par conséquent un caractère purement consultatif, pourrait, suivant nous, étre réunie avec beaucoup d'utilité aussi tòt qu'il plaira au Governement Egyptien de la convoquer. Nous croyons cependant que de pareilles études ne peuvent ètre faites utilement ailleurs qu'en Egypte car Ies questions de détails qui doivent étre nécessairement examinées sont intimement liées aux intéréts locaux des sujets étrangers et ces intéréts ainsi que les lois et les coutumes du pays ne peuvent ètre bien connus et appréciés que sur les lieux où il s'agit d'introduire les réformes. Le Gouvernement du Roi est heureux de constater que S. A. le Vice Roi est d'accord avec lui sur cette condition que la réunion de la commission internationale préparatoire ait lieu en Egypte. S'il en devait ètre autrement le Cabinet de Florence préférerait un système de négociations préalables séparées avec le Gouvernement de S. A. le Vice Roi et qui aurait pour but de fixer les bases des arrangements pratiques à prendre pour rémédier aux inconvénients de la situation actuelle sans porter atteinte aux garanties dont jouissent actuellement Ies Italiens. Je prie V. E. de vouloir bien croire à l'intérèt sincère qu'inspire au Gouvernement Italien tout ce qui peut contribuer efficacement au progrès de l'Egypte. L'Italie ne mettra jamais d'entraves à l'adoption de mesures qui, en garantissant à ses propres sujets ainsi qu'aux sujets égyptiens les bienfaits d'une bonne administration de la justice, assureront à l'Egypte une des bases essentielles pour le développement mora! et économique du pays.

(l) -Cfr. n. 393. (2) -Non pubblicate.
567

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1323. Lisbona, 6 ottobre 1868, ore 20 (per. ore 4 del 7).

On craint ici démonstrations anti ibériques. Le Roi m'a dit qu'il est décidé à Ies empécher pour et contre par tout moyen de mème qu'à repousser à outrance tout coup de main espagnol. Si des complications survenaient marquis de Loulé entrerait au Ministère. Le Roi m'a dit que dans le cas d'offre peu probable de la Couronne d'Espagne pour lui ou Ies siens il ne se Iaissera aucunement forcer la main dans l'état actuel des choses, réservant décision jusqu'à réconstitution solide d'Espagne mais qu'en tout cas sa politique sera maintenir toujours intacte intégralement l'autonomie portugaise. Le Roi ne m'a pas paru aussi contraire que son père à l'idée de l'union ibérique pour... (l) le cas échéant couronne d'Espagne pour son frère prince Auguste. J'ai lieu de croire que la politique portugaise sur Espagne sera très déférente et que c'est à Paris plus qu'à Lisbonne qu'il faudra faire attention et dans ce cas à l'Empereur Napo

léon III personnellement. J'ai fait demander trois fois en vain par le télégraphe répétition de la dépeche de V. E. chiffrée en date du 3 (l) dont il est impossible déchiffrer meme le sens et le sujet.

(l) Gruppo indecifrato.

568

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1318. Madrid. 6 ottobre 1868, ore 22 (per. ore 23,30).

A chaque jour surgit nouvelle candidature. Celle du due de Montpensier est celle dont on parle le plus. Ambassadeur de France s'en montre très contrarié, mais se garde bien de dire que son Gouvernement s'y opposerait. Je crois qu'on fera tentative auprès du Gouvernement anglais pour avoir un prince anglais avec Gibraltar.

569

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1320. Londra, 6 ottobre 1868, ore . .. (per. ore 9 del 7).

Le Gouvernement anglais s'opposera à toute candidature de princes anglais au tròne d'Espagne. Vu l'état des choses actuel Stanley trouverait que l'union ibérique sous la dynastie de Bragance serait la meilleure des solutions. Il en fit vague allusion au ministre de Portugal ici qui manifesta tendance tout à fait contraire.

570

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

D. 32. Firenze, 6 ottobre 1868.

Ho ricevuto ieri l'altro il telegramma col quale Ella mi annunzia che si cominciava a parlare a Madrid di una candidatura dell'Arciduca Alberto d'Austria (2).

Questa notizia è assai grave.

L'Arciduca Alberto è attualmente in Austria il vero capo del partito che osteggia il programma del Duca di Beust. Quel principe gode inoltre di un prestigio militare che potrebbe renderlo accetto all'umore bellicoso d'una parte

della nazione spagnuola. Ma malgrado tutte queste circostanze che potrebbero agevolarne la candidatura io esiterei a credere che egli vorrebbe accettare la corona che gli venisse offerta.

Ciò però che non verrebbe accettato dall'Arciduca Alberto potrebbe forse essere ricercato per qualche altro principe della stessa famiglia imperiale, non adoperandosi in tal modo il nome dell'Arciduca che per facilitare l'accettazione di una candidatura austriaca per parte del popolo spagnuolo.

Questa infatti una volta accettata più facile diverrebbe il fare aggradire l'uno e l'altro nome secondo le circostanze. Appena è necessario ch'io Le dica che per molte ragioni una simile candidatura riescirebbe dannosissima agl'interessi italiani.

(l) -Non rinvenuto. (2) -Cfr. n. 565.
571

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 1178/498. Londra, 6 ottobre 1868.

Io non aveva mancato di far parola a Lord Stanley degl'ultimi progetti d'imprevisti che andavano buccinandosi nella Capitale Francese per l'assetto delle finanze Tunisine, quando al giungermi del pregiato di Lei dispaccio Confidenziale n. 110 (l) sullo stesso argomento, di cui qui mi onoro segnar ricevuta, mi recai nuovamente al Foreign Off.ice per intrattenere Sua Signoria.

Siccome già altre volte ho rassegnato a V. E., il Ministro degli Esteri di Sua Maestà Britannica non era gran fatto al corrente degli intrighi che si conducono a Parigi per giungere abilmente a riguadagnare nella Reggenza la preponderanza contro la quale l'Italia e l'Inghilterra ebbero a protestare; e nel primo abboccamento che ebbi con Lui dopo il suo ritorno dal continente sulla vertenza di Tunisi, Mylord si limitò a ripetermi che non era in grado di dirmi nulla non avendo ancora ricevuto nessuna proposta dal Gabinetto delle Tuileries, e che ascriveva in gran parte gl'anzidetti intrighi all'amor di speculazione di qualche consorteria d'impiegati e capitalisti Francesi.

Circa poi il disegno del Marchese di Moustier di dividere la Commissione internazionale in due Sezioni distinte, di cui l'E. V. mi fa cenno nel suo prementovato confidenziale dispaccio, Lord Stanley mi disse che effettivamente il Ministro Imperiale degli Affari Esteri gliene avea parlato al suo passaggio a Parigi, e che l'idea di formare un Comitato Amministrativo interno composto di funzionari Tunisini parevagli giusta e ragionevole; ma che lo schema in discorso non essendogli stato finora rappresentato che sotto il colore d'un semplice progetto, egli non s'era ancora occupato del modo di tutelare i diritti dei varii interessati i quali, da quanto io gli esponeva, potrebbero senza dubbio trovarsi compromessi dall'introduzione di un membro straniero in seno di esso Comitato.

In seguito a questa dichiarazione ogni mio sforzo fu diretto a persuadere Lord Stanley dei pericoli che sicuramente deriverebbero dall'ammettere che il

Bey possa chiamare un forastiero a far parte di detta Sezione Amministrativa, mentre in sostanza ciò non varrebbe a produrre nessun utile risultato, ma al contrario offrirebbe alla Francia il destro di chiedere al Bardo l'esecuzione della promessa fatta al Governo Imperiale di nominare un Commissario finanziario da quest'ultimo designato.

Colla massima prudenza e delicatezza tornai di nuovo ad insistere presso Mylord sulla grave questione politica che tanto l'Italia quanto l'Inghilterra debbono per identici motivi difendere, onde impedire con un'azione comune l'ingerimento esclusivo di una Potenza nelle cose interne di Tunisia, ed ebbi la soddisfazione di scorgere che Sua Signoria prestò attento ascolto alle mie parole.

Per una singolare coincidenza il Segretario di Stato mi palesò che non avendo inteso più nulla sugl'affari di Tunisi, all'eccezione di quanto il Marchese di Moustier gli aveva vagamente accennato a Parigi, e che peggiorando ogni giorno le cose della Reggenza, aveva appunto jeri scritto a Lord Lyons pregandolo di volergli al fine esporre a quali decisioni il Governo Francese paresse disposto ad arrendersi.

Sarà mia precipua cura di cercare di sapere il più presto possibile il tenore della risposta dell'Ambasciatore Britannico, e di recarne tosto il contenuto a cognizione di V. E.

Lord Stanley mi osservò che fino a tanto che ril Gabinetto Imperiale non avesse formulato una soluzione definitiva, era impossibile di prevedere a che partito converrebbe attenersi.

Quanto però m'è lecito dirle sin d'ora, Signor Conte, si è che qualunque sia l'aggiustamento che potrà venir suggerito dal Gabinetto Imperiale, Mylord non vi darà la sua adesione se desso non offrirà tutta la guarentigia desiderabile per la sicurezza delle ragioni commerciali Inglesi; ed allo scopo di pormi in grado di dare di ciò comunicazione all'E. V. con ogni maggior carattere ufficiale, ho ottenuto da Sua Signoria una esplicita dichiarazione in questo senso. Per la comunanza che regna tra gl'interessi Italiani e quelli dei sudditi della Gran Bretagna, ho pensato che siffatto annunzio non poteva che tornar grato a codesto Ministero.

Non ho omesso di significare al C:gretario di Stato come il R. Governo persista nell'intendimento di non separarsi dall'Inghilterra in un argomento nel quale ambo i paesi sono impegnati nel modo più identico sia dal lato commerciale che dal lato politico, ed ebbi da Mylord l'assicurazione che dal canto suo egli non desiderava altro che di vedere a continuarsi l'accordo che s'era fin dal primo momento stabilito.

Ora che il Marchese di Moustier sembra essere uscito dalla riserva sino a questo punto osservata, ed avere concepito n piano di scindere in due la Commissione internazionale --piano che, al par di V. E., Lord Stanley giudica abbastanza favorevolmente -sarà mio compito speciale di procurare che non se ne neutralizzino i benefici effetti accettando senza modificazione l'introduzione di un membro straniero nel Comitato d'Amministrazione interna, circostanza che cotanto potrebbe recare ingiuria ai diritti dell'Italia e dell'Inghilterra.

P.S. -Spedisco questo rapporto per mezzo di un'occasione particolare.

44 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

(l) Cfr. n. 542.

572 IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1322. Parigi, 7 ottobre 1868, ore 15,40 (per. ore 20,15).

M. Olozaga est parti de Paris pour aller à la rencontre de son frère qui a la mission de le ramener à Madrid. On me dit qu'Espartero se prononce dans un sens républicain, que par contre Serrano et Prim désirent mettre en avant la candidature du prince Alfred d'Angleterre. Napoléon est très mecontent de la proclamation de la Reine Isabelle dans laquelle Elle l'appelle son allié (l).

573

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

D. 22. Firenze, 8 ottobre 1868.

Qui unito Ella troverà copia d'una nota rimessami personalmente da Nubar Pacha il quale giunse in Firenze addì 2 di questo mese (2).

Il R. Governo aveva già ricevuto a quella data la comunicazione ufficiale che il Governo del Vice Re gli avea fatta per mezzo della S. V., comunicazione alla quale si riferisce il di Lei rapporto di questa serie (n. 37) del 13 settembre (3).

Benché fra le due comunicazioni, quella cioè fattami da Nubar Pacha, e quella avuta direttamente dall'Egitto, passassero varie differenze che sarà facile alla S. V. di riscontrare io ho creduto dover accettare la discussione coll'Inviato egiziano unicamente sovra i punti che nella Nota da lui scrittami erano accennati. Epperò le nostre discussioni presenti che tutti si accordano a trovare nocive agl'interessi degli Europei non meno che a quelli degli Egiziani, non potevano tardare a giungere ad una soluzione che parve allo stesso negoziatore del Vice Re assai soddisfacente. Questa soluzione è contenuta nella nota che in risposta a quella di Nubar Pascià io ho scritto il 5 corrente (4). Di questo documento Ella troverà qui unito copia.

Riassumendo pertanto in brevi parole lo stato delle cose al punto ove le medesime si trovano dopo la missione testé compiuta da Nubar Pacha dobbiamo ritenere che il Governo del Re ha accettato la proposta fattagli di entrare in

«Parlando delle cose di Spagna, dissi al Marchese di Moustler che lo comprendeva come fosse immaturo il domandargli quale fosse il modo di vedere del Governo Imperlale in ordine a questi gravi eventi, ma che il Governo del Re avrebbe appreso certamente con interesse la prima impressione prodotta da essi sul Governo francese. " La nostra impressione, mi rispose il Marchese di Moustler, è per ora quella non averne punto ", Quanto mi disse in seguito il Ministro Imperiale intorno a questo argomento non fu di natura a aggiungere nulla di piùpreciso a questa risposta ».

(-3) Cfr. n. 521. (-4) Cfr. n. 566.

discussione sopra le riforme in genere che dovrebbersi adottare in Egitto per migliorare le condizioni attuali dell'amministrazione della giustizia, ma che la sua accettazione è subordinata alla condizione che tale discussione abbia luogo in una conferenza delle Potenze interessate da riunirsi in Egitto.

Se una simile conferenza non potesse riunirsi, ovvero se la riunione dovesse aver luogo in altro paese, il Governo del Re si è riservato piena libertà di azione per trattare separatamente.

(l) Con r. 742 del 9 ottobre Nigra comunicò:

(2) -Non pubblicata.
574

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 274. Berlino, 8 ottobre 1868.

A l'appui de ce qui m'a été dit récemment sur l'attitude du Cabinet de Berlin à propos des affaires d'Espagne, j'ai l'honneur de transmettre ci-joint la traduction d'un article publié hier par le journal officieux la Correspondance provinciale. L'Envoyé de Prusse à Madrid se trouvait en congé quand la révolution éclatait, et pour le moment il s'abstiendra de retourner à son poste. La présence d'un simple chargé d'Affaires facilitera la tache de la Légation, en ce sens que le ròle de l'intérimaire est nécessairement plus effacé. Sa tàche, comme il en a reçu l'instruction, est celle de se borner à l'expédition des affaires de Chancellerie et de n'entretenir, jusqu'à nouvel ordre, que des rapports officieux avec les nouvelles autorités.

Au reste cette attitude expectante est parfaitement tracée par les circonstances. On voit bien ce que la révolution a renversé. On ne voit point encore ce qu'elle a créé. Marintenant après la victoire matérielle remportée par una coalition des partis, la junte, le Gouvernement provisoire et plus tard les Cortès Constituantes seront mis en demeure d'exercer leur action. Si la crise qui a éclaté est la conséquence d'une politique qui laissait l'ordre social sans garanties, l'ordre constitutionnel sans fi;~ièé, l'Espagne tout entière sans sécurité et sans avenir, il s'ensuit que la politique nouvelle doit nécessairement tendre à raffermir les institutions, à replacer le pays dans les conditions d'un régime régulier. C'est là le but et il reste à savoir par quelles mesures pratiques on réalisera cette oeuvre.

Quant à la politique extérieure, l'Espagne est paralysée plus que jamais. La discipline de l'armée est relàchée. L'embarras de ses finances est poussé à l'excès. La direction des affaires est livrée à l'oscillation des partis. La révolution, fruit d'un travail qu'on a pu suivre d'année en année, quelque inévitable qu'elle fut, ne trouble pas moins cette suite de vues toujours nécessaire dans la direction de la politique internationale. Qu'il survienne de graves complications au delà de ses frontières; qu'un Gouvernement étranger sollicite le concours de l'Espagne, il en adviendra de méme qu'en 1854 lors de la guerre de Crimée. L'Espagne n'ayant alors pas plus qu'aujourd'hui ses coudées franches à l'intérieur n'a pu marcher dans la voie où le Piémont allait entrer, et elle perdait ainsi l'occasion de jouer un ròle dans une grande questlon européenne. Ses dispositions moralement favorables à la cause de l'Occident, n'ont pu se traduire en faits.

Sous ce rapport l'impuissance de la Péninsule l'empèchera de prèter l'oreille à des suggestions contraires à l'Italie ou à la Prusse. C'est bien là une certaine garantie de paix. Mais d'un autre còté si le mouvement Espagnol réagissait sur l'esprit public qui laisse déjà tant à désirer en France, à la veille surtout des élections générales, la tentation pourrait venir à l'Empereur Napoléon d'opérer une diversion puissante, entre autres, vers le Rhin pour détourner les esprits des commotions révolutionnaires. Sous ce point de vue la crise où se joue la destinée de l'Espagne, pourrait aussi avoir un contrecoup funeste pour la tranquillité générale de l'Europe, et cela indépendamment des autres questions qui attendent encore une solution, de ces questions voilées par un épais brouillard, pour me servir d'une expression du Prince Gortchakow (rapport n. 273) (1).

Sur une de ces questions, le discours du tròne en Danemark confirme le fait connu que les négociations pour la rétrocession d'une partie du Schleswig, n'ont abouti jusqu'ici à aucun résultat. Il ne pouvait en ètre autrement en présence de l'exagération des demandes du Cabinet de Copenhague, revendiquant une ligne de frontière trop étendue et embrassant presque la moitié du Schleswig, quand le Traité de Prague ne parle que de la restitution de quelques district. D'un autre còté le Cabinet de Berlin, lors mème qu'il voudrait faire preuve de condescendance, doit tenir compte des susceptibilités de l'opinion publique et de l'armée, l'une et l'autre peu disposées à une transaction mème équitable. Je ne puis croire, ainsi que le prétendent quelques journaux que cette mise en demeure adressée à la Prusse de ce conformer à l'article 5 du Traité précité, ait été concertée avec la France. Ce serait bien là le meilleur moyen, si le fait était avéré, de rendre impossible tout accord par voie diplomatique.

ALLEGATO.

Article de la Provinzial Correspondenz du 7 Octobre 1868 (traduction)

Il n'est pas permis, à l'heure qu'il est, de faire des suppositions au sujet de la prochaine reconstitution d'un Gouvernement durable en Espagne.

Mais il parait seulement hors de doute d'une part que la Reine Isabelle a complètement perdu, par sa fuite, toute perspective de reconquérir le tròne pour elle mème et pour sa Maison, et d'autre part que le parti qui songe à établir une république à la piace du Gouvernement Royal déchu, gagnera difficilement assez de terrain en Espagne. Si l'établissement d'un nouveau tròne est probable, les partis et les personnages qui y entrent en considération sont cependant si différents et leur position est encore si peu dessinée qu'il ne saurait ètre question pour le moment en aucune manière d'une chance bien fondée de succès. Il est à prévoir que l'Assemblée des Cortès sera convoquée sous peu de semaines, et c'est à elle seule qu'est réservée la décision définitive sur la constitution et sur le Gouvernement de l'Espagne.

La révolution qui s'y est manifestée d'une manière si surprenante attire en ce moment l'intérèt vif et presque exclusif des Gouvernements Européens, et rejette sur

l'arrière pian les autres questions politiques. Le Gouvernement de la Confédération de l'Allemagne du Nord n'a qu'à suivre avec impartialité le cours des événements en Espagne, bien décidé à respecter les libres résolutions du peuple Espagnol à l'égard de sa destinée nationale. Le peuple allemand revendique à son tour le méme procédé. Notre Gouvernement doit faire valoir auprès de tous les Cabinets cette manière de voir. Quelques sérieuses que puissent devenir pour l'Espagne les difficultés et les complications intérieures, on ne doit toutefois pas s'inquiéter d'une perturbation qui pourrait en résulter dans les relations européennes.

(l) Cfr. n. 564.

575

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1181/11. Londra, 8 ottobre 1868.

Fin da quando giunse il primo annunzio telegrafico dell'invito rivolto dal Santo Padre ai Protestanti ed alle altre Comunità Cattoliche, onde indurii ad accorrere al Concilio Ecumenico del 1869, gli organi più importanti della Stampa Inglese si occuparono di questo argomento discutendone la opportunità, e le ragioni che hanno potuto ispirare al Sommo Pontefice una tale risoluzione.

Ieri poi il testo della lettera Apostolica comparve nella maggior parte dei giornali, e quantunque l'incidente non sia, secondo ogni probabilità, per avere altro seguito, tuttavia come cosa spettante alla riunione di esso Concilio, reputo dover mio di non lasciar passare questa circostanza senza chiamarvi sopra l'attenzione dell'E. V., imperocché le pubbliche manifestazioni che il precitato documento del Vaticano ha qui provocato, dimostrano una volta di più, ove di ciò s'avesse mestieri, quale sia lo spirito col quale questo Paese -sempre giusto, malgrado il suo Protestantismo, verso i cattolici -contempla la convocazione dell'universale Consesso della Madre Chiesa.

Generalmente la prima cosa che nella risoluzione del Santo Padre colpisce un imparziale osservatore si è l'ingenuità apparente colla quale ammanta il vero e ben tramato piano che ispirò l'idea del Concilio Ecumenico nella presente era di Civiltà.

Al momento in cui il Papato combatte l'ultima lotta per salvare il potere temporale, al momento in cui nel ristretto raggio che gli rimane, questo potere gli è unicamente conservato dalla logica delle Bajonette, il Sommo Pontefice convoca un generale Concilio il quale tenterà probabilmente la conversione in dogma di quello stesso potere temporale ormai condannato dal mondo civile, mentre del paro colpirà tutte le basi su cui poggiano i principi della Società Moderna.

La fede vera o simulata colla quale questo appello solenne viene fatto è ben calcolata per produrre un certo effetto sulle masse ignoranti o fanatiche dei paesi cattolici, ma non potrà mai destare la menoma impressione sui protestanti dell'Inghilterra.

Persino fra i Puseisti, di recente fama, i quali introdussero molti dei riti esterni della Liturgia Romana nelle funzioni della Chiesa anglicana, evento che i Cattolici proclamano come il primo sintomo di riavvicinamento alla Chiesa Apostolica, l'invito del Papa passerà inosservato. La stampa si pronunziò in questa circostanza con moderazione, ma egualmente senza ambagi. Dopo tre secoli di separazione la voce del Papa non è forte abbastanza per trovare un'eco in Inghilterra, ed a nessuno sfugge lo scopo che si cela sotto il suo caritatevole invito. Sé non avrà potere però sulle masse dei Protestanti, infonderà fervore in questo Clero Cattolico, e desso certamente figurerà, come già dissi, per la sua violenza nel futuro Concilio.

Alle esortazioni del Santo Padre, l'opinione pubblica di questo Paese rispose contraccambiandogli un consiglio, quello cioè d'adattarsi alle esigenze dei tempi e di ricordarsi che il secolo XIX non è fatto per essere influenzato da rappresentazioni da Medio Evo, come quella che sta preparandosi in Roma per l'anno venturo.

P. S. Questo Rapporto, rimesso a persona sicura, sarà impostato alla frontiera italiana.

576

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI

D. III. Firenze, 9 ottobre 1868.

Il Signor Lobo, Incaricato d'Affari di Sua Maestà Fedelissima, venne a chiedermi in nome del suo Governo quali siano le intenzioni del Governo del Re relativamente alla riunione del Concilio ecumenico convocato in Roma per il dicembre del prossimo anno.

Gli ho risposto che il Governo del Re non avea preso alcuna decisione al proposito. Però, liloggiunsi io, chiunque voglia farsi un concetto esatto dell'atteggiamento che l'Italia potrebbe prendere in questa questione, deve ritenere che da noi si lascia ogni libertà possibile ai Vescovi ed ai Prelati nelle cose dogmatiche riservando tuttavia pienamente i diritti dello Stato in tutto ciò che non tocca la potestà civile. Noi siamo interessati a mantenere questi diritti anche in vista della necessità d'impedire che la Chiesa usurpi una autorità che non le spetta a pregiudizio dello Stato e dobbiamo inoltre impedire tutto ciò che potrebbe recare una perturbazione interna nel paese.

Reputo opportuno che la S. V. conosca il tenore della risposta che ho fatto all'Incaricato d'Affari del Portogallo affinché Ella possa alla medesima conformare il proprio linguaggio.

577

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC

D. 30. Firenze, 9 ottobre 1868.

Ella vedrà dai dispacci che ho indirizzato a questa R. Legazione sino ualla metà di Agosto, come in vista delle difficoltà sorte in Trieste fra gli

abitanti della città e quelli del contado, il Governo del Re si decidesse a non più inviare legni da guerra in quel porto.

Questo provvedimento era già stato adottato e la R. Legazione ne avea già ricevuto avviso, quando il Signor Barone di Kiibeck venne ad esprimermi in nome del suo Governo il desiderio che pel momento ci astenessimo dal mandare a Trieste dei bastimenti da guerra potendo la loro presenza fornire pretesto a dimostrazioni. Avendo io fatto conoscere al Signor Barone di Kubeck che il porto di Trieste era già stato tolto dall'itinerario di alcune navi dello Stato che doveano esercitarsi nella navigazione del Mare Adriatico, il Signoi Barone di Beust mi ha fatto esprimere i sentimenti della sua più viva gratitudine per tale nostro procedere.

Questo nostro contegno fu, come Ella vede, giudicato come si dovea ed io sono lieto che nell'atteggiamento preso dal R. Governo in presenza degli ultimi disordini di Trieste, il Gabinetto di Vienna abbia trovato una prova atta a distruggere vari erronei apprezzamenti che non si è mancato di fare. Fu con vera soddisfazione ch'io intesi leggermi, pochi giorni or sono dall'Inviato Austriaco, un dispaccio del Gabinetto viennese, nel quale dispaccio si prende atto dell'ottimo accordo che passa fra l'Impero e l'Italia, mercé la linea di condotta politica da noi seguita.

Al momento in cui Ella riprende la reggenza di codesto R. Ufficio non Le può essere inutile ch'io Le abbia fatto conoscere quali furono i rapporti fra i due Governi. Questi rapporti da quasi due mesi mantenuti qui in Firenze nelle poche visite fattemi dall'Inviato Austriaco, furono cordialissimi, ma mancò in tutto questo intervallo di tempo al Governo del Re quel corrente continuo d'informazioni sul contegno dell'Austria di fll'onte alle principali questioni europee che tutt'ora si vanno agitando. Epperò il Governo del Re che volendo procedere con molta circospezione nelli affari internazionali abbisogna di conoscere costantemente lo stato vero delle varie questioni ha più volte sentito la mancanza delle informazioni che avrebbe dovuto ricevere da Vienna

578

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 741. Parigi, 9 ottobre 1868.

Il Marchese di Moustier mi pregò jeri di far pervenire a V. E. una proposta ch'egli intende di sottomettere al giudizio dei governi interessati, relativamente alla costituzione della Commissione finanziaria a Tunisi. La proposta del Marchese di Moustier sarebbe la seguente: s'istituirebbero a Tunisi due commissioni, una amministrativa, incaricata cioè della parte esecutiva dell'amministrazione delle finanze tunisine, l'altra che si potrebbe chiamare commissione o consiglio di controllo, la cui principale attribuzione sarebbe quella di controllare le operazioni della commissione esecutiva. La commissione esecutrice, nel concetto del Marchese di Moustier, dovrebbe esser composta di tre membri, due tunisini ed uno straniero. Quest'ultimo sarebbe un antico funzionario di finanze francese, che il Governo Imperiale metterebbe a disposizione del Bey, in guisa però che sarebbe d'or innanzi prosciolto da ogni vincolo d'impiego verso la Francia. Questo funzionario francese sarebbe Vice Presidente della Commissione esecutrice, la Presidenza essendo riservata ad un tunisino, ma difatti il Vice Presidente sarebbe realmente il moderatore di questa commissione. La seconda commissione o consiglio di controllo sarebbe composta d'un maggior numero di persone, per esempio dodici, secondo il pensiero del Marchese di Moustier. Si è in questo secondo corpo che gl'interessi stranieri dovrebbero essere equamente rappresentati. I Consoli delle Potenze rimarrebbero estranei alle due Commissioni, limitandosi alla necessaria sorveglianza.

Tale è la proposta che il Marchese di Moustier mi pregò di trasmettere all'E. V., e che pregò Lord Lyons di fare egualmente pervenire al Foreign Office. Il Marchese di Moustier nel farmi questa comunicazione verbale, soggiunse però che i particolari di questa proposta non erano però ancora ben concretati nel suo pensiero, e che l'attenzione dei Governi interessati era chiamata ad esaminare anzi tutto il principio su cui essa era fondata. Il Ministro Imperiale degli Affari Esteri mi disse poi che desiderava avere in proposito l'opinione ed i riflessi dell'E. V.

Nella stessa occasione il Marchese di Moustier si lagnò meco della mala fede del Governo Tunisino. Mi disse che aveva fatto dichiarare al Bey che la Francia non avrebbe riconosciuto nessuna operazione finanziaria fatta prima della costituzione della commissione, ed all'infuori di essa.

Mi disse inoltre che il Governo Tunisino il quale aveva fissato per guarentigia ai creditori francesi il reddito della raccolta degli ulivi, falsava ora il suo impegno, schivando di adempiere la promessa fatta; che perciò molto probabilmente il Governo Francese sarebbe forzato a prendere verso il Bey un'attitudine più risoluta e a procedere forse a qualche dimostrazione efficace.

Io risposi al Marchese di Moustier che avrei riferito queste cose al Governo del Re, il quale senza dubbio, avrebbe a suo tempo fatto conoscere il suo modo di vedere al Governo Imperiale.

579

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC

D. R. 32. Firenze, 10 ottobre 1868.

Verso la metà dello scorso mese andò in Bucarest il Signor Francesco Bideschini, già maggiore nelle truppe del Garibaldi e cognato del Menotti. La presenza di quel Signore e le voci che corsero in Bucarest ed in Costantinopoli sullo scopo del suo viaggio, eccitarono, come era da prevedersi, i sospetti del Governo Ottomano. La R. Agenzia e Consolato Generale residente a Bucarest ha informato questo Ministero che il Signor Bideschini era giunto in quella città munito di una lettera di raccomandazione della R. Legazione

in Vienna. L'impiegato che regge la R. Agenzia ha pertanto ottenuto in favore del Signor Bideschini un'udienza dal Principe Carlo e ciò naturalmente aggravò i sospetti che già si erano concepiti sul viaggio di questo Italiano. In tutto questo affare il R. Governo potrebbe trovarsi quasi a sua insaputa spiacevolmente implicato quando si venisse per esempio a dire che il Bideschini fu in qualche maniera introdotto presso il Principe Carlo sulla raccomandazione degli Agenti italiani. Ella comprende, Signor Cavaliere, che questa sarebbe per noi una cosa molto disaggradevole e, poiché il fatto dell'introduzione presso il Principe Carlo d'un attivo agente di Garibaldi per mezzo del R. Rappresentante a Bucarest non potrebbesi negare più, converrebbe per lo meno eventualmente potergli dare una spiegazione la quale forse potrà essere fornita da codesta R. Legazione.

Suppongo infatti che prima di dare una lettera di raccomandazione codesto R. Ufficio avrà avuto sicuro modo di sapere per qual motivo il Bideschini si recasse in Bucarest.

La prego pertanto, Signor Commendatore, a volermi dare in proposito quegli schiarimenti che mi sono necessari in caso dovessi venire interpellato da qualche estero rappresentante al riguardo.

580

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA. ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE DESTINATO A BUCAREST, FAVA

ISTRUZIONI. Firenze, 10 ottobre 1868.

La situazione generale dei Principati rumeni non è sostanzialmente mutata da quella che era nei primi mesi del 1867; nè le questioni speciali che erano allora in sospeso entrarono di poi in fasi nuove, e suscettive di diverso apprezzamento, onde è che la S. V. assumendo la direzione di codesta R. Agenzia, potrà consultare con frutto e con piena opportunità le istruzioni che a quella epoca furono impartite al predecessore di Lei il compianto Commendator susinno o).

Riferendomi pertanto a quel documento per quanto concerne le indicazioni e le direzioni che V. S. potesse bramare dal R. Governo, a norma della propria condotta, mi limiterò a porgerle alcun breve cenno intorno a due questioni che sono sopravvenute nei Principati in questi ultimi tempi, ed intorno alle quali è bene che V. S. conosca appiena il nostro pensiero.

La questione degli Israeliti rumeni è questione assai complessa poiché implica ad un tempo considerazioni economiche e principi di civiltà. Il R. Governo ebbe occasione di pronunziarsi a tale riguardo allorché i fatti di Bakan richiamarono su quell'argomento l'attenzione dell'Europa. Un nuovo incidente occorso in questi ultimi giorni a Galatz, potrebbe per avventura dar luogo ad un nuovo esame della questione. Epperciò stimo necessario suggel'lirLe fin d'ora, a tal

proposito, la massima riserva, senza sconoscere le massime di umanità e di giustizia che noi abbiamo costantemente professate, non possiamo però d'altro lato dissimularci che l'agitazione suscitata dalla questione di che si tratta potrebbe essere sfruttata per iscopi individuali da quella potenza che tra gli ebrei di Rumania conta il maggior numero di sudditi e di protetti. Prudenza somma nel discernere il vero dalle esagerazioni, opera assidua presso il Governo principesco, affinché prevenga il rinnovarsi dei fatti che s'ebbero a deplorare, massima ponderazione nei passi collettivi che si volessero fare dagli agenti stranieri presso l'autorità rumena, tali debbono essere le norme cui V. S. vorrà attenersi nella trattazione eventuale di tale questione.

La stessa prudenza e la stessa riserva dovranno essere scrupolosamente osservate per rispetto ai fatti di Bulgaria. Dalle ricerche finora istituite è difficile l'indurre fino a qual punto il Governo rumeno si abbia a tenere responsabile della violazione del territorio ottomano. Ad ogni modo però, V. S. dovrà sempre a rilento andare nello impegnarsi in atti ed in offici avente un carattere ostile od odioso pel Governo Principesco. E ciò, sia perché è naturale che taluna potenza, e soprattutto la Turchia, vogliano aggravarne le complicità, sia perché non vedremmo qual vantaggio potrebbe ridondarci da una contestazione che riuscirebbe molto probabilmente ad un conflitto. Quello che

V. S. dovrà principalmente prefiggersi, si è di ottenere in forma amichevole e senza apparenza di pressione, che il Governo Principesco avverta di non compromettere sè e la tranquillità generale con atti inconsiderati e con un contegno suscettivo di fornir materia a sospetti e ad accuse.

Mi lusingo che queste brevi avvertenze varranno a completare le sopraccennate istruzioni generali che V. S. troverà presso l'archivio della R. Agenzia, e mi affido nello zelo e nella sagacia di Lei per la fedele ed oculata interpretazione delle intenzioni del R. Governo.

(l) Cfr. serle I, vol. VIII, n. 206.

581

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL CONSOLE A SCUTARI, PERROD

D. 10. Firenze, 10 ottobre 1868.

I rapporti di questa Serie mi giunsero regolarmente sino al N. 45 incluso.

Il Governo del Re ha veduto con molta soddisfazione che l'arrivo di un suo legno da guerra ad Antivari ha potuto efficacemente contribuire a tranquillizzare gli animi delle popolazioni cristiane che forse si esageravano i pericoli ai quali si credevano esposte. Nè meno soddisfatto fu il Governo del Re quando sentì che il nuovo Governatore si occupava di ripristinare l'ordine nei varii distretti dell'Albania non !schivando i mezzi di rigore anche verso

i Musulmani altolocati che coi loro atti provocavano alla lotta le indomite popolazioni della Mirdizia.

La ringrazio delle informazioni che Ella mi ha costantemente inviate sulle questioni che tengono in agitazione le popolazioni cristiane dell'Albania. A questo proposito mi riuscì di sommo interesse quanto Ella mi scrisse sulle pratiche fatte presso di Lei dalla deputazione dei Mirditi venuti in Iscutari. Sebbene io tenga conto dei riguardi ch'Ella ha stimato dover usare verso il di Lei collega di Francia, tuttavia avrei desiderato ch'Ella si fosse astenuto dal consigliare a quei deputati di rivolgersi al Consolato francese. Presso quella gente incolta non si misurano troppo esattamente l'importanza ed il carattere di tali personali riguardi e può nascere invece facilissimamente l'idea che la nostra azione sia in qualche modo subordinata a quella di un'altra nazione con grave discapito della considerazione che dobbiamo acquistarci. Le ragioni dei cattolici, quando siano fondate, com'Ella mi scrisse, nel buon diritto, possono essere da noi propugnate presso la Sublime Porta e le sue autorità a pari diritto di quello che vantano le altre Potenze; epperò siccome quelle non possono ecc,edere le vie ufficiali nella prote!llione delle popolazioni cattoliche suddite della Turchia, così anche noi, entro questi limiti, possiamo esercitare la nostra azione

582

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CIFRATO S. N. Parigi, 10 ottobre 1868.

De ce que j'a pu [savoirJ ici il résulte que Gouvernement français ne met en avant aucun autre candidat et se borne à faire comprendre à Madrid qu'il ne pourrait avoir indifférence établissement d'une république en Espagne. Il ne verrait pas avec plaisir choix d'un prince de la maison de Savoie mais ne ferait [rienJ pour l'empecher; si par hasard choix tombe sur prince Napoléon ne lui permettra accepter qu'à condition de renoncer au droit éventuel à la couronne impériale. Vu l'état actuel des choses je suis d'avis que nous devrions nous abstenir soigneusement de montrer le moindre empressement possible; journaux espagnols sont très susceptibles.

J'ai vu chevalier Nigra. J'ai pu constater que l'influence impératrice est toutà-fait... (l) toutes les dépeches passent par ses mains elle se mele de toutes.

Ministre affaires étrangères s'est montré très aimable envers moi mais malgré tout le soin qu'il mettait à etre poli il a du s'apercevoir que son ton inquisitoire sur l'état esprits en Italie et nos affaires ne pouvait que me déplaire, aussi j'ai pris occasion pour tourner un peu en ridicule les rapports de consuls français.

J'aurais pu du reste par représaille intervertir ròle et m'enquerir de l'état des esprits en France qui n'est nullement rassurant; impossible que Gouver

nement impérial reste longtemps tel qu'il est surtout après les événements d'Espagne. France finira tòt ou tard par avoir assez de rester seule unique appui de pouvoir temporel, il faudra donc s'attendre à une grande réaction et il faut espérer empereur aura sagesse et courage d'en prévenir l'explosion en prenant les devants et modifiant bases de sa politique intérieure. Si nous savons attendre notre patience sera [recompensée].

Vimercati m'a fait lire lettre qu'il a adressée au Roi (l) j'ai lieu de croire que propositions qu'elle contdent approuvées par Rouher sont ballon d'essai pour nous tàter et s'assurer que vous n'avez pas engagement avec Prusse. J'ai dit comme simple opinion individuelle qu'un traité neutralité basé seulement sur évacuation troupes françaises ferait mauvais effet en Italie puisqu'on regarde occupation illégale. Il faudrait aUer au delà et nous offrir autre chose en échange ce qui me parait difficile en ce moment.

Je ne suis resté que deux jours à Bade et pour éviter cancans je n'ai pas demandé voir Roi de Prusse qui du reste n'avait pas encore commencé réception corps diplomatique. Ministre du Roi attendait depuis cinq jours son audience. On m'a dit Roi garde toujours un peu de mauvaise humeur de ce que princes sont passés si près sans le voir.

(l) Gruppo !ndec!frato.

583

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1328. Parigi, 11 ottobre 1868, ore 14,04 (per. ore 15,45).

Je vous prie de hàter le travail sur les cardinaux et de me l'envoyer par le retour de Vimercati qui est parti hier pour l'Italie et qui reviendra ùans 15 jours. M. Olozaga part ce soir pour Madrid. Je pars ce soir pour Stuttgard.

584

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 275. Berlino, 11 ottobre 1868 (per. il 16).

Dans l'article de la Correspondance Provinciale, dont j'ai transmis une traduction par mon rapport n. 274 (2), il était énoncé que le Gouvernement Prussien devait faire valoir auprès des Cabinets étrangers ses vues sur les affaires d'Espagne, vues favorables aux libres résolutions de peuple Espagnol.

J'ai demandé au Sous-Secrétaire d'Etat si des communlcations avaient été faites en effet dans ce sens. Il m'a dit que des dépeches, conformes en substance à l'article précité, avaient été transmises à Paris et à Londres et que ces Cabinets, les plus directement intéressés dans cette question, avaient exprimé une manière de volr analogue. Le Gouvernement Anglais a été le plus explicite.

Les instructions tracées au Chargé d'Affaires de Prusse à Madrid sont bien celles que j'ai indiquées dans mon rapport susmentionné. Il doit en outre se régler, en général, sur l'attitude. de ses collègues.

Aucune détermination n'a encore été prise relativement à l'envoi d'un bàtiment de guerre pour la protection des sujets et des propriétés de la Confédération du Nord. L'industrie de ce pays, et particulièrement de la Silésie, de la Thuringe et des provinces Rhénanes, trouve en Espagne un débouché important, et entre autres, dans les ports de Barcelone et de Malaga il existe un grand nombre de maisons de commerce allemandes. Comme il y a aussi des dépòts considérables de marchandises de la mème origine dans l'Ile de Cuba, et comme il serait assez malaisé de prévoir dès aujourd'hui quelle influence y exercera la révolution dans la mère-patrie, on désirerait vivement aussi que la Marine Royale fiìt représentée à la Havane par une corvette. A cet effet des requètes ont été remises au Comte de Bismarck par plusieurs fabricants de la Thuringe et de la Saxe.

(l) -Cfr. n. 550. (2) -Cfr. n. 574.
585

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1330, Pietroburgo, 12 ottobre 1868, ore 12,20 (per. ore 18,30).

Prince Gortchakow me charge de dire à V. E. que la commission militaire est toujours fixée pour le 13 ottobre, calendair russe, et que les grandes Puissances ont manifesté leur intention d'y envoyer un commissaire.

586

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. 738. Firenze, 12 ottobre 1868, ore 13.

Je vous préviens que la frégate à hélice «Carlo Alberto» commandant Figari .et la corvette à hélice «Saint Giovanni » commandant Mantese partent pour Carthagène où vous leur enverrez vos instructions pour destlnation ultérieure sur les còtes d'Espagne afin de protéger nos nationaux.

587 IL MINISTRO A CARLSRUHE, ARTOM,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 48. Carlsruhe, 12 ottobre 1868 (per. il 16). Una persona che pretende d'essere bene informata, mi assicurò, alcuni giorni sono, essere stato firmato a Baden un trattato segreto fra la Russia e la Prussia per regolare l'azione comune in caso di guerra mossa dalla Francia. Prima di riferire all' E.V. questa notizia, cercai di indagarne l'origine e di accertarne per quanto fosse possibile la credibilità. Debbo confessare però che nulla mi è riuscito di scoprire a questo riguardo, ed anche ora non mi risolvo a scrivere in proposito a V. E. se non perché mi pare di soddisfare meglio alla mia coscienza mettendo il Governo del Re in avvertenza anche di una semplice voce che corre, che non serbando affatto il silenzio sopra un fatto, che non è punto probabile a mio avviso, ma è pur sempre possibile. I rapporti fra i Sovrani di Russia e di Prussia sono così intimi, che la necessità di un documento costatante la loro alleanza non esiste punto. Se, come pare indubitabile, la Prussia desidera pur sempre d'evitare la guerra, essa dovrebbe astenersi dal conchiudere stipulazioni, la cui esistenza, se fosse conosciuta, basterebbe a costituire agli occhi della Francia una provocazione, ed a rendere certa la guerra. Inoltre, finché non esiste una vertenza internazionale che possa dar pretesto alle ostilità, non mi pare verosimile che le due potenze del Nord assumano reciprocamente dei vincoli sopra delle semplici congetture. Dall'altro canto mi si fece osservare che il Principe Gortchakoff, il quale, quando fu a Baden nel mese d'Agosto, non era accompagnato da alcun segretario, aveva con sé, quando ritornò qua dalla Svizzera, il Signor Hamburger, Capo del suo Gabinetto. Lascio a V. E. di giudicare se questo sia un indizio sufficiente per desumerne un fatto così grave, quanto la firma d'un trattato segreto. Si ripete pure ostinatamente un'altra notizia che non mi pare punto verosimile: quella cioè d'una Convenzione Militare conchiusa fra il Granducato di Baden e la Prussia. In forza di questa nuova stipulazione il Granducato si troverebbe, per quanto concerne le cose militari, nella stessa situazione che il Granduca d'Assia Darmstadt dovette subire in faccia alla Prussia. Non fa d'uopo dire che il Ministro degli Esteri smentisce apertamente anche codesta voce. Ma i sottili politici che propagano questa ed altre simili notizie pretendono che per celare l'esistenza di queste stipulazioni il Granduca e la Granduchessa rimangono a Menau sul lago di Costanza, ed affettano di non venire a Baden, ove dimorano ora il Re e la Regina di Prussia. Il lungo congedo preso dal Principe Guglielmo, che fu finora Capo dell'esercito badese, sarebbe da attribuirsi, non alla malferma salute della Principessa, ma allo scontento prodotto nel Principe dalla Convenzione militare suddetta. Sta in fatto però che il Governo Badese si è mostrato disposto a firmare la Convenzione militare per le fortezze, e che le difficoltà, le quali minacciarono di mandare a vuoto i negoziati, furono messe innanzi dal Wurtemberg.

Il Ministro di Baviera mi disse ieri a questo proposito che il Principe d'Hohenlohe ch'egli aveva veduto pochi giorni prima a Monaco, pareva assai sconfor

tato per l'inattesa resistenza del Wurt.:_mberg ad un progetto, che sta molto a cuore al Presidente del Consiglio di Baviera, e da cui dipende forse la continuazione del suo Ministero. Altri miei colleghi però m'assicurano che si riescirà a superare queste difficoltà.

588

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1332. Madrid, 13 ottobre 1868, ore 11,30 (per. ore 15,20).

Ministre des affaires étrangères vient de m'adresser une note pour me notifier constitution Gouvernement provisoire dont il fait part et que Gouvernement définitif sera décà.dé par les Cortes. Je me bornerai à accuser réception. J'ai reçu votre dépèche télègraphique d'hier (1). Dans ce moment toute l'Espagne est tranquille. Le candidat favori aujourd'hui est le Roi Ferdinand de Portugal sans signification d'union ibérique éventuelle. Courrier de Cabinet part aujourd'hui.

589

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, QUIGINI PULIGA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1333. Parigi, 13 ottobre 1868, ore 15 (per. ore 16,55).

Olozaga est parti samedi soir pour Madrid. Il espère ètre nommé d'abord président des Cortes, et ensuite ambassadeur à Paris. Avant de partir, il a été reçu d'une manière fort aimable par Rouher, et on aurait convenu d'échanger plus tard une note pour la reconnaissance de nouveau Gouvernement. On annonce l'arrivée à Paris de lord Clarendon qui serait officieusement chargé par Stanley de parler à l'Empereur de la reconnalssance de la part de l'Angleterre. Ces deux nouvelles m'ont été données d'une manière très confidentielle.

590

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1334. Madrid, 13 ottobre 1868, ore 19,50 (per. ore 22).

Dans une conversation que je viens d'avoir avec le ministre des affaires étrangères il m'a semblé comprendre qu'il s'attend à ce que le Gouvernement provisoire so i t reconnu incessamment par le Gouvernement du Roi (2).

591

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI. MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. 740. Firenze, 14 ottobre 1868, ore 13,15.

Veuillez féliciter particulièrement le général Serrano pour la costitu1.ion du Gouvernement provisoire et pour l'ordre qui se maintient en Espagne

Remerciez-le des sentiments d'amitié qu'il professe envers l'Italie qui, à son tour, fait des voeux pour la prospérité de son pays. J'espère que l'établissement d'un Gouvernement régulier nous permettra de reprendre bientòt officiellement avec l'Espagne nos rapports que je considère d'ailleurs comme non interrompus, du moins officieusement (l).

(l) -Cfr. n. 586. (2) -Per la risposta cfr. n. 591.
592

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 4 7. Vienna, 14 ottobre 1868 (per. il 17).

Nelle ulUme sue conversazioni coi varii Capi di missione qui accreditati, il Barone di Beust si espresse circa i casi di Spagna nel senso che l'Austria, completamente disinteressata al riguardo, non solo aspetta con assoluta riserva l'esito del movimento, ma quasi non se ne preoccupa se non in quanto la rivoluzione spagnuola può influire sul contegno di altre Potenze. Così i rapporti del Signor Lagos, da poco tempo Incaricato d'Affari a Madrid, rapporti piuttosto rari d'altronde e poco importanti finora, ottengono assai mino11e attenzione per parte di questa Cancelleria che non le notizie relative tanto all'influenza che l'Imperatore Napoleone cerca di esercitare sull'andamento della rivoluzione spagnuola, quanto alle modificazioni che la rivoluzione stessa può arrecare all'indirizzo della politica francese. Il Barone di Beust non si astenne tuttavia, su alcuni colloqui confidenziali, di esprimere teoricamente una opinione personale circa la miglior soluzione alle difficoltà spagnuole. Egli trova grandiosa, e più naturale in sé delle altre, l'idea dell'Unione Iberica, unione cioè almeno puramente personale delle due Corone di Spagna e di Portogallo per la casa di Braganza. «È vero, dice egli, che se molti in Spagna parteggiano per una tale unione, i Portoghesi invece e lo stesso Re Luigi vi sono avversi, ma si potrebbe forse raggiungere un tal :r:isultato con una transizione, se per ora il Re Ferdinando, padre del Re di Portogallo, fosse disposto ad accettare la corona di Spagna ». L'idea dell'unione iberica prevarrebbe a Firenze, a quanto crede il Barone di Beust. Ad ogni modo, aggiungeva egli, «si je n'en suis pas le père, je pourrais e n ètre le parrain ».

Siccome qualche diplomatico gli domandava se egli non fosse di parere che la rivoluzione spagnuola sia, almeno per le preoccupazioni che essa può ispirare alla politica francese, una diversione piuttosto rassicurante ed una guarentigia per la conservazione della pace, il Barone di Beust non si associò ad un tale appr,ezzamento della situazione. Può darsi, secondo lui, che la Francia ravvisi nel rivolgimento Spagnuolo un avviamento a futuri concerti con l'Italia e la Prussia, concerti pacifici secondo ogni probabilità, ma che arrecassero non poco incaglio al libero sviluppo della politica francese; e che essa cerchi di troncare

«Je viens de faire au due de la Torre communication dont V.E. m'a chargé par sa dépl!che d'h!er. S.E. remerc!e V.E. et aura beaucoup de pla!s!r à la commun!qu&r à ses collègues ».

nella radice una simile possibilità. Il movimento Spagnuolo potrà d'altronde, se lo spirito radicale prenderà H sopravvento, accrescere colla propaganda dell'esempio e delle eccitazioni rivoluzionarie le forze di quei partiti nemici dell'Impero il cui rialzarsi, da due anni in qua, contribuì non poco ad accreditare l'idea che il Governo Imperiale potesse essere spinto sul Reno, come lo fu a Mentana dalla propria situazione interna.

Riferendo all'E. V. questi apprezzamenti del Barone di Beust, debbo aggiungere che i diplomatici qui residenti sono ormai talmente assuefatti ad udire il Barone di Beust esprimere allo stesso tempo un vivissimo desiderio ed una pochissima fede nella pace, che essi non si commuovono più delle frasi che gli sfuggono di continuo sulla possibilità di subite e gravi risoluzioni dell'Imperatore Napoleone.

A torto o a ragione prevale qui nella diplomazia l'opinione che l'Imperatore, il quale non fece mai una guerra grande e a fondo nel periodo della sua maggior forza f.isica e morale, non comincierebbe ora una lotta colla nazione tedesca; e che gli armamenti suoi saranno l'unica consolazione da lui concessa al chauvinisme francese.

Nessuno qui, ed il Barone di Beust meno di chiunque, crede che gli Spagnuoli provochino l'inimicizia francese chiamando al trono il Duca di Montpensi:er. «Sanno benissimo, disse in propri termini il Barone di Beust, che l'Imperatore avrebbe ogni mezzo e potere di gettar loro fra le gambe un Don Carlos qualunque colla guerra civile. La repubblica, aggiunge egli, sarebbe esposta allo stesso pericolo, perché il contraccolpo in Francia ne sarebbe altrettanto pericoloso per l'Imperatore».

In quanto alla candidatura di S.A.R. il Principe Amedeo, non si crede qui che il Principe sia punto disposto ad accettarla.

Non ho sentito menzionare da alcuno l'idea, sorta, se non erro nel 1866 quando si trattava confidenzialmente di combinazioni territoriali tra la Francia e la Prussia, di uno spostamento della famiglia Reale del Belgio da Brusselles a Madrid.

Questo è, Eccellenza, il riassunto delle conversazioni avute finora dal Barone di Beust coi diplomatici qui presenti. Ora ho da aggiungervi quanto mi ha detto stamane il Barone di Werther, il quale, assente finora da Vienna, e ripartendo stasera per Berlino, vide ieri il Barone di Beust e gli parlò lungamente degli affari di Spagna.

Il Barone di Beust disse sorridendo al Barone di Werther che l'Imperatore Napoleone non sarà forse stato malcontento in fine dei conti, dato che l'imprevista rivoluzione Spagnuola dovesse scoppiare, che essa almeno abbia in tempo

•mtivenuto gli accordi che altrimenti avrebbero potuto fra breve intervenire fra lui e la regina Isabella riguardo agli affari romani e clericali. « Questo, mi disse Il Barone di Werther, è giusto, e fu spiritosamente espresso; mi parve giusto altresì il concetto espressomi dal Barone di Beust, che se l'Imperatore, per le condizioni interne della Francia, è tuttora costretto, dal bisogno che egli ha del clero, a fare della politica romana, egli deve desiderare, e possibilmente aiutare la chiamata al trono di un Borbone, il che val dire del Principe delle Asturie, se una tal candidatura è ancora ammissibile; che invece, se l'Imperatore crede miglior consiglio ravvicinarsi all'Italia, egli potrà trovare nella nuova condi

45 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

zione delle cose Spagnuole ogni mezzo di mutar decentemente contegno nella questione Romana. Questo, soggiunse il Barone di Beust al Barone di Werther, non è il lato meno interessante degli affari di Spagna~

Il Barone di Beust disse ancora al Barone di Werther che il Governo provvisorio di Madrid notificò la propria esistenza al Barone Lagos, il quale rispose che ne avvebbe riferito al proprio Governo. Intanto la Legazione Austriaca a Madrid è naturalmente autorizzata a mantenere rapporti ufficiosi coll'Amministrazione di fatto, per quanto concerne la tutela degli interessi Austriaci.

Nell'accusarLe ricevuta dei riveriti dispacci Politici, n. 29, 30, 31 e 32 (l) e nel ringraziarLa per i documenti annessi al primo di quei dispacci...

(l) Con t. 1339 del 15 ottobre Corti comunicò:

593

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE A TUNISI, MACHIAVELLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 62. Tunisi, 14 ottobre 1868 (per. il 18).

Domenica 11 corrente, il Console Generale di Francia, chiesta ed ottenuta un'udienza dal Bey, dopo avergli manifestato il dispia-cere che provava nel dover esser organo d'una comunicazione sgradevole, gli dava lettura d'un lungo dispaccio che diceva essergli stato diretto dal Marchese di Moustier, nel quale erano annoverati i varii motivi di lagnanza che la Francia pretende avere verso il Governo tunisino.

Di questi taluni riflettevano affari di poco momento, come domande d'indennità di Francesi ed Algerini per danni sofferti per opera d'indigeni e simili: ma si entrava in ultimo a parlare della grave questione del riordinamento delle Finanze tunisine, domandandosi:

lo Il cumulo delle guarentigie onde godono le conversioni con quelle allocate ai prestiti di Parigi, per essere quest'ultime insufficienti allo scopo, in guisa da formare un'unica guarantigia che rifletta tanto i prestiti che le conversioni.

zo L'accettazione d'un funzionario francese esperto in materia di Finanze alla direzione di quelle di Tunisi.

3° L'esecuzione della convenzione stipulata a Parigi tra la Société Générale ed il Generale Si Rustam, pretendendosi che il Bey sia vincolato irrevocabilmente dalla stessa per avere Si Rustam trattato in virtù di pieni poteri conferitigli da Sua Altezza.

Il Bey rispose che le guarantigie per i differenti crediti verso il suo Governo nascevano da speciali convenzioni ch'egli non si credeva in diritto di modificare in maniera da favorire gli uni a detrimento degli altri; che se quelle destinate a coprire gli imprestiti di Parigi apparivano insufficienti, ciò doveva attribuirsi sopratutto alle miserande condizioni del paese in seguito della

carestia, dall'epizoozia e di ripetute epidemie, che hanno esausti o scemati moltl cespiti d'entrata e che il suo Governo procurerebbe d'altra parte d'aumentare per quanto fosse possibile, tali rendite.

Aggiungeva inoltre che i piccoli acconti sugli interessi dati in questi ultimi tempi dimostravano la sua buona volontà verso i creditori di Parigi ai quali verrebbe presto pagato inoltre un millione, prodotto del canun (imposta sugli oliveti della costa).

Che non si credeva autorizzato a chiamare un funzionario francese alla direzione delle sue finanze stante l'impegno assunto, a richiesta dello stesso Marchese di Moustler allorché trattavasi della commissione finanziaria da istituirsi in Tunisi, di accettare quanto venisse stabilito d'accordo fra le 3 Potenze specialmente interessate; per cui nulla poteva conchiudere con una di esse isolatamente, mentre era invece sempre pronto ad accogliere le decisioni che le medesime prendessero in comune.

Che il Generale Si Rustam era stato, è vero, tncaricato di trattare a Parigi per un'operazione finanziaria, ma non di prendere accordi definitivi, ciò che sarebbe stato contrario agli usi vigenti in questo paese, e che d'altra parte nella convenzione colla Société générale la propria ratifica era stata espressamente riservata, ch'egli poi l'aveva rifiutata, non avendo trovata vantaggiosa la convenzione, che in parecchi punti riusciva lesiva dalla sua stessa sovranità.

Finiva il Bey dicendo che, laddove sperava trovare nella Francia un sentimento di commiserazione pelle tristissime condizioni in cui versa la Tunisia, vedeva con dispiacere quella Potenza intenta invece a schiacciarlo.

Al primo sentore di questo grave avvenimento, mi recai presso il Signor Wood alla sua villa della Marsa, affine di raccogliere più ampie informazioni e prendere, occorrendo, concerti con lui, ed egli mi disse che stava appunto in desiderio grandissimo di vedermi per raccontarmi, come fece, per filo e per segno una conversazione confidenzialissima che aveva avuta col Bey, nella quale Sua Altezza Serenissima gli fece la narrativa dell'accaduto nel modo che ho superiormente riferito a V. E.

Il Signor Wood mi soggiunse che avea proposto al Bey di dare a lui ed a me comunicazione ufficiale dell'accaduto, chiedendoci se avessimo ricevute istruzioni dai nostri Governi per metterei così in grado di riferirne all'E. V. ed a Lord Stanley per quei passi che credessero dover dare in comune a Parigi; ma che fino a quel momento, ieri a mszzodi, non conosceva ancora se la di lui proposta fosse stata accolta.

Mi pregò quindi di non far motto né col Bey, né col primo Ministro dell'accaduto, sul quale gli era stato raccomandato il più profondo silenzio ed aggiunse che per il momento egli non intendeva neppure riferirne a Londra, volendo prima vedere se questo Governo si proponesse dare alla comunicazione un carattere ufficiale, o conservarle quello confidenziale.

Mi assicurò poi che come per il passato, così per l'avvenire continuerebbe a procedere d'accordo con questa R. Agenzia in una questione nella quale esiste la più completa identità d'interessi fra l'Italia e l'Inghilterra.

Avendo chiesta un'udienza al Bey fin da sabato scorso, son certo che mi verrà accordata entro questa settimana; ad ogni modo poi vedrò il primo Ministro e non dubito, sopratutto ove il console di Francia insistesse nelle sue pretese, di ricevere comunicazione dell'accaduto; eserciterò poi la più attenta vigilanza per essere informato d'ogni cosa e riferirne protamente all'E. V. anche per telegrafo.

(l) Cfr. nn. 577 e 579; gli altri dispacci non sono pubblicati.

594

IL SEGRETARIO GENERALE .&GLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. Londra, 15 ottobre 1868, ore 2,40 (per. ore 6,10).

J'ai eu hier une longue conversation avec Stanley qui m'a reçu très cordialement. Je lui ai expliqué à fond notre politique vis-à-vis de Rome et il s'en est montré satisfait. Quant à Espagne il m'a dit que l'Angleterre désirait comme nous établissement d'un Gouvernement libéral et honnéte qu'elle n'avait pas de préférence entre les divers candidats au tròne et ne donnerait pas méme des conseils mais il déclara positivement qu'on ne perme.ttrait pas au prince Alfred d'accepter parce qu'on est convaincu qu'un prince protestant ne conviendrait pas à l'Espagne. Quant à Tunis il m'a dit qu'il faudrait ne pas trop chicaner avec la France et ne pas repousser in limine son projet mais l'examiner sérieusement. Il m'a beaucoup parlé de nos finances et il m'a dit que si on arrangeait l'affaire du canal Cavour une opération sur les biens ecclésiastiques pourrait se faire en Angleterre. Je penserais partir après demain à moins d'ordres contraires.

595

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, A LONDRA

T. Firenze, 15 ottobre 1868, ore 5,45.

Je vous remercie de Votre lettre (1). Vous pouvez resterà Londres jusqu'au 19.

Tachez de connaitre les intentions du Cabinet anglais au sujet de l'Espagne. Quelle sera son attitude relativement au Gouvernement provisoire? Recueillez vos impressions de voyage et rapportez les.

596

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. Madrid, 15 ottobre 1868, ore 10,35 (per. ore 13).

Hier une personne de ma confiance a pu parler avec Prim de la candidature du due d'Aoste. n a fait un accueil froci.d en alléguant sa qualité d'étranger, il ne doute point de son acceptation si la couronne lui était offerte. Retenez qu'on est ici sur une pente irrésistible vers la république s'il n'y a pas un coup d'état.

(l) Cfr. n. 582.

597

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA

T. 742. Firenze, 15 ottobre 1868, ore 17.

Vous pouvez annoncer au Gouvernement impérial que l'Italie sera représentée à la prochaine conférence militaire par le lieutenant colonel chevalier Biandrà.

598

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 40. Monaco, 15 ottobre 1868.

Ho l'onore d'informare l'E. V. che la Commissione dei delegati degli Stati della Germania del Sud ha terminato il suo lavoro, ed i membri che la compongono partirono di qui or sono alcuni giorni onde rendere conto ai rispettivi Governi del loro operato.

Un segreto assoluto ha presieduto queste conferenze di maniera che dovetti astenermi di riferirne all'E. V. il risultato, onde non correre il rischio di darle notizie inesatte. Oggi essendomi recato a visitare il Principe di Hohenlohe colsi quest'occasione per domandargliene e Sua Altezza mi disse che a seconda degli accordi presi cogli altri membri della commissione dovea diffatti astenersi dell'entrare per ora in minuti particolari; che però era stato firmato un protocollo ed un trattato; che col primo si erano stabilite le basi del mandato che avrà la Commissione militare incaricata di amministrare il materiale che si trova tuttora nelle fortezze di Landau, Ulm e Radstadt, materiale che dovranno mantenere t.ra di esse indiviso; a questo titolo la Prussia verrà pure rappresentata nella Commissione da un Delegato speciale; il trattato invece pone le basi del mandato che avrà la Commissione militare permanente incaricata di stabilire un sistema difensivo comune tra gli Stati della Germania meridionale, e questa Commissione dovrà mantenere dei rapporti colla Confederazione del Nord sia direttamente sia per mezzo di comunicazioni diplomatiche. Dal tutto insieme ritengo che questo trattato rivesta il carattere di un'alleanza difensiva tra la Germania del Sud e la Confederazione del Nord. Diffatti intesi dire che la Francia non sia molto soddisfatta di quest'accordo e che avesse l'intenzione di manifestare ai Gabinetti di Monaco, di Stuttgard e di Carlsruhe le apprensioni ch'esso le inspira; il Marchese di Cadore non ha però fino ad oggi fatta alcuna comunicazione in proposito al Principe di Hohenlohe.

Le ratifiche del protocollo verranno scambiate entro quattro settimane e per quelle del Trattato venne stabilito un termine più lungo, credo di otto settimane.

Si aggiunge che l'Imperatrice di Russia giungerà il 9 novembre a Monaco. So che H Re di Baviera le fece conoscere con molta insistenza che bramerebbe l'accompagnasse la Gran Duchessa Alessandra. Ignoro però se l'Augusta Sua Genitrice acconsentirà al desiderio del Re Luigi II.

599

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, ROUHER (l)

L. P. Varallo, 15 ottobre 1868.

Je viens de notre Auvergne à nous me rappeler à votre bon souvenir et vous dire que j'ai vu le Roi à Turin.

Ma conversation avec lui a été longue, je l'ai trouvé irrité contre les rapports que les Représentants français envoient sur l'Italie qu'il dit exagerés dans le mauvais sens à dessin. Toutefois, il ne disconnait pas les menées révolutionnaires et sent le préstige gouvernemental bien amoindri après Lissa, Custoza et les déplorables affaires de Rome qu'il met sur le compte de Rattazzi, en l'accusant de lui avoir caché la vérité. Il se plaint de la froideur de l'Empereur à son égard, tandis que lui le Roi est toujours sensible à ce que S. M. Impériale fait en faveur de l'Italie, dernièrement encore m'a t-il dit pour l'affaire de la cote, il Lui a télégraphié en le remerciant, et son télégramme est resté sans réponse.

Ayant ses sympathies pour la France il se defend hautement de tout pen

chant prussien.

Au sujet de la lettre que je lui ai écrit (2), il va au délà de ce que j'avais

indiqué, il voudrait que la France et l'Italie s'engagent, non seulement à ne

jamais prendre les armes l'une contre l'autre, mais il désirerait un traité d'al

liance offensive et défensive.

Sa Majesté a été tellement explicite sur ce sujet, que j'ai cru devoir le

calmer en lui disant qu'un tel acte serait impossible pour le moment, car s'il

y avait quelques probabilités de guerre, elles étaient encore trop éloignées pour

entamer de semblables pourparlers.

Le Roi alors ajouta que la possibilité de voir l'Italie tourner les armes contre

la France ne pouvant entrer dans sa pensée, il croyait inutile de mettre sur le

papier ce qui doit ètre gravé dans le coeur des deux Souverains et des deux

pays. Pourtant il aurait causé avec Menabrea et après une entrevue à laquelle

je serai appelé à assister, il donnerait une réponse categorique à ma lettre qui

pourra servir de point de départ à une politique dont l'avenir et les événements

traceraient la marche progressive.

Somme tout, je puis vous assurer, cher Ami, que j'étais très satisfait de ma

conversation et vous pouvez communiquer à l'Empereur les impressions que je

vous transmets, car vous savez que vous pouvez compter sur la sincérité des

appréciations que je vous envoie.

J'ai causé des affaires d'Espagne, sur les quelles j'avais de Paris recom

mandé au Roi la plus grande réserve, dans l'intérèt mème de ses vues, sans lui

indiquer lesquelles.

{l) Da ACR {2) Cfr. n. 550.

Je sais qu'il a envoyé des instructions dans le sens de mon télégramme, et il m'a dit que le voyage du générale Cialdini qui avait été un moment sur le tapis, n'avait pas lieu.

Nous en étions jusqu'à ce point de notre conversation, quand un officier d'ordonnance est venu lui annoncer l'arrivée à Turin pour le soir méme 12 courant du Prince Napoléon.

Il en a été très contrarié, m·a demandé si je savais ce qu'il venait faire, je lui ai répondu que j'ignorais ce voyage et que je croyais que le Prince n'était pas parti de Paris.

Sa Majesté m'a dit en la quittant qu'il m'appelerait à Turin aussitòt que le Président du Conseil y serait arrivé, j'attends trois jours ici, après j'irai à Florence car Menabrea m'y attend.

Je ne serais pas surpris que le voyage du Prince Napoléon se rattache aux affaires d'Espagne, Son Altesse étant en rélation avec Prince. Si j'étais resté à Turin quelques heures de plus, l'aurais su à quoi m',en tenir, mais j'étais impatient de rejoindre ici mes affections.

Du reste le Roi n'a pas des grandes sympathies pour le Prince Napoléon et si on lui avait conseillé quelque imprudence, vous pourriez l'arrèter de Paris par une dépèche directe de l'Empereur, ces dépéches font toujours un grand effet sur l'esprit de Sa Majesté.

Voila à quoi j'en suis, j'envoie ma lettre à M. Jenty pour qu'elle vous arrive plus sùrement et à l'abri de toute indiscrétion.

601

lL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1340. Madrid, 16 ottobre 1868, ore 9,50 (per. ore 17,50).

Depuis deux jours on s'olcupe davantage de la candidature du due d'Aoste mais il mc revient de très bon.ne source que les chefs du Gouvernement ont convenu de garder le silence sur le candidat, afin de voir si l'occasion se présente de revenir au due de Montpensier, avec qui le due de la Torre aurait pris des engagements. Au reste la situation actuelle des choses est difficile et le due de la Torre m'a paru plutòt découragé.

601. IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, E A PIETROBURGO, CARACCIOLO

DI BELLA, E AGLI INCARICATI D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, E A VIENNA, BLANC

T. 743. Firenze, 16 ottobre 1868, ore 17,30.

On m'a parlé très confidentiellement d'un congrès. Tàchez de savoir s'il en est question à Londres (Vienne, Ber1in, S. Pétersbourg) (l).

(l) Per le risposte cfr. nn. 604, 605, 606 e 620.

602 L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1341. Vienna, 16 ottobre 1868, ore 17,45 (per. ore 19,10).

On m'informe confidentiellement que Beust et Andrassy désireraient comme éta.lt particulièrement opportun en ce moment un arrangement entre Napoléon III et nous sur la question romaine et meme employeraient Ieur influence dans ce sens, mais sauf instructions spéciales de V. E. je garderai réserve absolue à cet égard chancelier de l'Empire que je verrai demain à l h. après midi et avec président du conseil hongrois attendu ici dans peu de jours.

603

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC

T. 745. Firenze, 17 ottobre 1868, ore 9.

J'approuve votre intention de garder réserve sur les propositions d'arrangement avec Napoléon III pour les affaires de Rome (1). Faites toutefois observer que de notre còté nous exécutions avec la plus scrupuleuse exactitude nos engagements. Que nous avons fait des propositions auxquelles il n'a pas encore été répondu. Qu'en attendant nous tàchons d'éviter tout ce qui pourrait compliquer nos rapports avec Rome et faire suspecter la sincérité de nos intentions conciliantes.

604

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1346. Berlino, 17 ottobre 1868, ore 15,40 (per. ore 19,15).

De Thile ne sait rien sur projet de congrès (2). Aucune allusion n'y a été faite ici de près ou de loin.

(l) -Cfr. n. 602. (2) -Cfr. n. 601.
605 L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1345. Vienna, 17 ottobre 1868, ore 16,30 (per. ore 18,50).

Baron de Kubeck ayant télégraphié hier au baron de Beust en lui demandant s'il s'agit d'un congrès où on s'occuperait de l'Espagne Beust me dit au'il ne comprend pas et qu'il ne s'agit point de congrès à propos de l'Espagne, mais qu'il avait seulement averti Kubeck que l'Autriche servirait volontier de trait d'union entre la France et l'Italie pour entente sur les affaires espagnoles; il m'a parlé du Roi Ferdinand camme transition à l'union hibérique. J'ai dit que peut-étre Kubeck avait fait allusion au bruit récent d'un congrès pour désarmement général. Il m'a répondu que cette idée est dans l'air depuis plusieurs années mais qu'il ne s'en agit pas aujourd'hui plus pratiquement qu'auparavant. Il m'a dit encore qu'il désirait venir en aide à notre rapprochement avec la France; qu'il trouvait notre Gouvernement en bonnes dispositions mais peut étre un peu plus de difficultés à Paris. Quant au congrès je ne puis jusqu'ici en dire davantage sinon qu'il m'était revenu demièrement, mais d'une source que je ne puis pas garantir, que l'an aurait reçu ici avis secret du projet de Napoléon III de proposer un congrès pour désarmement général qui peut acheminer à événements plus graves.

606

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1347. Londra, 17 ottobre 1868, ore 17,15 (per. ore 19,55).

En prenant congé de lord Stanley je lui ai demandé si bruit de congrès avait fondement. Il m'a répondu que le Gouvernement anglais n'a reçu aucune communication à ce sujet; il a ajouté que quant à lui il n'aimait pas les congrès car souvent ils conduisent à la guerre et lorsqu'ils aboutissent l'Angleterre prend des engagements pour des choses qui ne la concernent pas. Quant au Gouvernement provisoire espagnol il a donné instructions de continuer rapports officieux avec lui étant décidé à lui faciilter la tàche autant que possible. Il espère qu'il n'enverra pas nouveau ministre à Londres avec nouvelles lettres de créance car alors surgirait la question de savoir s'il faut ou non l'admettre en cette qualité. Il n'a pas d'opinion fixe à ce sujet mais si le cas se présentait il fera son possible pour trouver moyen de ne pas embarrasser nouveau Gouvernement espagnol. Stanley me charge particulièrement de dire à V. E. qu'il est un de ses plus grands admirateurs pour l'habileté déployée à remettre les affaires de l'Italie en si bon état. Je partirai cette nuit pour Bruxelles, Allemagne et Brenner. Je ferai route projetée pour malie indienne.

607 IL MINISTRO A L'AJA, CARUTTI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R.lll. L'Aia, 17 ottobre 1868 (per. il 21).

Col dispaccio del 4 corrente (Politica n. 105) (l) riferii a V. E. le dichiarazioni fattemi dal Ministro degli Affari Esteri e dal Ministro di Prussia intorno ai supposti negoziati colla Francia per una lega politica e doganale. Aggiungo ora qualche informazione che é venuta in seguito a mia notizia.

Il Gabinetto di Bruxelles, vedendo la persistenza delle voci corse in proposito, domandò, pochi giorni sono, per mezzo del suo Incaricato d'Affari all'Aja, se l'Olanda non giudicherebbe opportuno di fare un'altra volta smentire il fatto a Londra, cogliendo l'occasione dell'invio del nuovo Ministro Neerlandese, il Barone Gevers, presso la Corte Inglese.

Il Signor Roest rispose che era venuto appunto in quest'avviso, e gli diede lettura di un paragrafo delle istruzioni preparate pel nuovo Ministro.

Dal canto suo il Vice Ammiraglio Harris, rappresentante della Gran Bretagna in Olanda, mi avea detto prima d'ora che avea dovuto per ordine del suo Governo interpellare il Signor Roest a questo riguardo: che gli era stata data una risposta categoricamente negativa e che, secondo la sua opinione, le voci corse non aveano fondamento.

Tutto ciò sembra dissipare ogni dubbio e dare ragione di credere che non vi sia stato, né vi sia in corso alcuna pratica. Ma potrebbe egli con eguale asseveranza affermarsi che non vi è stata mai fra i due Governi alcuna trattativa?

Il Signor Van der Putte, antico Ministro delle Colonie e che ora di conserva col Signor Thorbecke capitaneggia la parte liberale nella Seconda Camera, mi diceva: «Non credo che abbiavi alcun trattato; son persuaso che né il precedente Ministero conservatore né il presente liberale siano caduti in simile errore; ma non meraviglierei che, al tempo della questione del Lussemburgo e sotto l'amministrazione del Conte di Zuylen, ria stato posto in campo il disegno di siffatta lega o di alcun che di somigliante».

Ora il Signor Roest mi dichiarava che dacché avea assunto la direzione degli Affari Esteri non era giunta al Ministero né direttamente né indirettamente alcuna comunicazione sopra questa materia. Il Signor Lansberg poi, Capo del Gabinetto del Ministro, mi assicurava che dopo gli affari del Lussemburgo non erasi più negoziato colla Francia. Queste due risposte che non escludono l'ipotesi del Signor Van der Putte, potrebbero in qualche parte confermarla.

Senza servir di soverchio all'immaginazione potrebbe quindi arguirsi che un disegno di lega era il compimento della cessione del Lussemburgo e che svanì con quella. V. E. rammenterà che tutto quel negoziato che per poco non accese la guerra in Europa, era sorto dai timori del Gabinetto Olandese intorno alle intenzioni della Prussia e che la Francia avea promesso di guarentire l'Olanda dalle conseguenze della cessione.

Del resto l'opinione publica non è Ll questo paese favorevole ad un partito che vincolerebbe la sua libertà d'azione in politica e che sotto l'aspetto commerciale sarebbe malagevolissimo nella esecuzione. Basta gettar lo sguardo sopra la tariffa doganale Olandese per convincersene.

(l) Non pubblicato.

608

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. l. Bucarest, 17 ottobre 1868 (per. il 26).

Facendo seguito al mio telegramma di jeri (1), mi affretto informare l'E. V. che il Principe Carlo dovendo fare in questi giorni una gita nella piccola Valachia, non volle aspettare a ricevermi dopo il suo ritorno, e con tratto di squisita gentilezza inviò jeri stesso da me il Generale Golesco per avvertirmi che mi avrebbe ammesso ad ossequiarlo privatamente nella giornata.

L'udienza fu insignificante come si suole in simili ricevimenti, ma l'impressione che mi ebbi del Principe Regnante, fu quella di un giovane sinceramente dedito allo sviluppo ed all'immegliamento del Paese i di cui destini è chiamato a regolare.

Mi recai quindi dal Signor Bratiano che è il vero capo dell'attuale Gabinetto. In questa prima conversazione il Ministro Rumeno volle darmi un rapido schizzo delle cose attuali della Rumania; mi parlò dello sviluppo che le ferrovie avranno in pochi anni; tenne ad esonerare il Governo delle accuse lanciategli negli ultimi affari di Galatz; e venne naturalmente a parlarmi dell'inchiesta provocata dalla Sublime Porta in seguito all'insurrezione Bulgara, inchiesta che secondo lui non poteva avere verun pratico risultato. Respinse ogni connivenza dicendo che, arduo sarebbe stato al Governo di sorvegliare tutta la sponda Valaca del Danubio, e che l'Europa ben sa d'altronde che a Governi assai ·più forti e meglio costituiti per lungo e non interrotto reggimento, è riuscito sovente malagevole l'opporsi a siffatte invasioni.

Finì dicendomi che il Governo Rumeno spediva lo stesso giorno a Stamboul la risposta alla Nota che S. A. Aalì Pacha diresse non ha guarì al Principe Carlo, Nota di cui la R. Legazione a Costantinopoli non mancò d'inviar copia a V. E. Ed afHnché il Gran Vizir comprenda che indirizzare un ufficio numerato a Sua Altezza Serenissima era tratto poco corretto da sua parte, il Governo Rumeno ha preferito di far rispondere dal Ministro degli Affari Esteri dirigendo la sua risposta al Ministro degli Affari Esten del Sultano.

Appena avrò potuto procurarmi qtt{!sto documento non mancherò di trasmetterlo all'E. V.

Nell'accomiatarmi dal Signor Bratiano, questi accennando alle simpatie ed ai vincoli d'amicizia che legano la Ruman1a all'Italia aggiunse che dall'Italia sola i Rumeni potevano eventualmente sperare un appoggio affatto disinteressato.

(l} T. 1344, non pubbllcato.

Credo superfluo l'assicurare l'E. V. che durante tutto l'abboccamento che ho avuto l'onore di riassumere non mi son punto dipartito dalla più estrema riserva la quale prenderò a stretta guida fino a che non piacerà al R. Governo d'impartirmi ulteriori istruzioni.

609

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

L. P. CIFRATA. Madrid, 18 ottobre 1868.

Je fais tous les efforts afin de découvrir la pensée intime du Général Prim. Il me revient de très bonne source qu'il est géné dans ses affaires privées. Il ne parait pas pressé de sortir du provisoire. Des personnes de son intimité me disent qu'il est impénétrable sur la question des candidats. Il y a des gens qui le poussent à se ménager la dictature. Hier soir, pourtant, une personne très influente dans le monde des affaires m'a dit que le général ne serait pas éloigné d'adopter la candidature du due d'Aoste, et m'a demandé ce que j'en pensais. J'ai répondu que tout ce que j'en savais c'était que la candidature au tròne d'Espagne, quelle qu'elle puisse ètre, devait étre choisie spontanément. Nul doute que cette candidature a fait des progrès notables dans ces derniers jours.

610

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1349. Madrid, 19 ottobre 1868, ore 11,25 (per. ore 17).

D'une conversation intime entre le général Prim et un de ses amis, il résulte qu'il n'ose aspirer au pouvoir suprème, et qu'il n'est décidé pour aucun candidat. Dans l'état actuel des choses, il pourrait bien finir par se ranger avec les Serrano et Topete au due de Montpensier.

611

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1351. Londra, 19 ottobre 1868, ore 18,05 (per. ore 0,30 del 20).

Stanley n'a rien reçu de son consul à Tunis. Aucune communication analogue ne lui est parvenue. Il parait etre persuadé que le Bey joue double jeu avec l'Italie et l'Angleterre d'un còté, et la France de l'autre. Il me charge aussi de vous dire de ne pas trop vous fier à ses paroles. Quant à Mylord, il se réserve de porter un jugement lorsqu'il aura entendu la version du Gouvernement impérial. Il ajoute que si l'Italie et l'Angleterre ne se mettent pas d'accord avec la France, personne ne sera jamais payé; il croit que toute difficulté pourra etre arrangée à Paris par des communication directes entre les différents ministres des affaires étrangères, et non en laissant des pouvoirs aux consuls à Tunis. En définitive, il n'objecte pas à l'entrée du commissaire français dans la section administration, et il croit qu'en augmentant les attributions de la section de contròle, nos intérets seront sauvegardés. En me chargeant de transmettre à V. E. les déclarations de Stanley, je lui ai pourtant fait remarquer que dans le cas où nos craintes seraient fondées, notre manière d'envisager la question était seule conforme à la dignité et à sauvegarder nos intérets.

612

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1352. Baden, 20 ottobre 1868, ore 10,20 (per. ore 13,55).

Le Roi de Prusse ayant appris que j'étais ici, a exprimé le désir de me voir, et il m'a invité à diner avec Artom. Il parlait à diner de la médaille militaire italienne. Il m'a chargé de faire savoir au Roi qu'il lui était très reconnaissant de l'accueil fait au prince royal prussien, et il ajouta « je ne connais pas personnellement le Roi d'Italie, mais faites-lui savorr que je suis son ami et que j'espère qu'il sera le mien pour l'avenir, camme il l'a été pour le passé l>. J'ai répondu que le Roi serait très flatté de ces sentiments, et que je pouvais l'assurer que Notre Auguste Souverain attachait le plus grand prix à la conservation de l'amitié existant entre les deux couronnes. Détails par courrier.

613

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, QUIGINI PULIGA

D. 415. Firenze, 20 ottobre 1868.

Appena ricevuto il rapporto di codesta Legazione col quale Ella mi trasmetteva una lettera di S. M. la Regina Isabella di Spagna stata a lei rimessa dal Signor Mon senza copia d'uso, da recapitarsi alle mani di S. M. il Re Nostro Augusto Sovrano mi sono affrettato ad inviare quella lettera a Sua Maestà che trovavasi assente da Firenze. Sua Maestà essendosi poscia degnato di rimettermi l'originale di quella lettera ho trovato che essa conteneva la protesta della Regina, e la riserva dei suoi diritti al momento in cui abbandonava i suoi Stati.

Se il Signor Mon continua a esercitare a Parigi le funzioni di Ambasciatore della Regina Isabella, Ella potrà accusargli ricevuta della sua lettera e del piego annessovi, senza però accennare in alcun modo al contenuto del medesimo. La lettera che Ella indirizzerà al Signor Mon potrebbe avere la stessa forma di quella che quel Signore Le ha indizzato, e che qui unito Le rinvio. Nell'indirizzo della lettera è mio avviso si debba evitare il titolo di Ambasciatore dl Spagna.

614

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, QUIGINI PULIGA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 745. Parigi, 20 ottobre 1868.

Ho domandato questa mane a Lord Lyons, se il Console d'Inghilterra a Tunisi aveva fatta al suo Governo qualche comunicazione analoga a quella del

R. Agente Consolare di cui l'E. V. mi faceva parola nel suo dispaccio telegrafico di jer l'altro (l).

L'Ambasciatore d'Inghilterra mi rispose che ignorava interamente il recente appello che il Bey avrebbe fatto alle Potenze interessate. Aggiunse inoltre che l'Inghilterra aveva risposto alle aperture fatte dal Marchese di Moustier sulla questione tunisina quali il Cavalier Nigra le aveva riferite all'E. V. col suo dispaccio Serie politica n. 741 del 9 ottobre corrente (2). La risposta del suo Governo portava in sostanza che l'Inghilterra non era aliena dall'ammettere la presenza d'un funzionario francese nella Commissione esecutiva, composta di tre persone, preferendo un francese e due tunisini a tre tunisini; soltanto desiderava che la commissione di controllo fosse composta in modo da tutelare efficacemente l'interesse dei sudditi inglesi, e che la formazione di queste commissioni fosse affrettata onde por fine ai raggiri di tutte le parti, ed alle esitanze del Governo del Bey.

Per mettere dunque in chiaro il dispaccio dell'agente italiano a Tunisi, e le cause che hanno potuto indurre il Bey a domandare l'appoggio delle Potenze interessate, mi riserbo d'intrattenerne nella prossima udienza il Marchese di Moustier. Mi permetto però fin d'ora di chiamare l'attenzione dell'E. V. sopra alcune linee del dispaccio del Cavalier Nigra sopracitato, che forse possono spiegare l'equivoco. Vi leggo infatti queste parole: «La Francia non riconoscerà alcuna operazione finanziaria fatta prima della costituzione della Commissione ed all'infuori di essa».

Il Marchese di Moustier avrebbe inoltre dichiarato a Lord Lyons, che il funzionario amministrativo francese il quale dovrebbe far parte della commissione amministrativa tunisina non era ancora stato scelto. Fra breve un funzionario del Ministero Imperiale degli Affari Esteri, sarebbe incaricato, unitamente ad un impiegato di questa Ambasciata Inglese e Legazione Italiana di venire ad un accordo, sulla formazione della commissione stessa.

(l) -T. 747, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 578.
615 L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 55. Vienna, 20 ottobre 1868 (per. il 23).

Il Barone di Beust ebbe occasione in questi giorni di esprimere di nuovo, anche in mia presenza, il suo modo di apprezzare la situazione dell'Austria rispetto alla Prussia. Quei suoi apprezzamenti sono rimasti i medesimi dacchè avevo l'onore, già più di un anno fa, di esporli a V. E.

«L'Austria, diceva adunque recentemente il Barone di Beust, ha bisogno di pace, ma è troppo evidente che non si possono avere grandi illusioni sulla conservazione della pace. Conviene perciò che gli Stati i quali, come il nostro e come l'Italia, hanno interesse non solo a serbare essi stessi la neutralità, ma ancora a localizzare il più possibile la lotta tra altre Potenze, s'intendano tra di loro in modo da formare il gruppo più esteso e più forte possibile di elementi neutrali e d'influenze concilianti. È un fatto che in Germania, la pace di Praga, sia per il tenore delle condizioni che l'accompagnarono, sia soprattutto perchè contratta sotto la pressione ed eseguita sotto la guarentigia della Francia, non è presa sul serio dal sentimento pubblico. Essa è considerata pur troppo dall'opinione tedesca come una tregua.

Non siamo noi, Austria, nelle nostre presenti condizioni, che possiamo rallegrarci di una tale instabilità di cose. Per quanto siano stati dolorosi per noi gli avvenimenti che crearono l'attuale nostra situazione, nè il nostro attuale interesse nè per così dire le disposizioni di questa popolazione sono tali da dirigere le nostre preoccupazioni verso una futura rivincita di Sadowa. In Prussia, dove misero 16 anni a preparare nel silenzio una rivinc,ita di Olmutz -mentre Olmutz non era stato in fondo se non un atto di debolezza dell'Austria non vogliono persuadersi che non regnino qui analoghe idee; e pure ben altri sono i nostri bisogni. Ma se non desideriamo ritornare sui fatti compiuti, è per altro troppa ingenuità il chiederci, come fanno alcuni, di cooperare platonicamente a proteggere contro la Francia l'opera attuale della Prussia. Siamo e vogliamo restar liberi da ogni impegno colla Francia a quel riguardo; ma non si può domandarci di più nelle attuali condizioni della Germania. Sarebbe tutt'altra cosa se la nazione Germanica già fosse costituita e ciò sulla base di liberali istituzioni. In allora le simpatie della parte germanica di questa monarchia ci farebbero da se sole un dovere di stringere con essa nuovi legami. Ma la Germania è in mano ad un potere militare, rimpetto al quale non abbiamo che a prendere consiglio dagli interessi nostri proprii. Il contegno della Prussia a nostro riguardo non fu tale che potessimo ragionevolmente uscire dalla nostra riserva a suo riguardo. Quando essa sembrò fare un passo verso di noi (missione Taufkirchen) ciò fu per proporci un patto che non si poteva accettare senza imperdonabile leggerezza. Dichiarandosi disposta a prestare all'Austria il suo appoggio in Oriente di fronte alla Russia, e chiedendoci in ricambio il nostro concorso per la riunione del sud della Germania alla Confederazione del nord, il Gabinetto di Berlino ci proponeva un marché de dupes.

Era evidente che il nostro concorso alla riunione della Germania del Sud sarebbe stata una concessione immediatamente pratica ed irrevocabilmente compromettente per noi, mentre l'appoggio della Prussia contro la Russia sarebbe rimasto una semplice promessa sottoposta alle mille modalità e dipendente dalle mille condizioni impreviste che possono attraversare, come è dimostrato dalla storia, impegni di tal fatta. L'indirizzo del Governo prussiano è presentemente prudente, ma non ci dà certezza deJ mantenimento della pace colla Francia. Da Berlino, è vero, si trattiene il Granduca di Baden nella sua premura di diventare un Governatore prussiano, come sarebbe già diventato se non dipendesse da lui; ma da un altro lato le deplorabili divisioni che regnano fra i piccoll Stati della Germania del Sud e che impediscono la formazione di uno stato di cose stabile e consistente nel sud della Germania, cesserebbero immediatamente se la Prussia dicesse una parola per ciò, eppure quella parola la Prussia non la pronunzia. Non si può dimenticare d'altronde come mentre la Prussia s'impegnava nel 1866 nel senso della piena indipendenza degli Stati del sud, essa conchiudeva segretamente cogli stessi quei trattati dl alleanza offensiva e difensiva che non furon noti se non più tardi e che pregiudicavano non poco quella indipendenza. Il Re dì Prussia, è vero diceva ultimamente a Lord Clarendon che avrebbe fatto di tutto per evitare ogni qu::>.lsiasi occasione e pretesto di guerra, ma credo di sapere che Lord Clarendon non ne fu tuttavia pienamente persuaso. Attenti dunque all'avvicinarsi pur troppo possibile dl avvenimenti gravi, restiamo per conto nostro fedeli alla nostra politica di pacificazione e di regolare e liberale sviluppo delle nostre condizioni interne».

Se qualche cosa è mutato nell'accentuazione, per così dire, che il Barone di Beust mette ora a quel suo già noto linguaggio, è nel senso di una sfiducia vieppiù aperta intorno alla conservazione della pace.

616

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 57. Vienna, 20 ottobre 1868 (per. il 23).

Cercai di definire nei miei recenti rapporti a V. E. la situazione interna dell'Impero, e la sua politica estera (non mutata d'altronde) dal lato degli affari di Germania. Mi resta per rendere se non completi, almeno forse sufficienti quei riassunti sommarj, a render conto a V. E. della situazione esterna in genere rispetto agli affari d'Oriente.

Sotto questo aspetto la condizione delle cose si è assai cambiata da alcuni mesi in qua. In allora si era molto inquieti sui prossimi risultati della propaganda panslavistica nelle provincie slave dell'Impero e della Turchia, e si andava, nei circoli ungheresi soprattutto, fino a parlare della impossibilità di organizzare con definitiva sicurezza la parte orientale della monarchia senza preventivamente ottenere qualche vittoria o diplomatica o militare contro la Russia. Nel momento presente invece, le manifestazioni anti-russe si son fatte meno vive nei circoli governativi; vengono tuttora denunziati, ma meno temuti e dipinti con minore esagerazione gli sforzi dei Comitati russi presso le popolazioni croate, slovene, rutene, ecc.; e quel che dà spiegazione di tutto ciò, è che effettivamente il pericolo per ora è diminuito, non solo per l'accordo intervenuto tra l'Ungheria e la Croazia, ma anche per il contegno più rassicurante della Serbia. Gli Ungheresi, nella circostanza dell'assassinio del Principe Michele, seppero non solo far rJsultare con evidenza la lealtà del loro passato contegno verso la Serbia, ma colsero l'occasione per dar delle guarentigie al partito dominante e stringere con esso dei legami che sembrano abbastanza serii, poiché da quel momento si è cessato qui di temere per ora la sempre pronosticata e sempre abortita alleanza degli Jugoslavi, dei Greci, e dei Rumeni per lo sfasciamento ad un tempo dell'Austria e della Turchia.

I Rumeni restano l'unico punto di mira, ma tanto più vivamente bersagliato, delle apprensioni Austriache o per dir meglio Ungheresi dalla parte dell'Oriente. I ministri Ungheresi parlano di un piano smisurato, concepito non solo, ma in parte incominciato ad eseguire per la formazione di uno Stato che comprenderebbe colle Provincie Moldo-Valacche la Bulgaria, la Bukowina, la Transilvania e l'Est dell'Ungheria fino alla Theiss; Stato al quale già si darebbe il nome di Daco-Rumenia. Gli esaltati di Bukarest farebbero assegnamento per la realizzazione di quella ambiziosa utopia: in primo luogo sulla continuazione della cooperazione attualmente stabilita tra Bulgari e Rumeni per mantenere irrequiete quelle parti dei dominj ottomani; cooperazione che, tra parentesi, è considerata a Vienna come una prova indiretsta ma non dubbia dell'unione che esisterebbe tra la politica della Prussia e quella della Russia; in secondo luogo sui progressi della propaganda Rumena in Transilvania ove tuttavia sembra che il sangue rumeno sia fortunatamente meno puro, misto cioè a quello di razze moralmente più sane, perlocché i rumeni della Transilvania hanno minori simpatie di quanto si potrebbe credere per le agitazioni dei Moldo-Valacchi; in terzo luogo ed anzi tutto, sull'appoggio della Prussia, la quale probabilmente cercherebbe in Rumenia, in eventualità facili a prevedersi, quel mezzo di diversioni rivoluzionarie anti-austriache che non può più, dopo l'accordo Austro-Ungherese, essere trovato in Ungheria.

V. E. può immaginare come queste tendenze, qualunque ne sia la serietà, siano state con premura utilizzate dagli Ungheresi presso i Serbi ed i Montenegrini, nel senso di dimostrare a costoro il pericolo di dar la mano ad agitatori il cui scopo è in fine dei conti il dominio sopra paesi puramente slavi.

Quel che in ogni modo è considerato qui come cosa di positiva gravità, è la quantità straordinaria di armi e di uniformi della quale si è approvigionati in Rumenia. «Se ne hanno assai più, mi diceva pochi giorni fa un uomo di Stato Ungherese, di quanto ne possano portare tutti i Rumeni abili alle armi, e quando la Prussia crederà venuta l'opportunità, non avrà che ad inviare in Rumenia, cosa facilissima, dei soldati senz'armi e senza uniformi: ne troveranno sul luogo ed un esercito prussiano si troverà formato in un momento sul confine Orientale dell'Impero. Il Principe Car:o, se pure avesse idee proprie più savie, non potrebbe resistere alla influenza combinata del Conte di Bismarck e dell'astuto e risoluto Bratiano; cosicché la Rumenia è presentemente il punto nero sul nostro orizzonte in Oriente :P.

46 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

617

IL MINISTRO A MADRID, CORTI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1354. Madrid, 21 ottobre 1868, ore 10 (per. ore 15,32).

Stefanoni est arnve a Madrid le 14. On m'assure que l'Empereur soutient la candidature de Charles VII. C'est peut-etre comme menace contre les Montpensier. Cela augmente les partisans du due d'Aoste, qui gagne tous les jours.

618

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1355. Lisbona, 21 ottobre 1868, ore 18,10 (per. ore 22,05).

Des nouvelles arrivées ici, et puisées à source digne de fois, signalent que le parti carliste in France et en Espagne est très satisfait de la tournure des affaires espagnoles, attendant le moment favorable, prochain et inévitable, de dissensions entre le maréchal Serrano et le général Prim, pour tenter avec espoir de succès une agitation carliste en Espagne. Le Roi de Portugal est toujours dans les memes idées que je vous ai fait connaitre par mon rapport

n. 27 (1), et le Roi Don Fernando continue de se montrer explicitement contraire à sa candidature éventuelle. On a fait dire amicalement de Madrid, par l'entremise d'une personne confidentielle, que toute immixtion directe ou indirecte étrangère dans les affaires d'Espagne, ne ferait actuellement que compromettre l'avenir, et empirer la situation.

619

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, DE FILIPPO

D. 13. Firenze, 21 ottobre 1868.

La convocazione d'un concilio ecumenico in Roma per il mese di dicembre del prossimo anno, è tale un avvenimento che anche ai giorni nostri potrebbe avere le più gravi conseguenze nell'ordine civile e politico degli Stati se questi, con accurati studii e preventive indagini, non si saranno convenientemente disposti e preparati ad esercitare in tempo quelle facoltà che o le leggi canoniche stesse loro attribuiscono o la storia ha incontestabilmente riconosciute.

Per questi studii e per queste indagini importa che i due Ministeri di Grazia, Giustizia e Culti e degli Affari Esteri procedano d'accordo acciocché

ora e poi l'azione governativa proceda regolare ed uniforme in cosa di tanto rilievo. Epperò nel mentre per parte del Ministero Esteri si osservano attentamente le disposizioni degli altri Stati che, come l'Italia, hanno grandi interessi impegnati in questa quistione, per parte del Dicastero dei Culti ch'Ella dirige si potrebbero esaminare le varie quistioni di diritto pubblico ecclesiastico intomo alle quali è indispensabile che il Governo prenda una deliberazione.

Potrebbe darsi anche il caso in cui, alla riapertura della Camera dei Deputati, taluno dei rappresentanti volesse interpellare il Governo sulle sue disposizioni al proposito, ed in tal caso Ella vedrebbe quanto sarebbe utile e conveniente che il Gabinetto avesse già formato e discussi i principi della sua futura condotta.

I punti sui quali sarebbe specialmente necessario fermare particolarmente la nostra attenzione sarebbero i seguenti:

1° quali siano i diritti che lo Stato per sé o come rappresentante la popolazione cattolica del Regno, può esercitare relativamente alla riunione d'un concilio ecumenico, ed alle deliberazioni del medesimo;

2° quali siano i diritti che l'autorità civile può esercitare in ciò che concerne la promulgazione dei decreti del sacro sinodo ecumenico; e ciò tanto avuto riguardo al diritto pubblico ecclesiastico del Regno, quanto tenendo conto delle massime generali che determinano i nostri rapporti colla Chiesa;

3° quale autorità possa 11 Governo del Re esercitare sopra l'episcopato italiano convocato a Roma sia prima che i Vescovi ed i Prelati abbandonino le loro sedi, sia dopo chiuse le sessioni qualora nelle deliberazioni adottate si contenessero cose contrarie alle leggi ed alle istituzioni politiche dello Stato.

Anche a questo riguardo converrebbe che gli studii e le indagini fossero rivolti in modo da non fermarsi soltanto ad esaminare la questione al punto di vista dei principii generali, ma bensì da considerarla nei suoi rapporti col diritto vigente nei varii paesi che compongono il territorio del Regno.

L'esame di tutte queste quistioni quando fosse sovrattutto accompagnato da notizie storiche accuratamente raccolte e diligentemente verificate, metterà il Governo del Re in condizioni di facilmente determinare la linea di condotta ch'egli dovrà seguire tanto rimpetto ai prelati e Vescovi del Regno, quanto nei suoi rapporti internazionali coi varii Gabinetti che delle quistioni relative al concilio, come noi si preoccupano. È infatti a notizia di questo Ministero come i varii Governi che hanno una maggioranza cattolica nelle loro popolazioni rimangono tuttora indecisi sul contegno da adottarsi in così grave ed importante congiuntura.

Difficile è intanto il conoscere il lavoro delle congregazioni ecclesiastiche in Roma, ma il mistero che le avvolge non è tale da non lasciar comprendere che anche in quel lavoro preparatorio gravi dubbi si sono affacciati sulle tendenze da seguirsi nelle quistioni che hanno tratto ai rapporti della Chiesa colla società civile. Non sarà però cosa prudente lo aspettare che si conoscano in modo più preciso le disposizioni della curia romana per determinare quale via il Governo del Re dovrà seguire. Questa via importa sia tracciata sin d'ora tanto per mettere il R. Governo in condizione di prendere l'atteggiamento che

meglio gli conviene, quanto per coordinare convenientemente la propria linea di condotta con quella degli altri Stati che intorno a questo argomento fissa la loro attenzione.

Persuaso che dal concorso efficace ed illuminato del Ministero da Lei diretto il Governo del Re potrà ricavare utilissimi elementi direttivi della sua azione politica e diplomatica in tutte le quistioni relative al concilio ecumenico. La prego, onorevolissimo collega, a volermi fare conoscere a suo tempo il risultamento degli studi e delle indagini praticate.

(l) Non pubblicato.

620

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 62. Pietroburgo, 21 ottobre 1868 (per. il 31).

In risposta al pregiato telegramma dell'E. V. in data del 16 ottobre (1), poco potrei aggiungere oltre quello che in altro mio rapporto ebbi l'onore di comunicarle quanto alle voci corse intorno all'eventualità di un congresso; ma questo solo potrei affermare, che veruna comunicazione risguardante un cosiffatto disegno finora non venne né ricevuta né fatta dal Governo di Pietroburgo. Si tiene dagli uomini politici di questo paese che tal voce si vada accreditando tuttora per opera della diplomazia francese in vista delle incertezze in cui l'Impero di Francia versa presentemente rispetto alle ambizioni delle Potenze rivali ed alla inquietudine delle fazioni interne; di guisa che l'idea del congresso si ripresenta in ogni nuova emergenza alla mente di Napoleone come un espediente che ridarebbe alla Francia quella prevalenza che gli ultimi eventi hanno posta in forse. E certo non sarebbe del tutto impossibile che la prossima conferenza militare di Pietroburgo porgesse occasione ad una proposta di disarmo o di convegno europeo che assicurasse la pace fra le Potenze: dico non del tutto impossibile, avvegnaché io non vegga finora da qual paese venir potesse cosiffatta proposta, né qui, per interrogare che io abbia fatto il Principe Cancelliere e gli uomini più informati delle cose del giorno, me n'è finora apparso alcun segno; ma porto opinione che quando un partito di tal natura fosse posto innanzi seriamente da qualcuno dei grandi Potentati, non sarebbe certo la Russia che vi farebbe ostacolo desiderosa com'ella è di mantenere la pace, e conscia dei pericoli in che una politica bellicosa oggi la trarrebbe.

Le varie congetture sugli intendimenti del Governo di Francia nel cospetto delle presenti condizioni di Europa formano in effetti la principal preoccupazione del Gabinetto di Pietroburgo, né queste sono al cento senza timore di guerra, benché la non si risguardi come imminente. Il Principe Gortchacow s'imbatté nell'uLtima sua gita in !svizzera col Generale Henri, ed avendolo interrogato sui prognostici ch'egli facea della politica odierna, e sul modo con che il Governo di Napoleone pensava di uscire dal cattivo partito in cui si trova rispetto ai democratici di Francia, il Henci ebbe a rispondere: «Faremo loro di nuove concessioni, e se queste non bastano abbiamo l'esercito » la qual

parola fu dal Principe interpretata come un accenno alla guerra quale risoluzione delle difficoltà presenti. Posso aggiunger,e che il Ministro di Prussia presso questo Governo, Principe di Reuss reduce anche esso da un suo viaggio in Germania, ed abboccatosi col Conte di Bismarck prima del suo ritorno, mi espr,esse una opinione non dissimile, e mi disse, che quantunque il sentimento personale dell'Imperatore Napoleone si mostrasse favorevole al mantenimento della pace, era da temere non pertanto che difficilmente egli avrebbe potuto sottrarsi a quella vigorosa pressione che l'aspirazione dominante nella parte retriva e nell'esercito adoperava sopra di lui in senso guerresco. S.E. il Principe Gortchacow ch'io mi condussi a visitare poiché egli ebbe qui ripresa la direzione del Ministero mi si mostrò, come egli suole talvolta, svogliato dei pubblici negozii e desideroso di ritrarsi a riposo in disparte dalla politica; aggiunse anzi di aver pregato, ma indarno, l'Imperatore a volerlo esonerare dal carico portato finora e solo la volontà del Sovrano astringervelo ancora. A tali proteste senza alcun dubbio non si vuole aggiustar piena fede, ma non si vuol tralasciar di notare che l'assenza del principe a Berlino e a Varsavia e la sua lontananza dallo Czar durante tutto il corso del suo ultimo viaggio furono osservati da qualcuno come segno di poco favore del Sovrano verso il suo primo Ministro. Fu osservato eziandio che tutte le comunicazioni riguardanti i rapporti della Russia con l'Estero, mentre durò il congedo del Principe Cancelliere venivano direttamente a questo Ministero dal Gabinetto particolare dell'Imperatore Alessandro, onde altri dubitò che la sua alta posizione potesse esser posta in qualche pericolo.

Ancorché di ciò sia stato lieve dubbio un momento nei consigli dello Czar, non dovrebbesi in ogni modo attribuire a verun mutamento ideato nell'indirizzo politico, ma solo per avventura a qualche privata cagione: e certo è che al presente l'illustre diplomatico Russo riprese il governo della politica esterna da lui con tanto onore fin qui tenuto, né parlasi altrimenti di vedernelo rimosso.

Avendo consultato il Cancelliere dell'Impero sull'intendimento della Russia quanto alle cose di Spagna, questi mi mostrò una completa indifferenza sulla rivoluzione che travolse il trono dell'ultimo Borbone rimasto, notò solamente che molto ne avrebbe scapitato la causa del Pontefice di Roma: «qui s'appuie toujours sur tout ce qui s'écroule » soggiunse ch'egli avea mandate istruzioni al Principe Wolkonski già Ministro accreditato presso quella Corte di non muover da Parigi e non ricondursi per ora al suo posto, e ch'avea intanto lasciato a Madrid un Incaricato d'Affari senza lettera ufficiale in aspettando che un Governo regolare vi fosse costituito. Il Duca d'Ossuna, Ambasciatore della Regina Isabella comunicò allo Czar la rinunzia da lui data e ne ricevette le insegne dell'ordine Imperiale di Sant'Andrea.

(l) Cfr.n. 601.

621

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. 749. Firenze, 22 ottobre 1868, ore 11,50.

Nous n'avons pas de difficulté à reconnaitre le Gouvernement de Madrid aussitòt qu'il aura lui-meme assumé incontestablement le pouvoir dans l'intérieur et qu'il sera en condition de se faire annoncer officiellement à l'étranger. Il s'agit donc ici de résoudre avant tout une question de fait; quant à la sympathie de l'Italie elle est entièrement acquise à l'Espagne.

622

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, QUIGINI PULIGA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1356. Parigi, 22 ottobre 1868, ore 18,02 (per. ore 0,02 del 23).

Moustier m'a dit que le consul de France à Tunis devait simplement déclarer au Bey la ferme intention de la France de faire respecter les engagements pris par la Régence à son égard, et lui annoncer l'arrivée d'un fonctionnaire français. Il m'a demandé si le Gouvernement du Roi approuvait la formation de deux commissions, administrative et de surveillance <l).

623

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

D. 14. Firenze, 22 ottobre 1868.

Da qualche tempo in qua e sovratutto dacché Mazzini si è recato a Lugano, il cantone Ticino è divenuto il centro dove si sono raccolti molti agitatori italiani e daddove partono e si diramano in varie parti del Regno emissari destinati a spargere coi soliti manifesti insurrezionali non già il discredito negli ordini stabiliti, ma la diffidenza ed il timore negli animi deboli di coloro che da simili arti si lasciano intimidire.

Il Governo del Re ha esercitato ed esercita quella sorveglianza che le leggi concedono, ma la sua azione non può spiegarsi oltre certi limiti e sopratutto può assai difficilmente riuscire preventiva. Di qui nacquero in alcuni organi della pubblica opinione replicate censure dirette a chi regge il Governo in Italia quasiché questo si mostrasse non curante delle istituzioni dello Stato nel permettere contro le medesime una propaganda certamente diretta a nuocere al fondamento istesso delle patrie libertà costituzionali. Non è mistero infatti come in cospetto degli ultimi avvenimenti d'Europa una frazione importante del partito reazionario abbia ormai fondato unicamente le sue speranze sull'anarchia e sul disordine che il partito spinto potrebbe produrre in Italia. E l'azione di quest'ultimo partito s'avvantaggia non poco, in questo momento, dell'alleanza tacita di quegli elementi reazionari. Questi pochi cenni bastano alla S. V. per farle comprendere come il Governo del Re non può vedere con occhio tranquillo le cospirazioni di Lugano e come egli potrebbe esser condotto a far passi più energici verso un paese che così

male riconosce le leggi di buon vicinato quando spontaneamente l'autorità federale non !stimasse inopportuno di promuovere essa stessa dalle autorità cantonali del Ticino quei provvedimenti che valgano ad impedire che le relazioni fra due Stati Umitrofi ed interessati a vivere in buon accordo abbiano a soffrire pel fatto di pochi mestatori. Noi vorremmo quindi che la S. V. tenesse discorso di tutto ciò col presidente della confederazione e gli facesse intendere come sarebbe vantaggioso pei buoni rapporti fra l'Italia e la Svizzera che avessero a cessare il più prontamente possibile le cause che alle relazioni internazionali fra i due paesi potrebbero recare molto nocumento. Al punto di vista del diritto noi potremmo infatti dolerci che la Svizzera permetta sulle nostre frontiere che si cospiri apertamente contro gli ordini costituzionali del nostro paese; ma abbiamo fiducia che a siffatti richiami in via di diritto non ci voglia costringere l'autorità federale, prendendo essa stessa quei provvedimenti che il mantenimento di buoni rapporti fra i due Stati richiede.

Pregando la S. V. di rendermi conto dei passi fatti al riguardo...

(l) Per la risposta cfr. n. 625.

624

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, BLANC, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R.R. 60. Vienna, 22 ottobre 1868.

La partenza del Conte Collobiano per l'Italia mi offre occasione d'inviare a

V. E. alcuni particolari più riservati relativi alle relazioni dell'Impero colla Rumenia, colla Russia e colla Prussia.

V. E. ricorderà che verso il principio di quest'anno si 'ebbe notizia in questa Cancelleria Impetiale di più strette relazioni stabilitesi tra il Governo di Bukarest ed il Gabinetto di Pietroburgo, relazioni favoreggiate in via più o meno confidenziale dalle influenze che il Governo Prussiano possiede presso il Principe Carlo.

Io stesso ebbi tanto maggior ragione di confermare a V. E. l'esistenza di tendenze russe assai più recise di prima, prevalenti a Bukarest, inquantoché ne trovai non dubbie prove in documenti pervenuti a questa Ambasciata di Russia e che mi furono in parte confidenzialmente comunicati. Il Governo francese egli pure era stato per mezzo di un suo diplomatico informato perfino dell'esistenza di positivi accordi tra la Russia e la Rumenia, come non mancai di riferire in suo tempo a

V. E. D'altronde è più che probabile che siano state scambiate comunicazioni al riguardo tra il Gabinetto delle Tuileries e la Corte di Vienna, poiché non solo sulle cose d'Oriente esistette fin dal colloquio di Salisburgo un completo accordo tra la Francia e l'Austria, ma ancora da un anno in qua (è questa una constatazione debitamente fatta e che non è senza importanza) si moltiplicarono e diventarono di giorno in giorno più intimi gli scambj d'idee tra le due Potenze.

Se sono esatte le informazioni che attinsi alle sorgenti più autorevoli che in sì delicata materia potevano essere a mia disposizione, si sarebbe giunti qui al convincimento che non furono conchiusi atti regolari né scambiate firme tra la Rumenia e la Russia, non volendo questa impegnarsi formalmente verso un'entità politica così precaria come è considerata la Rumenia a Pietroburgo. Ma sarebbero state fatte dalla Russia delle promesse nel senso se non di tutto, almeno di parte del programma così detto Daco-Rumeno che io menzionava a V. E. in un mio recente rapporto.

In ogni modo non sembrò dapprima che l'Austria e la Francia volessero far mostra di attribui])e importanza a tali fatti che venivano loro denunziati, e tale contegno (che s'ignorava se fosse di aspettazione o d'incredulità) durò finché il Governo di Bukarest non sembrò dar seguito praticamente ai disegni che lo si accusava di avere in mira.

Ma quando il Governo Austriaco ebbe constatato (come lo disse all'Incaricato d'Affari di Russia il Ministro delle Finanze Becker, facente l'interim della Cancelleria dell'Impero nell'assenza del Barone di Beust) che alla sola dogana di Salisburgo erano passati dal principio dell'anno in poi cento venti mila fucili ad ago e trenta cannoni, in casse dirette a varii negozianti dei Principati; e quando sopratutto si ebbe notizia presso questo Governo Imperiale che 24 mila altri fucili ad ago di provenienza prussiana erano stati diretti attraverso il territorio russo all'amministrazione stessa della guerra in Bukarest, allora si cominciò qui a chiedere di che cosa si trattasse, e si cominciò pure a Parigi (almeno a quanto si dice qui) a mostrarsi più severi verso il Governo Rumeno.

Sembra che a Bukarest abbiano concepito qualche inquietudine vedendo che a Vienna e a Parigi si è d'accordo per sorvegliare le loro mene. La prontitudine colla quale il Governo Rumeno diede soddisfazione all'Austria pelle recenti persecuzioni d'Israeliti a Galatz, fu considerata qui come un tratto d'insolita prudenza. Non è che i Rumeni temano veramente una occupazione austriaca o turca, o le due combinate; essi sanno benissimo essere questa una troppo grave infrazione al trattato di Parigi del 1856, e tale da mettere l'Oriente sossopra, provocando un intervento russo. Ma mi risulta in modo certo che furono confidenzialmente avvisati della possibilità che venga fatta la proposta, difficilmente rlflutabile da parte perfino della Russia, che una inchiesta venga fatta da Agenti delle Potenze garanti per constatare se siano normali o no gli armamenti in Rumenia. Basterebbe una tale eventualità per rovinare senz'altro i piani del Bratiano.

Nei rapporti del Governo Austriaco col Governo Russo non fu toccato, ch'io sappia, né dovette esserlo secondo ogni probabilità, l'argomento assai geloso delle promesse della Russia alla Rumenia. Ma ebbero luogo colloquj tra il Barone di Beust e questo Incaricato d'Affari di Russia sugli armamenti esagerati della Rumenia, e sulle armi spedite con grave aumento di spesa da Berlino a Pietroburgo, per essere di là inviato a Bukarest. «Così, gli disse il Barone di Beust, la Prussia può quando le piaccia inviare a Bukarest venti o trenta mila "touristes ", che l'indomani del loro arrivo costituiranno un esercito prussiano in perfetto armamento».

Torna qui acconcio l'aggiungere qualche osservazione a quanto ebbi l'onore di scrivere recentemente a V. E. sui riguardi che attualmente si usano tra i Governi di Vienna e di Pietroburgo. Il Principe di Thurn e Taxis, inviato a complimentare l'Imperatore Alessandro a Varsavia, fu accolto con cortesia ancora più segnata che non il Conte Trauttmansdorff a Darmstadt. L'Imperatore si dimostrò contento di poter conversare con maggiore confidenza con un suo conoscente personale, quale è il Principe di Thurn Taxis. Espresse l'opinione che fosse d'interesse comune di evitare di dar luogo per parte dei polacchi a dimostrazioni che egli, per parte sua, non avrebbe tollerato nelle sue provincie limitrofe, se mai se ne sentisse i vi il contraccolpo; ma accompagnò quel suo dire di frasi cortesi, né proferì nulla di simile a quelle offese che i fogli galliziani intenzionalmente pretesero essere state dirette all'Inviato Austriaco. L'Imperatore Alessandro lasciò in somma al Principe Thurn e Taxis l'impressione che Sua Maestà desiderasse di miglorare le relazioni finora assai fredde fra le due Corti.

La spiegazione di quelle avances si potrebbe forse trovare da chi potesse constatare la verità di una asserzione che mi viene fatta da un diplomatico disinteressato nella questione, ma che debbo limitarmi a menzionare senza guarentirla. Si pretende che l'accordo tra la Prussia e la Russia sia assoluto relativamente all'ipotesi che scoppii la guerra tra la Francia e la Prussia; nella quale eventualità la Russia neutralizzerebbe anche coi mezzi più energici l'Impero Austriaco ed avrebbe assicurato per la sua azione nella Penisola dei Balcani l'appo.ggio della Prussia. Ma non si sarebbe invece venuti a complete intelligenze, tra Berlino e Pietroburgo, sulla eventualità in cui gravi complicazioni si producessero dapprima in Ortente; per quel caso la Prussia si riserverebbe tuttora la sua libertà d'azione, come essa, nella primavera del 1866, se la riservava verso l'Italia nel caso che la guerra scoppiasse nella penisola.

625

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, QUIGINI PULIGA

T. Torino, 23 ottobre 1868, ore 18,45 (1).

Nous désirons concourir avec la France au rétablissement de l'ordre dans les finances de Tunis mais je ne puis donner une réponse absolue sur la commission proposée sans avoir sous les yeux le projet de sa composition et de ses attributions. J'attends donc qu'on veuille bien nous les communiquer. Le chargé d'affaires de France m'a communiqué hier un télégramme de Paris d'après lequel on parait s'alarmer de quelques paroles sur Rome prononcées pa.r le ministrc de l'instruction publique dans un discours. On s'inquiète à tort de ces paroles. Elles n'ont pas été exactement interprétées à Paris. Broglio n'a dit et n'a pu dire autre chose que ce que le Ministère a répété plusieurs fois, c'est à dire que la question de Rome ne peut se résoudre par les conspirations et la violence et que la manière la plus prompte d'arriver à une solution est de la laisser se résoudre pour ainsi dire d'elle méme.

626

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. Torino, 23 ottobre 1868, ore 18,45 (1).

Déchiffrez vous méme. Des nouvelles arrivées d'Espagne annoncent que par suite de désaccord des généraux le parti démocratique tend à l'emporter en pro

posant Prim pour président. Puisque aucun des candidats mis ostensiblement en a.vant ne parait avoir des chances faites suggérer adroitement sans que la légation y paraisse la candidature du prince de Carignan avec réversibilité sur le prince Amédée ou mieux encore sur le due de Genes. Ce serait une solution heureuse pour l'Espagne et pour la paix de l'Europe. Notez que le dtlc de Génes va en Angleterre terminer son éducation.

(l) Il telegramma fu inviato a.! Ministero e da questo ritrasmesso a Madrid alle ore 23.

627

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, ROUHER (l)

L. P. Mirabellino, 23 ottobre 1868.

Un mot pour vous dire que j'ai été bloqué par le RoJ qui n'a pas voulu que je voie Menabrea sans lui, il l'a fait venir à Turin d'où le Président du Conseil m'envoie, au moment de son arrivée, une depeche pour me dire de ne pas bouger d'ici où probablement il viendra me voir.

Je ne puis jusqu'à présent rien vous dire, si ce n'est que les dispositions du Roi sont parfaites, mais la pensée de pouvoir remettre son préstige ébranlé, le fait aller trop loin dans ses prévisions et meme dans les accords qu'il voudrait prendre.

Heureusement que votre ami est assez prudent pour ne pas aller au délà de ce qui sera nécessaire pour empecher le mal sans nuire le moins du monde à l'horizon pacifique qui vous entoure.

Vous pouvez cependant, il me semble, faire connaitre en haut lieu les disposistions du Roi, cela ne pourrra faire que du bien.

628

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI. MENABREA

R. 40. Alessandria, 24 ottobre 1868 (per. il 29).

Di ritorno da pochi momenti da Cairo non posso, stante l'immediata partenza del postale, che brevemente rapportare all'E. V. la conferenza che ho avuta col Viceré.

Sua Altezza, alla quale ho rimesso la lettera di V. E. ricevuta col dispaccio

n. 22 serie politica (2), mi ha espresso con gran calore tutta la sua gratitudine verso il R. Governo per il felice risultato della Missione di Nubar Pascià, e tutta la sua riconoscenza verso l'E. V. per il modo come ha accolto e trattato il suo Ministro. Egli mi ha incaricato di essere l'interprete di questi suoi sentimenti. Sua Altezza dà alla nostra adesione maggior peso che a quella delle

altre Potenze per vincere l'ostinazione del Signor De Moustier a non voler accettare la riunione di una Conferenza che non deve decidere, ma studiare -ed è determinato, quando non potesse vincerla, a riunire la Commissione con le Potenze aderenti. Nelle mie risposte mi sono attenuto scrupolosamente al senso del suddetto dispaccio n. 22, e della nota di V. E. a Nubar Pascià. La mia conversazione col Viceré è stata cordiale e intima.

Discorrendo Sua Altezza mi ha detto di aver avuto ufficiale comunicazione della Russia che nomina a suo delegato nella Conferenza il Signor Deher, suo Agente e Console Generale in questa residenza -e dall'Inghilterra e Prussia per ora comunicazioni officiose che lo stesso incarico sarebbe affidato ai loro rispettivi Rappresentanti, naturalmente tutti coadiuvati da persone legali.

Non posso trattenermi di ringraziare l'E. V. di aver preso in considerazione quanto ho avuto l'onore di rapportare in questo serio argomento, poiché se consideravo importante la nostra adesione a studiare una riforma che ponesse un termine ad uno stato di cose nocevolissimo e agli interessi Europei e Egiziani, vi vedevo un'importanza molto maggiore, quella di distruggere la credenza che dov,essimo noi seguire gli altri, e la Francia in particolare. Con questo fatto ora si è provato che abbiamo e vogliamo avere una politica indipendente, e che non ci lasciamo guidare che dai nostri soli interessi. Da questa manifestazione ne sia assicurata l'E. V. che ne ritrarremo grandi vantaggi.

(l) -Da ACR. (2) -Cfr. n. 573.
629

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1358. Madrid, 25 ottobre 1868, ore 12,05 (per. ore 16,05j.

Les ministres de France et d'Angleterre ont adressé une communication par écrit à ce ministre des affaires étrangères pour lui notifier qu'ils ont été autorisés à entrer en rapports officieux avec le Gouvernement provisoire.

630

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

L. P. CIFRATA. Madrid, 25 ottobre 1868.

Par suite des ordres contenus dans la dé~che d'hier (l) j'ai mis une personne en mouvement afin de faire suggérer la candidature du Prince de Carignan, avec la réversibilité entendue, à Olozaga qui pour les raisons que

V. E. connait est le seul qui puisse l'accueillir favorablement dans l'état actuel des choses, mais V. E. comprendra combien il est plus difficile de créer une nouvelle candidature que d'en seconder une surgie spontanément. Souvenez

vous aussi qu'en Espagne on ne peut rien sans argent. Le Due de Montpensier en a dépensé jusqu'ici beaucoup, et n'a réussi qu'à renverser le tròne. Pour avoir des chances de succès il faudrait acheter des gens de lettres et des journaux dans la capitale et dans les provinces.

En attendant la situation de l'Espagne continue à etre grave. Le parti démocratique grandit: on se sent comme sur une pente irrésistible. Quelques uns des ministres se trouvent dans une impasse à cause de leurs engagements. Des personnes sensées prétendent qu'on pourra difficilement sortir de cette situation sans livrer une bataille à la démocratie.

Les représentants de France et d'Angleterre ont reçu l'ordre d'agir de concert et de demeurer spectateurs bienveillants.

(l) Cfr. n. 626.

631

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. 751. Firenze, 26 ottobre 1868, ore 14.

Veuillez écrire une note au ministre des affaires étrangères pour lui déclarer que vous etes autorisé à reprendre rapports officiels avec le Gouvernement espagnol en faisant noter que nos rapports officieux n'ont jamais été interrompus. Concertez vous avec M. Lorenzana pour régler d'une manière formelle cette reprise de rapports officiels.

632

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1360. Madrid, 26 ottobre 1868, ore 14,17 (per. ore 19,45).

Il me revient de plusieurs còtés que les chefs du Gouvernement ici sont très montés contre nous parceque nous ne l'avons pas encore reconnu. Il n'y a qu'une reconnaissance officielle et sans réserve qui peut encore nous rétablir dans l'opinion de ces messieurs.

633

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. 752. Firenze, 26 ottobre 1868, ore 15,20.

Pour votre règle dans les arrangements que vous prendrez avec le ministre des affaires étrangères en vue du rétablissement des rapports officiels, je crois opportun de vous faire remarquer qu'un acte de reconnaissance officiel n'est possible selon les usages diplomatiques que si le Gouvernement provisoire se décide à .envoyer de nouveaux représentants auprès des cours étrangères pour lui notifier sa constitution. L'admission du nouvel envoyé et la réponse à ses lettres de créance constituent ce qu'on appelle l'acte de reconnaissance. Vous pouvez assurer M. Lorenzana que l'envoyé du Gouvernement provisoire serait reçu et reconnu camme tel par le Gouvernement du Roi.

634

L'INCARLCATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1362. Londra, 27 ottobre 1868, ore 0,35 (per. ore 3).

Quoique lord Stanley ait été absent depuis à peu près une semaine, le Cabinet anglais a décidé de reconnaitre le Gouvernement provisoire espagnol de la manière suivante: on a pris occasion de la circulair,e adressée par M. Lorenzana aux représentants étrangers pour répondre au moyen d'une note impliquant reconnaissance de l'ordre de choses provisoirement en vigueur sans envoyer lettres de créance nouvelles à l'agent diplomatique. France d'accord a vec Angleterre pour suivre conduite identique (l).

635

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. 753. Firenze, 27 ottobre 1868, ore 2,30.

Je ne comprends guère pourquoi les chefs du Gouvemement seraient montés contre nous (2). La démarche que vous avez faite depuis le quatorze bien que simplement verbale avait une portée au moins égale à celle que les représentants de France et d'Angleterre viennent à peine de faire. Ceux-ci se sont, en effet, bomés à reprendre les rapports officieux tandis que nous avons déclaré que nous n'avions jamais considéré les rapports camme étant interrompus et que nous espérions pouvoir bi.entòt renouer des relations officielles. Quoi qu'il en soit j'espère que la nouvelle démarche dont je vous ai chargé aujourd'hui (3) aura calmé toutes les susceptibilités: faites remarquer qu'elle implique un pas de plus que celle des autres représentants, car il ne s'agit plus de simples rapports officieux mais de la reprise des rapports officiels qui aura lieu aussitòt que vous aurez concerté avec M. Lorenzana les détails de l'exécution. Je crois

«Faites donc remarquer que la Note dont vous aurez sans doute passée déjà [copie] au ministre des affaires étrangères est bien rée!lement quelque chose de plus que celle des représentants de France et d'Angleterre ".

qu'il n'y ait en tout ceci un malentendu regrettable. Sachez bien et faites savoir que nous tenons surtout à étre agréables au Gouvernement espagnol, mais qu'en tout cas l'intention formelle du Gouvernement du Roi est que vous ne fassiez jamais moins que vos collègues de France et d'Angleterre.

(l) Questo telegramma fu ritrasmesso a Madrid con t. 754, pari data, ore 13, con la seguente istruzione:

(2) -Cfr. n. 632. (3) -Cfr. n. 631.
636

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1363. Londra, 27 ottobre 1868, ore 15,40 (per. ore 19,35).

Je vous confirme mon dernier télégramme d'hier (1). Lord Stanley vient de me dire qu'il a pris pour base vis-à-vis du Gouvernement espagnol ce qu'on a fait pour la république française en 1848. Il ne salt rien des projets de Girgenti, mais il croit qu'il est venu en Angleterre pour faire des placemens d'argent. Rien de nouveau sur Tunis. Mylord attend réponse de Paris. « Vous savez, m'a-t-il dit, mes intentions. Je ne m'opposerai pas à l'introduction du commissaire français dans la section administrative, mais en la subordonnant au pouvoir de la section contròle, j'empécherai que l'autre ne devienne un dictateur ».

637

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1364. Madrid, 27 ottobre 1868, ore 15,50 (per. ore 20,25).

Je viens de remettre au ministre des affaires étrangères la note portant la résolution du Gouvernement du Roi de reprendre les relations officielles. La communication a été accueilli.e avec grande satisfaction et gratitude. Sous peu de jours on enverra à Florence un représentant du Gouvernement provisoire.

638

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA. AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 6. Bucarest, 27 ottobre 1868 (per. il 3 novembre).

Le voci che già da qualche tempo circolavano qui e a Costantinopoli dell'esistenza di un trattato di alleanza fra Prussia e Rumenia, Serbia e Russia acquistano ogni giorno novello credito a Bucarest, ove massime nei crocchi dell'opposizione, e da taluno degli Agenti qui accreditati se ne discorre come di fatto compiuto.

Persona meritevole di fede arrivata ieri da Stambul asserisce perfino che la Sublime Porta possiede già il testo del trattato, e che ne abbia dato comunicazione riservata al Signor Bourée.

Senza poter menomamente guarantire l'esattezza di questi rumori, è mio debito riferirli all'E. V. che possiede mezzi più estesi per farli all'uopo V·erificare. Vuolsi che in compenso dei fucili ad ago forniti dalla Prussia, i Principati di Rumenia e di Serbia si obblighino a suscitare complicazioni in Oriente nel caso che Austria e Francia, riunite od isolate, volessero opporsi al compimento dell'unità nazionale Tedesca, e che la Russia s'impegni a mantenere l'integrità del loro territorio contro ogni attacco che dall'Austria o dalla Turchia possa essere per avventura tentato.

Il mio arrivo in questa capitale è di troppo fresca data perché io potessi indirettamente verificare quanto precede, né ho creduto d'altronde opportuno intrattenerne il Signor Bratiano per non discostarmi punto da quella riserva che mi viene imposta dalle circostanze, e che l'E. V. spero sarà per approvare. So per altro che a quegli Agenti Esteri che hanno creduto interpellarlo, il Signor Bratiano ha recisamente negato l'esistenza del trattato, dicendo essere il Governo Principesco ben alieno dalla politica delle avventure, e geloso di custodire la sua neutraLità senza compromettere sé e la tranquillità generale con atti inconsulti.

Ciò non ostante non ho mancato né mancherò di tener d'occhio la cosa, e se dovessi confrontare le impressioni che ricevo qui alla giornata con quelle precedentemente avute a Costantinopoli, sono propenso a credere, non all'esistenza di un trattato, ma ad eventuali intelligenze scambiate fra i Gabinetti di Bucarest, Berlino e San Pietroburgo.

A prescindere dalla naturale influenza che la Prussia è chiamata ad esercitare sui Principati Uniti, è noto che numerosi agenti Russi li percorrono senza posa, che il Governo Rumeno affida volentieri uffizii pubblici a persone devote alla Russia, e che nel suo ultimo viaggio fatto a Berlino il Signor Bratiano si ebbe accoglienze significative dal Conte di Bismarck. La preponderanza Francese scema invece coll'incalzare degli avvenimenti, ciò che ha fatto dire a qualche giornale che l'Agente Imperiale a Bucarest aveva in questi giorni presentato al Governo Moldo Valaco una nota nel senso del recente articolo pubblicato nel Costitutionnel, relativamente alla politica adottata dall'attuale Gabinetto del Principe Carlo.

Il Signor Mellinet, che vidi ieri, dicevami di non aver fatto nessun passo in proposito; ma mi confidò amichevolmente che egli aveva ricevuto due lettere dal Marchese di Moustier, delle quali non farebbe uso che in qualche circostanza già prevista. In esse il Ministro degli Affari Esteri di Francia gli ordina di domandare al Signor Bratiano spiegazioni categoriche sulla condotta che egli intende seguire, non comprendendo il Gabinetto delle Tuileries come mentre tutte le potenze emettono apprezzamenti identici sulle cose di Rumania, vogliansi qui accentuare simpatie russe o prussiane.

P. S. Un telegramma arrivato oggi a questo Ministero della guerra annunzia che la Sublime Porta rilascia i 50 mila kilogrammi di polvere.

(l) Cfr. n. 634.

639

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, ROUHER (l)

L. P. Mirabellino, 27 ottobre 1868.

Le 24 courant j'ai été demandé à Turin par une dépéche de Menabrea que j'ai vu seui, le Roi étant malade. Le Président du Conseil a commencé par me debiter toutes ses doléances et ses griefs.

Avant tout il se plaint, avec raison à mon avis, du retard et du peu d'empressement que l'on met à Paris à répondre aux actes et co.mmunications.

Cette néglicence blesse, dit-i!, l'amour propre du Roi et embarrasse le Ministère, non seulement, mais tout le parti modéré qui fait de bons rapports avec la France la base de sa politique et pour mon compte j'ai été surpris que la réponse à la note qui devait etre expédiée d'un jour à l'autre à mon départ de Paris, ne soit pas arrivée à sa destination.

Si l'en est encore temps, je me permets de vous recommander qu'en faisant bien ressortir la différence entre le Ministère Rattazzi, qui a obligé la France à intervenir dans les Etats Pontificaux et le Ministère Menabrea qui a fait tous Ies efforts pour réparer le mal, vous le fassiez de façon à ne pas blesser le sentiment national, tout en faisant tomber la responsabilité de I'intervention sur ceux qui l'ont provoquée.

Le général Menabrea a été surpris de l'importance qu'on a donné à Paris aux paroles prononcées par M. Broglio, Ministre de l'Instruction publique qui a parlé de Rome dans un sens que véritablement il ne valait pas la peine de s'en offusquer. Si l'on connaissait bien l'esprit de l'Italie, je suis convaincu qu'en France on donnerait bien moins d'importance à cette malheureuse question romaine, dont au fond personne ne songe.

A faire contrepoids à la phrase de M. Broglio dans un sens odieux et blessant, sont venues les paroles prononcées par le général Dumont dans un banquet militaire. Franchement entre les deux il n'y a pas à hésiter, le général Dumont est un clérical enragé, ennemi connu de l'Italie qui vous a créé déjà tant d'embarras et que vous avez le tort de laisser à Rome, et M. Broglio est un des rares Ministres italiens, ayant beaucoup d'énergie, n'hésitant nullement à agir contre le parti avancé et qui est, comme bien d'autres, un des partisans le plus avoué de l'alliance française.

Vous me direz que ne connaissant pas toutes ces nuances, vous prenez les faits et les paroles telles qu'elles vous arrivent. C'est la faute de vos représentants, si au Quai d'Orsay on n'est pas bien informé du personnel qui compose le Ministère. Quant aux sentiments du général Dumont, je n'ai pas besoin d'en parler pour établir l'antithèse. Un incident passé de peu d'importance auquel personne n'a songé à Paris, c'est la décoration de la Légion d'Honneur donnée à Cassagnac quelques jours

après avoir écrit un article contre l'Italie. Evidemment entre la décoration et l'article, il n'y avait aucun rapport, mais Menabrea, tout en étant très français, ne péche pas par la largesse des vues.

Au sujet de ma lettre au Roi et à ses conclusions, le Président du Conseil, m'a en grande partie repété les paroles de Sa Majesté et on le voyait influencé par Iu,i seulement Menabrea plus prudent penche pour une entente préalablement sympathique entre la France et l'Italie, afln de se préparer en cas d'événemens à entrer dans Ies vues prématurées du Roi.

Le Président du Conseil croit qu'il est indispensable avant tout d'opérer entre Ies deux Gouvernements un rapprochement ostensible qui, sans nuire aux intéréts moraux français dans la question romaine écarte tout ce qu'il y a de blessant pour le sentiment national ìtalien et amène Ies deux Gouvernemens à avoir des rapports tels à ne laisser en Europe aucun doute sur le ròle de l'Italie, où personne n'est prussien excepté une partie de la fraction de la Chambre qui est actuellement ralliée à Rattazzi.

Des deux Agents prussiens qui étaient à Florence un, Bunsen, a été déjà rappelé, Bernhardi, attaché militaire, va quitter aussi Florence sur les instances réitérées de notre Gouvernement.

En peu de mots, croyez-moi bien, vous ferez de l'Italie ce que vous voudrez, mais il faut, si vous ne pouvez retirer prochainement les troupes de Rome leur faire sentir que cette occupation ne sera pas de Iongue durée.

On reconnait généralement que la France a bien fait d'intervenir, car sous le Ministère Ratazzi l'Italie a manqué à sa parole, mais personne ne comprend que vous prolongiez indéfiniment le séjour dans Ies Etats Pontificaux, quand le Pape ne tenant pas compte de vos conseils se dispose à proclamer la condamnation de tous les principes modernes, qui sont la raison d'étre du Gouvernement de l'Empereur, tandis que l'Italie que vous blessez en lui montrant tant de méfiance, est au fond disposée à courir avec vous Ies chances d'une guerre.

J'ai vu ce que De Launay, Ministre d'Italie à Berlin a envoyé à Florence et je suis à méme de vous assurer que la conduite du Gouvernement du Roi n'est nullement équivoque et que le mécontentement prussien ressort à chaque instant dans la correspondance confidentielle de notre Ministre à Berlin.

C'est le modus vivendi qu'il faudrait ouvertement proposer et appuyer à Rome.

Je sais que cela est dans les instructions données à Banneville, mais il ne faut pas que les choses continuent à traciner en longueur, nos Chambres vont s'ouvrir vers le 15 Novembre au plus tard et il faut que d'ici là, si le Roi ne peut pas annoncer dans son discours le rappel de l'expédition française, p1hlsse au moins déclarer que la France emploie ses efforts pour amener si non une conciliation, au moins un'état d'acquiescement qui assure l'existance du Pape, indépendamment de l'occupation française.

II est important que la parole que le Roi prononcera soit sympathique à l'alliance française pour éviter que Rattazzi qui sera par la gauche porté à la Présidence puisse réussir. Sa réussite serait, naturellement la chute du Ministère actuel et il faut qu'il soit bien constaté en Italie que l'événement au pouvoir de M. Rattazzi serait pour le moins le signa! d'un réfroidissement des rapports entre I'Italie et la France.

'17 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

Pardonnez-moi, cher ami. si je vous envoie des idées confuses, j'ai rendezvous à Florence pour la semaine prochaine, où je m'arreterai quelques jours, le Roi y sera et je causerai avec Digny, qui est la tete du Ministère.

Avant de me rendre à Paris, je pourrai vous apporter des idées bien précises et exactes. Le travail sur les cardinaux et la Cour romaine est terminé, je l'apporterai avec moi.

Vous pouvez dire à l'Empereur que sa réponse au télégramme du Roi à propos de la cote a produit le meilleur effet, le Roi sent la nécessité de se rapprocher de Lui et je crois qu'on aurait tort de ne pas tenir compte de ses bonnes dispositions.

Le Prince Napoléon, a dft beaucoup insister pour voir Sa Majesté, les idées du Prince et surtout la façon de les exprimer, blessent le Roi, qui commence à avoir une crainte salutaire des idées avancées, surtout depuis un mois de séjour qu'il vient de faire à Turin.

A l'Espagne personne ne songe sérieusement, il est cependant vrai que dans le commencement le Roi a eu quelques vellétés, mais l'Ita1ie ne verrait pas volontier s'éloigner le Prince Amédée, la dynastie n'étant nullement assurée par le Prince Humbert, et quant à la combinaison du Prince Thomas, fils du Due de Genes, avec le Prince de Carignan comme Régent, elle germe très vaguement dans l'esprit de Menabrea, mais rien de sérieux.

On s'occupe avec activité des finances qu'on voudrait restaurer, ce qui explique l'importance de Cambray Digny à l'énergie duquel tout le monde rend justice.

(l) Da ACR.

640

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

T. 757. Firenze, 28 ottobre 1868, ore 16,15.

Une dépeche arrivée à agence Havas résume d'après la Neue Freie Presse un discours où Beust se serait exprimé à notre égard dans les termes suivants: « Autriche sur pied très amica! avec l'Italie, mais l'Italie pas toujours libre ». Je ne comprends guère le sens de cette dernière phrase, et je désirerais obtenir éclaircissements propres à écarter toute interprétation facheuse (l).

641

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1367. Vienna, 29 ottobre 1868, ore 14,05 (per. ore 14,55 l.

Beust m'a fait observer qu'il a parlé en comité secret comme simple député et qu'ainsi son discours n'a aucune portée officielle. Il constate cependant que

la phrase relative à l'Italie a été changée par les journaux. Il a dit qu'il ne faut pas oublier que !es agitations italiennes dans le Tyrol et dans I'lstrie se font en dehors du Gouvernement italien, qui n'est pas à meme de Ies empecher. J'ai eu un long entretien dont je vous envoy.e aujourd'huy meme la relation (l). Il m'a paru que !es affaires des Principautés menacent de devenir très sérieuses. C'est un véritable point noir dans l'horizon à ce que m'a dit Beust.

(l) Cfr. nn. 641 e 646.

642

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, QUIGINI PULIGA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1368. Parigi, 29 ottobre 1868, ore 19,50 (per. ore 22).

Moustier vient de me dire que l'Angleterre lui a fait parvenir son entière adhésion au projet de deux commissions chargées de retablir l'ordre dans les finances de Tunis et qu'elle allait en conseiller l'adoption au Gouvernement de Sa Majesté. Moustier croit que la question est urgente et que si le Gouvernement de Sa Majesté acceptait en principe son projet on pourrait nommer de suite une commission composée d'un secrétaire de légation italien, français et anglais qui discutera la composition et les attributions de ces commissions.

643

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. 758. Firenze, 30 ottobre 1868, ore 17,50.

M. Zarco nous a remis copie de la circulaire de M. Lorenzana. Vous ferez remarquer que nous n'avons pas attendu cette communication pour vous autoriser à passer la note par Iaquelle nous avons déclaré que nous continuerons à maintenir nos bons rapports avec l'Espagne en attendant l'établissement de relations officielles et régulières. Nous désirons que le nouveau ministre espagnol soit ici avant l'ouverture des Chambres qui aura lieu vers le 20 novembre.

644

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 31. Berna, 30 ottobre 1868 (per. il 2 novembre).

In adempimento degli ordini che V. E. m'impartiva nell'ossequiato dispaccio confidenziale di questa serie n. 14 in data del 22 ottobre corrente (2) mi sono recato dal Presidente della Confederazione e gli ho esposto come da qualche

tempo il Governo Reale non avesse argomento di lodarsi della maniera con cui nel Ticino si osservavano i rapporti di buon vicinato verso l'Italia. Vi si tollerava infatti che il territorio di quel Cantone divenisse un riparo nel quale convenivano da ogni banda a ritrovo i nemici degli ordini stabiliti nel Regno per cospirarvi sicuri a scalzarne le basi; ed aggiungevo come la presenza attuale del Mazzini in quella repubblica vi divenisse ora come altra volta occasione a causa continua di riunioni di tal sorta nelle quali siedono spesso gli uni accanto agli altri, uomini di opposta fede politica, che non hanno fra loro altro di comune che l'odio contro la forma nella quale si è costituita l'unità italiana.

Né tacqui dei libelli, dei proclami, degli Statuti settarj che dalle officine Ticinesi si spargono nelle diverse parti della penisola al colpevole fine che vi divengano seme di discordia, di disordine, di rivoltura.

Mostrai nello stesso tempo al Signor Dubs i brani del giornale in cui si movevano per indiretto accuse al R. Governo, di ciò che non avesse fatte con fermezza pari a quella d'altri Gabinetti presso la Confederazione, le rimostranze opportune per far cessare un simigliante stato di cose.

Il Presidente riprovò grandemente i fatti che io gli denunciava ed aggiunse di essere certo che erano egualmente riprovati dal Governo Ticinese (il quale invero si trova oggi composto in grande maggioranza di uomini temperati ed onesti) e prosegui dimostrando come le malleverie pubbliche così cantonali che federali impediscono si potessero fornire in quest'occasione all'Italia tutte le prove di buona volontà di cui i Governi Svizzeri sono animati verso di lei, e continuò dicendo che il Governo Reale, fedele come egli è alla costituzione italiana, sentirà di leggeri e comprenderà le difficoltà di diverso ordine che nell'impossibilità di poter fare provvedimenti preventivi, s'incontrano quando si vogliono impedire riunioni momentanee, come sono quelle di cui giustamente si lagna e di cui si renderà tanto meglio ragione se si considera che il potere esecutivo non ha in !svizzera né dalla costituzione né dalla legge, i poteri che da queste sorgenti trae il Governo italiano.

Respinse poi con piglio di sprezzo le insinuazioni contenute nell'articolo del giornale che io gli aveva presentato ed affermò che la Svizzera usava di eguale deferenza verso tutti i suoi vicini; dichiarò l'autore di quell'articolo evidentemente molto male informato, poiché non conosceva né i luoghi né le persone e molto meno i Governi e le cose di cui scrive. Se invero fosse stato convenientemente ragguagliato avrebbe saputo quali sono state le risposte del Consiglio Federale in ordine alle interpellanze che gli furono mosse dal Governo francese intorno al contegno osservato dalle autorità ginevrine in presenza dei congressi, dove i nemici per così dire, personali dell'Imperatore convenivano da tutte le parti della Francia e dell'Europa per fare atto di ostilità morale contro di lui: Napoleone III che conosce per propria esperienza, le cose della Svizzera, si acquetò alle leali risposte del Governo Federale.

I diversi Congressi che gli stessi uomini hanno tenuto in !svizzera in quest'anno, fra i quali principalmente quello di Berna, protestano contro quelle insinuazioni. Accennò pure al monumento che i nemici della Russia erigevano, sono alcuni mesi, in Rapperswyl, con canti, con feste e banchetti e con ogni maniera di declamazioni contro l'autocrata del Nord, e senza reclamo da parte del ministro russo. Il Presidente poneva fino alle sue parole chiedendomi: se dopo ciò che i Ticinesi avevano fatto nel 1848 contro l'Austria a favore della nazionalità italiana, fosse avvenuto nulla in !svizzera che somigliasse a quanto vi si era fatto negli ultimi tempi in odio principalmente alla Francia ed alla Russia.

Riconobbe il Signor Dubs dopo le repliche che mi feci lecito di fare al suo discorso, che uno Stato non poteva permettere che stranieri usurpassero il suo territorio per trincerarsi dietro la costituzione del paese e di là recare offesa agli Stati limitrofi, compromettendo le condizioni della pace e del buon vicinato fra nazioni naturalmente amiche, e che perciò quando non potesse invocare i diritti che gli garantiscono i trattati tra l'Italia e la Svizzera, non esiterebbe certo ad ordinarne l'internamento, ciò che farà d'altra parte riguardo a tutti quelli che ricevono l'asilo in quel Cantone a titolo di rifugiati politici e sul conto dei quali il Governo Reale avesse motivo di muovere querela, e qui mi ricordò i nomi di persone designate alla vigilia delle autorità federali, siccome inquinate di gravi reati politici che si trovarono poi muniti dei più regolari recapiti ed in possesso della residenza ordinaria nel paese di cui avrebbero violato le leggi.

Il Presidente della Confederazione non pertanto sul riflesso che gli feci fare che vi erano certi limiti oltre i quali i principj di propria conservazione, diventano la sola legge degli Stati, mi promise che il Consiglio Federale avrebbe fatte presso il Governo ticinese le pratiche opportune per indurlo a fare quanto sia in suo potere affinché cessino per quanto dipende da lui, le cause che danno origine ai reclami del Governo Reale. Mi sarà comunicato quando chlil sia, il risultamento di tali pratiche, ciò che io mi recherà a premura di portare a cognizione di V. E.

Espressi in altro mio dispaccio il desiderio di essere posto in grado di corrispondere telegraficamente in cifra col Console di Lugano, per essere congruamente informato di ciò che vi si passa ed eccitare all'occorrenza il Consiglio Federale a fare i provvedimenti che i nostri interessi in quella contrada potrebbero per diversi riguardi, richiedere. Ripeto a V. E. l'espressione di tale desiderio (l).

(l) -Cfr. n. 646. (2) -Cfr. n. 623.
645

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. II. Pietroburgo, 30 ottobre 1868.

Nel rivedere il Signor Stremoukow, capo del dipartimento Asiatico, e reduce da un suo viaggio all'estero, m'intrattenni con lui alquanto sull'attitudine che

Per verità, le risposte che Ella ebbe da quest'ultimo benché cortesi nella forma, sono poco concludenti nella sostanza. A nol sembra che all'autonomia cantonale in simili materie dovrebbe logicamente corrispondere anche la responsabilità llmitata al solo Cantone che non osserva l rapporti di buon vicinato cogli Stati limitrofi. Ma, finché per domandare che siffattl rapporti alano osservati nol dobbiamo ricorrere all'autorità federale, da questa abbiamo diritto di aspettare provvedimenti conformi al sentimenti che la medesima professa a nostro riguardo».

il Governo e la Chiesa ortodossa di Pietroburgo, saranno per prendere, rispetto alla futura convocazione del Concilio Ecumenico di Roma. La lettera del Pontefice ai Vescovi d'Oriente fu già comunicata, egli è alcun tempo passato, al Patriarca di Costantinopoli, il quale rispose non poter riconoscere nel Vescovo di Roma il diritto di convocare concili universali della Chiesa cristiana, e conseguentemente riguardare la lettera del Pontefice come non avvenuta. Né una dissimile risposta avrà la Sede di Roma dal Sinodo di Pietroburgo, dalle cui norme, siccome l'E. V. ben sa, l'archimandrita greco di Constantinopoli non si diparte. Invito della Curia Romana ai Vescovi Cattolici dell'Impero non fu fatto per anche, né potrebbesi prevedere per l'appunto, dicevami il Diplomatico Russo, il modo in cui una comunicazione di tal natura potrebbe loro pervenire; né questo potrebbe essere del resto che ufficioso e indiretto vista la interruzione di rapporti ufficiali tra i due Governi e l'assenza di un Nunzio Apostolico da questa capitale. Ma è da credere che per una o per un'altra via una qualsiasi comunicazione sarà fatta; ora ad ogni modo la podestà ecclesiastica di questo paese si appiglierà ad un temperamento mediano fra l'assenso ed il rifiuto, non disdirà in massima ai Vescovi Cattolici la facoltà d'intervenire al Concilio, per non osteggiare troppo apertamente nel cospetto delle grandi nazioni il principio della libertà religiosa, ma non lascerà che vada in effetti se non un picciol numero di prelati cattolici, quelli cioè, che offrono maggior slcurtà al Governo rispetto alle cose politiche della Polonia e che si mostrarono in altre occasioni di spiriti più rimessi ed obbedienti all'autorità dello Czar.

Toccai altresì nel discorrere col Signor Stremoukow della Rappresentanza in via secolare che avrebbero potuto reclamare non solo i Governi cattolici ma eziandio secondo il rito ecclesiastico già stato in uso, i dissidenti. Risposemi ch'egli non credeva il Governo Britannico e gli Stati protestanti della Germania esser disposti a ripristinare l'uso di questo diritto; non certo la Russia, poiché la mala disposizione reciproca della Corte di Roma con quella di Pietroburgo per quanto ha tratto alla Polonia, e le attinenze inevitabili che le controversie religiose hanno con la politica renderebbero la posizione di un inviato Russo troppo malagevole e secondaria nel Concilio, poiché egli potrebbe esser chiamato a giustificare o difendere atti che la potestà amministrativa dell'Impero non può consentire a ripetere che dal suo proprio discernimento. Nulla di buono, ei soggiunse non si può aspettare, del rimanente dal Consesso di Roma, l'ingerìmento e il consiglio del Ministero laicale non potrebbero svolgere quella Corte dai suoi erronei apprezzamenti sulle cose del tempo, e farla progredire oltre le idee teocratiche del medio evo in cui essa perfidia a màntenersi; onde il miglior partito si era quello di lasciare i Vescovi nella loro piena libertà venire a quelle conclusioni che loro parrebbero migliori senza assumer verun impegno che inducesse l'autorità secolare ad accettarle o a respingerle. Replicai che un tal procedimento era certo conforme a quei principii di libertà e di eguale autonomia della Chiesa e dello Stato che per noi si professavano, ma che nell'atto pratico era da vedere se il modo stesso avrebbe tenuto gli altri Potentati, e i cattolici in ispezialità, fra i quali oggi entra innanzi a tutti la Francia, che sotto colore di conciliazione religiosa potrebbe valersi delle sue pratiche con Roma in così solenne occasione come di un istrumento per esercitare la sua dominazione nei paesi latini e segnatamente in Italia. Al che rispondeva ancora il

mio interlocutore che ove la Francla questo racesse, non sarebbe per parte di lei che un errore di più, di cui darebbe la pruova il successo, poiché la desiderata conciliazione non potrebbe tornarle che impossibile, onde l'una di queste due cose risulterebbe: o una cessazione di buoni rapporti con Roma clericale, chiaritasi pervicace e insanabile, o la connivenza della Francia istessa nell'opera del regresso ultramontano, e in questo ultimo caso il miglior alleato della civiltà contro di lei sarebbe appunto l'imprudenza che ciò facendo essa commetterebbe.

(l) Sl pubbllca qul un brano del d. 15 che Menabrea indirizzò a Melegari in risposta a questo rapporto:«La ringrazio della fattami comunicazione, ed approvo 11 llnguaggio che Ella ha tenuto al Signor Dubs.

646

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 62. Vienna, 30 ottobre 1868 (per. il 2 novembre).

Non telegrafai a Firenze intorno al discorso del Barone di Beust poiché non potei vederlo prima di oggi: ciò Le spiega il mio silenzio. Appena però ebbi ricevuto il di lei telegramma (l) insistei per aver un abboccamento ed esco ora dal suo Gabinetto.

Io non mi dissimulai al Barone di Beust il sentimento di profonda sorpresa, che aveva in me prima, nel Ministero poscia, suscitata la frase del suo discorso concernente l'Italia. Né i commenti svariati fatti dai giornali erano tali da menomarne in noi l'amarezza. La dichiarazione che l'Austria era in relazioni amichevoli coll'Italia, riusciva al mio orecchio come un'amara ironia, dapoiché egli dichiarava che queste relazioni erano fragili e non sicure, non essendo il mio Governo libero ed indipendente nella propria azione. Io avea quindi, aggiunsi, avuto incarico dal Ministero italiano di chiedergli una categorica dichiarazione sul valore di quella frase incresciosa non dissimulando che l'Italia non poteva lasciar porre in dubbio la dignità e la lealtà della propria politica.

Il Barone di Beust incominciò col dirmi che egli era lietissimo di porgerml le spiegazioni da me chieste e che egli era stato tanto dolente delle interpretazioni date alle sue parole dai giornali in ordine alle relazioni dell'Austria colle altre nazioni, che aveva stimato opportuno trarne argomento per una circolare agli agenti austriaci all'estero. Egli però teneva a stabilire che le sue parole non erano state raccolte da nessun stenografo che erano state stranamente interpretate da quelle poche persone che erano presenti e che avevano promesso il silenzio, e che infine egli le aveva pronunziate non come Ministro, ma come semplice Deputato. In stretto dritto egli avrebbe dunque potuto declinare qualunque spiegazione, rimandare il Ministro d'Italia e gli altri Diplomati che erano venuti a parlargli su questo argomento, al discorso che egli pronunzierà in seduta pubblica se pure egli crederà necessario pronunziare un discorso su questo argomento. Ma siccome egli pone la maggiore lealtà nei suoi rapporti coi Ministri esteri, egli non ha nessuna difficoltà di dichiarare che egli non ha mai inteso colle sue parole offendere la dignità e porre in dubbio l'indipendenza della politica italiana. Le sue parole alludevano alla questione Triestina ed alla

questione tirolese. Egli non dissimulò al Comitato che in quelle due provincie dell'Impero austriaco esistevano aspirazioni ostili alla nazionalità austriaca, favorevoli alla nazionalità italiana. Queste aspirazioni che il Gabinetto Menabrea con una lealtà che si pregia di riconoscere si astenne sempre dal favorire, esistono tuttavia e trovano incremento nelle mene dei partiti estremi e possono malgrado la ferma volontà del Governo italiano generare delle complicazioni imprevedibili. A rendere più chiaro il concetto egli mi assicurò anzi di aver sottoposto alle considerazioni dei membri del Comitato un confronto fra il trattato di Vienna e quello di Praga. Ambedue questi trattati che l'Austria considera come termini che non possono essere mai oltrepassati, sono considerati in Prussia ed in Italia come tappe ad un mutamento più radicale, con questa differenza che mentre in Italia questa è credenza dei partiti estremi, in Prussia invece è credenza del Governo medesimo.

Io risposi che dal momento che n Primo Ministro austriaco riconosceva che n pericolo di una complicazione era indipendente dalla ferma volontà del Governo italiano, e che non poteva sorgere che dal fatto che popoli soggetti all'Austria avevano aspirazioni verso un altro Governo, io non potevo certamente in queste sue parole vedere un'offesa alla dignità del mio paese. A me bastava porre in chiaro che la politica del Gabinetto Menabrea era franca, leale, e che egli lungi dall'incoraggire ostili dimostrazioni all'Austria e nel Tirolo e nell'Istria, vi si era recisamente opposto, e che nessuna parola o di speranza o di incoraggimento era mai venuta ad aumentare quelle nazionali aspirazioni. Se dal suo canto l'Austria temea che quelle agitazioni potessero fare nuovamente suo malgrado avvampare la guerra, l'Italia dal suo canto non lo temeva perché la sua politica oggi non è in balia di nessuna influenza illegale, essa è governata da poteri legittimamente costituiti essa è rappresentata da un governo anzitutto leale che non ha due programmi, uno palese e l'altro occulto. L'Italia vuole sinceramente la pace, colla pace ella intende rinvigorirsi, il suo programma è la pace all'estero, l'ordine all'interno. Noi non teniamo a meravigliare il mondo colla nostra ingratitudine, non ostentiamo di dimenticare i servigi resi all'Italia e dalla Francia e dalla Prussia e dal partito rivoluzionario, ma né la Francia né la Prussia all'estero ci trascineranno mai nell'orbita dei loro interessi, ma il partito mazziniano all'interno non ci trascinerà mai là dove la prudenza e la sapienza civile ci vietano di andare. L'alleanza d'Italia è quindi sicura e sicura è la sua parola, se altri pericoli non minacciassero l'Austria il Barone di Beust avrebbe potuto esimersi dal chiedere al Comitato i poderosi armamenti che ha chiesto. E a questo proposito non potei a meno di richiamare l'attenzione del Cancelliere dell'Impero sulle sue parole che erano suonate come una minaccia alla pace d'Europa e che erano venute nuovamente a turbare con nuovi sospetti il credito pubblico.

Egli mi rispose che non conveniva esagerare il senso delle sue parole che bisognava sopratutto riflettere che quelle parole erano state pronunziate in un comitato segreto e che erano state sopratutto pronunciate per vincere il dubbio di alcuni deputati sull'opportunità della nuova legge militare. Egli si affrettò di aggiungermi che ha fede nella pace! Ma che però in mezzo ai straordinari armamenti di tutte le altre nazioni, l'Austria non poteva non doveva rimanere disarmata, a meno che ella non volesse annullare la propria influenza, a meno che ella non volesse abdicare il suo posto di grande potenza. L'amministrazione attuale vuole rialzare il paese e la dinastia in faccia all'Europa. E poiché essa non ha potuto conseguire questo scopo professando una politica onesta, spingendo la propria abnegazione fino agli estremi limiti, respingendo le lusinghe e le offerte di una nazione alleata e potente, essa vuole attenerlo con una grande dimostrazione del paese, e questa dimostrazione al suo avviso non può essere che la legge sull'armamento; legge che non intende ad offesa ad alcuno, ma a difesa della patria, legge che non è una provocazione, ma che contiene un salutare ammonimento. Imperocché non si deve dimenticare che per molti l'esistenza medesima dell'Austria è un'offesa. A questo proposito egli mi disse che la situazione attuale gli avea tornato a mente una pubblicazione satirica fatta a Berlino nel 1848. Sotto il ritratto di Robespierre si leggevano queste parole:

Il cittadino Robespierre' che recide la testa agli altri cittadini, perché vuole avere egli solo una testa. Ed oggi è la testa dell'Austria che si vuole recidere perché non si vuole un'altra testa in Germania.

Questi armamenti, continuò, non accennano però ad un alleanza piuttosto con una che con un'altra potenza: accennano soltanto ad assicurare l'indipendenza della propria politica. E su ciò egli affermò di essersi chiaramente spiegato nel Comitato e specialmente con un deputato della parte fautrice dell'unità germanica, il quale sosteneva che l'Austria necessariamente avrebbe dovuto essere in una guerra alleata o colla Francia o colla Prussia. Il Barone di Beust non ammette questa alternativa ed è appunto per sfuggire a questa alternativa che egli vuole che il proprio paese sia forte per modo che l'azione dell'Austria sia completamente indipendente dalle influenze straniere. Egli intanto avrebbe preferito che queste sue parole fossero state ascoltate soltanto da quelli a cui erano dirette, ma poiché il segreto fu rotto egli stima opportuno spiegarsi chiaramente, imperocché la sua politica che non ha misteri, è una politica prudente non aggressiva; e se egli ha dovuto accennare a delle eventualità guerresche, non ne è conseguita però che queste eventualità sieno inevitabili o prossime. Egli che dirige la politica del suo paese non poteva tacerne ai Comitati, ma dovea accennarle, perché il Comitato fornisse al Governo il modo di farvi fronte. Egli spera che il credito scosso un momento si rassicurerà, e che anzi troverà nelle sue parole un nuovo argomento per credere al mantenimento della pace. Un'Austria forte oggi è un elemento di pace non un elemento di guerra, la debolezza dell'Austria sarebbe invece un incitamento alla guerra.

E se egli ha parlato al Comitato della questione dei Principati come una questione molto grave, egli è che questa questione mantiene sull'orizzonte politico un punto molto nero. Questa questione bisogna che sia risolta o per parlare più acconciamente bisogna che il Governo dei Principati rientri nella via normale tracciata dal trattato di Parigi. Lo stato attuale non è comportabile. L'Austria non può tollerare che la Rumenia diventi un formidabile arsenale di cannoni, di fucili ad ago, di pistole, non può comportare che essa diventi il convegno dei sotto ufficiali della landwehr prussiana in congedo, non può ammettere che un paese che ha la propria neutralità e la propria esistenza garentita da tutte le maggiori potenze organizzi un'armata che non può avere altro scopo che assalire altrui.

Io come Ella può ben credere, Signor Ministro, su questo terreno ardente fui riservatissimo. Mi limitai ad esternare dei dubbj su alcuni fatti, mi limitai ad attenuarne altri; e sempre coerente col nostro programma non tralasciai di parlare alto sulla necessità per tutte le nazioni di mantenere la pace, e di dileguare i sospetti di guerra che mantengono l'Europa in una condizione quasi peggiore che se la guerra fosse dichiarata.

Mi sono studiato di riprodurre, quasi testualmente le parole del Ministro Austriaco che fecero sopra di me una profonda impressione! Debbo però aggiungere che ad ogni tratto il Barone di Beust parlava però delle sue aspirazioni pacifiche, della speranza in lui fermissima che la pace non sarà turbata. Le sue parole mi tornarono alla mente quel Dio pagano che si compiaceva a sollevare le tempeste per poscia dissiparle. In quanto però all'Italia lo trovai animato da sentimenti amichevoli, e dolente della interpretazione data alle sue parole. Anzi chiuderò la lettera accennando due sue dichiarazioni che confermano pienamente la mia opinione.

Il discorso essendo caduto incidentalmente sulla questione romana, io accennai al grande progresso che questa questione ha fatto in Europa ed a provare ciò osservai che delle tre nazioni che intervennero nel 1848 in favore della potestà temporale, la sola Francia oggi perduta nel proposito, imperocché né la Spagna, né l'Austria oggi romperebbero per ciò la guerra all'Italia ed il Barone di Beust mi rispose accentuando la sua risposta: Oh! certamente no!

Il discorso essendo poi caduto sulle cose di Spagna, il Ministro Austriaco mi disse che il suo Governo era favorevole all'unione iberica, perché ciò sarebbe stato un trai-d'union tra la Francia e l'Italia.

(l) Cfr. n. 640.

647

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, QUIGINI PULIGA

T. 759. Firenze, 31 ottobre 1868, ore 15,10.

Veuillez dire au chevalier Nigra que le général Menabrea lui a envoyé par la poste la copie de sa lettre. Dites lui que S. E. désire qu'il fasse en sorte que l'on sache à quoi s'en tenir avec la France pour les affaires de Rome avant l'ouverture des chambres car il y aura des interpellations à ce sujet.

648

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, QUIGINI PULIGA

T. 760. Firenze, 31 ottobre 1868, ore 15,10.

Veuillez dire au marquis de Moustier que nous acceptons en principe son projet relativement aux finances tunisiennes et que nous destinerons bientòt la personne qui devra nous représenter à Paris à la commission chargée de discuter l es propositions françaises (l).

"

(l) Con t. 761, pari data, Maffel venne informato del contenuto di questo telegramma.

649

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 762. Firenze, 31 ottobre 1868, ore 16.

Le Gouvernement français a formulé un projet pour le rétablissement des finances tunisiennes et proposé nomination d'une commission internationale à Paris qui serait chargée de le discuter. L'Angleterre s'étant empressée d'adhérer à cette proposition nous avons cru ne pas devoir refuser notre acceptation en principe. Je crois qu'il est convenable de notre part d'avertir de tout cela confidentiellement Gouvernement prussien et lui suggérer de réclamer d'étre admis à cette commission.

650

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, A VIENNA, PEPOLI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI (l)

D. Firenze, 31 ottobre 1868.

Dalle comunicazioni che Ella ha precedentemente ricevuto da questo Ministero la S. V. venne regolarmente informata delle disposizioni del Governo del Re circa le riforme giudiziarie proposte dal Vicerè d'Egitto come rimedio allo stato poco soddisfacente delle cose esistente attualmente in quel paese. Ella ha potuto vedere che senza prender impegni sulla sostanza delle riforme medesime, noi abbiamo aderito ad esaminare in una conferenza di Commissari delle varie Potenze i rimedi che si potrebbero applicare per migliorare nell'interesse di tutti gli ordinamenti giudiziari di quel paese. Ora il R. Agente in Alessandria riferisce che quei paesi i quali, come noi, aderirono alla proposta di riunire una Conferenza in Alessandria avrebbero già manifestato il pensiero di fa&si rappresentare dai loro consoli ed Agenti in Egitto. Questa decisione, ove dovesse realmente essere presa per parte del Governo presso il quale Ella è accreditata, avrebbe per effetto di porci in una posizione un poco imbarazzante e delicata. Non converrebbe per una parte all'Italia di non imitare l'esempio delle altre Potenze perché, ove questo esempio non seguisse, nuocerebbe alla giusta considerazione del suo Agente e Console Generale. Ma per altra parte non si può a meno di riflettere che, trattandosi di quistioni che toccano interessi gravissimi e diversi, chiunque sarà chiamato a trattarne dovrà necessariamente entrare in contestazioni col Governo locale, ed esporsi in ogni caso alle inevitabili critiche delle persone che osteggiano per principio o per interesse qualsiasi mutazione dello stato attuale.

Pare certo che il Commissario il quale sarà chiamato a discutere in seno alla Commissione le riforme da introdursi non potrebbe facilmente conciliare l'indi

pendenza necessaria in simili negoziati coll'interesse di conservare, tanto verso il Governo locale quanto verso la Colonia quei buoni rapporti che sono indispensabili per la trattazione dei numerosi affari quotidiani che si presentano in quel paese. Epperò il Governo del Re bramerebbe che dalle varie potenze si adottasse il principio di farsi rappresentare nella conferenza riguardante la riforma giudiziaria di Egitto da un commissario appositamente delegato, anzi che dai loro Agenti e Consoli residenti in quel paese.

La prego pertanto di interessare confidenzialmente in questo senso il Governo presso il quale Ella risiede... (l).

(l) Ed., con qualche variante, in LV 21, p. 23.

651

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 280. Berlino, 31 ottobre 1868.

J'ai fait visite aujourd'hui à M. de Thile dans le but de m'assurer s'il y avait quelque fait nouveau dans la politique. J'eusse voulu préparer une expédition à confier au Courrier Anielli arrivé ce matin et qui repartira ce soir meme pour Paris. Mais comme il s'arretera peut etre quelques jours dans cette dernière ville, je préfère écrire par la voie ordinaire de la poste.

Le Sous-Secrétaire d'Etat m'a parlé avec quelque ressentiment de l'Autriche à propos du discours prononcé par le Baron de Beust dans la Commission du Reichstag pour le budget de l'armée. Les membres de cette Commission ont été 1nvités, il est vrai, à ne pas ébruiter·le Iangage du Chancelier, mais d'après Ies commentaires des journaux offkieux, nommément de la Freie Presse, on serait presque autorisé à conclure qu'il contrastait avec une interprétation pacifique. Si le Baron de Werther actuellement en congé, avait été à son poste, il eut vraisemblablement été chargé de formuler quelques interpellations. M. de Beust, en passant en revue les diverses Puissances, se serait prononcé d'une manière peu amicale vis-à-vis de la Prusse.

J'ai fait l'observation que de la part de cet homme d'Etat ce n'avalt été peut etre qu'un artifice oratoire pour faire accepter, sans trop de murmures, le projet de loi qui fixe le chiffre norma! de l'armée à 800 mille hommes.

M. de Thile m'a dit alors confidentiellement qu'il y avait dans la situation un ensemble de faits qui jetaient un jour un peu suspect sur les allures du Cabinet de Vienne. « Nous trouvons trop souvent, ajoutait-il, la piste du Baron de Beust ».

Ainsi depuis les conférences militaires à Munich (dépèche de cette Légation

N. 277) (2), le Cabinet de Vienne a transmis une dépeche au Gouvernement Bavarois pour se plaindre qu'on se fut occupé, en dehors de la participation de l'Autriche, des forteresses comme propriété immobilière, et pour faire ses réserves. Le Prince de Hohenlohe a exprimé quelque surprise d'une semblable communication sur ce fait entièrement inexact. En effet, bien antérieurement, il avait été

convenu entre les Etats du Midi et la Prusse que ces forteresses deviendraient la propriété des Gouvernements territoriaux respectifs, et qu'on ne s'occuperait dès lors que de la question de liquidation du matériel de guerre, question déjà résolue pour ce qui concerne l'Autriche. Cette puissance a méme déjà accepté les trois millions environ destinés à solder sa quote part. Cette somme lui a en outre été payèe pour bien établir qu'elle était désormais désintéressée dans les affaires de l'Allemagne. Le fait méme de son acceptation d'une indemnité pécuniaire était en quelque sorte une nouvelle consécration du Traité de Prague. Aussi dans les Conférences précitées, comme le Prince de Hohenlohe n'a pas manqué de le relever, on s'était abstenu de délirer sur un point déjà résolu. L'insistance du Gouvernement Impérial ne donne pas moins matière à réflexion.

En outre, on s'obstine à Vienne à considérer le nouveau Gouvernement des Principautés Danubiennes sous un Hohenzollern, comme un avant-poste prussien. On voudrait rendre le Cabinet de Berlin solidaire et jusqu'à un certain point responsable des prétendues ag.itatìons dans ces contrées contre la Sublime Porte. Ce serait dans ce sens que le Prince de Metternich se serait exprimé depuis son retour récent à Paris.

V. E. saura mieux que moi ce qu'il peut y avoir de vrai à cet égard, et si on peut soutenir non sans quelque raison, je le crains, qu'à Vienne une attitude hostile contre la Prusse est le supreme désir d'un parti qui est loin d'avoir perdu de son influence.

M. de Thile m'a aussi dit quelques mots sur les trois cartes géographiques publiées à Paris, accompagnées d'explications auxquelles on attribue une origine officielle.

Si leur publication n'a pas alarmé les esptits en deça du Rhin, où l'on est parfaitement décidé à se défendre contre toute agression, elle n'a pas rassuré davantage sur les chances de l'avenir, car ce jeu de cartes pourrait aussi signifier la ferme intention de l'Empereur de maintenir à tout prix le status quo.

La Reine Douairière de Prusse part aujourd'hu.i pour se rendre à Mentone par la voie de la Suisse et de la France, sans traverser nos Etats.

(l) -Per le risposte cfr. nn. 664 e 671. (2) -Non pubbl!cato.
652

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

ANNESSO CIFRATO CONFIDENZIALE (l). Lisbona, 31 ottobre 1868 (per. il 7 novembre).

Faisant suite à mes récentes communications télégraphiques et par dépéches, je dois ajouter, d'après le nouveau entretien avec le Roi, que Sa Majesté continue dans ses idées peu hybériques, et m'a dit dernièrement que si méme l'union hybérique devenait possible actuellement comme union personnelle, il ne l'accepterait qu'à la condition d'un double plébiscite, celui d'Espagne pour lui offrir la couronne, et celui de Portugal pour lui permettre de l'accepter.

Or cette dernière manifestation nationale, j'en ai la conviction, aboutirait à un refus plus ou moins unanime, car dans toutes les classes il y a accord manifeste contre l'union hybérique, et tout le monde ici dit ouvertement, que la Couronne Espagnole pour le Roi de Portugal serait le signal de l'abdication forcée à la Couronne de Portugal. M. D'Avila entre autres, qui va bientòt Ministre à Paris très agréé par l'Empereur, ne cache pas ses idées anti-hybériques, et m'a dit lui méme ces jours derniers, qu'actuellement l'union hybérique dynastique est une impossibilité et serait un danger; la seule combinaison possible dans ce sens sans danger, serait celle de Roi Don Fernando, si Sa Majesté voulait et pouvait se décider à de venir Roi d'Espagne; probablement accepté par l'Europe et l'Espagne il pourrait facilement reconstituer le pays, et pendant son règne préparer l'union hybérique pour sa dynastie, car dans un laps de tems plus ou moins long les deux pays s'habitueraient à l'idée d'une future union, que la similitude des institutions et l'utilité de fondre les intéréts matériels réciproques, rendrait plus tard acceptable, et méme désirable. Mais jusqu'ici, je tiens de bonne source par tous ses intimes, que le Roi père, ne veut pas entendre parler de sa candidature Espagnole et maintient l'opinion qu'il m'a nettement manifestée à deux reprises, et que j'ai eu l'honneur de vous relater par mes télégrammes. Sa Majesté m'a aussi témoigné ses regrets de voir l'opinion publique européenne poser sa candidature ce qui rend, le cas échéant, m'a -t-il dit, plus difficile et plus ingrat le refus. Je savais qu'il avait eu méme l'idée d'un manifeste personnel pour se déclarer d'avance contre cette candidature, mais que le Roi fils l'avait empéché.

En effet tout dernièrement le Roi Don Fernando a fait allusion avec moi à l'idée de ce manifeste, témoignant le regret de ne pas pouvoir le faire préalablement.

Reste encore à voir dans le cas que la Couronne Espagnole, d'après le voeu de toute la nation et avec l'adhésion de l'Europe, serait officiellement offerte au Roi Don Fernando, si Sa Majesté ne sacrifierait pas à la dernière heure ses idées personnelles, pour se dévouer à la reconstitution de l'Espagne et au futur profit de la maison de Bragance.

Comme complément d'information je dois constater que les deux Rois m'ont souvent laissé entrevoir toute leur satisfaction si un Prince de la maison de Savoie devient Roi d'Espagne. Et le Roi régnant m'a dit méme hier au soir nous le recevrions les bras ouverts (sic).

Naturellement je me suis toujours tenu dans la plus grande réserve à ce sujet, soit envers Leurs Majestés soit envers tout le monde.

(l) Al r. 29, che non si pubblica.

653

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ULISSE BARBOLANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. Firenze, 2 novembre 1868, ore 16,10.

Sénateur Marliani a reçu à Bologne lettre importante d'Espartero qui demande avec urgence réponse. J'envoie Malvano ce soir à Bologne à votre rencontre, il vous expliquera la chose.

654 L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1370. Londra, 2 novembre 1868, ore 21 (per. ore 23).

Lord Stanley se montre satisfait que nous ayons accepté en principe la proposition française à l'égard de Tunis. Il en a fait autant et pense que les négociations puissent étre longues et difficiles. Il croit que tout différend s'aplanira. Il parait surtout s'applaudir que l'Angleterre et l'Italie aient par leur conduite conciliante òté tout prétexte d'irr.itation à la France.

655

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 63. Vienna, 2 novembre 1868.

Avendo saputo che il Conte Andrassy si sarebbe recato ieri coll'Imperatore in Vienna pregai il di lui segretario di volergli chiedere in nome mio in qual giorno e in qual ora avrei potuto vederlo. Egli invece mosso da una squisita cortesia venne egli stesso alla Legazione italiana, ed abbiamo avuto insieme un abboccamento che durò oltre due ore.

Credo utile che ella conosca Signor Ministro l'opinione di questo uomo di Stato eminente intorno alla situazione generale d'Europa e reputo che le sue parole potranno spargere molta luce sugli avvenimenti che si maturano. Io gli parlai del discorso tenuto dal Barone di Beust al Comitato, discorso che avea generato molta preoccupazione in Europa che avea fatto risorgere le voci di guerra ed aumentati i sospetti e le paure degli uomini di finanza.

Il Conte Andrassy mi rispose che non conosceva i termini precisi di quel discorso, ma che non conveniva esagerarne l'importanza, imperocchè era stato pronunziato nello scopo evidente di ottenere la sanzione dal Reichsrath della legge militare. Io convenni con lui a questo proposito: gli notai però che le parole del Ministro degli Affari Esteri intorno alla questione dei Principati erano gravissime e che egli in privato colloquio lungi dall'attenuarle le avea aggravate. Questa questione, soggiunsi, mi pare quasi minacciosa alla pace d'Europa e ciò mi preoccupa seriamente, poichè l'Italia desidera che l'orizzonte politico si rischiari, non che l'orizzonte si offuschi. E per parlare con piena franchezza io temo che i fautori di una politica bellicosa in Francia non essendo riusciti di suscitare la guerra per la questione tedesca abbiano era ai Principati volte le loro mire ed ivi cerchino pretesti ai loro fini guerreschi.

Il Conte Andrassy mi rispose nettamente ed io ripeto le sue testuali parole: «Io ne sono intimamente convinto ed è perciò che credo che il Gabinetto di Berlino segue nei Principati una pessima politica che nuocerà, non gioverà alle sue aspirazioni, ed il Conte Bismark mescola (fait le jeu) in questo momento le carte dei suoi avversari». Io gli feci notare però che tanto il Governo Rumeno quanto il Gabinetto di Berlino negano di seguire una politica aggressiva e che anzi affermano di seguire una linea di condotta puramente legale e difensiva. Il Principe Carlo intende e vuole organizzare un esercito a difesa del paese, ma egli assicura che non nutre nessuno spirito aggressivo contro le Potenze vicine, di non participare a nessuna mira ambiziosa d'ingrandimento.

Il Conte Andrassy mi rispose tessendomi una lunga istoria dei rapporti fra l'Ungheria e la Rumenia, che sotto altra forma mi avea narrato nell'abboccamento che ebbi seco a Pesth, abboccamento di cui le diedi speciale relazione.

Egli in sostanza mi disse che l'occupazione fatta dagli Austriaci nel 1848 dei Principati aveva lasciato nelle popolazioni una pessima memoria! Gli ufficiali, i soldati aveano veramente usato modi e mezzi riprovevoli. Allorquando però egli venne al potere diede incarico al Signor Eder, che rappresenta l'Austria in quei paesi, di studiare modo di rendersi simpatico il Governo rumeno e di vincere gli antichi pregiudizi. Lo incaricò di dichiarare in quei paesi che l'Ungheria non solo non nutriva nessuna mira di annessione, ma che se il Governo dei Principati gli fosse offerto sopra un piatto d'oro, lo avrebbe respinto. E la ragoine di questa politica è chiara ed evidente. Gli ungheresi sono sette o otto milioni, prevalgono oggi dunque per numero e per forza nell'at.:: tuale agglomerazione. Aggiungere nuove nazionalità, aumentare il numero degli elementi eterogenei al nucleo nazionale, sarebbe lo stesso che volere diminuire l'importanza, l'influenza, l'autorità del Governo magiaro di Pesth. L'Ungheria sa che le conquiste indeboliscono e non vuol cadere negli errori in cui cadde il Gabinetto austriaco nel 1815, che volendo assimilare al nucleo tedesco delle nazionalità vigorose e prevalenti per numero, apparecchiò la caduta dell'Impero austriaco nel 1866 e paralizzò e limitò la sua sfera di azione. L'Ungheria quindi non vuole annessioni con nuovi paesi, respinse l'annessione colla Galizia, che era sta,ta proposta, come respingerebbe l'annessione coi Principati. L'Ungheria si trova nel caso di quel mercante a cui offrono d'imbarcare nel fragile suo vascello un ricco tesoro di oro e di gemme, nè lo può accettare perchè il peso sarebbe soverchio per esso e sommergerebbe miseramente nel mare! Le più ricche le più floride provincie di Europa non possono tentare l'ambizione degli Ungheresi, perchè le più belle e le più floride provincie d'Europa aumenterebbero le influenze ostili alla nazionalità ungherese. Il Governo Ungherese non desidera che una sola cosa la indipendenza della Rumenia e la sua salda costituzione. Non sarà il Gabinetto di Pesth che si allarmerà dei progressi interni che faranno i Principati, il Gabinetto di Pesth sarà lieto di vedere sulle sue frontiere costituirsi un nuovo stato poderoso, forte, ordinato, indipendente. Ciò che non può tollerare l'Ungheria è una Rumenia provocatrice, bordello dei partiti estremi, schiava delle influenze russe, campo delle ambizioni prussiane, perenne minaccia alla pace ed alla tranquillità d'Europa. Il Conte Andrassy non intende giudicare la linea di condotta del Gabinetto Bratiano dalle parole dei suoi avversari, vuole giudicarlo sugli scritti dei suoi amici e dei suoi fautori! Egli si fa generalmente fare degli estratti dei giornali rumeni ispirati dal loro Governo. Ora tutti questi giornali predicano la santa guerra dell'indipendenza, invocano l'annessione della Transilvania, aprono sottoscrizioni per acquìstare armi onde rivendicare la propria nazionalità. E pub

bUcano senza alcun ritegno nell'occasione del tiro nazionale una nuova carta della Rumenia in cui si vedono annesse al Regno di Rumenia e raccolte sotto lo scettro di Carlo Primo, molte provincie ungheresi e molte provincie turche! E come ciò non bastasse, si raccolgono armi in tutta l'Europa, si apparecchiano cannoni, si importano intere legioni di operaj prussiani e di garibaldini travestiti.

Il Ministro Ungherese non crede esatte tutte queste voci, crede che i fautori della guerra, le adulterino, le aumentino per servire ai loro fini, ma però converrebbe esser ciechi per non vedere nelle agitazioni rumene la mano potente di quella Russia, che vorrebbe distruggere uno ad uno tutti i baluardi che le chiudono la via d'Oriente. Ora perchè la Prussia presta la mano a questa politica? Perchè un Principe di Hohenzollern vuol coprire colla sua personalità gli artificj di una propaganda slava che è più potente del Gabinetto russo e che agisce per proprio impulso e senza esserne forse sospinta dal propria governo? Ma non vede egli che la Rumenia ha una nazionalità distinta, come la Magiara, che se egli vuol salvare la sua nuova patria dalla inondazione slava, dovrebbe tenersi stretto alle altre nazionalità distinte, che contro a quella inondazione sono i più saldi sostegni! Sogna egli per la Rumenia le sorte della Polonia, questo baluardo che è miseramente caduto e la di cui caduta è stata il più gran trionfo della influenza slava! Ma non intende egli che la poli.tica del suo governo come la politica del governo ungherese debba consistere a rialzare i baluardi caduti non a distrugg.ere o indebolire quelli che rimangono tuttora in piedi.

Nè più savia a suo avviso in questa questione è la condotta del Gabinetto di Berlino! Egli si piacque a ripetermi alcune considerazioni da lui sottoposte ultimamente ad un amico del Conte di Bismarck nella speranza che egli a quest'ultimo le riferisse! Se nel 1866 la sua politica fu accorta, savia nel suscitare contro l'Austria e l'Italia e l'Ungheria e le nazionalità diverse, oggi la politica che suscita contro l'Ungheria, la Rumenia, è una politica che è completamente, radicalmente falsa e pericolosa. La Prussia desidera l'unità germanica! Su questa via essa è sicura di non incontrare mai un soldato ungherese! Il Gabinetto d~ Pesth tiene che l'unità dell'Impero austriaco si mantenga, perchè l'Ungheria isolata non sarebbe abbastanza forte per resistere all'inondazione slava, ma in quanto alla questione della Germania del Sud ed alla linea del Meno essa è completamente indifferente. Ma non è completamente e non può esserlo alla questione dei Principati, questa questione è per i Magiari una questione di vita e di morte, e piuttosto che lasciare, aumentare l'influenza russa, piuttosto che lasciare risorgere l'elemento slavo, essa darebbe coraggiosamente e risolutamente di piglio alle armi.

Se nell'attuale costituzione della Monarchia austriaca l'elemento tedesco non è sufficiente vigoroso e potente per trascinarla in una guerra per impedire. l'annessione della Germania del Sud e per farle accogliere le lusinghe e le promesse di un potente vicino, egli è che l'Ungheria pesa con tutti i suoi inter.essi in un senso contrario, egli è che l'Ungheria vuole la pace e che essa non intende compromettere la sua indipendenza, la sua libertà, le sue finanze per una guerra tedesca! Ora quale interesse ha dunque la Prussia a spingere nella questione dei Principati l'Ungheria nel partito della guerra, è sapienza politica quella di aumentare i propri nemici! È accorgimento di uomo di stato di rin

·lil /!ocumenti diplomatici -Set·ie I -Vol. X

vigorire in Austria i partigiani della guerra e legare la questione tedesca colla questione slava! Crede forse il Conte di Bismarck che il contegno dell'Ungheria non abb!a influito nella soluzione del Luxembourg, crede egli pure che la politica del gov.erno dell'Ungheria non paralizzi le velleità guerresche della Francia e non cooperi efficacemente a mantenere la pace! E quale scopo raggiungerebbe la Prussia se colla sua condotta nei Principati facesse scoppiare la guerra! L'appoggio dell'Inghilterra le verrebbe meno, obbligherebbe l'Austria la Turchia ad uscir dal loro ritegno, invece di un duello colla Francia in un terreno favorevolissimo per il suo esercito, avrebbe una guerra accanita contro mezza Europa e dovrebbe stendere la mano alla Russia che è la più grande minaccia che pesi sulla civiltà e sull'indipendenza tedesca! Ha dimenticato la Prussia il tempo in cui Niccolò con un suo cenno le facea firmare la pace di Olmiitz? Sono quei tempi che egli vuoi far rivivere in Europa? Il Conte Andrassy crede e spera fortemente che la Prussia si fermerà a mezzo cammino, intenderà da qual lato sono i suoi amici, e cesserà di dare all'Europa liberale e costituzionale il triste spettacolo di un Re che non sdegna cercare i suoi alleati nel fango delle passioni rivoluzionarie, alleanze che ad un giorno dato diventano un gran pericolo per i governi regolari che le r"anno stipulate. La Prussia che è forte contro l'Austria, perchè in Germania un'egemonia austriaca è impossibile, sarebbe molto meno forte contro le idee repubblicane! Badi che non vengano uomini al governo cisleithano che audaci come il Conte di Bismarck non favoreggino non suscitino il partito repubblicano unitario e neEa Germania, nel Sud e nel Hannover e dovunque! Badi che il partito repubblicano non rubi la bandiera dell'unità alla vecchia casa di Hohenzollern! Badi che contro la Prussia l'Austria morente nvn susciti la Germania contro il prussianismo il germanismo! Il Presidente del Consiglio del Ministero Ungherese intende non disconoscere anzi apprezzare le aspirazioni tedesche della Prussia, ma egli crede per le ragioni esposte che la linea di condotta da lei tenuta oggi la allontana, non l'avvicina alla meta dei suoi desideri. Per fare l'unità Germanica, per ottenere che questa unità non sia una minaccia per l'Europa e per la Francia e che sia ac~ettata dagli uomir.i di Stato bisogna che la Prussia cooperi a rialzare i baluardi distrutti da!l'ino;.1dazione slava! Senza rialzare quei baluardi l'unità germanica non potrà mai essere compiuta e tollerata dalle altre nazioni.

Il Principe Napoleone gli ha parlato in questo senso, ed il Principe Napoleone ha perfettamente ragione. La questione polacca è connessa alla questione tedesca. Per riassumere le sue parole conc~use dicendo: Il discorso del Barone di Beust contiene una pa.rte grave ed è quella intorno ai Pr.incipati, questa questione può modificare la politica ungherese che è f.ino ad ora sempre stata per la pace. L'Ungheria non minaccia alcuno, non è ostile, ma è simpatica all'idea germanica, ma siccome essa vuole la propria indipendenza, essa è costretta a volere che sia mantenuta integrale la costituzione dell'attuale monarchia austriaca, perchè in essa la razza magiara trova la migliore e piu efficace garantia della propria esistenza. Egli confida che la Prussia farà senno, che il Principe Carlo rientrerà in se medesimo, e che si evitino così all'Europa delle conflagrazioni che non sono nell'interesse di alcuno soprattutto non sono nell'interesse nè dt3ll'Ungheria e dell'Italia.

Io confermando queste sue dichiarazioni e cioè che l'Italia vuole fermamente la pace, e aggiungendo che la politica attuale del Gabinetto è francamente accentuata in questo senso tentai però sapere quale era la linea che si adotterebbe in questo proposito dalla Francia e dall'Austria, se vi era veramente pericolo che da questa questione divampasse la guerra, ma debbo dire che il Conte Andrassy fu in ciò riservatissimo ripetendo però sempre in varie frasi il concetto che la condotta attuale del Governo di Rumenia non era comportabile e che la situazione attuale non potea durare.

Da molte altre parole raccolte dal Conte Andrassy mi confermai pure nell'opinione che tra i due Gabinetti ungherese e cisleithano non regna il miglior accordo e che la lo,ro politica interna è diametralmente opposta.

L'Imperatore è dominato dal Gabinetto Ungherese, è partigiano della politica ungarica: subisce e non ama i suoi Ministri tedeschi che gli promettono molte cose che non mantengono poi. La condotta del Gabinetto presieduto dal Conte Andrassy nella questione del matrimonio civile ha gettato un balsamo nel cuore dell'Imperatore ma però lo ha reso più insofferente del suo gabinetto Viennese. Non si può negare che da quaJche tempo si è formata a Vienna e nelle provincie tedesche una corrente democratica che invade tutto e spaventa grandemente la Corte!

Il Barone di Beust non ha molta influenza sui suoi colleghi cisleithani e credo che se l'Imperatore di l!'rancia non è sopra un letto di rose, non vi è neppure il suo alleato l'Imperatore d'Austria.

Da ciò che sta per sorgere? Io confesso che desidero altamente che si eviti la guerra per il bene del mio paese e per il bene dell'Italia, ma ho però l'animo turbato da gravi preoccupazioni. Non temo una guerra prossima, ma temo che la matassa si aggruppi per modo che in tempo più o meno vicino non sia più possibile scioglierla che colla spada.

Io però ho molte speranze nel molto senno di V. E. e credo che se all'Italia riuscisse a dissipare gli equivoci finchè è tempo, perchè credo che molti equivoci sono fra l'Austria e la Prussia a fare ascoltare parole assennate e prudenti al Governo Rumeno, forse si potrebbe conseguire l'inevitabile scopo di paralizzare gli sforzi dei partigiani di una guerra in Europa. Io non ho d'uopo di dire che nelle parole adoperate tanto col Barone di Beust quanto col Conte Andrassy io mi sono sempre fino all'ultimo scrupolo attenuto aHe istruzioni avute da

V. E. e sono sicuro che le mie parole non potranno certo dar motivo in nessun modo a recriminazioni o lagnanze.

656

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1372. Parigi, 3 novembre 1868, ore 13,47 (per. ore 15,40).

J'ai vu l'Empereur. Je l'ai trouvé dans des dispositions très pacifiques. Ce que je lui ai dit du langage que m'a tenu le Roi de Prusse l'a confirmé dans ces dispositions. Je lui ai aussi parlé de Rome. Détails par courrier.

657 IL MINISTRO A MADRID, CORTI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 158. Madrid, 3 novembre 1868 (per. il 12).

Alla relazione fatta per dispaccio della mia conversazione, col Signor Olozaga, desidero d'oggi aggiungere alcune parole confidenziali.

Nel principio d'essa, egli mi parlò della poca fede che il Governo Italiano aveva prestato ai suoi sforzi rivoluzionarii, quasi volessi farne un rimprovero. Gli risposi gli Italiani esser gelosissimi della loro indipendenza, e però non potersi permettere ingerenza alcuna nelle cose interne degli altri Stati, e questa essere l'unica ragione per cui il Reale Governo aspettava che gli Spagnuoli facessero essi stessi la rivoluzione; quando lo credessero opportuno. Ed il mio interlocutore non potè a meno d'ammettere che aveva avuto perfettamente ragione.

Discorrendo poscia della questione Romana, egli soggiunse a vere questa rivoluzione reso un gran servigio all'Italia, rimuovendo quella spada di Damocle della intervenzione spagnuola che ad essa stava continuamente sul capo.

Cui replicai non esservi dubbio che questo mutamento era per portarci effetti salutari notevolissimi, ma questi essere piuttosto d'un ordine morale che materiale, poiché l'Italia non aveva mai avuto serio timore dell'intervenzione spagnuola.

Per quanto riguarda il riconoscimento, il Signor Olozaga ebbe pure a riconoscere che il Governo Italiano non poteva far di più, imperocché checche se ne dica, non v'è finora in Europa che il Governo d'Italia che abbia riconosciuto officialmente questo Governo provvisorio, e che abbia dichiarato d'ammettere un suo inviato officiale, e quindi con lettere di credenza.

Debbo aggiungere, a questo riguardo, che tutti i membri del Governo furono oltremodo soddisfatti della sostanza e della forma della relativa comunicazione. Né credo realmente si potesse mostrare maggior sollecitudine, imperocché non si poteva pretendere che i Governi esteri riconoscessero il nuovo stato di cose, prima che esso fosse riconosciuto dal proprio paese, e la Nota di riconoscimento porta la data del 26 corrente, mentre la Giunta di Barcellona non fece la sua sommissione che il 27 del medesimo.

658

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 64. Vienna, 3 novembre 1868.

Ieri vidi il Duca di Gramont: io non lo avevo veduto dopo il suo ritorno e dopo, sopratutto, il rincrescioso incidente del mese di Agosto (l). Egli fu, in

apparenza, meco assai cortese ed entrò subito a parlarmi degli affari spagnuoli. Mi disse che il Barone di Beust lo aveva incaricato, or sono parecchi giorni, di scrivere al Marchese di Moustier che il Gabinetto Austriaco vedrebbe di buon grado la unione iberica, parendogli che ciò potesse essere un trait d'union fra la Francia e l'Italia. Il Marchese di Moustier, continuò il Duca di Gramont, mi ha incaricato di ringraziare il ministro austriaco di questa comunicazione, di fargli osservare che la Francia che sarebbe simpatica alla unione iberica, non vuole pronunziarsi nè in un senso nè in un altro perché crede che qualunque pressione diplomatica sarebbe funesta e pericolosa; ma che però essa constata con vera soddisfazione il riavvicinamento dell'Austria all'Italia.

Il Barone di Beust a cui l'Ambasciatore francese riferì queste parole, rispose che egli non ammetteva per nulla che la Francia constatasse il riavvicinamento dell'Austria all'Italia, perché, dopo la guerra, i rapporti fra questi due paesi erano sempre stati intimi e molto migliori di quelli fra l'Italia e la I<'rancia. Egli piuttosto amerebbe constatare che i rapporti fra la Francia e l'lt.alia fossero migliorati, ma egli non lo spera fino a tanto che H Governo Imperiale non avrà abbandonato Oàché) il Santo Padre.

Il Barone di Beust vagheggia una stretta alleanza fra la Spagna rigenerata, la Francia, l'Austria, l'Italia e l'Inghilterra, ma bisogna per dare solide basi a questa alleanza troncare la questione del Potere temporale e creare al Papa spirituale una posizione eccezionale e splendida.

Il Duca di Gramont mi riferiva ciò in un tono che sapeva assai d'ironia e soggiunse: ma n è la Francia nè n talia vorranno mai abbandonare il Santo Padre. L'Italia ha bisogno di conservare nel suo grembo questa specie di preoccupazione, che distrae il suo pensiero da molti mali interni.

Io risposi con pari ironia al Duca; ma questi però mi diede una grata notizia ed è che egli aveva ragione di credere che l'Italia e la Francia stavano negoziando una nuova convenzione per lo sgombero di Roma. Una promessa dell'Italia ora si può accettare con grande sicurezza, conchiuse il diplomatico francese! L'esperienza dell'anno rassato credo avrà fatto rinsanire molte teste inferme! Io non poteva a meno, essendo il discorso caduto sopra le questioni politiche, di toccargli dell'incidente del mese di agosto. Il Duca con una leaUà che lo onora, facendomi però promettere di non parlar più della cosa al Barone di Beust per non riscaldare delle vecchie polpette (testuale) mi diede a leggere la Nota in cui egli rende conto al suo Governo dell'abboccamento che io ho avuto col Barone di Beust e che dal medesimo gli era stato riferito. Egli dunque racconta come al mio ritorno d'Italia io mi sono recato dal Barone di Beust per attenuare l'effetto della pubblicazione della Nota del Conte di Usedom, e che, avendomi il Barone di Beust risposto, che egli non dava a quella Nota nessuna importanza, io me ne fossi rallegrato osservando che in questo modo non sarebbe stata turbata la speranza di un riavvicinamento fra la Prussia e l'Austria, riavvicinamento che molto rassicurava l'Italia: a che n Barone di Beust avrebbe risposto che quel riavvicinamento non era possibile, che egli meravigliava che quel riavvicinamento tornasse a grado all'Italia, che il mio Governo invece dovrebbe rallegrarsi se il Governo Austriaco si legasse intimamente alla Francia perché unendosi a quell'alleanza avrebbe potuto usufruttarne largamente a proprio beneficio. Queste parole avendomi fatto conoscere, continuava il Barone di Beust, la imprudenza delle mie parole, io gli aveva dichiarato che le avevo pronunziate non come Ministro d'Italia ma come devoto e affezionato personalmente al Re di Prussia a cui sono stretto di parentela.

Io non ho d'uopo di far notare alla E. V. l'assurdità di questo racconto! Se vincoli di parentela potessero influire mai sul mio animo, certo non sarebbero i vincoli lontani di parentela col Re di Prussia, ma i vincoli prossimi, affettuosi coll'Imperatore di Francia.

Ma ho la coscienza in ciò serena e posso parlare alto, perchè, nè gli interessi miei personali nè le affezioni di famiglia non sono mai per nulla entrati nella mia vita politica spesa tutta quanta, oso dire, per il servigio del mio paese senza preoccupazioni personali.

Constato pure con piacere che in quanto alla famosa proposta di una triplice alleanza, non ve ne è traccia alcuna nel Rapporto dell'Ambasciatore francese; con mia sorpresa poi vi ho trovato traccia di una proposta di una alleanza in senso diametralmente opposto, proposta che, per onore del vero, debbo dire non mi venne mai fatta. Io non volli però porre termine a questo colloquio senza prima conoscere le impressioni del mio collega sul discorso del Barone di Beust.

Il Duca di Gramont mi ripetè ciò chè mi aveva detto il Cancelliere dell'Impero medesimo cioè che era un discorso diretto ad ottenere dalle Camere l'approvazione della Legge militare. Egli mi ripetè poi quasi parola per parola ciò che il Barone di Beust mi aveva detto intorno alla questione dei Principati, questione che egli pure giudicava gravissima per le continue provocazioni del Governo Rumeno e sovratutto per l'attrito giornaliero fra i Principati e l'Ungheria. Mi parlò anch'egli di operai prussiani, di garibaldini travestiti di cannoni rigati e di fucili ad ago. Io gli chiesi il suo parere su ciò, cioè se egli credeva che da questa questione potesse sorgere la guerra da tanti mesi vaticinata e temuta: egli mi rispose che sperava di no e che la Francia farebbe il suo possibile per impedirlo. Io gli osservai che correvano invece voci in senso opposto, e che si diceva che anche la Francia non fosse aliena di unirsi all'Austria in qùesta questione che afferiva un campo favorevole alla sua politica. Mi rispose che quelli che credevano che il Governo Imperiale avrebbe scelto questa via per accendere la guerra, facevano completamente jausse route.

Replicai dicendo che mi faceva molto piacere di udire che egli che era in situazione di apprezzare intimamente la politica del suo paese, non credesse alla guerra . . . Mi interruppe dicendomi (testuale) cioè non ci credo che fra sette od otto mesi. Egli si affrettò di aggiungere, per attenuare il senso di queste parole, che però sperava che la moderazione dei Governi europei e gli armamenti poderosi della Francia e dell'Austria impedirebbero le altrui velleità guerresche e continuò dicendo che egli era partigiano della guerra l'indomani della battaglia di Sadowa! Se la Francia avesse fatta una dimostrazione sul Reno avrebbe dettato la pace e avrebbe ottenuto di creare uno Stato neutrale ed intermedio tra la Francia e la Prussia, Stato che avrebbe assicurato la pace perchè ciò che rende possibile la guerra è il fatto che due potenze militari e potenti sono una al contatto dell'altra. In ogni modo le difficoltà esistono: egli non approva il Governo che vuole dissimularle. Egli deplora il sistema di predicare la pace ad ogni istante ed a suo avviso le popolazioni non hanno più fede ln queste dichiarazioni officiali quando veggono che le complicazioni aumentano invece di diminuire. Egli però non teme l'unità germanica! Crede sia un errore di preoccuparsene. La Francia non deve mostrare di opporsi a questo concetto, opposizione che irrita e non serve a nulla. La Francia può essere tranquilla che l'unità germanica non si farà giammai. Bisogna non essere stato irt Germania per affermare il contrario. La Germania è divisa in due parti che se hanno fra loro comune la lingua, hanno però costumi, industrie, produzioni, commerci, interessi totalmente diversi. Queste diversità in cose così capitali sono molto più forti che la unità della lingua, e assicurano la Francia che giammai la Germania si raccoglierà spontaneamente sotto un solo scettro, che giammai la Germania formerà un tutto omogeneo collegato assieme dalla libertà, dal sentimento nazionale e dagli interessi materiali.

L'unità della Germania è un sogno, una chimera che soltanto si ebbe il torto di prendere al serio e di dargli a questa guisa una sembranza di realtà. Il solo pericolo per la Francia. la sola vera minaccia all'equilibrio europeo è una Prussia provocante e potente.

Egli però tornò da capo, a modo di chiusa del suo discorso, protestando che la Francia non avrebbe mai scelto per pretesto alla guerra la questione dei Principati.

Io mi sono limitato a riprodurre il discorso del Duca di Gramont; in quanto a me mi sono chiuso nella più grande riserva; soltanto avendo egli fatto una lontana allusione alle manovre della Diplomazia italiana, io gli feci osservare che è passato quel tempo in cui il Governo del Re era costretto inesorabilmente a desiderare delle complicazioni, in cui si agitava nelle acque torbide degli intrighi diplomatici. Ora la nuova diplomazia del mio paese non opera che nelle acque limpidissime della verità; e non ha altro scopo che la pace, altri mezzi di azione che la leaJ•.à del ;>rocedere e la onestà del suo programma.

(l) Cfr. nn. 467, 471, 472, 473.

659

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 764 Firenze, 5 novembre 1868, ore 13,10.

J'attends avec impatience votre rapport sur votre conversation avec l'Empereur. Je désire savoir oui ou non si l'an répondra à notre dernière note relative à Rome (1). Cela me servira de guide pour l'exposition que je dois faire au Parlament (2).

«Moustier m•a dit que la réponse à votre note sur Rome est partle pour Florence où elle dolt etre arrlvée à l'heure qu'll est».

(l) -Cfr. n. 484. (2) -Nigra rispose con t. 1374, pari data:
660 IL MINISTRO FÈ D'OSTIANI

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE S. N. Roma, 6 novembre 1868 (per. il 7).

Ebbi l'onore d'intrattenere nuovamente Sua Eminenza il Segretario di Stato sulla giusta esigenza del R. Governo a ché i suoi Rappresentanti all'Estero nè possono nè devono accettare dai Nunzi (quando coprono il posto di decano del Corpo Diplomatico) un trattamento che non sia l'identico a quello ch'essi usano verso gli altri colleghi.

Sua Eminenza per vero poco ebbe a dire in proposito alle osservazioni che d'ordine di V. E. io gli feci pervenire da Firenze nello scorso ottobre, solo si mostrò esitante a revocare le istruzioni che erano in vigore dal 1860. A ciò io soggiunsi che se il R. Governo non aveva reclamato prima d'ora si fu perché ignorava il fatto, e se ora reclama dopo maturo esame non dubita del suo diritto, sul quale certamente sarà chiamata l'attenzione de suoi agenti all'estero. Ho finito col pregare il Cardinale a fare in modo onde per ciò non avvengano nuovi reclami, e mi congedai colla piena convinzione che questo incidente sarà regolato a norma dei desideri di V. E.

661

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R.R. I. Costantinopoli, 6 novembre 1868.

Dal silenzio da me fin qui osservato rispetto al dispaccio Ministeriale n. I sotto la data dei 29 Luglio (l) concernente l'intimazione del Concilio Ecumenico, non vorrei che Ella inferisse che io non mi sia preoccupato delle istruzioni in esso datemi, e che non abbia anzi adoperato quella diligenza onde son capace, così per procacciarmi le correnti informazioni in proposito, come per trasmetterle al R. Ministero a misura che esse giungono a mia notizia, e pajonmi degne di fissarne l'attenzione.

Il futuro Concilio, qualunque possa essere l'indirizzo che gli sarà dato, sia nel prepararlo, sia nel tenerlo, e qualunque possa essere l'esito riguardo alle dottrine ed alle discipline che in esso saranno sanzionate ed adottate, (e senza eccettuar nemmeno le questioni puramente speculative che vi saranno pure ventilate e definite), non può non interessare al più alto grado i Governi civili, i quali sanno benissimo, ed in prova, come ogni questione religiosa tragga sempre seco una quistione politica, epperciò d'indole tale da provocare tutta la loro sollecitudine.

E se il Concilio intimato colla Bolla Aeterni patris, dovesse a guisa del Tridentino, che l'ha preceduto di tre secoli, produrre effetti diversi affatto da quelli che da esso si speravano, ed in vista dei quali fu appunto convocato, come lo avverti col suo solito acume quella gran mente di Fra Paolo Sarpi, che ne dettò l'Istoria, vi sarebbe e vi ha diffatto una ragione specialissima di preoccuparsene dal canto nostro, ed al più presto possibile, siccome di un'assemblea jeratica che sta per unirsi collo scopo assai trasparente di procacciare un nuovo e più solido puntello al Potere Temporale dei Papi, e d'Jntraprendere sui Governi laicali, collo sfulminare e sfatare la civiltà moderna, potria riuscire per avventura col dare a quello l'ultima spinta, nel suo attuale assetto, ed alla separazione della Chiesa dallo Stato in modo spiccato e terminativo.

Non è mio intendimento il fare congetture sulla probabilità della convocazione del Concilio per l'epoca fissata nella Bolla, non meno che sulla sua durata, qualora esso abbia effettivamente luogo nel Novembre del venturo anno. I miei dubbj in proposito sono fondati in ogni caso sulla storia degli altri Concilii, nota conseguentemente alla E. V. prima d'oggi.

Quel che importa all'E. V. il conoscere, non sono le mie opinioni private, ma bensì l'effetto prodotto in questo paese dall'intimazione del Concilio.

Le dirò dunque che generalmente esso piacque e piace così al Governo Ottomano come ai sudditi del Sultano di rito cattolico; a quello perchè non solo non teme un detrimento alla sua autorità nelle dottrine che saranno oggetto di deliberazioni conciliari, ma spera anzi da esse una nuova sanzione al principio dell'obbedienza all'autorità, qualunque essa si sia; a questa perchè sperano un nuovo lustro per la Chiesa ed una magg,ior influenza a profitto loro ed a scapito della Russia, tanto più se si potesse opemre l'unione totale o parziale di quelle Chiese che finora non furono in comunione colla Sede Apostolica.

E poichè tocco il tasto della Russia, che non si può non toccare nell'argomento attuale, dirò all'E. V. che come tosto venne conosciuta la Bolla Aeterni Patris, essa fu oggetto delle più serie preoccupazioni per l'Ambasciata Imperiale di Costantinopoli, alle cui porte si osservò un insolito ed immediato andare e venire di preti Greci ed Armeni e d'altri, che fu ed è impossibile il non notare.

Prevedendo che Pio IX, anzichè seguir l'esempio del suo predecessore alla epoca del Tridentino, avrà piuttosto imitate e rinnovate le pratiche di Papa Eugenio nel Concilio di Firenze, epperciò chiamati in Roma così i Greci, come i membri degli altri riti non uniti, il mio collega s'adoperò a tutt'uomo perchè non obbedissero ad un invito ad hoc, qualora fosse loro fatto, come il fu appunto, con apposita lettera trasmessa ai medesimi per mezzo del Vicario Generale di questa Arcidiocesi, Monsignor Testa, in nome del Sovrano Pontefice.

La risposta fatta dal Patriarca Greco, quale l'E. V. può leggerla nell'annesso A (l), non le lascia il menomo dubbio intorno alle ispirazioni, per non dire agli ordini ricevuti, onde tenere il contegno che egli ha tenuto con Monsignor Testa, nell'atto in cui g:l.i si presentò, per consegnargli la lettera Papale d'invito.

Lo sgarbo da lui commesso in questa circostanza nel non voler nemmeno accettare la missiva pontificia, produsse una penosa impressione sul Clero Cattolico, ed anche sopra una parte del Clero Greco non unito, il quale credette che si dovevano adoperare col Papa modi più urbani e civili, quand'anca si avesse intenzione di non aderirsi al suo invito. Quindi è nata una scissura fra il Clero ed i notabili di questa comunione, che potrà forse tornar proficua agli interessi della S. Sede, se il Clero Cattolico, che cerca in giornata di usufruttuarle mercè un'apposita polemica che si propone di iniziare e sostenere, giungerà a farlo con buon successo, paralizzando a questo uopo le influenze Russe, che si travagliano colla maggior possibile energia per impedire i Greci di condursi al Concilio, temendo come fanno la riunione delle due Chiese più che la peste.

Il Papa avrebbe di certo provveduto più sicuramente alle esigenze del caso, se, invece di far rimettere la sua lettera già stampata, l'avesse spedita manoscritta e firmata col proprio nome al suo destinatario, come avrebbe adottato miglior consiglio se, cogliendo l'occasione della presenza del dotto ed abile Monsignor Valerga in Costantinopoli pel tratto di cinque mesi, avesse affidato a lui, atteso l'alto grado gerarchico ond'è rivestito, l'incarico di preparare, come si dice, il terreno, onde persuadere il prelato scismatico di recarsi al Concilio. Ma se il Clero Cattolico lamenta esplicitamente meco queste omissioni, nè cerca di scusarle affatto, esso non è meno indignato, per non dire umiliato, pel duro procedere del Patriarca Greco in questa occorrenza.

La lettera Pontificia dire.tta al Patriarca Armeno Gregoriano onde invitarlo esso pure al Concilio ebbe miglior successo, siccome mi narrò Monsignor Testa medesimo. Esso adottò il temperamento di sottometterla al Sinodo competente, per poter pigliar più tardi un'opportuna deliberazione, e quindi parteciparla al Sovrano Pontefice, in quel modo che sarà conveniente. È da notarsi che esiste in fatto una tendenza assai pronunziata per parte degH Armeni Gregoriani a riunirsi ai loro connazionali già in comunione con Roma, e ciò anche in vista di trovare un argine contro gl'influssi Moscoviti onde sentono il peso, e prevedono le conseguenze finali per la loro nazionalità. Hanno luogo a questo uopo frequenti riunioni secrete tra i membri dei due riti, e, da quanto mi si assicura da chi ne fa parte, non pare improbabile un qualche buon risultato nel senso dell'unione.

La Russia che sta sempre in sull'avviso quando si tratta di Religione, onde si serve come di leva potentissima per quei fini che tutti sanno, non mancò e non manca di adoperare tutti i mezzi che sono in sua mano, e ne ha di ogni maniera, affine di attraversare questa unione, sia tentando di impedire in giornata, ed anzitutto, l'andata al Concilio dei Patriarchi e Vescovi Armeno-Gregoriani, sia continuando a spargere la zizzania tra i membri dei due riti, affinchè non pervengano ad intendersela tra di loro medesimi; nel che in passato riuscì a meraviglia. A questo fine, essa spedì recentemente a Costantinopoli un nuovo Menzikoff (così lo chiamano i cattolici) nella persona di Monsignor Serkis Ciatalian, Arcivescovo di Tiflis, per mettere in guardia gli Armeni-Gregoriani contro le temute insidie del Papa, e mantenerli in quella che essa chiama la buona via, nello stesso modo con cui spedì, alcuni anni or sono, un

agente militare e diplomatico di questo stesso nome, per proteggere i Greci suoi correligionarj, e così sottrarli all'oppressione Ottomana.

Questo prelato, che si spaccia qual legato del Patriarca di Eczniazin, Primate fra quelli di Agthamar e di Cilicia, è munito di poteri amplissimi affine di effettuare il cor unum et anima una tra i fedeli sottomessi ai tre Patriarcati. Egli minaccia la scomunica a chi non gli dà ret,ta, pronto anche a tar tagliar la barba, come pena infamante, a chi non s'aderisca hic et nunc ai suoi ordini. Il Ciatalian già si presentò alla Sublime Porta per far riconoscere la sua qualità officiale. Lascio all'E. V. l'immaginare quale effetto abbia prodotto fra gli Armeni l'arrivo del Prelato Georgiano. Si fecero immediate pratiche presso l'Ambasciata francese, e la Legazione di Sua Maestà, onde impedire che sia riconosciuta la qualità da lui assunta, nella quale non si vuol vedere a1tro fuorché un maneggio Russo diretto ad intimidire i sefnplici, ed allontanarli in modo irremediabile dal pensiero di ricongiungersi con Roma, cogliendo l'occasione del futuro Concilio.

Membri influentissimi ed alto locati fra i due Cleri, Armeno e Latino, si recarono da me per chiedere consigli, ed invocare altresì il mio appoggio, onde parare il colpo che pende sul loro capo. Io non posso naturalmente, agire nel senso che loro piace, e che saria anche conforme ai nostri interessi politici, a mio avviso, se, prima di tutto non ho speciali istruzioni dall'E. V.

Non dubito per un momento che l'Ambasciatore di Francia, tuttora in campagna, non s'i sia dato la più gran premura per mandare a vuoto senza indugio la missione del Ciatalian, suddito Russo, e Delegato di un Patriarca, suddito Russo esso pure, e residente in quella parte dell'Armenia che, come l'E. V. conosce, è fin d'ora sotto gli artigli delle Aquile Imperiali.

(l) Cfr. n. 443, nota l, p. 491.

(l) Non pubblicato.

662

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA (1)

R. 752. Parigi, 6 novembre 1868 (per. il 9).

In una conversazione che ebbi oggi con S. E. il Marchese di Moustier, questo Ministro mi parlò della questione delle riforme giudiziarie in Egitto sollevata dal Governo del Vice Re e trattata presso i principali governi interessati da Nubar Pascià. Il Marchese di Moustier mi disse che il Governo francese deve considerare questa questione sotto due punti di vista, cioè in merito e nel modo di procedere. Quanto alla questione di fondo, il Governo francese non disconosce l'utilità di tentare una riforma nel sistema giudiziario egiziano, regolato finora dalle Capitolazioni. Il Governo francese, mi disse il Ministro Imperiale, è forse in fondo più largo in questa questione, che altri Governi Europei. Ma esso crede che conviene procedere con molta prudenza, e che il miglior sistema sarebbe quello di tentare un esperimento di riforma giudiziaria, il quale

funzionerebbe in guisa di prova, in concorrenza col sistema delle capitolazioni. Non converrebbe, secondo il pensiero del Marchese di Moustier, abbandonare il sistema delle capitolazioni, prima che il nuovo sistema che si esperimenterebbe avesse fatto buona prova. Quanto al modo di procedere, il Governo francese non potrebbe associarsi alla proposta d'una commissione d'inchiesta che si farebbe a Alessandria d'Egitto, commissione preliminare, U cui scopo sarebbe quello d'illuminare i Governi Europei interessati sull'utilità e sulle basi della riforma da introdursi nel sistema giudiziario d'Egitto. Il Governo francese, disse il Marchese di Moustier, non ha bisogno di quest'inchiesta. Esso l'ha di già fatta per proprio conto per mezzo della sua Agenzia. Se altri Governi desiderano fare questa inchiesta, possono naturalmente farla nel modo e nella forma che credono utile. Ma il Governo francese è d'avviso che l'accordo in principio dei varii Governi sull'utilità o sugli inconvenienti d'una riforma e sulle sue basi deve stabilirsi non già per mezzo d'una commissione stabilita in Egitto, ma direttamente per mezzo d'uno scambio delle idee rispettive fatto in via diplomatica ordinaria fra i varii Governi. Quando quest'accordo sia così stabilito, e quando esso risulti nel senso dell'utilità della rUorma proposta, e quando inoltre quest'accordo abbia avuto luogo in ordine alle basi della riforma da introdursi, allora i particolari di queste basi, nonchè la loro applicazione potranno formare oggetto dello studio e del lavoro d'una commissione internazionale, stabilita ad Alessandria. Ma nel concetto del Marchese di Moustier una tale commissione, limitata a questo modo nel suo mandato, dovrebbe essere composta dei rappresentanti consolari dei Governi rispettivi, essendo principio costante del Governo francese di astenersi dall'inviare agenti speciali, tranne casi affatto eccezionali e per materie assolutamente speciali, estranee alla competenza ordinaria diplomatica o consolare nei luoghi ove esso è rappresentato dai suoi Agenti ordinarii.

Il Ministro Imperiale degli Affari Esteri mi pregò di portare queste sue idee a notizia dell'E. V. e di sottometterle all'apprezzamento del Governo di Sua Maestà.

(l) Ed. In L V 21, p. 24.

663

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 754. Parigi, 6 novembre 1868 (per. il 9).

Il linguaggio tenutomi jeri da S. E. il Marchese di Moustier intorno allo stato generale di cose in Europa è improntato d'un carattere assolutamente pacifico. Il Ministro imperiale degli affari esteri mi disse che nessuna prospettiva di future complicazioni si presentava agli occhi del Governo imperiale e mi espresse la sua intiera confidenza nel mantenimento della pace. Il discorso pronunziato il 4 corrente dal Re di Prussia produsse sul Governo francese e sull'opinione pubblica in Francia un'impressione indubitamente favorevole ed egualmente pacifica.

Una sola questione, per verità secondaria, potrebbe sollevare qualche complicazione diplomatica, senzachè però, a mio giudizio, essa possa mettere a repentaglio la tranquillità dell'Europa.

Il Governo austriaco si mostra molto inquieto relativamente allo stato presente di cose nei Principati uniti. Esso vede nel Pr,incipe Carlo e nel suo Governo tendenze ostili all'Austria, e sembra deciso a porre addirittura sul tappeto la questione d'un mutamento radicale di cose nel Governo dei Principati Uniti, e forse anche quella della rimozione del Principe regnante e della nomina di un Principe indigeno.

Il Governo francese si mostra egualmente malcontento del Governo moldovalacco. Ma non saprei dire per ora se questo malcontento sia spinto fino al punto da desiderare e da promuovere un cambiamento nella persona dello stesso Principe.

664

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 282. Berlino, 7 novembre 1868 (per. il 12).

J'ai donné confidentiellement lecture au Président de la Chancellerie fédérale de la dépeche que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser en date du 31 Octobre échu n. 95, Série politique, Réservée (l).

Il m'a été dit que la Confédération de l'Allemagne du Nord ne s'est pas encore prononcée sur le choix de son commissaire à la Conférence appelée à examiner la question des réformes judiciaires en Egypte. M. Delbriick appréciait parfaitement les raisons qui nous faisaient désirer que les Puissances n'y fussent point représentées par leurs Consuls et Agents en Egypte. D'ailleurs le Consul Général M. Theremin -quelles que soient ses éminentes qualités -n'aurait pas toutes les notions de jurisprudence nécessaires pour s'acquitter d'une tàche si spéciale avec une entière connaissance de cause. Aussi serait-on disposé ici à nommer un commissaire spécialement délégué, de préférence à l'Agent Consulaire résidant dans le pays. Cela bien entendu sous la réserve que la grande majorité des Puissances agissent de meme, autrement, comme V. E. en fait l'observation, il ne conviendrait pas de laisser peser sur l'Agent de la Confédération pas plus que sur celui de l'Italie, une exclusion odieuse.

Je m'empresse de répondre dans ce sens à la dépéche précitée et d'accuser en meme temps réception des trois documents diplomatiques qui s'y trouvaient annexés n. 390, 391 et 393.

Je signale une lacune dans ce t te dernière série depuis le n. 329 transmis par la dépeche ministérielle du 11 Septembre n. 92. Le numéro 94 de la Série politique ne m'est pas encore parvenu. Je le mentionne pour le cas où il y aurait eu erreur dans la numération.

(l) Cfr. n. 650, inviato a Berlino con numero di protocollo 95.

665

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI

D. CONFIDENZIALE 12. Firenze, 8 novembre 1868.

Ho ricevuto il di Lei rapporto del 31 ottobre (l) ed ho preso in attenta considerazione quanto Ella in esso mi ha esposto circa gl'intendimenti prevalenti tanto presso il Re Don Luigi, quanto nel Re Don Fernando in ciò che concerne le future sorti della Spagna.

Approvo la riserva la più assoluta che la S. V. ha osservato nel suo linguaggio ogni volta che quel delicato argomento ha formato oggetto delle di Lei conversazioni. Continuando a tenersi nella medesima linea di condotta Ella asseconderà nel miglior modo possibile la politica del R. Governo.

A questo punto però, e segnatamente dopo le esplicite confidenze fattele dai personaggi augusti sovra indicati, reputo conveniente ch'Ella sia posta in grado di palesare, ove se ne presenti l'occasione, alle loro persone reali da quali sentimenti sia mosso il Governo italiano relativamente alle cose di Spagna.

Anzi tutto Ella vedrà dai documenti che troverà uniti a questo dispaccio quale sia stato il nostro contegno verso il nuovo Governo spagnuolo. Dirigendo la nostra politica in modo da rispettare in ogni eventualità il principio di non intervento noi ci siamo astenuti dal pronunciare un'opinione qualsiasi sulle future sorti della Spagna. Abbiamo però osservato con piacere che presso le principali corti di Europa l'annunzio della candidatura del Re Don Luigi con l'unione personale della Spagna col Portogallo o della candidatura del Re Don Ferdinando come un avviamento alla stessa unione sotto lo scettro della famiglia di Braganza, era generalmente accolta con molto favore. Sono convinto che le Loro Maestà portoghesi saranno persuase che se per parte nostra non crediamo emettere un giudizio sovra l'una o l'altra candidatura. non minore sarebbe in noi la soddisfazione nel vedersi compiere all'Italia da molti vincoli di simpatia e di interessi una dinastia illustre ed alleata a quella che ci regge.

Noi desideriamo anzi tutto che in !spagna si costituisca un Governo sinceramente amico all'Italia il quale promuova, come noi facciamo in tutti i modi lo sviluppo delle relazioni intime ed amichevoli che debbono naturalmente esistere fra i due Stati. Ad assicurare un simile risultamento, qualora i Principi portoghesi ricusassero assolutamente di accettare la corona di Spagna potrebbe tornar utile la candidatura di un principe della Casa Savoia. Le intime relazioni di famiglia esistenti fra le due case sovrane di Italia e di Portogallo assicurerebbero in gran parte i vantaggi che nell'unione iberica da molti si vorrebbero ricercare.

Ma è opinione del R. Governo che sia tuttora prematuro lo entrare in simili considerazioni.

Per ora sembra a noi che ciò che maggiormente importa osservare è la disposizione degli animi della maggioranza del popolo spagnuolo che sarà chiamata a statuire definitivamente sulla forma di governo che più gli conviene

Gli uomini che stanno attualmente al potere non hanno esitato di esprimere un giudizio favorevole all'istituzione d'una monarchia rappresentativa; ma i partiti ostili ad ogni regime di moderata e durevole libertà sembrano per altra parte darsi la mano allo scopo di rendere difficile lo stabilimento di una monarchia sinceramente costituzionale in !spagna. I due partiti estremi che cercano entrambi appoggio nell'elemento cosmopolita di cui dispongono sembrano disposti a lottare con tutti i mezzi contro l'insediamento di un Governo forte e liberale quale sarebbe quello che un Sovrano costituzionale assicurerebbe alla Spagna. Epperò in tale stato di cose noi ravviseremmo come inopportuno qualsiasi atto pel quale verrebbe scemato il prestigio o la forza del partito monarchico costituzionale in !spagna.

Fu forse entrando in quest'ordine di considerazioni che S. M. il Re D. Luigi ha consigliato all'Augusto Suo Genitore di non dar seguito al progetto di una dichiarazione colla quale il Re Don Fernando avrebbe sin d'ora declinato qualsiasi candidatura al trono spagnuolo. Se così s.tessero le cose noi non potremmo a meno di felicitarci altamente di un atto di tanta saviezza ed accorgimento politico perocché ci sembra indubitabile che ~ma simile dichiarazione fatta prima che sia decisa la quistione relativa alla forma di Governo, avrebbe avuto per conseguenza d'indebolire il partito monarchico staccando da esso tutti coloro che nella candidatura d'un Pr1ncipe portoghese scorgono il migliore se non l'unico modo di conseguire l'unione iberica.

Quindi è che se per avventura alla S. V. occorresse di parlare di nuovo colle Loro Maestà intorno a questo delicatissimo argomento, Ella potrà manifestare loro i sentimenti espressi in questo dispaccio in via però affatto riservata e confidenziale come l'indole istessa di questa comunicazione richiede, trattandosi in essa di altri interessi che troppo da vicino riguardano le persone di Don Fernando di Portogallo.

(l) Cfr. n. 652.

666

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 115. Firenze, 8 novembre 1868.

Ella troverà qui unito una copia del dispaccio che oggi stesso ho diretto al Signor cavalier Nigra circa l'accomodamento proposto dal Governo francese per gli affari di Tunisi (l).

Un vero progetto non ci venne presentato mai dal Governo Imperiale. Ella ebbe comunicazione del rapporto del Ministro del Re a Parigi in data del 9 ottobre (2) nel quale sono esposte le basi dell'accomodamento, quella proposta non era però ancora ben concretata nel pensiero del Marchese di Moustier, il

quale ci richiedeva soltanto di esaminarne le basi e di fargli conoscere la nostra opinione dei nostri riflessi al riguardo.

Mentre da parte nostra si stavano studiando le proposizioni francesi al punto di vista della loro pratica applicazione e delle loro prevedibili conseguenze, avvisi ricevuti da Tunisi ci facevano conoscere essersi l'agente francese presentato al Bey per dirgli che un impiegato francese stava per giungere in Tunisi allo scopo di prender parte all'amministrazione finanziaria della reggenza, e che il governo francese, considerando tutte le rendite della Tunisia vincolate a guarentigia dei prestiti di Parigi nel caso che quelle destinate specialmente a questi ultimi riuscissero insufficienti, non poteva riconoscere i contratti di conversione fatti posteriormente con altri creditori.

Le mie comunicazioni telegrafiche e quelle che successivamente Le ho comunicato relativamente a questo incidente, hanno fatto conoscere alla S. V. in quale stato stessero realmente le cose.

Insistemmo pertanto presso il Governo francese per avere comunicazione del testo preciso delle proposizioni sulle quali egli ci chiamava a deliberare. Il

R. rappresentante in Parigi al quale commettemmo per telegrafo di recarsi dal Signor Moustier a questo fine ebbe da lui la ripetizione verbale di quelle stesse cose generali che già erano state dette dal Ministro Imperiale degli Affari Esteri come basi di un progetto non ben concretato ancora nel pensiero del Governo Francese.

La conversazione alla quale alludo è riferita in un rapporto della R. Legazione in Parigi, rapporto di cui Ella troverà copia nella spedizione di oggi.

Questi cenni retrospettivi intorno al negoziato di cui è questione mi sembrano utili nel senso di ben determinare lo stato della vertenza al momento in cui il Governo francese ci ha fatto proporre per mezzo del suo Incaricato d'affari in Firenze di intervenire ad una Commissione che dovrebbe deliberare sulle proposizioni relative all'accomodamento da prendersi di comune accordo.

Per ispirito di conciliazione e per non sagrificare a questioni di forma interessi reali che gli italiani hanno impegnati nella Tunisia· ho fatto conoscere al Governo francese l'opinione del R. Governo sul carattere che a Suo avviso dovrebbesi attribuire all'una e all'altra delle due Commissioni che la Francia propone di istituire. Desidero che S.V. sviluppi quegli stessi miei concetti di una conversazione con Lord Stanley insistendo segnatamente sovra questi due punti principali, cioè che il funzionario francese chiamato dal Bey a far parte della Commissione amministrativa abbia ad essere effettivamente prosciolto da ogni vincolo col Governo Imperiale e che il concorso delle Potenze sia unicamente limitato alla formazione della Commissione di controllo. In questo modo, esclusa ogni ingerenza diretta od indiretta degli esteri gabinetti nel governo interno della Tunisia, il Bey rimarrebbe nella piena responsabilità dei Suoi atti. La Commissione amministrativa sarebbe una commissione esclusivamente tunisina, facente parte del Governo della reggenza, e l'azione delle estere Potenze sarebbe ristretta al controllo che la Commissione internazionale dalle meueslme costituita sarebbe chiamata ad esercitare.

Desidero conoscere se le idee di Lord Stanley coincidono colle nostre intorno a questo argomento perocché mi pare utile che i gabinetti d'Italia e d'Inghilterra continuino a procedere d'accordo in questa vertenza.

(l) -C!r. n. 667. (2) -Cfr. n. 578.
667

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 418. Firenze, 8 novembre 1868.

Il Signor Barone de la Villestreux venne or sono due giorni a leggermi un dispaccio del Signor Marchese di Moustier relativo alla proposizione del Governo francese di istituire in Tunisi due distinte commissioni, una amministrativa, l'altra di controllo per gli affari finanziari della reggenza. Per ciò che concerne la composizione di queste due commissioni, il dispaccio del Signor Marchese di Moustier ripeteva ad un dipresso quelle cose stesse che la S. V. dapprima, ed il Signor Conte Puliga più tardi, mi riferivano a seguito delle conversazioni avute con S. E. il Ministro degli affari esteri dell'Imperatore. Il Barone de La Villestreux era incaricato per ultimo di proporci di prender parte ad una Commissione di Segretari di Legazione che avrebbe esaminato in Parigi le questioni relative alla pratica applicazione di quel progetto.

Ho fatto osservare al Signor Incaricato d'affari di Francia che il Governo del Re era favorevolissimamente disposto a negoziare con quello di S. M. l'Imperatore sul modo di raggiungere lo scopo, che è nell'interesse comune, di ottenere il riordinamento della finanza tunisina conservano però al Governo della Reggenza la piena ed esclusiva responsabilità dei suoi atti verso gli Stati Esteri che hanno interessi nella Tunisia. Noi avremmo quindi ben di buon grado preso parte ad una conferenza speciale destinata a determinare il modo pratico di ottenere quel risultamento da tutti desiderato. Ma perché il lavoro della conferenza possa procedere speditamente ed in modo soddisfacente sembrava a noi anzitutto indispensabile che il R. Governo fosse posto in grado di dare al suo Commissario precise istruzioni le quali non altrimenti potrebbero venirgli impartite che se il Governo dell'Imperatore si decidesse a comunicarci il progetto che dovrebbe servire di base alle deliberazioni.

Trattandosi di argomento per se stesso a~sai complicato, e dovendosi prevedere molte particolarità relative all'applicazione del progetto intorno al quale ebbimo soltanto sin qui comunica:.::ioni verbali alquanto vaghe, Ella comprende, Signor Ministro, ch'io annettessi una certa importanza ad ottenere dal Governo francese la preventiva comunicazione del testo esatto dell'atto sul quale la conferenza sarebbe chiamata a deliberare. Debbo aggiungere poi che le comunicazioni verbali fattemi sin qui, appunto perché mancanti necessariamente della desiderabile precisione, non furono in ogni punto costantemente identiche, per modo che in noi sorgono dubbi sovra punti rilevantissimi come sarebbe per esempio quello di sapere quale carattere conserverebbe l'impiegato finanziario francese che il Governo del Bey aderisce a nominare membro e Vice Presidente della Commissione amministrativa. Questi punti non potrebbero essere chiariti in modo soddisfacente se il negoziato intavolato col Governo francese dovesse limitarsi, come per l'addietro, da sua parte, a semplici comunicazioni verbali.

Volli ciònondimeno .entrare col Signor de la Villestreux sul merito della proposizione francese quale mi era genericamente conosciuta dopo le comunicazioni fattemi. Gli feci osservare che la Commissione amministrativa (qualora il finan

49 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

ziere francese fosse realmente prosciolto da ogni vincolo d'impiego verso la Francia) sarebbe una istituzione puramente interna della Tunisia pella quale non vedremmo necessità di prendere speciali impegni che in ultimo condurrebbero in qualche maniera ad approvare anticipatamente gli atti della commissione stessa. E continuando sullo stesso tema esposi chiaramente il concetto che i concerti da prendersi fra i governi non dovrebbero mai, a parer nostro, implicare una diminuzione di responsabilità per parte del Governo Tunisino al quale ciascun paese deve mantenersi libero di chiedere conto degli atti che si compieranno per l'avvenire. Noi non faremo opposizione a che il Bey di Tunisi si valga d'impiegati d'origine straniera per meglio regolare il proprio servizio finanziario purché l'amministrazione della Reggenza non passi né direttamente né indirettamente in mani di una Potenza straniera. L'esperienza del passato ha dimostrato la necessità che i diritti dei creditori del Bardo siano particolarmente tutelati contro le conseguenze di una cattiva amministrazione. Questa tutela potrà essere convenientemente esercitata dalla Commissione internazionale di controllo. La composizione di questa commissione, le sue attribuzioni, la durata dei suoi poteri sono, a nostro avviso, cose che vogliono essere accuratamente studiate e specificamente definite. È sovra questa parLe soltanto del progetto francese che ci sembra potersi prendere impegni positivi dai vari Stati interessati, perché a noi pare che un Governo non possa ritenersi vincolato che dagli atti di una commissione che sarà entrato a formare ed alla quale avrà perciò delegato una parte della sua autorità, in determinate materie.

Le cose dette nella conversazione ch'io ebbi col Signor de la Villestreux avranno servito, io spero, a far conoscere chiaramente al Signor Marchese di Moustier il nostro modo di vedere in questa questione. Ritengo però opportuno che Ella tenga al Ministro Imperiale degli Affari Esteri un discorso nello stesso senso, e così da uno scambio di idee intorno alle basi dell'accomodamento proposto dalla Francia potrà essere facilitato l'esito soddisfacente che noi desideriamo vedere dato a questa vertenza.

668

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

D. 37. Firenze, 9 novembre 1868. La ringrazio vivamente per le comunicazioni contenute nella di Lei corrispondenza politica pervenutami regolarmente sino al N. 156 inclusivamente. Le notizie relative alle varie fasi dei rivolgimenti spagnuoli riescono importanti a conoscere non meno che gli apprezzamenti ch'Ella reca sull'atteggiamento delle varie frazioni nelle quali si divide la pubblica opinione di codesto paese. Epperò ebbe per noi uno speciale interesse il rapporto col quale Ella mi ha segnalato il contegno del clero di Spagna in cospetto della rivoluzione. È questo un lato della quistione che può avere eventualmente un'importanza grandissima per gli interessi politici del nostro paese e che perciò Ella farà bene di non perdere di vista anche ne' Suoi rapporti col R. Ministero.

Dopo gli atti pubblicati dal Governo provvisorio non sembra si mettano generalmente in dubbio le tendenze monarchiche della maggioranza del popolo spagnuolo, ciò nondimeno una fede troppo cieca nella ricostituzione di una monarchia costituzionale in Spagna potrebbe essere, a nostro avviso, ancora prematura.

Il punto più importante a risolvere per il momento è certamente· quello della forma di governo che la Spagna dovrà avere.

La questione delle candidature al Trono non può essere tratta fuori che quando quel primo punto sia risoluto, benché non vi ha dubbio che le previsioni relative al principe da scegliersi, possano avere grande influenza sulla decisione riguardante la forma stessa di governo. Epperò è cosa opportuna ch'Ella sappia come dalle conversazioni avute dai Ministri del Re all'estero coi principali personaggi politici de' vari paesi, appaja che il voto generale delle maggiori Potenze sia di preferenza assicurato alle combinazioni che avrebbero per effetto di preparare l'unione iberica portando sul trono di Spagna un Principe della Casa di Braganza. Ma per altra parte tutti i governi sono già stati informati della assoluta ripugnanza delle popolazioni portoghesi ad aderire ad un simile partito e dell'intenzione del Re Don Luigi di rispettare la volontà del suo popolo. La candidatura del Re Don Fernando non è del pari assolutamente eliminata. Voleva questo Principe, con una pubblica dichiarazione, far conoscere sin d'ora il suo fermo proposito di non accettare la corona di Spagna se questa gli fosse offerta; ma aderendo saviamente ad altri consigli, pur mantenendo la presa decisione, pare si voglia, per il momento, astenere da una manifestazione che potrebbe nuocere alla causa del partito monarchico in !spagna.

Questi cenni sono confidati alla di Lei conosciuta discrezione e debbono unicamente servirle di norma per sapere come regolare la propria azione nel senso delle generali istruzioni ch'Ella ebbe dal R. Governo e che in questa occasione Le confermo.

Intanto, considerando la situazione degli affari di Spagna, quale oggidì si presenta, non vi ha dubbio che a tutti convenga che in quel paese si scelga anzitutto la forma di governo che si vorrà preferire. In questa prima fase pare ormai certo che la Spagna godrà della pienezza assoluta della sua libertà di scelta, poco probabile essendo che direttamente od indirettamente si voglia da qualche estero stato influire sulla decisione del popolo spagnuolo. Ma supponendo, per esempio, che le popolazioni spagnuole si pronuncino per un governo monarchico-costituzionale, la questione della scelta del principe potrebbe, per avventura, portare in mezzo interessi diversi di altri Stati e di varie dinastie; dando così luogo a negoziati diplomatici fra le varie Potenze. Anche in questa, che chiamerei seconda fase della costituzione del nuovo governo monarchico in !spagna, non è probabile che le Potenze pretendano designare l'uno o l'altro principe al suffragio popolare, ma procedendo per esclusione, come in altri casi si è fatto, potrebbesi in qualche modo limitare la scelta in modo da ottenere l'elezione che più si desidera. Quando le cose dovessero essere condotte a questo punto e la questione dovesse essere posta su questo terreno, l'Italia dovrebbe probabilmente ricordare alle estere Potenze i diritti antichi, risultanti dai trattati di Utrecht, che competono alla Casa di Savoja. Questi diritti non saranno invocati dal Gabinetto di Firenze per limitare quello del popolo spagnuolo nello scegliersi il Governo ed il Principe che più gli aggradano, ma non potrebbero ugualmente essere negletti quando la quistione relativa alla costituzione di un nuovo governo in !spagna

dovesse formare oggetto di trattative, di accordi o di veri atti diplomatici fra le maggiori Potenze.

Benché io non creda che la S. V. possa essere chiamata ad emettere intorno a questo punto della quistione un'opinione, ciò nondimeno stimo utile che anche in ciò Ella conosca il nostro modo di vedere. L'argomento per sè delicatissimo non vuoi essere toccato che con somma discrezione e nel caso di assoluta necessità, quando Ella fosse sovra di esso direttamente interpellata. Anche in questo caso però sarebbe mio desiderio ch'Ella non emettesse che un'opinione individuale ponendo il massimo studio nel far spiccare la distinzione che noi facciamo fra il caso in cui la scelta di un Principe deve essere fatta dalla maggioranza della popolazione all'infuori di ogni ingerenza diretta od indiretta delle Potenze, e quello in cui invece al suffragio popolare dovessero andare uniti o precedere accordi e trattative diplomatiche fra i vari Stati.

669

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 1205/508. Londra, 9 novembre 1868 (per. il 21).

Lord Clarendon, com'Ella sa, reduce da un viaggio sul continente, si trattenne, prima di far ritorno in Inghilterra, alcuni giorni a Parigi. La confidenza e l'intimità colla quale l'Imperatore Napoleone lo tratta, son causa che ogniqualvolta Mylord passa per la Capitale Francese si sparge la voce che Egli vi [si] trovi incaricato di una missione speciale del Governo Britannico.

Anche in questa occasione un tale rumore non mancò di circolare nel pubblico, e, come per lo passato, senza ombra di fondamento.

Ciò non toglie però che nei colloqui che egli ebbe con Sua Maestà Imperiale non si siano discusse le questioni le più rilevanti del momento, e desideroso di poterne ragguagliare l'E. V. profittai del breve soggiorno che l'illustre Whig fece in Londra per procurarmi l'onore di un abboccamento con Lui.

Siccome io già rassegnava all'E. V., nello scorso Settembre, Lord Clarendon ricevette a Wiesbaden le più ampie assicurazioni pacifiche dal Re di Prussia, il quale però dicevagli che, quantunque avesse fede nella moderazione e sincero desiderio di pace manifestato da Napoleone III, tuttavia temeva che lo stato interno della Francia potesse spingerlo un giorno o l'altro ad una guerra, onde creare una diversione alla prevalente agitazione degli spiriti.

Mylord ripeté questi detti all'Imperatore, il quale rispose che il Re Guglielmo s'ingannava se credeva che fossero le complicazioni interne che potrebbero costringerlo ad una lotta estera.

«Prima di tutto», avrebbe proseguito Sua Maestà, «una guerra accrescerebbe invece di diminuire le difficoltà. In secondo luogo, so d'essere perfettamente padrone della situazione. Solo se potrà prodursi un conflitto è piuttosto se la Prussia cercherà di fare entrare nella Confederazione del Nord, gli Stati della Germania Meridionale, o se questi, seguendo l'esempio di Baden, chiederanno loro stessi di esservi incorporati. In tale ipotesi non vi sarà modo di evitarlo, e sarà giuoco forza di gettare il guanto. Chiunque fosse il Sovrano che regnasse in Francia ne dovrebbe fare altrettanto». Ecco pressoché testualmente le parole citatemi da Lord Clarendon.

Volli chiedergli ancora se a suo avviso v'era probabilità che qualche seria complicazione nascesse tra Francia e Prussia a proposito della controversia dello Slesvig, ma Sua Signoria mi rispose negativamente, e mi assicurò che l'Imperatore sapea bene che non sarebbe da nulla giustificato nanti il suo popolo se lo trascinasse in tutti gli orrori di una grande guerra per siffatta questione.

Giova però rammentare che sebbene Lord Clarendon non approvi la condotta della Prussia, pure egli non può dimenticare che nella Conferenza di Londra dell'anno 1864 i Rappresentanti del Governo Danese rifiutarono le vantaggiosissime condizioni da lui offerte e dalla Prussia accettate, a termini delle quali tutta la parte settentrionale dello Slesvig, compresa l'isola d'Alsen, sarebbe rimasta alla Danimarca.

Per cui non è da meravigliarsi se Lord Clarendon non ha molta simpatia per le ora tarde recriminazioni del Gabinetto di Copenhaghen. Non ritengo però che questo sentimento sia tale da fargli dare una erronea interpretazione alle riflessioni dall'Imperatore a tale riguardo.

Prima di por termine alla nostra conversazione Lord Clarendon mi manifestò il soddisfacimento che provava nel vedere ogni cosa in Italia a rifiorire ed a procedere nella via del progresso sotto l'illuminata amministrazione dell'E. V. dichiarazione questa che ho ormai inteso a ripetere dagli uomini di Stato inglesi di tutti i partiti.

Sua Signoria non si dilungò gran fatto sugli affari di Roma; non mi celò tuttavia che l'Imperatore risentiva vivamente lo sprezzante ed orgoglioso contegno mantenuto verso di Lui dalla Corte Pontificia. Nell'opinione di Mylord il pensiero di essere in questo istante il solo sostegno del Potere temporale e di venirne per tutta ricompensa trattato in tal guisa avrebbe avuto per effetto di inasprire all'ultimo segno l'animo del Sovrano Francese.

Spero che l'esposizione delle varie cose dettemi dal personaggio politico, il quale, secondo ogni probabilità, avrà il portafoglio degli Affari Esteri nella futura amministrazione Whig, non tornerà interamente sgradita all'E. V., e nell'accusarle ricevimento del dispaccio di questa serie N. 114 (l) che mi pervenne coi relativi annessi...

670

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

D. 107. Firenze, 10 novembre 1868.

Le trasmetto qui unito copia di un dispaccio che mi venne ufficiosamente comunicato da Rustem Bey (1). In quel documento il Ministro Imperiale che regge gli Affari Esteri dell'Impero Ottomano espone come già siansi ottenute le

sottomissioni complete di molte località dell'Isola di Creta prima occupata dagli insorti. Ma ad un tempo rappresenta Safvet Pacha come allo scopo di mantenere l'agitazione nell'Isola, gli avversari della Turchia andrebbero spargendo la notizia che molti fra i cretesi che rimpatriarono, avendo scoperto d'essere rimaste vittime di un inganno, avrebbero ora indirizzato al Consolato Russo dimande per essere di nuovo trasportati in Grecia. Queste voci, afferma Safvet Pacha, non avrebbero alcun fondamento. A dimostrarne l'inverosimiglianza basta rammentare la miseria sofferta da quegli emigrati e le difficoltà che i medesimi hanno incontrato quando vollero abbandonare il suolo di Grecia. Ed a questo proposito la nota ottomana racconta come essendo venuti ad Atene diciotto abitanti di Creta per ricondurre nell'isola le loro famiglie ora dimoranti ad Egina, le Autorità Elleniche dichiarassero non essere loro possibile di proteggerne l'imbarco in modo da evitare disordini e collisioni.

Rustem Bey essendo attualmente assente da Firenze, e la comunicazione ch'egli mi fece avendo avuto luogo per lettera, non potei sinora aver occasione di manifestare all'Inviato del Sultano il mio pensiero intorno all'argomento sul quale la Sublime Porta chiama la nostra attenzione.

Se avessi dovuto rispondere a Rustem Bey non gli avrei nascosto che l'Italia fu sempre interessata a veder ricondurre la tranquillità e la pace in tutti i paesi d'Europa ove queste correvano pericolo di essere turbate. Noi abbiamo quindi consigliato alla Sublime Porta dapprima, e poscia alla Grecia, di evitare tutto ciò che avrebbe potuto produrre una più grave complicazione. La Legazione del Re in Grecia e le Autorità Consolari italiane che sono in grado di esaminare le cose davvicino, non hanno, per verità, dato ai fatti accennati nella nota di Safvet Pacha il carattere che in quel documento loro si atribuisce. Tutti gli Stati hanno documentato le loro particolari esigenze politiche risultanti dalle speciali condizioni nelle quali si trovano all'interno. Noi crediamo che questa considerazione rettamente apprezzata deve suggerire ai vari governi una reciproca tolleranza nelle materie che se possono suscitare dissidi all'estero, possono anche creare gravi imbarazzi all'interno. La Sublime Porta deve tanto più facilmente comprendere questo nostro linguaggio in quanto che essa stessa ricercò altre volte in questo ordine di idee i motivi per i quali credette dover respingere i consigli che le Potenze le davano relativamente al miglior modo di pacificare la Creta. Benchè interessati per dir.itto riconosciuto dai trattati di sconsigliare il governo Ottomano dal consumarsi in isterili sforzi per riconquistare il pacifico dominio di quell'Isola, noi desistemmo dal continuare a dargli consigli che a Costantinopoli non erano ascoltati. Ci indusse a prendere questa risoluzione, insieme a vari altri gabinetti, 11 riflesso che nelle questioni interne la Sublime Porta poteva pretendere di essere il miglior giudice delle speciali esigenze della sua situazione.

Applicando ora ai nuovi fatti lo stesso criterio, ci siamo limitati a raccomandare al Gabinetto di Atene di evitare la grave responsabilità che sovra di lui ricadrebbe quando serie complicazioni dovessero per fatto suo succedere m Oriente. Entrare coi ministri del Re Giorgio in discussione sovra fatti particolari sui quali influiscono necessariamente le contingenze politiche del paese. ci sembrerebbe cosa eccedente i limiti dell'azione che è nostro proposito di esercitare.

Raccomando la conciliazione tanto a Costantinopoli che ad Atene no1 crediamo adoperarci in un senso favorevole agli interessi ben intesi dei due paesi ed a quelli più generali dell'umanità.

Le circostanze attuali della politica generale non sono tali da assolvere da qualsiasi responsabilità i gabinetti i quali non sapessero con una reciproca condiscendenza evitare i motivi di discussione e di conflitti. Questi, anche quando sembrassero limitati a questioni parziali e per così dire isoiate, potrebbero servire di causa o di pretesto per creare più vaste complicazioni. Noi desideriamo vivamente che la Sublìme Porta, non ascoltando che il proprio interesse, eviti in questo momento sovra tutto di far sorgere una quistione orientale che potrebbe essere il primo segnale d! perturbazioni delle quali non sarebbe verosimilmente chiamata a raccogliere i migliori frutti.

Questi pochi cenni basteranno certamente alla S. V. per metterla in grado di avere con Safvet-Pacha e con S. A. il Gran Visir seri colloqui nel quali l'autorizzo a far presente la necessità che oggi più che mai s'impone alle Potenze che vogliono sinceramente evitare la guerra, di togliere di mezzo ogni pretesto che possa far nascere un conflitto in Oriente. La perspicacia degli uomini di Stato coi quali Ella avrà a ragionare basterà a far loro comprendere che i consigli sinceramente amichevoli sono i nostri e non quelli che per eccesso di zelo o per reconditi fini direttamente o indirettamente loro venissero dati in un senso opposto.

(l) Non pubblicato.

671

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 65. Vienna, 10 novembre 1868 (per. il 14)

Ho l'onore di segnare ricevuta all'E. V. del pregiato dispaccio serie politica n. 33, del 31 ottobre (l) e di ringraziarla dei 66 documenti diplomatici che vi andavano annessi.

*Avendo fatto in via confidenziale gli occorrenti ufficj presso questa Cancelleria Imperiale nel senso del precitato dispaccio n. 33, debbo constatare che il Governo Imperiale è tuttora di parere che convenga affidare al Console Austriaco la missione di rappresentarlo nella Commisisone chiamata a deliberare sulla riforma della giurisdizione consolare; per il motivo fra altri, che il lavoro di detta commissione potendo protrarsi per un tempo assai lungo, non si vorrebbe qui, per motivo d'economie, mantenere in Egitto un commissario straordinario * (2).

(l) -Cfr. n. 650, Inviato a V!enna con numero di protocollo 33. (2) -Il brano fra asterischi è edito, con qualche variante, in LV 21, p. 27.
672 IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 30. Lisbona, 11 novembre 1868 (per. il 17).

A conferma delle mie precedenti comunicazioni mi pregio informare V. E. che le idee di questi Reali relativamente al trono spagnuolo si mantengono quali ebbi l'onore di segnalarle a più riprese, e Sua Maestà degnò osservarmi recentemente che le manifestazioni dell'opinione pubblica del Suo Regno non erano per certo propizie a farle modificare.

Infatti giorni sono ad una rappresentazione teatrale alla quale intervennero i due Re per l'inaugurazione del busto d'un distinto e popolare autore drammatico scrisse istoricamente fatti nazionali sull'indipendenza portoghese, fuvvi una spontanea e clamorosa dimostrazione in favore della propria autonomia, e continui applausi per Le Loro Maestà delle quali sono note al pubblico le idee anti iberiche.

A tale proposito è però mio debito accennare che malgrado tale recente dimostrazione l'opinione pubblica sembra modificarsi da poco in qua nelle classi intelligenti, le quali, forse non del tutto a torto, travedono possibili pericoli nella ricostituzione di una Spagna repubblicana o Monarchica con Dinastia affatto estranea alla Portoghese, che col tempo potrebbe divenire assorbente, e tali timori ch'ebbi occasione di constatare a diverse fonti fan sì che persone d'alto rango sociale, le quali erano fin qui quanto mai ostili a qualunque combinazione iberica anche lontana e indiretta, desiderano attualmente il Re Don Fernando come futuro Sovrano di Spagna.

È questo un indizio per me notevole che m'induce a richiamare l'attenzione di V. E. sul paragrafo «Resta ancora a vedersi ... » del mio annesso cifrato al Dispaccio politico n. 29 (l) come pure sugli altri precedenti annessi circa le eventualità di altre possibili combinazioni iberiche.

Il Ministro di Francia si mostrò meco a più riprese in questi ultimi tempi, molto e seriamente preoccupato della probabilità di una Repubblica o di una Monarchia Montpensier in !spagna, alternativa, dissemi, la peggiore per la Francia Napoleonica, e forse col tempo pericolosa pel Portogallo, che a suo credere la candidatura del Re Don Fernando può solo scongiurare. Anzi il mio Collega lasciommi apertamente travedere, sebbene asserisse non avere apposite istruzioni, quanto sarebbe utile pel Portogallo e per l'Europa un'azione dei Ministri d'Italia e di Francia sul Re Don Luigi onde persuadere per suo mezzo il suo Augusto Genitore ad accettare la candidatura Spagnuola. Ho motivo di credere avere egli scritto ripetutamente al suo Governo in favore di questa.

Risposi al Marchese di Montholon che neppure io aveva istruzioni di sorta, né quindi mi sono né mi sarei permesso d'influire, le influenze fossero puramente possibili ed efficaci, sulle idee spagnuole, qualunque esse siano o possano essere, della Casa di Braganza, ma non aver d'uopo d'affermare per mio proprio

conto personale, che la maggiore prosperità e potenza di questa Dinastia legata così strettamente a quella di Savoja sarebbe sempre ben accetta all'Italia.

Consta qui nelle alte sfere e per certo V. E. ne sarà ugualmente informata che l'Inghilterra e la Francia sono favorevoli all'Unione Iberica, ignoro sotto qual forma e se immediata o futura.

P. S. Qui unito un piego per Sua Maestà.

(l) Cfr. n. 652.

673

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. Firenze, 12 novembre 1868, ore 12,30.

Déchiffrez vous méme.

Hier est arrivé à Florence M. Bensa que vous connaissez accompagné d'un nommé Frasneda qui se dit chef de division au M·inistère de l'Intérieur de Madrid et aurait la mission de demander au Roi s'il consent à la candidature du due d'Aoste pour l'Espagne. Le Roi ne les a pas reçus, ils n'ont aucun document qui justifie lcur mission. Veuillez prendre des informations et me les communiquer. Il parait que ce Frasneda appartient au parti avancé et que peut-étre H ira voir Garibaldi (l). En fait de candidature, nous avons suggéré le prince de Carignan, mais elle n'est pas absolue; l'essentiel est que si le Roi Ferdinand n'accepte pas ce soit un prince de Savoie qui occupe 1e tròne d'Espagne le choix devrait tomber sur le due d'Aoste. Faites agir en ce sens.

674

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI MINISTRI A BERNA, MELEGARI, A BRUXELLES, DE BARRAL,, A CARLSRUHE, ARTOM, A L'AJA, CARUTTI, A LISBONA, OLDOINI, A MADRID, CORTI, A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, A PARIGI, NIGRA, A STOCCARDA, GREPPI, A VIENNA, PEPOLI, E A WSHINGTON, CERRUTI

D. R. CONFIDENZIALE. Firenze, 12 novembre 1868.

Il R. Ministero ha saputo da buona fonte che negli ultimi consigli della Santa Sede si sarebbe adottata la decisione di chiudere, almeno per ora, gli uffici di arruolamento per tl Corpo dei zuavi pontifici. Importando al R. Governo di conoscere qual fondamento di verità possa avere tale notizia, io La interesso ad assumere esatte informazioni circa gli arruolamenti che ancora si fanno per l'esercito papale in codesto paese, ed a volere quindi riferire al Ministero n risultamento delle di Lei indagini (2).

(l) -Con t. del 14 novembre Corti informò che Frasneda era un giornalista impiegato subalterno del Ministero dell'Interno e che egli e Bensa non avevano alcuna missione ufficiale del Governo spagnolo. Il 15 novembre Menabrea informò Corti che l due spagnoli erano ripartiti senza aver visto il Re e raccomandò grande riserva nei loro confronti. (2) -Cfr. n. 690 e nota 4 allo stesso.
675

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

D. 35. Firenze, 12 novembre 1868.

La ringrazio particolarmente de' due rapporti in data del 2 e del 3 corrente {1), che mi pervennero per occasione privata.

L'importanza delle cose esposte nel primo di essi m'induce a far qualche pratica a Londra, Berlino e Pìetroburgo per far comprendere a quei Governl come da noi si ritenga pericoloso per la pace d'Europa tutto ciò che è d'indole a far nascere perturbazioni in Oriente.

Le raccomandazioni non mancarono per l'addietro per parte nostra presso la Corte Ottomana e presso i Governi di Atene, di Belgrado e di Bucarest affinché nella loro condotta politica evitassero tutto ciò che può essere causa o pretesto di complicazioni europee.

Epperò Ella, esprimendo nelle conversazioni che ebbe con codesti uomini di Stato, la convinzione che la politica italiana è essenzialmente pacifica, ha tenuto un linguaggio pienamente conforme agli intendimenti del R. Governo.

Non proponendoci noi altro scopo nella nostra politica generale che quello di cooperare sinceramente alla conservazione della pace in Europa, saremmo sempre ben lieti di potere con fondamento verificare che i fatti ed il contegno dei Gabinetti amici corrispondono a sentimenti identici a quelli da noi professati.

ALLEGATO

ANNESSO CIFRATO.

En me servant du contenu de votre dépèche du 2 Novembre pour adresser des communications aux Représentants du Roi près les différentes Cours, j'éviterai de donner les détails de votre conversation avec Andrassy, afin de ne point compromettre la position de cet homme d'Etat vis-à-vis du Cabinet Cisleithanien. Je ferai cependant communiquer confidentiellement à Lord Stanley le texte mème de votre dépèche, car il est important d'agir à Londres, si l'on veut éviter qu'en vue d'autres intérèts, on fasse surgir une question Européenne sur le Danube. La conduite du Prince de Roumanie est imprudente, mais, d'après les rapports que nous recevons de Bucarest, on a beaucoup exagéré l'attitude belliqueuse des Principautés. C'est la prèsence au Ministère de Bucarest d'un homme dévoué au parti d'action cosmopolite tel que M. Bratiano, qui prete aux exagérations de la France et de l'Autriche une apparence de vérité.

676

IL MINISTRO A CARLSRUHE, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 52. Carlsruhe, 12 novembre 1868 (per. il 19).

Mi affretto a porgere all'E. V. i miei ringraziamenti pel congedo ch'Ella si compiacque di accordarmi. Mi propongo di partire per Parigi oggi o domani, fermarmi colà qualche giorno, quindi recarmì in Asti presso la mia famiglia.

Nell'accommiatarmi da S. E. il Ministro degli Esteri, gli dissi che vedevo con gran piacere che anche la stampa francese aveva fatto plauso alle pacifiche dichiarazioni contenute nel Discorso di S. M. il Re di Prussia. Finchè le cose rimangono nello statu qua in Germania, soggiunsi, la pace può dirsi ormai assicurata. Che cosa intendete voi per lo statu qua, mi chiese il Signor di Freydorf? Risposi naturalmente che la condizione di cose creata dalla battaglia di Sadowa, e confermata dal trattato di Praga aveva suscitato malumori in Francia, e che sarebbe già un grande progresso il sapere che questi malumori si dissiperebbero da sè. Ciò accadrebbe se i Governi della Germania Meridionale, imitando la mirabile condotta della Prussia, non forniscono pretesti desiderati al partito della guerra ch'è pur sempre molto influente alla Corte delle Tuileries. Il Ministro degli Esteri si lasciò sfuggire che un pretesto poteva sempre essere trovato, e che per esempio i negoziati tenuti a Monaco colla Prussia per la Convenzione militare, od altre negoziazioni, potrebbero sempre fornire occasioni per affermare che lo statu quo non è stato mantenuto.

Messo in sospetto da queste parole, ce,rcai di vedere il mio Collega di Prussia. Seppi da lui che non v'hanno in questo momento altri negoziati fra il Granducato e la Prussia che quelli relativi alla esecuzione reciproca dei giudicati; si cerca inoltre di introdurre la stessa legislazione per la procedura civile e criminale. A quest'effetto devono tenersi a Berlino fra breve delle Conferenze. Ignoro ed il Ministro di Prusisa ignorava del pari se anche il wurtemberg, e la Baviera prendano parte a questi negoziati. Sarei piuttosto inclinato a creder di no, perché il dispaccio di cui il Conte Fleming mi diede lettura non parlava che del Granducato di Baden.

Furono scambiate a Monaco delle dichiarazioni ministeriali che ratificano il protocollo annesso alla Convenzione per le fortezze. Le ratifiche della convenzione stessa non furono ancora scambiate.

Il Barone Soden, Incaricato d'Affari del Wurtemberg a Carlsruhe fu nominato Ministro a Monaco. Esso sarà sostituito dal Signor Bauer, che avrà pure il grado d'Incaricato d'Affari.

(l) Cfr. nn. 655 e 658.

677

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (l)

D. 422. Firenze, 13 novembre 1868.

Ho ricevuto a suo tempo il Rapporto (2) ch'Ella mi fece a seguito della conversazione avuta con S. E. il Marchese di Moustier relativamente alle proposizioni fatte dal Governo egiziano per una riforma giudiziaria.

L'importanza dell'argomento e l'interesse speciale che noi annettiamo a questa questione mi persuadono che non può essere inutile ch'io qui riassuma brevemente lo stato attuale delle pratiche già prima d'ora intavolate dal Governo Vice-Reale col Gabinetto di Firenze.

Nell'agosto 1867 Nubar Pacha faceva comunicare a questo Ministero a mezzo di codesta R. Legazione un suo Rapporto al Vice-Re intorno alle riforme da introdursi in Egitto d'accordo colle principali Potenze d'Europa. La prima risposta del R. Governo a quelle proposizioni fu trasmessa al Ministro Egiziano per mezzo di codesta Legazione. La S. V. ricorda certamente, come in data del 22 Agosto dello scorso anno (1), il Ministero Le commettesse di ringraziare Nubar Pacha della comunicazione fattaci in forma confidenziale e di fargli conoscere che, essendo noi sempre disposti a favorire i progressi interni dell'Egitto, non avremmo avuto difficoltà ad occuparci immediatamente degli studi preparatori indispensabili per poterei pronunziare intorno ad un argomento molto grave e che toccava davvicino gli interessi degli Italiani. In quella sua prima comunicazione il R. Ministero emetteva inoltre l'opinione che un accordo sulle riforme giudiziarie in Egitto dovesse aver luogo fra tutte le Potenze e che soltanto quando tutte aderissero in massima ad occuparsi di siffatto progetto, l'attuazione di questo diverrebbe praticamente possibile. E per ultimo il Governo del Re non taceva che qualora il Vice Re si decidesse a pubblicare i nuovi Codici egiziani che già sin d'allora si dicevano in pronto, la quistione relativa alle procedure giudiziarie fra stranieri ed indigeni avrebbe potuto essere condotta più facilmente a buon termine.

L'onorevole mio predecessore a questo Ministero occupavasi quindi alacremente di assumere le informazioni necessarie sulle disposizioni dei varii Governi in ciò che concerneva l'accoglienza da farsi alle proposizioni egiziane, e volendo inoltre mettersi in grado di formarsi intorno alle medesime un'opinione propria e ben fondata, incaricava varie persone competenti, le quali tutte conoscevano per pratica gli affari egiziani, di esaminare il programma delle riforme giudiziarie proposte dal Governo Vice-Reale.

I rapporti che le persone espressamente interpellate hanno indirizzato a questo Ministero contengono molte precise indicazioni che hanno giovato non poco a rischiarare la questione ed a farla conoscere sotto il suo vero aspetto.

Gli interpellati, unanimi tutti nel riconoscere il fatto della sostituzione operatasi in Egitto di una legislazione consuetudinaria che allargava la sfera di azione della giurisdizione consolare oltre il confine originariamente assegnato dalle antiche capitolazioni, non lo furono meno nel respingere la qualificazione di arbitrarie ed abusive colla quale Nubar Pacha avea stigmatizzato le avvenute mutazioni. Queste trovavano la loro origine e la loro ragione d'essere nell'assoluta insufficienza e peggio dell'amministrazione della giustizia egiziana. La stessa unanimità si è riscontrata in ciò che concerneva la necessità assoluta di addivenire ad una riforma dell'odierno sistema giudiziario del Vice-Reame. Tutti opinarono concordi che all'inaugurazione di un sistema nuovo debba precedere quella radicale riforma delle leggi egiziane che valga meglio ad informarle ai principii fondamentali della legislazione europea. Varii poi furono gli avvisi in ciò che concerneva le particolari disposizioni legislative accennate nelle proposizioni egiziane, ma di quelle opinioni diverse non sarebbe utile qui occuparsi. Giova invece qui ricordare che anche in Egitto le opinioni non erano concordi.

Ed infatti il R. Governo sino dal Settembre 1867 veniva in cogmzwne dl una divergenza di vedute che si diceva esistere fra gli stessi Ministri del Vice-Re, volendo gli uni si accogliessero le proposizioni del Nubar ed altri invece mostrandosi poco proclivi alle radicali mutazioni e profferendosi disposti a procedere gradatamente nelle innovazioni ed a progredire poco per volta di mano in mano che crescerebbe la fiducia dei Governi europei negli ordinamenti interni dell'Egitto.

Senonché avendo Nubar Pacha sottoposto direttamente al Gabinetto di Londra le proposizioni contenute nel suo rapporto al Vice-Re, Lord Stanley in un dispaccio diretto all'agente britannico in Egitto non esitava a pronunziarsi in un senso molto favorevole almeno in massima, alle progettate riforme.

Non aveano però trovato un'uguale accoglienza le proposte egiziane né in Francia, né in Austria, né in Russia. A Parigi si prometteva di far esaminare la quistione, a Vienna si riserbava ogni giudizio finché fossero meglio note le intenzioni francesi ed a San Pietroburgo si respingeva categoricamente qualunque proposizione che avesse per risultamento di diminuire i diritti dei Consoli in ciò che concerne la giurisdizione sui sudditi del loro paese.

Le difficoltà incontrate dal primo progetto di Nubar Pacha suggerirono a quest'ultimo di dare alle Potenze interessate alcuna spiegazione sulle guarentigie che presenterebbe l'organizzazione giudiziaria proposta per l'Egitto. Queste spiegazioni sono svolte in una memoria che venne trasmessa a questo R. Ministero sul finire dell'anno passato. Il Governo del Re sempre sollecito di tutto ciò che può favorire il progresso morale e materiale dell'Egitto non esitava a rinnovare alle principali Legazioni di Sua Maestà l'invito di riferire quali fossero le disposizioni delle singole Potenze dopo la nuova comunicazione del Ministro egiziano. E dappoiché quest'ultima communicazione era stata accompagnata dalla proposta di riunire una apposita conferenza per esaminare la quistione, noi domandavamo allora ai R. Rappresentanti quale accoglienza fosse stata fatta a simile proposizione.

Siccome la quistione nel suo stato attuale verte appunto sulla convenienza di riunire una Commissione internazionale e sul mandato che a questa deve essere affidato, così non sarà fuor di luogo ricordare come appena si parlò di riunire una Commissione in Parigi, la Russia recisamente si opponesse alla scelta di quella sede dicendo essere Parigi luogo troppo lontano dai paesi dove sarebbe necessario attingere informazioni sugli argomenti da esaminarsi. Il Gabinetto di Pietroburgo mostravasi invece questa volta più arrendevole sul fondo della quistione da trattarsi e sembrava disposto ad acconsentire anche a radicali riforme in Egitto purché queste non costituissero un precedente che la Turchia potesse a sua volta invocare a proprio vantaggio.

Indifferente sulla scelta del luogo ove si dovesse riunire la conferenza, Lord Stanley, pur ammettendo che si poteva difficilmente respingere la proposta di un'inchiesta sulla situazione delle cose relative alla giurisdizione in Egitto, sembrava molto meno sicuro della convenienza di addivenire ad una radicale trasformazione di tutto il sistema giudiziario del Vice Reame.

A Berlino ed a Vienna non si erano ancora prese decisive deliberazioni. Si disse in quel tempo che la Commissione istituita dal Governo imperiale di Francia per esaminare le proposizioni egiziane avesse fatto un lavoro assai

completo il quale sarebbe stato comunicato alle Potenze per promuovere fra le medesime un utile cambio di idee sulla quistione. Noi ci rallegravamo sinceramente di questa notizia perchè eravamo d'avviso che siffatto sistema avrebbe affrettato gli accordi in una vertenza che molto ci interessava.

La S. V. sa che noi non ebbimo alcuna .comunicazione di simil natura dal Gabinetto di Parigi.

Fu allora che dovendo pure noi prendere una risoluzione in un affare di tanta importanza per gli interessi italiani abbiamo stimato conveniente fermarci a questa decisione. Si avesse cioè a studiare sul luogo lo stato delle cose e le quistioni particolari riflettenti i varii casi di applicazione pratica delle riforme teoricamente proposte; si dovesse perciò aderire all'idea di una Commissione internazionale incaricata di un esame preliminare che avrebbe facilitato gli accordi definitivi.

Il Gabinetto di Berlino avendoci interpellati sul nostro modo di vedere intorno alle proposte del Governo Vice Reale non esitammo a fargli conoscere questa nostra decisione aggiungendo che il Governo del Re riservava il suo avviso defintivo sulla sostanza delle proposizioni stesse per il tempo in cui meglio sarebbesi trovato in grado di pronunziarsi in seguito degli studi preliminari fatti dalla Commissione internazionale.

La S. V. ed i di Lei colleghi presso le principali Corti furono regolarmente informati di questa deliberaizone presa dal Governo del Re.

Trascorsero parecchi mesi senza che più non si sentisse da noi a parlare del progetto egiziano, e non fu che nello scorso settembre che le pratiche furono riattivate qui in Firenze all'occasione in cui Nubar Pacha passava pochi giorni in questa capitale.

Sostanzialmente il Governo del Re non ebbe a modificare le proprie decisioni nelle sue trattative coll'Inviato egiziano. Fermo nell'idea che una quistione tanto complessa ed intricata dovesse formar l'oggeto di uno studio preparatorio, il Govemo di Sua Maestà aderì in massima alla proposizione fattagli da Nubar Pacha di riunire una Commisisone internazionale in Egitto allo scopo di esaminare le guarentigie che presenterebbero i nuovi Tribunali egiziani, il modo col quale si dovrebbe redigere un codice di procedura, e le modificazioni che si dovrebbero introdurre nelle leggi del Vice Reame per renderle applicabili a tutte le quistioni che sorgono fra indigeni e stranieri. La Commissione internazionale, nel concetto del Governo del Re non dovrebbe avere che un carattere puramente consultivo e la sua riunione dovrebbe aver luogo in Egitto. Ove un'altra sede fosse scelta per riunire la Commissione medesima, il Governo italiano dubitando dell'opportunità di una simile riunione, posta fuori delle condizioni volute per fare un lavoro preparatorio completo, si riservava espressamente di fare studi separati in concorso col Governo egiziano per esaminare quali rimedi potrebbero essere applicati per migliorare lo stato attuale delle cose senza diminuire le guarentigie ora assicurate agli Italiani in Egitto.

Tale era lo stato della quistione quando mi giunse la comunicazione di V. S. in data del 6 corrente (1), comunicazione alla quale mi affretto di rispondere.

Benchè dalle cose anzi esposte appaia chiaramente quanto sarebbe stato più utile che gli scambi di idee fra i Gabinetti di Parigi e di Firenze avessero luogo prima d'ora o quando la questione era per così dire meno pregiudicata, ciò nondimeno noi siamo ben riconoscenti al Governo francese di aver voluto farci conoscere il suo modo di vedere tanto sul merito della trattativa quanto sul modo di procedere in essa.

La proposizione di tentare un esperimento di riforma giudiziaria il quale funzionerebbe in guisa di prova ed in concorrenza col sistema delle capitolazioni, o, per essere più precisi nel linguaggio, col sistema che gli usi hanno introdotto, merita certamente attenta considerazione, sebbene per chiunque conosca lo stato delle cose e l'indole degli affari che si trattano in Egitto, possa sembrare che un simile esperimento, moltiplicando ancor più le giurisdizioni nel Vice Reame darebbe per inevitabile risultamento un aumento di disordine e farebbe perciò certamente tristissima prova (l).

A noi sembra che dappoiché tutti i Gabinetti hanno giudicato savio consiglio di non prendere impegno relativamente all'accettazione o non accettazione del progetto di riforme giudiziarie presentato dal Governo egiziano, non si possa ricusare a quest'ultimo di concorrere ad uno studio preparatorio destinato a far risultare quali di quelle riforme sono praticamente applicabili e quali non. Quali quindi potranno essere accettate dai Governi europei e quali invece dovranno esere defintivamente respinte. È in questo senso che noi abbiamo aderito alla proposta di riunire una Commissione preparatoria in Alessandria e sarebbe con vero rammarico che vedremmo la Francia astenersi dall'inviare un suo Commissario a partecipare a quei lavori i quali avranno almeno per effetto di costringere il Governo egiziano a meglio concretare i suoi progetti scendendo sino alle particolarità dell'applicazione.

Tenendo conto infatti dell'indole delle proposizioni fatte dal Governo egiziano e della forma nella quale le medesime furono esposte ben si comprende che per appianare la via agli accordi sarà indispensabile che le varie Potenze procedano col Governo Vice-Reale a scambio di vedute, ed anche a preliminari trattative che abbiano per risultamento la compilazione di un atto nel quale tutte si comprendano particolarmente le riforme e le modificazioni che le Potenze, sull'invito del Governo del Vice Re, accetterebbero. Ora queste spiegazioni, queste trattative dalle quali dovranno nascere le proposte concrete, conviene che siano condotte separatamente dai varii Gabineti, ovvero è preferibile che abbiano luogo in una conferenza dove tutte le Potenze sarebbero insieme rappresentate?

Noi abbiamo inclinato verso quest'ultimo partito perché dal momento che il Governo del Re ha riconosciuto che radicali modificazioni allo stato presente delle cose in Egitto potrebbero essere vantaggiose agli interessi stessi degli Italiani, noi dovevamo scegliere quella maniera di procedere che ci sembrava poter condurre a migliori e più spediti risultamenti.

A noi non poteva sfuggire la considerazione che ove le Potenze fossero entrate in separate trattative col Governo del Cairo, questo avrebbe potuto trar facilmente profitto di una situazione nella quale i varii Gabinetti avrebbero continuato

ad avere una poco precisa ed imperfetta cognizione delle disposizioni e degli intendimenti rispettivi di ciascuna delle Potenze interessate. Quanto venni esponendole in questo dispaccio mette la S. V. in grado di riconoscere se questo riflesso possa aversi come infondato. Il corso delle precedenti trattative a noi sembra per verità confermare pienamente la nostra opinione che cioè i negoziati separati coll'Egitto non possano tornar vantaggiosi che a quest'ultimo.

Epperò la S. V. ha certamente osservato che a questo partito di aprire separate trattative col Governo del Cairo noi ci siamo dichiarati pronti ad appligliarci soltanto, qualora riuscisse assolutamente impossibile la riunione della progettata Conferenza o Commissione internazionale in Alessandria.

Il Gabinetto delle Tuileries mostrerebbesi, da quanto Ella mi scrive, disposto ad entrare immediatamente in trattative per conchiudere i definitivi accordi ed anzi ci fa sapere che egli vorrebbe farsi rappresentare a questo fine dal proprio Agente in Egitto.

A questo proposito io autorizzo la S. V. a far osservare che il programma delle modificazioni da introdursi quale fu esposto nei memoriali di Nubar Pacha non ci sembra poter servire di base pe,r aprire definitivi negoziati e che in ogni caso sarebbe desiderabile che prima di intavolare simili trattative si conoscessero in modo più preciso e più completo gli intendimenti del Governo egiziano.

*Rimane per ultimo ch'io Le faccia conoscere, Signor Ministro, quali sarebbero le nostre intenzioni quando sì trattasse dì farci rappresentare in una Commissione preparatoria o definitiva in Egitto. A questo riguardo conviene premettere che la questione della scelta del rappresentante o commissario italiano deve essere fatta tenendo conto anzitutto della necessità di non iscemare l'autorità ed il credito dell'agente ordinario del R. Governo in quel paese. Ora non si può a meno di riflettere che, trattandosi di questioni le quali toccano interessi gravissimi e diversi, chiunque sarà chiamato a trattare dovrà necessariamente entrare in contestazioni col Governo locale ed esporsi in ogni caso alle inevitabili critiche delle persone che osteggiano per principio o per interesse qualsiasi mutazione dello stato attuale. Il Console Generale ed Agente ordinario non potrebbe, a parer nostro, in così delicata posizione conciliare facilmente l'indipendenza necessaria in simili negoziati coll'esigenza e l'interesse di conservare tanto verso la colonia, quanto verso il Governo locale quei buoni rapporti che sono indispensabili per il disbrigo giornaliero degli affari. Epperò noi ci proponevamo appunto di sottoporre al Governo francese questi riflessi perchè, ove i due paesi dovessero scegliere un rappresentante per la Commissione progettata, entrambi evitassero di nominare gli Agenti ordinarii per un ufficio che potrebbe considerevolmente nuocere alla loro posizione * (l).

Con questa esplicita e minuta esposizione delle idee nostre intorno alla quistione delle riforme giudiziarie in Egitto, ho soddisfatto anche ad un impegno che io avea assunto verso il Rappresentante di Francia in Firenze, di porre la

S. V. in grado di somministrare a S. E. il Signor Marchese di Moustier le più ampie spiegazioni circa questo argomento. Sono convinto che il Governo Imperiale vedrà nel modo col quale gli facciamo conoscere le nostre intenzioni al

proposito una prova convincente del desiderio nostro di continuare con lui quello scambio di vedute sulle principali questioni dal quale non possono i Governi europei che trarre sommo vantaggio nei loro rapporti cogli Orientali.

(l) -Ed. !n LV 21, pp. 24 e 27. (2) -Cfr. n. 554.

(l) Cfr. serie I, vol. IX, n. 166.

(l) Cfr. n. 659.

(l) In LV 21: «perciò farebbe difficilmente buona prova».

(l) Il brano fra asterischi è omesso in LV 21.

678

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 768. Firenze, 15 novembre 1868, ore 14,30.

Villestreux m'a lu la dépeche de Moustier (l) en réponse à la mienne du mois d'aoftt (2) elle est passable; sauf l'avant dernier paragraphe qui ne me plait pas (3). Il est inutile que vous demandiez de nouveau le rappel des troupes françaises à l'Empereur, à moins qu'il ne vous en parle.

679

VITTORIO EMANUELE II A PIO IX ( 4)

L. Firenze, 15 novembre 1868.

Nell'ultima lettera che ebbi l'onore di rivolgere a Vostra Santità (5), io le esponeva le difficoltà che dovetti superare onde evitare che il rivolgimento operatosi in Italia per effetto di forze irresistibili fosse scevro dagli eccessi che in altri paesi funestarono simili fasi della vita politica delle nazioni. Ho tutelato per quanto da me dipendeva gli interessi della Religione che io mi glorio di professare ed avrei sperato che mi fosse stato tenuto conto delle mie intenzioni e dei miei sforzi che non potevano oltrepassare i limiti della mia autorità e dei miei doveri di Re. Ma ciò nonostante la Santa Sede in più occasioni si mostrò severa sino al punto di colpirmi di un interdetto ulcerando così il mio cuore di padre ed amareggiando l'anima mia che si sentiva immeritamente ferita. Tuttavia non mi lascio trascinare da risentimenti alcuno e non tralascio di porgere alla Religione ed ai Suoi ministri tutta la riverente protezione acconsentita dalle circostanze. Io la vorrei più efficace ancora, ma per ciò è necessario che mi venga in aiuto anche la Santa Sede col mettere termine ad un rigore che porgendo armi ai nemici d'ogni ordine sociale, non può avere che funeste conseguenze per la Religione come per l'Italia.

Io spero che la Santità Vostra udirà la mia voce ed accoglierà benignamente queste mie lagnanze le quali sono dettate dal vivo mio desiderio di vedere stabilite tra la Santa Sede e lo stato che la Providenza mi chiamò a reggere rela

50 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

zioni benevole che ridondano a tutto beneficio d'entrambi. Confido che quella speranza non sarà delusa e ne ho la prova nel recente editto, col quale il Governo di Vostra Santità rimuove in parte gli impedimenti che fin ora ostarono al facile commercio dell'Italia collo Stato Pontificio. Esso viene accolto con gratitudine ed ascrivo a debito mio il porgere a Vostra Santità i miei più sinceri ringraziamenti. Mentre ripongo ogni fiducia nel cuore paterno di Vostra Santità la prego di darmi la Sua Santa benedizione e mi protesto con sentimenti di profondo rispetto.

(l) -Cfr. n. 699, allegato. (2) -Cfr. n. 484. (3) -Cfr. n. 699, allegato, nota l, p. 750. (4) -Ed. in Lettere Vittorio Emanuele II, vol. Il, pp. 1359-1360 e, con data 19 novembre, in PIRRI, vol. III, pp. 194-195. (5) -Cfr. n. 426.
680

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 286. Berlino, 15 novembre 1868.

Les discours prononcés par le Baron de Beust, sur la loi relative à l'armée permanente et commune aux deux moitiés de l'Empire Austro-Hongrois, ont été fort commentés à Berlin, en ce qu'ils forment contraste avec les déclarations pacifiques signalées dans ma dépeche n. 285 (1).

Je sais par M. de Thile que ces discours non moins que ceux du Ministre Berger et du commissaire militaire au Reichsrath, ont été vivement critiqués par le Roi Guillaume et par le Comte de Bismarck. Sans doute, il faut faire la part du feu, se mettre en lieu et piace d'un homme d'Etat obligé parfois de charger Ies couleurs pour impressionner son auditoire et le rendre plus condescendant. Mais il n'est pas moins vrai que le Baron de Beust a dépassé le but pour quiconque examine avec attention ses arguments. Il ne brille pas par le tact, quant il rappelle Olmtitz et l'attitude du Prince de Schwartzenberg. Il laisse trop clairement voir dans son jeu, quand, tout en se défendant d'une politique de rancune, il bat en breche le système de neutralité qui a été, lors de la guerre de Crimée, la cause principale des défaites et des pertes essuyées plus tard par l' Autriche. En d'autres termes, la faute de rester l'arme au bras, ne doit plus étre comise. A propos de la Hongrie, il y a en outre des allusions assez transparentes, contre le Cabinet de Berlin. «Bref, ces discours, me disait le Sous-Secrétaire d'Etat, sont une nouvelle preuve que les relations entre les deux Pays sont fort loin d'etre amicales. Jamais dans Ies Chambres Prussiennes, un Ministre s'est permis un tel Iangage.

Nous savons en outre que le Gouvernement Impérial s'est plaint que le Gouvernement des Principautés Danubiennes avait introduit clandestinement en Roumanie des convois d'armes, en leur faisant traverser le territoire Autrichien. Le Prince Gortchacow n'a pas manqué de faire observer que 75 % de ces armes sont de fabrique Autrichienne ».

M. de Thile n'a absolument rien dit sur des fournitures de fusils ou de canons de la part de la Prusse. Lors meme que le fait serait exact, il n'y aurait rien

là d'anormal. Le Gouvernement des Principautés-Unies, en vertu d'un firman du Sultan, ayant le droit d'entretenir une armée de 30 mille hommes, le Cabinet de Berlin était parfaitement autorisé à lui livrer, contre payement, une partie du matériel, sans qu'on en tiràt la conséquence d'une politique peu bienveillante vis-à-vis de l'Autriche ou de la Turquie. Autrement, avec la meme logique, on pourrait affirmer qu'il aurait cherché à fortifier, dans son propre intéret la domination de la Porte, par·cequ'il lui a, dans le temps, envoyé des instructeurs militaires. D'ailleurs, le Prince de Hohenzollern ayant reçu son éducation dans la Garde à Berlin, on s'expliquerait son désir d'organiser ses troupes sur le modèle de l' Armée Prussienne.

Il est vrai qu'on accuse le Comte de Bismarck d'occuper ses loisirs de Varzin par des conspirations tendantes à envénimer les dissentiments entre la Hongrie et la Roumanie. Comme si ces dissentiments ne s'alimentaient pas d'eux-memes par les prétentions nationales des nombreux Roumains établis en Hongrie et en Transylvanie, qui réclament des droits plus étendus que ceux que les Magyars ne sont enclins à leur accorder. Ce ne serait évidemment qu'en cas de lutte ouverte avec la Maison de Habsburg, que l'Allemagne pourrait songer à tirer parti de ces circonstances, dont il serait puéril de la rendre aujourd'hui responsable.

En voyant avec quelle insistance les Cabinets de Paris et de Vienne attaquent le Gouvernement Roumain, on serait plutòt tenté d'admettre que, reculant l'un et l'autre à entamer directement une guerre contre l'intégrité de l'Allemagne, ils voudraient en quelque sorte tourner la position et provoquer un conflit sur cet autre terrain. Comme si le Roi de Prusse était disposé à se preter à ce jeu, à soutenir un des représentants d'une branche éloignée de sa Famille, qui court l'aventure à ses risques et périls. La politique de sentiment, aussi longtemps du moins que le Comte de Bismarck restera au pouvoir, ne sera pas de mise dans les conseils de la Couronne. Le calcul, si calcul il y a, tomberait complètement à faux. Ce serait en outre se faire une étrange illusion, que de supposer que la Hongrie partage les rancunes de la dynastie ou de son Chancelier. La Monarchie dualiste ne peut viser à des conquetes, parceque chaque conquete, ainsi que le déclarait récemment le Pesti Naplo, (journal officieux), troublerait l'équilibre intérieur et compromettrait l'existance de l'Etat.

A l'appui de ce que j'avance, je citerai encore les impressions recueillies par mon collègue d'Amérique dans une excursion récente dans ces contrées, où il s'était mis en rapport avec les personnages les plus influents, tels que M. Deak, etc. etc. Ils étaient unanimes à reconnaitre qu'ils considéraient comme une victoire pour leur Pays les résultats de la campagne de 1866, qui avaient placé l'Autriche en dehors de l'Allemagne. Ils se disaient contraires à toute alliance avec la France, dans le but, direct ou indirect, de rendre à l'Empire son ancienne position. Il ne saurait d'aucune manière leur convenir de se preter à des combinaisons qui auraient pour conséquence de les replacer au second rang. Leur position à eux deviendrait un jour dominante, quand le centre de gravitation serait définitivement déplacé de Vienne à Pesth.

En présence de ces dispostions, parfaitement connues à Berlin, il n'y a pas lieu de s'i:nquiéter outre mesure de voir la Prusse -et quand je dis la Prusse, j'entends aussi l'Allemagne -serrée entre deux voisins qui, à eux-seuls, se pavanent derrière une armée, en formation, de deux millions de combattants. Au besoin, l'équilibre serait au reste rétabli par la Russie.

Quelques journaux autrichiens, comme s'ils s'étaient donné le mot afin de seconder le Baron de Beust dans ses efforts pour faire voter le budget militaire, ont répandu maintes nouveilles plus ou moins apocryphes, celle entre autres de négociations engagées entre les Puissances pour une modification de certains articles du traité de Paris relatifs à la constitution des Principautés Danubiennes. Le Marquis de Moustier s'est empressé d'y opposer un démenti. Si des pourparlers ont eu lieu, ils n'auraient pas dépassé, assurait-il, les limites d'une simple conversation politique. Il ne blàmait pas moins l'administration de la Roumanie. Au reste, le Cabinet de Berlin, tout en rendant justice aux bonnes intentions du Prince de Hohenzollern, n'hésite pas à reconnaitre que ses conseillers laissent beaucoup à désirer. Récemment encore sans vouloir s'immiscer dans ses affaires intérieures, il n'a pas moins laissé entendre à Bukarest qu'il avait vu avec regret M. Golesco, dans sa réponse à la lettre adressée par Aali-Pacha à Son Altesse le Prince Charles, (Document Diplomatique n. 347), se départir des formes usitées vis-à-vis de la Cour Suzeraine.

Le Comte d'Usedom, qui se trouve actuellement ici, retorunera dans peu de jours à Florence. Je sais qu'il s'est exprimé d'une manière très sympathique sur notre Pays, sur son Gouvernement et notamment sur le compte de V. E. Il s'est plu à constater que nous sommes en voie de progrès.

M. Devaux, chef du Cabinet du Roi des Belges, se trouve également à BerUn, en congé et en visite chez son frère. Est-il chàrgé d'une mission? Je l'ignore. Il a été reçu en audience par le Roi Guillaume et par le Sous-Secrétaire d'Etat. Il donne des détails plus rassurants sur l'état du Prince Royal, et il apporte la nouvelle que la Comtesse de Fiandre est entrée dans le quatrième mois de grossesse. Il est à supposer que, sans avoir de mission proprement dite, la Cour de Belgique aura voulu lui faciliter le moyen de s'aboucher avec le Roi de Prusse, et de rapporter ses impressions sur la situation générale. M. Devaux partira après demain pour Londres, où il fera un séjour de peu de durée.

(l) Cfr. n. 681, nota. 2, p. 728.

681

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1211/512. Londra, 15 novembre 1868 (per. il 21).

Secondo quanto le annunciava alcuni giorni or sono, Lord Stanley si è finalmente recato a Lynn ad arringare i suoi elettori. Il suo discorso d'avant'jeri, di cui forse un sunto sarà già stato inviato costà dal telegrafo, fu straordinariamente rimarchevole pei principii liberali che da esso trapelano, e forma un singolare contrasto con quelli pronunciati dai suoi Colleghi.

Non havvi una sola parola uscita in quest'occasione dalla sua bocca che non sia per dare soddisfazione al più scrupoloso partigiano dei principi liberali. Circa il proprio dipartimento degli Affad Esteri le sue espressioni sono conformi ai desideri della maggioranza intelligente della Nazione; in materia di finanza, di pubblica istruzione e di armamenti egli è ciò che i più ardenti riformatori potrebbero bramar di più esplicito, e nelle altre questioni interne come quella della Riforma e della Chiesa Irlandese, si vede chiaramente che la sua azione sarebbe assai più spiegata nella via del progresso ove non facesse parte di un'amministrazione conservatrice.

Infatti la neutralità di Lord Stanley nella politica puramente Tory, fu quasi altrettanto completa quanto quella del Foreign Office nella politica Europea. Gli altri membri del Gabinetto fidandosi al suo buon senso, e sapendo che il paese riguardava con favore la sua prudente condotta rispetto alle Nazioni estere, lo lasciarono in massima agire come intendeva, ed egli dal canto suo non si è mai compromesso proclamando alcuno dei domma che formano il Credo politico dei suoi colleghi.

Lord Stanley, è vero, disse ai suoi elettori avergli Lord Palmerston offerto nel 1855 un posto nella sua amministrazione, esempio seguito quindi da Lord Russell nel 1865, aperture che, sebbene onorevolissime, egli s'affrettò a declinare non volendo staccarsi dal suo partito.

Ma questa dichiarazione, fatta per ragioni di convenienza, veniva poi subito seguita dalle più liberali espressioni sulla gran questione della riforma, dimostrando come ei non fosse spaventato dall'estensione dei diritti elettorali. Mylord osservò su questo punto che chi governa l'Inghilterra è l'opinione pubblica, e che il giorno in cui vide la medesima manifestarsi sì spontaneamente in favore d'una più larga franchigia parlamentare egli pel primo accettò tale verdetto come definitivo.

Troppo mi dilungherei se volessi imprendere ad esaminare in dettaglio tutti gli argomenti d'interesse interno sviluppati da Lord Stanley in questo suo discorso.

Passerò dunque a quella parte per noi più importante, cioè quella che ha tratto agli affari del Continente.

Circa i medesimi il Ministro degli Esteri parlò assai a lungo. Egli disse di credere non esservi mai stata prima d'ora un'epoca in cui l'Inghilterra abbia eccitato minori gelosie, ed in cui l'universale considerazione le sia stata più acquisita per il non nutrire insidiosi disegni contro la proprietà e la pace delle altre nazioni; ed era d'avviso che, agendo in tal guisa, l'Inghilterra non avrebbe nulla perduto del suo prestigio. Vi era indubitabilmente ragione d'inquietudine nello stato d'Europa, ma, per quanto potea egli scorgere, tal sentimento non era già desiderio di guerra; bensì tema di esservi trascinati; e siccome non è facile di far combattere gli uomini contro il loro volere, e siccome quasi tutte le difficoltà possono essere facilmente sedate quando ambe le parti lo desiderano, egli non disperava che la tempesta, la quale da due anni stava sospesa sull'Europa, potesse venire dissipata. Secondo lui né Francia né Russia avevano cosa alcuna a guadagnare da una guerra e sebbene in Francia tutto dipendesse dalla volontà d'un sol uomo, ciò nullameno quell'uomo sapeva assai bene, e forse meglio di qualunque dei suoi sudditi, quale fosse l'opinione del paese che egli regge. Su ciò la conclusione dedotta da Lord Stanley è che se, per un anno o due ancora le cause di conflitto possono essere evitate, le nazioni rovinate ed esauste si vedranno per lo meno costrette ad un parziale disarmo, ed allora le cose andranno innanzi pacificamente come per gli anni addietro. « Noi naturalmente ~. soggiunse il nobile Lord, «faremo quanto è in nostro potere per ottenere tale risultato, ma lo faremo e dobbiamo farlo soltanto entro certi limiti ben definiti~.

Queste ultime parole hanno molta gravità, e vanno considerate come una solenne rifutazione di ciò che il Signor Disraelì, in un momento d'impulso elettorale, disse piuttosto imprudentemente l'altro giorno al banchetto del Lord Mayor sulla opportunità che vi sarebbe per il Ministro degli Affari Esteri della Regina di interporre la sua mediazione tra l'Imperatore Napoleone ed il Re Guglielmo (Rapporto politico di questa Legazione n. 510) (1). Ed evidentemente animato dal desiderio di rendere il significato delle sue parole più esplicito ancora, Lord Stanley, cita subito dopo l'esempio del Lussemburgo onde esporre la differenza che corre tra la situazione creata dalla controversia insorta per quel Ducato e quella in cui travasi oggi rispettivamente la Prussia e la Francia, a favor delle quali il Primo Ministro propose sì arrischiatamente la intervenzione della Gran Bretagna (2). Infatti il Ministro degli Affari Esteri dice: «La questione del Lussemburgo fu un caso eccezionale. Noi ebbimo a quel moment() l'opportunità di procurare un gran bene e di evitare un gran male con pochissimo o nessun rischio pe,r noi. Ma un intervento di tal natura non è al certo la politica che io, almeno, amerei seguire d'ordinario. La nostra regola, a mio senso, deve essere: benevolenza per tutte le nazioni, e, per quanto possiamo, non avvincolarsi con alcuna alleanza a qualsivoglia di esse».

Ciò che non può piacere alla Francia è quella parte in cui Mylord si esprime nel modo seguente relativamente alla Prussia: «Che cosa avrebbe la Prussia da guadagnare con una guerra? Assolutamente nulla. Dessa è sicura di avere

o tosto o tardi il comando di tutta la Germania unita; siffatto risultato è quanto naturalmente le spetta, ed a raggiungerlo non ha che da attendere che diventi maturo. Ma mi si potrà chiedere: vorrà la Francia permettere una tale unione? probabilmente no, se la medesima fosse per avverarsi oggi o domani; ma sono d'avviso che gli uomini di Stato Francesi cominciano di più in più ad accorgersi che questo fatto è inevitabile, e che è vano il voler lottare contro la tendenza naturale delle cose...

Senza dubbio havvi in Francia una classe di persone presso di cui la gue,rra è popolare; ma io credo che essa classe sia più piccola di quello che generalmente si crede in questo paese».

Il prospetto dell'unità della Germania sotto la bandiera di Hohenzollern con tanta sicurezza contemplato da Lord Stanley non è in verità ciò che farà miglior effetto dall'altro lato della Manica, e difatti il Telegrafo già ci ha annunziato la

«M. de Thile m'a parlé du discours prononcé par M. Disraeli au banquet du Lord Ma!re à Londres, d!scours assez maladro!t en ce qui concerne l'idée ém!se sur des ouvertures à faire aux Pu!ssances dana le but d'amener un compromis entre la France et la Prusse. Ce d!scours a été env!sagé comme une réclame électorale. En d'autres termes, !l n'a pas été pris au sérieux. Le lrloniteur français, de son còté, s'est borné à en publier une analyse sympath!que, sans donner une approbation explic!te aux véllé!tés man!festées par le Chef du Cab!net Angla!s. On lui est sans doute reconna!ssant qu'll veuille contribuer à apa!ser !es espr!ts, à fort!f!er la conflance dans une prolongat!on de la pa!x, mals on est d'avis qu'une méd!at!on de l'Angleterre ou de l'Europe entre la Prusse et la France présupposerait nécessairement de graves d!ssent!ments, en un mot qu'une quest!on d'une lmportance majeure serait déjà posée d!plomatiquement entre elles. Or une te!le question !nternationale n'existant point, la base manque à une médiatlon ».

poco favorevole impressione colà prodotta da questo passo. Comprendo benissimo come la Stampa officiosa Francese dica che Sua Signoria non giudica la situazione dell'Impero abbastanza imparzialmente; che sia perfettamente logico che la Francia si preoccupi della formazione di una formidabile potenza militare sulla sua frontiera orientale, e che sarebbe alla Prussia e non alla Nazione Francese che Lord Stanley dovrebbe dare consigli di moderazione.

È ben naturale che le verità contenute nel discorso del Ministro Inglese suonino assai dure al Governo Imperiale, ma nessuno potrà negare la giustezza delle osservazioni che colla sincerità che distingue il suo carattere Lord Stanley ha testé pubblicamente esternate. Le allusioni da lui fatte circa le cose d'Oriente posseggono poi una tale gravità che qui produssero persino un ribasso alla Borsa.

Sua Signoria disse che non v'era più campo a dubitare che le nubi le quali da qualche tempo si sono addensate in Oriente, siano vicine a fare scoppiare un terribile uragano: «potrà aver luogo presto come potrà essere ancora ritardato per anni; ma che desso scoppierà è assai probabile. Questo è uno stato di cose sul quale dobbiamo tenere aperti i nostri occhi. Quindici anni or sono non ci siamo voluti persuadere di ciò che ci attendeva, e la guerra di Crimea alla quale fummo trascinati, allo scontento di tutti, ne fu la conseguenza (vivissimi e prolungati applausi) ».

Mylord continuò quindi a dire ch'egli riteneva essere i torbidi della Turchia piuttosto provenienti dall'interno che dall'estero. Niuna alleanza straniera, niuna guarentigia Europea potevano proteggere secondo lui un Governo contro gl'imbarazzi finanziari o la ribellione delle proprie provincie. In queste materie dovere ogni paese essere lasciato al suo fato. Ma non esser perciò men vero che la debolezza di un grande Impero è una sventura pel mondo intiero, ed anche per quelle nazioni che non ponno avere simpatie molto vive per esso.

Meglio un Governo indifferente che nessun Governo; «E se », aggiunse Lord Stanley, «io potessi sperare che queste mie parole fossero per giungere alle popolazioni Cristiane dell'Oriente, colle quali sinceramente simpatizzo, io direi loro: Le vostre aspirazioni possono essere naturali, ma ricordatevi che l'anarchia non è progresso, e che non è saggia cosa il distruggere ciò che non siete preparati a rimpiazzare. Molto più particolarmente vor,rei dire alla Grecia, quel piccolo Stato pel quale i nostri Padri erano così entusiasti, e che attualmente noi siamo piuttosto inclinati a non apprezzare al suo giust~ valore; voi potete essere lo Stato modello dell'Oriente, voi potete esercitare su quelle razze Cristiane una influenza pressoché incalcolabile, se invece di abbandonarvi a vaghi sogni di ingrandimento, pensaste a rendere il vostro Governo interno più degno di un paese incivilito, e più degno di quei destini che voi credete l'avvenire vi tenga in serbo.

E vorrei dir loro ancora: se adottate una politica di fomentare disordini all'estero, voi sagrificate una realtà per correre dietro ad un'ombra; vi lasciate sfuggire ciò che v'appartiene, mentre in sostanza egli è molto dubbio che possiate un giorno ottenere ciò che cercate».

Nel dare un sunto delle idee svolte da Lord Stanley sulla politica estera, non posso trattenermi dal provare un sentimento di soddisfazione nel rilevare come ogni volta che, in seguito alle conversazioni avute con lui, ho cercato d'esporre all'E. V. il suo modo di vedere circa le grandi questioni Europee, Le ho tenuto, Signor Conte, un linguaggio non del tutto dissimile da quello di cui Sua Si~noria si servì a Lynn.

Ho sempre scritto a V. E. che in questi ultimi anni si era operato un gran cambiamento in Inghilterra; che la questione d'Oriente tradizionalmente connessa colla politica Britannica veniva oggi diversamente contemplata, e che qualunque guerra scoppiasse sul continente, troverebbe questo paese, almeno da principio, neutrale.

Venerdì scorso Lord Stanley riassunse e confermò quanto precede con questa frase molto applaudita dai suoi elettori:

«La nostra posizione isolata richiede una politica isolata; ed al postutto se le cose si volgessero alla peggio all'estero noi abbiamo ognora un potente alleato sul quale far calcolo -i flutti del Canale Britannico».

Questa professione di fede è assai caratteristica; ma è soprattutto conforme allo spirito della Nazione Inglese.

Se le sorti del Gabinetto Disraeli forzeranno l'attuale Segretario di Stato che regge il Foreign Office a lasciare il suo posto ad un altro, egli certamente si ritirerà colla fama d'abile uomo di Stato e nessuno lo potrà accusare di avere menato un esagerato vanto, allorché parlando della sua amministrazione ei dichiarò che l'onore Britannico era stato rivendicato in Africa, e che i pericoli che minacciavano l'Inghilterra e l'America erano stati rimossi.

(1) -Non pubblicato. (2) -Con r. 285 dello stesso 15 novembre Launay comunicò:
682

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 66. Vienna, 15 novembre 1868 (per. il 18).

La relazione che io aveva letto in molti giornali sulla ultima circolare del Barone di Beust mi avea profondamente amareggiato imperocché mi sembrava che essa non consuonasse colle parole che egli medesimo mi aveva dirette e che io aveva riprodotto nel dispaccio serie politica n .... (l) inviato all'E. V. Temendo quindi potesse da questa diversità di parole nascere qualche increscioso incidente cercai più volte di vedere il Cancelliere dell'Impero, ma non mi riuscì di ottenere un convegno che ieri soltanto. La discussione agitata della legge sul reclutamento alla Camera gli aveva impedito di accordarmelo prima.

Io con quella lealtà che credo essere debito di ogni uomo onesto, gli esposti immediatamente i miei dubbi, affermandoli però ciò che è pur verissimo che dal mio Governo io non avea avuto nessuna rimostranza in proposito. Ma siccome io temeva che egli avrebbe pubblicato nel libro rosso la sua circolare e siccome Ella dal suo canto, Signor Ministro, avrebbe potuto pubblicare in parte il mio dispaccio, così era molto naturale che io volessi fermamente constatare come non esistesse fra i due documenti neppure il sospetto di contradizione. In pertanto gli chiesi di leggergli il mio dispaccio, e così feci per l'appunto dalle prlme parole fino alle parole « che in questo caso io non poteva vedere nessuna

(l} Il numero manca nell'originale. Si tratta però del r. confidenziale 62 del 30 ottobre edito al n. 646.

offesa alla dignità del mio Governo ». A questo punto egli m'interruppe e mi pregò di rileggere il paragrafo in cui egli accennava alla lealtà del Gabinetto del Generale Menabrea e uditolo mi disse non esservi fra quelle parole e quelle della sua circolare nessuna contradizione. In questa circolare che egli mi lesse egli afferma che il Gabinetto italiano non avea désavoué aussi hautement qu'il aurait désiré les menées italiennes ne'l Tirolo e nell'Istria, ma tra favorire e il désavouer vi è un immenso divario e le due cose possono e sono anzi vere ambedue.

Egli non avea preteso accusare il Governo italiano, ma anzi colle sue parole difenderlo e scusarlo in faccia agli attacchi di alcuni membri del Comitato.

Io gli feci osservare che egli non mi avea mai mosso parola sopra questo argomento, che egli non mi avea mai diretta nessuna lagnanza e che non poteva a meno di essere meravigliato alquanto della sua affermazione; che egli sapeva che tanto al Consolato a Trieste, quanto alla Legazione in Vienna erano state date istruzioni precise e categoriche a quel riguardo. Egli mi disse di averne fatto tener parola dal Barone di Kubeck a Firenze e mi accennò fra gli altri il fatto che a Venezia per gli sponsali del Principe Umberto erano state portate in giro le bandiere trentine ed istriane col velo nero.

Io gli osservai che un Governo libero non può impedire alcune dimostrazioni e gli citai l'esempio di Pesth in cui furono nel giorno dell'incoronazione portati pure in processione gli stendardi rumeni.

Ed è appunto perciò, continuò egli, che io non ho mosso lagnanze ed è appunto perciò che io continuo ad onta di ciò i migliori rapporti col Governo italiano ed è appunto perciò che mi sono studiato di spiegare in un senso favorevole la condotta del Gabinetto Menabrea al Comitato, ed è appunto perciò che io credo che questo incidente tanto per l'un Gabinetto che per l'altro sia opportuno venga completamente dimenticato. E con una franchezza molto nobile soggiunse che egli avrebbe desiderato che le sue parole non fossero state conosciute, che gli rincresceva altamente del violato sgreto, che intendeva egli stesso l'anormalità della posizione, ma che dal momento che egli le avea pronunziate quelle parole davanti tante persone, non poteva a rischio di passare per un mentitore sconfessarle, negarle.

Non poteva che attenuarle, toglier loro ogni senso ostile e commentarle in guisa che non generassero nessun incidente diplomatico.

Io gli dichiarai che intendeva colla spiegazione che aveva provocato spontaneamente a evitare appunto un increscioso incidente diplomatico, ma questo pericolo era dileguato avendo egli riconosciuto che le parole da lui pronunziate e da me riferite erano esatte. Io non avea al certo altro da aggiungere lasciando ad esso di conciliarle colle frasi della sua circolare. Che d'altra parte io pure dal punto che egli riconosceva che vi erano delle situazioni più forti dei Governi e degli uomini, non poteva oppormi a questo suo concetto, ma che però intendeva dichiarargli nel modo più formale, più categorico, che non sarei rimasto un'ora al posto che la benevolenza del Re e del suo Ministero mi ha confidato, se la nostra politica non dovesse essere chiara, netta, senza arrière pensée e se i rapporti tra i due Governi non dovessero essere sinceri, leali, ispirati ai sensi della reciproca fiducia e della reciproca stima e riprovando ad alta voce senza reticenza qualunque tentativo ostile tendente a turbarli e ad oscurarli.

Il Barone di Beust mi ringraziò di queste mie parole e spero quindi che questo incidente sia chiuso, perché non credo che gli avversarli del Gabinetto vorranno certamente trovare argomento di biasimo nella circolare del Cancelliere dell'Impero Austriaco.

Io colsi questa occasione per ringraziarlo sorridendo delle buone parole che il Duca di Gramont mi aveva assicurato aver egli pronunziato sulla questione di Roma. Il Barone di Beust senza volere esaminare se le parole dell'Ambasciatore francese erano esatte mi disse che il Governo austriaco desiderava vivamente che la questione romana si sciogliesse in modo favorevole all'Italia e che di questo suo buon volere egli avea reso partecipe il Barone Kubeck a Firenze, offrendo i suoi buon ufftci verso la Francia, ma che queste sue aperture non erano state accolte a Firenze, forse perché il Governo italiano credeva che non fosse neppur venuto il tempo di risollevare questa questione.

Io lasciai cadere questo discorso richiamando l'attenzione del Cancelliere sulle voci che correvano sulla mediazione offerta dall'Inghilterra alla Francia e alla Prussia.

Il Barone di Beust mi rispose che gli constava che qualche pratica esisteva in proposito. Lord Clarendon nel suo viaggio in Italia, in Prussia in Francia aveva raccolto molti dati e comunicato al suo Governo le sue idee. Egli però non credeva che quel tentativo potesse riuscire e che potesse dare un serio risultato. Si trattava di ottenere la formale promessa dalla Prussia e dalla Francia d'impegnarsi a rispettare lo statu quo per tre o quattro anni. Forse, aggiungeva con sottile ironia, si vuole aspettare che le popolazioni al di qua del Meno siano mature.

Egli poi osservando come era poco pratica l'idea di dilazionare a tre o quattro anni la soluzione delle questioni pendenti, aggiungeva che per ottenere il disarmo della Francia avrebbe abbisognato offerire à celui qui depuis deux ans réve le role d'agresseur quelque chose de plus substantielle qu'une tréve.

In conclusione mi pare che questo tentativo inglese avesse svegliato il malumore del Ministro Austriaco, il quale però oggi era più che l'ultima volta pacifico, e ciò per le rimostranze energiche inviate, mi disse egli, al Principe di Rumenia dal Gabinetto di Berlino che aveva finito per rendersi all'evidenza dei fatti.

683

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

L. P. Madrid, 15 novembre 1868.

Subito che ricevetti il telegramma (l) che l'E. V. mi diresse li 12 del presente per ordinarmi, fra l'altre cose, che facessi agire nel senso della candidatura d'un Principe della Real Casa di Savoja pel caso che il Re Ferdinando di Portogallo rifiutasse il Trono di Spagna, io mi misi in moto onde trovar mezzo di soddisfare la volontà di V. E.

Non potendo agire direttamente, poiché non dubito V. E. intenda che la Legazione non figuri in queste pratiche, io incaricai persona di mia confidenza di conferirne col Signor Duca della Torre. Non riferirò all'E. V. i dettagli della conversazione che ne seguì, e che non potrebbero sufficientemente interessarla. MI basti il dire che la conchiusione fu che il Maresciallo lasciò intendere all'interlocutore non esservi a suo avviso che due candidati serj pel Trono di Spagna nelle presenti circostanze, il Re Ferdinando di Portogallo ed il Duca di Montpensier, né il Governo credere sia giunto il momento opportuno di prendere una decisione in proposito.

Però io ho più volte detto all'E. V. come il Generale Prim sia la chiave della posizione per quanto riguarda le risoluzioni del Governo. Senza di lui non si può far nulla, con lui si può far molto. Mi determinai adunque a farlo tentare per mezzo di persona a lui intimamente legata da lunghi anni di dimestichezza, e degna della mia completa confidenza. Questa mise sotto gli occhi del Generale i grandi pericoli cui si andava incontro, e l'urgenza di porvi rimedio, parlò de' candidati, di Re Ferdinando di Portogallo, di S.A.R. il Duca d'Aosta. Quando si venne a parlare della candidatura di Casa Savoja, il Generale Prim disse presso a poco le seguenti parole: «Io ho una grandissima considerazione per la Real Casa di Savoja cui l'Italia deve la sua redenzione, ma noi non possiamo presentare! alle Cortes con un candidato forestiero, poiché non avremmo alcuna probabilità di farlo accettare. Ma vi sono dell'altre ragioni per cui nel momento non si possa prendere alcuna decisione sul candidato cui convenga offrir la Corona di Spagna. Vedo bene che le idee repubblicane vanno guadagnando terreno, ma in fin dei conti se la nazione vuole assolutamente la repubblica sarà pur mestieri rassegnarsi ad accettarla. Del resto in repubblica ci siamo da un mese e mezzo, e le cose non vanno tanto male». Si comprese inoltre nel corso della conversazione che egli non crede al rifiuto definitivo del Re Ferdinando, e non espresse alcun dubbio sull'accettazione eventuale del Principe della Nostra Augusta Casa. Risulta evidentemente da quanto si è potuto ritrarre dell'animo del Generale Prim che egli non vuoi impegnarsi a nulla, o che accetterà qualunque forma di Governo, purché si conservi al potere.

Il Signor Olozaga è perfettamente consapevole delle aspirazioni del Reale Governo, e se non agisce in quel senso si è per le ragioni che io ho già avuto l'onore d'esporre all'E. v. Del resto io non ometterò di fare quanto possa da me dipendere affine di promuovere con quella circospezione che si conviene gli interessi della nostra candidatura.

Debbo per altro aggiungere che tutti questi uomini che s'unirono un giorno per distruggere la vecchia Monarchia, senza un'unità di propositi per l'avvenire, vanno frattanto usandosi ogni giorno più, ed è da dubitarsi che possano conservare le redini dello stato fino alla riunione delle Cortes.

Quanto alla stampa lo sono tuttavia d'avviso che non convenga eccitarla. L'E. V. non ha idea che improperj, che ingiurie, che fango si gettino contro ogni candidatura che faccia atto di presentarsi nel campo dei periodici. Ed io ringrazio il Cielo che l'alto ed augusto Nome della nostra Dinastia non sia stato oggetto delle polemiche di questa stampa abietta e sfrenata.

Ma io debbo all'E. V. tutta la verità. Non v'ha d'uopo di peregrina sagacia per comprendere che qui spira una bufera di democrazia repubblicana che minaceia di svellere ogni traccia di Monarchia. L'E. V. si rammenterà come io dicessi fin da principio che sarebbe gran sventura per la Spagna d'abbandonare l'idea di stabilire un assetto definitivo per la via del plebiscito. Ora mi raffermo sempreppiù nella convinzione che se s'aspetta che quest'assetto esca dall'assemblea costituente, la Spagna non si reggerà a Monarchia. Non v'è che il Governo che possa opporre una diga efficace a quest'onda che irrompe d'ogni lato. Eppure il Governo non si muove.

P.S. -Al momento di chiudere la presente mi viene riferito da persona che avvicina il Generale Prim che, nella giornata di jeri, partì alla volta di Lisbona una persona di confidenza dei membri di questo Governo, affine di indagare le disposizioni del Re Ferdinando riguardo all'accettazione eventuale di questa Corona, e si suppone che essa sia stata munita di qualcosa che provi la sua missione.

(l) Cfr. n. 673.

684

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, ROUHER (l)

L. P. Milano, 17 novembre 1868.

Un mot à la hiìte pour Vous dire que j'arriverai Vendredi à Paris ayant fait prévaloir mes idées auprès de Sa Majesté.

Je Vous communiquerai tout, confidentiellement, j'ai promis cependant au Roi de voir l'Empereur, car c'est de Souverain à Souverain que le Roi est pret à prendre des engagements.

Je Vous serre affectuesement la main et j'espère que Vous me ferez bonne mine car il y a de quoi.

La note que Malaret a portée a produit un bon effet.

Poussez Banneville à hàter ses démarches car elles risquent d'arriver trop tard, les dispositions du Pape vis-à-vis du Roi et meme de l'Italie, ont beaucoup amélioré après les événements d'Espagne qui ont fait faire de réflexions sérieuses. Le reste de vive voix.

685

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 287. Berlino, 19 novembre 1868 (per. il 24).

J'ai l'honneur d'accuser réception de la dépeche de V. E., en date du 8 de ce mois, Série Politique, N. 97 (2), et de ses annexes, du N. 114 au N. 124 inclusivement, sur les affaires de Tunis.

Ainsi que je m'en suis assuré au Ministère des Affaires Etrangères, aucune démarche formelle n'a été encore faite à Berlin, pour demander l'adhésion de ce Gouvernement à la dernière proposition de la France, pour le rétablissement des finances de Tunis. Le Marquis de Moustier jusqu'ici s'est borné, dans ses entretiens avec le Comte de Solms, à déclarer qu'il n'avait encore communiqué officiellement, ni à Florence, ni à Londres, aucun projet définitif d'arrangement. Le diplomate prussien, de son còté, a réservé le droit de son Gouvernement, ou plutòt de ses créanciers envers la Régence, à etre traités sur le meme pied que les italiens et les anglais.

Tel est le point de vue que l'on maintient ici. Comme il ne s'agit presque que de la créance Erlanger, d'environ 4 millions, qui doit etre, à ce qu'il parait, entre les mains de créanciers français, les intérets de la Confédération du Nord sont d'une importance bien moins grande que ceux de l'Italie et de l'Angleterre. Ces deux Etats sauront certainement sauvegarder leurs convenances, et il suffit dès lors à la Prusse de réclamer un traitement analogue, soit à Paris, soit à Tunis. Mais, en meme temps, elle tient à éviter tout ce qui pourrait créer des difficultés diplomatiques ou politiques.

Quant au projet imaginé par le Gouvernement français, -le double étage de commission, sous-commission et sections -le Cabinet de Berlin ne s'opposerait d'aucune manière à ce qu'un délégué français figuràt dans la Section administrative, pourvu que la Prusse fiìt représentée au meme titre que l'Italie et l'Angleterre dans la section de contròle. Relativement à la sous-commission, qui devrait etre formée de Secrétaires de Légation, j'ai diì entendre ici sur ce point, comme sur le projet en général, des observations ayant pour but d'établir un défaut de précision, qui rendrait très désirable une communication préalable du texte meme de l'acte sur lequella Commission serait appelée à discuter.

J'ai eu un entretien sur ce sujet avec M. de Philipsborn, Directeur au Ministère des Affaires Etrangères, auquel M. de Thile m'avait adressé pour parler de cette affaire. Je suis chargé de remercier vivement V. E. des renseignements utiles que j'ai été à meme de fournir sur notre attitude. Sans montrer aucune susceptibilité dans une question oiì la Prusse n'est intéressée que d'une manière secondaire, on a cependant diì remarquer que le Marquis de Moustier avait usé d'un traitement différentiel vis-à-vis du Gouvernement Prussien.

(l) -Da ACR (2) -Non pubblicato.
686

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

T. 774. Firenze, 20 novembre 1868 (1).

On assure que Mazzini est très mal. Il importe au Gouvernement de connaitre la vérité à ce sujet et surtout d'etre informé immédiatament de sa mort si elle avait lieu, afin d'éviter les désordres aux quels elle pourrait servir de

prétexte. Veuillez donc au besoin envoyer un agent avec lequel vous pourriez combiner un langage de convention pour qu'il puisse nous informer télégraphiquement (l).

(l) Privo di ora di partenza. Si inserisce qui poiché ad esso risponde il n. 687.

687

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

'l'. 1380. Berna, 20 novembre 1868, ore 17 (per. ore 22,05).

D'après les renseignements que je me suis procurés auprès du président du conseil, Mazzini serait très malade, mais non aussi dangereusement que je le vois d'après votre dépeche (2). Je n'ai personne ici vous le savez. Du reste envoyer dans le Tessin un membre de la légation ne serait pas le cas. J'ai écrit au consul de régler autant que possible sa correspondance par le télégraphe et qu'il me mette à meme d'informer joumellement V. E. de ce qui p.eut se passer là-bas (3).

688

PIO IX A VITTORIO EMANUELE II ( 4)

L. Dal Vaticano, 20 novembre 1868.

Mi era stata annunziata una lettera che Vostra Maestà aveva stabilito di scrivermi, e questo annunzio recò molta consolazione al mio cuore. Mi si diceva che Vostra Maestà desiderava di poter essere prosciolto dalle censure, dalle quali Ella stessa dichiarò di essere illaqueato, era disposto a scrivermi in modo da mettermi in caso da poterlo realmente prosciogliere. Ho letto la lettera della quale si parla, ed ho veduto sul principio come Ella assicura di avere tute,lati l'interessi della Religione in mezzo al rivolgimento d'Italia, e si lamenta che non siasi tenuto conto delle sue intenzioni e dei suoi sforzi, che doveano però circoscriversi, Ella dice, nei limiti della sua autorità e dei suoi doveri di Re. E qui mi sia permesso fare osservare essermi ignoti li effetti della tutela da Lei accordata alli interessi religiosi; perché ho veduto spogliare la Chiesa, e gran parte delli spogliati r,idotti a vivere colle risorse della cristiana carità; ho veduto distruggere moltissime chiese materiali, e destinarle ad usi profani; ho veduto la gioventù consegnata a maestri increduti ed empj per essere educata; ho veduto ... ma la enumerazione delle parti sarebbe troppo lunga. Io poi concedo che le intenzioni di Vostra Maestà saranno state buone, e Dio solo le ha vedute e le vede; concedo che l'autorità di cui Ella può disporre nello stato attuale

delle cose è limitata, ma anche un Re costltuzionale poteva risparmiare molti mali alla Chiesa, e non aggravarli quando ftrmava certe leggi sotto ogni rispetto riprovevoli. Questi stessi mali pertanto che non vennero mai né diminuiti né tolti, provocarono quelle censure che colpirono molti. Assicura Vostra Maestà che a fronte di tutto ciò non nutre risentimento alcuno nel suo cuore. Questo s,entimento degno di un Re starebbe bene a proposito se Lei fosse stato offeso, se Lei fosse stato spogliato, se per altrui prepotenza i sudditi di Vostra Maestà fossero stati affidati a professori increduli ed empj per essere corrotti con una falsa istruzione, se la gioventù sua suddita fosse stata trascinata ad ogni genere d'immoralità, e vada pure discorrendo. Ma nel caso presente le cose sono diverse. Vostra Maestà perdoni pure ai suoi nemici, perché Dio cosi comanda, ma lasci che Altri perdoni alle nefandezze deHe quali abbiamo parlato e alle quali per divina misericordia non ha punto partecipato. Ella desidera che la Santa Sede metta termine al rigore, ma la Santa Sede non può pronunziare alcuna parola che accenni a proscioglimento e perdono se quello o quella che si trovano illaqueati non esprimano il pentimento e non assicurino di volere tutta impiegare l'autorità di cui possono disporre per mettere un argine ai tanti disordini ancora trionfanti e che producono e produrranno sempre più funeste conseguenze per la Religione e per l'Italia, com'Ella dice in altro senso. E perciò invece di accogliere le sue lagnanze, com'Ella mi scrive, vorrei accogliere scuse, e vorrei tolti tanti scandali pubblici e domestici che chiamano i divini flagelli su tutto il popolo.

Maestà, per amore di quel sublime carattere di cristiano che dal Battesimo in poi è impresso nell'anima sua, pensi alla posizione nella quale si trova. Io non posso far altro che raccomandarla a Dio, e invitare tante anime buone a fare altrettanto. Colla speranza di essere esauditi Lo abbraccio con amore paterno, e Le auguro le vere e sante felicità.

(l) -Con t. 775, pari data, Barbolanl invitò anche Il console a Lugano a riferire sullo stato di salute di Mazzin!. (2) -Cfr. n. 686. (3) -Con r.r. 12 del 20 novembre Il console a Lugano Chiara riferì che Mazzin! era stato seriamente malato nell'ottobre ma che In seguito Il suo stato di salute era migliorato. (4) -Ed. In PIRRI, vol. JII, pp. 195-198 e In Lettere Vittorio Emanuele II, vol. II, pp. 1360-1361.
689

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, QUIGINI PULIGA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 757. Parigi, 20 novembre 1868 (per. il 23).

II Cavalier Nigra, prima di rendersi a Compiègne, mi diede incarico di trovarmi al ricevimento del giovedì al Ministero imperiale degli affari esteri e di [dare] al Marchese di Moustier lettura del dispaccio dell'E. V. in data dell'8 di questo mese, Serie Politica n. 418, relativo alla proposizione del Governo francese per assestare gli affari finanziarj di Tunisi (l).

Ho l'onore di render conto all'E. V. della conversazione ch'ebbi jeri col Marchese di Moustier a questo riguardo.

Incominciai la lettura del dispaccio di V. E. ed arrivato al passo che dice aver Ella dichiarato all'Incaricato d'Affari di Francia che il Governo del Re

prenderebbe di buon grado parte ad una conferenza speciale destinata a determinare il modo pratico di ottenere n riordinamento delle finanze tunisine, il Ministro imperiale degli Affari Esteri m'interruppe dicendomi: «Il Generale Menabrea mi pare attribuire alla Commissione di Segretarj di Legazione un'importanza maggiore di quella ch'io aveva immaginato. Forse mi sono male espresso. La parola Commissione è forse impropria; ma me ne sono servito in mancanza d'altra più precisa. Ecco ciò ch'io vorrei. Quando il Governo italiano e l'inglese avessero accettato in principio, non la mia proposizione, ma il semplice mio suggerimento delle due commissioni, l'una amministrativa e l'altra di sorveglianza, avrei pregato Lord Lyons e il Cavaliere Nigra di prestarmi un Segretario delle loro missioni, che unitamente ad un impiegato del Contenzioso diplomatico del mio Ministero si mettessero d'accordo per redigere un protocollo in cui fossero elucidate le varie questioni relative alle due commissioni. Questo protocollo, semplicemente preparatorio, verrebbe comunicato ai rispettivi Governi, potrebbe naturalmente essere emendato, corretto, ed anche intieramente mutato, e non diverrebbe definitivo che dietro l'autorizzazione di tutte le parti. Tale maniera di procedere, può, secondo il mio modo di vedere, semplificare il lavoro e sovrattutto contribuire a far guadagnare tempo. Con questo protocollo si otterrebbe precisamente lo scopo che il Generale Menabrea indica nel suo dispaccio).

Siccome il Marchese di Moustier con questa sua risposta mi parve entrare nelle viste dell'E. V., non feci alcuna osservazione e continuai la mia lettura fino al punto concernente il dubbio insorto nel Governo di Sua Maestà quale carattere conserverebbe l'impiegato finanziario francese che il Governo del Bey aderisce a nominare membro e Vice-Presidente della Commissione amministrativa.

A questo riguardo il Ministro imperiale mi disse che il Governo francese prestava al Governo del Bardo un funzionario amministrativo francese come gli avrebbe prestato un militare per presiedere un comitato d'artiglieria, colla differenza però ch'egli si riserbava il diritto di farlo sorvegliare dal suo Agente a Tunisi. O questo funzionario riempirà il suo dovere in modo equo e soddisfacente per tutte le parti, ed allora il Governo imperiale avviserebbe per far accettare al Governo del Bey il suo operato: o per contro egli non disimpegnerebbe convenevolmente la sua missione, ed i diritti dei Governi interessati non verrebbero da lui sufficientemente tutelati, ed allora questo impiegato sarebbe revocato, e rimpiazzato da un altro avente le qualità richieste.

Il Marchese di Moustier soggiunse inoltre che la commissione amministrativa non avrebbe missione di percepire le imposte della Reggenza, ma soltanto quella d'incassare gl'introiti. Di questi introiti si dovrebbero fare tre parti: lo Prelevare una somma pei bisogni della Reggenza; 2° Attribuire ai Governi interessati le somme speciali destinate al pagamento dei debiti consolidati; 3° Riservare una terza parte pel pagamento successivo del debito fluttuante.

Il Ministro imperiale degli affari esteri mi fece ancora nel seguito della mia lettura la seguente osservazione:

La Commissione di sorveglianza non avrebbe punto il carattere internazionale, e si potrebbe comporre delle singole commissioni di sorveglianza attualmente già esistenti per controllare l'impiego delle somme speciali state attribuite dal Bardo alla guarentigia dei debiti consolidati (1). Unendole si darebbe forza maggiore alla loro opera, ed i Consoli appoggerebbero le decisioni prese.

Prendendo commiato da S. E. il Marchese di Moustier l'ho pregato di voler precisare in un dispaccio al Ministro di Francia in Firenze queste sue idee, afinchè l'E. V. possa farsene un concetto esatto a scanso di ogni nuovo equivoco.

(l) Cfr. n. 667.

690

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. CONFIDENZIALE 289. Berlino, 21 novembre 1868.

J'ai l'honneur d'accuser réception de la depeche confidentielle et réservée de V. E. en date du 12 de ce mois n. 99 série politique (2).

J.e ne puis que me référer au rapport que j'ai transmis en date du 9 février dernier n. 148 (3). M. de Thile vient de me répéter que les lois défendent tout enròlement sur territoire prussien pour le compte de toute Puissance étrangère. Aussi jamais cette opération n'a été exercée en faveur du Saint Siège. Le Cabinet de Berlin ignore si la mesure aurait été réellement prise par le Gouvernement Romain de ne plus admettre d'enròlement pour le corps des Zouaves pontificaux, mais il est certain qu'ici on a toujours l'oeil ouvert à cet égard, et que la moindre transgression serait déférée aux Tribunaux par le Procureur du Roi. On nous serait meme très-reconnaissant s'il nous parvenait quelque indice sur des Agents recruteurs du Saint Siège dans la Confédération du Nord, d'en donner avis à Berlin.

J'ai également reçu les documents diplomatiques du n. 409 au n. 413 inclusivement qui étaient annexés à la dépeche précitée (4).

691

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 290. Berlino, 21 novembre 1868.

M. de Thile m'a donné connaissance ce matin d'une communication confidentielle qui avait été faite par M. le Commandeur Barbolani au Comte de

(-3) Cfr. n. 103.

«Gli arruolamenti per il servizio del Governo pontificio, come ebbi già l'onore di riferire per l'addietro all'E.V., furono in quEsto Stato d'assai piccola entità, e quantunque non sia in grado d'asserirlo in modo esatto, ho però luogo di credere, che anche senza un espresso invito del Governo pontificio, al presente non ne hanno più luogo, tranne il caso di qualche avventuriero che si rechi spontaneamente a Roma, spinto da voglia di trovare mezzo qualsiasi di esistenza». Carutti comunicò dall'Aja con r. 119 del 27 novembre «la partenza del volontari olandesi per Roma sembra cessata».

51 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

Wesdehlen au sujet d'un entretien récent entre le Marquis Pepoli et le Comte Andràssy (l). Le Chef de l' Administration supérieure des pays au delà de la Leitha avait parlé avec quelque amertume sur l'attitude des Principautés Danubiennes envers la Hongrie et surtout la Transylvanie. Il désirerait vivre en bons termes avec le Gouvernement de Bukarest, mais on lui rendrait la tache extrémement difficile, surtout s'il était vrai que certains germes de discorde entre les pays limitrophes étaient soigneusement exploités par le Cabinet de Berlin. Ce-lui-ci devrait cependant savoir que de son còté la Hongrie, pourvu que la Prusse ne lui suscite pas des embarras, ne lui cherchera pas querelle dans son oeuvre de consolidation de la Confédération du Nord.

Le Sous-Secrétaire s'est montré très reconnaissant de la communicatlon faite par notre Secrétaire Général. Il se réservalt de soumettre au Comte de Bismarck la dépéche y relative de M. de Wesdehlen.

En attendant il croyait à propos de me fournir quelques détails sur la conduite de son Gouvernement vis-à-vis des Principautés Danubiennes.

En chaque circonstance, il n'a pas manqué de précher à Bukarest la modération et la conciliation, et entre autres, de qualifier d'insigne folie les excitations de certain parti tendantes à faire de la propagande en Transylvanie. Tout récemment encore des conseils dans ce sens ont été expédiés au Prince de Hohenzollern. Il est évident que la Roumanie, comme pays frontière de la Russie, de l'Autriche et de la Turquie, de méme comme Etat riverain du bas-Danube, ne peut trouver les garanties de son existence qu'en observant des rapports de bon voisinage. Elle est en quelque sorte dans une position analogue à celle de la Belgique. Chaque tentative, et méme chaque vélléité d'une extension territoriale amèneraient des dangers sérieux. Elle doit utiliser ses conditlons passablement élargies d'autonomie pour développer scs ressources en évitant tout ce qui pourrait compromettre les intéréts de la paix. C'est à peu près dans ces termes que s'exprime la Gazette universelle de l'Allemagne du Nord.

Le Cabinet de Berlin en outre n'a pas dissimulé au Prince Charles de Hohenzollern le manque très saillant de formes qui avait été remarqué dans la lettre de son Ministre des Affaires Etrangères, en date du 4/16 Octobre, en réponse à celle d'Aali Pacha du 10 Septembre. Sur ces entrefaites, on a appris ~ci que Son Altesse avait écrit directement à Constantinople, et que son représentant près la Sublime Porte, qui se disposait à retourner à son poste, serait porteur de cette lettre. Son Altesse se proposait en outre de faire quelques modifications dans son Ministère, et cela pour marquer ses bonnes intentions. Reste à savoir s'il réussirait à dissiper la méfiance. Sans aucun doute l'influence des fréres Bratiano n'est pas des plus salutaires; sans doute, d'après les renseignements parvenus sur une certaine agitation des partis, il est assez malaisé d'écarter toute appréhension. Mais il est également permis de se demander s'il n'y a pas là anguille sous roche, et si on ne cherche pas à exagérer l'état des choses.

Dans tous les cas, il existe un calcul des plus perfides, celui de vouloir découvrir la main de la Prusse dans des menées qu'elle déplore au contraire,

et sur lesquelles elle s'est fait un devoir d'appeler la sérieuse attention du Prince de Hohenzollern. Il ne saurait d'aucune manière convenir à la politique prussienne de voir la paix de l'Europe mise en péril par la Roumanie.

(l) -Annotazione a margine: «E l creditori del debito fluttuante e gli aventi interesse nel commercio e nella proprietà ». (2) -Cfr. n. 674, inviato a Berlino con numero di protocollo 99. (4) -Con r. confidenziale 77 del 25 novembre Greppi informò da Stoccarda:

(l) Cfr. n. 655.

692

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 291. Berlino, 21 novembre 1868.

J'ai l'honneur d'accuser réception de la dépeche de V. E., n. 98 du 10 Novembre, Série Politique (1), et des documents diplomatiques y annexés, du n. 396 au 405 inclusivement, ainsi que du n. 408.

Je remercie particulièrement V. E. de ces intéressantes communications, notamment du rapport du Marquis Pepoli du 30 Octobre échu (2). J'y ai conformé mon langage, pour chercher à faire comprendre que l'Autriche, malgré ses armements, poursuivait une politique pacifique. Je ne cacherai pas cependant qu'on est assez incrédule à cet égard. Le Cabinet de Berlin, je l'ai relevé dans une dépeche précédente, est fott peu édifié du langage tenu par certains orateurs du Reichsrath, sans que les Ministres aient jugé à propos de repousser des insinuations des plus malveillantes. M. de Thile me répétait, à ce sujet, que les relations entre les deux Pays laissaient beaucoup à désirer. Sans se laisser rebuter par la fin de non-recevoir contenue dans la réponse du Prince de Hohenlohe sur sa demande relative à la propriété immobilière des forteresses dans le Sud de l'Allemagne, le Cabinet Impérial est revenu à la charge. C'était, au dire de mon interlocuteur, un anneau de plus dans la chaine des intrigues du Baron de Beust.

Quant à l'Espagne, le Secrétaire Général était déjà informé, je ne sais par quelle source, de l'autorisation transmise à notre représentant, d'établir des rapports officiels avec 'le Gouvernement espagnol, et de s'entendre avec M. Lorenzana pour l'acte formel de reconnaissance.

Tout en constatant que nous prenions, sauf les Etats Unis, une position plus avancée que les autres Puissances, M. de Thile semblait comprendre les motifs qui nous avaient induits à cette détermination. Quant à l'envoyé de Prusse, il a du retourner à son poste, en vertu d'un ordre formel. Il a reçu en outre l'instruction d'entretenir des relations officieuses avec le Gouvernement provisoire, mais d'y mettre le plus grand empressement, le meilleur bon vouloir.

Il me revient par le Comte d'Usedom, que parmi les nombr,eux aspirants au tròne d'Espagne, on parle aussi de la candidature du Prince Georges de Saxe. mari d'une Infante de Portugal.

P. S. Ci-joint une lettre particulière pour V. E.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 646.
693 IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 33. Berna, 21 novembre 1868 (per. il 25).

Il Governo del Ticino ha finalmente risposto al Consiglio Federale intorno alle rappresentanze da me fatte al Presidente della Confederazione sul modo onde in quel Cantone si osservano i rapporti di buon vicinato verso l'Italia (1).

Il Signor Dubs mi ha detto come quel Governo muovesse rammarico di ciò che il Consiglio Federale avesse potuto aggiustar fede ad asserzioni fondate sul dire d'un giornale italiano, il quale mentre calunniava uno degli Stati confederati, dava nello stesso tempo una prova del pari evidente e della sua ignoranza della costituzione della Svizzera e di quanto succedeva nel Ticino.

La Polizia Ticinese tuttavia non ha mancato di fare indagini da ogni parte, proseguì il Presidente, per venire in cognizioni di fatti, se pur esistessero, che per avventura avessero potuto fornire qualche ombra di fondamento agli appunti del citato giornaLe (il quale, a quanto sembra, era stato aggiunto al Dispaccio del Consiglio Federale) ma tolto il fatto della presenza del Mazzini in quel Cantone e delle visite isolate che in occasione della sua malattia gli sono state fatte da alcuni amici, fra i quali qualche deputato, non è accaduto nulla nel Ticino che possa giustificare lagnanza di sorta alcuna per parte nostra. Non è del rimanente nessuno dei visitatori del Mazzini, che non sia ritornato in Italia o che quando lo voglia non possa ritornare.

Il Consiglio di Stato del Ticino va più innanzi e si dichiara disposto a secondare il Consiglio Federale, sia per prevenire, nei limiti della legge, sia per reprimere i fatti che fossero d'indole a compromettere i pacifici rapporti della Svizzera e del Ticino coll'Italia. Ma che, per ciò fare, ha bisogno che gli si indichino i fatti sui quali portano rappresentanze se non insinuazioni troppo vaghe di giornali poco amici, senza che se ne sappia il perché, della Svizzera.

A questo riguardo non sarebbe forse fuori di proposito, che il Ministero dell'Interno facesse chiedere al giornale ed all'autore dell'articolo di cui è cenno, di voler precisare le sue accuse, dire i nomi, indicare i luoghi e l'epoca in cui sarebbero accaduti i fatti da lui denunciati.

Il Governo Federale non rifugge, Signor Conte, come ebbi pure a dirle in altro mio dispaccio, dalle responsabilità che il mantenimento dei buoni rapporti di vicinato colle nazioni amiche possono far pesare sopra di lui; e non desidererebbe meglio che di essere posto in grado di fornire al Governo Reale ed all'Italia la prova dei suoi sentimenti a questo riguardo.

Il Presidente della Confederazione mi ha di nuovo assicurato che non ces

serà dal vigilare, affinché, ciò che non è fin ora accaduto, non accada in pro

gresso di tempo.

Non devo tacere all'E. V. come in questi ultimi giorni il nostro Console a Lugano mi scrivesse: che il tenore del dispaccio del Governo Federale al Governo

Ticinese, in ordine ai reclami formati da noi, intorno ai molteplici ritrovi che i mazziniani avrebbero convocato in questi ultimi tempi nel Ticino, avesse eccitata la pubblica opinione qual segno di poca buona volontà del Governo italiano verso il Ticino; poiché, come dice il Cavalier Chiora, se vi è mai stata epoca, in cui nulla di somigliante abbia avuto luogo in quel Cantone, è certamente questa. Lo che si spiega, per altri rispetti, dall'assai ma,lfermo stato di salute del Mazzini stesso.

(l) Cfr. n. 644.

694

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 117. Firenze, 22 novembre 1868.

Sir Augustus Paget venne ieri a vedermi ed ha chiamato la mia attenzione sul frequente arrivo di munizioni da guerra d'ogni genere che bastimenti di trasporto della marina francese portano da Tolone a Civitavecchia. Egli mi chiese se il Governo del Re era esattamente informato del fatto, e che cosa noi ne pensassimo. Nell'opinione dell'Inviato b~itannico era questo un fatto grave che nulla sembrava giustificare nella presente condizione delle cose in Roma e degli affari in Italia.

Risposi a Sir Augustus Paget che il Governo del Re avea da parecchi mesi osservato con occhio attento ciò che il corpo di spedizione francese sembrava preparare in Civitavecchia e che il convincimento nostro era che le fortificazioni e gli edifici militari che sotto la direzione d'ufficali francesi i soldati di Francia aveano costrutto in Civitavecchia eccedevano i bisogni d'una occupazione temporaria che nessuno pretendeva far cessare colla forza. Abbiamo osservato, soggiunsi io, con vero dispiacere che mentre nulla potea far presagire conflitti guerreschi i magazzini militari si riempivano di munizioni francesi, i baluardi si riempivano d'artiglierie francesi, e tutto si disponeva come suolsi fare quando si vuole preparare un abbondante deposito d'armi e munizioni. E dappoiché il mio interlocutore avea accennato a trasporti operati da navi da guerra francesi io mi trovava in grado di confermare pienamente le notizie a lui pervenute aggiungendo anzi che il «Dix Décembre » avea ultimamente sbarcato a Civitavecchia due milioni di cartucce per fucili a retrocarica e che pochi di innanzi il brik da guerra «James » va avea depositato un carico di 20 mila fucili a retrocarica e 190 casse di cartucce.

Ciò premesso non esitai ad esporre all'Inviato britannico la seria preoccupazione che destava in noi un simile fatto. Se noi ci siamo astenuti sin qui dal chiedere spiegazioni a Parigi e dal chiamare l'attenzione delle potenze sul deposito militare che il Governo Imperiale va facendo a Civitavecchia, si era perché non volevamo spostare una questione che da qualunque lato osservata richiede una soluzione. Noi non volevamo ci si accagionasse di aver voluto fare una questione d'influenza e di equilibrio europeo di una vertenza che sinora la maggioranza dei Gabinetti europei ha considerato sotto un aspetto diverso. Il Governo

del Re era d'altronde convinto che quando i fatti avessero acquistato una certa gravità le Potenze si sarebbero esse stesse preoccupate di una situazione che da tutti si comprende senza che io la definisca. Vedrebbero forse le Potenze nell'arsenale militare francese di Civitavecchia un fatto la cui gravltà [è] incontestabile anche prescindendo da ogni considerazione relativa alla questione romana. Noi eravamo lieti di non esserci sbagliati nel tenere conto delle impressioni invitabili che i fatti stessi produrrebbero sui Gabinetti europei. Ci rallegrava poi particolarmente il vedere il Rappresentante britannico tenercene parola pel primo. Considerazioni speciali che il Gabinetto britannico sa certo apprezzare ci impedivano per ora di prendere l'iniziativa d'un formale richiamo; ma ciò non toglieva ch'io non cogliessi l'occasione che si presentava per far conoscere chiaramente al Governo britannico l'impressione che in noi producevano i fatti sui quali l'Inviato inglese m'interrogava.

Desidero P-he la s. V. abbia un colloquio con Lord Stanley su questo argomento. Sebbene io non dubiti che Sir A. Paget abbia esattamente esposto a Sua Signoria le cose fra noi discorse tuttavia credo utile che Ella, Signor Conte, valendosi confidenzialmente del contenuto di questo mio dispaccio confermi pienamente le relazioni dell'Inviato inglese presso questa R. Corte.

695

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 118. Firenze, 22 novembre 1868.

Quando la S. V. andrà a vedere Lord Stanley per parlargli nel senso del mio dispaccio in data d'oggi (n. 117 di questa serie) (1) La prego anzitutto di tastare il terreno per vedere se la comunicazione fattami da Sir A. Paget sia stata ordinata dal suo Governo ovvero se la medesima devesi considerare come una entratura spontanea di questo Inviato Inglese.

Secondo l'indole diversa che la comunicazione di Sir A. Paget potrebbe avere, Ella dovrà regolare il proprio linguaggio, accentuandolo più o meno secondo le circostanze e le disposizioni nelle quali Ella troverà Lord Stanley. Ben comprende la S. V. che se le interrogazioni fattemi dal Ministro d'Inghilterra a Firenze fossero state autorizzate preventivamente dal suo Governo, la conversazione ch'Ella avrà con Lord Stanley dovrebbe assumere tutto il carattere d'un passo ufficiale e servire così di risposta alle sue entrature.

Ad ogni modo desidero ch'Ella mi notifichi per telegrafo se debbo o non considerare come ordinata da Lord Stanley la comunicazione che mi fece ieri questo inviato inglese.

(l) Cfr. n. 694.

696

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 423. Firenze, 22 novembre 1868.

Ella troverà qui unito copia di un dispaccio (l) che ho diretto oggi stesso all'Incaricato d'affari di Sua Maestà a Londra a seguito di una conversazione che ebbi coll'Inviato Inglese presso questa Corte.

La lettura di quanto io scrivo al Conte MaUei metterà la S. V. in grado di osservare ,che gli armamenti che la Francia raduna in Civitavecchia eccedono le proporzioni del bisogno della difesa del territorio pontificio e dell'esercito della S. Sede. Questi fatti che da qualche tempo ci preoccupavano seriamente hanno finito per chiamare l'attenzione delle Potenze le quali non sanno naturalmente trovare nella situazione dell'U&lia rispetto a Roma la spiegazione di provvedimenti che sembrerebbero piuttosto accennare ad altri disegni.

Reputo utile che la S. V. sia informata della risposta che ho fatto alle entrature del Gabinetto Britannico perché, dalla medesima Ella possa avere una norma sicura di linguaggio nd caso in cui Le si porgesse l'occasione di discorrere intorno a questo argomento coi Ministri dell'Imperatore. Non sarebbe opportuno ch'Ella facesse sin d'ora conoscere al Governo Imperiale le interrogazioni fattemi da Sir A. Paget e le risposte che io gli diedi, ma non abbiamo alcuna ragione di nascondere al Gabinetto di Parigi che gli armamenti che egli prepara a Civitavecchia hanno già preoccupato non solo il Governo del Re, ma anche altre Potenze, e che da un momento all'altro la questione di Civitavecchia potrebbe imporsi alla considerazione delle Potenze indipendentemente affatto da quella di Roma, ed all'infuori di quell'ordine di considerazioni e di idee che hanno sin qui presieduto a negoziati relativi alla questione romana.

Noi considereremmo un simile spostamento della quesrtione come una delle fasi più pericolose della quistione medesima, e ciò non soltanto per l'Italia, ma per la Francia stessa la quale continuamente dichiara di voler evitare complicazioni. Speriamo dunque che colle dichiarazioni e coi fatti il Governo francese vorrà impedire un incidente nuovo nella questione da tanti anni agitata e che da ripetuti spiacevoli incidenti venne sempre maggiormente resa difficile a sciogliersi. Ma a questo proposito debbo far osservare sin d~oggi alla S. V. che qualora mi risultasse che il Governo Imperiale cerca di spiegare all'estero gli armamenti di Civitavecchia come il risultamento della poca sicurezza che gli dà il Governo italiano ne' suoi rapporti con Roma, noi dovremmo altamente protestare contro stffatte allegazioni che il fatto ha ormai dimostrato totalmente insussistenti. Ed il Governo del Re non avrebbe difficoltà certamente di provare coll'appoggio dei fatti che egli fornisce alle Potenze ogni sicurità desiderevole di saper mantenere l'ordine ed evitare le complicazioni di dover entrare in un ordine di considerazioni che naturalmente contribuirebbe ad accrescere in Europa l'opinione che l'occupazione francese sul territorio della S. Sede non sia unicamente motivata dalla necessità di proteggerne l'incoJumità.

(l) Cfr. n. 694.

697

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. Firenze, 23 novembre 1868, ore 12,45.

Le prince de Carignan n'étant pas disposé à accepter la candidature offerte iJ faut pour le moment s'abstenir de toute démarche.

698

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

D. 40. Firenze, 23 novembre 1868.

Ho ricevuto regolarmente i rapporti di questa Serie che la S. V. mi ha indirizzati sotto vari numeri sino al n. 168 inclusivamente. Le rendo distinte grazie per le informazioni in essi contenute.

Fermò la mia attenzione la conversazione ch'Ella ebbe col Signor Olozaga e deHa quale mJ è reso conto col rapporto del 3 corrente n. 158 (1). Sarei spiacente che le cose dettele da quel signore dovessero ritenersi come l'espressione di un risentimento che la condotta del Gabinetto di Firenze verso l'emigrazione Spagnuola non ha mai giustificato.

La posizione del R. Governo rispetto alla Spagna è sempre stata conforme ai principi del non intervento. Nel modo istesso che il Gabinetto di Firenze non dava alcun appoggio né diretto né indiretto al governo della Regina, egli doveva astenersi dal favorire i partiti ostili al Governo costituito di Spagna. La condotta del Governo del Re sempre leale, sempre conforme ai principi i più rigorosi del diritto internazionale, dovrebbe servire oggidi di guarentigia sicura al nuovo Governo di Spagna che da noi non si permetterà mai cosa alcuna sul nostro territorio che possa sembrare derogare al rispetto che noi stessi professiamo per la volontà della nazione spagnuola.

699

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (2)

D. 424. Firenze, 23 novembre 1868.

M. le Baron de la Villestreux m'a donné communication et laissé copie d'une dépèche que M. le Marquis de Moustier lui a adressée en date du 31 octobre (3) en réponse à celle que je vous envoyais en date du 22 aoiì.t (4).

Vous trouverez ci-joint une copie de cette dépeche.

Nous apprécions hautement le caractère bienveillant dont cette communication est empreinte et je dois savoir gré d'une façon toute particulière, à M. le Ministre Imperia! des Affaires Etrangères des expressions flatteuses qu'il emploie à mon égard; mais je ne dois pas Vous cacher, M. le Ministre, que d'après les prémisses mémes de la dépéche de M. de Moustier nous nous attendions à une toute autre conclusion de sa part.

Aussi ce que je Vous écris aujourd'hui a moins pour but de rouvrir ou de continuer une discussion qui ne saurait peut-étre amener en ce moment aucun résultat pratique, que de faire les plus amples réserves, de la part du Gouvernement du Roi, sur un passage de la dépéche du 31 octobre dans lequel le Ministre Impérial des Affaires Etrangères fait allusion aux conséquences que le retrait des troupes françaises du territoire pontificai entrainerait avec lui, et aux craintes qui y sont exprimées à cet égard.

Après avoir dit que les hommes du désordre en Italie ne se sentent pas encore suffisamment découragés et qu'ils verraient dans la cessation de l'occupation française l'occasion offerte pour reprendre leurs desseins agressifs, M. le Marquis de Moustier ajoute:

«Devons nous exposer aux chances de cette épreuve et les Etats pontificaux dont nous avons voulu que le territoire restat à l'abri de toute attaque et le Cabinet italien lui méme, malgré ses intentions que nous ne saurions suspecter? Dans quelle situation se touverait-il, ainsi que nous, si le renouvellement des tentatives qui ont eu lieu l'année dernière plaçait encore les deux Gouvernements en face de pénibles nécessités et provoquait une nouvelle effusion de sang? »

A cette interrogation nous n'hésitons pas à repondre de la manière la plus catégorique que nous avons d'abord des motifs bien fondés de croire que les regrettables événements de l'année dernière ne se renouvelleront plus; car le calme dont jouit en ce moment le Royaume ne saurait étre attribué qu'à ses conditions intérieures et par conséquent nullement au maintien d'une garnison française dans le territoire pontificai. Au contraire ce calme serait, à notre avis, encore plus grand si l'occupation française cessait d'offrir aux partis hostiles au régime actuel un thème facile à exploiter. Nous regretterions que les craintes exprimées par le Ministre Impérial des Affaires Etrangères fussent fondées sur une appréciation peu exacte des conditions intérieures de l'Italie. On se plait, nous le savons, à la représenter à l'étranger comme étant toujours à la veille d'une révolution, tandisque les faits démontrent continuellement que notre pays jouit d'une tranquillité que les manoeuvres des partis hostiles ne parviennent pas à troubler. Si des manifestations qui peuv.ent paraitre inquiétantes ont lieu par la voie de la presse ou autrement, cela tient à la liberté absolue de notre système de Gouvernement. Il permet à toutes les opinions de se manifester librement sans que pour cela elles puissent nous inspirer aucun alarme.

Mais si par malheur des éventualités que nous ne croyons pas possibles, devaient se produire, si de coupables et folles agressions extra légales contre le territoire du S. Siège devaient se renouveler encore une fois, on salt que nous avons déjà déclaré que le Gouverncment du Roi avait non seulement l'intention (intention à laquelle le Ministre Impérial des Affaires Etrangères se plait à rendre justice), mais aussi la force plus que suffisante pour déjouer et reprimer avec toute la sévérité de la loi les attentats contre la surété intérieure et extérieure de l'Etat. Quelque pénible que ce devoir serait pour lui, le Gouvernement du Roi saurait l'accomplir jusqu'au bout. Nous aurions desiré également que le Gouvernement Impérial fut convaincu que notre ferme détermination de respecter et de faire respecter le territoire pontificai, nous est dictée bien moins par Ies engagements que nous avons contractés, que par l'intéret meme des principes qui dirigent la politique du Gouvernement du Roi. Nous déplorons sincèrement que ces déclarations si franches et si nettes n'aient pas décidé le Gouvernement de l'Empereur à faire cesser un état de choses dont les inconvénients sont bien plus graves et bien plus réels que ceux qui résulteraient des éventualités, quelques regrettables qu'eHes fussent, aux queUes M. le Marquis de Moustier faisait allusion et que nous croyons d'ailleurs si peu probables.

Nous espérons toutefois que le Gouvernement Impérial ne voudra pas se méprendre sur le but que nous avons poursuivi jusqu'ici, en lui rappelant l'opportunité de la cessation de l'occupation du territoire pontificai. Les instances que nous avons faites ne sauraient étre attribuées à d'autres motifs qu'au désir bien sincère qui nous anime de voir disparaitre une cause d'inquiétude permanente qui peut nuire à la bonne intelligence entre les deux Gouvernements, et qui froisse inutilement l'amour propre de tous les italiens.

Veuillez donner lecture de cette dépeche à M. le Marquis de Moustier.

ALLEGATO.

MOUSTIER A LA VILLESTREUX (l)

Parigi, 31 ottobre 1868.

Le Général Menabrea, par une dépéche en date du 22 Aout, a chargé le Ministre d'Italie de nous exposer comment le Cabinet de Florence envisage au point de vue politique, le protocole dernièrement sìgné pour régler, d'une manière définitive, la répartition de la dette pontificale. Le Président du Conseil se félicite à juste titre de l'heureuse issue de cette négociation et il ajoute que, par ce fait, l'Italie sortant de la posìtion anormale qui résultait pour elle des événements de l'année dernière, se trouve avoir rempli consciensieusement toutes les clauses de la Convention du 15 Septembre. Il exprime l'espoir que cette conduite sera appréciée par le Cabinet Français, et que nous nous montrerons disposés à répondre à cette marque de bon vouloir et de confiance en nous replaçant nous memes, par un acte de réciprocité, dans les termes de la Convention de 1864, c'est à dire en retirant nos troupes des Etats du Saint Siège. Le Général Menabrea rappelle que l'Italie a, d'ailleurs, manìfesté un désir bien sincère de vivre dans des rapports de bon voìsinage avec le Gouvernement Pontificai, en formulant un projet de Modus Vivendi qui nous a été communìqué.

Je répondrai à ces considérations dans le méme sentiment de franchise amicale dont nous nous sommes inspirés chaque fois que nous avons eu à échanger nos idées avec le Gouvernement Italien sur les affaires romaines.

Si l'on examine, avec une attention impartiale les faits qui se sont passés l'année dernière, il est évident que l'on ne peut nous reprocher d'avoir porté aucune atteinte à la Convention du 15 Septembre; nous l'avons maintenue au contraire, dans son principe et dans sont esprit, contre ceux qui essayaient de la détruire ou qui se montraient impuissants à la défendre, et personne ne saurait révoquer en doute ni l'extrème regret avec lequel le Gouvernement Français s'est vu entraìné à une intervention devenue nécessaire, ni son désir d'en abréger le terme.

Mais la sécurité des frontières Pontificales était l'objet principal que nous nous proposions d'atteindre, lorsque nous avons signé les arrangements du 15 septembre et nous avions une foi entière dans les mesures qui, le cas échéant, seraient prises par le Gouvernement Italien en vue d'en amener la pleine exécution. Nos justes espérances s'étant trouvées déçues notre devoir est de ne point prendre, sans de milres réflexions, des résolutions nouvelles. Nous ne saurions oublier, en effet, les déclarations que le Gouvernement de l'Empereur a faites l'année dernière, et qui subordonnaient la cessation de notre occupation au degré de confiance que l'état des choses ferait renaìtre dans les esprits et que nous pourrions légitimement partager. Le Ministère présidé par te Général Menabrea a certainement le droit de faire valoir à nos yeux les titres incontestables qu'il s'est acquis à la reconnaissance de tous ceux qui, en Italie, comprennent les véritables intérèts de la péninsule. Il y a rétabli, d'une main à la fois ferme et modérée, les idées d'ordre et de bonne administration. Nous apprécions hautement le caractère élevé de ses actes et nous lui en savons gré, car les liens qui unissent si étroitement les deux pays ne peuvent que se resserrer chaque jour sous l'influence d'une politique aussi sage que persévérante.

Mais est-il prudent d'en compromettre les résultats par des mesures précipitées et de devancer le moment où la confiance se rétablira d'elle mème et s'imposera sans affort à l'opinion publique?.

Loin de nous la pensée que ce moment doive se faire longtemps attendre. Il ne nous semble pas toutefois qu'on puisse le considérer comme arrivé dès aujourd'hui. Il ~t malheuresement trop certain que les passions mauvaises, les projets hostiles qui ont amené les tristes incidents de l'année dernière subsistent encore. L'on ne saurait nier que, durant ces derniers temps, ils ne se soient révélés de nouveau par des publications nombreuses avec une recrudescence bien faite pour inspirer une juste circonspection. Si nous avons lieu de penser que la nation italienne accueillerait la mesure qui ferait cesser notre occupation avec un sentiment de satisfaction amicale envers la France, nous sommes, d'un autre còté, fondés à croire que les hommes du désordre qui ne se sentent pas encore suffisamment découragés, y verraient uniquement l'occasion offerte de reprende sur le champ leurs desseins agressifs.

Devons nous exposer aux chances de cette épreuve et les Etats Pontificaux dont nous avons voulu que le territoire restat à l'abri de toute attaque, et le Cabinet Italien lui-mème, malgré ses intentions que nous ne saurions suspecter? Dans quelle situation se trouverait-il ainsi que nous, si le renouvellement des tentatives qui ont eu lieu l'année dernière plaçait encore les deux Gouvernements en face de pénibles nécessités et provoquait une nouvelle effusion de sang?

Il peut donc paraitre convenable, avant de s'occuper des mesures qui seront la conséquence du rétablissement d'une sécurité complète, de s'attacher d'abord à développer et à améliorer les conditions de cette sécurité.

Le Cabinet de Florence s'est placé lui-mème dans cet ordre d'idées lorsqu'il nous a communiqué un projet destiné à établir entre les Etats du Saint Père et ceux du Roi Victor Emmanuel, un modus vivendi propre à écarter les froissements que des relations de voisinage, à la fois nécessaires et difficiles, amènent trop souvent entre les deux pays. Nous avons accueilli ce projet comme un témoignage des bonnes dispositions du Cabinet Italien; nous l'examinons en ce moment avec toute l'attention qu'il mérite et nous emploierons nos efforts à faire ressortir aux yeux de la Cour de Rome les avantages qui résulteraient pour elle, comme pour le Royaume, de l'adoption d'un système mieux approprié aux circonstances. Nous devons donc avant tout nous attacher à mener cette négociation à oonne fin, et l'influence dont nous avons besoin serait singulièrement affaiblie, si le Saint Père pouvait supposer que nous voulons le laisser aux prises avec des dangers sur lesquels, en ce moment, ni lui ni le monde catholique ne se sentent suffisamment rassurés (1).

Nous sommes convaincus que le Cabinet de Florence, certain des dispositions si sincères et si amicales qui nous animent, donnera à ces explications un sens et une valeur en conformité avec nos sentiments mutuels que rien ne saurait altérer.

(l) -Cfr. n. 657. (2) -Ed. in LV 14, pp. 79-83 e in Origines diplomatiques, vol. XXII, pp. 314, 316. (3) -Vedi allegato. (4) -Cfr. n. 484.

(l) Ed. in LV 14, pp. 77-79.

700

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

T. 782. Firenze, 25 novembre 1868, ore 18.

Ne donnez pas lecture à Stanley du texte de la dépeche du marquis Pepoli relative au dispositions du Cabinet hongrois (2). Evitez les passages les plus compromettants pour les bons rapports entre Andrassy et Beust. Veuillez me renvoyer par le premier courrier la copie de cette dépeche après toutefois vous en etre servi dans votre conversa.tion avec Stanley. Dites à ce dernier combien la communication dont vous etes chargé est dèlicate, et faites lui remarquer qu'il importe de ne point compromettre en ceci la personne du comte Andrassy.

701

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1391. Bucarest, 26 novembre 1868, ore 15,30 (per. ore 0,15 del 27).

La Prusse insiste énergiquement pour que le Prince Charles renvoye Cabinet Bratiano et nomme nouveau Ministère moins suspect aux Puissances étrangères. Vues de Bismarck à cet égard sont très péremptoires. J'ai lieu de croire que demain après le discours d'ouverture des Chambres Ministère donnera démissions et sera remplacé par Démetres Ghika précidence et finances Golesco de Constantinopie affaires étrangères, Cogalniceanu intérieur.

(l) -Il documento originale conteneva a questo punto li seguente paragrafo, poi soppresso su richiesta di Menabrea: « L'ensemble d es considérations que je viens d'indiquer me dispense, je le crois, de m'attacher à la discussion de l'argument que le Général Menabrea tire de la signature du protocole du 31 Juillet et de démontrer que cet arrangement, que nous avions espéré voir entièrement terminé, li y a plus d'un an, et qui, par suite des événements de l'année dernière, l'est à pelne aujourd'hul, ne sauralt suffire à lui seui, quelle que soit la justice que nous nous plaisons à rendre à la loyauté du Gouvernement italien, pour motlver la mesure qu'll nous demande, et, encore moins, pour la représenter comme étant devenue une conséquence nécessaire du règlement définltif de cette affaire toute spéciale ». Esso è edito nel testo di questo documento pubblicato in Origines diplomatiques, vol. XXII, pp. 199-202, con la seguente annotazione: Passage supprimé dans la communication faite au Général Menabrea >>. (2) -Cfr. n. 655, di cui era stata inviata copia a Maffei con D. 119 del 22 novembre.
702

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE 62. Firenze, 26 novembre 1868.

Dai pubblici fogli e dal resoconto della tornata parlamentare del 25 corrente, la S. V. ha già potuto formarsi un concetto della impressione prodotta in tutta Italia dalla esecuzione capitale avvenuta in Roma addì 24 di questo mese (l).

Ella avrà saputo come quella esecuzione avesse luogo per fatti aventi un carattere politico, oltre un anno dopo che i fatti stessi e'rana stati compiuti; come la sentenza pronunciata venisse eseguita il vigesimo giorno dalla sua significazione; come, infine nella esecuzione stessa si producessero incidenti che non sono più de' tempi nostri. Giova infatti qui ricordare che fra i terrori della morte, le vittime tratte sul luogo del supplizio furono vedute inchinarsi al De Charette, comandante degli zuavi stranieri; e come un sacerdote il palco insanguinato scegliesse per predicare al popolo in nome del Dio di misericordia.

Tali fatti sono narrati dall'Osservatore Romano, organo ufficioso del Governo pontificio; basta enunciarli perché la coscienza universale li giudichi inappellabilmente.

Ma ciò che la S. V. non seppe forse che in modo assai imperfetto dai giornali, e che io non ho stimato necessario finora di far conoscere in Parlamento, è la parte che il Governo del Re ha avuto nell'intercedere per una commutazione di pena in favore dei due infelici condannati alla mannaia.

Appena si conobbe che la sentenza di morte era stata profferita, il Governo del Re, aderendo anche alle istanze che gli venivano sporte da varie parti, decise di tentare a Roma tutte quelle pratiche che per lui si potevano onde impedire il compimento di un fatto che l'opinione pubblica condannava, e che l'interesse così dell'Italia come della religione richiedeva fosse ad ogni modo evitato. Epperò il R. Ministero si affrettava di scrivere al Signor Conte Fè, Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario di Sua Maestà che le personali relazioni ch'egli aveva in Roma avevano suggerito al R. Governo di affidargli l'incarico di recarsi in quella Città per adoperarvi tutta quella influenza che egli vi poteva esercitare, per quello scopo umanitario. Non voleva il Governo del Re che a quegli uffici, inspirati da un sentimento di umanità e di commiserazione, sl attribuisse il carattere di una pressione politica; ingiungeva quindi al Conte Fè di procedere con tutti quei riguardi che il caso richiedeva «Noi non possiamo rivolgerei ufficialmente al Governo Pontificio per interPorre una simile domanda; ma, porgendo una preghiera al cuore paterno di Sua Santità, abbiamo fiducia che la nostra voce possa commuoverlo a pietà di quegli infelici ». Così il Governo del Re si esprimeva nell'affidare al Conte Fè il delicato incarico.

Il 2 Novembre questo Signore trovavasi a Roma, e subito si adoperava affinché per mezzo di persone di sua relazione, venisse sporta al Santo Padre la do

manda di grazia. Senonché il Conte Fè trovava disposizioni poco favorevoli pel successo della missione affidatagli. Gli si diceva, ed egli me ne riferiva, che molte influenze erano impegnate in quel triste affare, e tutte spingevano a che la sentenza fosse eseguita. Parlavasi dell'il1ritazione del Corpo degli Zuavi qualora la clemenza sovrana risparmiasse le vittime designate, e si andava pur dicendo che i discorsi ed il contegno degli stranieri militanti per la protezione del territorio pontificio, persuadessero il Pontefice a non usare della sua prerogativa di grazia.

Malgrado questa difficoltà, e per non porre tempo frammezzo, il Conte Fè recavasi direttamente dal Cardinale Antonelli, gli esponeva l'incarico avuto, e dichiarandogli che, in una questione essenzia,lmente umanitaria, egli nulla lascerebbe di intentato per ottenere in favore dei due condannati la grazia della vita, chiedevagli un'udienza per presentarsi in persona al Pontefice.

Prese tempo a rispondere il Cardinale sino al domani, ed allora al Conte Fè, che di nuovo erasi recato al Vaticano, faceva noto aver egli esposto a Sua Santità la domanda di commutazione di pena, il Santo Padre non essersi pronunciato in proposito, ma molto preoccuparsi della domanda stessa. Il Papa non aveva espresso il desiderio di ricevere in udienza il Conte Fè. Ma intanto aprivansi gli animi alla speranza e vedendo sospesa l'esecuzione della sentenza, ognuno pensava che questa fosse stata in ultimo commutata.

Prendevansi quindi tutte le disposizioni perché i RR. Principi i quali dovevano in quei giorni recarsi a Napoli, potessero transitare per Roma, ed ogni cosa era disposta quando alla vigilia stessa del giorno fissato pel viaggio giungevaci l'avviso dal Conte Fè che probabilmente nel giorno designato pel passaggio sarebbesi eseguita in Roma la sentenza di morte.

Quanto una simile coincidenza avrebbe funestato il viaggio degli Augusti sposi non importa dire. Ogni animo onesto si sentirà compreso di sdegno al solo pensiero che il passaggio di giovane e nobile Principessa avrebbe potuto essere segnato da uno spettacolo di sangue.

Fu pertanto deciso che i RR. Principi prendessero altra via.

Appena giunta a Roma la notizia del mutato itinerario, sospendevasi l'esecuzione che si volle allora riservata pel giorno 24, che coincideva colla riunione del Parlamento nazionale.

Così, movendo le passioni, risvegliando i rancori al momento stesso in cui la Camera dei Deputati riprendeva il corso de' suoi lavori, un tal fatto avrebbe potuto porgere pretesto ad agitazioni, provocare intemperanze, dar luogo in una parola ad atti, la conseguenza dei quali sarebbe stata di poter poscia dimostrare l'instabHità dell'ordine e della tranquilità di cui gode il paese, e la poca fermezza del Governo, di fronte agli eccitamenti di uomini che alla passione ed al risentimento sacrificano talvolta gli interessi dell'avvenire.

Se tali furono i calcoJi che il partito a noi ostile, dominante in Roma, aveva fatto, ben possiamo oggidì affermare che le previsioni dei nostri avversari andarono compiutamente fallite. E giova che io lo faceia notare alla S. V. perocché importa si conosca e si apprezzi, non solo ciò che accadde a Roma, ma anche la situazione interna della penisola in cospetto delle provocazioni della fazione sostenuta dalle armi straniere.

Quando i fatti che io Le ho narrato saranno noti alla pubblica opinione, non dubito che un sentimento generale dì ribrezzo sì solleverà, e che si invocherà, come io ho fatto in Parlamento, che cessi una condizione di cose altrettanto nociva all'interesse d'Italia che a quello della Religione e deJ.la Civiltà.

(l) Si tratta della esecuzione di Monti e Tognettl.

703

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BRUXELLES, DE BARRAL

D. 14. Firenze, 26 novembre 1868.

Durante la di Lei assenza il Signor Barone Marochetti mi riferiva essere desiderio del Governo Belga di conoscere se fosse vero che il Governo italiano avesse riconosciuto quello repubblicano ora cos,tituito a Messico.

Desiderando che la S. V. sia in grado di rispondere in modo categorico ed esatto a questa dimanda, mi affretto di esporle brevemente quale è lo stato attuale delle nostre relazioni internazionali coJ Messico. E perché la S. V. possa formarsi un concetto ancora più esatto e preciso della situazione, che sto per esporLe, reputo conveniente premettere alcuni cenni retrospettivi che altrimenti forse sfuggirebbero alla di Lei considerazione.

Colla repubblica messicana che precedette l'Impero di Massimiliano d'Austria l'Italia non mantenne relazioni diplomatlche seguite. li Messico non era rappresentato in Italia e l'Italia non aveva al Messico che una rappresentanza consolare. Così stavano le cose, quando a seguito degli avvenimenti compiutìsì ed a tutti noti, l'Impero Messìcano si fece solennemente notificare da appositi suoi Inviati a tutte le principali Corti Europee. Un ministro messìcano venne a risiedere permanentemente a Firenze ed un Inviato Italiano fu accreditato presso l'Imperatore a Messico.

Se non che giova riflettere che se in quel tempo tutte le Potenze Europee furono d'accordo nel riconoscere il nuovo Impero, non sembra che le medesime tenessero conto dì una circostanza allora mal conosciuta, ma dippoi bene accertata, che cioè il Governo repubblicano del Messico, benché scacciato dalla capitale, continuava ad essere riconosciuto in moltissime parti del territorio messicano, e ad esercitarvi la sua autorità. Non si potrebbe infatti ormai dubitare che il Governo repubblicano del Messico non aveva mai cessato di esistere. benché per molto tempo la sua autorità più non si estendesse sulle provincie passate sotto il dominio dell'Imperatore. Questa circostanza spiega in certa maniera perché il Governo repubblicano del Messico non abbia fatto alcun passo per annunziare la propria esistenza alle Potenze. Quel Governo non ammette che vi sia stata per lui discontinuità nell'esercizio dell'autorità sovrana ristretta soltanto per fatto di guerra e di occupazione nemica ad alcune provincie. Ponendosi sovra questo terreno la Repubblica Messicana non si è considerata in debito di annunziare agli Stati Europei la sua Costituzione.

Si disse che un Decreto del Governo di Juarez avesse stabilito che n Messico non manterrebbe più relazioni diplomatiche cogli Stati che avevano riconosciuto l'Impero di Massimiliano. Questa notizia sparsa in tutti i fogli pubblici di Eu

ropa non sembra esatta. Il Governo del Re ha saputo recentemente che quel preteso decreto non avrebbe mai esistito, epperò ha chiesto immediatamente informazioni precise al riguardo tanto a Londra che a Washington che alla VeraCruz dove esiste ancora un Consolato italiano.

Tale essendo lo stato delle cose, la S. V. ben comprende che il Governo del Re il quale professa largamente il principio di non intervento nella sua applicazione al riconoscimento dei governi di fatto non avrebbe alcuna ragione per indugiare a ristabilire i suoi rapporti ufficiali col Governo del Messico e non tarderebbe probabilmente ad inviare alla capitale di quella repubblica un suo agente. Ma prima di prendere una definitiva risoluzione e per non trovarsi, per avventura, nel caso di aver fatto qualche passo meno ponderato per mancanza di un'esatta cognizione delle condizioni interne del Messico, il Governo del Re ha stimato savio consiglio interpellare i propri rappresentanti a Londra e a Washington sulla situazione vera del Governo presieduto da Juarez in cospetto degli altri partiti.

Quando anche queste informazioni gli saranno giunte il Gabinetto di Firenze piglierà una definitiva decisione della quale formerà oggetto di comunicazione alla S. V. affinché Ella possa portarla a notizia del Governo Belga.

704

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 120. Firenze, 26 novembre 1868.

Ella troverà qui unito copia di un dispaccio della R. Legazione in Parigi relativo alle cose di Tunisi (l). Non Le sarà difficile osservare che le idee emesse dal Governo Imperia,le sul progetto di istituire due Commissioni nella Reggenza divengono sempre meno precise, sovratutto se si confrontano fra di loro le cose dette dal Ministro Imperiale degli Affari Esteri intorno a tale proposito.

In vista di ciò, gradirei avere dalla S. V. un riscontro al mio dispaccio del1'8 novembre (2) perché se il Governo britannico entrasse nell'ordine d'idee che in quel dispaccio erano esposte, noi potremmo sin d'ora metterei d'accordo per rifiutare di concorrere col nostro voto a formare una Commissione amministrativa a Tunisi nella quale la Francia sola avrebbe un suo impiegato che essa si riserva di scegliere e rimuovere a piacimento.

Consenta Lord Stanley che da noi gli si faccia osservare quanto, anche politicamente sarebbe pericoloso il permettere che il Governo della Tunisia passi indirettamente in mano della Francia. Non si può oramai disconoscere che la politica francese accenna a stabilirsi in modo preponderante sulle sponde del Mediterraneo. Le coste d'Africa, già in possesso di Francia, non avrebbero nessuna importanza né al punto militare, né al punto di vista commerciale, se la Francia non si potesse assicurare una preponderanza assoluta a Tunisi. Quando

recentemente Lord Stanley Le diceva che il Governo francese non ha alcun interesse ad estendere le sue possessioni africane nel territorio tunisino, non rifletteva probabilmente a due circostanze essenzialissime che fanno sì, invece, che, pel fatto stesso che già possiede l'Algeria, la Francia deve necessariamente desiderare di comandare da padrona a Tunisi. L'Algeria è sterile, e le finitime provincie Tunisine sono invece ubertosissime. Le coste Algerine non presentano alcun punto adatto alla costruzione di un vasto stabilimento militare marittimo, mentre invece il porto naturale di Biserta potrebbe diventare nelle mani della Francia un formidabile arsenale di mare. Ed a ciò si aggiunge che Biserta è già oggidì il punto di congiunzione della linea telegrafica sottomarina dell'Algeria.

Vorrei che tutte queste osservazioni fossero dalla S. V. sottoposte al Ministro degli Affari Esteri della Regina, non già in un senso di ostilità verso la Francia, giacché noi non nutriamo simile sentimento, ma soltanto come considerazioni suggerite dàlla più naturale preveggenza, che impone di non aspettare che una politica, la quale aspira evidentemente ad acquistare una preponderanza assoluta sul Mediterraneo abbia prodotto i suoi effetti, prima di chiamare sovra di essa l'attenzione del Governo britannico, come noi interessato ad impedire un simile risultamento.

(l) -Cfr. n. 689. (2) -Cfr. n. 666.
705

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1217/517. Londra, 26 novembre 1868 (per. il 2 dicembre).

Appena mi riuscì di vedere Lord Stanley dopo l'assenza che la sua elezione al Parlamento lo costrinse a fare da Londra, non mancai d'intrattenermi con Lui sugl'Affari di Tunisi nel senso del di Lei dispaccio politico N. 115 Confidenziale (l).

Il Governo Britannico si trova in una posizione uguale alla nostra rispetto all'accomodamento proposto dal Marchese di Moustier per l'assetto delle Finanze del Bardo. Un vero progetto non venne neppure mai qui trasmesso, e finora ogrù cosa si ridusse a comunicazioni verbali tra Lord Lyons ed il Ministro Imperiale degli Affari Esteri, ed a qualche altra simile comunicazione stata fatta da questa Ambasciata di Francia a Lord Stanley.

Esposi minutamente a Sua Signoria come il Governo del Re per mostrarsi conciliante e per non compromettere gli interessi che gli Italiani posseggono nella Reggenza, avesse dichiarato di essel.1e interamente disposto a negoziare colla Francia quegU accordi atti a tutelare gl'interessi di tutti, riordinando la finanza Tunisina. Esser però indispensabile lo insistere partico,larmente sul punto che il funzionario francese chiamato a fare parte della Commissione Amministrativa venga realmente prosciolto da ogni vincolo col Governo Imperiale, e sull'altro non meno importante dell'indipendenza della Commissione di Controllo. Feci

52 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

infatti osservare a Mylord che ove il concorso delle Potenze si estendesse oltre alla semplice formazione di quest'ultima si toglierebbe al Bey la piena responsabilità dei suoi atti, intromettendo una ingerenza straniera nel Governo interno della Reggenza.

Lord Stanley in questo divide completamente il nostro modo di vedere, ed al par di noi apprezza la necessità di limitare l'azione delle Potenze al Controllo che la Commissione Internazionale sarebbe destinata ad esercitare.

Circa poi la posizione sciolta d'impegni che dovrebbe esser fatta al funzionario francese, il Segretario di Stato mi disse che non potevasi pretendere dal Governo Imperiale che venisse inviata a Tunisi una persona la quale non fosse mai stata in carriera, o che avendovi appartenuto perdesse ogni diritto a rientrarvi quando cessasse di far parte del Comitato Amministrativo.

Feci però rimarcare a Sua Signoria che era impossibile di non esigere che il Commissario Francese fosse prosciolto da ogni vincolo durante il tempo che presterà i suoi servigii presso la Commissione prementovata essendo di somma importanza di serbare alla medesima un carattere esclusivamente Tunisino scevro d'ogni influenza estera.

Presentata sotto questo aspetto la cosa ricevette più attenzione da parte di Lord Stanley il quale m'incaricò di accertare l'E. V. che, in qualunque caso, per tutto ciò che concerne il carattere nazionale da lasciarsi alla Sezione di Amministrazione e l'indipendenza che deve essere assicurata a quella di controllo, Egli s'accorda pienamente colle nostre idee.

(l) Cfr. n. 666.

706

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, A VITTORIO EMANUELE II (l)

L. CONFIDENZIALE. Parigi, 26 novembre 1868.

Pendant mon séjour à Compiègne, S. M. l'Empereur Napoléon m'a parlé des ouvertures que Votre Majesté lui a fait parvenir au sujet d'une alliance entre l'Italie et la France. L'Empereur m'a chargé expressément de remercier en son nom Votre Majesté pour les dispositions amicales qu'Elle a montrées à Son égard. Je m'acquitte avec empressement de cette commission en prenant la liberté d'écrire cette Iettre à Votre Majesté. Les ouvertures dont il s'agit ne sauraient en ce moment avoir d'autre suite, en présence des tendances pacifiques du Roi de Prusse et de l'Empereur Napoléon, tendances que j'ai pu constater moi-meme personnellement chez les deux Souverains. Tout porte à croire que la présente campagne est définitivement acquise à la paix, ce qui est heureux pour l'Europe et spécialement pour l'Italie qui a un grand besoin de tranquillité pour remédier à la détresse de ses finances. Aussi je suis convaincu que Votre Majesté vecevra ces assurances avec satisfaction.

(l) Da ACR.

707 L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 1219/518. Londra, 27 novembre 1868 (per. il 4 dicembre).

A termini degl'ordini contenuti nel di Lei dispaccio N. 117 (l) pervenutomi jeri, mi affrettai di avere oggi con Lord Stanley l'abboccamento circa gli affari di Roma ch'Ella mi commetteva in seguito alle cose dettele su tale argomento da Sir A. Paget.

Appena scambiata qualche parola, Lord Stanley, secondo quanto telegrafai all'E. V. (2), m'interruppe esternandomi che, sebbene apprezzasse la gravità dei motivi che avevano potuto spingere Sir A. Paget -in cui egli riponeva piena fiducia -a tener discorso con Lei, Signor Conte, di siffatto delicatissimo soggetto, il medesimo non gliene aveva finora scritto nulla e credeva perciò conveniente di dichiararmi subito che nessun incarico a questo effetto era stato da lui dato all'Inviato Britannico costà, il quale aveva dunque in questa circostanza agito interamente di suo proprio impulso.

Attenendomi allora alle istruzioni impartitemi da V. E. coll'altro dispaccio della stessa Serie N. 118 riservato (3), regolai senza ritardo il mio linguaggio alla situazione, astenendomi dall'accentuarlo come avrei fatto ove la comunicazione di Sir A. Paget fosse stata la conseguenza di un ordine espresso del Foreign Office.

Dissi dunque a Mylord che della gravità dello stato di cose creato dalle proporzioni degl'armamenti e dei depositi d'armi e munizioni che da lunga mano il Corpo di spedizione Francese sta apprestando a Civitavecchia, le entrature fatte all'E. V. dal Rappresentante della Gran Bretagna in Firenze offrivano la prova più conveniente che si potesse desiderare, niuno essendo più di lui al caso di giudicare dell'importanza di tali fatti.

Esser pertanto desiderio dell'E. V. di ripetere per mia bocca al Ministro degli Affari Esteri della Regina le stesse cose state da Lei dette, Signor Conte, all'Inviato Inglese presso la Corte dei Re.

Esposi così a Mylord come il R. Governo avesse da parecchi mesi attentamente seguito gli straordinarii apparecchi guerreschi della Francia nello Stato Romano, e come ciò destasse in esso la più seria preoccupazione. Passai quindi all'enumerazione delle ragioni che avevano finora consigliato il Governo del Re ad astenersi dal chiamare l'attenzione delle estere potenze sovra gl'armamenti della Francia a Civitavecchia, e feci notare a Sua Signoria che, oltre al desiderio che stava in noi di non spostare la vertenza dal suo vero terreno e di non farne una questione d'equilibrio Europeo mentre la maggior parte dei Gabinetti la giudicavano sotto un punto di vista diverso, motivi che il Governo Britannico era certo in grado d'apprezzare, ci vietavano pel momento di rivolgere un formale richiamo a Parigi. Dover però Sua Signoria intendere come ciò nonostante il

Ministro degli Affari Esteri d'Italia cogliesse con piacere l'opportunità che le interrogazioni direttegli dal Rappresentante Britannico gli afferivano, per spiegare all'illuminato Capo del Foreign Office -conoscendo massime il Governo del Re l'assennato giudizio da Lui personalmente portato sull'occupazione Francese -l'impressione prodotta dai gravi fatti precitati sul Gabinetto di Firenze.

Lord Stanley p11estò molta attenzione alle mie parole. Mi disse che, siccome io gliene avea fatto l'osservazione, la sua opinione sulla presenza delle truppe Imperiali sul suolo pontificio era a noi nota, dispensarsi perciò dall'aggiungere qualunque ulteriore dichiarazione, ma esser nello stesso tempo costretto a riconoscere che il savio partito adottato dall'E. V. era l'unico che in Italia un provvido uomo di Stato potesse oggi seguire rispetto alla complicazione Romana.

Nel pregarmi di ringraziarla, Signor Conte, per la comunicazione commessami, Lord Stanley mi diè speciale incarico di esprimerle che approvava pienamente la prudente condotta tenuta dall'E. V., e mi ripeté che la credeva la sola adatta alle difficoltà della situazione attuale.

Colla fiducia colla quale Mylord sempre mi tratta, proseguì a parlarmi a lungo delle circostanze connesse colla questione Romana, e si fu così argomentando e sulla domanda da me rivoltagli di palesarmi qual fosse a suo avviso il vero movente degl'armamenti della Francia sul punto da lei occupato, ch'ei mi dié la importante risposta già da me telegrafata a V. E. cioè che se realmente gl'apparecchi militari dei Francesi sul territorio Pontificio superano le esigenze della presente spedizione, bisognava venirne alla conclusione che l'Imperatore Napoleone volesse avere piede in Italia onde poter, con un vasto deposito d'armi e munizioni circondato da baluardi e fortilizi pronti a diventar da un momento all'altro la base d'operazione di un poderoso Corpo d'Armata, paralizzare l'azione dell'Italia in caso di guerra colla Prussia ed impedire una alleanza fra di loro a detrimento della Francia.

n Segretario di Stato mi significò poi che quanto io gli andava narrando circa gli armamenti di Civitavecchia e quanto il Silimor Russell gli scriveva da Roma sul numero di bene organizzate soldatesche più che sufficienti alla difesa del territorio Pontificio adesso arruolate sotto la bandiera della Santa Sede, tenderebbe a provare sempre più maggiormente che ad altro fine tendono i formidabili preparativi del Governo Imperiale.

«In questo istante la Francia è in grande stato d'apprensione circa siffatta guerra... » osservò Sua Signoria, interrompendosi subUamente colla più significativa delle reticenze!

A queste parole non aggiungerò commenti, bastandomi riferirle testualmente all'E. V.

(l) -Cfr. n. 694. (2) -T. 1392, non pubblicato. (3) -Cfr. n. 695.
708

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

D. 39. Firenze, 28 novembre 1868.

Sin da quando il Signor di Kiibeck mi diede qualche spiegazione sulle parole che i giornali di Vienna aveano attribuite al Cancelliere Imperiale all'occasione in cui quest'ultimo raccomandava in comitato segreto la legge di riordinamento dell'esercito austriaco, io dissi apertamente all'Inviato d'Austria che non poteva ammettere che il Governo Italiano si fosse mostrato in alcuna circostanza meno premuroso verso l'Austriaco di mantenere con lui i buoni rapporti internazionali esistenti.

Ora ho sotto gli occhi il testo della circolare del 30 Ottobre ultimo scorso, colla quale S. E. il Barone di Beust spiega egli stesso alle missioni dell'Imperatore all'estero il significato attribuitogli.

«Ho esposto, scrive il Barone di Beust, che le nostre relazioni col Governo italiano erano amichevoli, quanto lo si poteva desiderare. Se si citano certe agitazioni recenti prodottesi in Trieste e nel Tirolo meridionale le quali malgrado il loro carattere ostile contro rAustria non furono sconsigliate o sconfessate (découragées ou désavouées) dal Governo italiano con tutta quella energia che si sarebbe potuto desiderare, bisogna però tener conto delle condizioni interne della penisola, le quali non permettono sempre al suo Governo di agire liberamente a questo riguardo, quanto lo comporterebbe la sincerità delle sue intenzioni leali e pacifiche verso di noi~.

In queste parole del Cancelliere imperiale austriaco si contiene un apprezzamento affatto inesatto della situazione del Governo del Re, che si rappresenta quasi come condotto a tollerare ciò che in cuor suo riprova. Ci si accagiona di non aver voluto, o potuto disapprovare i fatti di Trieste, e le dimostrazioni ciel Tirolo, quasicché fosse obbligo del Governo italiano di preoccuparsi di quanto succede in quei paesi e di adoperarsi a mantenervi la tranquillità e la quiete. Quell'apprezzamento e quest'accusa è debito nostro respingere in modo assoluto.

Il Governo italiano non è tratto ogni di a far nuove e sempre più ampie concessioni alla pubblica opinione. Forte dell'omogeneità degli elementi che lo costituiscono, può altamente manifestare le intenzioni leali e sincere ch'egli professa. Il suo linguaggio è costante ed uniforme all'interno, come all'estero. Non vi hanno screzii, non reticenze nelle sue parole. Queste sono conformi ai suoi atti. A Parigi come a Berlino, a Vienna come a Londra, a Costantinopoli, a S. Pietroburgo egli parla ai suoi rappresentanti quel linguaggio che è l'espressione esatta e fedele delle sue intenzioni leali e pacifiche. Noi non possiamo temere di essere accusati davanti l'opinione pubblica europea di mire occulte, di raggiri, di doppiezze, arti ignote alla diplomazia che il Gabinetto di Firenze dirige.

Ed è pur bene ch'io il dica alla S. V. in quest'occasione, che l'Austria non ha ragioni di mettersi con noi sovra questo terreno mostrando così di non sa}Jer tenere conto della prudente ed amichevole discrezione dal Governo del Re adoperata e nelle parole, e negli atti.

Dappoiché al Cancelliere dell'Impero piacque di parlare dei fatti accaduti a Trieste, e delle dimostrazioni del Tirolo meridionale, a noi può essere utile ricordare come, per effetto dei savii provvedimenti presi dalle autorità locali, nessuna ostile dimostrazione v,erso il Governo Austriaco avesse luogo in Verona, quando i Trentini vi si recarono in grande numero per visitare l'esposizione agraria ed industriale. Noi potremmo ugualmente ricordare come spontaneamente ed anzi prevenendo il desiderio del Governo Austriaco, noi dessimo disposizioni speciali per togliere un'occasione, che facilmente avrebbe potuto suggerire ai Triestini l'idea di rinnovare le dimostrazioni ostili contro l'Austria pochi giorni dopo i fatti, dei quali ha parlato il Barone di Beust. Noi potremmo, ove ne fosse bisogno, citare i ringraziamenti che il Governo Austriaco ci fece fare dal suo rappresentante a seguito, e poco dopo, che quelle disposizioni erano state prese.

Se delle necessità della situazione devesi talvolta tener conto, sovratutto quando un Gov,erno lotta contro imponenti opposizioni, non crediamo però che si possa con tanta facilità quanta se ne usò in questa circostanza, sacrificare ad altri interessi quelli del mantenimento delle buone relazioni cogli Stati amici.

La pubblicazione della Circolare del 30 Ottobre produsse in noi una penosa impressione, che sarebbe inutile e poco degno di nascondere al Gabinetto Austriaco. Desidero che la S. V. ne parli apertamente col Signor di Beust, nel senso di questo dispaccio.

Non è del resto questa la sola pubblicazione del libro rosso, che ci abbia dolorosamente impressionato.

È troppo evidente infatti la contraddizione esistente fra il linguaggio che il Gabinetto di Vienna teneva addì 16 dicembre dell'anno scorso al Conte Crivelli, allora suo Ambasciatore a Roma, e quello ch'era stato tenuto poche settimane prima al Rappresentante a Vienna.

Nel dispaccio del 16 Dicembre 1867 è detto che le simpatie di S. M. l'Imoeratore d'Austria per la causa della Santa Sede non si erano limitate a sterili auguri. L'Imperatore Francesco Giuseppe avea profittato del suo soggiorno a Parigi al momento in cui la crisi romana era giunta al suo apogeo per creare un saldo appoggio alla causa della sedia di Roma. Tale r.irr.ostanza non avea mancato, secondo che dice il Signor Barone di Beust, di esercitare una certa influenza sulle risoluzioni dell'Imperatore Napoleone, perocché questi sapeva che l'appoggio morale dell'Austria gli era pienamente assicurato per i provvedimenti presi allo scopo di difendere Roma contro i suoi nemici. Quando il progetto di Conferenza fu recato sul tappeto il Governo imperiale, sogglunge il Cancelliere Austriaco, non avea perduto di vista gl'interessi della S. Sede. «La posizione, che occupava allora d'accordo colla Francia, ha contribuito a rendere le disposizioni di quest'ultima più favorevoli alla conservazione del Potere temporale del Papa».

Ora appena è mestieri ch'io Le ricordi, Signor Marchese, quali erano le disposizioni che il Gabinetto di Vienna ci avea manifestate nel novembre del· l'anno passato. Di queste disposizioni ci rendeva conto il R. Incaricato d'Affari a Vienna con un rapporto del giorno 9 Novembre 1867 (l), rapporto del quale fu già pubblicato un breve estratto nella raccolta dei documenti, che furono da noi presentati, parecchi mesi or sono, al Parlamento. Nella parte di quel dispaccio che non fu ancora fatta di pubblica ragione, il Cavalier Blanc ci riferiva allora testualmente le parole dettegli dal Signor Barone di Beust al suo primo giungere a Vienna di ritorno da Parigi, e quelle parole suonano esattamente cosi: «Je tiens » (è il Signor di Beust che parla al Signor Cavaliere

Blanc) «à vous assurer en manière de suite à nos dernières conversations, que tout en comprenant que l'Empereur des Français se sentit entrainé à intervenir, nous avons été loin de rien dire ou de rien jaire qui pilt l'y encourager. Votre Gouvernement aura apprécié les raisons qui nous empèchaient d'aller plus loin en sa faveur, car il a vu la Prusse elle méme se décider à l'abstention dans cette épineuse affaire ». Erano queste parole affatto conformi ai sentimenti manifestati a più riprese dal primo Ministro austriaco al Rappresentante del Re a Vienna. E siccome le medesime non erano che una conferma dell'aver l'Austria mantenuta la promessa fattaci sino dal 15 Ottobre precedente, che cioè il Governo Imperiale direbbe e farebbe nulla di ciò che potesse incoraggiare la Francia ad intervenire, così noi riposavamo tranquilli nelle disposizioni benevole del Gabinetto viennese.

Quale sentimento di sorpresa produssero quindi in noi le rilevazioni del libro rosso Austriaco intorno alle cose romane, la S. V. ben deve comprendere. Non sarebbe della dignità del Governo del Re di fare inutili recriminazioni, provocare spiegazioni, anda!'e in cerca di parole che, aggiungendosi a quelle già dette e scritte in vario senso, non farebbero che accrescere la confusione delle idee e dei concetti. Ma può darsi il caso in cui lo stesso Cancelliere imperiale senta il bisogno di attenuare l'impressione ben naturale, che in noi deve aver prodotta la lettura del libro rosso austriaco. Se il Cancelliere dell'Impero cercasse di aver con Lei una conversazione a questo riguardo, noi desideriamo ch'Ella accolga le sue entrature colla massima riservatezza. Ella potrà limitarsi ad esprimere il desiderio che il rinnovarsi di simili incidenti non venga a scuotere il fondamento di quelle buone relazioni che dal canto nostro desideriamo conservate coll'Impero Austriaco (l).

(l) Non pubblicato.

709

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 293. Berlino, 28 novembre 1868 (per. il 3 dicembre).

M. de Thile ne m'a pas caché, dans la visite que je lui ai faite ce matin, combien le Gouvernement du Roi était peu satisfait du Livre Rouge. II suffit de l'entrouvir au hasard, pour découvrir presque dans chaque feuille des allusions hostiles à la Prusse. La calomnie se glisse mème dans une question où le Cabinet de Berlin montre cependant la plus grande réserve. Ainsi, dans une dépéche du Baron de Beust au Comte Crivelli, du 15 janvier 1868, il est énoncé que des influences, qu'on peut se dispenser de désigner, ont un puissant intérét à maintenir l'Empire dans une situation précaire, et travaillent sans doute aussi à Rome pour lui créer des embarras. Dans la question d'Orient, le Cabinet Impérial a

M. -Blanc et sa dépeche au Comte Crivelli, en meme temps qu'!l témoigne san vif désir de maintenir ses bons rapporta avec nous et ses bons sentiments envers l'Italie. Je lui ai répondu qu'ils étaient réciproques. Par suite je pense que vous ne devez pas faire une affaire de la dépeche que je vous ai écrite à ce sujet ».

cherché à exciter la défiance de l'Angleterre. Et, qui plus est, pour la question du Schleswig, le Baron de Beust livre à la publicité une dépeche au Comte Wimpffen, (du 1er Avril), dont celui ci n'a jamais donné connaissance ici. «Je ne sais, disait, M. de Thile comment qualifier de tels procédés, ayant pour but de donner un faux jour à la politique prussienne. Au reste, les conseils qu'on crie sur les toits, ne sont guère propres à faciliter une entente avec le Danemarck ». Vis-à-vis d'un de mes Collègues, le Sous-Secrétaire d'Etat s'est exprimé d'une manière plus vive encore. « L'attitude du Gouvernement Impérial est si indécente à notre égard, qu'il devient presque impossible de maintenir avec lui de bons rapports ».

M. de Thile m'a parlé du discours récent tenu par le Prince Charles à Bukarest et dont les Agences télégraphiques donnent un extrait. Son langage a été des plus corrects, soit vis-à-vis de la Puissance Suzeraine, soit vis-à-vis des Puissances garantes. Il croyait en outre savoir que les jours du Ministère Bratiano étaient comptés. En donnant, aujourd'hui me.me, cette nouvelle à

M. Benedetti, M. de Thile y voyait avec plaisir un gage de plus pour le maintien de la paix. Mais, en mème temps, il faisait les deux observations suivantes:

lo Quelque soit l'intérèt porté par le Roi de Prusse à un Membre de la Famille Hohenzollern, cet intérèt meme lui dictait une extreme réserve, pour ne donner à personne un prétexte de supposer que ces liens de famille le rendissent, d'une manière quelconque, solidaire des fautes politiques qui ont été commises, ou qui pourraient se commettre, dans les Principautés. Sa Majesté tient à dégager complètement toute responsabilité.

2° Tout en évitant ce qui aurait pu ressembler à une immixtion non compatible avec le degré d'autonomie accordée aux Principautés Unies, le Cabinet de Berlin n'a jamais manqué de joindre sa voix à celle des autres Puissances garantes, qui prèchaient la modération et la conciliation. Il a donc eu lieu d'etre surpris de se voir en butte aux calomnies les plus fabuleuses, pour ne citer que le bruit d'une alliance avec la Russie, la Serbie et la Roumanie, et l'accusation effrontée de vouloir faire de ce dernier pays un arsénal dirigé contre l'Autriche. Il doit se récrier contre ce système de dénigrement de l'attitude prussienne, parfaitement correcte aux yeux de tout observateur impartial.

M. Benedetti accueillait avec satisfaction ces explications, et ajoutait que de tels éclaircissement étaient de nature à laisser espérer que l'hyver se passerait sans danger pour la tranquillité publique. «Nous souhaitons, me disait M. de Thile, que se terme se prolonge, car nous ne pouvons admettre que l'Ambassadeur de France ait songé à fixer une limite quelconque ».

Je mentionnerai un autre propos tenu par le mème diplomate, vis-à-vis d'un de mes amis, qui me l'a répété:

«Nous devons nous préoccuper sérieusement d'etre en contact avec une Allemagne de 40 millions d'habitants, avec une organisation militaire des plus fortes. Il surgira probablement, d'ici au printemps, quelques affaires qui nous permettront de sortir d'une position impossible; mais je ne crois cependant pas à la guerre». Je ne sais quelle signification il convient d'attribuer à ces paroles. Avait-il en vue des complications en Orient, dans les Principautés Danubiennes, ainsi qu'on serait presque tenté de le croire, quand on cherche à découvrir le motif de la croisade entreprise dans ces demiers temps contre la Prusse pour ses prétendues menées à Bukarest? Dans ce cas, les explications catégoriques fournies par le Cabinet de Berlin auraient détourné le coup. Si on veut l'attaquer, il faudra prendre le taureau par les comes, le chercher sur son propre territoire et accepter la Jutte sur le terrain national, et non à propos d'autres questions secondaires, lesquelles ne détourneront jamais son attention, dirigée avant tout sur l'Allemagne. Mais il est évident que, de ce còté, la France sait qu'elle aurait affaire à un rude jouteur. C'est bien sa force qui est la meilleure, je n'ose dire la seule, garantie de paix.

Le Comte d'Usedom est parti, il y a peu de jours, pour retourner à son poste, en passant par Turin, où il remettra à S.A.R. le Prince de Carignan les insignes de l'Aigle Noir. Dans sa dernière audience, sa Mayesté lui a exprimé nouvellement combien Elle avait été satisfaite des résultats de son alliance avec l'Italie. Elle espérait que les deux Pays continueraient à vivre dans les meilleurs termes, sans que des entreprises aventureuses ne vinssent en travers de la ligne politique suivie par les Gouvernements.

La nomination à Berlin de M. Montemar, par le Gouvernement provisoire d'Espagne, se confirme. Cet Agent n'aurait pas des lettres de créance adressées au Roi de Prusse, mais la simple mission d'entretenir des rapports officieux jusqu'à l'établissement d'un Gouvernement définitif. Cette question de forme, ainsi réglée, facilitera les relations dans ll'état actuel des choses. D'après les renseignements parvenus ici, dans cette fournée de diplomates ne figurent presque que des rédacteurs de journaux, de date plus ou moins ancienne. Ce qui faisait dire à M. de Thile que la diplomatie de carrière, la seule cependant qui ait une valeur réelle, avait diì baisser pavillon. Pourvu que toutes les réformes introduites. ou à introduire, pour régénérer la Péninsule, ne soient pas du méme acabit! Il est vrai que les diplomates évincés, gràce au favoritisme et aux abus, ne pouvaient guère, sauf quelques exceptions passer pour des modèles du genre.

(l) -Con T. 791 del 7 dicembre Menabrea comunicò a Pepoli: «Hier M. de Kubeck m'a lu une dépeche de M. de Beust qui explique l'apparente contradiction entre sa conversation avec
710

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. Firenze, 29 novembre 1868.

Potrà interessare alla S. V. di conoscere qualche dato preciso sul lavoro che si va preparando nelle congregazioni romane in vista della riunione del futuro Concilio Ecumenico.

Da notizie che abbiamo ragione di credere attinte a buona fonte risulta che «materia delle discussioni del prossimo Concilio saranno fra le altre e principalmente (oltre le distemperanze del panteismo, del naturalismo, del razionalismo, e deU'indifferentismo, qualunque la forma più o meno ibr,ida sotto la quale si manifestano) le dottrine della scienza moderna circa i diritti dello Stato in rispetto alla Chiesa, i quali diritti tutti verranno solennrmente proscritti, e rivendicata alla Chiesa la pienezza di sua autorità al tutto indipendente da quelli. Il medesimo sarà di quelle che la Società moderna chiama sue conquiste, al fine di togliersi di sotto ad ogni dominio deHa fede e legislazione cattolica e rendersi al tutto padrona di sè nello svolgimento della sua vita. Cosicché il liberalismo, in quel modo che oggi è universalmente inteso, verrà condannato. E queste solenni decisioni della Chiesa, non occorre il dirlo, comporranno la regola onde si dovrà governare tutto l'Episcopato e clero cattolico nell'esercizio del suo ministero». E gli avvisi ricevuti dal Governo del Re accennano a questo punto che « non sarà il caso di una guerra da appiccarsi violentemente come per avventura sarebbe avvenuto del Medio Evo; si farà la grida dei principi che avranno a poco a poco da prevalere, lasciando al tempo, alla lenta azione, alla prudente e pratica destrezza che ne operino lo svolgimento ed il trionfo. Senza entrare in particolari delle cose di sopra accennate, chiunque conosca la storia delle lotte che da tanti secoli combatte la Chiesa con la civile potestà e con lo spirito dei tempi, vede abbastanza la gravissima importanza di questo fatto, checché di poi ne abbia ad avvenire». Insomma non è molto tempo che un assai alto personaggio diceva a chi ci forniva quelle notizie, doversi ritenere per fermo che il Concilio sarebbe la ripetizione e solenne conferma del Sillabo.

Tutto ciò riferirebbesi, come Ella vede, Signor Ministro, ugualmente all'Italia ed a tutti gli altri popoli del mondo. Ma, potrebbe mai darsi il caso che il Governo d'Italia venisse solennemente scomunicato dal Concilio, dichiarando erronee le moderne teorie che sono il fondamento della sua esistenza civile e politica?

Noi abbiamo fatto tastare le acque con molta delicatezza ma non abbiamo sin qui potuto trarne certe conclusioni. Chi ci informa crede nondimeno di non ingannarsi affermando che «cosiffatto pensiero può esservi, e che potrebbe darsi che si manifestasse e pigliasse vita, il che dipenderà dalle condizioni in cui all'ora del Concilio, verseranno le prime nazioni d'Europa».

Di questi cenni autorizzo la S. V. a fare l'uso prudente e riservato che può esser utile per impedire che si compiano in Roma disegni che aprirebbero un abisso fra l'Italia e le altre nazioni liberali e la Sede Pontificia. Chi nell'interesse della conciliazione fra la religione e lo spirito dei tempi nostri vede l'interesse medesimo dell'avvenire della moderna civiltà non può rimanere spettatore indifferente di ciò che il fanatismo prepara in questo momento a Roma a danno non dell'Italia soltanto, ma anche degli altri paesi che hanno popolazioni cattoliche.

P. S. Ho sotto gli occhi una lettera di Madrid daddove si scrive che è probabile la riunione di un concilio nazionale in Toledo. Il progetto, noto a Roma, sarebbe soltanto del partito gesuitico per riunire in una sola azione l'Episcopato .opagnolo onde combattere ogni innovazione in senso della libertà civile.

711

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'ABATE GHIRINGHELLO E AL CANONICO TOSI

D. CONFIDENZIALE. Firenze, 29 novembre 1868.

La dottrina e la pietà che distinguono la S. V. mi suggeriscono l'idea di rivolgerle una preghiera che Ella vorrà, io spero, accogliere colla consueta sua bontà.

La convocazione di un Concilio Ecumenico in Roma per il mese di dicembre dell'anno venturo è un avvenimento che potrebbe avere gravissime conseguenze nell'ordine religioso, civile, e politico del nostro paese. Il Governo del Re, particolarmente sollecito di tutto ciò che può influire sull'importante interesse della conciliazione della Religione cogli ordinamenti moderni della civiltà e de1la costituzione politica dei popoli, molto si preoccupa delle conseguenze che dalle decisioni di un Sinodo Ecumenico potrebbero derivare.

Ed alla S. V. Illustrissima Reverendissima debbo pur troppo confidare, in modo affatto riservato, che tutte le notizie pervenute al Governo del Re sono d'indole tale da accrescerne anziché scemare le inquietudini di chi considera nella concordia della fede cogli ordinamenti attuali del mondo politico la migliore e forse l'unica guarentigia del progresso vero della moderna civiltà. Risulta infatti dal1e informazioni anzidette che non solo si medita a Roma di dare autorità e forza di canoni conciliari alle proposizioni del Sinodo dell'8 dicembre 1864, ma che si pensa pur anco di promuovere una decisione della Chiesa contro la costituzione del Regno Italiano. Quand'anche siffatte deplorevoli intenzioni non fossero dalla maggioranza dei Prelati divise, non è chi non veda quanto sia grande il pericolo in cui versano gli interessi civili e religiosi d'Italia allo approssimarsi della riunione di una generale assemblea dell'Episcopato cattolico nella quale potrebbero essere promosse decisioni di tal fatta. Epperò in vista dei danni gravissimi che si possono pur troppo, lo ripeto, con ragione temere il Governo del Re sente il bisogno di consultare anche l'opinione di una persona che come la S. V. Illustrissima Reverendissima gode meritata fama di illuminata pietà e di profonda dottrina nelle materie canoniche. Qui unito mi permetto trasmetterle alcuni appunti (l) per memoria intorno alle questioni principali che in questo momento mi si affacciano, e voglio sperare che dalle considerazioni che Ella mi vorrà esporre, tanto dal punto di vista del diritto canonico, quanto da quello della storia ecclesiastica, verrà recata a noi molta luce sovra quei punti sui quali. deve fondarsi l'azione governativa in benefizio della causa della civiltà e della fede.

712

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (2)

T. Parigi, 30 novembre 1868, ore 16,50.

Le Roi récevra une dépéche de l'Empereur qui annonce avoir reçu communication directe, remerciant bonne disposition. Empereur dans sa dépéche télégraphique constatera nécéssité pas troubler horizon pacifique, mais se déclare disposé à s'entendre directement avec le Roi au moment opportun. Conditions ont été posées et seront stipulées en cas de entente directe, de souverain à souverain. J'agis avec toute prudence, secret le plus absolu indispensable.

Développennet modus vivendi termlné par Ministre d'Etat, sera envoyé Florence avant Rome, il faut accepter, Rome refusera. Prie répondre mes dépéches.

(l) Non rinvenuti.

(2) Da ACR.

713

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 15. Bucarest, 30 novembre 1868 (per. il 9 dicembre).

Sperando di potermi valere in questi giorni di un mezzo sicuro per far pervenire a V. E. una completa esposizione dei motivi che hanno dato occasione alla presente crisi Ministeriale, non dissi tutto il mio pensiero nel rapporto che ebbi l'onore d'indirizzarle il 26 del corrente (1).

Codesto mezzo essendomi venuto meno, non voglio ritardare più oltre ad informare succintamente il R. Governo delle cause che hanno determinato il Principe Carlo a separarsi dal Gabinetto Bratiano, non ostante la convinzione da me nutrita che la mia corrispondenza attrav,ersando gli Stati Austriaci viene sottoposta ad esame, ciò in molte occasioni deve forzatamente rendermi circospetto.

Nel post-scriptum del mio rapporto n. 13 riferii che la Prussia aveva desiderato l'allontanamento di Bratiano onde togliere alla Francia ed alla Turchia ogni pretesto di malvoglienza. Non feci motto dell'Austria, alla quale per altro intesi anche alludere con le parole del mio telegramma del 26 (2) «nouveau Ministère moins suspect aux Puissances Etrangères ».

Se sul Bosforo e sulla Senna si affettava di non essere rassicurati sulle intenzioni del Gabinetto Bratiano, l'Austria profittava scaltramente di queste apprensioni d'1mpronto per tenerle deste, e lieta più che altri della leggerezza con cui la stampa officiosa Rumena favord.va i suoi disegni, denunziava all'Europa insospettita questo arsenale d'insurrezione ove intrighi Russo-Prussiani, l'agitazione le alleanze e le armi facevano presentire imminente la lotta. Mi vien riferito che il Principe di Metternich non ha lasciato intentato alcun mezzo a Parigi onde trascinare il Governo Imperiale nelle vedute del Barone di Beust, e divenne ultimamente così pressante che il Gabinetto delle Tuileries, malgrado la poca fiducia che gli ispirava quello di Bucarest, comprese in buon punto quali fossero le mire del Governo di Francesco Giuseppe.

È mestieri però confessare che, spogliati delle ponderate esagerazioni AustroUngariche, gli errori commessi dal Bratlano prestavano il fianco alle accuse del Cancelliere Imperiale. Alla Rumenia cui, novello Belgio, niuna altra politica conviene che quella della più completa neutralità, il Ministero Bratiano imprimeva delle velleità d'ingrandimenti territoriali, provocando e con la stampa e con un'attiva propaganda il malcontento fra i Rumeni della Transilvania, non

che un mal inteso entusiasmo nei Principati, ai quali imponeva così la missione di liberare i fratelli ancora oppressi dal giogo Austriaco. La Russia, e più ancora la Prussia, erano designati come autori di questa crescente agitazione Rumena, e già si asseriva che il Governo del Principe Carlo ne aveva ricevuto formali promesse di assistenza, per impadronirsi del territorio Ungherese fino al Theiss.

A questo punto erano le cose quando l'Agente Prussiano, che era in congedo, ritornò a Bucarest quasi contemporaneamente al mio arrivo. Sia per istruzioni da lui provocate di sua propria iniziativa come egli dice, sia per le direzioni perentorie che ha ricevuto dal Conte di Bismarck, egli si adoperò a tutt'uomo per far qui comprendere che la Rumania non deve prefiggersi altro scopo tranne quello di prevenire all'interno ed all'esterno ogni agitazione, di moralizzare l'amministrazione ed il Paese, dl adoperarsi con franca attitudine ai lavori della pace, e di mantenere con l'Ungheria e con la Potenza Alto Sovrana relazioni scevre da sospetto. Giammai la Prussia desidererebbe che la pace dell'Europa fosse messa a repentaglio dalle inconsideratezze Rumene.

Ma perché questo programma, che è l'unico possibile in Rumania, venisse adottato, l'allontanamento del Bratiano era divenuto indispensabile, e la Prussia che dapprima lo consigliò finì per imporlo anche bruscamente.

Nel paese si hanno intuizioni vaghe dell'ingerenza estera manifestatasi in questa occasione, chi l'attribuisce ad una pressione Francese, chi al desiderio di ristabilire migliori intelligenze con la Porta e chi ad altro; ma generalmente si deplora che l'azione delle Potenze vadi fino al punto di fare e disfare Gabinetti. Come solenne protesta contro questa ingerenza straniera, la Camera ed il Senato hanno scelto a loro Presidenti Bratiano e Golesco.

E finalmente è degno di attenzione il fatto che agenti di Austria, Francia ed Inghilterra furono sorpresi non poco di questo inaspettato cambiamento, il quale meno che alle altre Potenze, ha niente sorriso all'Austria, i cui disegni erano favoriti dal Bratiano senza esserne conscio, non altrimenti che Mazzin! era in Italia, ed in altra epoca, uno dei più possenti ausiliari del Governo Austriaco.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 701.
714

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. San Rossore, 1° dicembre 1868, ore 10,20.

J'allais hier au soir repondre a vos deux dép~ches chiffrées (2) lorsque j'ai reçu la troisième (3). Je n'ai encore reçu rien directement de l'Empereur et ma communication a été directe, mais j'ai reçu seulement lettre assez courte de Nigra (4) qui me rapporte intentions S. M. Impériale à la suite d'une

communication qu'il a eue sans nommer personne. Cette lettre ne me suffit pas entièrement car elle a été envoyée decachetée au président du Conseil le priant d'en prendre connaissance et de la cacheter avant de me la donner. Je n'aime pas cette manière de faire agissez donc avec prudence meme avec notre ministre je ne veux d'entent que de l'Empereur à moi je me charge du reste tenez-moi au courant.

(l) -Da ACR, ed., con alcune varianti, in Lettere Vittorio Emanuele II, vol. Il, p. 1365. (2) -Non rinvenuti. (3) -Cfr. n. 712. (4) -Cfr. n. 706.
715

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 1223/520. Londra, 2 dicembre 1868 (per. il 19).

Jeri l'Ambasciatore di Prussia, il quale è solo ritornato in questi giorni da un congedo di parecchi mesi, ebbe la gentilezza di farmi una visita durante la quale avemmo insieme una lunga conversazione politica, che giudico abbastanza interessante per rassegnarla all'E. V.

Dopo le comunicazioni importanti provenienti da Vienna, ch'Ella mi trasmise recentemente circa lo stato minaccioso di cose che pareva prepararsi nei Principati Danubiani, io era naturalmente desioso di potere scovrire dal Conte di Bernstorff qual fondo di verità vi potesse essere nelle accuse fatte al Governo Prussiano, di fomentare l'attitudine aggressiva del Gabinetto di Bucharest, imperocché essendo egli reduce da Berlino doveva trovarsi al corrente delle precise intenzioni del suo Governo in siffatta vertenza.

Senza compromettermi nella benché minima guisa, sapeva però abbastanza delle imputazioni fatte alla Prussia rispetto all'agitazione regnante nei Principati, e conoscevo troppo bene il mio interlocutore per non entrare liberamente con lui in discorso, chiedendogli il suo avviso su questa materia. L'Ambasciatore Prussiano mi rispose subito che in tale questione, o l'Austria era complice consenziente della Francia, o la sua vittima (sa dupe).

Da lungo tempo esser noto a Berlino che l'Imperatore Napoleone disperando di avere le simpatie dell'Europa attaccando la Prussia sulla vertenza dell'Unità Tedesca, cercava a far scoppiare una crisi in Oriente ed a rappresentare la condotta del Governo del Re Guglielmo nella Moldo-Valachia sotto i colori più allarmanti, al doppio scopo di alienargli le disposizioni favorevoli che varie potenze Europee fra cui l'Inghilterra, e, soggiunse il conte di Bernstorff, l'Italia, nutrono per la questione del Germanismo, e di procacciarsi con tali arti l'alleanza dell'Austria e dell'Ungheria.

Il Barone Beust dunque vittima o complice si prestava interamente a questo giuoco. Ma ingannarsi a partito tanto l'Austria quanto la Francia, se si lusingavano di giungere a forza di provocazioni a far uscire la Prussia dalla sua fermamente adottata attitudine di prudenza.

Sulla più o meno grande influenza avuta dal Governo Prussiano nel cambiamento Ministeriale avvenuto a Bucharest, V. E. avrà avuto dal R. Rappresentante a Berlino, e dall'Agente accreditato presso il Principe Carlo, ogni più ampio ragguaglio. Lord Stanley mi disse che la Prussia aveva fatte le rappresentanze le p1u serie al Gabinetto del Signor Bratiano, ma il Conte Bernstorff non fu così esplicito su questo punto. Egli si limitò ad accennarmi che certamente il suo Governo non sarebbe in nessuna guisa addivenuto a qualche atto officiale per iscolparsi dall'accusa mossagli dai suoi nemici di favorire le viste ambiziose della Moldo-Valachia.

Le dichiarazioni contenute nella Gazzetta dell'Alemagna del Nord senza dubbio possedevano tutto il carattere di una comunicazione ufficiale; ma al di là di questo il Gabinetto di Berlino crederebbe al di sotto della sua dignità lo entrare in qualunque spiegazione intorno ad un soggetto così ingiurioso per la buona fede del Governo Prussiano. Il Conte Bernstorff mi assicurò anzi che Lord Loftus, Ambasciatore Britannico presso il Re Guglielmo il quale fece in questi giorni ritorno al suo posto, prima di qui venirne in congedo, onde crearsi un merito appo il Foreign Office, fece, ma indarno, quanto era in suo potere per ottenere che il Ministro degli Affari Esteri rivolgesse un dispaccio circolare agli Agenti diplomatici Prussiani per dileguare ogni sospetto di complicità nell'agitazione prevalente nei Principati Danubiani.

Non bisognava dimenticare, continuava il Conte Bernstorff, che il Principe Carlo aveva accettato il trono Moldo-Valacco senza il consenso del Re di Prussia, e che quantunque naturalmente S. M. il Re Guglielmo s'interessasse alle sorti del suo giovane congiunto, politicamente la Prussia non si considerava in qualsivoglia maniera più vincolata verso i Principati di ciò che lo fossero le altre potenze Europee. E questo esser tanto vero, osservavami in modo riservatissimo il mio interlocutore, che il Re gli aveva confidato di aver scritto privatamente or fa qualche tempo al Principe Carlo per raccomandargli la prudenza, e per togliergli ogni illusione sul preteso appoggio che il partito rivoluzionario Rumeno potrebbe aspettarsi di trovare in Prussia.

Essere poi assurde le accuse fatte al Governo Prussiano di contribuire a trasformare quelle provincie in un vasto deposito d'armi e di munizioni. Se poi il Principe Carlo preferiva per la sua armata il fucile ad ago Prussiano ed i cannoni Krupp agli armamenti adottati in altri paesi, siffatta preferenza era ben naturale, come pure naturalissimo era il desiderio di lui di avere degli antichi suoi compagni d'armi Prussiani ad organizzare il suo novello esercito.

E per quali ragioni si rifiuterebbe la Prussia a vendere al Governo Rumeno i suoi Ztindnadel gewehre ed a permettere ad alcuni dei suoi ufficiali di recarsi a Bucharest?

Non è usanza tanto nell'uno che nell'altro caso di accordare tali agevolezze a qualunque nazione amica che ne faccia richiesta? Non fu un tempo il Generale Moltke medesimo a prestare i suoi servigii come organizzatore militare presso la Sublime Porta? Debbo qui notare all'E. V. che le parole dell'Ambasciatore Prussiano portavano l'impronta della schiettezza e l'accento della convinzione.

Come mai, esclamava egli, si può credere che la Prussia non sia conscia dell'importanza che esiste per essa, nell'interesse delle sue aspirazioni nazionali, a non spostare il principio del Germanismo ed a far di tutto per avere nelle mani il potere di forzare chiunque osi gettarle il guanto di sfida a venir a combattere sul suolo Tedesco e per una questione puramente Tedesca?

La Prussia è troppo persuasa dei vantaggi che le offrirà una guerra nazionale per nutrire anco un istante il pensiero che il suscitare dei torbidi in Oriente avvicinerebbe la soluzione del suo programma unitario, mentre essa sa invece benissimo che ciò non servirebbe che a farle perdere moralmente e materialmente la forte posizione che occupa attualmente.

Ai nemici della Prussia e non ad altri doversi attribuire tali insinuazioni malevoli, ma non essere poi chi ben conosce le sue vere tendenze, che a ciò prestasse fede.

Se alcuni Consoli Prussiani avevano per un malinteso eccesso di zelo serbato talvolta un contegno favorevole alle idee di chi era alla testa del Governo del Principe di Hohenzollern, che oggi regna in Rumenia, non solo siffatta condotta non era il risultato di istruzioni emanate da Berlino, ma veniva al contrario immediatamente riprovata.

Il Conte di Bernstorff da tutte queste cose traeva dunque la conclusione che fosse la Francia la quale doveva essere tenuta responsabile di tutti i sospetti suscitati contro la Prussia in ciò che riguarda la questione di Oriente.

Secondo lui, quella medesima Francia Imperiale che, avvedendosi dell'isolamento in cui l'Europa la lascierà nel suo duello col Germanismo, intriga in Italia, in Austria, nei paesi Scandinavi e da per tutto ove può cercare nemici alla Prussia, era pur quella che clandestinamente aveva posto in opera le stesse arti nei Principati.

Così discorrendo l'Ambasciatore di Prussia passò a parlarmi di altro importantissimo argomento che eziandio interesserà l'E. V.

Egli mì disse che il Re Guglielmo lo aveva incaricato di esprimere la sua soddisfazione a Lord Stanley per la parte del suo recente discorso di King's Lynn riferentesi al futuro della Germania.

Le parole del Ministro Inglese produssero, a quanto pare, un ottimo effetto sull'animo del Monarca Prussiano, ed il Conte di Bernstorff naturalmente si affrettò di compiere al gradito ufficio presso Sua Signoria. Questo lo portò naturalmente a parlarmi del cambio che l'inevitabile caduta del Gabinetto rende imminente nella direzione del Foreign Office, e del probabile successore dell'attuale Segretario di Stato, cioè di Lord Clarendon. Già ebbi non ha molto occasione di far menzione all'E. V. delle tendenze Francesi ed Austriache che a lui si attribuiscono, ed in quella stessa circostanza le ho del pari rassegnato di esser stato onorato, al ritorno dal suo viaggio sul continente, da una conversazione col medesimo (rapporto Politico N. 508) (l) nella quale Mylord m'intrattenne circa gli abboccamenti da lui avuti nell'autunno col Re di Prussia e coll'Imperatore Napoleone.

Ella rammenterà, Signor Conte, come il Re Guglielmo avesse assicurato Lord Clarendon delle sue intenzioni pacifiche aggiungendo però di temere che la situazione interna della Francia non finisse per costringere l'Imperatore a fargli la guerra, e come quindi Mylord ciò ripetesse a quest'ultimo il quale rispondeva che non sarebbero state le difficoltà interne ma bensì l'infrazione della linea del Meno per parte della Prussia, o in altri termini la violazione del trattato di Praga, che gli avrebbe fatto sfoderare la spada.

Or bene una discussione a siffatto riguardo ebbe luogo nei passati giorni tra il Conte di Bernstorff e Lord Clarendon.

Questi diceva al Conte che Napoleone III sarebbe stato su tale punto inesorabile, mentre l'Inviato Prussiano negava ricisamente il diritto di S. M. Imperiale d'intervenire in qualsiasi guisa nell'interpretazione da darsi alle stipulazioni di Praga, stipulazioni consentite dopo immensi sacrificj di sangue da una potenza vittoriosa, la quale non avrebbe perciò mai permesso a nessuno di frapporre la sua intervenzione in qualunque cosa concernente le relazioni del Nord col Sud della Germania.

Il Conte di Bernstorff faceva inoltre osservare a Lord Clarendon che il testo de1l trattato specificava «che dei vincoli nazionali tra la confederazione del Nord e gli Stati Tedeschi al mezzogiorno della linea del Meno potevano essere stretti liberamente».

Sua Signoria avrebbe allora insinuato che tali parole potessero anche solo fare allusione agli accordi dello Zollwerein; ma il Conte di Bernstorff gli rispose come ciò appunto dimostrasse che a nessuno fuorché alla Prussia s'addicesse il pronunciarsi sull'interpretazione da darsi ai patti più volte citati, e che sarebbe poi puerile il voler applicare ad un'unione doganale da lungo tempo esistente la clausola del trattato che riferivasi appunto alla realizzazione del programma nazionale; e dichiarar ciò solennemente e senza ambagi, onde una volta per tutte s'imparasse a conoscere la questione, ed a non spostarla dal suo vero terreno.

Eccole, Signor Generale, il sunto delle cose dettemi dal Conte di Bernstorff, e che ho giudicato opportuno di rassegnarle. Nella speranza che le medesime possano tornare di qualche interesse alla

E.V....

(l) Cfr. n. 669.

716

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

L. P. CIFRATA. Madrid, 2 dicembre 1868.

Rien de décidé pour la candidature du Gouvernement. Celle du due de Montpensier n'est pas abandonnée. Le Général Prim ne s'y appose plus. Mais ne cesse de alléguer les grandes difficultés à surmonter. Dans ces derniers jours il a parlé de régence mais sans spécifier Prince ni Régent. Le Roi Ferdinand est toujours sur le tapis et on ne considère pas sa répugnance comme invincible. Après celui-ci vient le due d'Aoste, on a aussi vaguement parlé ces jours derniers du due de Genes mais avec la présence de M. Olozaga à Paris cette question rentre en grande partie dans le domaine de la diplomatie et sera tra1tée surtout à Paris. Hier M. Bensa est venu me voir, il m'a demandé si V. E. m'avait écrit, j'ai répondu négativement alors il ne m'a parlé que de sa pension qui sera réglée par le Marquis de Salamanca.

53 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

717

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, ROUHER (l)

L. P. Parigi, 2 dicembre 1868.

A la suite de la conversation que nous avons eue ce matin et pour éviter qu'il surgisse une différence de vue au sujet de l'importante communication que j'ai été chargé par le Roi d'accord avec son Président du Conseil de faire parvenir à S. M. Impériale, je crois utile, afin que cette affaire reste dans le secret le plus absolu et soit uniquement traitée de Souverain à Souverain, de laisser passer quelques jours avant que S. M. l'Empereur manifeste au Roi directement sa satisfaction.

Je me charge d'écrire à S. M. Royale les raisons du retard à la réponse qu'il est impatient de recevoir, m'ayant recommandé d'agir avec la plus grande réserve, je crois servir ses intéréts en agissant de la sorte.

718

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 1224/521. Londra, 3 dicembre 1868.

In seguito alla durata dell'indisposizione di Lord Stanley, non ho potuto leggergli prima d'oggi la copia dell'interessantissimo dispaccio del Marchese Pepoli (2) ch'Ella mi trasmetteva col suo pregiato N. 119 della serie politica di cui ho l'onore di segnarle ricevuta, mentre secondo i di Lei desiderii, pur compio la restituzione della copia predetta.

Uniformandomi alle istruzioni impartitemi per mezzo del telegrafo (3), mi sono astenuto dal dare lettura a Sua Signoria di quei passi più compromettenti pei buoni rapporti tra il Conte Andrassy ed il Barone di Beust, e non le celai del paro quanto delicata e confidenziale fosse la natura della mia comunicazione.

Mylord ascoltò molto attentamente la relazione del colloquio avuto dal nostro Inviato a Vienna col Presidente del Ministero Ungherese intorno alla situazione generale dell'Europa, e mi manifestò quando ebbi finito tutto l'interesse che vi aveva trovato, pregandomi ad un tempo di vivamente ringraziare

V. E. per la prova di sì squisita gentilezza e fiducia ch'Ella per mio mezzo gli dava.

Secondo Lord Stanley il punto più rilevante delle parole del Conte Andrassy era quello che aveva rapporto all'attitudine dell'Ungheria verso la Prussia in caso d'una guerra suscitata dai tentativi di quest'ultima per condurre a termine l'unità Germanica.

La dichiarazione che: « su questa via essa O a Prussia) è sicura di non incontrare mai un soldato Ungherese 1> certo produsse sul Ministro Inglese un'impressione di soddisfacimento ch'egli non cercò a dissimularmi.

Egli mi osservò che queste manifestazioni del sentimento Ungherese, elemento novello tutto ad un tratto sorto in Europa e non ancora generalmente ben conosciute, erano assai rassicuranti per ogni vero amico della pace.

I timori poi espressi dal Conte Andrassy sulla influenza avuta dalla Prussia nell'agitazione dei Principati Danubiani e sugl'eccitamenti dati dal Gabinetto di Berlino alla politica aggressiva del Signor Bratiano, a Lord Stanley parevano infondati o almeno in gran parte esagerati. Che i partiti estremi a Bukarest potessero rivolgere gli sguardi verso la Prussia nella speranza di essere assistiti era probabile, ma che il Governo del Re Guglielmo si prestasse a tali manovre, non lo poteva ammettere.

Comunque fosse, ogni dubbio era stato ora dissipato dal franco linguaggio del Gabinetto di Berlino al quale egli attribuiva interamente la caduta del Ministero Bratiano.

Sua Signoria mi confidò di più che Lord Loftus, testé ritornato al suo posto, gli aveva scritto che il Re di Prussia aveva di nuovo fatto ammonire severamente il Principe Carlo, onde porlo in guardia sui pericoli che la politica da lui seguita in questi ultimi tempi gli poteva far correre.

Nel corso di questa conversazione non ho mancato di far rilevare a Mylord quanto sincere fossero le dichiarazioni in favore del mantenimento della pace esternate dal Marchese Pepoli al Conte Andrassy, circostanza che dovea provargli una volta di più le idee d'ordine e di saviezza che prevalgono nei consigli del Governo Italiano.

(l) -Da ACR. (2) -Cfr. n. 655. (3) -Cfr. n. 700.
719

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1405. Pera, 4 dicembre 1868, ore 15,12 (per. ore 16,25).

Par suite des enròlements sur une vaste échelle faits par les comités avec l'appui du Gouvetnement grec dans le but de maintenir la rébellion en Créte, et des insultes au ministre turc à Athènes, que l'autorité se déclare à.mpuissante à réprimer, la Sublime Porte a décidé d'interrompre ses relations avec la Grèce. Elle a aussi l'intention d'expulser tous les sujets helléniques du territoire ottoman. Les ambassadeurs de France et d'Angleterre restent spectateurs impassibles des graves mesures que la Porte est sur le point d'adopter, tout en les approuvant dans leur oplnion particullère.

720

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1407. Vienna, 4 dicembre 1868, ore 17,10 (per. ore 18,05).

Italiens résidant ici ont ouvert une souscription pour familles de Montl et Tognetti. Je sais qu'on veut venir chez moi pour que je signe. Je désire savoir comment je dois me régler (1). J'ai reçu votre dépeche n. 39, Beust est encore absent.

721

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 425. Firenze, 4 dicembre 1868.

Ho desiderato aspettare sino ad oggi a rispondere al rapporto di codesta

R. Legazione in data del 20 novembre ultimo passato (2) per poterle far conoscere l'impressione che avrebbero prodotto a Londra le ultime nostre comunicazioni relative alle cose di Tunisi. Ella conosce infatti quanto impegno noi mettiamo a procedere d'accordo col Governo britannico in questa delicata vertenza. Ella troverà qui unito copia di un rapporto che il Signor Conte Maffei mi ha indirizzato in questi ultimi giorni sovra siffatto argomento (3).

Se non che la mutazione di Ministero che si annunzia prossima, anzi imminente a Londra rende assai difficile il prendere in questo momento un positivo e pratico concerto col Gabinetto inglese ed impone una provvisoria sospensione ai negoziati che erano intavolati direttamente con Lord Stanley. Noi abbiamo fiducia che la momentanea sospensione delle trattative non potrà essere pregiudicevole alla soluzione definitiva di una vertenza che interessa grandemente il nostro commercio nella Reggenza. Epperò mentre non conviene che da noi si assumano ulteriori impegni, prima che nuove intelligenze abbiano potuto essere prese a Londra, riteniamo che non possa essere senza qualche vantaggio lo esaminare le proposizioni verbali ripetutamente poste innanzi da S. E. il Marchese di Moustier nelle conversazioni ch'egli ebbe colla

S. V. e col Signor Conte Puliga durante la di Lei ultima assenza da Parigi. Questo esame è reso tanto più opportuno in quanto che le proposizioni del Ministro imperiale degli affari esteri continuano ad esserci imperfettamente note per non essere state le medesime concretate in un documento che possa

(-3) Cfr. n. 705.

servire di base ad una discussione. Ben è vero che il Signor Conte Pullga avea chiesto al Signor Marchese di Moustier di voler precisare in un dispaccio al Ministro di Francia in Firenze le sue idee. Era quello il miglior mezzo di evitare ogni dubbio ed ogni equivoco, ma S. E. il Ministro degli affari esteri dell'Imperatore non ha stimato fosse giunto ancora il tempo di concretare le sue idee nel modo indicato dal Signor Conte Puliga. Il Marchese di Moustier, scrivendo recentemente al Signor Barone di Malaret !imitavasi a commettergli l'incarico di aver meco un colloquio relativo alle cose di Tunisi ed agli accomodamenti che si potrebbero adottare nel comune interesse delle Potenze.

Le cose dettemi dall'Inviato di Francia concordano pienamente con quelle che la R. Legazione a Parigi mi riferiva in data del 20 Novembre con questa differenza però che il Signor di Malaret ignorava compiutamente quale dovrebbe essere la posizione della persona esperta in materia di finanze che il Governo francese impresterebbe al Bey di Tunisi per far parte della commissione amministrativa che si vorrebbe istituire nella Reggenza.

Il Signor di Malaret non era autorizzato a rimettermi copia di alcun documento dal quale risultasse in modo preciso quali fossero gli intendimenti del Governo francese a tale riguardo. Insisteva, con particolare studio, il Signor di Moustier sull'indole delle proposizioni fatteci e sembrava annettere qualche importanza a che noi le considerassimo come semplici idee da prendersi ad esame, quasi come suggerimenti (suggestions) di proposizioni non ancora concretate. Il Signor di Malaret aggiungevami quindi che per ridurre in un atto scritto le idee ancora tanto vagamente delineate, il Signor di Moustier avea pensato a riunire un delegato del Ministero imperiale degli Affari Esteri con un Segretario dell'Ambasciata inglese ed uno della Legazione d'Italia, ma che non intendeva con ciò di proporci una formale conferenza, anzi al presente credeva che le intelligenze necessarie per ridurre in iscritto un atto che i vari gabinetti avrebbero poi esaminato, potevano essere prese direttamente col Ministro italiano e coll'Ambasciatore britannico a Parigi.

Ho risposto che per spingere le cose ad una conveniente e definitiva soluzione era indispensabile aver sott'occhio una proposizione particolareggiata e concreta. Dissi che le notizie che si aveano da Tunisi provavano che era sempre più urgente che le Potenze si mettessero d'accordo in una vertenza che ormai dura da troppo tempo. Noi siamo pronti ad intenderei col Governo francese e con quelli altri che hanno interessi gravi da proteggere a Tunisi. Il Governo Italiano ha già fatto sapere al Gabinetto delle Tuileries che era disposto a negoziare e la S. V. ebbe da molto tempo istruzione di accettare l'invito che il Signor Marchese di Moustier facesse a Lei ed all'Ambasciatore britannico per trovare di comune accordo una soluzione che nessuna potenza, crediamo noi, può avere interesse a ritardare indefinitamente. Di queste nostre disposizioni e delle istruzioni date alla S. V. reputo convenga prender atto oggi perché a noi sembra importante allontanare in questo affare ogni pretesto per prolungare una situazione dalla quale potrebbero nascere nuove e più gravi complicazioni.

Desidero pertanto ch'Ella ripeta a S. E. il Marchese di Moustier che il

R. Governo l'ha perfettamente autorizzata a mettersi d'accordo (unitamente all'Ambasciatore britannico) col Gabinetto di Parigi intorno alle riforme che si dovrebbero introdurre a Tunisi nell'interesse generale del commercio europeo e dei creditori stranieri della Reggenza (l).

Se il Signor di Moustier crederà opportuno di invitare la S. V. ed il Signor Lyons ad una conferenza per fissare le basi di queste riforme io la prego, Signor Ministro, di voler fare in modo che si riducano in iscritto le proposte sulle quali Ella vorrà riferire a questo Ministero. Ove ciò non potesse farsi altrimenti voglia Ella stessa scrivere gli appunti principali della conversazione sottoporli al Marchese di Moustier e quindi trasmettermeli sollecitamente per poter esaminarli e prendere sovra di essi una decisiva deliberazione. Non è possibile intendersi in argomento di tal fatta se non si concretano le proposizioni in un atto scritto.

Ne ebbimo un esempio, nel corso delle trattative riguardanti appunto questo affare, per ciò che concerne la posizione che verrebbe fatta al Commissario francese che sarebbe accettato dal Bey come membro della Commissione Amministrativa. Nelle tre occasioni in cui Ella ed il Signor Puliga ebbero a parlare col Ministro imperiale degli affari esteri di quella posizione, questa venne sempre in diverso modo definita.

Come norma generale Ella sa, Signor Ministro che a noi importa moltissimo che né direttamente, né indirettamente venga modificata la condizione presente dei rapporti esistenti fra il Governo del Bey di Tunisi e gli esteri Stati. Tutto ciò che limitando l'azione governativa del Bey ne scema la responsabilità verso le potenze straniere sembra a noi cosa da evitarsi. Se il Governo tunisino, per comune avviso delle potenze, dovesse essere considerato come bisognevole di una speciale tutela, questa tutela o protezione che non potrebbe essere esercitata che nell'interesse della sua conservazione, dovrebbe essere affidata a Commissari o Rappresentanti di tutte le potenze che alla conservazione dello Stato di Tunisi hanno un uguale interesse politico e commerciale.

Partendo da questo principio ci sembra che quando il Governo imperiale di Francia ci propone l'istituzione di una Commissione Amministrativa a Tunisi, dovrebbe completare la sua proposta col dire che di quella Commissione saranno membri un francese, un italiano ed un inglese sotto la sorveglianza dei rispettivi Agenti Consolari. Lo accettare di dare un voto favorevole alla istituzione di una Commissione Amministrativa nella quale siederebbe soltanto un delegato francese sorvegliato dall'Agente di Francia ci sembra cosa che potrebbe creare alla nostra particolare azione verso il Governo Tunisino un vincolo che non troverebbe un sufficiente compenso nel miglioramento che si otterrebbe nel riordinamento finanziario della Reggenza. Ed a questo proposito gioverà avvertire che stando alle cose dette da S. E. il Ministro imperiale degli affari esteri al Consigliere di codesta Legazione, il Governo dell'Imperatore non soltanto si riserverebbe un controllo diretto sugli atti del Commissario francese da lui delegato a Tunisi, ma vorrebbe anche conservarsi la facoltà di avvisare al modo di far accettare al Governo del Bey l'operato

di quel Commissario quando questi adempia al suo dovere in modo equo e soddisfacente per tutte le parti interessate. Ora non è chi non veda che con queste riserve, ove fossero scritte in un atto portante la firma italiana ed inglese, si verrebbe ad ammettere una implicita delegazione fatta alla Francia per esercitare a Tunisi un'azione coercitiva ogni volta che il Governo del Bey si mostrasse mal disposto a fare ciò che il Commissario francese, sotto il controllo dell'Agente di Francia, crederebbe utile di proporre.

Per queste ragioni principalissime a noi importa di astenerci assolutamente dal concorrere alla formazione di qualunque Commissione nella quale non eserciteremmo la medesima influenza e sulla quale non avremmo lo stesso controllo che la Francia vorrebbe riservarsi col consenso delle altre Potenze.

Un punto che merita a nostro avviso qualche schiarimento è quello che riguarda le attribuzioni della Commissione Amministrativa, in ciò che concerne le imposte dello Stato di Tunisi. Mi scriveva il Signor Conte Puliga che il Signor Marchese di Moustier intendeva che la detta Commissione non avrebbe missione di percepire le imposte della Reggenza, ma soltanto quella di incassare gli introiti. Poi soggiungeva che gli introiti verrebbero ripartiti per modo che una parte ne sarebbe attribuita ai Governi interessati pel pagamento dei debiti consolidati. Quest'ultima clausola non meno dell'altra poc'anzi citata, non ci sembra facile ad intendere perché nella situazione presente del debito tunisino i Governi non figurano fra i creditori bensì sono interessati a proteggere i loro sudditi che hanno crediti di varia natura verso il Bardo.

Per ciò poi che concerne la Commissione internazionale di sorveglianza a noi sembra dover osservare che se la medesima dovesse unicamente comporsi di membri o dei delegati delle singole commissioni di sorveglianza già esistenti per riscontrare l'impiego delle somme speciali state attribuite dal Bardo a guarentigia dei debiti consolidati, potrebbe facilmente accadere che la Commissione medesima fallisse allo scopo per il quale verrebbe istituita. Tralascio di osservare che le Commissioni di sorveglianza ora esistenti, non rappresentando che gli interessi impegnati nel debito consolidato, non darebbero alcuna guarentigia di una buona ed efficace azione estendentesi anche alla protezione degli interessi dei creditori di somme non investite in titoli consolidati e di coloro che per le proprietà che hanno acquistate sul territorio tunisino o per i commerci che vi hanno impiantati si trovano in continui rapporti di affari col Governo locale. Ma indipendentemente da queste considerazioni noi dobbiamo riflettere che ove, come disse il Signor Marchese di Moustier, anche questa Commissione generale di sorveglianza non dovesse avere il carattere internazionale, noi ci esporremmo al pericolo di vedere in un tempo assai prossimo passare nelle mani di Commissari di un solo estero paese anche l'azione di riscontro o di sorveglianza degli atti della Commissione amministrativa. Supponga infatti, Signor Ministro, che una casa importante di commercio, adescata da un lucro quasi sicuro, si accingesse a fare con Tunisi una generale operazione di credito unificando tutto il debito consolidato della Reggenza. Ne avverrebbe che le singole Commissioni di sorveglianza attualmente esistenti per far osservare dal Bardo i particolari impegni da lui assunti, non avrebbero più alcuna ragione di essere e dovrebbero quindi anche cessare di farsi rappresentare nella generale Commissione di sorveglianza che il Governo francese ora ci propone di istituire. Nella Commissione di sorveglianza che le potenze avrebbero concorso a stabilire non siederebbero più e non avrebbero più ragione di sedere che i rappresentanti della Casa commerciale che avrebbe assunto l'unificazione del debito consolidato Tunisino. E cosi stabilirebbesi uno stato di cose che non tarderebbe a condurre ad un assoluto monopolio degli affari commerciali di Tunisi in mano di una sola casa o Compagnia protetta da una sola potenza straniera. Né le sembri, Signor Ministro, che questa ipotesi non sia per verificarsi. Nessuno ignora che varie pratiche vennero fatte ripetutamente a Tunisi ed a Parigi per istipulare con potenti Case bancarie un contratto di conversione di tutto il debito consolidato ora esistente. Se un simile contratto potesse essere conchiuso, la situazione che noi abbiamo testé descritta non tarderebbe a prodursi con infinito detrimento degli interessi della nostra numerosa colonia stabilita sul territorio della Reggenza.

In una parola negli accordi che si tratta di prendere noi dobbiamo ricusare la nostra adesione ad un sistema che avrebbe per risultamento di istituire a Tunisi un amministratore francese ed un comitato di sorveglianza che sarebbe probabilmente composto dei rappresentanti di una Casa o Società non italiana.

Ci sembrerebbe assai più semplice, più equo e più vantaggioso per tutti di adottare a questo proposito un altro sistema. Al Bey di Tunisi si conservi la pienezza dei suoi diritti e della sua responsabilità in tutto ciò che concerne l'amministrazione interna della Tunisia, ma s'instituisca a Tunisi una Commissione internazionale di riscontro e di sorvegl.ianza che, appoggiata dalle potenze principalmente interessate, gioverà ad impedire la mala amministrazione ed a far osservare gli impegni contratti dalla Reggenza verso i suoi creditori qualunque essi siano senza distinzione di nazionalità. Un siffatto sistema non potrebbe a meno di produrre ottimi frutti sovra tutto se le potenze animate dagli stessi nostri sentimenti non vorranno vedere in questa vertenza altro fine che quello di assicurare da una parte gli interessi commerciali dei sudditi rispettivi e dall'altra la conservazione delle condizioni politiche attuali dello Stato di Tunisi. Avverta la S. V. che nel sistema che a noi pare preferibile non si escluderebbe punto la facoltà nel Bey di rivolgersi alla Francia come a qualsiasi altra potenza per avere persone competenti in materia finanziaria che possano riordinare l'amministrazione tunisina. Questa facoltà si eserciterebbe dal Bey alle condizioni stesse che, per altro scopo, fu più volte esercitata da altri principi in diversi paesi senza che perciò venga compromessa la posizione della Tunisia nei suoi rapporti cogli altri Governi.

Colla scorta di queste generali considerazioni intorno alle proposizioni francesi e colla conoscenza perfetta che V. S. ha dell'importanza che annettiamo all'esito di questa vertenza Ella potrà trattare col Signor Marchese di Moustier nel senso desiderato dal R. Governo appena questi la inviti unitamente al Signor Lyons a conferire in proposito. Mi affido pienamente nello zelo e nell'avvedutezza della S. V. perché questo delicato affare possa finalmente trovare un componimento soddisfacente per tutti che salvi gli interessi attuali e guarentisca quelli prevedibili dell'avvenire.

(l) -Menabrea rispose con t. 786 del 5 cl:e la sottoscrizione non poteva avere carattere ufficiale e che stava quindi a Pepoli di decidere se parteciparvi in forma privata. (2) -Cfr. n. 689.

(l) Con R. 768 del 13 dicembre Nigra comunicò che, essendo Moustler Indisposto, aveva fatto al suo capo Gabinetto Saint Valller questa dichiarazione.

722

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. Firenze, 5 dicembre 1868, ore 14,50.

Reçu votre télégramme (l) dont je vous remercie. Je m'empresserai de faire connaitre le projet de M. Olozaga au Roi qui arrlve ce soir et qui sans aucun doute sera charmé de l'accueillir. Je me réserve de vous télégraphier officiellement à ce sujet (2). Il faudra que M. Olozaga fasse connaitre le jour de son arrivée. Je dois vous prévenir que le général Cialdini a l'intention de partir bientot pour l'Espagne où il va arranger les affaires de sa femme et celles de ses pupiles l es fils du général Fanti. Il devrait etre à Paris le 13 de ce mois; il désirerait voir Olozaga pour avoir quelque renseignement et des recommandations. Si Olozaga doit arriver à Florence avant cette époque Cialdini retarderait son départ pour le voir ici autrement ce sera à Paris. Combinez les choses de manière à ce que ces deux personnages puissent se rencontrer.

723

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 295. Berlino, 5 dicembre 1868 (per. il 9).

Le Comte de Bismarck a repris depuis avant hier ses fonctions après un congé de cinq mois durant lequel sa forte constitution semble l'avoir emporté sur une affection de nerfs, qui un instant avait causé de graves inquiétudes. Mais comme il est entendu que, à moins d'affaires importantes, il faut continuer à s'adresser au Sous-Secrétaire d'Etat, c'est à ce dernier que j'ai fait ma visite de chaque semaine.

Il m'a dit qu'à l'audience accordée à M. Benedetti, revenu tout récemment à son poste, le Roi avait exprimé le désir de canserver les meilleures relatians avec le Gouvernement Impérial. Sa Majesté s'est mantrée très sensible aux témoignages de sympathie pradigués par l'Empereur et par l'Impératrice au Comte de Goltz avant et depuis san départ de Paris. A san taur, l'Ambassadeur de France a témoigné de taut san empressement à cantribuer au raffermissement des bannes dispasitions qui se produisent chez les deux Cabinets.

De son coté l'Ambassadeur d'Angleterre, au retour d'un congé de quelques semaines qu'il venait de passer à Londres, a été chargé par la Reine de renouveler à la Cour de Prusse ses sentiments d'amitié, et une entière confiance

dans les efforts du Roi pour le maintien de la tranqulllité générale. Lord Loftus aussi bien que M. Benedetti ont entendu à cette occasion la phrase déjà énoncée cet été dans un entretien avec Lord Clarendon -entretien dont j'ai rendu compte -à savoir que, selon l'avis du Cabinet de Berlin, il n'existait ni raison, ni prétexte de guerre.

Une communication récente faite par la Turquie présentait quelque contraste avec les paroles rassurantes échangées entre les Cabinets Européens. Ainsi que V. E. en sera déjà informée, la Sublime Porte se plaint du langage tenu par le Ministre des Affaires Etrangères à Athènes, langage d'après lequel son Gouvernement ne saurait avoir d'autre politique que celle de poursuivre l'annexion de la Crète à la Grèce. Aristarchi Bey avait aussi appelé l'attention du Cabinet de Berlin sur les enr6lements qui se faisaient en plein jour pour l'ile de Crète, tandis que les Candiotes qui désiraient rentrer dans leurs foyers ne pouvaient s'embarquer que nuitamment pour échapper aux mauvais traitements de la populace. L'Envoyé de Turquie prévoyait qu'il en résulterait une rupture des relations diplomatiques. C'était là, disait-il, un point noir à l'horizon.

M. de Thile se félicitait que la Prusse ne fut point au nombre des Puissances protectrices de la Grèce. C'est à ces Puissances qu'il appartient de s'interposer, si elles le jugent à propos. Il ne viendrait à personne l'idée de supposer que le Cabinet de Berlin fut mélé d'une manière quelconque dans ces affaires. Il est vrai que ses Agents ont été souvent calomniés, mais il sera difficile cette fois de soupçonner son représentant à Athènes, M. de Wagner, dont les sympathies se prononcent, trop peut-ètre, pour les Tures.

Quoi qu'il en soit, l'année finit mieux qu'elle n'a commencé. Les conditions sous lesquelles se présente la situation générale paraissent laisser quelques chances aux arrangements pacifiques. Il y aurait d'ailleurs une nécessité devant laquelle toute velléité belliqueuse devrait fléchir; il n'y a pas une seule nation de l'Europe qui n'ait besoin en ce moment d'un peu de calme. Pour peu que chacune d'elles veuille écouter le langage de la raison, on sacrifiera ses vanités et ses ambitions pour ne s'occuper que du soin de consolider et d'améliorer la position intérieure. La Prusse, entre autres, a son homogéneité à établir dans les nouvelles Provinces, et doit vouer toute son attention à perfectionner, à simplifier l'organisation fédérale dans l'Allemagne du Nord. Son attitude est des plus réservées vis-à-vis des Etats du Sud, et si le Cabinet de Berlin se prononce, dans ses organes officieux, c'est plut6t pour modérer le mouvement unitaire que pour l'exciter. Ainsi dans l'affaire des forteresses au delà du Melin, il diffère encore de répondre aux communications des Gouvernements intéressés. Il ne voudrait pas donner prise à ceux qui verraient peut-étre un empiètement de sa part hors des limites du Traité de Prague, s'il acceptait l'indivisibilité du matériel de guerre dans ces forteresses et partant maintenait son droit d'ingérence dans la commission administrative. Bref, il y a un moment d'arrét, au grand mécontentement du parti avancé qui ne se rend pas compte des nécessités politiques intérieures et extérieures, et qui dans son impatience voudrait augmenter la force d'attraction qu'exerce de par lui-méme un grand état sur les parties encore séparées par la ligne du Mein.

Telle est du moins l'opinion que j'entends émettre ici pour réduire à des proportions peu inquiétantes les périls que présente l'état actuel des choses.

Je ne me permets pas d'affirmer si nous échapperons à cette rude épreuve qui, au dire du rapporteur du projet de loi sur l'armée française, doit rétablir l'équilibre européen. Nous vivons trop au jour le jour pour nous livrer aux reves de Bernardin de Saint-Pierre en présence surtout des armements, du remueménage guerrier qu'on observe de toute part.

(l) -T. 1406 del 4 dicembre, non pubblicato: intenzione di Olozaga di recarsi a Firenze per rimettere al Re le lettere che comunicavano ufficialmente la formazione del nuovo Governo spagnolo e le lettere credenziali. In un primo tempo era stato designato come ministro spagnolo a Firenze d! Espafia ma la designazione era stata ritirata in seguito all'opposizione del Governo italiano. La missione di Olozaga doveva durare il tempo necessario perché Il Governo spagnolo potesse fare una nuova scelta gradita all'Ita!la. (2) -Con t. 790 del 6 dicembre Menabrea informò che il Re avrebbe accolto con piacereOlozaga.
724

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

L. P. Parigi, 5 dicembre 1868.

Je demande pardon à Votre Majesté si je ne suis pas venu plus tòt rendre compte au Roi de l'issue de la délicate mission dont il m'a chargé auprès de l'Empereur.

L'importance du sujet et la gravité des conséquences d'une indiscrétion rn'ont imposé une telle réserve, que j'ai préféré laisser seul agir S. E. le Ministre d'Etat, que de me rendre moi-mème à Compiègne, ce qui difficilement serait resté un secret.

Nigra, avait été informé, je crois par le Président du Conseil, au moins en partie de ce dont il s'agissait. Connaissant la teneur et les conclusions exposées dans la lettre que j'ai eu l'honneur d'écrire à Votre Majesté avant de me rendre en Italie (2), il lui a été facile, malgré ma réserve de deviner toute l'étendue de ma communication.

Dans cet état de choses, j'ai pensé qu'il était difficile et mème dangereux de laisser Nigra tout à fait à l'écart, sans entrer avec lui dans aucune explication et, pour ménager sa juste susceptibilité, il fut convenu que l'Empereur ferait au Ministre du Roi une phrase assez vague, suffisant d'un còté à prouver à Votre Majesté que la communication avait été faite et agréée, et de l'autre, à donner une certaine satisfaction à Nigra, qui par son dévouement mérite les plus grands égards, tout en ne lui apprenant rien au delà de ce qu'on avait pu lui écrire de Florence.

Au lieu d'envoyer une dépeche télégraphique, notre Ministre a préféré vous écrire directement (3), et en envoyant la lettre au Président du Conseil, qui est son chef direct, il lui aurait été impossible d'agir autrement de ce qu'il a fait.

Le Ministre d'Etat m'a communiqué l'effet produit sur S. M. Imperiale par les bonnes intentions du Roi, qui avait tort d'en juger la portée par la simple phrase reservée qui lui a été transmise par Nigra auquel, en dire davantage, aurait été tout reveler.

Sur ce point je suis formellement chargé de dire à Votre Majesté que l'Empereur attache à Vos intentions et à Votre démarche sympathique, le plus grand prix, une réponse directe de l'Empereur a été convenue et la rédaction avait été combinée à Compiègne le jour mème que j'ai eu l'honneur de vous l'an

noncer par le télégraphe (1), une lettre autographe de l'Empereur serait déjà parvenue à Votre Majesté si Nigra, je ne sais si de son initiative particulière, ou à la suite d'instruction reçue de F'lorence, n'avait pas été dire a S. E. le Ministre d'Etat qu'il ne fallait pas au sujet de la communication en question, pousser les choses au delà de ce qui avait été fait. Nigra ne savait peut-etre pas que l'Empereur devait écrire à Votre Majesté.

S. E. le Ministre d'Etat m'a communiqué la conversation qu'il avait eue avec Nigra, en m'engageant à me mettre d'accord avec lui.

Placé par suite de la démarche de Nigra, dans une situation très délicate, je n'ai pas osé prendre sur moi le responsabilité de continuer la négociation dont j'était, chargé par Votre Majesté d'accord avec le Président du Conseil, sans de nouvelles instructions, et l'envoi de la lettre a été retardé pour laisser le temps d'interpeller formellement Votre Majesté s'il y avait lieu à suivre les accords de Souverain à Souverain, bien entendu, et sur ce point j'attends impatiemment et par le télégraphe les ordres précises du Roi.

Tout ceci a été arreté avec l'Empereur par l'intermédiaire de S. E. le Ministre d'Etat.

Un sentiment de justice m'oblige ici à faire connaitre à Votre Majesté les raisons politiques qui dirigent la conduite de Nigra, qui est dictée, croyez-le bien, Sire, par un véritable dévouement à la cause du Roi et du Pays.

Je ne sais si les appréciations du représentant de Votre Majesté sont affermies par des inspirations du Président du Conseil, mais le fait est que son avis franchement exposé, est que, après les démarches faites, il faut s'en tenir là et attendre les événemens, convaincu qu'on pourra obtenir des plus grands avantages de notre alliance au moment où une guerre serait définitivement arretée, en outre il croit qu'il y aurait avantage à ne pas trop s'avancer tant que les troupes françaises occupent le territoire pontificai.

Je reconnais que ces appréciations ne manquent pas de valeur, mais je n'hésite pas à dire que je ne les partage pas, étant fermement persuadé qu'une entente secrète de Souverain à Souverain faciliterait de beaucoup, mème l'évacuation des Etats Pontificaux.

Le sentiment italien blessé par le prolongement de l'occupation française, porte et portera dans les discussions et dans l'esprit public une aigreur qui ne peut manquer d'avoir son écho en France, Vous en avez une preuve par l'excitation contre l'Italie que les paroles prononcées par le général Bixio ont produit ici, en reveillant des susceptibilités contraires au but que nous devons atteindre.

Si une confiance entière, intime, règne entre les deux Souverains, ces susceptibilités n'auront aucune portée sur les décisions à prendre, qui sont déjà arretées, car le rappel des troupes des Etats Pontificaux, dans la pensée du Gouvernement français, doit avoir lieu après les nouvelles élections, et si on ne le rappelle pas avant, c'est uniquement en vue de ne pas s'aliéner le Clergé qui excerce sur le suffrage universel une influence qui pourrait etre nuisible.

Quant aux compensations à obtenir, que j'ai franchement exposées au Mioistre d'Etat, les vues de Votre Majesté ne se portant pas sur des concessions

matérielles à la charge des états qui sont encore sous la domination du Saint Siège, sont réalisables et pourraient faire le sujet d'une stipulation, en prenant pour base les rémaniements territoriaux qui pourraient etre la conséquence d'une guerre heureuse, suivant les idées que Votre Majesté m'ai fait l'honneur de me communiquer et que je n'ai pas manqué de faire connaitre.

L'Empereur attend vos décisions, il ne faudrait pas qu'elles retardent et si télégraphiquement, ou mieux par le.ttre Votre Majesté me donne l'ordre de reprendre les négociations, je le ferai, et actuellement il sera facile de garder le secret le plus absolu, mais il faut pour cela que le Roi me fasse connaitre s'il en parle ou non au Président du Conseil, dans les cas affirmatif il serait très difficile de laisser Nigra à l'écart.

Je prie Votre Majesté de prendre en sérieuse considération le contenu de cette lettre qui est écrite d'accord avec M. Rouher. Nous avons ensemble calculé la portée des phrases et Votre Majesté peut me considérer camme un simple instrument intermédiaire, en donnant à la lettre que je Lui écris une importance aussi grande que si elle était écrite par le Ministre d'Etat lui-meme.

Je crois utile faire connaitre ces détails à Votre Majesté pour qu'Elle ne se roeprénne pas sur l'importance de ce que j'ai l'honneur de Lui écrire.

Les apparences pacifiques qui ont donné un grand élan aux affaires et qui ont fait renaitre jusqu'à un certain point la confiance sont, pour m'expliquer ainsi, une couche sans profondeur, le préstige impérial a baissé, le mécontentement qui est en France la conséquence d'une dynastie qui règne au delà d'un certain période sont alarmants et dangereux pour le moment, au moins tels qu'ils méritent d'etre pris en sérieuse considération et les déclarations pacifiques du Roi de Prusse, ne suffiront tout au plus qu'à retarder des événemens que je crois inévitables.

Pour assurer la pa<ix, il faudrait, ou un traité général qui venant remplacer les traités de 1815 vienne donner la garantie que la Prusse n'étendra pas ses conquétes matérielles et morales au delà des limites actuelles, ou bien des concessions territoriales qui donnant à la France ce qu'on appelle les frontières naturelles, la désintéressent dans la question Allemande. La première hypothèse est pratiquement difficile, car difficilement les Puissances européennes consentiraient à s'asseoir autour d'un tapis vert pour garantir des faits accomplis aux quels elles ne sont pas directement et matériellement intéressées. La seconde est plus difficile encore, car après le succès des avances prussiennes, pas un seul Allemand ne pourrait céder pacifiquement un pouce de territoire, de là la cause permanente des critiques à la politique impériale à l'étranger qui se joint à la difficulté de développer à l'intérieur les libertés rédamées.

Les élections auront lieu dans les premiers jours d'avril et en admettant qu'elles réussissent bien, chose que je crois, elles donneront comme résultat une Chambre semblable à ractuelle, ce qui ne résoudra nullement les difficultés.

Une guerre seule et heureuse peut donc remettre le préstige de l'Empereur et probablement meme assurer, jusqu'à un certain point, la succession du Prince Impérial.

Voila, Sire, vos ordres exécutés de vous tenir au courant, ce que j'ai l'honneur de vous écrire, est la vérité, au moins elle est jugée telle par les hommes qui sont à la téte du Gouvernement français et qui ne se laissent pas trop

aveugler, ni par des succès apparents, ni par des agitations ridicules, exagérées par l'esprit de parti.

Quant aux affaires d'Espagne, en France on a le tort de croire à la possibilité d'une restauration des Bourbons en faveur du Prince des Asturies, mais à ce que l'on tient par dessus tout, ce serait à éviter l'avènement au trone du Due de Montpensier, on préfèrerait mème la République qu'on considérerait comme transitoire. Ces jours derniers c'était la candidature du Due d'Aosta qu'on disait à la hausse en Espagne, la France n'y ferait pas d'opposition, aujourd'hui il parait que c'est Montpensier qui avait fait quelques progrès.

Au sujet de l'Espagne, les renseignements que je donne à Votre Majesté sont assez vagues, car je n'al pas approfondi la question, ignorant quelles puissent ~tre Ies idées du Roi.

Je prie Votre Majesté de ne pas me faire attendre la réponse au sujet de la communication.

(1) Da ACR.

(2) -Cfr. n. 550. (3) -Cfr. n. 706.

(l) Cfr. n. 712.

725

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 18. Bucarest, 6 dicembre 1868 (per. il 18).

Onde riassumere brevemente con più libertà di linguaggio la precedente mia corrispondenza, ho l'onore di trasmettere questo rapporto a V. E. per mezzo di un cugino del Conte Gloria costà residente.

È fuori dubbio che la politica avventata del passato Gabinetto ha fornito pretesti negli scorsi giorni ad attacchi generali contro la Rumania. Ma la veemenza e la pertinacia delle accuse va attribuita a ben altre cagioni, e dopo le osservazioni che ho avuto agio di fare, non credo di errare affermando che un vasto intrigo fu ordito in Occidente per dare i Principati all'Austria.

In questa eventualità, la Francia vedeva il mezzo di sottrarre la MoldoValachia alla cupidigia della Russia, e di stabilire sul Danubio un baluardo contro l'usurpazione eventuale dei Russi, e l'Austria sperava di trascinare l'Ungheria in una alleanza Austro-Francese contro la Germania del Nord. Questo era, a mio credere, il doppio scopo della politica cui abbiamo assistito, ed alla quale la Sublime Porta, checché se ne dica, non era restia.

La Russia che ha sempre considerato i Principati come una delle sue basi per creare complicazioni in Oriente, incoraggiava talora il Gabinetto Bratiano, talora ne attenuava gli errori, sempre tirava a sé, ed ora che la Prussia imponendo un nuovo Ministero alla Rumania ha riescito a sventare, pel momento, le mene della politica occidentale, non è improbabile che la Russia ricominci una campagna in Moldavia con la sua propaganda separatista che non sarebbe nuova. Se il Governo Rumeno insomma non usa di grande circospezione, i Principati, prezzo di un'alleanza Austro-Francese, campo di operazioni dei maneggi Russi in Oriente cui in caso di guerra potrebbe unirsi la Prussia, con la Moldavia facile ad agitare, potrebbero ancor diventare l'arena di una lotta micidiale.

Non ho potuto prima di oggi esporre queste mie idee a V. E. per le difficoltà di ogni natura che mi circondano. Ho dovuto anzi studiarmi spesso nei miei rapporti di velare il mio pensiero, e spesso ripetere qualche notizia per tema di smarrimento o di soppressione dei pieghi che spedisco. Ma se V. E. non v'incontra difficoltà, mi servirò all'avvenire invece della posta, di vari mezzi particolari o del telegrafo per farle giungere con sicurezza le notizie che sarò al caso di riferirle.

726

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 793. Firenze, 8 dicembre 1868, ore 13,30.

Veuillez sa1s1r la première occasion qui se présentera pour féliciter de ma part le comte Bismarck du rétablissement de sa santé et de que ses mains habiles et puissantes reprennent la direction des affaires.

727

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

T. 795. Firenze, 8 dicembre 1868, ore 14.

Veuillez exprimer à lord Stanley le regret que j'éprouve de ne pouvoir continuer avec lui nos rapports officiels et exprimez lui toute ma gratitude pour la bienveillance dont il a toujours donné des preuves envers l'Italie (1).

728

IL CANONICO TOSI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

L. Cremona, 8 dicembre 1868.

L'incarico che V. E. si è degnato di affidarmi (2), oltre essere per me onorevolissimo mi tornò anche sommamente consolante. Teneva già per fermo che il Governo del Re si sarebbe occupato come conviene del gravissimo argomento del Concilio; l'averne una riprova nella lettera di V. E. mi riuscì di vera soddisfazione, come questa notizia sarà accolta con riconoscenza dal Clero illuminato, quando credesse di divulgarla.

Saviamente prevede V. E. quali cose si tenteranno nel futuro Concilio: io pure ho da fonte autorevolissima la notizia che si vorrà far passare per dottrina della chiesa l'insegnamento di quella subdola, e temeraria scrittura che è il Sillabo. Basterebbe quest'enormità per sconvolgere lo Stato.

Quali siano gli intendimenti dei promotori del futuro Concilio si può raccogliere da un opuscolo pubblicato dall'arcivescovo d'Orléans, organo degli Ultramontani. In questa scrittura vaporosa, ricca di equivoci, e povera di dottrina sono esposti, sebbene artificiosamente, e copertamente i fini e il grande segreto del partito. L'opuscolo fu stampato a spese dell'Obolo di S. Pietro, diffuso a migliaja di copie, e mandato in dono a tutti gli Ordinarii dell'Orbe cattolico.

Ove i governi facciano da senno, come tengo per certo che faranno, hanno tanto in mano, da raffrenare senza variare i termini del proprio diritto tutte le esorbitanti pretenzioni che la corte di Roma metterà innanzi nel Concilio. I Governi nel Concilio sono una vera potenza, ed ove non si tratti della dottrina rivelata possono secondo i canoni controbilanciare colla loro autorità, l'autorità stessa dei Padri congregati.

Per quanto la mia possibilità lo acconsente cercherò di rischiarare, ed ordinatamente esporre questa dottrina del diritto regio nei concilii per ciò che riguarda la loro convocazione, la trattazione, la promulgazione, e la sanzione di ciò che vi fosse stabilito o si volesse stabilire, il veto del governo tanto pei Vescovi che intenderanno d'intervenirvi ove accorrano determinate circostanze.

La materia deve essere riguardata sotto tre aspetti; primieramente in rapporto all'atto di fondazione della Chiesa nel quale sono determinati i diritti, i doveri, l'indole, e le forme sostanziali della rappresentanza nelle Assemblee. Codesta è la vera base, alla quale non possono attentare né Vescovi, né Concilii: in secondo luogo in rapporto alla giurisdizione canonica seguita fino al Concilio di Trento, ma specialmente in rapporto a quella osservata nella celebrazione delle prime sette Sinodi ecumeniche: in terzo luogo secondo il diritto storico.

Chieggo dalla bontà di V. E. un po' di tempo per svolgere il meglio che saprò questi importanti argomenti. Ove le brighe del mio ufficio non mi rubassero buona parte del giorno, mi comprometterei di compiere questo lavoro nel mese corrente. Distratto come sono da tanti affari non potrò compiere il debito mio che entro il Gennajo.

(l) -Con t. 1434 dell'l! dicembre Maffei comunicò: «Mylord me répond en me priant de dire à V. E. que peu de choses lui arrivèrent dernièrement qui lui aient fait autant de piaisir que votre attention dél!cate ». (2) -Cfr. n. 711.
729

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Firenze, 9 dicembre 1868, ore 9,15.

Après avoir parlé à Menabrea et m'etre entendu avec lui je vous envoie par un envoyé exprès un promemoire (2) tachant faire connaitre ma pensée que vous pourriez soumettre à qui de droit ceci servira de base pour lettre de l'Empereur.

ALLEGATO

PROMEMORIA

Indépendamment de tout engagement, l'Italie, en cas de guerre, ne tournerait jamais ses armes contre la France; ses intérets et ses sentimens s'y opposeraient. Toutefois, si en vue d'une telle éventualité, la Fmnce voulait, dès à présent, s'assurer, d'une manière formelle, de la neutralité ou du eoncours armé de l'Italie, ce ne pourrait etre qu'en vertu d'aceords qui devraient s'établir sur !es bases suivantes:

1°. Neutralité: pour que l'Italie s'engage à la neutralité, la France devrait garantir:

(a) Un accommodement ou Modus vivendi qui rende moins difficiles les rapports des deux Gouvernements Pontificai et Italien; (b) Le rappel des troupes Françaises du territoire Romain à une époque déterminée et prochaine; (c) une entente avec le Gouvernement Impérial sur l'attitude à prendre dans le conciile oecuménique convoqué 1--'0Ur la fin de l'année 1869; (d) une entente analogue pour l'éventualité de la mort de Pie IX et pour l'élection de son successeur.

2°. Concours armé: Le concours arn1é exprime alliance offensive et défensive; l'on exclut la supposition d'une simple alliance défensive. Les conditions du concours armé seraient que:

{a) L'Italie fournirait un contingent de 200 mille hommes environ de toutes armes;

(b) -La France s'engagerait à faire assurer par l'Autriche, avant la guerre, l'annexion àu Tyrol italien au Royaume d'Halie; de son c6té l'Italie promettrait de ne rien faire contre l'Autriche. (c) -La question Romaine serait définitivement réglée sur des bases à concerter de manière à concilier les intérèts de l'Italie avec l'indépendance et la dignité du Souverain Pontife; (d) -Dans le cas où la l!'rance s'agrandirait du c6té du Rhin ou de la Belgique, le Comté de Nice ferait retour à l'Italie; si la guerre amenait un démembrement de quelque partie de la Suisse l'Italie aurait le droit de s'annexer le Canton du Tessin; (e) -Dans le cas où la France s'unirait à l'Autriche pour la guerre, l'Italie, si auparavant elle avait adopté le parti de la neutralité, aurait la facolté de sortir de cette neutralité pour devenir partie belligérante avec les deux autres puissances, aux mémes conditions sus-énoncées; (f) -Une convention spéciale, établie sur des bases à concerter, réglérait, dans l'un et l'autre cas, les rapports mutuels des armées alliées, et la répartition des frais de la guerre, qu'il serait, pour la partie relative à l'Italie, plus rationnel de mettre à la charge de la France surtout en vue de l'état des finances italiennes; (g) -Si l'Italie était obligée d'armer pour mantenir sa neutralité, elle serait consid€rée comme pretant son concours armé aux conditions précédentes.

(l) Da ACR., ed in Lettere Vittorio Emanuele Il, vol. II, p. 1365.

(2) Si pubblica in allegato tale promemoria, privo di data la cui minuta, conservata !n ACR, è d! pugno d! Menabrea.

730

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA

T. 797. Firenze, 9 dicembre 1868, ore i13.

Vous étes autorisé à signer la déclaration conforme aux conclusions de la commission militaire internationale (l) que vous m'avez transmise.

54 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

(l) Riguardava la limitazione dell'uso dei proiettili esplodenti.

731 L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1231/525. Londra, 9 dicembre 1868 (per. il 14).

Facendo seguito al mio rapporto N. 524 di questa serie (1), mi pregio rassegnare all'E. V., che siccome Ella avrà potuto rilevare dai miei telegrammi (2), ho avuto un colloquio col Ministro di Grecia, il quale pare assai allarmato dell'aspetto che le cose prendono pel suo paese. Quando lo vidi, il Signor Branas non si era ancora recato da Lord Stanley ed il solo personaggio con cui aveva avuto un abboccamento era l'Ambasciatore di Russia il quale a sua volta giudicava pure la situazione creata dall'attitudine minacciosa assunta dalla Turchia verso il Governo Greco come assai grave.

L'Inviato di Grecia mi diceva, e con ragione, che l'attuale Ministro Ellenico al quale già si muove l'accusa di non essere abbastanza favorevole allo sviluppo del programma Nazionale, si trova in questo istante nella più terribile alternativa. Il Presidente del Consiglio sa che il sentimento universale in Grecia sarebbe per resistere alle domande della Turchia -sa d'altra parte che il cedere alle esigenze di quest'ultima equivarrebbe ad aumentare le difficoltà della già cotanto scabrosa posizione interna, per cui secondo il mio interlocutore era impossibile di poter prevedere quale sarà per essere la decisione del Gabinetto di Atene, tali e sì grandi essendo gli ostacoli che inesorabilmente s'affacciano qualunque sia il partito che verrà adottato. Il Signor Brai1as pareva persino credere che i giorni di una nuova occupazione Anglo-Francese della Grecia non fossero interamente senza probabilità di venire ripristinati. Ed avendo comunicato il medesimo questo sue idee all'Ambasciatore Russo e chiestogli che cosa farebbe il suo Governo in tale eventualità, il Barone Brunnow si sarebbe stretto nelle spalle dicendo: « Che cosa volete che faccia la Russia senza flotta come si trova? >>.

Comunque esagerate possano sembrare queste anticipazioni, desse dimostrano però come la situazione venga giudicata da coloro che hanno od almeno dovrebbero avere una perfetta conoscenza delle condizioni del Regno Ellenico.

L'Ambasciatore di Francia che pur consultai, sebbene ammettesse che la Turchia dopo le tante provocazioni di cui era stata oggetto fosse giustificabile di avere alfine ricorso alle energiche misure da Lei annunciate contro la Grecia, tuttavia riconosceva le gravi difficoltà che esistevano per il Governo del Re Giorgio ad arrendersi alla soddisfazione richiesta dalla Porta.

Il principe di La Tour D'Auvergne pareva però nutrire fiducia che si finirebbe per riuscire a trovare una soluzione che, almeno per ora, avrebbe bastato ad allontanare i temuti pericoli.

In gran parte questa soluzione dipenderà dall'attitudine che Lord Clarendon prenderà assumendo la direzione del Foreign Office. Se il nuovo Ministro pegl'Affari Esteri sarà di parere che l'Inghilterra debba intervenire energica

mente negl'affari d'Oriente, allora la sua azione unita a quella della Francia potrà ancora per qualche tempo far prolungare lo statu qua. Ecco l'opinione dell'Ambasciatore Francese e degli altri diplomatici con cui ho parlato.

Lord Clarendon personalmente non è gran fatto favorevole alle aspirazioni dei Greci. Le speranze del Signor Brai1as per ottenere al suo Governo un qualche appoggio dai Ministri della Regina, si fondano sulle tendenze filellene del Signor Gladstone e del Signor Bright. In ogni caso quello che si può predire con certezza si è che, per quanto vive possano essere le simpatie di questi due illustri membri del Gabinetto, desse non avran forza a far dare incoraggiamento aperto o tacito alla politica annessionista che è in favore ad Atene.

Per il momento l'accordo il più perfetto esiste a Costantinopoli fra i Rappresentanti delle Potenze nel consigliare la prudenza e la conciliazione, accordo al quale, dalle informazioni telegrafiche pervenute al Principe La Tour d'Auvergne, persino il Generale Ignatieff si era associato, astenendosi però dall'entrare in qualunque considerazione relativa alla questione di Creta, e limitandosi a parlare nell'interesse del mantenimento della pace in generale. Il dispaccio del Signor Bourée, che il Principe gentilmente mi lasciò leggere, dipingeva poi come un successo insperato lo aver riuscito ad ottenere dalla Porta, in unione cogl'altri Ambasciatori, di sospendere per alcuni giorni l'invio dell'ultimatum al Governo Greco, e, secondo quanto già telegrafai, terminava colle parole: « Je considère ce délai comme inesperé, et les résolutions de la Porte comme irrévocables ».

Ciò non di meno havvi mi sembra probabilità che il risentimento del Governo Ottomano sia per calmarsi, massime quando in seguito alle rappresentenze anche fatte dalle Potenze ad Atene, il Governo del Re Giorgio sarà pure dal canto suo disposto a non spingere le cose agli estremi.

L'Ambasciatore di Francia pretende d'essere stato sulle sue istanze che Lord Stanley si decise a mandare il telegramma al Signor Erskine -di cui

V. E. fu fin dal primo istante da me ragguagliata -non volendo Mylord, a quanto pare, prendere sopra di sé d'intervenire in questa complicazione. Se ciò sia veramente esatto non saprei dire; quello che sono poi in grado di accertare all'E. V. si è che, avendo avuto occasione di leggere quest'oggi al Foreign Office il telegramma in discorso, desso era concepito in termini concisi e pressanti lasciando al Governo Greco la responsabilità dei suoi atti, ove si ostinasse a seguire la politica aggressiva finora tenuta.

Appena qualche nuovo incidente verrà a mia cognizione non mancherò di tenerne l'E. V. informata.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non si pubblica una serle di telegrammi sulla crisi greca.
732

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 68. Vienna, 9 dicembre 1868 (per. il 12).

Mi recai ieri mattina dal Conte di Beust, e a norma del suo telegramma del giorno 7 (1), mi tornò gratissimo di potergli comunicare come a Firenze

l'ultima comunicazione del Barone di Ktibeck tosse riuscita sommamente gradita al Governo del Re ed avesse dissipato la penosa impressione prodotta da alcuni dispacci del Libro Rosso. Il Ministro Austriaco voleva entrare in spiegazioni e cominciò col dirmi che bisognava che il Gabinetto Italiano tenesse conto che l'Imperatore prima di partire per Parigi aveva pubblicato la sua famosa lettera al Cardinale Rauscher, e che quindi in quell'epoca egli aveva dovuto per non irritare la Corte Romana parlare in favore del Governo del Papa al suo potente alleato... io mi permisi d'interrompere il Conte di Beust pregandolo di non rimescolare più oltre una disgustosa polemica. Io gli feci osservare che a quell'epoca io era a Parigi, e che mi constava officialmente per averlo udito personalmente da alti personaggi che il linguaggio del Governo Austriaco era stato invece quale lo aveva riferito il Comendatore Blanc... Ma che intendevo benissimo che gli affari di Roma, che la minaccia di rotture diplomatiche, avessero indotto il Gabinetto di Vienna a dissimulare la vera propria opinione sulla questione Romana, opinione che io gli rammentava aver egli espresso liberamente e certo in un senso non ostile all'Italia, e col Duca di Gramont ed a me medesimo in un recente colloquio.

Il Conte di Beust si pose a sorridere, e quasi come chi consente a quanto dicevo, molto sottilmente trasportò il discorso sopra altro terreno mostrando la necessità per lui di pubblicare il Libro Rosso, pegno di operosità offerto alle due Delegazioni Austriaca ed Ungherese, e come fosse necessario di stampare dei documenti inediti ed importanti e non fare come il Governo francese che stampa solo ciò che il pubblico già conosce per mezzo dei giornali. Al momento di rivedere i documenti che dovevano esser inseriti nel Libro Rosso egli avrebbe voluto sopprimere quel passaggio, ma come farlo se tutta la Nota era stata comunicata al Cardinale Antonelli! Questi avrebbe potuto reclamare contro la soppressione di quel paragrafo e dichiarare falsato il concetto della Nota.

Io accogliendo con premura le dichiarazioni del Barone di Beust che l'amicizia dell'Italia era preziosa per il Governo Austriaco, non potei a meno di fargli osservare però che era doloroso che ogni anno la pubblicazione del Libro Rosso dovesse dar luogo a spiacevoli incidenti fra i due Governi, e che io prendeva atto della sua graziosa parola che per l'avvenire le note del Libro Rosso riuscirebbero armoniche in Italia.

Non credei di muover parola sull'altro incidente promosso dall'ultima circolare che per dirgli soltanto che mi era stata sommamente gradita la dichiarazione che mi aveva fatto il Ministro Giskra «Que la conduite du Gouvernement Italien avait été à Trieste on ne peut plus correcte ».

(l) Cfr. n. 708, nota l, p. 761.

733

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE (l)

T. Parigi, 10 dicembre 1868, ore 16.

Reçu dépeche chiffrée (2), communiquée à qui de droi t attendant promemoire annoncée. Daignez télégraphier si Menabrea a fait connaitre quelque

chose à Nigra (l), il faut que je règle ma conduite sur celle du Président du Conseil. Attends réponse pour arabes. Prie envoyer deux croix demandées.

(l) -Da ACR. (2) -Cfr. n. 729.
734

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 31. Firenze, 10 dicembre 1868.

Il Governo del Re desidererebbe che la S. V. studiasse se vi sia modo di stabilire sul territorio della Tunisia una colonia penitenziaria italiana. Le condizioni che sarebbero richieste per fondare uno stabilimento di tal fatta sarebbero le seguenti:

P trovare un territorio nelle condizioni volute di salubrità, fertilità ecc., il quale sia separato dalla costa abitata almeno di tanta estensione di deserto, quanta è necessaria perché uno o più viandanti non possano traversarla, se non organizzati in carovana.

Il territorio dovrebbe essere capace di almeno diecimila coloni.

2° ottenere dal Governo tunisino la Concessione per poter colonizzare quel territorio. La proprietà del medesimo dovrebbe essere ceduta al Governo Italiano mentre invece la sovranità rimarrebbe al Bey.

3° ottenere dal Governo di Tunisi la facoltà di creare nella località prescelta un corpo di guardie sufficiente alla tutela delle autorità che il Governo del Re invierebbe per esercitarvi la giurisdizione penale e civile sovra i suoi sudditi, ed ottenere inoltre che il Bardo consenta al Governo del Re la facoltà di applicare le leggi penali del regno nella località sovrindicata.

4° entrare col Governo Tunisino in accordi per tutto quanto riguarda le particolari questioni riflettenti il transito dei coloni, la loro forzata dimora, i rapporti dei coloni stessi cogl'abitanti della reggenza, lo stabilimento di un'autorità tunisina nel territorio che si vorrebbe colonizzare ecc. Sembra che la presenza di un'autorità tunisina, almeno da principio, allontanerebbe il sospetto che in questo negoziato, che d'altronde vuoi essere tenuto segretissimo, si asconda una cessione formale di territorio all'Italia.

Fatte che Ella avrà le indagini necessarie, e prese le preliminari informazioni sulle disposizioni che si incontrerebbero, la prego Signor Commendatore,. di volermi riferire l'esito delle pratiche ch'Ella avrà fatte...

(l) Il Re rispose con un telegramma dello stesso 10 dicembre, erroneamente pubblicato In Lettere Vittorio Emanuele II, vol. II, p. 1293 sotto la data lO febbraio 1868 «Menabrea n'a rien fait connaitre à Nigra».

735 IL MINISTRO A BUENOS AYRES, DELLA CROCE,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. S. N. Buenos Ayres, 10 dicembre 1868.

Appena giunto a Buenos Ayres mi sono immediatamente occupato della quistione che formava l'oggetto del dispaccio riservato dell'E. V. in data del... (1).

Non ebbi difficoltà a conoscere che la Repubblica Argentina ha preteso in ogni tempo e pretende tuttora ad un assoluto diritto di neutralità sulle terre tutte di Patagonia al di là e di qua dello stretto di Magellano. Ho pure saputo che alla foce del Rio Negro indicata da V. E. la sovranità di fatto della Repubblica è incontestabile esistendo colà al luogo appunto ove sorgeva l'antica missione del Carmen, un forte occupato da soldati argentini. Dopo questi ragguagli poca speranza mi rimaneva che ai disegni del governo Italiano potessero essere favorevoli gli animi di questi Governanti tanto suscettivi per ciò che si riferisce ai veri o pretesi loro diritti di sovranità.

Non di meno ne parlai jeri al Ministro degli Affari Esteri. Questi mi confermò quanto ebbi l'onore di esporre più sopra aggiungendomi che i diritti della Confederazione sulla Patagonia e sullo stretto di Magellano erano chiari e incontestabili, che il Governo Argentino aveva è vero una quistione pendente a questo riguardo colla Repubblica del Chili la quale aveva da varii anni fondato una colonia nello stretto summentovato, ma che egli non dubitava menomamente che sottoposto il litigio a qualsiasi arbitro la Repubblica Argentina ne uscirebbe vincitrice; che quanto al possesso o dominio di fatto la Repubblica intendeva di estenderlo ogni giorno maggiormente per respingere sempre più le tribù indiane e mettere un termine alle loro incursioni, che a tale oggetto in questi giorni stessi si dovevano occupare nuovi punti verso il Sud. Sulla proposta poi del Governo Italiano che io gli feci in via di semplice e privata conversazione egli riservossi di conferirne col Presidente ma mi lasciò chiaramente intendere che il Governo Argentino non vi avrebbe aderito.

736

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, ROUHER (2)

L. P. Parigi, 10 dicembre 1868.

Voici les deux télégrammes que le Roi m'envoie {3), après la rèception de la Iettre dont je vous ai donné confidentiellement connaissance.

Je vous les communique pour que vous les mettiez sous les yeux de S. M. l'Empereur et je me permets d'insister pour que les intentions du Roi continuent à etre bien accueillies.

Il faut laisser à S. M. Royale la satisfaction de l'initiative, son jugement

est toujours droit quand il n'est pas fourvoyé par des mauvaises influences

qui savent exploiter son mécontentement d'ètre laissé trop constitutionnelle

ment à l'écart.

Ci-joint vous trouverez le travail sur les Cardinaux, je vous l'envoie quoi

que incomplet ayant écrit à Gualterio pour avoir celui qui n'a pas été modifié.

Dès que le courrier du Roi me sera arrivé je m'empresserai de vous faire

connaitre la pièce qu'Il m'annonce.

Ne dansez pas trop et laissez-moi faire des voeux pour que cette semaine

qui m'a enlevé tous mes amis et connaissances, touche à sa fin.

(l) Manca. Si tratta del D. del 16 settembre (cfr. n. 523).

(2) Da ACR.

(3) Cfr. n. 729; l'altro telegramma, ed. in Lettere Vittorio Emanuele Il, vol. II, p. 1366, comunicava la partenza dell'ufficiale d'ordinanza incaricato di recare 11 promemoria.

737

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 776. Parigi, 11 dicembre 1868 (per. il 14).

Ho l'onore d'accusar ricevuta del dispaccio che l'E. V. mi diresse il 4 corrente, sotto il n. 425, di serie politica (l), intorno alle questioni finanziarie di Tunisi. Mi riservo di rispondere a questo dispaccio dopoché ne avrò fatto oggetto di conversazione col Marchese di Moustier. Intanto mi pregio d'informare l'E. V. d'un nuovo incidente a cui dà luogo questa questione. La Prussia, come l'E. V. sa, è pur essa interessata nella questione dei debiti tunisini, parecchi capitalisti di Francoforte essendo creditori verso il Bey d'una somma che può valutarsi, salvo errore, nella cifra di quattro milioni di lire. Il Governo prussiano ha fatto recentemente dichiarare al Gabinetto delle Tuileries che per sua parte esso non s'oppone in principio all'idea dell'istituzione di due commissioni a Tunisi, conformemente al progetto francese, ma che intendeva essere rappresentato sia nella commissione che secondo il progetto del Marchese di Moustier doveva riunirsi a Parigi per concretare le proposte emesse dalla Francia, sia nella commissione di controllo da istituirsi a Tunisi. Nel caso in cui la Prussia venisse esclusa da queste commissioni, il Gabinetto di Berlino avrebbe preso separatamente verso il Bey di Tunisi le misure atte a tutelare gli ~nteressi dei sudditi tedeschi in questa quistione. Sembra che il Governo francese si mostri finora avverso ad ammettere la Prussia nelle commissioni predette.

738

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, ROUHER (2)

L. P. Parigi, 11 dicembre 1868.

Voici encore une dépèche que le Roi m'a écrite hier au soir, sans compter une dans la matinée.

Il est probable que dans le promémoire qu'Il m'envoie, il parlera des avantages matériels que Vous savez, Il en écrira peut-etre plus qu'Il n'en a dit, car c'est d'accord avec Menabrea que le promémoire aura été combiné, il serait le cas, il me semble que Vous prépariez l'Empereur. Sa Majesté Impériale doit bien comprendre que le Roi ne pourrait obtenir l'appui du Pays et du Parlement, si la combinaison qu'Il prépare à toute éventualité ne devait pas apporter quelques avantages matériels.

Je me permets de soumettre à Votre clairvoyance et d'une manière toute confidentielle cette pensée, car je ne voudrais pas que le promémoire qu'on m'envoie, produisit une mauvaise impression.

Si les idées pacifiques triomphent, camme je ne le doute pas, ces aspirations n'auront aucun résultat, si la guerre venait à éclater pour une raison quelconque, elle sera assez grande pour que les compensations que l'an demandera deviennent d'un ordre tout-à-fait sécondaire.

Je Vous prie avec instance de me rapporter les dépéches que je vous ai données et envoyées, et je vous recommande chaleureusement de mettre mes lettres à l'abri de toute indiscrétion.

Je suis impatient de connaitre l'impression produite sur l'Empereur par les bonnes intentions du Roi.

(l) Cfr. n. 721.

(2) Da ACR.

739

VITTORIO EMANUELE II A PIO IX (l)

L. Firenze, 12 dicembre 1868.

Quando furono condannati ultimamente in Roma gli infelici Monti e Tognetti, io diedi incarico ad una per3ona di mia fiducia di fare presso la Vostra Santità gli uffici più premurosi affinché quei disgraziati fossero sottratti al ultimo supplizio; ma fu invano.

Ora si dice che nuove sentenze capitali per delitti aventi un carattere politico vennero recentemente pronunziate. Io, malgrado, il poco successo dei precedenti tentativi, mi rivolgo direttamente a Vostra Santità per impetrare dall'alta sua clemenza la grazia di quei condannati.

Io sono spinto a muovere queste preghiere a Vostra Santità non dalla voglia di immischiarmi delle cose interne di Roma, ma dal sentimento d'umanità e dal pensiero che quel sangue che si verrebbe a versare, susciterebbe nuovi ostacoli alla conciliazione desiderata tra la Chiesa ed il potere civile in Italia.

Io mi lusingo ancora che il perdono di Vostra Santità si sarà già manifestato anche prima che le giunga questa lettera. Ad ogni modo io adempio ad un dovere del mio cuore di Re Cristiano e Cattolico e prego Iddio che l'anima Paterna di Vostra Santità voglia accogliere la voce del suo devotissimo figlio.

(l) Ed. in PIRRI, vol. III, pp. 198-199 e in Lettere Vittorio Emanuele II, vol. II, p. 1368.

740 IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 299. Berlino, 12 dicembre 1868 (per. il 16).

En me référant aux dépèches que j'ai transmises sur les affaires de la Roumanie, je suis à mème de fournir d'autres détails qui m'ont été donnés très confidentiellement et qui forment un complément digne d'intérèt.

Sur les instigations de l'Autriche, les Cabinets de Paris et de Londres, le premier surtout, commençaient à suspecter l'attitude du Cabinet de Berlin. Il importait d'ouvrir une contre-mine. M. de Thile instruit de la réponse faite par M. Golesco à la lettre qui en septembre dernier avait été adressée par le Grand Vizir au Prince Charles, n'hésita pas, mème sans prendre les ordres du Roi, à faire exprimer à Bukarest combien on désapprouvait ici la forme donnée à cette lettre. En mème temps le Prince recevait le conseil de réparer cette faute en écrivant lui-mème à Constantinople.

Son Altesse ayant fait savoir qu'il ne lui paraissait pas opportun de blamer un acte de son Ministère, le Roi, après avoir approuvé la conduite de M. de Thile, le chargea d'insister auprès du Prince, et de lui laisser entendre qu'il devait s'exécuter de bonne grace.

Le Comte de Bismarck, informé à son tour de cet incident, envoya l'ordre formel au Consul Général Comte de Kayserling d'appuyer vivement cette démarche. Le Prince de Roumanie aurait un bel exemple à suivre, celui du Roi Léopold 1•r qui appelé à régner dans les circonstances les plus difficiles, avait montré la plus grande sagesse en se bornant à protéger le status qua et contre l'exaltation Beige, et contre les prétentions Hollandaises, et en veillant à la stricte exécution des Traités auxquels son royaume devait l'existence. Si le Prince de Hohenzollern ne savait pas se renfermer dans de justes limites, mieux vaudrait pour lui de retourner en Allemagne.

Ces avis donnés pour ainsi dire en famille, ont porté coup, puisqu'ils ont provoqué la chute de l'ancien Cabinet et la mission conciliante de M. Golesco.

Il y a plus. Dans un entretien récent avec l'Envoyé Ottoman, le Comte de Bismarck a déclaré que le Cabinet de Berlin se prononçait pour le maintien du status qua en Orient, et qu'il ne donnerait d'encouragement ni à Bukarest, ni à Athènes.

Depuis plusieurs mois la Prusse s'abstenait soigneusement d'intervenir dans les questions d'Orient, ou du moins ne prenait aucune initiative. Elle vient de faire acte de présence de la manière la plus correcte, au point de vue des Traités, pour enrayer des tendances de panroumanisme, et pour démentir ainsi les insinuations malveillantes faites par l'Autriche à Paris et à Londres. Le Comte de Bismarck a trop de perspicacité pour ne pas se rendre compte que si l'Autriche et la France sont peu désireuses d'entamer une lutte face à face avec l'Allemagne, elles résisteraient difficilement à la tentation de lui chercher querelle sur un autre terrain dès qu'on trouverait la Prusse en faute. C'est précisément pour ne pas prèter le flanc que le Cabinet de Berlin a fait l'habile manoeuvre dont je viens de tracer les phases. C'est bien là une certaine garantie en faveur du maintien de la paix.

741

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

T. 799. Firenze, 13 dicembre 1868, ore 15,15.

Veuillez offrir mes compliments empressés à lord Clarendon et lui dire que nous comptons sur ses sentiments de bienveillance pour l'Italie.

742

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 123. Firenze, 13 dicembre 1868.

Giorni sono Sir A. Paget venne a vedermi, e portando di nuovo il discorso sull'argomento che formò oggetto de' miei dispacci del 22 novembre nn. 117 e 118 nonché del di Lei rapporto del 27 stesso mese, n. 518 (l) mi disse ch'egli non aveva mai ricevuto istruzione dal suo governo di parlarmi degli armamenti che la Francia fa a Civitavecchia, ma che era stato indotto a conversarne meco per l'importanza che secondo lui si doveva annettere a questo affare. Il Ministro di S. M. Britannica era stato informato della conversazione che V. S. aveva avuto con Lord Stanley a questo riguardo.

Risposi a Sir A. Paget che l'importanza che infatti si doveva attribuire ad un fatto, al quale non è facile trovare un plausibile motivo, mi aveva indotto a riferire alla S. V. quanto fra noi era stato detto circa gli armamenti francesi in Civitavecchia, ed aggiunsi che sebbene Lord Stanley fosse alla vigilia di lasciare il potere quando Ella avevagli parlato di questo affare, le sue risposte mi avevano confermato che il Ministro degli Affari Esteri della Regina divideva con noi le giuste apprensioni che un simile fatto doveva necessaria· mente eccitare in chiunque consideri che nulla in questo momento potrebbe giustificare siffatte disposizioni per parte del Governo francese.

Ritengo per fermo che le informazioni che gli agenti britannici residenti in Italia invieranno al loro Governo dovranno produrre ne' nuovi Ministri inglesi impressioni identiche a quelle che già avevano ricevute i loro predecessori; i fatti parlano abbastanza chiaramente in favore della causa da noi propugnata senza che da noi si provi il bisogno di perorarla ad ogni tratto. Non sarebbe quindi opportuno ch'Ella si affrettasse di parlare a Lord Clarendon degli armamenti di Civitavecchia; ma se più tardi si porgesse a Lei il destro di toccare a simile argomento nelle sue conversazioni col Ministro degli Affari Esteri della Regina, le istruzioni ch'io già Le ho comunicate colle mie corrispondenze anteriori, La metteranno in grado di esprimersi in conformità degli intendimenti del R. Governo.

(l) Cfr. nn. 694, 695 e 707.

743

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 426. Firenze, 13 dicembre 1868.

Dal rapporto che Ella mi ha diretto sotto la data del 1° dicembre (n. 761) (l) ho rilevato che Lord Lyons non avea ricevuto alcuna istruzione dal suo Governo relativamente agli armamenti francesi in Civitavecchia, armamenti che, dopo aver formato argomento di discorso fra Sir A. Paget e me, aveano dato motivo al dispaccio ch'io Le indirizzavo il 22 Novembre ultimo passato (2). Da un rapporto della R. Legazione in Londra (3), nonché dalla copia di un dispaccio che a quel R. Incaricato d'affari dirigo oggi stesso (4), la S. V. potrà vedere quale fosse il vero carattere delle comunicazioni fattemi da Sir

A. Paget. Ella troverà qui unito le copie di quei due documenti.

Ho riferito alla S. V. questo incidente perché in ogni modo mi sembrava un sintomo significativo che anche il Rappresentante di una Grande Potenza il quale vede con occhio imparziale lo stato delle cose si fosse preoccupato di un fatto che certamente non accenna a propositi tranquilli per parte del Governo imperiale di Francia.

Del resto la modificazione ministeriale avvenuta a Londra rende per ora difficile il conoscere quali impressioni produrranno le informazioni che gli agenti britannici non esiteranno certamente di dare al loro Governo intorno agli affari italiani; epperciò sarebbe inopportuno dar seguito pel momento ad un incidente che non ebbe pur tempo di prendere il necessario sviluppo prima che avvenisse la crisi ministeriale in Inghilterra.

Più tardi si darà forse il caso ch'io abbia a ritornare sopra questo stesso argomento che per il momento non conviene pregiudicare con intempestive pratiche.

Quindi approvo la di Lei circospezione in questa circostanza e mi riservo di darle quelle istruzioni che lo svolgersi degli avvenimenti potrebbe più tardi rendere opportune.

744

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 428. Firenze, 13 dicembre 1868.

Per di lei informazione Le trasmetto oggi un estratto di un rapporto del

R. Ministro a Berlino in data del 28 Novembre u.s. (5). Per completare quelle

(-4) Cfr. n. 742.

informazioni, debbo soggiungere che per altra parte mi risulta di un discorso che sarebbe stato tenuto da uno dei diplomatici francesi più addentro nelle cose del suo Governo.

Ecco in quali precisi termini quel diplomatico si sarebbe espresso: «Nous devons nous préoccuper sérieusement d'etre en contact avec une Allemagne de 40 millions d'habilitans, avec une organisation militaire des plus fortes. Il surgira probablement d'ici au printemps quelques affaires qui nous permettront de sortir d'une position impossible; mais je ne crois cependant pas à la guerre».

Queste parole indicano una situazione molto inquietante per l'andamento delle cose in Europa e sopratutto per quei paesi che hanno interesse a che le quistioni che rimangono aperte non vengano pregiudicate da intempestive complicazioni.

Dalle informazioni che abbiamo ricevute risulterebbe che contrariamente a quanto alcuni periodici più o meno inspirati da Parigi hanno affermato, il contegno dell'Ambasciatore di Francia a Costantinopoli non sarebbe stata l'ultima delle cause delle risolute decisioni dal Divano Imperiale verso la Grecia. Tutto ciò merita di essere attentamente osservato. Le prove che si fanno per creare qua e là in Europa complicazioni internazionali, falliscono tutte appunto perché invalse ormai l'opinione che le quistioni per così dire secondarie che si vorrebbero risvegliare non sarebbero che palliativi per ritardare lo scoppio di una guerra formidabile che tutti hanno uguale interesse ad allontanare.

Al quale proposito non trovo inopportuno di farle sapere che a Berlino gli uomini di Governo sono più che mai decisi a mantenersi in una linea di condotta che obblighi la Francia ad attaccare la Prussia sul terreno delle quistioni germaniche, il solo sul quale la Prussia accetterà una lotta. Ed infatti, non isfuggirà alla S. V. lo studio particolare col quale il Gabinetto di Berlino, dopo aver declinato ogni responsabilità nelle quistioni relative ai Principati Uniti del Danubio ora si astiene dal prender parte in qualsiasi senso alle Cose che si svolgono in Grecia.

Il contegno del Gabinetto di Berlino, ed il suo fermo proposito di non lasciarsi condurre ad entrare in complicazioni estranee alle cose di Germania, è certamente una solida guarentigia pel mantenimento della pace. Se si tien conto della fermezza dei propositi di cui diede spesse volte esempio la Prussia, in questi ultimi anni, noi potremmo quasi andar certi che la pace non corre alcun pericolo. Ma, come prevedere le conseguenze possibili della politica che così generalmente si attribuisce al Governo Imperiale di Francia?

Intanto giova avvertire che la frazione magiara dell'Impero Austriaco si pronuncia in un senso sfavorevole ad ogni complicazione guerresca la quale abbia per obbiettivo la quistione germanica. E di qui sorge la necessità di creare novità in Oriente, perché in cospetto della quistione orientale il contegno dell'Ungheria non potrebbe essere ugualmente passivo. Sopra queste cose io chiamo la sua attenzione perché è necessario tenerne conto, tanto per giustamente apprezzare la presente situazione, come per determinare la linea di condotta riservata che in simile circostanza è prudente consiglio seguire. Epperò questi cenni tendono unicamente ad informare la S. V. acciocché Ella a sua volta raccolga quei maggiori indizi e quelle maggiori indicazioni che potrà procurarsi, dai quali indizi ed indicazioni il Governo del Re trarrà sempre maggior luce per formarsi un concetto preciso della presente condizione politica dell'Europa.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 696. (3) -Cfr. n. 707. (5) -Cfr. n. 709.
745

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 236. Atene, 13 dicembre 1868 (per. il 25).

Il Governo greco non dissimula la gravità della situazione, crede però poterne tirare buon partito nella fiducia che una conflagrazione, ove sorga, non si limiti alla Grecia, ma si estenda in tutto l'Impero Ottomano. Ma, è d'uopo confessarlo, i mezzi non corrispondono ai bisogni ed alle imprese che intendano di tentare. I Greci come tutti gli Orientali non sono esenti dal difetto di imprevidenza.

Malgrado i reiterati consigli che da più di quattro anni ho dato ai diversi Ministri che si sono succeduti, sulla necessità di legare con un cordone sottomarino l'isola di Corfù al punto più vicino del Continente greco, onde rendere indipendenti le loro comunicazioni telegrafiche coll'Occidente, e con tutti i paesi Esteri, fino a questo momento non si sono decisi, per ragioni inutili a dirsi a porre in atto alcuno dei progetti che furono fatti al Governo greco. Di modo che, sia pel fatto della compiuta rottura delle relazioni, sia nella possibilità di conflitto, tutte le loro comunicazioni telegrafiche, della Grecia, con i paesi esteri (non escluse quelle con Corfù) sono nell'assoluta dipendenza delle linee turche.

Sempre intenti a voler fare trionfare la grande idea non pensarono mai di proposito a che gli apprestamenti militari e marittimi fossero in relazione colle parole e coi desideri.

Eccettuata la frègata in legno 1'« Ellàs » non vi è bastimento di una certa forza capace a difendere i porti, non che ad offendere. Si parla sempre di commissioni date e di offerte ricevute, ma al momento del bisogno i bastimenti non si vedono.

Gli armamenti dell'esercito pochi, insufficienti e difettosi. Cavalli pochi, scarsissimo il treno ed aumentando di molto, come si pretende, il numero dei combattenti, manca non solo il necessario ma anche l'indispensabile. È vero che i Greci sono sobri e si contentano di poco, ma dubito che la sobrietà possa supplire alla mancanza di vitto, di buone armi, di munizioni e di quanto in guerra è necessario.

A queste imprevidenze, delle quali sono complici tutte le Amministrazioni greche, il Ministero attuale vorrebbe ora riparare tutto ad un tratto con uno sforzo. A tal fine, nella tornata di ieri, venne proposta la legge con cui si domanda la somma di 100 milioni di dracme e più i pieni poteri da conferirsi al Re nel modo istesso in cui si agì in Italia nella guerra del 1859 e 1866.

Qui mi giova di osservare che ove quella somma venisse domandata sotto forma di prestito forzato, io non mancherò di far valere a prò degli Italiani

l'esenzione, da accordarsi con legge del Parlamento, in reciprocità di quella che in Italia venne concessa ai sudditi Elleni pel prestito del 1866.

746

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 14 dicembre 1868, ore 16,35 (per. ore 18,20).

Officier est arrivé. Promemoire (2) contient deux clauses à mon avis difficiles. Je ferai de mon mieux, mais je demande quelques jours. Reçu lettre pour arabes.

Vu le fils de Renaud. Ecris faire venir chiens Paris.

747

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI MINISTRI A BERNA, MELEGARI, A PARIGI, NIGRA, A VIENNA, PEPOLI E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. Firenze, 14 dicembre 1868.

La legge recentemente votata dalla Camera dei Deputati per agevolare agli Italiani non regnicoli il conseguimento dei diritti concessi dalle leggi ai cittadini dello Stato, ha dato luogo per parte di alcuni membri del Corpo Diplomatico qui accreditato ad interpellanze verbali che dai medesimi mi vennero dirette nelle conversazioni ch'io ebbi con loro.

Sir A. Paget fra gli altri mi parlò di questa legge e mi espresse il timore che dovesse essere causa di complicazioni internazionali per il nostro paese.

Risposi all'Inviato Britannico che si era generalmente esagerato assai il significato di quella legge. Non trattavasi di creare un diritto nuovo per la cittadinanza degli italiani non regnicoli, ma soltanto di diminuire le formalità che questi debbono compiere per acquistare nel nostro paese i diritti e le qualità di sudditi del Regno. La nuova legge non toccava le relazioni internazionali quali esistono, e non faceva che modificare la legislazione prima in vigore in materia di cittadinanza, e non si estendeva che a quelle persone che adempirebbero le condizioni che ancora rimanevano prescritte per l'acquisto della sudditanza.

Nutro quindi fiducia che dalle recenti disposizioni legislative sancite dalla Camera dei Deputati, non siano per nascere le complicazioni internazionali che da alcuni rappresentanti esteri si temono. Voglio poi sperare che le spiegazioni che ho dato a Sir A. Paget avranno bastato a convincerlo che non può essere nelle viste del R. Governo di suscitare degli imbarazzi nei rapporti amichevoli che è lieto di mantenere con tutte le Potenze.

(l) -Da ACR. (2) -Cfr. n. 729, allegato.
748

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Firenze, 15 dicembre 1868, ore 12,50.

Faites pour le mieux, dans les propositions j'ai calculé toutes les hypothèses, si quelque chose est à retrancher ou à dire plus tard faites, seulement il faut que affaire marche dans ce qui est essentiel, tenez moi au courant avant de prendre une détermination. J'ai écrit aujourd'hui meme à l'Empereur sur les décapitations de Rome (2) qui continuent et écrit moi meme lettre énergique au Pape (3) car il tache de me compromettre.

Les deux décorations sont accordées.

749

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. s. N. Firenze, 15 dicembre 1868, ore 13.

Le Roi vient de télégraphier à l'Empereur pour qu'il intervienne auprès du Pape afin d'obtenir la gràce de Ajani et Luzzi (2) qui viennent d'etre condamnés à Rome pour crime politique. Je vous envoie par le courrier les documents que le Roi annonce à l'Empereur qui prouvent que cette rigueur insolite du Gouvernement pontificai est le résultat d'un système de conspiration contre l'Italie et meme contre l'Empire. Vous aurez l'obligeance de faire tenir immédiatement ces documents à l'Empereur sans vous servir d'intermédiaire.

Le Roi a envoyé à Rome un de ses aides-de-camp avec une lettre au Pape (3) pour demander la gràce des condamnés. L'agitation qu'a causé en Italie l'exécution de Monti et Tognetti fait espérer au parti dominant à Rome que des troubles sérieux se manifesteront si de nouvelles exécutions ont lieu.

750

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 126. Firenze, 15 dicembre 1868.

Ho ricevuto ieri sera il telegramma (4) col quale Ella mi annunciava che Lord Clarendon l'aveva specialmente incaricato di esprimerci i sentimenti amichevoli che egli nutre per l'Italia e pel suo Governo.

La prego Signor Conte di voler ringraziare vivamente il Ministro per gli Affari Esteri della Regina per tale manifestazione di simpatia che è perfettamente da noi contraccambiata.

Nelle conversazioni che Ella avrà con Lord Clarendon Ella potrà valersi delle comunicazioni che Le ho fatte durante gli ultimi tempi della amministrazione tory rinnovando presso il nuovo Segretario di Stato per gli Affari Esteri quei passi che Ella aveva già fatto presso Lord Stanley. I documenti che le spedisco oggi renderanno sempre più agevole alla S. V. di formarsi un concetto esatto della situazione politica. Quanto alla quistione di Roma è bene che Ella sappia che per iscongiurare i pericoli che al Governo della Santa Sede crea il nostro contegno prudente e conciliante, si lavora potentissimamente a produrre nel nostro paese un'agitazione antigovernativa della quale si avvantaggiano particolarmente i Repubblicani. Questi ultimi sperano assai nel successo del loro partito in !spagna, e si trovano anche in quel paese secondati appuntino dai reazionari, che, sapendo di quanto poca durata sarebbe la repubblica spagnuola, speculano intanto sull'avvenire di cui certamente trarrebbero loro profitto.

Bramerei ch'Ella riassumesse in una breve memoria lo stato della quistione tunisina per informare ben esattamente il nuovo Ministro degli Affari Esteri di questa pratica assai complicata. Questo promemoria non dovrebbe avere però che il carattere di una comunicazione personale e confidenziale della S. V.

L'ultimo mio dispaccio al Cavalier Nigra intorno a questo affare (l) metterà la S. V. in grado di regolare il proprio linguaggio in modo affatto conforme agli intendimenti del R. Governo.

(l) Da ACR, ed. in Lettere Vittorio Emanuele Il, vol. II, p. 1370.

(2) -Cfr. Lettere Vittorio Emanuele 11, vol. II, p. 1369. (3) -Cfr. n. 739. (4) -T. 1439, non pubbllcato.
751

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 769. Parigi, 15 dicembre 1868 (per. il 18).

Con dispaccio di Serie Politica in data di jeri (2) ebbi l'onore d'informare l'E. V. della comunicazione da me fatta al Ministro Imperiale degli Affari Esteri all'oggetto di constatare, conformemente alle istruzioni contenute nel dispaccio di V. E. del 4 corrente n. 425, Serie Politica (1), che il Governo del Re mi aveva autorizzato a concertarmi (unitamente coll'ambasciatore Britannico a Parigi) col Gabinetto delle Tuileries intorno alle riforme che si dovrebbero introdurre nella Tunisia nell'interesse generale del commercio Europeo e dei creditori stranieri della Reggenza.

Col dispaccio sopracitato del 4 dicembre corrente l'E. V. mi espose le considerazioni che Le sono consigliate dalle comunicazioni fattele dalla R. Legazione a Parigi e dalla Legazione di Francia a Firenze intorno alle proposte,

non ancora del resto ben concretate, della Francia, e mi diede istruzioni intorno al modo di procedere nel caso in cui il Marchese di Moustier m'inviti insieme a Lord Lyons a conferire sulla ma,teria.

Nel ringraziare l'E. V. di queste direzioni, mi pregio d'assicurarla che avrò cura di conformarvi interamente il mio linguaggio e la mia condotta. Però rileggendo attentamente il dispaccio dell'E. V. e consultando le relazioni fattele dalla R. Legazione a Londra non potei a meno di non riconoscere che finora non s'era ancora stabilita fra il R. Governo ed il Governo di S. M. Britannica quell'intera e assoluta conformità di vedute che sarebbe consigliata dall'identità degli interessi implicati in questa questione e senza la quale parmi assai difficile il giungere ad una soluzione equa e soddisfacente della vertenza sollevata a Tunisi. Non sembra diffatti che il linguaggio tenuto da Lord Stanley al Conte Maffei, benché concorde, in tesi generale, con quello a lui tenuto dal R. Incaricato d'affari, fosse assolutamente conforme alle considerazioni svolte dall'E. V. su certi punti e specialmente sulla composizione della commissione amministrativa, sul carattere del funzionario francese chiamato a farne parte secondo la proposta del Marchese di Moustier, e sulle previsioni intorno ai risultati che possono nascere in avvenire in certi casi dall'istituzione della commissione di controllo quale è suggerita dal Ministro degli Affari Esteri di Francia. Il cambiamento di Ministero operatosi in Inghilterra condurrà certamente il nuovo titolare del Foreign Office ad esaminare attentamente questa difficile e importante questione.

È molto a desiderarsi che un accordo perfetto si stabilisca tra l'Italia e l'Inghilterra sull'argomento; giacché in caso diverso la soluzione già troppo protratta di questa vertenza sarebbe ancora ritardata, e resa forse impossibile.

Io attendo intanto che il Marchese di Moustier (appena cessi l'indisposizione di cui è travagliato) mi convochi insieme con Lord Lyons a conferire sulla questione, e che l'E. V. abbia la bontà di farmi conoscere, appena ne sarà informata, le disposizioni e le vedute del nuovo Ministro degli Affari Esteri di S. M. Britannica.

(l) -Cfr. n. 721. (2) -Non pubblicato.
752

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 16 dicembre 1868, ore 12 (per. ore 15).

Suivrai prescriptions (2). Aucune modification sera faite sans consulter Votre Majesté par le télégraphe. Hier soumis promemoire ministre d'état, voudrait suivant votre première idée exclure hypothèse neutralité. Télégraphiez consentement ou refus. J'ai lieu de croire que des accords sont été pris avec Autriche dans le cas éventua11tés. Recommande plus grand secret, ne pressez pas, Jaissez moi agir, il ne faut pas montrer trop d'empressement. Merci des décorations.

55 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. X

(l) -Da ACR. (2) -Cfr. n. 748.
753 IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1444. Pietroburgo, 16 dicembre 1868, ore 17,10

{per. ore 22,40).

Gortchakoff m'a dit dans le plus grand secret qu'ayant fait des remontrances à Paris sur la contradiction existant entre le langage pacifique de l'Empereur et du marquis de Moustier et l'attitude de l'ambassadeur de France qui pousse à la rupture et à l'expulsion des sujets grecs, le comte de Stakelberg lui a répondu ce matin que le marquis de Moustier demande à la Russie de faire des propositions pour se mettre d'accord dans l'intérét de la paix. A quoi il a répondu qu'il fut donné à l'ambassadeur de France à Constantinople ordre catégorique d'empécher toute mesure grave de la part du Gouvernement turc pour que le Cabinet de Saint Pétersbourg ait le temps de murir et présenter les propositions demandées.

754

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA

D. 72. Firenze, 16 dicembre 1868.

Il telegramma da Lei speditomi l'altro jeri (1), e giuntomi soltanto la notte scorsa, conferma vieppiù la gravità della situazione. Imperocché, mentre il governo greco sembra risoluto a non voler aderire alle condizioni poste nell'ultimatum ottomano, mi consta d'altra parte, che la Sublime Porta non è meno fermamente decisa a persistere nelle sue domande e nelle determinazioni già adottate nel caso di negata soddisfazione. Certo è che così l'una come l'altra potenza si assumono, in faccia all'Europa, non lieve risponsabilità spingendo il conflitto fino ai suoi termini estremi, ed il Governo del Re deplora sinceramente che i consigli di moderazione pervenuti ai due Gabinetti dalle maggiori potenze non abbiano sortito finora un risultato migliore.

Qualunque sia per essere lo scioglimento della crisi attuale, il R. Governo sollecito del mantenimento della pace, non ristarà, anche in caso di rottura dei rapporti diplomatici fra la Grecia e la Turchia, dal porgere così ad Atene come a Costantinopoli, amichevoli suggerimenti intesi ad attenuare, per quanto sia possibile, la portata e le conseguenze di così rincresce v o le eventualità (2). E per quanto concerne codesto Gabinetto, il Governo del Re fa pieno assegnamento sulle savie disposizioni che Le furono manifestate, secondoché Ella mi

riferisce nel suo Rapporto n. 229 (1), dal Presidente del Consiglio e dal Ministro per gli Affari Esteri, ch'essi faranno, cioè, quanto starà in loro per mantenere, in ogni ipotesi, la tranquillità pubblica e cansare maggiori complicazioni.

(l) -Non pubblicato. (2) -Fin dall'B dicembre Menabrea aveva incaricato Della Minerva di dare al Governo greco consigli di moderazione e di prudenza (t. 794 dell'8, t. 798 del 13 non pubblicati).
755

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1451. Pera, 17 dicembre 1868, ore 11,20 (per. ore 4,45 del 18).

Copie ultimatum a été remise hier au soir aux légations. Aujourd'hui on a annoncé officiellement rupture et averti sujets grecs qu'ils devront quitter cette capitale dans le délai de quinze jours à dater du seize courant. On ne parle cependant pas du jour où les ports ottomans seront interdits aux navires grecs. Une commission sera instituée au Ministère police pour régler les affaires en suspens entre les deux pays. Celles qui ne pourront ètre réglées dans le délai seront confiées à des fondés de pouvoir. Les grecs dans les provinces devront les quitter quinze jours après la notification faite par les autorités locales. Mes collègues de Russie et de Prusse me disent que le langage de ceux de France et d'Angleterre avec la Porte n'est pas identique au leur, ils s'en plaignent et paraissent croire qu'il y a double jeu. Ils croient aussi que les dépèches chiffrées à Pétersbourg et à Berlin ont été retenues au bureau pendant quelques jours; ils cherchent dans ce moment à faire admettre leurs dragmans dans la commission pour régler les affaires des sujets grecs. Ils voudraient me persuader de protéger quelques individus en leur obtenant la nationalité italienne. J'ai répondu que je n'agirai qu'après avoir reçu instructions spéciales. Pour le moment je sais qu'on veut intéresser les Puissances protectrices, à ce sujet. Une escadre turque composée de trois frégates cuirassées d'un vaisseau de ligne et d'une corvette est partie hier au soir de Constantinople pour Volo.

756

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A MADRID, CORTI

T. 805. Firenze, 17 dicembre 1868, ore 14,15.

Le général Garibaldi vient d'ètre invité par le comité républicaln à se rendre en Espagne, il a répondu à Castelar qu'il s'y rendrait si on lui envoyait une députation. Il est bien que le général Cialdini soit informé de ce projet; vous pouvez mème en prévenir Serrano comme d'un bruit qui court.

(l) Non pubbl!cato.

757

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 806. Firenze, 17 dicembre 1868, ore 18,45.

La commisswn du budget provisoire propose la suspension du payement de la dette pontificale à cause de la présence des français dans les Etats pontificaux et des fait douloureux qui en sont la conséquence. Le Ministère se battra sur ce terrain. Telle est la position difficile dans laquelle nous place le Gouvernement impérial par sa persistance à ne pas maintenir les engagements qu'il avait pris par la circulaire du 9 novembre à l'époque où nous prenions la direction des affaires.

758

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Torino, 18 dicembre 1868, ore 10,35.

Je suis Turin si les propositions faites seront bien favorables on pourra transiger sur la question de neutralité. Lorsque vous aurez combiné avec calme contreprojet envoyez-le-moi. Question Autriche ne m'étonne pas et c'est parfaitement dans mes idées que cela pourra nous servir grandement.

759

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 127. Firenze, 18 dicembre 1868.

Avendomi Lord Clarendon fatto esprimere per mezzo di Sir Augustus Paget il desiderio del Governo britannico di procedere d'accordo coll'Italia per la quale egli nutre grandi simpatie, ringraziai anzitutto questo Inviato Inglese per la cortese sua comunicazione. Ed il discorso essendosi naturalmente portato sulle cose di Grecia, si parlò fra di noi alquanto delle notizie ricevute da quel paese e della gravità della situazione se il conflitto non potesse essere composto sino dai suoi primordi mercè l'opera efficace di conciliazione esercitata da tutte le Grandi Potenze. In quest'occasione non esitai a far osservare a Sir A. Paget le difficoltà nelle quali si agita la Turchia, e come gli sforzi che fa vanno in gran parte perduti di fronte alla situazione reciprocamente ostile in cui si trovano le popolazioni sottoposte alla sua dominazione.

Venendo poscia a parlare degli interessi comuni dell'Italla e dell'lnghllterra, al mantenimento dello statu qua sulle coste africane del Mediterraneo, Sir A. Paget mi disse che tanto negli affari d'Oriente, quanto in quelli d'Africa egli sperava che l'accordo fra i due Gabinetti sarebbe completo. Gli interessi pacifici che ispirano la politica dei due Governi è infatti la miglior guarentigia che i medesimi procederanno per le stesse vie all'identico fine di evitare pericolose e nocive perturbazioni.

(l) Da ACR, ed. in Lettere Vittorio Emanuele II, vol. II, p. 1370.

760

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 304. Berlino, 18 dicembre 1868 (per. il 24).

Parmi les nombreuses suppositions qui ont été faites à l'occasion de l'excursion récente du Comte de Bismarck à Dresde, je citerai celle d'une tentative de rapprochement entre la Prusse et l'Autriche, par l'entremise de la Cour de Saxe. Cette dernière, dans le courant de l'année, aurait laissé entrevoir à cet effet ses bonnes dispositions, qui furent entravées par la publication de la Note Usedom. Il aurait été question maintenant de reprendre sous main les fils de cette négociation interrompue.

D'après des renseignements que je me suis procurés de bonne source, une semblable supposition n'est nullement fondée. Il suffit d'ailleurs pour s'en convaincre, de jeter un coup d'oeil dans les journaux officieux du Cabinet Impérial, qui continuent leurs attaques passionnées contre la Prusse. Le rétablissement de meilleurs rapports entre les deux Puissances serait sans doute un fait désirable pour mieux assurer le maintien de la paix, mais, tant que le Comte de Beust ne prendra pas des allures autres que celles qui résultent des documents insérés dans le Livre rouge, ce serait au moins de la naiveté, de la part du Gouvernement Royal, de lui tendre la main en pareilles conjonctures. Dans tous les cas, pour le moment du moins, il ne prendra aucune initiative, et il n'est pas à prévoir que, de son coté, le Comte de Beust fasse des avances à son collègue de Berlin. Et, quant à la médiation d'une tierce Puissance, ses efforts éventuels risqueraient fort de se briser, dans les circonstances actuelles, devant l'inimitié personnelle qui existe entre les deux Chanceliers.

Le voyage du Comte de Bismarck trouve son explication toute naturelle, dans le désir de la Cour de Berlin de donner à la Cour de Saxe, à l'occasion de la fete de san Roi, un témoignage public de satisfaction, pour son attitude pleine de loyauté depuis le traité de Prague. L'opinion publique d'ailleurs s'émeut en Allemagne, que le mouvement national subisse un temps d'arret. On comprend probablement ici qu'il ne convient pas d'arreter complètement le courant, au risque de le changer en eaux stagnantes, et on aura senti la nécessité de s'assurer de plus en plus la voix de la Saxe, le plus important des Etats secondaires, pour les perfectionnements à introduire dans les rouages si compliqués de l'Allemagne du Nord. Quand cette Confédération sera parfaitement organisée, sa force d'attraction sera telle, vers le Sud, que la barrière du Mein deviendra, plus que jamais une fiction.

On a beaucoup remarqué, dans les cercles diplomatiques le langage plein de modération que le Comte de Bismarck tient devant les Chambres, ou directement ou par la bouche de ses collègues, à l'exception toutefois du Ministre de la Justice. Mais celui-ci a reçu une réprimande pour avoir exposé le Gouvernement à un nouveau conflit, et cela sur une question très secondaire. C'est à la Chambre des Seigneurs, que le Président du Conseil a fait, ces jours derniers, un discours des plus marquants. Le Comte de Bismarck subordonnait ses opinions personnelles à sa position de Ministre constitutionnel. C'était à propos des immunités parlementaires, de la liberté de la parole à la tribune, déjà votée par la Chambre des Députés. L'argumentation n'a pas convaincu la haute Assemblée. Elle a rejeté le projet de loi, par 32 voix de majorité. Il est vrai qu'elle ne forme pas ici, comme en Angleterre la Chambre des Lords, une branche vraiment supérieure de la législature. Si celle-ci puise un ascendant extraordinaire dans la capacité et les lumières de beaucoup de ses membres, dans les vues politique élevées qui président à la discussion des affaires intérieures ou étrangères, la Chambre des Seigneurs à Berlin se distingue au contraire, trop souvent, par ses principes ultraconservateurs et rappelant un passé bien loin de nous.

P. S. Ci-joint une lettre particulière pour V. E.

761

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 1242/528. Londra, 18 dicembre 1868 (per. il 22).

Pare finalmente che il deposito d'armi che codesto Ministero segnalava alla mia vigilanza, e che con tanta insistenza io ho fatto d'allora in poi sorvegliare, sia presso a partire. Più d'una volta, a fronte dei sterili risultati che le spese, benché tenuissime, da me sostenute avevano finora riuscito ad ottenere, fui tentato di sospendere ogni pratica, massime quando il Ministro dell'Interno per mezzo dell'E. V. me ne faceva dare il consiglio. Tuttavia continuai sia perché il mio informante mi parlava coll'accento della persuasione, sia perché, non astante il mistero che ha sempre circondato tutto questo affare, v'era nei frequenti spostamenti del deposito in discorso, nella varietà delle direzioni che a dette armi si attribuivano, un evidente scopo di deviar l'attenzione dal loro vero e definitivo destino, che dava un colore di verità alla esistenza d'una cospirazione, imperocché sieno quelle le arti poste in opera in tali casi onde condurre felicemente a termine una spedizione di simile tenebrosa natura.

L'Agente da me impiegato ora m'annuncia che i tanto lungamente sorvegliati moschetti a retrocarica in numero di 2.500 sono stati tutti trasportati a Newcastle, che già fu fissato il vapore che li riceverà al suo bordo, e che infine la loro partenza è imminente. A quanto mi si afferma, il loro punto di sbarco sarebbe Tangeri ed interamente borbonico il carattere dell'invio (1).

Siffatte informazioni mi vengono comunicate nel modo il più positivo, e senza che chi me le riferisce sembri avere il menomo dubbio sul fondamento delle proprie asserzioni. Ei mi promette di darmi tutti i più minuti particolari che potranno abilitare il Governo a tenere d'occhio ogni loro ulteriore movimento, e ad impadronirsene appena toccheranno una sponda italiana.

Nel portare queste cose a cognizione dell'E. V., mi corre l'obbligo di farle rispettosamente notare che, com'Ella ben comprenderà, io non posso in nessuna guisa rendermene garante. Ma stando alle considerazioni più sopra esposte, ed a ragguagli che da più fonti mi pervengono sull'attività che spiegano in questo momento i comitati borbonici all'estero onde preparare dei torbidi in Italia, e specialmente in Sicilia, una nuova spedizione clandestina di armi da queste spiagge, da cui già ne partirono tante, non sarebbe una circostanza, a mio avviso, da recar meraviglia.

Vi è stato in questi ulteriori tempi un grande andirivieni di notorj agenti borbonici tra la Sicilia e l'Inghilterra. E mi si dice che a Monreale siavi un comitato reazionario de' più attivi, che si mantiene in non interrotta corrispondenza con queno qui esistente, il quale, sotto gli auspicij dell'ex Incaricato d'Affari napoletano, è pure in comunicazione col Conte di Girgenti.

Insomma, non persuaso della inutilità de' suoi sforzi il partito della reazione lavora in questo paese, come altrove, se non coll'intento d'addivenirne immantinente ad un tentativo ostile, certamente con animo deliberato d'essere pronto a farlo, qualora una opportunità glielo permetta.

So, per esempio, in modo positivo, che l'editore di quello screditatissimo giornale, che qui si pubblica sotto il nome di International -giornale ostile al Governo del Re, il quale però, sebbene la stampa estera spesso ne faccia delle citazioni trovando più comodo siffatto sistema che il ricorrere ai giornali inglesi, non ha altra circolazione al di là della più bassa classe di forestieri che trovansi in questa metropoli -l'editore di tale foglio, dico, antico ufficiale svizzero al servizio del Re di Napoli, cerca di procurare il più gran numero di adepti alla causa di Francesco II, e conosco questa circostanza per avere il medesimo fatto delle proposte di simile natura ad un Siciliano, n quale me ne rese informato.

I fatti che precedono provano una volta di più la necessità per il R. Governo di stare all'erta...

(l) Con R.r. 1252/535 del 25 dicembre Maffel Informò che i fuclll erano stati imbarcati sul battello «Electra » che era partito con destinazione Marocco.

762

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1243/529. Londra, 18 dicembre 1868 (per. il 27).

Dopo di averle jeri annunziato (l) la decisione presa il giorno prima da Lord Clarendon di mandare un telegramma all'Inviato Britannico in Atene per togliere ogni illusione al Governo Greco sulla protezione che potrebbe aspettarsi

di ricevere dall'Inghilterra nelle sue presenti complicazioni colla Turchia, ho avuto una conversazione col Ministro Ellenico, durante la quale ebbi alcuni schiarimenti intorno a quanto precede, che qui m'affretto di rassegnarle.

A ciò che pare il Signor Brailas seppe da fonte autorevole che Lord Stanley, un giorno o due prima di lasciare il portafoglio degli Esteri, aveva detto a persona di sua confidenza che l'Inghilterra non avrebbe potuto permettere che la Grecia, qualunque fossero i suoi torti, soccombesse per mano dei Turchi. Quantunque queste fossero le espressioni d'un Ministro, al quale più non rimaneva potere di sorta, tuttavia il Rappresentante Ellenico s'affrettò di comunicare al suo Governo l'opinione personale di Lord Stanley come quella che poteva assistere il Gabinetto d'Atene a prendere una risoluzione nelle eme attuali difficoltà.

Probabilmente tale notizia infuse qualche speranza ai consiglieri del Re Giorgio e la cosa essendo pervenuta a cognizione del Ministro britannico accreditato presso quella Corte, questi s'affrettò di telegrafare a Lord Clarendon, che il Governo Greco pareva esser animato alla resistenza dall'idea che le Potenze protettrici non lo avrebbero abbandonato. La risposta di Sua Signoria a questo telegramma è già a conoscimento di V. E.; non mi dilungherò perciò sul tenore di essa. Ma di certo non posso celarle, Signor Conte, che il linguaggio del nuovo Segretario di Stato per gli Affari Esteri di S. M. la Regina prosiegue ad essere dei più violenti, qualora ei discorre della condotta del Governo ellenico.

Sia desiderio d'oltrepassare l'operato del suo predecessore in favore del mantenimento della pace, sia convincimento che lo scoppio d'ostilità tra la Grecia e la Turchia possa diventare il segnale per una gran lotta europea accompagnata da tutte le calamità che una tal guerra seco travolge -una cosa è però evidente in Lord Clarendon, cioè la risoluzione di usare tutta la sua influenza per impedire che il dramma della questione d'Oriente, sì universalmente paventato, abbia principio dalla scintilla emanata da quella infelice insurrezione cretese. che già pareva spenta.

L'ultima volta che io lo vidi ei mi ripeté nuovamente la fiducia da lui nutrita, che le Potenze avrebbero scorto l'importanza di rimanere unite nella ferma determinazione di non permettere che il conflitto Turco-ellenico prenda delle proporzioni maggiori, aggiungendomi d'essere persuaso che si sarebbe riuscito ad ottenere tale scopo qualora esista la medesima energia di propositi fra le nazioni interessate a veder mantenuta la tranquillità europea.

Sulla sincerità degli sforzi posti in opera dall'Inghilterra non vi può dunque essere alcun dubbio. Rispetto alla Francia Mylord pure dissemi che, sebbene la posizione del Governo Imperiale fosse alquanto compromessa verso quello di Grecia in seguito alla nota indirizzata al Divano sui fatti di Creta congiuntamente alle altre tre Potenze, e sebbene le idee della nazionalità greca fossero popolari in Francia, tuttavia il Gabinetto delle Tuileries dimostrava coi suoi atti d'essere deciso ad esercitare ad Atene la più grande pressione, onde persuadere al Governo Greco la necessità di osservare i suoi obblighi internazionali verso la Turchia.

Deggio però confessare che non ostante queste rassicuranti dichiarazioni,

prevale in Lord Clarendon un sentimento d'ansietà che ben dimostra quanto la situazione delle cose appaja grave ai suoi occhi. Infatti nelle frequenti conversazioni ch'ebbi in questi ultimi giorni tanto con lui che con l'Ambasciatore di Francia non ho ancora udito a far menzione d'un piano qualunque anche vaghissimo per addivenirne ad un componimento. Nè questo può recar meraviglia quando si considerino le difficoltà che a ciò s'oppongono. Ma nel tempo stesso come mai si può sperare di giungere ad un pacifico scioglimento quando da ambo le parti non havvi la menoma tendenza di porgere ascolto alla voce della conciliazione?

Il Sultano, uomo di carattere energ.ico, viene qui dipinto come risoluto a procedere fino agli estremi, preferendo per la dignità dell'Impero ad esporsi a qualsiasi rischiosa eventualità, piuttosto che permettere ad un piccolo Stato come la Grecia di continuare apertamente ogni specie d'atti ostili contro la di lui autorità.

D'altra parte il Ministro di Grecia presso questa Corte rappresenta a Lord Clarendon: 1° che lo stato dell'opinione pubblica nel Regno ellenico è tale da rendere impossibile qualunque misura di concessione alla Porta, mentre poi non v'ha in Grecia nessun uomo politico abbastanza forte per assumere una tale responsabilità sopra di se stesso. 2° che il Gabinetto inglese più d'ogni altro è in posizione di sapere queste cose, le quali vennero a lungo svolte l'anno scorso al Governo della Regina dal Re Giorgio medesimo nell'occasione del suo soggiorno a Londra. 3° che in tale circostanza dietro all'esposizione fatta dal giovane Monarca delle enormi difficoltà da cui trovavasi circondato, il Governo britannico, senza entrare in nessun particolare impegno, aveva però in certa guisa promesso il suo appoggio nella quistione di Creta, ove il ministero Ellenico fosse riuscito ad impedire ogni tentativo d'insurrezione nell'Epiro e nella Tessaglia, provincie che allora parevano pronte a sollevarsi.

Or bene, m'osservava il Signor Brailas, tutto questo fu fatto. Un gabinetto più moderato venne chiamato al potere, in surrogamento di un'amministrazione, la quale godeva la fiducia del paese, ma la cui politica poteva forse parere troppo avanzata alle Potenze protettrici. Che cosa era possibile far di più? «Dovrebbe ora la Grecia, per servirmi delle testuali parole del Ministro ellenico, ridursi a diventare entro i suoi proprj confini il gendarme della Turchia?».

Ho voluto ragguagliare la E. V. in modo alquanto particolareggiato su questo punto, onde contribuire per quanto sta in me a completare le di lei informazioni circa la importante vertenza, che tutto ad un tratto si produsse in Oriente. Vertenza, la quale pur troppo non potrà, anche supponendo agli sforzi della diplomazia europea ogni miglior successo, che essere pel momento raffazzonata, ma la cui soluzione non sarà definitivamente trovata che in seguito ad eventi per ora imprevedibili.

Chiesi al Ministro ellenico quale fosse l'attuale contegno della Russia rispetto alla Grecia, e seppi da lui che il Gabinetto di Pietroburgo raccomandava al Governo Greco di procurare che dalla Francia e dall'Inghilterra si facesse qualche proposta favorevole, ch'esso poi appoggerebbe con tutta la sua influenza di Potenza protettrice.

(l) T. 1449, non pubblicato.

763

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 770. Parigi, 18 dicembre 1868 (per. il 21).

La malattia del Marchese di Moustier ha preso in questi giorni una gravità tale da far supporre che per un tempo considerevole sarebbe impossibile a quest'uomo di Stato di occuparsi seriamente e con assiduità di sostenuti lavori. Dopo una conferenza che l'Imperatore, appena tornato da Compiègne, ebbe ieri col Ministro di Stato, Sua Maestà prese la determinazione d'accettare la demissione del Marchese di Moustier e di nominare in sua vece al Ministero degli Affari Esteri il Marchese di Lavalette. La determinazione fu presa jeri sera e i decreti relativi sono inseriti quest'oggi nel giornale ufficiale dell'Impero.

Il desiderio dell'Imperatore di mettere alla direzione degli affari esteri un uomo la cui presenza alla testa di quest'importante Ministero abbia per effetto di migliorare le relazioni tra l'Italia e · la Francia, e di far prevalere in Oriente una politica favorevole alla tranquillità di quei paesi, ma non troppo indulgente alla Turchia, ha contribuito alla nomina del Marchese di Lavalette.

Tuttavia questo cambiamento non avrebbe avuto luogo per ora, se la malattia improvvisa del Marchese di Moustier non fosse venuta a precipitare la risoluzione dell'Imperatore.

La nomina del Signor Forcade La Roquette al Ministero dell'Interno invece del Signor Piccard, demissionario, e quella del deputato Gressier al posto di Ministro dei Lavori pubblici non hanno un significato politico vero. Esse però tendono a dare maggiore omogeneità al Ministero, ad aggiungere autorità al Signor Rouher sulla cui proposta quelle nomine vennero fatte, ed a contentare la maggioranza del Corpo legislativo a cui esse sono benevise.

764

IL GENERALE CIALDINI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. Madrid, 19 dicembre 1868, ore 12,45 (per. ore 17,20).

J'ai écrit hier matin une lettre réservée que V. E. recevra dans quelques jours. Il est de la plus grande urgence que vous me disiez si le prince Amédée cas échéant pourrait accepter tròne d'Espagne sans autorisation parlement italien et dans ce cas si V. E. juge facile de l'obtenir. On redoute ici de faire fausse route par conséquent on veut savoir tout-à-fait confidentiellement à quoi s'en tenir. Je vous prie de répondre là dessus le plu-tòt possible. Je crois presque impossible que situation politique trouve solution satisfaisante prince Amédée ou bien due de Gènes. L'an vient de nommer hier au soir nouveau envoyé extraordinaire et ministre plénipotentiaire en Italie à la piace de M. Espafia certain Montemar dont je vous écrirai demain.

765 IL MINISTRO DELL'INTERNO, CANTELLI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

N. CONFIDENZIALE 4417. Firenze, 19 dicembre 1868 (per. il 22).

Dalla Prefettura di Como giungono a questo Ministero importanti notizie intorno a' disegni che attualmente volgono in mente il Mazzini ed i suoi, ed all'agitazione che vorrebbero produrre in Italia da Lugano, dove attualmente si trovano, e donde il vecchio cospiratore, ristabilitosi di sua grave malattia, parrebbe, secondo altre notizie, che si dispone a ritornare tosto in Inghilterra.

In primo luogo sembra che il Mazzini, abbandonando interamente al giudizio dei capi del partito la scelta dei mezzi secondo i luoghi ed i tempi, abbia riservato a sé solo l'indicare le norme direttive, secondo cui si dee regolare l'azione di tutti.

L'attenzione dei cospiratori di Lugano è particolarmente rivolta alla Spagna, i cui avvenimenti considerano in parte come opera loro, in parte come esempio e spinta per gli altri paesi, e specialmente per l'Italia. Persuasi che quando il principio repubblicano trionfasse in Spagna, gli sarebbe assicurata la vittoria in Italia, eccitano i repubblicani spagnuoli alla più disperata lotta contro i monarchici. Nè mostrano punto di preoccuparsi della Francia o che questa potrebbe rivolgere contro il loro partito la sua influenza e le sue forze, perché dicono che il movimento della Spagna, tiene in scacco la politica dell'usurpatore. E così si sono persuasi che dalla parte della Francia nulla han da temere, comunque non isperino in una prossima rivoluzione contro l'impero.

Quanto all'Italia, il tempo in cui intendono di spingere al disegnato movimento non è fissato; il Mazzini stesso lo farà conoscere; ma l'occasione ne dee essere l'attuazione della tassa sul macinato. Questa, secondo essi, dovrà produrre un tale malcontento, che sarà facile farlo degenerare in rivolta; ed i germi dicono esserne già preparati fino nell'esercito. Coinciderebbe con queste informazioni il fatto che qualche Prefetto, come quello di Treviso, domanda di avere accresciuto il numero delle Stazioni de' Carabinieri per l'attuazione della detta tassa, temendo di qualche fatto materiale di resistenza da parte de' contribuenti.

Sentono i Mazziniani, secondo il rapporto del Prefetto di Como, che un grande ostacolo a' loro disegni troverebbero nella fermezza dell'attuale Ministero. Si sarebbero però risoluti a fargli movere una guerra ad oltranza nella Camera. Sopra tutto prenderebbero di mira il Presidente del Consiglio, e le stesse sue dichiarazioni alla Camera per l'affare Monti e Tognetti sarebbero rappresentate come vane parole contrarie alle convinzioni di chi le pronunziò, e dirette solo a calmare i più semplici.

Mostrano anche di credere e di fare credere che, come è avvenuto in !spagna, così anche in Italia antichi servitori e devoti amici della Corona se ne abbiano a staccare; con che è inutile di dire a chi intendono di fare più specialmente attenzione.

Bisogna da ultimo notare che secondo tali informazioni, in tutte codeste combinazioni mazziniane è lasciato interamente in disparte il Garibaldi, che l'Unità Italiana già chiama zoppo sfiduciato, esautorato. L'azione però dei capi locali del partito d'azione sarebbe viva, energica, incessante.

Quando pure in queste notizie potesse esservi qualche cosa di esagerato, attesa la loro importanza, il sottoscritto ha creduto necessario di tenerne particolarmente informata l'E. V.

766

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 771. Parigi, 19 dicembre 1868 (per. il 22).

M'affretto d'accusar ricevuta del dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il 13 corrente, sotto il n. 428 di Serie Politica, riservato (1). La ringrazio vivamente delle notizie ed osservazioni in esso contenute, ed ho l'onore di riferire all'E. V. quanto pervenne a mia cognizione intorno agli argomenti ivi trattati.

Sembra che anche a Parigi non abbia piaciuto la condotta tenuta dall'Ambasciatore di Francia a Costantinopoli, la quale fu giudicata come troppo indulgente verso la Turchia, e che in generale sia stata poco approvata la direzione data dal Marchese di Moustier all'azione diplomatica della Francia in Oriente. Si crede anzi che sia questa una delle varie ragioni che motivarono il cambiamento del Ministro degli Affari esteri in Francia. Ma d'altra parte pare incontestabile che la Francia non solo non cerca complicazioni in Oriente, ma vorrebbe evitarle, e si studia di farlo in ogni guisa. Posso accertare l'E. V., per quanto è possibile il dare assicurazioni in siffatta materia~ che l'Imperatore Napoleone non impegnerà la questione di guerra, se avverrà che l'impegni, sul terreno della Grecia, o dei Principati danubiani, o su altro simile terreno. Se la questione di guerra s'impegnerà, è probabile che ciò sarà sul terreno franco-germanico, non altrove. L'Imperatore Napoleone è troppo oculato ed ha troppa esperienza del suo paese per impegnarsi in una grossa guerra per questioni di politica generale che non tocchino direttamente ed immediatamente la Francia. A mente umana non è dato di prevedere fin d'ora se la guerra ci sarà o non ci sarà in un prossimo avvenire. È probabile che se la Prussia continua nella condotta prudente e corretta che tenne finora, ed alla quale l'E. V. nel dispaccio a cui rispondo, rende i debiti elogj, la guerra s'eviterà. Ma ciò che si può con più probabilità affermare si è che sarà appunto sulla condotta della Prussia e su quella della Francia e dell'Austria per le cose di Germania e per gli armamenti reciproci che potrà nascere l'occasione delle complicazioni. Gli intrighi d'Oriente credo che tocchino più specialmente l'Austria, la quale decisamente non ha preso, a quanto pare, il suo partito del trattato di Praga. Sembra certo che l'Austria

1l) Cfr. n. 744.

vagheggia la possibilità d'una guerra fra la Prussia e la Francia, e non è avara d'incoraggiamenti verso quest'ultima. Non so se i timori dell'Austria sul progresso del panslavismo e del rumenismo nei suoi Stati siano intieramente fondati, e se non si esagerino forse. Comunque sia, è cosa importante il tener d'occhio le tendenze del partito magiaro. È vero bensì, come giustamente osserva l'E. V., che i Magiari si pronunziano in un senso sfavorevole ad una guerra che abbia per obbiettivo la questione germanica. Ma non è men vero che gli sforzi del partito magiaro sarebbf:ro impotenti a circoscrivere le complicazioni, ov'esse si verifichino, sul terreno orientale, e la questione germanica si presenterebbe pur sempre, ad ogni segnale di complicazione in Europa, minacciosa, urgente, formidabile. Ora, se la guerra s'impegnasse tra la Francia e la Prussia, non sembra esservi dubbio che l'Austria si dichiarerà contro quest'ultima, e in caso di vittoria essa vorrà ripigliare l'antica influenza in Alemagna ed aggiungere all'Impero austriaco almeno la Slesia, accrescendo cosi la proporzione delle popolazioni di razza germanica nell'Impero.

Le popolazioni magiare vedrebbero così spostarsi nell'Impero stesso le proporzioni delle influenze di razza che ora sono in loro favore.

767

PIO IX A VITTORIO EMANUELE II (l)

L. Dal Vaticano, 19 dicembre 1868.

Ho ricevuto l'ultima lettera di Vostra Maestà (2) consegnatami dalla persona alla quale Ella l'ha affidata, e che non mi ha fatto parola del contenuto, quantunque è da credere che lo conoscesse. Anche la prima persona che m'inviò, e che aveva l'incarico di dire a voce quello che Vostra Maestà ha registrato nella lettera, con me si tacque pienamente, essendo Io persuaso che l'uno e l'altro si sarebbero vergognati di parlarne. Ora non mi resta altro che abbracciarla di nuovo, compatirla moltissimo, augurarle migliori consigli, e pregarle da Dio molte grazie efficaci e la sua divina protezione.

768

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO D~GLI ESTERI, MENABREA, AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, A PARIGI, NIGRA, A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, A VIENNA, PEPOLI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

T. 809. Firenze, 20 dicembre 1868, ore 16,15.

L'ordre donné par la Porte aux Gouvernements de Servie et des Principautés de renvoyer les grecs dans un délai déterminé peut-étre le signa! de

nouvelles complications bien plus sérieuses entre la Porte et la Grèce. Veuillez me faire connaitre l'opinion du Cabinet de... à cet égard, et sachez me dire ce qu'il a I'intention de faire en cette occurrence (l).

(l) -Ed. in PIRRI, vol. III, p, 200 e in Lettere Vittorio Emanuele II, vol. II, pp. 1368-1369. (2) -Cfr. n. 739.
769

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 1244/530. Londra, 20 dicembre 1868 (per. il 27).

Il Conte di Bernstorff è venuto a casa mia avant'jeri per parlarmi della situazione attuale delle cose d'Oriente e per conferire meco d'un punto importante che confidenzialmente gli veniva segnalato da Berlino.

Dal Conte di Bismarck gli erano stati inviati dei documenti diplomatici provenienti dalle principali capitali europee i quali accusavano direttamente l'Austria d'avere spinto l'Impero Ottomano alle misure di rigore state prese recentemente contro la Grecia, e l'Ambasciatore prussiano chiedevami se fosse a mio conoscimento che qualche cosa di questo genere realmente avesse avuto luogo.

V. E. mi aveva per telegramma posto la questione addì 5 corrente (2), se la presente attitudine della Porta non poteva anche essere frutto di qualche straniero intrigo, e parlatone a Lord Stanley che ancora trovavasi al potere, già Le risposi, Signor Conte, per telegrafo (3) come Sua Signoria mi dicesse non essere sua opinione che qualche potenza estera avesse contribuito ad ispirare al Governo Turco la risoluzione d'uscire finalmente dalla sua lunga inazione.

Fu però mia cura speciale da quell'istante di raccogliere ogni possibile informazione a questo riguardo, e in un colloquio ch'ebbi coll'Ambasciatore di Francia feci cadere la conversazione su questo argomento, ed il medesimo si lasciò sfuggire le seguenti parole:

«Je crois que si quelqu'un parmi le Représentants étrangers à Constantinople a pu pousser la Porte vers des mesures de rigueur ce serait peut etre l'internonce d'Autriche >>. Ma quasi pentito d'avermi detto tanto, il Principe La Tour d'Auvergne cercò subito ad attenuarne la portata aggiungendo che tutte le potenze erano in massima d'accordo per impedire una rottura di ostilità.

Con molta circospezione mi servii di questa, che chiamerò quasi involontaria confessione, col Conte di Bernstorff, e dalle cose da lui dettemi pria,

circa gli sforzi fatti dal Barone Beust per compromettere la posizione della Prussia nei Principati Danubiani e generalmente in Oriente, non che dai cenni contenuti nell'interessantissimo dispaccio riservato di V. E. al Commendatore Nigra del 13 corrente (1), che trovai acchiuso alla spedizione recatami dal corriere Anielli, ne venni a riconfermarmi ne' sospetti che l'Ambasciatore di Prussia aveva in me risvegliato durante l'abboccamento, che riferii all'E. V. col mio rapporto n. 520 di questa serie medesima (2), allorquando ei mi diceva che o complice o vittima della Francia, l'Austria lavorava in Oriente in un modo molto inquietante pel mantenimento della pace.

Varie e vaghe sono le congetture che a questo riguardo si fanno, né potrebbe essere altrimenti in una materia così delicata, ove la verità viene accuratamente nascosta da false apparenze.

Ma non ostante la molteplicità e discrepanza delle versioni che corrono circa tale argomento, in un punto però invariabilmente s'accordano, quello cioè d'attribuire alla Francia un doppio giuoco in Oriente allo scopo di giungere al suo accarezzato fine di creare una grande lotta continentale che possa offrirgli il destro di soddisfare la sua ambizione sul Reno, senza provocare la Prussia sul pericolosissimo terreno della quistione Germanica. Politica che viene potentemente assecondata dall'Austria, la quale vi trova un medesimo interesse.

Tutte queste cose turbano assai l'animo del Conte di Bernstorff, e gli fanno deplorare ogni giorno vieppiù maggiormente il cambio avvenuto nella direzione suprema del «Foreign Office ». Lord Stanley era colui che comprendeva il vero nodo della quistione che agita il continente. Lord Clarendon invece è tuttora l'alleato francese della guerra di Crimea, il quale non alberga o almeno non dimostra albergare sospetto di sorta verso i veri disegni dell'Imperatore Napoleone, e con tale attitudine il nuovo Segretario di Stato per gli Affari Esteri della Regina espone l'Inghilterra al rischio di pregiudicare i reali interessi dell'Europa.

Dal Ministro di Grecia qui accreditato si odono le più acerbe lagnanze sul contegno serbato a Costantinopoli dal Signor Bourée e dal Barone di Prokesh.

Lord Clarendon al contrario dice che la Francia dà prova in quest'istante della più viva sollecitudine coi tentativi da lei spiegati per evitare alla Grecia le tristi conseguenze d'un conflitto. A c~1i dunque prestar fede? Quale conclusione tirarne?

Ora stesso per esempio che incominciasi a parlare vagamente d'un progetto di conferenza per lo scioglimento delle presenti difficoltà, si pretende che la Francia vedrebbe la riunione d'un tale consesso con molto favore. Non sarebbe questa una occasione per il Governo Imperiale di rendere estensibile una finta buona volontà, la quale gli offrirebbe il destro di fomentare di nascosto le complicazioni utili ai suoi disegni?

Ecco le considerazioni, che a mio avviso, dovrebbero attirare l'attenzione delle Potenze realmente interessate nella preservazione della pace europea, ed

in ispecie quella della Gran Bretagna; ma temo pur troppo che Lord Clarendon non sia per agire precisamente in questa contingenza, come avrebbe agito il suo predecessore.

(l) -Per le risposte cfr. nn. 770, 771, 773. Pepoli comunicò con t. 1475 del 22: «Beùst m'a rassuré sur l'ordre donné à la Servie et aux Principautés danubiennes d'expulser les grecs. La Turquie s'est limitée à notifier simplement aux deux Gouvernements les mesures qu'elle avait adoptées ». De Launay comunicò con t. 14!>9 del 21: «Tout en croyant que question de drolt meriterait plus ample examen Cabinet prussien a énoncé comme Russie Angleterre et France l'ont fait avec quelque nuance regret sur la mesure du renvoi des grecs établls en Serbie et Roumanle ». (2) -T. 788 del 5 dicembre, non pubblicato. (3) -T. 1419 del 7 dicembre, non pubbllcato. (l) -Cfr. n. 744. (2) -Cfr. n. 715.
770

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1465. Parigi, 21 dicembre 1868, ore 7,50 (per. ore 10,05).

J'ai eu une conversation sur les affaires de Grèce avec marquis de La Valette. Il me dit que la Prusse vient de proposer la réunion immédiate à Paris d'une conférence des représentants des Puissances garantes dans le but d'empécher les hostilités. Le premier acte de la conférence serait d'annoncer à la Turquie de suspendre toute mesure d'expulsion ou hostilité et à la Grèce de s'abstenir de tout acte d'hostilité ou de représaille tant que la conférence n'aurait pas avisé. Le Gouvernement français parait disposé à adhérer à la proposition prussienne, d'autant plus que ce mode de procéder est indiqué dans les protocoles de Paris.

Le marquis de La Valette tient à savoir si le Gouvernement du Roi se rallierait à cette proposition. Je vous prie de me télégraphier vos instructions (l). Le marquis de La Valette désire sincèrement arriver à une entente avec les Puissances pour éviter toute complication en Orient.

771

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1470. Londra, 21 dicembre 1868, ore ... (per. ore 23).

J'ai vu lord Clarendon à l'instant il juge les dernières mesures de la Sublime Porte vis-à-vis des Principautés et de la Serbie comme des plus fàcheuses. Pour le moment, il s'est borné à télégraphier à Constantinople en conseillant le Porte à ne pas les mettre en exécution. Je vous informe très confidentiellement que l'ambassadeur de Russie et celui de Prusse ont vaguement insinué à lord Clarendon aujourd'hui la propos de tenir une conférence à Paris où à Londres pour aplanir le différend entre Porte et Grèce. Milord à très mal reçu cette idée. Selon lui une conférence mettrait une foule de question sur le tapis qu'il vaut mieux éviter de soulever. Télégraphiez moi si je dois aussi tàcher de faire prevaloir auprès du ministre des affaires étrangères l'idée de la conférence. Ce n'est pas Milord qui m'a parlé de ceci, mais je le tiens pourtant de très bonne source.

(l) Menabrea rispose con t. 810, pari data, ore 14: <<Si une invitation nous était faite dans le sens de votre télégramme pour prendre part à une conférence ayant pour objet d'empécher !es hostilités entre la Turquie et la Orèce, nous serions disposés à nous y rendre ».

772 IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1477. Vienna, 22 dicembre 1868, ore 3,10 (per. ore 12,15 del 23).

Voilà les .paroles textuelles de Beust. Suivant ce que Beust m'a répondu, dépuis huit jours il a déclaré à Londres et à Paris qu'il s'abstenait de toute espèce d'intervention, mais qu'il est prét à s'associer à toute mesure qui tendrait à éviter complication qui peut surgir de ce conflit. D'après ses nouvelles avant hier Gortschakoff avait envoyé à Paris memorandum pour proposer que différend turco-grec soit soumis aux délibérations des grandes Puissances. Beust trouve cette proposition très sage, pratique, il est prét à s'y associer, il pense que si elle est adoptée les deux Etats rentreraient dans la calme. Quant à la proposition prussienne qui lui a été vaguement signalée par Metternich il ne la trouve pas correspondante aux circonstances car les mesures que la Turquie mette à exécution sont représailles de l'aide donné par la Grèce à l'insurrection de Candie. Il faut obtenir préalablement que la Grèce cesse tout secours et appui aux insurgés. De manière que Beust m'a semblé très contrarié initiative du Gouvernement prussien, mais je crois qu'iJ. finira par accepter toute proposition pacifique (l).

773

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1474. Pietroburgo, 22 dicembre 1868, ore 3,50 (per. ore 22,50).

L'Angleterre a proposé l'intervention diplomatique des trois Puissances protectrices avec l'acceptation préalable de l'ultimatum turc. Cabinet russe a fait contreproposition d'une entente entre les six puissances signataires du traité de 1856 et a écrit dans ce sens à ses représentants. Cette proposition est identique au projet dont le marquis La Valette a parlé au chevalier Nigra. Cabinet russe accepterait Paris comme siège de la conférence. Gortchakoff a télégraphié au consul russe à Bukarest en stigmatisant comme barbare l'intimation d'expulser sujets grecs. D'après le langage des ambassadeurs de France et d'Angleterre ici les grandes puissances seraient d'accord sur l'appréciation de ce point. Gortchakoff m'a annoncé avec l'expression de la plus grande sympathie et de la plus haute estime pour V. E. que l'Empereur a bien voulu vous nommer grand cordon de Saint Alexandre Newski.

56 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

(l) Pepoli aveva comunicato con t. 1471 del 21 dicembre: «Je n'ai pas vu Beust mais on dit ce soir, je ne sais pas avec quel fondement, qu'Autriche n'est pas favorable aux propositions conférence ».

774

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1473. Berlino, 22 dicembre 1868, ore 4,50 (per. ore 10,40).

Le projet prussien continue à produire bon effet à Saint Pétersbourg et à Paris. Lavalette avant de faire réponse définitive désirerait prendre l'avis des autres Puissances; mais à Londres l'accueil laisse beaucoup à désirer. L'Angleterre voudrait conférence des trois Puissances protectrices et non des six Puissances garantes comme la Prusse le demande.

On a été très satisfait ici de notre bon vouloir à adopter, le cas échéant, la conférence (l).

775

IL GENERALE CIALDINI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. Madrid, 22 dicembre 1868, ore 12,05 (per. ore 19).

Je viens d'avoir seconde conférence secrète avec Serrano qui forcé abandonner due de Montpensler accepte prince Amédée pourvu que l'on puisse se passer de l'autorisation du Parlement italien. Nous avons donc favorable au prtnce Amédée Serrano Prim chef du parti progressiste et Rivero chef du parti démocratique. Votre réponse devient de plus en plus urgente et décidéra peut-étre avenir de l'Espagne. Pas un mot de tout celà au comte Corti ministre italien d'ici.

776

IL MINISTRO A MADRID, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. Madrid, 22 dicembre 1868, ore 14,30 (per. ore 19,05).

J'ai eu cette nuit conférence avec Rivero qui est la plus grande figure de la révolution présente; quoique républicain en théorie il est décidé à soutenir prince Amédée pourvu que on puisse l'avoir sans dtscussion du parlement italien. On ne peut s'engager sans etre siìr de réussite. On rédoute il a dit résultat discussion Parlement italien et on ne peut pas agir dans un but incertain. En résumé prince Amédée réunit grande chance de succès si on peut l'accorder sans autorisation parlement. Il a dit que la candidature due de Génes est impossible car on ne veut pas régence.

Je prie V. E. de réponse catégorique au plus-tòt possible.

(l) Cfr. n. 770, nota l.

777

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

T. 813. Firenze, 22 dicembre 1868.

Je suis surpris que baron de Beust semble repousser l'idée d'une conférence pour arranger le différent turco-grec (l); s'il en était ainsi, sa résistance aurait pour résultat de donner prise aux soupçons surgis de divers còtés, que l'Autriche n'est pas étrangère aux instigations qui ont poussé la Turquie à prendre une résolution si énergique. Tachez de savoir ce qu'en pense le comte d'Andrassy et de faire comprendre adroitement que l'Autriche se compromettrait en ne voulant pas seconder les tentatives d'arrangements proposées (2).

778

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

L. P. Londra, 22 dicembre 1868 (per. il 27).

Mi valgo del mezzo sicuro che m'offre la venuta a Londra d'un corriere di Gabinetto per rassegnarle, Signor Conte, un incidente abbastanza rilevante che si presentò in una delle mie recenti conversazioni con Lord Clarendon.

Già accennai all'E. V. come Mylord nel suo desiderio di vedere a mantenersi la pace europea ponga la più alta importanza a ciò che tutti i grandi Stati europei siano d'accordo nel serbare in Oriente una stessa attitudine, e nel tenere uno stesso linguaggio ad un tempo conciliante e risoluto, che valga a togliere ogni speranza alle turbolente popolazioni cristiane vassalle della Porta di vedere la loro politica rivoluzionaria appoggiata o anche solo tollerata da essi.

Ritornato Lord Clarendon uno dei passati giorni su questo suo tema favorito, mi ripeté di nuovo la speranza che l'Italia non si sarebbe dipartita da questa linea, massime ne' Principati danubiani, ove « se ben mi rammento », aggiunse Sua Signoria, « la condotta degli Agenti del vostro Governo non è sempre identica a quella seguita dai Consoli delle altre Nazioni, tenendosi i vostri in disparte in certe occasioni in cui gli Agenti esteri hanno ordine di dimostrar col loro contegno la disapprovazione provata dalle Potenze per gli atti aggressivi del Governo rumeno».

A questa osservazione non potei trattenermi dall'esternare a Mylord il mio profondo stupore di sentirlo ad esprimersi in tal guisa, e lo assicurai che le istruzioni date ai nostri agenti tanto diplomatici che consolari, sia in Turchia che nei Principati non differivano da quei sentimenti pacifici e concilianti, i quali non hanno mai cessato d'animare il Governo del Re, e di cui il Governo britannico aveva avuto molte prove.

Dissi inoltre a Lord Clarendon che da tutte le corrispondenze dei nostri Agenti Consolari che mi pervenivano da codesto Ministero riceveva continuamente la conferma di questo fatto, e che perciò respingeva interamente anche il sospetto che l'attitudine delle nostre Autorità Consolari in Oriente differisse da quella serbata dagli Agenti degli altri Stati.

Il Ministro degli Affari Esteri mi dichiarò la sua soddisfazione di sentirmi a parlare siffattamente, e credo in realtà di avere riuscito a dissipare l'erronea impressione che non so spiegarmi come regnava in lui.

Mi tornava infatti inconcepibile che senza nessun fatto recente per parte nostra che potesse ingenerare in Mylord simili idee esagerate, se non altro, sulla nostra attitudine in Oriente, egli al primo momento della sua venuta al potere mi tenesse un così strano linguaggio -ed ho cercato di trovarne il movente.

Non è ignoto all'E. V., come, in altro tempo ed essendo al potere i Whigs, non poche mene ed agitazioni politiche turbavano i Principati sovra menzionati, e come, a torto o a ragione, gli amministratori che allora reggevano le cose nostre fossero accusati d'avervi partecipato.

Mi ricordo io stesso che varj anni fa il generale Turr si condusse qui con una missione del Governo del Re presso quello d'Inghilterra, e che fu dal Marchese d'Azeglio accompagnato da Lord Palmerston, allora lo Ministro. Tale missione si collegava colle cose d'Oriente, e fu anche una delle circostanze che contribuirono a produrre qualche sospetto circa la nostra politica nella Rumenia, presso il partito cui appartiene l'odierno Segretario di Stato per gli Affari Esteri. Non è quindi da recar meraviglia che Lord Clarendon sia ancora sotto l'impressione di quelle antiche preoccupazioni sue e del suo partito.

Posso asserire con certezza che ajutato grandemente dalla savia ed illuminata politica dell'E. V., che tante simpatie Le ha conciliate in Inghilterra fra gli uomini di Stato, ho riuscito a quasi distruggere nella mente di questo Ministro quei ricordi d'un'altra epoca.

Ho preferito informarla di quanto precede sotto forma di lettera particolare anziché per un rapporto di serie politica, onde non dare a quest'incidente un'importanza che in verità non possiede, e che acquisterebbe ove lo si ponesse in una via officiale, essendo le parole di Lord Clarendon state d'un carattere intimo e privato; ma però, se m'è lecito più oltre intrattenerla in queste mie riflessioni, debbo dirle, Signor Conte, che non sarebbe fuor di proposito per la nostra politica d'Oriente, il trovar modo indirettamente di far dileguare qualunque ombra di sospetto verso di noi; ed è dato solo alla sua alta prudenza apprezzare l'opportunità e il mezzo conveniente per porre in opera tale intendimento.

(l) -Cfr. n. 772, nota l. (2) -Per la risposta cfr. n. 781.
779

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, ROUHER (l)

L. P. Parigi, 22 dicembre 1868.

Voici une dépeche que le Roi m'envoie, voulez-vous avoir la complaisance

de la faire parvenir à S. M. l'Empereur?

Le Roi, qui n'a rien reçu de Rome, craint que des nouvelles exécutions

aient lieu, dans ce moment elles feraient un effet déplorable en Italie et em

pecheraient de marcher dans la voie de conciliation que l'on a adoptée.

Mettez-moi, je vous prie, à meme d'envoyer à Turin une dépeche qui puisse

tranquilliser Sa Majesté.

780

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL GENERALE CIALDINI, A MADRID

T. Firenze, 23 dicembre 1868, ore 12,20.

J'ai télégraphié et écrit au Roi relativement au due d'Aosta. Je n'ai pas encore de réponse. On étudie la question par rapport au Parlement. Il s'agit d'une décision tellement grave qu'on ne peut pas la prendre légèrement d'autant plus que le programme primitif qui avait pour base la due de Genes est changé. Toutefois je ferai mon possible pour vous donner au plus tòt une réponse explicite.

781

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1479. Vienna, 23 dicembTt! 1868, ore 17,10 (per. ore 19,20).

Beust m'a dit qu'après notre entrevue d'hier H avait reçu un télégramme de Metternich qui lui annonçait projet de conférence proposé par Prusse et que Napoléon penchait à l'accueillir si c'était aussi l'opinion de l'Autriche. Beust répondit avoir dit toujours etre pret à s'associer à toute tentative de conciliation; qu'il acceptait la conférence si agréable à la France mais qu'il se réservait d'en discuter le programme. Il m'a lu plusieurs télégrammes de Petersbourg, il m'a dit que le bruit que la Russie suscite les grecs est aussi faux que le bruit que l'Autriche encourage les tures. Il croit que Stackelberg proposait de restreindre conférence aux trois Puissances protectrices, mais la France déclarait nettement qu'elle refusait conférence sans Italie et Autriche. Beust paraissait aujourd'hui plus calme, satisfait des procédés de La Valette,

n'avait pas nouvelles d'Angleterre, ne croyait pas conférence y trouverait opposition. Télégramme d'hier (l) a été écrit sous sa dictée, ainsi termes textuels, comme annoncait projet de conférence, j'ai employé termes textuels de votre télégramme (2). Andrassy n'est pas à Vienne.

(l) Da ACR.

782

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1481. Londra, 23 dicembre 1868, ore ... (per. ore 22,50).

Hier dans un long conseil des ministres le Gouvernement anglais a décidé d'accepter la conférence et son adhésion a été formellement donnée ce matin.

Lord Clarendon y accède à son corps défendant s'étant fort opposé, il exige pourtant qu'on énonce les bases de l'arrangement et les limites de la discussion: ceci n'est pourtant qu'une matière de formalité et la réunion de la conférence est assurée. Il me revient de très bonne source que les travaux de la conférence auront principalement pour objet le remaniement des points de l'ultimatum turc pour le rendre acceptable à la Grèce. Je viens de voir lord Clarendon. Il ne croit pas au refus de l'Autriche. Au reste une dépeche arrivée à l'instant de Vienne annonce son acceptation.

783

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 431. Firenze, 23 dicembre 1868.

Il Signor Barone di Malaret venne oggi a leggermi un dispaccio del suo Governo in data del 19 corrente, nel qual dispaccio è detto che il Governo del Re si era rivolto a quello di Francia, per una via riservata, allo scopo di ottenere dal Pontefice la commutazione della pena capitale pronunziata a Roma contro Aiani e Luzzi. Il Governo imperiale si è affrettato di aderire alla domanda fattagli ordinando al suo Ambasciatore in Roma di muovere quei passi che fossero necessari per raggiungere l'intento. Il dispaccio della Cancelleria francese lettomi dal Signor di Malaret dice inoltre che il Signor di Banneville avendo eseguito le istruzioni ricevute riferiva che il processo di Alani e Luzzi era in quel punto sottoposto alla revisione del tribunale superiore e che quand'anche la sentenza venisse confermata l'Ambasciatore imperiale nutriva fiducia che la pena capitale sarebbe commutata. Il dispaccio comunicatomi dall'inviato di Francia conchiudeva col raccomandare che l'Italia si astenesse da tutto ciò che potendo sembrare d'indole ad offendere la dignità

-o l'indipendenza della S. Sede potesse sconsigliare al Pontefice un atto di clemenza che è nelle sue intenzioni.

Ho ringraziato vlvamente il Signor di Malaret della comunicazione ch'egli mi faceva. Desiderava anzi tutto, gli dissi io, che egli rassicurasse pienamente il suo Governo sull'atteggiamento del Governo italiano verso la Corte di Roma. Non sarebbe mai negl'intendimenti nostri di voler esercitare con intempestive dimostrazioni una pressione sull'animo del Pontefice. Sapevamo che ove prendessimo un simil partito, giungeremmo ad un effetto interamente contrario a quello che noi desideravamo ottenere. Il Governo del Re avea osservato con occhio attento l'impressione generalmente prodottasi in Italia a seguito delle esecuzioni capitali che recentemente aveano avuto luogo in Roma. Qust'impressione avea reso più difficili quei temperamenti che potranno riavvicinare Roma all'Italia. Se non si voleva perdere ad un tratto il frutto di laboriosi sforzi fatti nel senso di agevolare i rapporti fra i due territori, bisognava che per parte nostra si facessero tutti quei passi che ci sembravano necessari per arrestare il Governo pontificio nella via delle sanguinose repressioni.

Non fu dunque per ubbidire soltanto ad un sentimento altamente umanitario, ma anche per continuare una politica di conciliazione che il Governo del Re ha stimato opportuno muovere passi per impedire che si compissero nuovi atti che avrebbero inevitabilmente sollevato l'indignazione della grande maggioranza degli Italiani contro la Santa Sede. Il Governo imperiale doveva vedere nelle pratiche da noi fatte una riprova dei sentimenti di moderazione e delle intenzioni sagge e ferme del Gabinetto di Firenze in ciò che concerne i rapporti dell'Italia con Roma.

La S. V. sa infatti che il Signor Cavalier Federigo Morozzo della Rocca, luogotenente generale ed aiutante di campo di S. M. il Re fu incaricato dalla Maestà Sua di una missione personale presso il Sommo Pontefice allo scopo di chiedergli la commutazione della pena pronunziata contro Luzzi ed Alani. Il Generale Morozzo ebbe benevole accoglienze dal Santo Padre senza però averne alcuna assicurazione sull'oggetto che lo avea condotto in Roma. Ma intanto il partito che signoreggia nella curia romana si adoperava con ogni artifizio ad accreditare le più singolari novelle sul pessimo ricevimento che Pio IX avrebbe fatto al Generale Italiano. E di qui noi possiamo con fondamento trarre un nuovo indizio anzi nuova prova dell'intento costante di quel partito ad impedire ogni conciliazione ed a spingere si l'Italia che la Santa Sede ad intemperanti risoluzioni.

Noi desideriamo, Signor Ministro, ch'Ella dia alle cose sovra dette tutto quello sviluppo che le medesime consentono ogni qual volta le verrà fatto di ragionare intorno a questo argomento con S. E. il Ministro per gli Affari Esteri dell'Imperatore.

(l) -Cfr. n. 772. (2) -Sic ma probabilmente deve esserci nella frase qualche errore di decifrazione.
784

IL GENERALE CIALDINI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. u. Madrid, 24 dicembre 1868, ore 0,55.

Programme qui avait pour base due de Genes a été écarté à cause de son age. Formation régence provoquerait de suite proclamation république avec Espartero. Prince Amédée a la chance de réunir peut-etre toutes les branches du parti monarchique libéral à la condition sine qua non de savoir confidentiellement d'avance que l'on peut compter sur lui. S'il est mis en discussion dans le parlement italien il devient par là impossible en Espagne. La question est grave comme vous dites (1), mais c'est à prendre ou à laisser. Hier au soir j'ai eu une longue conversation avec frère cadet d'Olozaga, homme influent. II répond de son frère ambassadeur à Paris qui sera selon toute probabilité président des Cortes constituantes. Ministre d'Italie se conduit ici d'une manière contraire à nos intérets, ses propos sont étonnants et font beaucoup de tort à nos projets. Tàchez de bien recevoir M. de Montemar chaud partisan du due d'Aoste.

785

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL GENERALE CIALDINI, A MADRID

T. Firenze, 24 dicembre 1868, ore 16.

Je reçois meme temps vòtre deuxième télégramme (2) et vòtre importante lettre du 18 courant (3). Je transmets immédiatement l'un et l'autre à Sa Majesté à Turin, et j'éspère que sous peu je serai à meme de vous donner une réponse explicite.

L'absence du Roi apporte nécessalrement un retard que ces messieurs de Madrid ne doivent pas interpréter de mauvaise part. En attendant je vous prie d'observer que les Rois de France et d'Espagne sont déclarés majeurs à 13 ans or le Due de Genes aura 15 ans au mois de février prochain. Ainsi quand bien meme le choix tomberait sur lui il n'y aurait pas de régence. Veuillez reflechir sur ce point qui aiderait à amener une solution dans le cas où il y aurait un obstacle insurmontable à l'égard du due d'Aosta qui du reste ne me semble pas pour le moment devoir y etre.

786

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (4)

T. Torino, 24 dicembre 1868, ore 22,20.

Ce soir part lettre pour chevaux arabes d'accord avec petigri, de tous prix fixé trois cent novante mille fait le prix à chacun, reçu lettre Nigra qui rapporte conversation Empereur sans parler de plusieurs choses Autriche Tyrol oui Nice

non, Nigra ont beaucoup de secret dites moi ce que vous savez, je désire savoir quand sera Florence individu français envoyé pour chevaux, vos commissions partent ce soir.

(l) -Cfr. n. 780. (2) -Cfr. n. 784. (3) -Non rinvenuta. (4) -Da ACR, ed. con data 21 dicembre In Lettere Vittorio Emanuele II, vol. II, p. 1371.
787

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 307. Berlino, 24 dicembre 1868 (per. il 30).

J'ai vu ce matin le Comte de Bismarck. Je l'ai félicité de son initiative

pour enrayer des complications menaçantes en Orient. Je l'ai prié en meme

temps de me mettre à meme de renseigner mon Gouvernement sur la marche

de cette affaire.

C'est en suite d'un cri de détresse poussé par le Comte Brassier, de Constantinople, surtout au sujet de la mesure exorbitante du renvoi dans un terme déterminé des sujets helléniques, que le Cabinet de Berlin a cru devoir s'adresser aux Puissances protectrices pour appeler toute leur attention sur les dangers de la situation. La Prusse serait disposée à s'associer à toute tentative favorable au maintien de la paix. Elle suggérait en meme temps l'idée d'une conférence ad hoc entre les Puissances garantes.

Cette idée a été favorablement accueillie sauf à Londres. Il para1t que la Russie a fait de son còté une démarche. Pourvu que cette démarche, au lieu de la faciliter, n'entrave pas une solution en présence des défiances injustes dont cette Puissance continue à étre l'objet auprès de certaines Puissances. L'Angleterre craint, entre autres, que le Gouvernement Russe, malgré toutes ses assurances, ne veuille profiter de la circonstance pour soulever la question d'une révision des Traités de 1856. Bref, il a été exprimé le désir, puisque la proposition, était prussienne, que ce fut le Cabinet de Berlin qui traçat lui-meme les bases.

Quand j'arrivais chez le Président du Conseil, il était précisément occupé à rédlger un projet de réponse au Marquis de Lavalette qui le premier avait taxé de proposition prussienne l'initiative prise par la Prusse, quand elle s'était bornée à suggérer une idée. La Russie, s'il est exact qu'elle ait agi de son còté, réclamera peut-etre la priorité. Qu'à cela ne tienne, rien n'empeche qu'elle aussi reçoive une mention honorable.

Le Comte de Bismarck a bien voulu me lire son projet de télégramme qui devait ètre expédié dans la journée. Le but de la conférence serait celui d'empecher une aggravation du conflit. La base générale serait d'examiner les demandes équitables à formuler à la Grèce qui est évidemment dans son tort, et qui, soit dit en passant, s'est conduite avec une maladresse inconcevable. Le point de départ des délibérations pourrait étre l'ultimatum de la Sublime Porte. Il a fallu écarter de la rédaction tout ce qui pourrait porter ombrage, à des poinls de vue différents, soit à Londres soit à St. Pétersbourg. Si une certaine satisfaction est due à la Turquie, il convient cependant de glisser sur le mot garantie pour l'avenir, autrement le Cabinet Anglais pourrait supposer que la Russie essayerait à son tour de demander, comme garantie de la tranquillité future, une cession de l'ile de Candie au Royaume Hellénique. Il est un autre point très-scabreux. Si la Turquie siège dans les conseils de l'Europe, la Grèce directement ou indirectement pourrait réclamer sa participation comme Puissance essentiellement intéressée.

Je me suis permis de !aire l'observation que le meilleur moyen serait peutétre de laisser la question ouverte, en réservant à la Conférence elle-méme la faculté de décider si et à quel moment le Gouvernement Hellénique devrait ètre convoqué à se !aire représenter. Quant à la Turquie, son droit ne pouvait découler que de sa signature apposée au Traité de 1856 et non d'une position égale à celle des six Puissances garantes, à moins qu'elle ne sache se garantir elle-méme!

Le Comte de Bismarck a gouté cette observation. Il espérait que les Puissances protectrices auxquelles il devait s'adresser en premier lieu, en suite de leur compétence plus marquée, approuveraient le but et la base restreinte de la Conférence. Aussitòt qu'il en aurait avis, il demanderait aussi celui des autres Puissances garantes qui, il n'en doutait pas, voudraient bien le seconder, dans cette oeuvre éminemment honnète de pacification. Il pensait que les télégrammes à cet effet pourraient partir demain ou après-demain. Quand l'accession de tous les Etats sera acquise, il en informerait le Cabinet de Paris qui enverra probablement lui-mème les invitations d'usage.

J'ai dit au Président du Conseil qu'aux termes mèmes du télégramme de

V. E. du 21 décembre (1), je pouvais lui donner l'assurance positive et préalable de notre consentement dès que nous serions convoqués. Il m'a beaucoup remercié de notre empressement dans lequel il voyait une nouvelle preuve des bons rapports qu'il se plaisait à constater entre les deux Pays. Cependant pour n'omettre aucune des formalités, il nous ferait aussi instruire de l'état des choses par la Légation Royale à Florence.

J'al demandé si le Comte de Beust avait déjà notifié à Paris du moins son adhésion. « Je l'ignore, m'a répondu S. E. Depuis des mois, le Baron de Werther a l'instruction de ne communiquer au Gouvernement Autrichien, que les pièces qui peuvent ètre publiées. Nous le traitons comme le bureau d'un journal suspect auquel on ne livre que les documents à imprimer, en gardant par devers soi tout ce qui exige une certaine discrétion ».

Oette réponse, je n'ai pas besoin de le !aire ressortir, explique mieux que de longs raisonnements de quelle nature sont les relations entre l'Autriche et la Prusse. Il est de fait que si le Comte de Beust avait eu vent de l'affaire, une pluie de télégrammes se serait abattue dans les quatre coins de l'Europe, non sans amener quelque confusion, en supposant, comme le laissait clairement entrevoir mon interlocuteur, que l'action de l'Autriche n'a été rien moins que conciliante à Constantinople. Il croyait mème savoir que cette attitude avait provoqué des remontrances de Paris et de Londres et que le congé du Baron Prokesch n'avait rien d'accidente!.

Le Camte de Bismarck s'est mantré véritablement satisfait du retaur au pauvair du Marquis de Lavalette. S. E. m'a danné lecture d'un extrait de dép~che du Camte Salms rendant campte d'un entretien avec le Ministre Impérial des Affaires Etrangères qui s'était exprimé dans un sens très pacifique. Il ne reniait en aucune manière sa circulaire du 16 Septembre, malgré les critiques qu'elle avait saulevées dans de certains rangs, et il ne dautait pas que le Gauvernement Prussien était également animé de vues tautes favarables à la canservatian de la paix.

« Tant mieux, ajautait le Président du Canseil, si la baite de Pandare se referme! Ce ne sera pas natre faute si elle se rauvre, car naus pesans de tautes nas farces sur le cauvercle ~.

Il m'a chargé de remercier une fais encare V. E. de san télégramme de félicitatian {l) auquel il avait été très sensible. J'ai pu canstater de mes prapres yeux cambien sa santé s'est raffermie durant san cangé et qu'elle se rétablira camplètement s'il peut ménager quelque temps encare ses farces. Au reste, camme le maral influe sur le physique surtaut dans les natures nerveuses camme la sienne, les succès abtenus naguère dans la Raumanie, et ceux que pramet san initiative dans le différend Turca-Grec, sant bien faits paur praduire chez lui une excellente impressian. La Prusse a fait en 1866 ses preuves camme Grande Puissance en Occident, elle débute maintenant dans la palitique Orientale, en battant m~me sur ce terrain l'Autriche reléguée au secand plan. On n'abautira, taut l'indique, qu'à un replatrage, mais quand an ne peut faire mieux, les replatrages, camme il le disait judicieusement, ant leur ban còté.

A prapas de l'Autriche, elle n'a été infarmée que par la France des démarches Prussiennes, tandis que M. de Thile n'a pas manqué de me faire des auvertures canfidentielles. Autre détail à l'appui de ce que je mentianne plus haut sur les tiraillements qui ne cessent de se praduire entre les Cabinets de Berlin et de Vienne. Le Camte de Bismarck était parfaitement canvaincu de l'impassibilité aù se trauverait l'Autriche de se risquer aujaurd'hui dans une guerre, mais, à san avis, elle vaudrait se faire un piedestal de la France et de l'Angleterre paur exercer sa rancune cantre la Prusse.

J'ai d'autres détails à mander sur cet entretien; mais ils trouveront mieux leur place dans une lettre particulière que je me réserve de transmettre incessamment à V,.. E.

(1) Ritrasmissione a Berlino, Londra, Pietroburgo e Vienna del n. 770 e del t. cit. a p. 818, nota l.

788

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL GENERALE CIALDINI, A MADRID

T. Firenze, 25 dicembre 1868, ore 17,10.

Il parait qu'il ne serait pas nécessaire de cansulter le Parlement paur qu'un prince de Savaie accepte la cauranne d'Espagne. Mais il devrait par le fait

meme renoncer à son apanage et perdre sa qualité de citoyen italien. Le Roi

attend votre réponse sur la proposition de déclarer majeur le Due de Genes

du moment qu'il monterait sur le tròne.

Puis si cette combinaison ne réussit pas, nous dévrions consulter le Due

d'Aoste qui est à Genes.

Tout le monde étant absent c'est une affaire qui ne peut pas se décider

aussi promptement que vous le désirez. Mais il y a déjà un point qui semble

réglé celui d'écarter l'intervention du Parlement italien.

(l) Cfr. n. 726.

789

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA

D. 3. Firenze, 25 dicembre 1868.

Le accuso ricevuta dei rapporti ch'Ella mi ha diretto sino al n. 19 inclusi

vamente di questa serie.

La ringrazio delle informazioni ne' medesimi contenute.

Con mio telegramma del 16 dicembre (l) non ho esitato ad approvare il linguaggio ch'Ella mi diceva aver tenuto allorché da alcuni suoi Colleghi delle altre potenze era stata invitata ad agire energicamente presso il Governo rumeno per persuaderlo a seguire una politica pacifica e prudente. Dal momento in cui S. A. il Principe di Rumenia s'era spontaneamente convinto dell'opportunità di mutare il ministero e di dare nelle parole e nei fatti guarentigie formali che egli non intendeva scostarsi da quella linea di condotta che gli atti diplomatici hanno tracciato ai Principati Uniti, era cosa ben naturale che i Rappresentanti delle Potenze felicitassero il Governo rumeno per le risoluzioni da lui prese e lo incoraggiassero a seguire con passo fermo quella via che in ultimo avea scelta. Lo insistere presso il Principe Carlo con rimostranze che avrebbero sostanzialmente mancato di scopo, sarebbe stato, a nostro avviso, un atto contrario alla buona amicizia che professiamo pei paesi Rumeni, epperò Ella ben fece nel dichiarare che a quell'atto non si credeva autorizzata ad associarsi.

E qui occorre ch'io Le faccia una domanda. Da parecchi anni si sogliano tenere in Bukarest delle riunioni settimanali, se non erro, alle quali intervengono gli Agenti delle sei maggiori potenze per conferire sovra gli argomenti che possono sembrare di comune interesse. Queste riunioni che furono probabilmente una continuazione extra-ufficiale delle conferenze che nei primi anni della ricostituzione dei Principati Uniti furono regolarmente stabilite in Bukarest, sembrano per verità mancare oggidì di uno scopo pratico, e perciò potrebbero fors'anche sotto certi aspetti sembrare dannose.

Quando mancano gli argomenti di interesse comune pei quali gli Agenti esteri sono chiamati a prendere una vera deliberazione, non si vede infatti quale pratica utilità potrebbero conservare delle periodiche riunioni nelle quali la

discussione non ha limiti precisi e definiti. Lo spaziare in comune pel terreno della politica generale o della situazione del paese ove si risiede non è cosa abituale e ricevuta ordinariamente per parte dei rappresentanti esteri accreditati negli altri Stati d'Europa. Non comprendo perché un simile uso abbia potuto stabilirsi in Bukarest ed a questo riguardo desidero conoscere la di Lei opinione per l'opportunità che vi sarebbe di adoperarsi a che un siffatto sistema venga poco a poco abbandonato. I vantaggi che si ritraggono dalle azioni collettive dei governi sono per verità molto scemati quando si sa che l'azione, qualunque essa sia, di un Agente è posta direi quasi sotto il permanente controllo di deliberazioni prese in comune tra i vari Agenti che rappresentano tutti i principali Gabinetti; né si può dimenticare che l'azione politica o diplomatica esercitata in questa forma implica sempre un impegno non soltanto verso il Governo presso il quale si agisce, ma anche verso gli Stati coi rappresentanti dei quali venne concordemente deliberata l'azione.

Quindi nasce spontaneo il riflesso se le riunioni periodiche degli Agenti esteri residenti in Bukarest non siano per avventura cagione che si contraggano impegni non sufficientemente motivati dallo stato delle cose. Che se si volessero continuare le riunioni converrebbe esaminare il miglior modo di assicurarne la pratica utilità.

Tale è essenzialmente il quesito che sottopongo al di Lei apprezzamento pregandoLa di esaminarlo sotto ogni suo aspetto e di volermi poscia riferire a quale conclusione l'avrà portato l'attento studio delle quistioni.

(l) T. 802 del 16 dicembre, non pubblicato.

790

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1253/536. Londra, 25 dicembre 1868 (per. il 1° gennaio 1869).

Ho preso attentamente nota delle cose da Lei espostemi col suo pregiato dispaccio di serie politica n. 123 (l), circa il modo in cui mi debbo regolare nelle mie conversazioni col nuovo Ministro degli Esteri britannico, sull'importante argomento degli armamenti che fa la Francia a Civitavecchia.

Ragioni non dissimili da quelle da V. E. accennatemi nel precitato di Lei dispaccio mi consigliarono, prima ancora che io il ricevessi, ad astenermi dal chiamare l'attenzione di Lord Clarendon sulla gravità dei preparativi francesi in quella città in un colloquio ch'ebbi con lui subito dopo la sua entrata al « Foreign Office » nel corso del quale il discorso cadde sugli affari di Roma.

Mylord parlandomi in tesi generale della situazione delle cose in Europa mi disse che due soli erano gli Stati che avevano interesse a far nascere dei torbidi sul continente, cioè la Grecia e la Santa Sede, e che abbisognava perciò evitar loro ogni specie di pretesto che potesse anche indirettamente contribuire a produrre una complicazione.

Senz'accingermi a ponderare l'equità di questo parallelo, osservai a Sua Signoria che per quanto concerneva il Governo Italiano, era impossibile dare maggior prova di prudenza e senno politico di ciò che offriva la sua presente attitudine in mezzo all'anomala e pericolosa posizione creata dalla prolungazione dell'occupazione francese.

Mi limitai quindi ad aggiungere che il Gabinetto di Firenze preoccupavasi assai di questa situazione e che se finora non aveva apertamente fatto alcuna rimostranza, tale silenzio era dettato da motivi che il Governo della Regina doveva essere in grado di apprezzare al loro giusto valore.

Lord Clarendon approvò molto siffatta nostra riservatezza, che addimostrava secondo lui la forza di cui dispone in Italia l'Amministrazione dell'E. V. Ei mi ripeté ciò che avevami già detto quest'autunno a proposito dell'abboccamento da lui avuto con l'Imperatore Napoleone a Parigi, vale a dire che la opinione pubblica in Francia era ostile all'abbandono del Pontefice, e che in presenza delle imminenti elezioni generali, l'Imperatore non poteva assolutamente pensare a richiamare le sue truppe da Civitavecchia.

Le mie istruzioni non mi permettevano allora di esporre alla considerazione di Mylord come gli apparecchi militari·francesi sul suolo pontificio oltrepassano di gran lunga i bisogni del corpo di spedizione.

Ma ora che l'E. V. mi vi autorizza, presentandosene l'occasione, non mi mancherà di certo l'opportunità di farlo, e sarà mia cura di cercare a fissar l'attenzione del Ministro degli Affari Esteri sul vero stato delle cose a Civitavecchia, e di sottoporre alla sua considerazione, se l'Imperatore Napoleone prolungando la sua occupazione d'una parte degli Stati della Chiesa, non alberga forse altri disegni, indipendentemente delle ragioni di politica interna, da lui allegate a scusa nel suo precitato colloquio con Sua Signoria nell'autunno scorso.

Circa l'effetto prodotto in Italia dall'esecuzione degli infelici Monti e Tognetti, Lord Clarendon m'espresse il rammarico che provava che tanta agitazione e tanta simpatia si fosse manifestata per due individui i quali, secondo ogni codice penale, si erano resi degni dell'estremo supplizio.

A queste riflessioni di Mylord io risposi che detta esecuzione avea luogo in seguito a fatti aventi un carattere politico, e che quindi le circostanze della più raffinata vendetta le quali l'accompagnarono, e soprattutto la coincidenza che si volea procurare del giorno del supplizio eol passaggio di S. A. R. il Principe Ereditario e la Sua Augusta Consorte, non che la sospensione di essa sino al giorno dell'apertura delle nostre Camere, dovettero naturalmente inasprire gli animi in Italia, e far contemplare un tale atto come un guanto di sfida gettato loro sul viso all'ombra di un vessillo straniero. A ciò aggiunsi altri particolari e altre circostanze, ch'erano a mia conoscenza, e che poi fortunatamente mi furono confermati dalla circolare deH'E. V. su questo obietto (l); Mylord non ebbe in vero molto da replicare a fatti così luttuosi, tolsi da lui commiato, e ho creduto qui fargliene una succinta relazione.

(l) Cfr. n. 742.

(l) Cfr. n. 702.

791

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, ROUHER, AL CONTE VIMERCATI (l)

PROMEMORIA. Parigi, 25 dicembre 1868.

Le Gouvernement Italien proclame sa volonté absolue de ne jamais tourner ses armes contre la France; ses intéréts et ses sympathies (2) dit-11, s'y opposent également. Aussi est-il pret à donner à cette déclaration le caractère d'un engagement, soit sous forme de neutralité, soit sous forme de concours armé.

Les conditions d'une neutralité de la part de l'Italie seraient pour la France: P La garantie de l'acceptation, par le Gouvernement Pontificai, d'un modus vivendi destiné à rendre moins difficiles les rapports entre Rome et l'Italie. 2° Le rappel des troupes Françaises du territoire Romain à une époque déterminée et prochaine.

3° Une entente entre les deux Gouvernements de France et d'Italie sur l'attitude à prendre dans le Concile Oecuménique et une entente analogue pour l'éventualité de la mort de Pie IX et pour l'élection de son successeur.

Par un concours armé le Gouvernement Italien entend offrir non une alliance purement défensive, mais une alliance à la fois offensive et défensive et il met à la disposition de la France une armée de deux cent mille hommes.

Une convention spéciale réglerait les rapports mutuels des armées alliées et répartirait les frais de la guerre. La note Italienne indique toutefois, dès à présent, que l'état des finances de la péninsule devrait faire mettre tous les frais à la charge de la France.

Les conditions auxquelles cette force militaire est offerte sont multiples. Elles se formulent ainsi:

1° La France s'engagerait à faire assurer par l'Autriche avant la guerre, l'annexion du Tyrol Italien au royaume d'Italie et, par suite de cette annexion, l'Italie s'engagerait a ne rien faire contre l' Autriche.

2° La question Romaine serait définitivement réglée sur des bases à concerter, de manière à concilier les intérets de l'Italie avec l'indépendance et la dignité du Souverain Pontife.

3° Dans le cas où la France s'agrandirait du coté du Rhin ou de la Belgique, le comté de Nice ferait retour à l'Italie. 4° Si la guerre amenait le démembrement de quelque partie de la Suisse, l'Italie aurait le droit de s'annexer le Canton du Tessin.

Le memorandum qu'on analyse prévoit deux éventualités particulières. Il suppose que le parti de la neutralité ait été adopté et que, ultérieurement, la France et l'Autriche alliées soient appelées à faire la guerre à une autre puissance. Dans ce cas, l'Italie aurait le droit de devenir partie belligérante de

concert avec la France et l'Autriche et devrait obtenir les avantages precédemment énumérés. Ces memes avantages devraient lui etre assurés alors que le maintien de sa neutralité imposerait à l'Italie l'obligation d'armer. Le gouvernement Français veut répondre à ces diverses suggestions avec la plus entière et la plus amicale sincérité.

L'Empereur ne croit pas à une grande guerre prochaine en Europe. Il désire le maintien de la paix et fera les efforts les plus énergiques pour la préserver de toute atteinte. La France ne doit tirer l'épée que pour défendre un grand intéret d'honneur et de sécurité. Or, Sa Majesté est profondement convaincue qu'aucune Puissance, en Europe, ne voudra mettre en échec de tels intérets, et assumer sur elle les responsabilités qui en seraient la conséquence.

Toutefois, einvisager la possibilité de la guerre pour chercher les moyens de la prévenir ou d'en atténuer les périls, si elle éclate, est un acte de prévoyance et de sagesse. C'est à ce point de vue que s'est placé le Gouvernement de l'Empereur pour l'examen des propositions Italiennes.

La neutralité, dans le cas où la France serait engagée militairement contre une autre puissance, serait conseillée (1), à l'Italie, on le reconnait, par ses intérets comme par ses sentiments (2) d'amitié.

En circonscrivant les négociations confidentielles entamées à des stipulations relatives à une neutralité, on se placerait donc sur un terrain très étroit. Les rapports qui existent entre la France et l'Italie semblent commander une attitude plus significative, et, des deux alternatives indiquées, celle qui a la préférence du gouvernement Français est la négociation d'une alliance offensive et défensive.

Il pense meme que ce projet d'alliance doit etre étudié avec la pensée qu'il pourra s'étendre à l'Autriche, puissance qui n'a plus d'intérets opposés avec ceux de l'Italie et que sa politique et sa mission en Europe rapprochent des nations Latines. Le gouvernement du Roi Victor Emmanuel semble avoir sur ce point la meme opinion que nous, puisqu'il fait entrer dans ses prévisions la promesse de la cession du Tyrol Italien à la péninsule, promesse qui ne peut etre utiliment faite que par l'Autriche. Aussi ne voyons-nous de difficultés possibles à l'entente poursuivie que dans certaines des conditions proposées.

La fixation du contingent italien à 200.000 hommes est convenablement calculée. Quant aux sommes nécessaires pour la mise et pour le maintien sur le pied de guerre de ce contingent, le Gouvernement Français consentirait à en faire l'avance sauf recouvrement ultérieur sur l'ennemi, soit en argent, soit par des compensations territoriales (3).

Le gouvernement de l'Empereur reconnait aussi qu'il est juste, dans le cas d'une guerre heureuse, que le Tyml Italien, ou pour employer une expression

(ZJ Nella prima redazione del promemoria qui erano inserite le parole « de reconnals

sance et».

plus précise le Trentin soit annexé au royaume d'Italie et il * s'engagerait à ouvrir, conjointement avec l'Italie, une négociation avec l'Empire AustroHongrois. Cette négociation devrait aboutir, préalablement à tout acte de guerre, à un traité qui assurerait à la peninsule l'annexion du Tyrol Italien * (1).

L'hypothèse d'un démembrement de la Suisse par le fait de la guerre est très invraisemblable; si cependant elle se réalisait, le Gouvernement Impérial envisagerait avec faveur l'annexion du Canton du Tessin à l'Italie.

Pourrait-il en ètre de mème du retour du comté de Nice, dans le cas ou la France s'agrandirait du coté du Rhin ou de la Belgique?

L'hypothèse de la reprise par la France de ses frontières du Rhin, ou de son agrandissement par l'incorporation de la Belgique, hypothèse qui entrainerait celle d'un agrandissement territorial de l'Autriche du c6té du bas Danube (2), justifie, nous le reconnaissons, certaines pensées d'extension au profit de l'Italie. Nous serions donc disposés à étudier avec elle les combinaisons possibles sur ce point, en écartant toute idée de distraction du comté de Nice au préjudice de la France.

Les populations de ce Comté ont proclamé, il y a quelques années a peine, leur volonté de devenir Françaises. Ce serait porter une atteinte grave à la doctrine aujourd'hui universelle de la souveraineté populaire que de provoquer un scrutin nouveau et une décision contraire. Ces manifestations solennelles d'un pays perdraient singulièrement de leur prestige et de leur autorité, si elles pouvaient ètre méconnues et abandonnées à quelques années d'intervalle. La péninsule Italienne a, la première, un immense intérèt à ne pas affaiblir, à ne pas déconsidérer ces actes de souveraineté nationale, car son unité repose tout entière sur leur légitimité et leur puissance.

La note Italienne propose de stipuler que la question Romaine serait «définitivement réglée sur des bases à concerter, de manière à concilier les intérèts de l'Italie avec l'indépendance du Souverain Pontife ».

Cette formule est excessivement vague. Or, l'expérience a démontré à l'Italie et à la France quels périls recouvrait une rédaction flottante ou équivoque sur cette délicate question de Rome et de la Souveraineté Pontificale.

Est-il raisonnable de s'exposer à des nouveaux malentendus sur une question que le temps ou des événements impossibles à prévoir peuvent seules résoudre ou atténuer, sur une question dans laquelle la France n'a jamais voulu entrer que pour y faire pénétrer l'esprit ou le sentiment du statu quo?

Le gouvernement Italien a peut-ètre été mieux inspiré lorsqu'il nous a demandé d'appuyer l'acceptation par Rome d'un modus vivendi, destiné à rendre moins difficiles les rapports entre les Gouvernements Pontificai et Italien; lorsqu'il a signalé l'utilitè d'une entente entre la France et l'Italie, soit sur l'attitude à prendre dans le Concile Oecuménique, soit pour l'éventualité de la mort de Pie IX et pour l'élection de son successeur.

Ces indications se réfèrent, il est vrai, au système de la neutralité; mais elles sont non moins applicables et non moins opportunes dans le cas d'un

57 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

traité d'alliance, car elles ont l'inappréciable avantage d'amener des apaisements et de préparer des solutions qui compromettraient la coercition et la violence.

Pour etre complète, cette note doit-elle s'expliquer sur les conditions relatives au parti de la neutralité? Nous en doutons. En tous cas, les observations que suggère cette proposition seront très courtes.

Nous venons de nous expliquer sur trois des conditions indiquées par le document Italien. Quant au rappel des troupes françaises du territoire pontificai, nous croyons que le Gouvernement du Roi est suffisamment édifié sur nos intentions à cet égard, soit par nos dépeches officielles, soit par nos communications orales. Il n'est pas nécessaire de donner à ces intentions une plus grande fixité, ni le caractère d'un engagement.

Si la doctrine de la neutralité devait sortir de l'échange d'idées qui se produit en ce moment, il ne serait pas admissible que l'obligation d'armer, dans laquelle pourrait se trouver l'Italie, pour mantenir sa neutralité, équivaHl.t pour elle à une attitude de belligérant et lui assuràt le bénéfice des stipulations que lui donnerait la promesse d'un concours armé.

Le neutralité spontanée impose à une natilon des devoirs et des sacrifices. Celle-ci les accomplit dans l'intéret de son autonomie, de sa dignité et de sa sécurité. Ce concours purement négatif ne saurait lui assurer les memes avantages que promet ou donne un concours armé.

On comprend mieux la déclaration par laquelle l'Italie, prévoyant la possibilité d'une alliance entre l'Autriche et la France et d'une guerre européenne, se réservait la faculté de sortir de la neutral.ité pour devenir partie belligérante de concert avec les deux autres puissanees.

Il est de toute évidence que le concours de l'Italie serait apprécié avec sympathie dans de pareilles circonstances, mais ce sont là des hypothèses compliquées. La solution simple et vraie est une alliance offensive et défensive que nous venons d'exposer.

Un tel traité ne saurait d'ailleurs intervenir régulièrement aujourd'hui entre les deux Etats. So n existence, mal,gré le secret promis, pourrait étre connue; il éveillerait des défiances et des inquiétudes et deviendrait bien vite, contre la volonté de tous, une cause de perturbation de la paix en Europe.

Si on tombait d'accord cet accord ne pourrait etre, quant à présent (l), constaté que par des communications directes et personnelles entre les Souverains des deux Pays.

(l) -Da ACR, ed. in MoRI, pp. 573-577. (2) -In ACR è conservata anche una prima redazione di questo promemoria a cui furono apportati, su richiesta di Vimercati, alcuni cambiamenti. Qui invece di «sympathies » si leggeva «engagements ». Il Vimercati annotava che ciò «aurait fait supposer un engagement antérieur ».

(l) Nella prima redazione del promemoria « imposée ».

(3) Nella prima redazione del promemoria invece di questo paragrafo c'era il seguente: «La fixation du contingent italien à 200.000 hommes est raisonnablement calculèe, la mise à la charge de la France des frais de guerre, peut etre acceptée à titre d'avance, sinon d'une manière définitive >>.

(l) -Nella prima redazione del promemoria, invece del brano fra asterischi: «promettralt d'appuyer cette prétention auprès de l'Empire Austro-Hongrois ». (2) -Nella prima edizione del promemoria mancava la parola << bas ».
792

IL GENERALE CIALDINI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. Madrid, 26 dicembre 1868, ore 11,30 (per. ore 18).

J'ai reçu votre dépeche confidentielle hier au soir. Vous savez que vos instructions et mes convictions m'ont amené ici pour due de Genes mais

on n'en veut pas. Peu importe qu'ii puisse etre majeur par ia constitutiort Espagne, il serait enfant devant les populations. Dans circonstances ordinaires il serait accepté mais aujourd'hui tout le monde préfère prince Amédée parce qu'il est fils du Roi Victor Emmanuel parce qu'il a fait une campagne où il fut blessé et se conduisit en brave parce qu'il a vingt-deux ans une éducation soignée monte bien à cheval et enfin parce qu'on l'a connu avantageusement à Madrid. Pour le due de Genes trop jeune quoique majeur iJ. faudra régence du moins conseil privé pour diriger son défaut d'expérience. On suppose pouvoir s'en passer avec prince Amédée et éviter ainsi lutte funeste entre conseil privé et ministère cela vous explique préference en faveur du prince Amédée qui voudra bien accepter je ne doute pas au moment donné. Cependant comme il faut sauvegarder dignité du prince Amédée et de la dynastie de Savoie je prie V. E. de m'envoyer dépeche chiffrée mais ostensible qui dise que le Roi se réserve de s'expliquer là dessus quand on fera parvenir une demande formelle (l). Veuillez répondre à la demande relativement à M. Montemar dont le choix demeure suspendu jusqu"à ce qu'on connaisse acceptation.

(l) Le parole « quant à présent >> mancavano nella prima redazione del promemoria.

793

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL GENERALE CIALDINI, A MADRID

T. Firenze, 26 dicembre 1868, ore 16.

Il est impossible de rien délibérer au sujet du due d'Aosta avant le retour du Roi à Florence qui aura lieu après demain. Veuillez en attendant me faire connaitre ce qu'on pense de la proposition de pro.clamer le due de Genes majeur et par conséquent sans régence.

794

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

D. 21. Firenze, 26 dicembre 1868.

Anche prima ch'io ricevessi il di Lei rapporto del 21 Novembre ultimo passato (2), io aveva fatto presente al mio onorevole collega il Ministro dell'Interno la necessità di appoggiare le frequenti lagnanze mosse dalle autorità provinciali di confine contro il Governo Cantonale del Ticino con relazioni ragguagliate sui fatti che danno fondato motivo ai richiami medesimi.

Ora ricevo in copia una relazione della Prefettura di Milano al Ministro dell'Interno, dalla quale relazione appajono realmente fatti che, se non sono contrari assolutamente ai rapporti di buon vicinato di due paesi amici, costi

(-2) Cfr. n. 693.

tuiscono però un insieme di cose poco conforme ai sentimenti di simpatia esi

stenti fra il Gabinetto di Firenze ed il Governo federale di Berna.

Ella troverà qui unito copia del rapporto della Prefettura di Milano.

Appena poi è mestieri ch'io aggiunga a questo proposito che ciò che nel

rapporto sovra riferito non è detto, ma che risulta in modo sicuro al R. Governo, si è il lavorio incessante che si fa dal Mazzini, ora alquanto ristabilito in salute, per rovesciare l'ordine di cose attuale in Italia. Gli eccitamenti ad insorgere contro il principio monarchico partono continuamente da Lugano con mezzi fidi e giungono in Italia dove se non per numero almeno per audacia gli aderenti del Mazzini creano imbarazzo al tranquillo procedere delle nostre cose interne.

Il Governo federale che ha pure interesse uguale al nostro di veder facilitate in ogni modo le relazioni fra il territorio svizzero e l'italiano dovrebbe convincersi che uno stato di cose che ci rende naturalmente sospette le relazioni attraverso la frontiera elvetica del Tieino è interamente contrario allo scopo che i due Governi debbono proporsi per comune vantaggio.

Al quale proposito debbo accennarle un fatto che forse giungerà a di Lei cognizione anche per altra via.

Sono pochi giorni che venni informato che Monsignor Carli Vescovo e suddito italiano il quale dimorava in un chiostro del Canton Ticino venne espulso dal territorio di quel Cantone per essersi espresso in termini violenti contro il Governo locale in una conversazione alla quale assistevano tre o quattro persone al più. Questo prelato che, per le sue intemperanti passioni politiche, era già stato sottoposto a giudizio davanti i nostri tribunali sarà dunque allontanato anche dalla Svizzera. E nella comunicazione che ci venne fatta al proposito ci si diceva che se le autorità Cantonali fossero state informate della precedente condotta di Monsignor Carli in Italia, non avrebbero certamente permesso a questo prelato un lungo soggiorno sul loro territorio. Ora a noi sembra che se Monsignor Carli partitante per i governi italiani caduti avesse potuto essere oggetto di un provvedimento di tal fatta, per uguale ragione un provvedimento consimile potrebbe essere preso verso quelle altre persone che sulle nostre frontiere si stabiliscono al principale intento di dirigervi un'azione la quale ha per iscopo lo seonvolgimento interno del Regno.

Questi riflessi Le sottopongo, Signor Ministro, perché Le potranno forse tornare utili per persuadere il Governo Federale della necessità di ottenere che la politica delle autorità Ticinesi non abbia ad essere un costante ostacolo allo stabilimento di quell'intimità di rapporti che noi vorremmo veder esistere fra il nostro paese e la Svizzera.

(l) -Il telegramma estensibile richiesto fu Inviato Il 27 dicembre alle ore 14.35.
795

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA

D. CONFIDENZIALE 4. Firenze, 26 dicembre 1868.

Con la spedizione Le faccio oggi, Ella rieeverà molti documenti, diplomatici relativi alle recenti complicazioni nate fra la Grecia e la Turchia. Dalla lettura di quelle corrispondenze le risulterà chiaramente che la maggiore parte delle Potenze Europee desidera sinceramente la pace e si adopera attivamente per conservarla.

In tale situazione di cose è evidente che simpatie dell'Europa non saranno mai per quegli Stati che col loro atteggiamento sembrassero opporsi al compimento di ciò che è nel desiderio del maggior numero dei Gabinetti. Epperò la Rumania, per lo sviluppo e la prosperità della quale importa che l'amicizia dei principali Governi le sia acquisita, farà opera saggia mantenendosi in un contegno prudente e circospetto il qu~l:) non dii appiglio alle intenzioni poco benevole dei suoi vicini.

La incarico particolarmente di insinuare questi suggerimenti nelle conversazioni che Ella avrà in questi giorni cogli uomini politici di codesto paese. Nello esprmersi in questo senso Ella avrà però sempre cura di far osservare che il nostro linguaggio è dettato unicamente da sentimenti di amicizia verso il popolo Rumeno e dal desiderio che abbiamo di vederlo evitare i pericoli ai quali andrebbe incontro inevitabilmente se nelle circostanze presenti egli desse causa o pretesto a maggiori complicazioni in Europa.

Con ragione Ella accenna nella di Lei corrispondenza ai pericoli che minacciano l'esistenza dello Stato Rumeno, non senza fatica stabilito sulle basi a,ttuali da;lla diplomazia Europea in omaggio alla nazionalità ch'esso rappresenta. Dal giorno in cui l'unione dei due Principati divenne un fatto compiuto, la Rumenia fu travagliata da difficoltà interne gravissime delle quali spesse volte si attribuì la causa ad influenze straniere. Ciò dimostra l'esistenza di interessi opposti a quelli delle popolazioni rumene le quali debbono quindi con ogni studio adoperarsi per mantenersi le simpatie di quella parte d'Europa che desidera la loro prosperità ed il progressivo, regolare sviluppo della loro causa senza perturbazioni e senza scosse che potrebbero in questo momento riuscire di sommo danno a tutti i paesi ed a tutti i popoli. Nell'amicizia sincera e disinteressata delle potenze che non hanno interessi contrari a quelli del popolo rumeno, questo deve ricercare la guarentigia più sicura contro i pericoli dai quali potesse per avventura essere minacciato.

796

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AGLI AGENTI E CONSOLI GENERALI A BELGRADO, JOANNINI, A BUCAREST, FAVA, AI CONSOLI GENERALI A BEIRUT, MACCiò, A COSTANTINOPOLI, SPAGNOLINI, A SALONICCO, CESTARI, A SERAJEVO, DURIO, AI CONSOLI AD ALEPPO, SIMONDETTI, A CIPRO, R. COLUCCI, A DAMASCO, PILASTRI, A GALATZ, BERlO, A RUSCIUK, DE REGE, A SCUTARI, PERROD, A SMIRNE, CASTELLI, A TRIPOLI, BOSIO, E AI VICE CONSOLI A CANEA, E. COLUCCI, A IBRAILA, ZERBONI, A SULINA, ALBERICI, A TREBISONDA, DE GRESTI, E A VARNA, RIVA

D. Firenze, 26 dicembre 1868.

La risoluzione presa dalla Porta Ottomana di dare lo sfratto dal suo territorio ai sudditi Elleni come rappresaglia per gli ajuti prestati dalla Grecia

all'insurrezione in Candia ha sollevato una qui:stione importante intorno alla quale parecchi agenti consolari italiani hanno già chiesto istruzioni al R. Governo.

Parecchi sudditi Elleni si sono infatti rivolti alle Autorità consolari italiane pregandole di accordare loro la protezione che in Levante i Consoli possono concedere a coloro che non appartengono alla sudditanza ottomana. Ed in alcune località si vollero fare in questi giorni operazioni relative alla vendita di bastimenti per parte di armatori greci in favore di compratori italiani.

Non è possibile che il Ministero possa dare al proposito istruzioni che convengano a tutti i singoli casi speciali che si possono presentare. II criterio ed il sano apprezzamento delle circostanze di fatto debbono essere la migliore guida della condotta dei RR. Agenti in presem;a delle difficoltà che possono presentare simili quistioni. Cionondimeno come norma generale di condotta si possono stabilire alcune massime che dovranno poi essere interpretate convenientemente dai RR. funzionari chiamati ad applicarle.

La protezione accordata ad un cittadino elleno anteriormente al Decreto della Sublime Porta che ordinò lo sfratto dei Greci sudditi del Re Giorgio, deve essere mantenuta e fatta rispettare.

La protezione italiana non si potrebbe accordare collettivamente ad una classe di persone, e tanto meno ad una colonia intiera di Greci colpiti dal Decreto di espulsione. Però quando si tratti di persona conosciuta, incapace di creare imbarazzi al R. Governo, la quale abbia per esempio rapporti di commercio con RR. sudditi, i quali rapporti esigessero nell'interesse stesso di questi ultimi una speciale tutela, il Governo del Re consentirebbe a concedere la sua protezione sempreché ben inteso si tratti, lo ripeto, di concessione fatta individualmente e non mai di un provvedimento generale e collettivo.

Quando occorresse pertanto agli Agenti italiani di estendere la protezione a cittadini Greci colpiti dal Decreto di espulsione, converrà che si facciano preventivi passi ufficiosi presso le Autorità locali ottomane rappresentando loro gli speciali motivi che suggeriscono una simile concessione ed il Governo del Re non dubita che da simili pratiehe ufficiose ben condotte con uno spirito di moderazione e di conciliazione, si otterranno utilissimi effetti.

Per quanto poi concerne la vendita dei bastimenti greci ad armatori italiani non si potrebbe mettere in dubbio che siffatte operazioni commerciali siano tuttora lecite purché fatte con ogni regolarità ed in conformità alle leggi nazionali vigenti. Lo stato di interruzione de' rapporti diplomatici, la stessa applicazione di rappresaglie non costituiscono ancora ciò che nel diritto internazionale si chiama stato di guerra; epperò i RR. Agenti debbono ritenere come norma generale che finché lo stato di guerra fra la Grecia e la Turchia non sia dichiarato gli Italiani possono con ogni sicurezza fare coi Greci e coi Turchi tutte quelle operazioni commerciali che nello stato di pace sono permesse. ; ., ~

Ripeto non è possibile dare principii che si attaglino a tutte le singole fattispecie che si possono presentare, ma le norme generali del diritto internazionale nonché le massime sovrastabilite potranno essere applicate ai varii casi che si presenteranno.

La S. V. saprà d'altronde che la Porta Ottomana ha concesso un prolungo di parecchie settimane al tempo che da principio avea stabilito come termine massimo per la partenza dei Greci dal suolo ottomano. Nel frattempo l'opera attiva della diplomazia europea che si svolge in un senso soddisfacente di conciliazione potrà forse raggiungere lo scopo desiderabile di appianare le difficoltà insorte nelle relazioni internazionali della Grecia e della Turchia. Noi ci lusinghiamo quindi che non si presenteranno casi nei quali occorrerà applicare le istruzioni contenute in questo Dispaccio.

Che se la nostra speranza dovesse essere delusa, il Ministero fa assegno sullo zelo e sull'accorgimento dei suoi Agenti per evitare ad un tempo le difficoltà e le complicazioni e provvedere alla dignità ed agli interessi nazionali.

Se i RR. Consoli si vedessero nella necessità di applicare le istruzioni che loro dà oggi il Ministero, i medesimi dovrebbero accuratamente riferire sovra ogni singolo caso, indicando i motivi che guidarono la loro condotta.

797

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

T. 819. Firenze, 27 dicembre 1868, ore 13.

Veuillez me dire quelle est la position du général Tiirr en Autriche, quelle est son influence et de quelle autorité il jouit (1).

798

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 432. Firenze, 27 dicembre 1868.

Ella sa che la Commissione Parlamentare incaricata di riferire sul progetto di legge per autorizzare l'esercizio provvisorio del bilancio per due mesi avea proposto di sospendere intanto il pagamento di quella parte del debito pubblico pontificio che per il seguito riparto diveniva debito italiano.

Il Governo del Re non avea mai creduto che posta in questi termini la quistione potesse raccogliere la maggioranza dei voti. Sapeva infatti che la

Camera era animata da sentimenti temperati e non avrebbe voluto suscitare complicazioni collo spingere il Governo ad esercitare inopportune rappresaglie.

Il fatto ha dippoi dimostrato che i nostri giudizi non erano infondati. Il voto del 22 dicembre è stato una nuova prova dei sentimenti che dominano nel nostro parlamento, il quale ha voluto certamente colla deliberazione presa, rinvigorire il Governo rinfrancandolo nella via dei moderati consigli dai quali non si è mai dipartito.

Ma se tale è, a nostro avviso, il significato del voto recentemente emesso dalla grande maggioranza della rappresentanza nazionale, il Ministero non può a meno di riflettere che la quistione agitata nell'ultima tornata della Camera dei Deputati potrà riprodursi fra due mesi ed anzi anche prima appena ricominci la discussione del bilancio definitivo e normale.

Ora trattavasi di proporre la sospensione dei pagamenti relativi al debito pontificio; allora si tratterà di stanziare la somma occorrente per i pagamenti medesimi. La quistione che potè essere evitata sin qui potrebbe quindi ripresentarsi, e porgerebbe propizia occasione a coloro che desiderano agitare le passioni in Italia, di portare la discussione sul terreno più generale della quistione romana risalendo pur anche alla Convenzione di Settembre per farne notare l'inadempimento in quella parte che concerne le obbligazioni assunte dalla Francia.

E giova osservare che sopra questo terreno la quistione potrà essere portata innanzi ogni volta che il Parlamento dovrà discutere il bilancio provvisorio o definitivo.

Il nostro desiderio sincero di evitare ogni futura spiacevole complicazione ci suggerisce fin d'ora l'idea di sotoporre lo stato vero delle cose alla considerazione del Governo dell'Imperatore accioeché egli veda se nel periodo di tempo che dovrà trascorrere, prima che il bilancio definitivo entri in discus

sione, non si possa per parte sua provvedere in modo da allontanare ogni pericolo che abbia a risorgere una difficoltà che per la prudenza e la moderazione del parlamento e del Gabinetto ha potuto essere sin qui evitata.

Il Governo del Re desidera ch'Ella faccia sentire al nuovo Ministro Imperiale per gli Affari Esteri che se ragioni non riferibili all'interna situazione del nostro paese hanno potuto essere addotte dal Signor di Moustier per soprassedere a prendere una risoluzione che l'interesse ben inteso dei rapporti fra l'Italia e la Francia consiglia da parecchi mesi, noi speriamo che il Governo Imperiale saprà anche prendere in considerazione ciò che la situazione delle cose esige attualmente in Italia. La tranquillità di cui gode tutta la penisola, le ripetute prove dei sentimenti di moderazione che penetrarono nelle masse e che ispirano le deliberazioni del Governo sono fatti dei quali il Gabinetto delle Tuileries dovrebbe tener conto per coadjuvare efficacemente all'opera saggia e riparatrice che il Ministero si è formalmente prefisso di compiere coll'appoggio del Parlamento.

Tali sono i sensi ne' quali vorrei che Ella si esprimesse con S. E. il Marchese de La Valette e gradirò conoscere a suo tempo la conversazione che Ella avrà avuto a questo proposito col Ministro dell'Imperatore.

(l) Per la risposta cfr. n. 801.

799

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (l)

L. P. Firenze, 27 dicembre 1868.

Stimo opportuno di meglio sviluppare, con questa mia lettera, il pensiero che mi ha dettato il dispaccio d"oggi relativo alla questione del debito già pontificio (2).

Ella conosce quali siano i termini di fatto di codesta questione, epperò non è d'uopo che io Le ripeta qui le stipulazioni concrete che intervennero, tra il governo italiano ed il governo francese, intorno al presente argomento, sia in vista della Convenzione 7 dicembre 1866, sia in virtù del Protocollo finale del 31 Luglio 1868. Mi giova soltanto di qui ricordare che la situazione di fatto è oramai la seguente: a) Con decorrenza dal l o gennaio prossimo avremo a nostro carico il servizio diretto di tutti i 18 milioni (cifra tonda) che la Convenzione del 1866 ci ha attribuiti, dei quali un milione e mezzo si serviva già da noi fin dall'epoca delle annessioni, ed altri sette milioni (prestito Rothschild) si cominciarono a servire fin dalla prima scadenza del 1867; b) dei 9 milioni e mezzo annui, pei quali il servizio diretto non fu peranco assunto, ed i quali nei tre semestri decorsi dal l o Gennaio 1867 fino al Luglio scorso formarono un arretrato di poco meno di quattordici milioni, è in corso la liquidazione: sei milioni furono già pagati rimangono a pagarsi altri otto milioni circa.

Si fu in codesto stato di cose che sopravvenne la proposta, formulata dalla Commissione pel bilancio provvisorio, di sospendere ogni pagamento in dipendenza del riparto del debito pontificio. Il Ministero ebbe splendidamente favorevole il voto della Camera; ma un esame attento delle discussioni che ebbero luogo nella presente circostanza non tralascia di destare in me, non dirò una apprensione qualsiasi, ma una certa preoccupazione pel caso, abbastanza probabile, che la stessa questione sia risollevata in epoca più o meno rimota.

Non è dubbio che le ragioni supreme della fede pubblica e della politica convenienza hanno potentemente coadjuvato a rendere efficaci gli argomenti svolti, innanzi alla Camera, dagli organi del Governo, assicurando così la prevalenza a quel partito che solo era conforme alla dignità del paese ed al nostro stesso interesse. Epperò importa comprendere nelle previsioni nostre la eventualità in cui, o per influsso di considerazioni speciali o per men favorevoli disposizioni dell'Assemblea, sia uopo o prudenza fare assegnamento sopra la sola azione persuasiva dei termini precisi del problema e sulla fredda applicazione dei principii giuridici ai termini stessi. Mi affretto a soggiungere che anche laddove una siffatta eventualità si avverasse, non esiterei ad accettare la discussione nè dispererei di conseguire la vittoria. Sarebbe nondimeno puerile il dissimularsi la gravità di una consimile situazione, essendo evidente come agli argomenti addotti in appoggio della nostra tesi, non poche e non lievi obbiezioni si potrebbero contrapporre.

Il) Da AVV.

Un succinto e spassionato esame delle argomentazioni svolte dal Ministero e dagli amici suoi nella tornata del 21 corrente basterà a dimostrarle come io non mi esageri punto le difficoltà di una controversia recata sopra così arduo ed ingrato terreno.

Fece notevole impressione sulla Camera l'osservazione che la sospensione dei pagamenti relativi al debito pontificio non avrebbe punto nociuto alla Santa Sede, ma sibbene ai terzi possessori di titoli già pontificii, i quali debbon oramai considerarsi come altrettanti creditori dell'erario italiano. L'argomento è invero di gran peso ed anche di una esattezza abbastanza rigorosa ove lo si giudichi alla stregua della equità e della buona fede: non è quindi a stupire che desso abbia influito potentemente a rinfrancare le convinzioni della maggioranza. Però, ove siffatto argomento da una Camera scontenta e però cavillosa, fosse sottoposto ad una critica, la quale volesse essere maligna senza parer tale, è da presumere che perderebbe tosto ogni efficacia. Anzitutto esso non si adatta punto a quegli 8 milioni di arretrato di cui feci cenno in principio di questa mia lettera e che rimangono a pagarsi per mezzo dell'ambasciata di Francia, in proprie mani del Tesoro Pontificio. Inoltre dubito assai che i possessori dei titoli già pontifici, in caso di sospensione del pagamento per parte nostra, si rassegnino al danno, e non invochino, come ne hanno certamente il diritto, contro il loro debitore principale (ed anzi unico) il noto adagio «res inter alias acta etc. »; in tal caso il Tesoro Pontificio, sarebbe senza dubbio condannato a pagare, salvo a farsi rifondere più tardi dal Tesoro Italiano, contro il quale esso invocherebbe o farebbe invocare a sua posta, la convenzione del 7 Dicembre 1866. In guisa che, posto che fossimo davvero prosciolti da ogni obbligazione nascente da quest'ultima convenzione, oppure, posto che fosse differita a tempo indefinito la :soluzione del problema relativo alla efficacia attuale della Convenzione stessa -nell'un caso e nell'altro il danno sarebbe realmente ed esclusivamente patito, in misura più o meno grave, dal Tesoro Pontificio. Perché altrimenti fosse, converrebbe che i detentori di rendita già pontificia avessero nelle loro mani un titolo valevole contro il Tesoro Italiano: ora, il loro titolo è a carico esclusivo del Tesoro Pontificio, nè essi possono invocare la Convenzione del 1866 per lo stesso principio soprannunciato del Res inter alias acta neque nocere neque prodesse potest.

L'altro argomento che fu svolto e produsse impressione nella Camera si appoggia sulla considerazione che il riparto del debito pontificio sia effetto, non tanto delle convenzioni del 1864 e del 18613, quanto del fatto stesso dell'annessione delle provincie già appartenenti alla Santa Sede. Fu detto, nella tornata del 21 corrente ed era già stato detto dal Consiglio di Stato, che l'obbligo nostro per rispetto alla quota parte di debito pontificio, proporzionale a quelle provincie era un obbligo naturale e preesistente che la Convenzione del 1864 non aveva fatto altro che riconoscere e concretare. E conchiudevasi dicendo che non era, quindi, necessario di risolvere il quesito gravissimo se la Convenzione del 1864 sia o non tuttora sussistente, sia o non tuttora osservata d'ambe le parti -poiché, ad ogni modo ed in ambe le ipotesi, il nostro obbligo rimaneva pur sempre lo stesso.

Orbene che l'obbligo di che si tratta sia un obbligo naturale e preesistente

è, le dico francamente, mia opinione personale nella quale mi inducono consi

derazioni di equità ed anche di giustizia positiva che non è mestieri di qui sviluppare. Ma è certo, d'altra parte, che una siffatta tesi non potrebbe sostenersi in un carteggio diplomatico e formale come fu sostenuta nel recinto, per dir cosi, domestico del Parlamento o del Consiglio di Stato, senza contraddire alla tesi contraria che il Governo italiano sostenne costantemente e fino all'ultimo nei negoziati del 1866, per esimersi dall'obbligo di pagare i 100 milioni circa di arretrati che a quell'epoca eransi accumulati dalle annessioni in poi. Ella ha forse memoria di un lavoro che fu compilato in allora presso gli uffizi del Ministero all'oggetto di dimostrare come, avuto riguardo alla situazione dei rapporti tra il Regno e la Santa Sede, e tenuto conto dei precedenti storici, l'obbligo del riparto non si dovesse considerare come obbligo esistente virtualmente fin dalle annessioni ma sibbene come un obbligo nuovo, e sui generis nato puramente e sempUcemente in forza dell'articolo 4 della Convenzione del 15 Settembre 1864. L'aver sostenuto in allora siffatta tesi basterebbe già a rendere malagevole lo allegare spontaneamente ora, la tesi opposta. Ma vi ha di più. Lo stesso governo francese lo stesso governo pontificio ammisero che quella tesi avesse un incontestabile valore; imperciocché, mentre non vollero accettarla in modo assoluto dispensando il governo italiano dal pagamento degli arretrati aderirono, a tal riguardo a quella transazione per cui la massima parte degli arretrati stessi fu capitalizzata alla pari. Se il Governo francese avesse avuto una convinzione assoluta circa la natura dell'obbligo nostro, avrebbe preteso, e certo non senza frutto, se si pon mente alle circostanze dell'autunno 1866, che noi rimborsassimo in ispecie tutti i 91 milioni degli arretrati, mentreché si accontentò che pagassimo in ispecie soli 20 milioni e che si capitalizzasse il resto alla pari, che quanto dire, al saggio che era allora la nostra rendita, che ne pagassimo la metà, ossia 35 milioni: in tutto 55 milioni invece di 90 e più.

Egli è certo che, con siffatti precedenti non si potrebbe rispondere, in modo assoluto, della efficacia dell'a;rgomento, che pure ebbe favorevole n voto del Consiglio di Stato e della Camera; e che si appoggia sulla preesistenza dell'obbligo nostro per rispetto alla quota parte di debito pontificio che ci fu addossata. Or non è chi non veda che, tolto di mezzo siffatto argomento, sarebbe giuocoforza affrontare il problema dianzi accennato, se la Convenzione del 15 settembre 1864 sussista o non sussista, sia o non sia rispettata d'ambe le parti. Imperocché se vien meno ogni altro fondamento all'obbligo nostro, di che si tratta, codesto obbligo non ha più altra base che il disposto letterale dell'articolo IV di quella Convenzione; ed a chiunque invocasse la Convenzione del 7 Dicembre 1866 o la Legge del 27 Maggio 1867, od infine il Bilancio discusso e votato nel 1868, si risponderebbe sempre: «sta bene, ma tutte codeste leggi o stipulazioni si appoggiano tutte sulla Convenzione di Settembre, e sono caduche se è venuta meno la efficacia di questa».

Ella signor Cavaliere, cui è noto come dopo un anno di carteggi e di reciproche spiegazioni non consti ancora in modo categorico se la Convenzione di Settembre è o non in effettivo vigore, comprenderà di leggieri quanto sarebbe arduo e spinoso n terreno sul quale la questione troverebbesi per tal guisa recata. Certo è se, per malavventura, il Parlamento dovesse impossessarsi, ne nascerebbe una tempestosa discussione che non gioverebbe certamente a quella

causa di conciliazione e di pace che è scopo degli sforzi comuni d'Italia e di Francia. Se ciò dovesse mai accadere, se una somigliante questione fosse in termini così compromettenti sollevata, io non saprei deplorare abbastanza che la continuazione della occupazione francese abbia fornito occasione o pretesto a trarla in campo. E questo è il lato più grave e più delicato dell'argomento sul quale ho chiamato l'attenzione di Lei col mio dispaccio ufficiale di oggi. Dalle osservazioni contenute in questa mia lettera Ella potrà, Signor Cavaliere, dedurre materia per aggiungere efficacia a quegli offizii che Ella avrà opportunità di fare presso gli uomini del Governo Imperiale.

È per tale intento che io stimai necessario di dirigerle la presente, colla quale, per adoperare una locuzione che è famigliare in Italia ho voluto fare, ad ogni buon fine, l'avvocato del diavolo, ossia della opposizione.

(2) Cfr. n. 798.

800

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1255/538. Londra, 27 dicembre 1868 (per. il 2 gennaio 1869).

L'ultima volta che parlai con Lord Stanley della vertenza di Tunisi fu, se non erro, un giorno o due prima che egli lasciasse il « Foreign Office ». Nulla di importante aveva Sua Signoria da comunicarmi in quell'occasione; solo mi disse che l'Ambasciatore di Prussia era venuto a leggerLe un dispaccio inviatogli da Berlino, in cui semplicemente s'esponeva, che, dietro ad una comunicazione del Conte de Launay, il Governo Prussiano aveva avuto contezza che non sarebbe stato rappresentato in seno alla conferenza da tenersi in Parigi per determinare i mezzi più acconci onde ottenere il riordinamento delle finanze di Tunisi, alla quale sarebbero solo ammessi i Segretarj delle Legazioni di Italia e d'Inghilterra ed un impiegato del contenzioso diplomatico francese.

A questo proposito Mylord mi osservò presso a poco le stesse cose che il Signor Conte Puliga col suo rapporto d3lli :20 scorso novembre (l) riferiva a

V. E. essergli state dette dal Marchese di Moustier; cioè che dal Governo del Re si esagerava alquanto la portata di tale riunione di Segretarj, alla quale a mala pena addicevasi l'appellazione di conferenza, ed i cui lavori avrebbero semplicemente avuto un carattere del tutto preparatorio.

L'incidente non andò più oltre, ed avendo io chiesto a Lord Stanley se avesse ricevuto da Parigi qualche recente informazione sull'andamento della pendeP..za, ei mi rispose negativamente e sorridendo mi disse: «Come di consueto il Marchese di Moustier non pare affrettato di prendere una decisione».

Se finora mi sono astenuto d'intrattenere Lord Clarendon sugli affari d1 Tunisi si fu solo per la ragione che il momento non mi pareva opportuno, sia perché egli non poteva ancora essersi messo al corrente di tanto intricata vertenza, sia perché Sua Signoria fu talmente assorta dalle faccende d'Oriente

e dai numerosi consigli di Gabinetto che il nuovo Ministero tiene in questo momento per determinare la condotta che intende seguire, e che non mi sembrava conveniente di rischiare di compromettere i veri interessi della quistione in una breve conversazione in cui molto probabilmente il Segretario di Stato, preoccupato come il fu dal conflitto turco-ellenico, non avrebbe prestato che una mediocre attenzione a fatti non ancora a lui famigliari.

A tenore però degli ultimi ordini dell'E. V. (1), non ho frapposto indugio a redigere una memoria sotto forma di nota verbale, in cui ho cercato di esporre concisamente il vero stato della controversia tunisina, e mi propongo di rimetterlo io stesso confidenzialmente a Lord Clarendon appena avrò ottenuto l'udienza che ho a questo scopo speciale sollecitato.

In tale occasione non mancherò, come fu sempre mia cura per lo passato, di usare la più gran sollecitudine per rappresentare al Capo del « Foreign Office », come una comune solidarietà d'interessi leghi l'Italia e l'Inghilterra in questa vertenza e come entrambe debbano procedere d'accordo per resistere alla influenza della Francia, che vorrebbe avere la supremazia nella Reggenza, ed accaparrare la miglior parte delle sue finanze ai proprii creditori interamente a scapito di quelli delle altre Nazioni.

(l) Cfr. n. 689.

801

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1492. Vienna, 28 dicembre 1868, ore 14 (per. ore 18).

N'ayant jamais parlé au comte Andrassy du général Ti.irr, je ne puis naturellement fournir les renseignements que vous désirez (2). Cependant il me vient de bonne source qu'il jouit de bonne opinion et d'une certaine influence. Si vous le croyez à propos, je puis prendre renseignements plus exacts auprès du Gouvernement meme.

802

IL GENERALE CIALDINI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. Madrid, 28 dicembre 1868, ore 18,45 (per. ore 23,02).

Corti vient de m'informer qu'il n'a pas encore reçu votre télégramme par lequel vous lui disiez que M. Montemar était agréé (3). Il était convenu que

M. -Montemar se rendrait à Florence pour se trouver à la grande réception du l"r janvier. Son départ a été suspendu à cause du rétard de votre acceptation ce qui me piace dans une fausse situation vi.s-à-vis de mes amis et pourrait diminuer leur confiance en moi.
(l) -Cfr. n. 750. (2) -Cfr. n. 797. (3) -Il gradimento per Montemar quale nuovo ministro di Spagna a Firenze era stato inviato già n 24 dicembre (t. 815, non pubblicato). Il telegramma che lo comunicava non era però giunto a Corti.
803

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 53. Monaco, 28 dicembre 1868 (per. il 31).

L'onorevole mio Collega di Stuttgard avrà a suo tempo chiamato l'attenzione dell'E. V. sulla portata della discussione che ha preceduto il voto delle Camere WU.rtemberghesi relativamente alla questione sollevatasi intorno alla risposta del discorso della Corona e Le avrà fornito tutte le spiegazioni che si possono riferire alla situazione politica di quella parte meridionale della Germania. Vedo però che i giornali francesi e tedeschi attribuiscono una importanza smisurata ad una interpretazione che la corrispondenza Hoffmann si piacque di dare a quel voto. Io credo che questo organo officioso del Governo Bavarese è nel vero sino a tanto che si limita a dire «ehe la Baviera va d'accordo col Wurtemberg nel voler mantenere rispettati i trattati militari e doganali esistenti colla Prussia )) ma reputo più che arrischiata l'asserzione «che in caso di una guerra la Germania meridionale sarà colla Germania del Nord)). Se da un lato sembra probabile e naturale che in caso di guerra la Baviera e gli altri piccoli Stati della Germania Meridionale si debbano collegare ed appoggiare alla Prussia non sorprenderebbe però coloro che seguono da vicino il movimento politico di questa provincia di vederle esitare a prendere apertamente un partito ed io credo che la politica del temporeggiare in quel caso signoreggerebbe le determinazioni di questo popolo ineerto sul suo avvenire.

804

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI. MENABREA

T. 1505. Londra, 30 dicembre 1868, ore 8,10 (per. ore 10,40).

Je viens d'avoir une entrevue avec lord Clarendon sur les affaires de Tunis. Il n'est pas au courant de la question et il m'a fixé un jour pour que j'aille le renseigner en détail. J'ai pourtant la satisfaction de vous annoncer qu'il y prend beaucoup d'intérét et qu'il comprend comme nous le danger des vues ambitieuses de la France sur la Régence, ehose que lord Stanley s'était toujours refusé à admettre. Il espère qu'avec le nouveau ministre des affaires étrangères français il sera plus facile de traiter.

805

!L PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL GENERALE CIALDINI, A MADRID

T. Firenze, 30 dicembre 1868, ore 14,15.

Le Roi qui est arrivé hier au soir me charge de vous dire qu'il est très disposé à seconder le projet relatif au due d'Aosta; Sa Majesté a parlé avec son fils qui s'est réservé de donner une réponse explicite qui arrivera dans les premiers jour de janvier. Il est possible que j'aille moi-méme à Génes prende la réponse.

806

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1507. Atene, 30 dicembre 1868, ore 17,40 (per. ore 23,15 del 31).

Plusieurs volontaires en Candie ont déposé les armes, aujourd'hui environ mille doivent arriver à Syra sur un navire ottoman. Les conditions ont été honorables. Les armes leur seront rendues au débarquement. Le fils Vekopoulaki ayant pu échapper on a gardé le père et quelques chefs jusqu'à ce que le premier se rende. Cette nouvelle peut faciliter la tàche de la conférence. Vice amiral turc est encore à Syra et il doit s'occuper de la consigne des volontaires.

807

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 130. Firenze, 30 dicembre 1868.

Rispondo ufficialmente alla lettera particolare direttami dalla S. V. (l) sul contegno che serba l'Italia nella sua politica verso i Principati Uniti perché desidero assolutamente metterla in grado di distruggere qualsiasi erronea opinione che intorno alla medesima si fossero formati gli uomini di Stato di codesto paese.

In una recente conversazione ch'Ella ebbe con Lord Clarendon questi si sarebbe, da quanto Ella mi scrive, espresso in senso da !asciarle intendere che la condotta degli agenti italiani nei Principati danubiani non è sempre identica a quella seguita dai Consoli delle altre Potenze, tenendosi quegli Agenti in disparte in certe occasioni in cui gli Agenti esteri hanno ordine di dimostrare col loro contegno la disapprovazione dei loro Governi per gli atti del Gabinetto di Bukarest.

Ella fece molto bene, Signor Conte, ad esternare a Lord Clarendon lo stupore che eccitavano in lei le di lui parole. Affermando che tutti gli sforzi della politica italiana erano diretti in senso pacifieo tanto in Oriente quanto in ogni altra parte d'Europa Ella non fece che interpretare le precise intenzioni di questo Gabinetto. Il predecessore di Lord Clarendon al Ministero degli Affari Esteri ebbe infatti non dubbie prove che il nostro desiderio di cooperare pel mantenimento della pace non limitavasi ad uno sterile voto direi quasi platonico, ma si estrinsecava in atti tutti egualmente diretti a conseguire l'intento pacifico che ci proponevamo. Epperò Ella ha potuto con molta ragione produrre in prova di quanto asseriva il tenore delle corrispondenze politiche del R. Governo le quali le furono costantemente comunicate. Dalle medesime Ella venne infatti informato che i nostri consigli a Bucarest ed a Belgrado furono ognora ispirati dal desiderio di poter evitare qualsiasi pericolosa complicazione e dall'interesse che professiamo per le popolazioni di quei paesi.

Ella ben conosce, Signor Conte, quale fu il nostro contegno verso il Governo principesco di Bucarest ogni qualvolta che si trattò di scongiurare imminenti pericoli. Tenendo conto della situazione generale, e prendendo in attenta considerazione quanto per interessi particolari avrebbero potuto proporsi di ottenere altri Governi noi abbiamo agito a tempo, e possiamo oggi affermare che abbiamo agito efficacemente, forse appunto perché nella forma e nella sostanza la nostra azione presentavasi agli occhi della Rumania non già come l'espressione di sentimenti ostili ma bensì come una prova della simpatica amicizia che esiste fra l'Italia ed i Principati Uniti.

Forse al momento in cui il principale Segretario di Stato della Regina Le parlava della nostra politica nei Principati Danubiani S. S. era sotto l'impressione di qualche relazione meno esatta dell'incidente prodottosi a Bucarest allorché vollesi dopo il ritiro del Ministero Bratiano, dopo il discorso di apertura delle Camere pronunciato da S. A. il Principe Carlo, dopo ogni più esplicita promessa ed assicurazione data dal Governo Principesco condurre il Barone Fava ad associarsi a non saprei quale dimostrazione collettiva degli Agenti delle Potenze Occidentali e dell'Austria per mettere alle corte (mettre au pieds du mur) il Governo del Principe Carlo. Di questo incidente Ella fu informata per la comunicazione da me fattale del rapporto del R. Agente in Bucarest in data del 4 corrente (l) (documento diplomatico 460). Dalla lettura di quel rapporto Ella ha potuto scorgere con quali solide ragioni il Signor Fava motivasse il suo rifiuto ad aderire ad un'azione collettiva che la mutazione avvenuta nelle condizioni interne della Rumania non potea certamente legittimare. Com'Ella forse avrà preveduto la condotta del R. Agente politico fu pienamente approvata dal Governo del Re ed i motivi di questa approvazione Ella troverà sviluppati nel dispaccio che in data del 5 corrente (l) io ho indirizzato al Barone Fava (doc. dipl...).

Noi non possiamo d'altronde fare a meno di felicitarci sommamente dell'aver seguito tale linea di condotta perché ne avessimo scelto un'altra avremmo dovuto facilmente accorgerci di aver fatto passi inutili se non dannosi a quella legittima e disinteressata influenza che desideriamo conservare presso

il Governo di Bucarest. Vedrà infatti la S. V. da una relazione del R. Agente in Rumania in data del 15 dicembre (l) come la condotta del Governo del Principe Carlo sia stata in ogni punto soddisfacente per gli amici della pace durante l'ultimo periodo di tempo trascorso. Rinvigorire anziché scalzare un Governo che si mostra sinceramente disposto a seguire i consigli amichevoli dei Gabinetti amici ci sembra la migliore politica che nelle circostanze presenti si dovrebbe da tutti adottare a Bucarest. Il Governo Britannico non ignora che la situazione presente dei Principati fu molte volte seriamente minacciata, né a Londra riescirebbe nuovo il sapere che ad una politica che avrebbe per iscopo di sacrificare i paesi rumeni ad altri interessi stranieri l'Italia non volle mai prestar mano. La mente degli uomini di Stato inglesi è troppo illuminata perché sia mestieri lungamente sviluppare il concetto che guidò la politica del

R. Governo. Essi sanno che la politica di un Governo che trae la sua origine ed il suo sostegno dalla pubblica opinione deve evitare con ogni cura di ledere la logica dei principi che sono il suo principale fondamento. Noi crediamo di servire efficacemente gl'interessi di tale politica adoperandoci costantemente nel senso di evitare ogni intempestiva complicazione che non potrebbe riuscire che a vantaggio di altri e non già dell'Italta.

Desidero che a questo riguardo l'opinione di Lord Clarendon sia illuminata e perciò esorto la S. V. a valersi delle cose dette in questa mia comunicazione per uniformarvi il linguaggio ch'Ella potrà essere in caso di tenere parlando con S. S. delle cose d'Oriente. Noi ci lusinghiamo che la nostra politica si troverà sempre d'accordo con quella della Gran Bretagna ogni qualvolta che si tratterà d'impedire che per effetto di complicazioni inopportune abbiano a potere effettuarsi progetti i quali sarebbero interamente contrari all'intento comune che si proposero le potenze amiche quando di unanime accordo diedero ai Principati del Danubio la costituzione di cui godono attualmente.

P. S. Accuso ricevuta dei rapporti fino al n. 134 e di quello particolare del 22 dicembre. Acchiudo 21 documenti diplomatici.

(l) Cfr. n. 7'78.

(l) Non pubblicato.

808

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 76. Pietroburgo, 30 dicembre 1868.

(per. il 7 gennaio 1869).

Accuso ricevuta alla E. V. dei dispacci ministeriali nn. 35, 36, 37 in data del 17, 18, 20 corrente (2), nonché dei n. 42 documenti dipl.omatici che erano menzionati nel primo di essi, e dei 3 che accompagnavano l'ultimo dei suddetti dispacci.

58 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. X

In uno degU ultimi abboccamenti da me avuti col Principe Gortchacoff, ebbi occasione, toccando delle cose d'Italia, di fargli parola dei due sentenziati, e con atto inumano messi a morte dalla Corte di Roma, attestandogli la falsità del documento pubblicato da alcuni diarii e attribuito al R. Governo sovra questa vertenza. Il Cancelliere Imperiale espresse a dir vero un severo giudizio sull'atto incriminato a Monti e Tognetti, avvegnacché non approvasse la durezza d'animo di cui fece pruova il Pontefice di Roma. Udì con molta attenzione i particolari che aveano aggravato quel fatto, e che aveangli quasi dato un carattere d'aggressione politica contro il R. Governo a quel modo che io gli venni indicando, dietro le importanti comunicazioni da V. E. fattemi pervenire; e mi rispose dicendo che fu un tempo in cui la Sedia di Roma ebbe e meritò la fama di grande sapienza e scaltrezza nelle cose di Governo, ma che questo tempo era passato, e che essa dava opera ogni giorno a vieppiù dimostrare la sua decadenza, e accumulare ogni giorno nuovi errori onde gli avversari della sua dominazione si doveano rallegrare.

Il Principe tolse da questo colloquio l'opportunità di farmi cenno dello scopo politico attribuito da alcuni giornali alla presenza del Signor Valouieff in Roma, e di smentirlo pienamente, affermandomi che l'ex Ministro dell'Imperatore Alessandro soggiornava in quella città a solo fine di ristabilire la sua mal ferma salute « absolument comme valetudinaire » e che tutte le interpretazioni o supposizioni della stampa su tal soggetto erano senza più da ritenere per false. Io non trasmisi all'E. V. siffatta spontanea comunicazione perché nel dì seguente il giornale francese di Pietroburgo pubblicava una dichiarazione su tale incidente conforme alle cose espressemi dal Ministro dell'Imperatore, la quale deve a quest'ora senza alcun dubbio esser venuta a cognizione dell'E. V.

(l) -Non pubblicata. (2) -Non pubblicati.
809

IL GENERALE CIALDINI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T.u. Madrid, 31 dicembre 1868, ore 14,15 (per. ore 18,15).

J'ai reçu votre dépéche d'hier n. 164 (l). Il me reste à savoir assentiment due d'Aoste dont je ne doute pas. M. de Montemar vient de partir pour Florence. Il s'arrétera probablement quelques jours à Paris. Je vous préviens qu'il m'a demandé lettres de introduction pour nos hommes politiques des différents partis. J'ai donné plusieurs lettres dont une pour Rattazzi persuadé qu'il l'aurait connu tout de méme sans ma lettre. Idées libérales M. Bensa qui se dit secrétaire privé de Sa Majesté font beaucoup de tort au Roi par ses propos imprudents et stupides (2). Je souhaite à V. E. une bonne année.

(l) -Cfr. n. 805. (2) -Con t. del 2 gennaio 1869 Menabrea comunicò a Cialdini: «Le Roi tient à ce que Bensa soit rappelé à l'ordre et ne s'attribue pas une mission qui ne lui a pas été donnée ».
810

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA

D. 38. Firenze, 31 dicembre 1868.

La prego di porgere i miei ringraziamenti a S. E. il Principe Cancelliere per la comunicazione fattami dal Signor di Kisselew di due dispacci del Governo Russo l'uno in data del 5/17 dicembre, l'altro del 7/19 stesso mese.

Quei due dispacci erano diretti al Signor Barone Brunow a Londra ed avevano tratto alle difficoltà che attualmente presenta la quistione orientale.

Nel primo di quei due documenti S. E. il Principe Gortchakow passa in rivista alcuni fra gli ultimi avvenimenti di Oriente. Ritiene che la Serbia e la Rumenia siano state l'obbiettivo di occulti maneggi i quali non sarebbero neppure ora interamente cessati.

Ho notato che il Cancelliere imperiale attribuisce l'uccisione del Principe Michele di Serbia a quei maneggi ed accenna a sospetti che si sarebbero concepiti sul contegno di una Potenza che nella Nota Russa non viene nominata ma che facilmente si comprende essere l'Austria.

Il Principe Gortchakow esprime il desiderio che la quistione sorta fra la Turchia e la Grecia venga prontamente composta, ma non nasconde la sfiducia che gli inspira la politica del Governo ottomano che egli dipinge sotto i più foschi colori.

Il Signor di Kisselew non era autori<::zato a !asciarmi copia di questo primo dispaccio, la lettura del quale io accolsi perciò come semplice informazione.

L'Inviato Russo era invece autorizzato a lasciare in mie mani l'altro dispaccio del Principe Cancelliere diretto al Barone Brunow. Ella troverà nella spedizione d'oggi una copia di quest'ultimo documento.

In questa sua nota il Governo Russo insiste particolarmente sul dovere che incombeva al divano imperiale di far appello ai buoni uffici delle potenze prima di rompere le sue relazioni colla Grecia e di usare verso la medesima atti coercitivi. Il diritto, il dovere e l'interesse consigliano alle grandi potenze, scrive il Principe Gortchakow, ad interporsi in via diplomatica per arrestare la Sublime Porta nella via che ha prescelto ed impedire così lo sviluppo di una crisi che minaccia di turbare la pace generale. Il dispaccio della Cancelleria Russa termina colle proposte di un accordo fra i Gabinetti delle Grandi Potenze allo scopo di agire immediatamente a Costantinopoli in vista dell'urgenza e della gravità delle circostanze.

Ed infatti il Signor di Kisselew, nell'atto che mi rimetteva il dispaccio in questione, mi chiedeva quali intendimenti avrebbero inspirato la politica italiana in questa occasione.

Esposi all'Inviato russo in brevi termini ciò che da noi si era fatto tanto a Costantinopoli che ad Atene allo scopo di prevenire il conflitto che ora si era prodotto fra i due paesi. L'Italia aderirebbe a tutti i partiti conciliativi i quali avessero prestabilito di raggiungere efficacemente il loro intento. Alla prima notizia avuta in via telegrafica della proposta Prussiana per riunire una

Conferenza delle potenze che firmarono il Trattato del 30 aprile 1856, noi avevamo immediatamente aderito nella fiducia che l'accordo prontamente stabilito a tale effetto fra gli Stati notoriamente contrari a qualunque perturbazione politica in Oriente avrebbe facilitato le intelligenze da prendersi con tutti gli altri Governi e sovra tutto colle due parti impegnate più direttamente nel conflitto.

La proposizione che ora ci giungeva dalla Russia ci dimostrava come questa grande potenza fosse al pari delle altre desiderosa di veder calmata l'agitazione creata dal conflitto turco-ellenico. Noi eravamo lieti di prendere atto di tali disposizioni che certamente avrebbero facilitato l'opera pacificatrice per la quale le Potenze erano convocate in Conferenza.

P. S. Accuso ricevuta dispacci di Serie Politica 71, 72, 73, 74, nonché di quello S.N. del 16 dicembre (1). Si accludono n. 30 documenti diplomatici.

811

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 243. Atene, 31 dicembre 1868 (per. il 6 gennaio 1869).

La notizia della riunione di una conferenza per sciogliere la vertenza turco-ellenica non fece punto desistere questo Ministero dai progetti e dai preparativi bellicosi.

Ai consigli di moderazione e di conciliazione, che non mancarono anche in quest'occasione, il Ministro degli Esteri rispondeva che senza una soluzione radicale della questione di Creta, qualunque intervento diplomatico non avrebbe potuto dare alcun risultato soddisfacente. Il Signor Delyanni soggiungeva che se la Grecia aveva dovuto sobbarcarsi per lo spazio di tre anni in enormi sacrifizii, ne erano state causa le speranze, che gli aveva fatto concepire l'attitudine delle Potenze, soprattutto in Costantinopoli, ed il trasporto di 60 mila Cretesi operato dai Legni da guerra esteri sul suolo Greco. Era quindi più che giusto, secondo il parere del Ministro degli Esteri, che una indennità fosse accordata alla Grecia per le grandi spese che fece, di gran lunga superiori alle sue risorse. Questo è il senso del linguaggio che il Signor Delyanni tenne a questo Ministro di Prussia, allorché questi gli comunicò un telegramma del Conte di Bismark, per consigliare alla Grecia di tenersi nella via della più grande moderazione.

Se tali saranno le pretese che il Governo Elleno vorrebbe far prevalere nella Conferenza, alla quale potrebbe esser chiamato per dare spiegazioni come parte interessata nella vertenza, io non saprei prevedere con quanta deferenza i plenipotenziarii potrebbero accettarla, sopratutto dopo i recenti risultati delle truppe Ottomane in Candia.

Io poi ritengo per fermo che nella mente di questi Governanti prevale l'opinione tornare più utile ai loro interessi un'attitudine minacciosa, senza desistere dai preparativi bellicosi, anziché quella conciliante e moderata.

Ieri ebbi l'onore di rimettere a S. M. il Re di Grecia la lettera Reale, che era annessa al dispaccio di V. E. delli 16, n. 72 (l).

In quell'occasione il Re si espresse meco in termini di riconoscenza per l'interesse che il Governo Italiano dimostrava in favore della Grecia. A mia volta feci osservare alla Maestà Sua, che secondo l'opinione del Governo Italiano sarebbe stato più utile alla Grecia ed al suo avvenire, se avesse potuto registrare un atto di più di deferenza pei consigli di moderazione e di prudenza dati dalle Potenze, che ad altro non mirano in questo momento che alla conservazione della pace Europea.

Sua Maestà infine mi ringraziò pel telegramma, che in conformità a quanto V. E. mi ordinava il 21 di questo mese (2), gli avevo fatto pervenire da parte del Principe Ypsilanti. Mi soggiunse però che le cifre erano state tanto alterate, da non poter comprendere ciò che quel Ministro Ellenico avesse voluto dire.

(l) Non pubblicati.

(l) -Cfr. n. 754. (2) -Non pubbllcato.
<
APPENDICI

APPENDICE I

LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(Situazione al 15 aprile 1868)

ARGENTINA <Repubblica)

Buenos Ayres -DELLA CROCE DI DoJOLA, conte Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ASSIA

MIGLIORATI marchese Giovanni Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Monaco).

AUSTRIA

Vienna -PEPOLI marchese Giovacchino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BLANC Alberto, consigliere; AVOGADRO DI COLLOBIANO ARBORIO Francesco, segretario; GuiCCIOLI marchese Alessandro, addetto; AvARNA, dei duchi di Gualtieri, Giuseppe, addetto.

BADEN

Carlsruhe -ARTOM !sacco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LITTABIUMI-RESTA, conte Balzarino, segretario.

BAVIERA

Monaco -MIGLIORATI marchese Giovanni Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CENTURIONE marchese Enrico, segretario.

BELGIO

Bruxelles -DE BARRAL DE MoNTEAUVRARD conte Oamillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MAROCHETTI barone Maurizio, segretario; ScoTTI Alberto, segretario.

BOLIVIA

GARROU Ippolito, incaricato d'affari (residente a Lima).

BRASILE

Rio de Janeiro -CAVALCHINI-GAROFOLI barone Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; N.N., segretario.

BRUNSWISCK

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

CHILì

Santiago -N.N.

CIDNA

SALLIER DE LA TouR conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Yeddo).

CITTA ANSEATICHE

Amburgo -GALATERI, dei conti di Genola, Gabriele, incaricato d'affari.

COSTARICA

ANFORA, dei duchi di Licignano, Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

DANIMARCA

Copenaghen -RATI OPIZZONI conte Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; N.N., segretario.

FRANCIA

Parigi -NIGRA Costantino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; QUIGINI PULIGA conte Efisio, consigliere; BOYL DI PUTIFIGARI conte Carlo Alberto, segretario; RESSMAN Costantino, segretario; AVOGADRO DI COLLOBIANO ARBORIO Luigi, segretario; CAVRIANI marchese Antonio, addetto; HIERSCHEL DE MINERBI Oscarre, addetto.

GIAPPONE

Yeddo -SALLIER DE LA TouR conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARESE conte Marco, segretario.

GRAN BRETAGNA

Londra -N.N. inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MAFFEI DI BOGLIO conte Carlo Alberto, segretario; PRAMPERO conte Ottaviano, segretario; CoTTA Francesco, addetto; PATERNÒ DI RADDUSA Michele, addetto; VIGONI Giorgio, addetto.

GRECIA

Atene -PEs DI SAN VITTORIO, conte della Minerva, Domenico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; N.N., segretario; CATALANI Tommaso, addetto.

GUATEMALA

Guatemala -ANFORA, dei duchi di Licignano, Giuseppe, incaricato d'affari.

HONDURAS

ANFORA, dei duchi di Lucignano, Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Gua...; temala).

MAROCCO

Tangeri -CASTELLINARD conte Adolfo, agente e console generale; TEsi Giulio, vice console; ToLEDANO Giuseppe, interprete.

MECKLEMBURGO (Granducati di)

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

NICARAGUA

ANFORA, dei duchi di Licignano, Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

OLDENBURGO

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

PAESI BASSI

Aja -CARUTTI DI CANTOGNO Domenico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARTUSCELLI Ernesto, segretario.

PERù

Lima -GARROU Ippolito, incaricato d'affari.

PORTOGALLO

Lisbona -OLDOINI marchese Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PATELLA Salvatore, segretario.

PRUSSIA E CONFEDERAZIONE DELLA GERMANIA DEL NORD

Berlino -DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TOSI Antonio, segretario; SAN MARTINO DI SAN GERMANO marchese Casimiro, segretario; VIscoNTI D'ORNAVAsso barone Carlo Alberto, addetto; TuGINI Salvatore, addetto.

RUSSIA

Pietroburgo -DI BELLA CARACCIOLO marchese Camillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; INCONTRI marchese Ludovico, segretario; CONELLI DE' PROSPERI Carlo, segretariO.

SAN SAL V ADOR

ANFORA, dei duchi di Lucignano, Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

SASSONIA (Regno di)

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

SASSONIA (Gran Ducato e Ducati di)

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

SPAGNA

Madrid -CORTI conte Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CovA Enrico, segretario; SoNNINO barone Sidney Costantino, addetto.

STATI UNITI DELL'AMERICA DEL NORD

Washington -CERRUTI Marcello, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; N.N., segretario; CANTAGALLI Romeo, addetto.

SVEZIA E NORVEGIA

Stoccolma -GIANOTTI Carlo Felice, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZANNINI conte Alessandro, segretario.

SVIZZERA

Berna -MELEGARI Luigi Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE MARTINO Renato, segretario; DE BOJANI Ferdinando, addetto; COMPANS DE BRICHANTEAU conte Edoardo, addetto.

TURCHIA

Costantinopoli -BERTINATTI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FAVA barone Saverio, consigliere; GALVAGNA barone Francesco, segretario; BALBI SENAREGA marchese Giacomo, segretario; FRANCHETTI Leone Giulio, addetto; DE NITTO Enrico, addetto; VERNONI Alessandro, interprete; GRAZIANI Edoardo, interprete; BARONE Antonio, interprete; CHABERT Alberto, interprete; ANINO Giovanni, interprete.

Vicereame d'Egitto

DE MARTINO Giuseppe, agente e console generale.

Reggenza di Tunisi

PI::-<NA Luigi, agente e console generale.

Principati Uniti di Moldavia e Valacchia

Bucarest -SusiNNO Romano, agente e console generale; GLORIA conte Gaspare Michele, vice console.

Principato di Servia

Belgrado -JoANNINI CEVA DI SAN MICHELE conte Luigi, agente e console generale.

URUGUAY

Montevideo -DELLA CRoCE DI DoJOLA conte Enrico, inviato straordinario e mi

nistro plenipotenziario.

VENEZUELA Caracas -DE LA VILLE barone Bartolomeo, incaricato d'affari.

WfTRTEMBERG

Stoccarda -GREPPI conte Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE SONNAZ Carlo Alberto, segretario.

APPENDICE II

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(Situazione al 15 aprile 1868)

MINISTRO

MENABREA conte Luigi Federico, luogotenente generale, senatore del Regno, presidente del Consiglio dei Ministri.

SEGRETARIO GENERALE

ULISSE-BARBOLANI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, incaricato delle funzioni di segretario generale.

DIVISIONE POLITICA

ToRNIELLI-BRUSATI conte Giuseppe, segretario di legazione di P classe, reggente la divisione.

UFFICIO 1°

Corrispondenza politica di Europa -Corrispondenza particolare del Ministro -Trattati politici -Pubblicazioni diplomatiche -Cifra e telegrammi

MALVANO Giacomo, segretario di 2a classe. JACQUIER Vittorio, applicato di P classe. MARTIN-LANCIAREZ Eugenio, applicato di 2a classe. DEL CASTILLO DI S. 0NOFRIO marchese Ugo, appUcato di 4a classe. DE SORIA Michelangelo, applicato di 4a classe.

UFFICIO 2°

Corrispondenza politica di America, della Cina e del Giappone. -Personale del Ministero, delle Legazioni e dei Corrieri di Gabinetto. Ordini cavallereschi nazionali ed esteri. -Atti pubblici. -Notariato della Corona. -Cerimoniale di Corte. -Cancelleria dell'Ordine della SS. Annunziata. -Archivi della Divisione.

GAL Giovanni Battista, capo sezione di P classe. BERTOLLA Giuseppe, segr,etario di l a classe. CICERO Carlo, applicato di 2a classe. BIANCHI m LAVAGNA Francesco, applicato di 3a classe. SEVEZ Lorenzo, traduttore.

UFFICIALI DIPLOMATICI E CONSOLARI ADDETTI ALLA DIVISIONE

DuRro Eugenio, console di l a classe. LATTES Giuseppe, vice console di P classe. INcisA-BECCARIA marchese Emanuele, volontario diplomatico. MocENIGO conte Alvise Silvestro, volontario diplomatico.

DIVISIONE DELLA CONTABILITA E DELL'ARCHIVIO

CORSO Edoardo, direttore capo di divisione di l a classe.

UFFICIO 1°

Bilancio. -Contabilità generale dei RR. Agenti diplomatici e consolari. Mandati. -Rendiconti. -Corrispondenza relativa. -Protocollo ed archivio della divisione.

CARRERA Angelo, capo sezione di 2a classe. MIRTI DELLA VALLE Achille, segretario di P classe. PAPINI Andrea, applicato di P classe. BERNONI LUigi, applicato di l a classe. ORFINI conte Ercole, applicato di 3a classe. D'ONCIEUX DE CHAFFARDON conte Paolo, applicato di 4a classe. FossATI Giuseppe, applicato di 4a classe.

UFFICIO 2°

Spese d'ufficio. -Contratti. -Servizio interno. -Cassa. -Uscieri. Passaporti. -Legalizzazioni. -Biblioteca. -Custodia degli archivi del Ministero.

CANTON Carlo, capo sezione di 2a classe. DoRIA DI DoLCEACQUA marchese Andrea, segretario di 2a classe. LoNGO-VASCHETTI Giovanni Battista, applicato di P classe. ALBERGOTTI-SIRI barone Tito, applicato di 2a classe. DE NOBILI Achille, applicato di 3a classe.

DIREZIONE GENERALE DEI CONSOLATI E DEL COMMERCIO

PEIROLERI Augusto, direttore generale.

DIVISIONE I

FALCONET Giuseppe, direttore capo divisione di 2a classe.

UFFICIO 1°

Corrispondenza coi RR. Agenti diplomatici e consolari residenti presso i diversi Stati d'Europa e loro colonie, eccettuata la Turchia e la Grecia, e cogli Agenti diplomatici e consolari di detti Stati in Italia; coi Ministeri, colle Autorità e coi privati in tutte le materie non politiche né commerciali.

SANTASILIA Nicola, capo sezione di za Classe.

SCHMUCKER barone Pompeo, segretario di la classe.

BRASCHI conte Daniele, segretario di P classe.

CAVACECE Emilio, segretario di la classe.

BARRILIS Diego Lorenzo, segretario di za classe.

MONTERSINO Francesco, segretario di za Classe.

CAPELLO Carlo, segretario di za classe.

DE MARI marchese Giovanni Maria, applicato di za classe.

CAPUCCIO Alessio, applicato di za classe.

BoBBIO Ettore, applicato di 3a classe.

PIRRONE Giuseppe, volontario.

FESTA Carlo Stefano, console di za classe, addetto all'Ufficio.

UFFICIO zo

Corrispondenza coi RR. Agenti diplomatici e consolari residenti in Grecia, nell'Impero Ottomano, in Asia, in Africa ed in America, e coi RR. Agenti diplomatici e consolari degli Stati di detti paesi in Italia; coi Ministeri, colle Autorità e coi privati in tutte le materie non politiche né commerciali.

DE GovzuETA, dei marchesi di Toverena, Francesco, capo sezione di za classe 3IANCHINI Domenico, segretario di la classe. MILIOTTI Luigi, segretario di za classe. BAZZONI Augusto, applicato di la classe. MASSA Nicolò, applicato di 4a classe. LAUDATI Donato, volontario

UFFICIO 3°

Corrispondenza riservata e confidenziale della Direzione generale. Personale consolare e dragomannale. -Esami. -Exequatur agli Agenti esteri. -Protocollo della Direzione generale.

CATTANEO Angelo, segretario di l a classe.

BROFFERIO Tullio, applicato di 3a classe.

RIVA Alessandro, vice console di 3a classe, addetto all'Ufficio.

86ì

59 -Documenti diplomatici -Serie 1 -Vol. X

DIVISIONE II.

SPINOLA marchese Federico, consigliere di legazione, reggente la Divisione.

UFFICIO 1°

Corrispondenza relativa alla stipulazione dei trattati e delle convenzioni commerciali, di navigazione, consolari, monetarie, doganali, postali e telegrafiche, ecc. -Pubblicazioni commerciali. -Bollettino consolare.

DE VEILLET Francesco, capo sezione di 2a classe.

BoREA D'OLMO marchese Giovanni Battista, segretario di 28 classe.

PANSA Alberto, applicato di 3a classe.

PucciONI Emilio, applicato di 4a classe.

BARDI Alessandro, applicato di 4a classe.

BARILARI Federico, volontario.

UFFICIO 2°

Corrispondenza relativa alle successioni di nazionali all'estero, ed agli atti di stato civile rogati all'estero.

ARNAUD DI CHATEAUNEUF Felice, capo sezione di P Classe.

MARGARIA Augusto, applicato di l a classe.

0DETTI DI MARCORENGO Edoardo, applicato di 2a Classe.

FERLOSIO Antonio Maria, volontario consolare, addetto all'Ufficio.

APPENDICE III

LEGAZIONI ESTERE IN ITALIA

(Situazione al 15 settembre 1868)

Austria -KUBECK Aloys, barone von, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WALTERSKIRCHEN Otto, barone VOn, consigliere; SALM-REIFFERSCHEIDT-KRAUTHEIM Eric Adolf, conte VOn, segretario; KHEVENHULLER Rudolf, conte von, addetto.

Baden -ALESINA voN ScHWEITZER barone Ferdinand, ministro residente.

Baviera -PAUMGARTEN, conte von, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TAUTPHOEUS Rudolf, barone von, segretario.

Belgio -SOLVYNS visconte Henri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FORGEUR J ., primo segretario; VAN DER LINDEN D'HOOGHVORST barone A., addetto; 0ULTREMONT, conte d', addetto.

Brasile -LouREIRO Joao Alves, ministro residente.

Danimarca -BILLE BRAHE barone P.F., de, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KRAG, de, addetto.

Francia -MALARET Joseph, barone de, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILLESTREUX, barone de la, primo segretario; BEAUMONT, visconte de, secondo segretario; WIMPFFEN, barone de, terzo segretario; LARDEREL, Gaston, conte de, addetto; LAssus S. GENIES Pierre, barone de, addetto; LESPERUT barone E.G., addetto; ScHMIDT, colonnello, addetto militare; Du CASSE Barone Georges Hermann, cancelliere.

Gran Bretagna -PAGET sir Augustus Berlceiey, inviato stmordinario e ministro plenipotenziario; HERRIES Edward, primo segretario; PLUNKETT Francis Richard, secondo segretario; MouNSEY Augustus Henry, secondo segretario; DERING Henry Nevil, terzo segretario.

Grecia -CoNDOURIOTIS Andreas, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SALACHAS P., segretario.

Paesi Bassi -HELDEWIER Mauritius, ministro residente.

Perù -N.N., incaricato d'affari.

Portogallo -BoRGES DE CASTRO José Ferreira, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SousA Loao Joao, primo segretario; ALVES GuERRA Manuel, segretario.

Prussia e Confederazione della Germania del Nord -UsEDOM Karl Georg, conte von, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WESDEHLEN Aloys, conte von, consigliere; HOLSTEIN, conte von, segretario; RADOLINSKI Hugo, conte von, addetto; HocHBERG-FiiRSTENSTEIN, conte von, addetto.

Repubblica Argentina -BALCARCE Mariano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Russia -KISSELEV Nikolaj, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; OsTEN SACKEN Nikolaj, conte di, primo segretario; DoNAUROV Sergej, secondo segretario; MEYENDORF barone Ernest, addetto; NETCHAJEV, colonnello, addetto militare.

Sassonia Reale -SEEBACH Albin Leo, barone von, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Spagna -CuETO Enrique, duca di Rivas de Saavedra, marchese d'Aufion, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; REMON ZARCO DEL VALLE Mariano, primo segretario; NEIRA Dositeo, addetto; BRUNETTI Y GAYoso Josè, addetto; PoMBO Y BARGEs Arsenio, colonnello di artiglieria, addetto militare.

Stati Uniti -MARSH George Perkins, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GREEN Clay, segretario; ARTONI Joseph, addetto; WuRTS George G., addetto.

Svezia e Norvegia -PIPER conte Karl Edward, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AMINOFF Wilhelm, segretario.

Svizzera -PIODA Jean-Baptiste, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FALKNER, segretario.

Turchia -RusTEM Bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; N.N., primo segretario.

Wilrtemberg -Ow Adolf, barone von, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZEPPELIN, conte, segretario.